XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 14 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PRIORITÀ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA.

Audizione di Nguyen Hoang Long, Ambasciatore del Vietnam in Italia, del Professore Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, e di Nguyen Thi Lan Anh, direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam, con particolare riferimento al quadro geopolitico asiatico.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Nguyen Hoang Long , Ambasciatore del Vietnam in Italia ... 5 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 ,
Caracciolo Lucio , Direttore della rivista ... 8 ,
Nguyen Hoang Long , Ambasciatore del Vietnam in Italia ... 11 ,
Caracciolo Lucio , Direttore della rivista ... 11 ,
Nguyen Thi Lan Anh , Direttrice generale del ... 11 ,
Nguyen Hoang Long , Ambasciatore del Vietnam in Italia ... 12 ,
Nguyen Thi Lan Anh , Direttrice generale del ... 12 ,
Nguyen Hoang Long , Ambasciatore del Vietnam in Italia ... 13 ,
Nguyen Thi Lan Anh , Direttrice generale del ... 14 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 16 ,
Farina Gianni (PD)  ... 16 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 18 ,
Farina Gianni (PD)  ... 18 ,
Cassano Franco (PD)  ... 18 ,
Schirò Gea (PD)  ... 19 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 19 ,
Caracciolo Lucio , Direttore della rivista ... 19 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 ,
Caracciolo Lucio , Direttore della rivista ... 20 ,
Farina Gianni (PD)  ... 20 ,
Caracciolo Lucio , Direttore della rivista ... 20 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 20 ,
Caracciolo Lucio , Direttore della rivista ... 20 ,
Nguyen Hoang Long , Ambasciatore del Vietnam in Italia ... 20 ,
Schirò Gea (PD)  ... 21 ,
Nguyen Hoang Long , Ambasciatore del Vietnam in Italia ... 21 ,
Nguyen Thi Lan Anh , Direttrice generale del ... 21 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 22

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche tramite la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Nguyen Hoang Long, Ambasciatore del Vietnam in Italia, del Professore Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, e di Nguyen Thi Lan Anh, direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam, con particolare riferimento al quadro geopolitico asiatico.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, di Nguyen Hoang Long, Ambasciatore del Vietnam in Italia, del Professore Lucio Caracciolo, direttore della rivista Limes, e di Nguyen Thi Lan Anh, direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam, con particolare riferimento al quadro geopolitico asiatico.
  Ringrazio tutti i nostri ospiti per la disponibilità a contribuire ai nostri lavori. In particolare voglio rivolgere un saluto all'Ambasciatore Long, dedicandogli il titolo di un libro di un vecchio autore marxista, Plechanov, La funzione della personalità nella storia, che io cambio in «La funzione della personalità nella diplomazia». L'ambasciatore ha avuto un apprezzamento da parte di tutti noi, perché è certamente un diplomatico, ma è qualcosa in più, essendo riuscito a stabilire un rapporto politico, culturale, personale e umano con una parte cospicua non solo del mondo politico ma anche del mondo economico e sociale, come abbiamo visto anche in una bella festa che la sua ambasciata ha indetto in uno dei posti più belli di Roma.
  Con questa seduta il ciclo di audizioni relativo alle priorità strategiche della politica estera del nostro Paese spinge il proprio sguardo alla situazione del quadrante asiatico, con particolare riferimento al ruolo giocato dai due maggiori attori internazionali, la Cina e il Vietnam, anche al di là del contesto regionale e della loro dinamica bilaterale.
  Lo svolgimento di questa audizione è stato occasionato dalla promessa della pubblicazione di un nuovo numero della rivista Limes dedicato all'Asia, che credo sia tuttavia stato tralasciato nel tempo, perché avvenimenti di assoluta drammaticità hanno portato la rivista a pubblicare un paio di numeri dedicati a una realtà più contingente.
  Tuttavia, la decisione di svolgere un approfondimento su tale tematica discende da una riflessione più profonda, connessa al consolidarsi della Cina come attore globale determinante e sempre più condizionante. Le contese territoriali con i Paesi confinanti, le prospettive di sviluppo del continente africano, l'indebitamento degli Stati Uniti, fino al processo di privatizzazione in Grecia, sono alcune delle questioni che esemplificano il ruolo che Pechino Pag. 4gioca o vuole giocare in una logica indubbiamente di potenza nel rapporto con il resto del mondo.
  D'altra parte, noi dobbiamo misurarci con quello che è l'assoluto paradosso storico ed economico che la Cina rappresenta: una sorta di ircocervo, per cui noi abbiamo da un lato uno Stato che rimane uno Stato comunista, anche con forti elementi autoritari, quali noi abbiamo visto nello scontro con gli studenti di Hong Kong e anche recentemente con persecuzioni che sono avvenute nei confronti di avvocati e dello stesso meccanismo di Internet.
  Contemporaneamente, però, questo Stato ultracomunista ha un'economia per certi aspetti ultracapitalista e combina in un modo assai ambiguo e complesso questo tipo di situazione. Quindi, ci troviamo a misurarci, anche in questo caso, con una cosa che sfugge agli schemi storici tradizionali.
  Questo andamento ha portato la Cina ad essere la nuova superpotenza militare emergente, considerato che già negli anni Sessanta sviluppa armamenti nucleari e mantiene, dalla fine della Seconda guerra mondiale, l'esercito di terra più grande al mondo. Oggi il suo budget per la difesa, con un aumento annuale di più del 10 per cento, è secondo solo a quello degli Stati Uniti. La rapida industrializzazione ha anche ridotto il suo tasso di povertà: dal 53 per cento nel 1981 all'8 per cento nel 2001. Tuttavia, la Repubblica Popolare Cinese affronta il rapido invecchiamento della popolazione a causa della politica del figlio unico, un considerevole ampliamento urbano, uno squilibrio economico fra regioni costiere e interne, il degrado ambientale.
  Queste crepe segnano le contraddizioni del modello di sviluppo cinese. La recente bolla della Borsa di Shanghai ha costituito un campanello d'allarme. Su di essa si è aperta una riflessione, ma va anche detto che è singolare il tipo di reazione che il Governo ha avuto rispetto all'esplosione di quella bolla, che non ha risposto certamente alle dinamiche e alle logiche tradizionali dei rapporti Stato-mercato, quali si sviluppano e attraversano la Borsa di altri Paesi dell'Occidente.
  Per tutte queste ragioni, quindi, questa Commissione ha valutato opportuno svolgere entro la fine di quest'anno una visita di studio in Cina.
  Quanto al Vietnam, si tratta di un Paese con cui l'Italia intrattiene eccellenti rapporti bilaterali in ogni settore, anche nel contesto dell'Unione europea e dell'ASEAN (Association of South East Asian Nations). Per quello che riguarda il passato, non ci dobbiamo nascondere dietro il fatto che quando ci fu la vicenda dello scontro fra gli Stati Uniti d'America e il Vietnam l'Italia si divise profondamente tra chi era favorevole, nel quadro dell'Alleanza Atlantica, agli Stati Uniti e chi invece fece manifestazioni di massa a favore del Vietnam.
  Poi ci fu una terza posizione che emerse, specie da parte di settori di governo della Democrazia Cristiana, che cercò di portare avanti una linea di mediazione e di ristabilimento della pace, con delle punte fuori dai meccanismi tradizionali e normali, quale fu la vicenda di La Pira a Firenze.
  Comunque, le relazioni diplomatiche sono state ufficialmente instaurate nel marzo 1973 con il riconoscimento della Repubblica Socialista del Vietnam.
  Dopo la caduta di Saigon e la riunificazione del Paese, nel 1975 è stata istituita la nostra Ambasciata ad Hanoi. Da allora i rapporti bilaterali hanno conosciuto una netta accelerazione anche grazie alle riforme economiche degli anni Novanta, che hanno portato Hanoi sulla strada della modernizzazione. Una missione in Vietnam potrà essere valutata in prospettiva per l'anno 2016.
  Questa situazione complessiva ha già modificato gli equilibri internazionali e non può che esplicarsi in primo luogo proprio nel continente asiatico, che con i suoi quattro miliardi di abitanti è già il più popoloso del globo. Non a caso, l'amministrazione Obama ha posto al centro della propria azione geostrategica la dottrina del Pivot to Asia, del «perno in Asia», che l'allora Segretario di Stato Hillary Clinton aveva delineato nell'articolo America's Pacific century pubblicato su Foreign Policy nell'ottobre del 2011. Una dottrina che Pag. 5trova immediato riscontro nell'impegno degli Stati Uniti per la stipula del Trattato di regolamentazione Trans-Pacific Partnership, che mette insieme svariati Paesi anche di quest'area in un accordo, il quale, a prescindere dalla originaria valenza commerciale, assume una inevitabile connotazione politica.
  In tale quadro generale, anche i rapporti sino-vietnamiti rivestono un interesse assai rilevante. I rapporti fra i due popoli rimontano alla storia più antica e varrà la pena di ricordare il millenario sforzo dell'etnia Viet per evitare di essere assimilata nella galassia cinese.
  Come pure la nostra memoria corre in modo quasi obbligato agli avvenimenti della seconda metà del secolo scorso, in cui la lotta del Vietnam per conquistare la propria indipendenza, fra vicende profondamente tragiche e sanguinose, ha dominato l'immaginario collettivo dell'intero pianeta.
  Fra tali vicende rientra certamente, anche a testimonianza che gli schemi ideologici non si ripetono mai, l'intervento contro il regime genocida dei Khmer rossi filocinesi di Pol Pot e anche la guerra sino-vietnamita del 1979.
  Oggi, dopo la normalizzazione dei rapporti diplomatici avvenuta nel 1999 e dopo che i due Paesi hanno siglato un trattato per la delimitazione dei rispettivi confini, non possiamo però sottacere il fatto che le relazioni sino-vietnamite sono caratterizzate da divergenti rivendicazioni territoriali per quanto riguarda le isole Paracel e le isole Spratly, confronto che va rubricato nel crescente attivismo di Pechino nel Mar Cinese meridionale; e, aggiungo, che si riflette anche nelle scelte di politica militare della Cina che vedono un'accentuazione molto rilevante delle spese per quello che riguarda il settore marittimo.
  Di fatto Cina e Vietnam appaiono aver trovato un instabile equilibrio fra collaborazione e competizione e partecipano oggi ad organizzazioni internazionali come l'ASEAN+3, la Regional Comprehensive Economic Partnership e la Banca Asiatica d'investimento per le infrastrutture, cooperazione che consegue direttamente dalla poderosa crescita economica dei due Paesi – il PIL del Vietnam è oggi pari a 155 miliardi di dollari – e dalla loro inevitabile compenetrazione in un unico bacino commerciale, quello che è stato definito, in modo un po’ impressionistico, il Bamboo Network.
  Tuttavia, nonostante tale schiarita nelle reciproche relazioni, è più che evidente che il rapporto fra questi due rilevanti attori della scena asiatica non potrà che rivelarsi uno degli snodi fondamentali degli sviluppi del quadro geopolitico nei prossimi anni. Ciò assume un profondo rilievo per i componenti della nostra Commissione nell'espletamento delle funzioni legislative di indirizzo del Governo.
  Do quindi il benvenuto agli studiosi e osservatori che ci potranno portare ulteriori informazioni, in particolare all'Ambasciatore Long, al professor Lucio Caracciolo e alla dottoressa Lan Anh.
  Do la parola con grande piacere all'Ambasciatore Long.

  HOANG LONG NGUYEN, Ambasciatore del Vietnam in Italia. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti. È un grande onore per me essere qui in questa Commissione, raccogliendo l'invito del presidente Fabrizio Cicchitto. È una platea che reputo molto importante affinché dia un supporto al rapporto bilaterale, che sta crescendo molto forte, tra Italia e Vietnam, ma anche perché esprime la posizione italiana che riguarda le questioni internazionali di grande rilevanza. Ringrazio il presidente Fabrizio Cicchitto e gli onorevoli della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati per questa occasione così importante per me.
  Partirei da un'osservazione che proprio il presidente ha fatto sulla cosiddetta «guerra in Vietnam». Due giorni fa c'è stata la visita di Stato del Segretario generale del Partito Comunista del Vietnam negli Stati Uniti, dove è stato ricevuto dal presidente Obama, dal vicepresidente Biden, da diversi senatori e deputati americani, dalla società civile americana. La visita viene valutata come l'ultimo tassello di un processo di normalizzazione che avviene da quarant'anni. Infatti, quest'anno si Pag. 6celebra il quarantennale della fine della guerra in Vietnam, ma si celebra anche il ventennale della normalizzazione del rapporto tra gli Stati Uniti e il Vietnam.
  Cosa significa questo? Che Stati Uniti e Vietnam adesso sono diventati non soltanto amici, perché ormai amici è una parola facilmente pronunciabile, ma sono diventati partner strategici, si considerano l'un l'altro dei partner indispensabili.
  Ritornando alla guerra, una settimana fa ho partecipato a un convegno a Palazzo Vecchio, a Firenze, in ricordo dei cinquant'anni della visita in Vietnam del senatore Giorgio La Pira. Il presidente ha ricordato la parte della Democrazia Cristiana che voleva cercare una via di intermediazione e di ristabilimento della pace. Ho parlato a quella platea dicendo che, in fondo, quello che i vietnamiti vogliono è la pace. Il fatto che vietnamiti e Stati Uniti sono diventati amici adesso spiega che in fondo anche gli Stati Uniti vogliono la pace in quella regione.
  Perché c'è stata quella guerra? Non sono i vietnamiti ad avere voluto la guerra. Siamo da sempre un popolo di pace, un popolo che mai ha invaso gli altri, ma è sempre stato invaso, nella sua storia millenaria, dagli altri. Ha sempre dovuto difendere la propria indipendenza, la propria autonomia, la dignità della propria gente.
  Secondo me, parlare di indipendenza, di autonomia va bene, però per ogni popolo e per ogni persona è la dignità che deve contare. Secondo me, il fatto che gli Stati Uniti e i vietnamiti, dopo quarant'anni dalla fine della guerra, si trovino in un livello di relazioni, di amicizia, di partnership strategica ci deve far riflettere molto su quella guerra, ma anche sulla lezione che da essa dobbiamo trarre, cioè di considerare il mondo da un'ottica strategica. Nel mondo in cui viviamo adesso la guerra è di attualità, vediamo tensione dappertutto, quindi dobbiamo trarre da quella fine della guerra in Vietnam lezioni indispensabili e fondamentali per i politici e i governanti di adesso. Essi devono sempre guardare alla pace, al rispetto del diritto internazionale, vivere armoniosamente insieme, rispettarsi l'un l'altro come valore fondamentale del sistema internazionale.
  In questo contesto noi vogliamo sottolineare che l'Italia e il Vietnam partono da una base di amicizia profonda tra la gente – attenzione, sottolineo la gente e non i governi – perché si prova simpatia gli uni per gli altri, in particolare da parte del Vietnam. Se qualcuno di voi ha avuto l'occasione di visitare il Vietnam, può aver toccato con mano l'amore dei vietnamiti per l'Italia e per il popolo italiano, per la sua cultura, per la sua creatività, per lo sviluppo economico, per il sistema delle piccole e medie imprese, per il made in Italy, per il vino, per il cibo.
  Questo amore da parte del popolo vietnamita verso l'Italia è spontaneo, è naturale e costituisce, secondo me, la base più importante per tutti gli altri rapporti a livello governativo, a livello istituzionale, a livello di imprese, eccetera. Alla fine, quello che conta sono i rapporti interpersonali, i rapporti di amicizia tra popoli. Da lì parte tutto e io sono molto contento di aver contribuito per una piccola parte a questo rafforzamento dei rapporti tra Italia e Vietnam.
  In questi tre anni di mandato ci sono state quattro visite di Stato, di cui una di rilievo storico del Presidente Matteo Renzi in Vietnam l'anno scorso. È stato un paradosso, perché in questi quaranta anni di rapporti diplomatici Matteo Renzi è stato il primo Presidente del Consiglio italiano ad aver visitato il Vietnam.
  La sua visita ha costituito una pietra miliare importantissima e secondo me ha dato una svolta, un'accelerazione al rapporto bilaterale italo-vietnamita, in tutti i campi: dal campo politico-istituzionale al campo economico-commerciale e di investimenti, al campo dell'educazione, istruzione, scienza e tecnologia, al campo di cooperazione militare.
  Abbiamo costituito dei meccanismi di dialogo strategico in campo economico, guidato dal viceministro dell'economia, in campo politico-istituzionale, guidato da un sottosegretario agli esteri, e nel campo della difesa, guidato da un viceministro della difesa. Pag. 7
  Questi meccanismi aiuteranno il Vietnam e l'Italia a rafforzare ulteriormente i rapporti tra i due Paesi in tali settori strategici.
  Noi vediamo l'Italia come la porta per entrare nell'Unione europea, un Paese amico, un Paese fondatore dell'Unione europea, un Paese sempre amico del Vietnam, un Paese che può dare una mano al Vietnam nel rafforzare la sua politica, la sua collaborazione, la sua cooperazione in seno all'Unione europea. Ciò è stato fatto in questi anni: l'Italia è sempre stato un Paese grande sostenitore del Vietnam nel suo relazionarsi con l'Unione europea.
  Parliamo di questo perché il Vietnam, nel suo processo di riforma economica, adesso sta facendo delle cose impensabili fino a cinque anni fa. Vorrei menzionare l'accordo di libero scambio che il Vietnam sta per firmare con l'Unione europea, un FTA (Free Trade Agreement) che ormai è stato quasi finalizzato in termini tecnici e sta aspettando una ratifica a livello politico. Ciò significa che, una volta firmato questo accordo di libero scambio, l'interscambio tra il Vietnam e l'Unione europea, che adesso si attesta a 35 miliardi di dollari, si triplicherà nei prossimi 5-10 anni, andrà a 100-150 miliardi di dollari, e soprattutto a favore dei prodotti europei, in particolare in campo agroalimentare, nel mercato vietnamita.
  Il presidente Fabrizio Cicchitto ha menzionato l'Accordo di libero scambio che il Vietnam sta per firmare con gli Stati Uniti, il cosiddetto «Trans-Pacific». Questo Accordo è quasi terminato. Il Vietnam sta per firmare – insieme con altri undici Paesi, ma soprattutto con gli Stati Uniti – un Accordo di libero scambio con il vecchio e acerrimo nemico, gli Stati Uniti.
  Cosa significa l'Accordo di libero scambio con gli Stati Uniti? Gli Stati Uniti diventeranno il principale partner economico-commerciale, di investimenti in scienze e tecnologia per il Vietnam. Vediamo la bellezza di questo rapporto, dopo quarant'anni dalla fine della guerra. Adesso sì che vedono un popolo vietnamita di pace, desideroso di guardare avanti. Attenzione, non siamo le persone che guardano sempre al passato e si piangono addosso per aver subito bombardamenti otto volte superiori a quelli della Seconda guerra mondiale. Abbiamo avuto tre milioni di morti, abbiamo ancora un milione di invalidi, abbiamo ancora due milioni di persone vittime dell'Agente Arancio.
  No, noi non piangiamo, ma guardiamo avanti, guardiamo al futuro. Abbiamo 92 milioni di persone, di cui 60 sotto i quarant'anni, cioè nate dopo la guerra. Io stesso sono nato dopo la guerra! Il popolo vietnamita ha un valore fondamentale, quello della tolleranza. Ha vinto tantissime guerre nella sua vita di indipendenza, e dopo ogni vittoria cerca la via della pace, della riconciliazione. L'esempio degli Stati Uniti è perfetto per tutti noi per capire che noi vietnamiti vogliamo la pace, vogliamo la stabilità, vogliamo l'armonia di vivere insieme in una comunità internazionale.
  Sicuramente il professor Lucio Caracciolo e la mia collega Lan Anh parleranno di alcuni problemi che riguardano la regione. Io voglio riprendere l'argomento introduttivo che il presidente Fabrizio Cicchitto ha menzionato per quanto riguarda la Cina. Noi consideriamo la Cina un'opportunità. Tutti considerano la Cina un'opportunità. Più di tutti, noi del Vietnam siamo «condannati» a vivere per l'eternità con la Cina. Non possiamo spostare il nostro Paese da un'altra parte del mondo.
  Un politico italiano ha detto che ogni Paese ha la sua Germania. Noi questo abbiamo e ci dobbiamo convivere.
  La storia ci insegna che quando uno diventa grande, diventa forte, diventa anche arrogante, diventa anche irrispettoso degli altri, in qualche modo; vuole cancellare il diritto, vuole cancellare le regole del vivere insieme, perché vorrebbe tutto per sé.
  È qui che bisogna avere una forte e ferma voce della comunità internazionale, di cui l'Italia è autorevolissima parte, e dobbiamo dire a questi signori – non vorrei dire la Cina, perché al suo interno ci sono anche persone che vogliono la pace e il diritto internazionale, ma mi riferisco a certe fazioni – che per poter assicurare lo stesso sviluppo della Cina dobbiamo mantenere Pag. 8 la pace. Non perché uno diventa importante e forte deve minacciare di utilizzare la forza o utilizzarla davvero per cambiare le regole e cambiare il modo di vivere insieme. La comunità internazionale deve alzare la voce.
  Ringrazio il presidente Cicchitto per l'opportunità che ci viene offerta oggi di poter dare qualche informazione agli onorevoli membri di questa Commissione sulla situazione, soprattutto sulla situazione di mare. Parliamo di un mare in cui passano 5 mila miliardi di dollari, due terzi del commercio dell'Europa verso l'Asia e il Pacifico. Un mare in cui tutte queste azioni di aggressività politica stanno minacciando la stabilità, il diritto e la libertà di navigazione, quindi il libero commercio.
  Ciò minaccia la stabilità e lo sviluppo non soltanto della regione, ma anche dell'Europa stessa, che intrattiene con questa regione del mondo rapporti economici e commerciali importantissimi. Quindi, vorrei che l'Italia, che l'Europa alzasse la voce per il rispetto del diritto internazionale, soprattutto della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982, affinché tutti i Paesi rispettino la pace, la stabilità e la libertà di navigazione. Tutti vogliamo che si risolvano le contese tramite mezzi pacifici, tramite mezzi diplomatici, e che non si ricorra all'utilizzo o alla minaccia della forza.
  Sono quindi molto contento che negli ultimi tempi l'Italia, i suoi partiti politici, l'Europa, il G7 hanno rilasciato dichiarazioni di forte contenuto in questo senso, però noi riteniamo che anche gli onorevoli membri della Commissione affari esteri e comunitari del Parlamento debbano essere a conoscenza di queste informazioni più dettagliate per capire al meglio la situazione. Quindi vorrei di nuovo ringraziare il presidente Fabrizio Cicchitto per l'opportunità e voi tutti della presenza. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'Ambasciatore Long, che ha confermato, con la vivacità della sua esposizione, che abbiamo deciso bene di sentirlo prima che ci lasci per assumere una posizione di responsabilità nel suo Paese.
  Do la parola al professor Lucio Caracciolo, che ben conosciamo in quanto è un nostro interlocutore abituale quando vogliamo approfondire in termini obiettivi e non diplomatici scenari di notevole interesse quale quello che affrontiamo oggi.

  LUCIO CARACCIOLO, Direttore della rivista Limes. Ti ringrazio, presidente. Grazie a tutti voi. Vorrei intanto associarmi alle parole dell'amico ambasciatore del Vietnam a proposito della necessità di una prospettiva di pace in Asia, perché qui è il nostro futuro. Stiamo parlando di casa nostra.
  La crisi italiana ha dimostrato che le imprese italiane che vanno fuori, in particolare che vanno in Asia e ancora più in particolare che vanno in Vietnam, sono le imprese italiane che vanno bene. Quelle che vanno male sono quelle che rimangono a casa.
  Dunque, quando parliamo di Asia, quando parliamo di Vietnam, quando parliamo – come proverò a fare – di Cina, parliamo di noi. Parliamo di noi anche perché la Cina è molto presente a casa nostra e lo sarà sempre di più, visto che ha avviato un ciclo di acquisizioni anche nel nostro sistema produttivo che sta diventando sempre più evidente, sempre più strutturato, con una serie di rischi e di opportunità per il nostro Paese che occorre valutare in profondità.
  Vorrei partire dalla domanda, che faccio a me stesso su quale sia la strategia attuale della Cina. Per rispondere userò un documento, pubblicato un mese fa dal generale Quiao Liang, che è il massimo ideologo dell'Università della Difesa cinese, un documento che a quanto sappiamo ha avuto il blessing, l'approvazione di Xi Jinping e che noi pubblicheremo sul prossimo volume di Limes.
  Questo saggio sostiene analiticamente che l'obiettivo della Cina nei prossimi dieci anni è quello di evitare di finire in una trappola, una trappola che gli Stati Uniti d'America starebbero ordendo contro la Repubblica Popolare Cinese: l'idea americana sarebbe quella di portare la Cina a combattere una stupida guerra diretta o indiretta contro gli Stati Uniti, che non Pag. 9potrebbe che perdere, perché in questo modo verrebbe liquidata la partita sul fatto se questo sia un secolo americano ancora una volta o un secolo cinese.
  A sostegno di questa analisi, e quindi della conclusione strategica di non finire in questa trappola e a non combattere una guerra diretta o indiretta con gli Stati Uniti, il nostro autore «autorizzato» sostiene che la supremazia americana è dovuta essenzialmente al dollaro e al controllo delle tecnologie finanziarie, il mondo dei derivati; e che questa supremazia si svolge addirittura – sostengono i nostri amici cinesi – secondo un ciclo di sedici anni: dieci anni di dollaro debole, sei anni di dollaro forte. Quando il ciclo entra nella fase discendente gli americani hanno bisogno di una guerra regionale per riportare le cose a posto. Si cita l'esempio del Kosovo, si cita l'esempio dell'Ucraina oggi, si cita il fatto che, secondo i cinesi, nel 2012 gli americani si aspettavano che la Cina sarebbe rimasta coinvolta in una guerra per le isole, cui è stato già fatto cenno, e che i cinesi hanno voluto evitarla.
  In sostanza, questa strategia cinese dice che loro entro dieci anni devono essere pronti a entrare in una partnership seria con gli Stati Uniti d'America, quindi devono essere pronti a internazionalizzare la moneta cinese, lo yuan renminbi.
  Quanto sia difficile questo percorso è illustrato dal fatto che prima citava il presidente Cicchitto, cioè il recente crollo delle borse cinesi, che è stato limitato nei suoi effetti da un paio di fattori strutturali. Uno dei fattori è che la moneta cinese non è una moneta ancora internazionalizzata e che il governo cinese ha potuto intervenire a protezione del suo sistema finanziario con metodi che evidentemente altri governi nel mondo non possono utilizzare.
  È anche vero che c'è un ulteriore fattore: il distacco che c'è in Cina tra la borsa e l'economia reale è particolarmente forte. Le statistiche ufficiali parlano di un 15 per cento circa di investitori cinesi nelle borse, il 15 per cento dei risparmiatori. Siccome in Cina spesso si usano nomi falsi per evitare troppi controlli, possiamo dire che probabilmente sono anche meno del 15 per cento, quindi non c'è un rapporto diretto, non c'è – diremmo oggi – un contagio diretto tra la crisi borsistica e l'economia reale.
  Resta il fatto che se la Cina vuole rimettere un po’ d'ordine nel suo disastrato sistema finanziario e se vuole veramente perseguire l'obiettivo della sua partecipazione al processo di riscrittura delle leggi della finanza internazionale, deve passare attraverso la internazionalizzazione della sua moneta, quindi la fine delle protezioni, quantomeno parte delle protezioni, e affrontare il mare aperto della competizione internazionale. Naturalmente con l'obiettivo di fondo di riscrivere le leggi della finanza internazionale in base ai propri interessi, così come gli americani le riscrissero, nel 1944, a Bretton Woods, in base ai propri.
  In questo contesto la Cina deve affrontare, fra gli altri squilibri (anche questo accennato prima dal presidente), quello interno, in particolare fra le regioni depresse del nord-ovest e quelle «super-calde» del sud-est. Qui interviene un progetto che ci tocca molto da vicino. Parlo delle Vie della Seta, un progetto ormai ampiamente pubblicizzato dal governo cinese, su cui Xi Jinping gioca molto del suo prestigio, e che parte da una necessità interna, cioè quella di ribilanciare il dualismo economico cinese.
  Tanti nella storia, nel mondo, hanno provato a ribilanciare i propri dualismi. L'Italia ancora non ci riesce, anzi – apro e chiudo una parentesi – mi pare che sotto questo profilo vada sempre peggio. La Cina ha vitale necessità di impedire che il décalage tra il nord-ovest e il sud-est diventi un fattore di squilibrio troppo forte, al punto da mettere in questione la stabilità geopolitica del Paese.
  Per questo si immagina un percorso infrastrutturale di carattere innanzitutto terrestre, quindi ferroviario, stradale e quant'altro, che dalla Cina del nord-ovest, in particolare dallo Xinjiang dovrebbe attraversare la Russia nella sua versione settentrionale, i Paesi cosiddetti «Stan», a cominciare dal Kazakstan nella sua versione centrale e meridionale, per poi sfociare Pag. 10 in Europa. In parte questa Via della Seta esiste già e tutti sappiamo che il riferimento ultimo è la Germania.
  Qui parliamo anche di casa nostra in senso ancora più stretto. La Germania è il Paese europeo che ha stabilito un rapporto più stretto e da più tempo con la Cina, già dagli anni Novanta. Ormai tra Cina e Germania c'è una vera partnership strategica che va molto al di là della pura economia, anche se l'economia è evidentemente trainante; non è i soliti Siemens e quant'altro, ma è politica. Lo abbiamo visto anche nell'atteggiamento che Germania e Cina, spesso insieme, hanno tenuto su grandi questioni internazionali: cito solamente quella della Libia, perché ci tocca più da vicino.
  Questo deriva, fra le altre cose, dalla convergenza di interessi economici che ha delle sue immagini immediate, per esempio, nei treni veloci che già oggi collegano la Cina a Duisburg in Germania e che nella prospettiva di sviluppo di queste reti diventeranno sempre più forti e robuste.
  Qui entra in gioco la questione delle Vie della Seta verso l'Italia. Le carte ufficiali del Governo cinese disegnano questi percorsi commerciali, e non solo commerciali, come partenti o tornanti dalla Cina e alla Cina, avendo come terminale europeo Venezia. Non è solo Marco Polo, è qualcosa di più concreto, cioè la constatazione seccamente geografica del fatto che, arrivando a Suez, se si vuole entrare nei mercati europei per via mare, l'Italia è l'imbuto ideale. Lo sanno tragicamente i migranti, lo sanno anche i commercianti.
  Ora, il problema nostro è che, come sappiamo, non abbiamo delle attrezzature portuali e retroportuali adatte a reggere uno sviluppo tale dei commerci, così come sarebbe nei nostri interessi, come sarebbe negli interessi asiatici, non solamente cinesi, e come sarebbe negli interessi del resto dell'Europa.
  Questo è un discorso che evidentemente lascio alla vostra e alla nostra attenzione, perché qui si gioca molto della nostra capacità di sviluppare poi i nostri rapporti con l'Asia. Dico con l'Asia perché non possiamo fermarci – anche se evidentemente la Cina impressiona per le sue dimensioni – alla Cina. Parlavamo prima del Vietnam, che è un partner con il quale abbiamo stretto una partnership molto robusta negli ultimi anni. Basta vedere la qualità delle imprese italiane che hanno investito in Vietnam per capire quanto conti per noi.
  In generale, cito l'ASEAN, che oggi complessivamente sarebbe la quarta potenza economica del mondo. Il nostro interesse è che tra il colosso cinese e gli altri Paesi asiatici ci sia una situazione di stabilità, di pace e possibilmente di cooperazione. Mi rendo conto che, in particolare per quanto riguarda il Vietnam, questi rapporti – anche per il peso della storia che a quanto pare nel caso cinese pesa più che nel caso americano, anche perché la Cina sta lì e l'America sta altrove – sono difficili. Vietnam e Cina hanno combattuto non troppo tempo fa una guerra; l'ultima guerra che la Cina ha combattuto, e, tra parentesi, ha perso, l'ha combattuta e l'ha persa contro il Vietnam.
  Quindi, al di là delle contingenze e al di là delle vicende attuali e delle dispute marittime, lì si gioca ben di più che la questione territoriale o anche la questione delle ricchezze ittiche o minerarie che sono in qualche modo attingibili attraverso la sovranità in quegli spazi. Si gioca ben di più che la libertà dei traffici marittimi: si gioca la faccia di questi Paesi. E questi Paesi, forse ancora di più di molti Paesi europei, alla faccia tengono molto. Quindi, il rischio che si facciano delle guerre per la faccia – scusate l'allitterazione – è un rischio concreto. Delle guerre che potrebbero apparire irrazionali da un punto di vista contabile possono avere una loro spiegazione nella psiche collettiva, nella storia, nelle culture, che qualche volta prevalgono sul calcolo del costo e dei benefici.
  Che cosa si sta costruendo in Asia per garantire la pace e la stabilità? A mio avviso, molto meno di quello che servirebbe. In Asia non esistono delle vere e proprie strutture integrate panasiatiche; esistono degli allineamenti, delle manipolazioni reciproche, delle convenienze, alcune paradossali. L'ultima di queste, ma non l'ultima in termini di importanza, è Pag. 11quella fra Russia e Cina. Se ci sono due Paesi che si detestano profondamente sono la Russia e la Cina, e continueranno a farlo, penso, fino alla fine dei loro giorni. È una questione culturale, non è una questione politica.
  Anche quando erano formalmente comunisti entrambi, sappiamo che fin dai tempi di Stalin e di Mao le cose non correvano nel migliore dei modi. Oggi Cina e Russia si trovano paradossalmente ad avere comuni interessi nella competizione con gli Stati Uniti e nell'uso che ciascuno dei due Paesi fa dell'altro per contare di più nel confronto con l'America, avendo entrambi l'obiettivo di mettersi d'accordo con gli americani. Teniamolo sempre presente, nessuno dei due è così stupido da pensare di fare una guerra all'America, ma tutti e due pensano che l'altro possa servirgli per contare di più nel negoziato con l'America.
  Questo è un aspetto che, nel valutare la crisi in Ucraina, noi tendiamo a sottovalutare, mentre secondo me è un aspetto centrale. Peraltro, il terzo lato di questo triangolo russo-cinese è la Germania. Lo è innanzitutto per le ragioni economiche e commerciali che ho provato a descrivere e per lo sviluppo che queste relazioni avranno.
  Già oggi la Germania esporta in Cina più di quanto esporti in Francia. Già oggi vediamo come la tendenza del commercio tedesco – e noi sappiamo che il commercio tedesco è l'economia tedesca – sia quella di accrescere la sua proiezione verso l'Asia, tutta l'Asia, ma in particolare la Cina. Non so quale sia il grado dello sviluppo commerciale dei rapporti fra Vietnam e Germania...

  HOANG LONG NGUYEN, Ambasciatore del Vietnam in Italia. Il primo Paese europeo è la Germania.

  LUCIO CARACCIOLO, Direttore della rivista Limes. Il primo Paese europeo ovviamente è la Germania.
  Quindi, esiste un interesse comune di questi tre Paesi, peraltro così diversi, a garantire che lo spazio tra l'Estremo Oriente e lo spazio europeo sia relativamente stabile. Sta accadendo tutto il contrario, nel senso che dalla crisi Russia-NATO, passando per il Mar Nero, il Mediterraneo, la Turchia, non parliamo della guerra in Siria, e poi un po’ in tutto il fronte sud del Mediterraneo, stiamo assistendo a una destabilizzazione, a guerre che si rincorrono l'una con l'altra e alla manifesta incapacità dei grandi attori internazionali, compresi gli europei, a fermare questa disintegrazione che pure mi pare essere palesemente in contrasto con i nostri interessi di fondo, i nostri e anche quelli asiatici.
  Questo vuol dire che una delle grandi proiezioni geopolitiche di questa fase storica, cioè quella di una possibile integrazione economica fra i mercati asiatici e quelli europei è a rischio. Dovremmo, credo, fare tutti quanti un esame di coscienza su come ci si sia arrivati e soprattutto su come se ne possa uscire.
  Certo, noi italiani abbiamo, rispetto per esempio alla Germania, in teoria il vantaggio dell'affaccio sul Mediterraneo, ma trasformare questo vantaggio teorico, geofisico, in vantaggio economico, geopolitico, è il compito che ci sta davanti e per il quale io credo ci sarà ancora davvero molto da lavorare. Mi fermerei qui.

  THI LAN ANH NGUYEN, Direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam. Ringrazio il presidente Cicchitto, l'onorevole Ambasciatore del Vietnam e il professor Caracciolo. È un onore essere in questa audizione. Vorrei parlare in piedi per stabilire un contatto migliore con voi. Mi scuso se non parlo italiano; vorrei farlo, ma mi esprimerò in inglese.
  Si tratta oggi, qui di un'occasione straordinaria per parlare della situazione nel Mar Cinese orientale e meridionale. Vi sono tratti comuni tra il Mar Cinese meridionale e il Mediterraneo. Il Mediterraneo è un mare semichiuso, come il Mar Cinese meridionale che si trova tra l'Oceano Indiano e l'Oceano Pacifico. Anche noi abbiamo economie molto dinamiche intorno a questo mare. Pag. 12
  La fortuna dei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo è che è un mare in cui i popoli godono di pace, prosperità e libertà di navigazione, mentre da noi c'è un'ignoranza del diritto e l'utilizzo della forza.
  Parto dalla situazione attuale nel Mar Cinese meridionale; c'è una situazione per cui qualunque Paese può avere una piattaforma continentale e una zona economica esclusiva. Abbiamo una disputa che riguarda le isole Paracel e il gruppo delle isole Spratly, ma c'è anche una situazione che non ha nessuna base giuridica e da qui inizia la storia.
  Vorrei partire da una sintesi della situazione attuale del Mar Cinese meridionale; poi fornirò una serie di informazioni che si basano su quattro punti.
  Il primo punto riguarda il fatto che non è possibile godere di una piena sovranità sulle esplorazioni petrolifere e sulla piattaforma all'interno della propria area. Tutte le prassi normali legate alla pesca e all'esplorazione petrolifera vengono violate; numerosi incidenti si sono verificati intorno al Mar Cinese meridionale relativi al petrolio e al mare.

  HOANG LONG NGUYEN, Ambasciatore del Vietnam in Italia. Quella dei nove punti è una richiesta assurda della Cina sul 98 per cento di tutto il Mar Cinese meridionale. Immaginiamo che la Francia richieda il 98 per cento del Mediterraneo dicendo che storicamente è suo. Anche se non riesce neanche a dire dove stanno questi puntini, arbitrariamente dice che è mare suo. La cosiddetta «linea dei nove punti», la nine dash line.

  THI LAN ANH NGUYEN, Direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam. Se guardate una cartina che mostra la normale piattaforma continentale del Vietnam, vedete che da parte della Cina la delimitazione di un blocco all'interno della nostra piattaforma.
  Lo scorso anno la Cina ha imposto un altro limite. Per quanto riguarda la pesca si è verificato un incidente tra Filippine e Cina; a seguito di quell'incidente, la Cina ha occupato ulteriormente altre formazioni, altri isolotti. Non solo; la Cina ha dichiarato un divieto di pesca unilaterale. Da maggio ad agosto, ogni anno, c'è il divieto di pesca dichiarato dalla Cina e tutti gli Stati rivieraschi devono fare uso delle proprie forze dell'ordine competenti.
  Di recente, c'è stata una escalation delle tensioni nel Mar Cinese meridionale, non solo per le risorse, ma anche lungo altre due pericolose direttrici, la prima delle quali aerea. Quindi, non solo un controllo sul mare; la Cina adesso vuole controllare anche lo spazio aereo, perciò ha voluto attaccare le forze aeree delle Filippine, che normalmente sorvolano il Mar Cinese meridionale, e ha chiesto anche agli aerei statunitensi di allontanarsi dal Mar Cinese meridionale. Queste due pratiche dimostrano che la Cina si sta preparando alla creazione di una nuova ADIZ, la Zona di identificazione per la difesa aerea.
  Vorrei sottolineare qui che la zona che la Cina vorrebbe creare è diversa perché si unisce a scopi di deterrenza; una volta creata questa ADIZ, verrà imposta l'osservanza ad altri Paesi e, se gli altri Paesi non la rispetteranno, la Cina si riserva il diritto di intervenire con i propri aerei da combattimento. Tutto questo vìola la libertà di sorvolo dello spazio aereo e mette a rischio decine di migliaia di vite di civili che usano gli aerei.
  Uno degli sviluppi più pericolosi è una massiccia costruzione nel mare. Ci sono sette isolotti che sono oggetto di attività di costruzione da parte della Cina, per creare una propria sovranità. Questi isolotti sono oggetto di dispute: non sono terra, non sono isole, ma sono sommersi. Tuttavia, la Cina è riuscita a realizzare massicce attività di costruzione; in particolare, in una di queste formazioni, da 2,1 ettari siamo arrivati a 140 ettari, quindi c'è stata un'enorme costruzione e crescita della formazione. Pensate a questa sala che si espande per 70 volte! Con sette di questi isolotti la Cina ha pianificato di controllare tutta l'area. Sono state costruite piste per cercare di controllare lo spazio circostante. La Cina ha cercato di controllare anche lo Stretto Pag. 13di Malacca, per potere intervenire e violare la libertà di navigazione.
  Ci sono numerose fotografie che mostrano i cambiamenti rispetto allo stato originario di queste aree, di cui potete vedere le strutture originarie. Queste formazioni erano molto strette, piccole, addirittura sommerse, ma potete vedere la particolarità delle attività di costruzione. La Cina sa che non c'è più spazio su cui costruire e ha deciso di estendere queste strutture per avviare eventualmente attività di ricerca e soccorso, ma le fotografie dimostrano che ciò non è possibile e che un'enorme struttura militare è stata realizzata. Una volta finita questa costruzione ci sarà un avamposto molto forte nel Mar Cinese meridionale. È la prima volta che la Cina riesce a controllare la terra in mare, anche se si tratta di strutture artificiali.
  In secondo luogo, la Cina ha l'ADIZ, per cui riesce a controllare lo spazio aereo. Infatti, la collocazione di queste strutture è al centro del Mar Cinese meridionale e da qui, dal centro, riescono a controllare tutto il Mar Cinese meridionale.
  Poi ci sono quattro pratiche pericolose. Un elemento importante è la costruzione di una diga che si trova a poche miglia di distanza dalla Malesia, ma sulla quale verrà dichiarata la sovranità da parte della Cina.
  Inoltre, viene messa in discussione anche la libertà di movimento e di circolazione delle navi da guerra americane. A volte ci sono incidenti per cui le navi quasi collidono tra di loro e si sono sfiorati incidenti molto pericolosi che hanno reso tutti molto più sensibili su questa situazione così rischiosa.
  La sfortuna è che non ci sono meccanismi di gestione delle dispute nel Mar Cinese meridionale. L'unica cosa che sembra positiva è la possibilità di discutere di un codice di condotta. Fino al 1995 la Cina guardava a una delle barriere che era occupata dalle Filippine e i Paesi ASEAN hanno invocato il codice di condotta, ma si trattava di un documento non vincolante, quindi adesso stiamo cercando di siglarne con la Cina uno vincolante.
  Ho cercato di sintetizzare tutte le difficoltà legate all'attuazione del codice di condotta. Ci sono due enormi sfide. La prima è che la Cina dice sempre che non è ancora il momento; e quando chiediamo quando arriverà il momento, loro rispondono che arriverà quando loro riusciranno ad attuare questa dichiarazione di condotta (DOC). Ma non si può attuare la DOC se non abbiamo il codice di condotta e allora non si finirà mai e non si rispetterà mai questa prima condizione.

  HOANG LONG NGUYEN, Ambasciatore del Vietnam in Italia. La dichiarazione sul codice di condotta firmato tra la Cina e i dieci Paesi dell'ASEAN è stata siglata nel 2001, quando la Cina non era ancora passata da una politica di pace a una politica molto aggressiva, che è cominciata nel 2006.
  La dichiarazione sulla condotta di mare del 2001 prevedeva sei punti fondamentali, di cui ne richiamo tre.
  Primo, tutti i Paesi, compresa Cina e altri dieci Paesi dell'ASEAN non ricorrono all'utilizzo della forza; secondo, tutti mantengono lo status quo, quindi non si dovrebbe complicare ulteriormente la situazione attuale, cioè nessuna nuova costruzione e azione unilaterale che possa compromettere la pace; terzo, tutti devono utilizzare il meccanismo di dialogo diplomatico e mezzi pacifici, qualsiasi situazione di pericolo si verifichi. Questa è una dichiarazione firmata dalla Cina con i Paesi dell'ASEAN, però non binding, quindi non obbligatoria, ma firmata quando la Cina non aveva ancora scoperto una nuova dimensione di aggressività.
  Adesso i Paesi dell'ASEAN vogliono che dalla dichiarazione di condotta si passi al codice di condotta, quindi a una «legge» obbligatoria per tutte le parti che partecipano a questo trattato. Ma la Cina risponde di no.
  Dico questo per spiegare la situazione e la differenza tra DOC, ossia la dichiarazione di condotta, e COC, codice di condotta che diventa un documento legale, che la Cina cerca di non fare. Grazie.

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  THI LAN ANH NGUYEN, Direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam. Di recente, sotto la pressione della comunità internazionale, la Cina ha accettato di avviare le consultazioni sul COC, ma le consultazioni sono diverse dai negoziati. Una volta che ci si ferma alle consultazioni non si fa che parlare delle procedure, di come arrivare al codice di condotta, ma non si parla del merito e del contenuto vero del codice stesso.
  Nel futuro, quindi, le prospettive sono molto lontane per avere un codice vincolante e, considerata la situazione, c'è un enorme pericolo nel Mar Cinese meridionale, soprattutto c'è l'assenza di un meccanismo di controllo delle tensioni.
  È fondamentale identificare tre importanti implicazioni della situazione attuale. La prima è che lo status quo attuale sta cambiando e cambia a favore del soggetto più potente e più forte, e non a favore dei più poveri. Quindi la comunità internazionale deve muoversi per garantire il rispetto dello stato di diritto. Questa situazione minaccia la pace e la sicurezza. La libertà di navigazione, la libertà di sorvolo, il principio del non uso della forza e della non coercizione con altri Stati, tutti questi princìpi sono stati violati nel Mar Cinese meridionale.
  Con l’escalation delle tensioni manca la volontà di cooperare e un meccanismo per allentare la tensione. Adesso siamo sottoposti a minacce della pace e della sicurezza nel Mar Cinese meridionale. Queste minacce non si fermano alla nostra regione, ma si potrebbero diffondere ad altre regioni del mondo, perché l'ambizione della Cina non si fermerà in Asia. La Cina vuole continuare, vuole diventare una potenza navale del mondo, e il Mar Cinese meridionale consente alla Cina di farlo; una volta che controllerà quel mare, la Cina si sposterà in altre zone del mondo.
  Dal professor Caracciolo abbiamo sentito che c'è una grande architettura per cui la Cina vuole espandersi e non fermarsi. L'ultimo passaggio sarà quello di affrontare gli Stati Uniti, quindi la Cina vuole conquistare tutto il mondo. Questo è un grande motivo di preoccupazione. Considerato il quadro del Mar Cinese meridionale, ci chiediamo perché c'è una situazione così pericolosa e sottolineiamo due importanti motivazioni di tale situazione.
  Voglio richiamare la vostra attenzione su una fotografia, che è la mappa della «linea nove punti». Il blocco colorato indica la percentuale della sovrapposizione tra la «linea nove punti» e la piattaforma continentale normale e la zona economica esclusiva degli Stati rivieraschi. Qui il Vietnam ha sottolineato con dei puntini la propria zona economica esclusiva, ma adesso fino al 50 per cento coincide con la «linea nove punti» e lo stesso vale per le Filippine, parte della cui zona economica esclusiva rientra in questa «linea nove punti» per il 75 per cento. Altri Paesi hanno percentuali inferiori, ma sempre di sovrapposizione con questa linea, quindi ci sono zone marittime che si sovrappongono e sono diventate la normalità nella nostra regione.
  Le zone che esistevano prima si basavano sul diritto internazionale e adesso non sappiamo in che modo la Cina ha potuto tracciare questa «linea nove punti». È stata tracciata nel 1947, ma all'epoca fu dichiarata dal Governo di Taiwan. Voglio ricordare che fino ad ora la Cina non ha riconosciuto il Governo di Taiwan come Governo, eppure si basa sulla sua rivendicazione e se n'è appropriata.
  Nel 1947 il Governo di Taiwan utilizzò questa mappa parlando di caratteristiche e delle formazioni, cioè delle elevazioni sommerse di bassa marea e delle isole nel Mar Cinese meridionale. Quindi, quella mappa del 1947 non presentava alcuna rivendicazione su quelle formazioni, ma la Cina ha elaborato quella rivendicazione sulla base dell'attrattività delle risorse nel Mar Cinese meridionale, tracciando questa linea senza spiegare mai cosa vuole.
  Inoltre, la pratica sul campo, dalla quale possiamo individuare il modo in cui si parla dei vari blocchi nella nostra piattaforma continentale, indica che la Cina vuole le risorse. Il modo in cui catturano tutti i pescherecci e se ne appropriano Pag. 15dimostra ambizione e aspirazioni verso le risorse ittiche. Inoltre, viene violato il diritto di sorvolo delle Filippine e degli Stati Uniti, quindi vogliono arrivare al loro spazio aereo. Non lo hanno spiegato, ma quel che vogliono è avere un potere in violazione del diritto internazionale.
  Se guardate la mappa successiva, i tre cerchi che vi mostro indicano le isole Paracelso, il gruppo Spratly e poi un ultimo gruppo di isole, le Scarborough. Quindi la Cina vuole controllare il Mar Cinese meridionale con le proprie rivendicazioni. La figura mostra lo stato delle formazioni prima, quando la Cina non aveva ancora messo piede sull'acqua. Adesso questo dimostra invece che ci sono formazioni artificiali che servono per controllare il Mar Cinese meridionale.
  Una seconda ragione che causa queste tensioni nel Mar Cinese meridionale è citata qui. Potete vedere in sintesi, nella tabella, le differenze di strategie e di posizioni nel Mar Cinese meridionale: da una parte c'è una forte influenza economica e politica, per cui la Cina vorrebbe avviare e continuare negoziati bilaterali, dall'altra vi è chi vorrebbe fare affidamento su negoziati multilaterali.
  La Cina da una parte considera un'attività ostile comporre le dispute in una sede internazionale per l'arbitrato, e infatti non ha accettato di farlo con le Filippine, mentre l'arbitrato è uno strumento pacifico riconosciuto dal diritto internazionale. A causa delle obiezioni della Cina non abbiamo avuto mai la possibilità di comporre una disputa in un tribunale per l'arbitrato in modo pacifico.
  Quella del Mar Cinese meridionale è una questione fondamentale che minaccia non solo gli Stati costieri ma tutti coloro che sono interessati al rispetto della libertà di navigazione. La Cina pensa che questa sia una questione irrilevante e che il Mar Cinese meridionale sia stabile, che non sia accaduto nulla e che nulla debba fornire il pretesto per interferenze dall'esterno. La situazione attuale nel Mar cinese meridionale richiede, invece, l'attenzione di tutti i Paesi del mondo.
  Riteniamo che quel che accade nel Mar Cinese meridionale ricordi molto quel che è accaduto in Ucraina e in Crimea: due situazioni e due posizioni geografiche diverse, ma legate da un unico elemento, ossia la violazione unilaterale del diritto internazionale da parte di una superpotenza, di una grande potenza. Se questa azione non viene fermata, ci può essere un'alleanza tra le due potenze per cambiare il mondo. Questo richiede tanto tempo e tanto sforzo per cercare di arrivare ad una composizione.
  Adesso abbiamo un nuovo assetto giuridico, c'è parità tra gli Stati, c'è un ordine globale che tutti vorrebbero fosse rispettato, ma non la Russia in Ucraina né la Cina nel Mar Cinese meridionale. Nessuno di loro vuole fare a meno del rispetto dei propri interessi.
  Quello che è accaduto in Crimea o quello che è accaduto nel Mar Cinese meridionale non è una questione locale regionale, ma è una questione che consentirebbe a queste due grandi potenze di andare avanti. Vediamo anche un avvicinamento tra Russia e Cina, ma è un'alleanza che potrebbe farle perdere. Se questa alleanza si stringe, potrebbe spingerci di nuovo ad una guerra fredda: due grandi potenze che, contro tutto il resto del mondo, potrebbero voler cambiare l'intero sistema.
  Come Paese che ama la pace e la stabilità, il Vietnam adesso ha fornito numerose risposte e lo potete vedere nel documento che ho messo a vostra disposizione, dove ho citato tutte le risposte del Vietnam.
  Essenzialmente cerchiamo di far sì che si prosegua con i negoziati e con il dialogo, cerchiamo di stabilire una linea di dialogo con la Cina. Nonostante l'incidente dello scorso anno, ancora adesso vorremmo un regime di dialogo con la Cina, più di altri. Noi non possiamo e non vogliamo cambiare la posizione del nostro Paese, ma noi siamo buoni vicini della Cina, non siamo contro la Cina.
  Se guardiamo a tutte le nostre risorse e agli strumenti che abbiamo, la Banca Asiatica d'Investimento per le infrastrutture (BAII), questo comporta denaro. Se ci fosse buona volontà da parte della Cina nel perseguire Pag. 16 una fattiva cooperazione, noi vorremmo e saremmo pronti a stabilire un'ottima relazione con il Paese. L'unico timore è che la Cina non sia un partner affidabile e cercherebbe di aggirare l'assetto giuridico internazionale attuale.
  Dalla mia prospettiva vorrei ricordare alcuni punti che ritengo siano importanti per l'Unione europea e l'Italia in particolare per contribuire a migliorare la situazione nel Mar Cinese meridionale e nel resto del mondo. Noi condividiamo la preoccupazione e le posizioni del G7, dell'Unione europea e degli Stati Uniti. Noi tutti abbiamo concentrato la nostra attenzione su tale questione e voi vi siete fatti sentire per sottolineare le «cattive pratiche» della Cina nel Mar Cinese meridionale. Vorremmo vedere un'azione più incisiva e vorremmo che voi parlaste più forte ancora su questo punto, perché nessuno più dell'Europa, culla del diritto internazionale, che è nato qui, conosce l'importanza di esso.
  Guardando all'assetto giuridico sulle questioni marittime dell'Italia, ho visto che avete già gli strumenti e le norme giuridiche che regolano la navigazione. Nel 1947 siete diventati parte della UNCLOS. Siete davvero un Paese avanzato e potete essere orgogliosi di dire che l'Italia, insieme al resto dell'Europa, è in grado di prendere in mano la situazione e cercare di far qualcosa. Mantenetevi motivati e mantenete vivi i vostri sforzi perché il vostro contributo è fondamentale affinché il mare possa avere un assetto e un ordine migliori.
  Se guardate tutti i princìpi che sono stati violati nel Mar Cinese meridionale, come la libertà di navigazione e di sorvolo, essi in un giorno sono stati aboliti. Allora, cosa potrebbe ancora accadere? Non si può andare via e cambiare pianeta, quindi fate sentire la vostra voce su tali questioni, che sono di interesse comune. Vedo che ci sono enormi potenzialità legate agli interessi economici; viviamo in un mondo connesso, se la libertà di scambi commerciali, che è così importante, viene compromessa, la situazione può peggiorare.
  Il Mar Cinese meridionale è vicino all'Oceano Indiano ed è sede di numerosissime e importanti rotte marittime, la cui navigabilità è fondamentale mantenere. Sulla base dell'esperienza europea e italiana nella gestione dei conflitti, so di non avere torto e so di potermi basare sull'importanza della pratica che avete guadagnato in termini di Accordi marittimi con Paesi vicini. Siete davvero un Paese invidiabile.
  Com'è possibile che i Paesi europei riescano a rispettare il diritto, in termini di Accordi marittimi, senza avere problemi? Davvero per noi sarebbe un sogno! È qualcosa che sembra qui usuale, ma che per noi non lo è. Ogni volta, quando parliamo del diritto internazionale nel Mar Cinese meridionale, sappiamo che qualcuno nel nostro Paese alzerebbe la mano ed esprimerebbe un'opposizione, quindi vi preghiamo di contribuire alla ricerca di una soluzione.
  Abbiamo bisogno del vostro aiuto per rafforzare le nostre capacità. So che l'Italia gode di grande prestigio nell'area mediterranea. Voi avete un quadro giuridico molto completo in termini di accordi marittimi e potrete sicuramente promuovere il rafforzamento della cooperazione bilaterale.
  Grazie per la vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto gli auditi. I primi due hanno avuto un andamento più saggistico, mentre la nostra amica ha avuto un andamento più «militante». Abbiamo comunque apprezzato anche la forza della sua oratoria.
  Aggiungo che siamo contenti di aver svolto questa audizione, perché ci ha consentito di approfondire dei temi dei quali solitamente non ci siamo occupati, quindi ringrazio molto tutti e tre per i loro interventi.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANNI FARINA. Signor presidente, anch'io sono d'accordo con Lei nel sottolineare l'importanza di questo nostro incontro con gli amici vietnamiti, nel contesto di una situazione complessa, difficile e qualche volta anche drammatica.
  Sono stato recentemente in Vietnam in occasione dell'Assemblea dell'Unione interparlamentare Pag. 17 e tengo a ringraziare particolarmente l'Ambasciatore vietnamita in Italia per la cortesia, l'attenzione e l'informazione puntuale che ci diede prima del viaggio, fornendoci lo strumento vero per interpretare nelle forme migliori la situazione di quel Paese, che d'altronde molti di noi hanno amato e continuano ad amare.
  Voglio anche ringraziare il dottor Caracciolo per la freddezza dell'analisi, senza certezze, perché non vi sono certezze. Siccome non vi sono certezze, io cercherò di esprimere qualche opinione, forse anche un po’ coraggiosa.
  Non vorrei peccare di fantapolitica, ma ho l'impressione – e vengo al punto nevralgico della questione – che l'evoluzione dei rapporti tra la Cina e gli Stati Uniti si muova sulla base della raggiunta consapevolezza di essere oramai rimaste le uniche due grandi potenze globali. Si tratta di una consapevolezza suffragata anche da una realtà e da una forza economica e militare, da una parte consolidate storicamente e dall'altra in atto.
  Ciò giustificherebbe anche quella continua ricerca, persino dolorosa in qualche caso, da parte dell'antica potenza russa e di Putin di preservare un ruolo globale che ormai non ha più – di questo sono convinto – perché non ha più la massa critica e la potenza economica, anche se mantiene poi quella potenza militare che gli permette di essere un attore globale.
  Credo che anche alcune reazioni, come la questione dell'Ucraina, siano dovute, più che a un attacco offensivo, a una decisione di difesa dei propri interessi e a una preoccupazione della situazione in atto, cioè di aver perso quel ruolo globale che storicamente quel Paese ha rivestito durante la Seconda guerra mondiale e dalla Seconda guerra mondiale in poi.
  Ho visitato il Vietnam e devo dire che alcune cose le conoscevamo. È un popolo straordinario e, secondo me, ha grandi potenzialità che sono, persino oggi, sconosciute, non sviscerate, ma sono in atto. Vorrei quasi dire che è solo l'inizio. Quel popolo è destinato sicuramente – se verrà aiutato, anche, ma questo è un altro discorso – a svolgere un ruolo importante come attore in quella regione strategica mondiale, da oggi e per il futuro.
  Devo sottolineare il fatto che anche il nostro Paese, pur avendo con il Vietnam un rapporto di una certa rilevanza, anche commerciale, non ne ha ancora utilizzato a fondo le potenzialità.
  Noi abbiamo avuto degli incontri con imprenditori ad Hanoi, però siamo ancora all'inizio; non c'è ancora un'analisi della situazione in Vietnam e in tutta la zona, né una strategia per capire quali sono le potenzialità per l'Italia, e non solo per l'Italia, ma per tutta l'Europa. Peraltro, al riguardo vorrei parlare di una situazione che non mi convince.
  Veniamo a quanto accade nella zona critica delle isole Paracel, ma anche delle altre, e vediamo quali sono gli attori che vi si muovono. Non è stato citato il Giappone, ma secondo me il Giappone ha interessi enormi in quella regione e ha anche una sua forza particolare. Credo che il Giappone giochi oggi la carta Vietnam, di questo sono convinto. Se si vuol contrapporre alla politica in parte aggressiva – forse più che in parte – della nuova potenza globale cinese, è evidente che il Giappone ha tutto l'interesse a consolidare i rapporti con il Vietnam sul piano economico, commerciale e politico.
  Poi ci sono tanti altri Paesi giustamente preoccupati. Quella è una zona strategica che riguarda cinque, sei o sette Paesi (li ho annotati, ma non è importante).
  Vengo a una domanda di fondo, con la quale voglio concludere, anche perché il tempo è tiranno. Approfitto per ringraziare la relatrice che ha fatto un'esposizione straordinaria; all'inizio cercavo di seguire in inglese, poi ho preferito la traduzione per capire bene. È stata bravissima, quindi le rivolgo i miei complimenti.
  Ho notato, nella visita in Vietnam e negli incontri col ministro degli esteri e con il responsabile dell'Istituto di cultura, la preoccupazione vera che, partendo dall'Italia, l'Europa possa subire da oggi e per l'avvenire un'egemonia di fatto da parte della Cina e quindi vi sia un'attenzione non particolare, ma timida, per quelli che sono gli interessi vietnamiti nella zona. Ho avuto Pag. 18questa netta impressione, che condivido. Vedo una fortissima timidezza dei Paesi europei, esclusa la Germania – o forse anche della Germania, ma per un altro motivo – che, come è stato ben accennato dal dottor Caracciolo, svolge un grande ruolo globale.
  Lì sta il merito della Germania, ma anche – ed è proprio questo il punto – la timidezza e la debolezza dell'Europa.

  PRESIDENTE. Purtroppo Le devo ricordare che abbiamo tempi molto ristretti, perché verso le 15 in Aula si ricomincerà a votare.

  GIANNI FARINA. La ringrazio, presidente. Questa audizione meritava un tempo maggiore, ma ambasciator non porta pena, naturalmente.
  Vedo una forte timidezza dei Paesi europei, allo scopo di non attirarsi le ire della Cina, e qualche volta tale atteggiamento non è neppure sottaciuto. Vedo, per esempio, il ruolo della Francia che è assolutamente nullo in quel contesto. C'è una timidezza in un Paese che invece avrebbe potuto e potrebbe svolgere un grande ruolo storico nella regione; un ruolo che non assolve più.
  Parlo francese abbastanza bene, ma non ho più trovato in Vietnam persone con le quali dialogare in lingua francese. Anche questo è stato per me un elemento di stupore.
  Noi non possiamo lasciare alla Germania la prerogativa di svolgere il ruolo dei rapporti in quel settore con tutti gli attori in campo. Sono convinto che più l'Europa parlerà a una voce sola e dirà al Vietnam e alla Cina che è importante una politica di cooperazione, di sicurezza e di rispetto del diritto, e meno i cinesi avranno la tentazione di fare qualche avventura di troppo.
  Questo è un messaggio che io lancio al nostro Paese, che pure ha con il Vietnam un rapporto di straordinaria amicizia, non è questo il problema. Lo lancio proprio all'Europa. Ho avuto l'impressione ad Hanoi che sia proprio questo che i vietnamiti si aspettano da noi, dall'Italia ma, in generale, dall'Europa. Credo che l'Europa o almeno i Paesi più convinti potrebbero anche dire alla Germania che, poiché stiamo facendo già troppe sciocchezze in Europa per quanto riguarda i nostri interessi, almeno non se ne facciano anche in quella strategica zona del mondo che sarà decisiva per il futuro.
  Vi ringrazio e mi scuso per la lunghezza dell'intervento. Avrei voluto ancora dire qualche cosa, ma il tempo è tiranno. Grazie di cuore.

  FRANCO CASSANO. Vorrei sottoporvi tre pillole, di cui una molto piccola: una richiesta di parere sul rapporto col Giappone. Insistere molto sull'importanza del multilateralismo di fronte a un unico soggetto forte porta necessariamente a cercare di valutare che anch'esso è parte di una controversia proprio sulle isole. Questa è la pillola più piccola, ma solo apparentemente.
  La successiva la rivolgo al professor Caracciolo. Il professor Caracciolo ha detto una cosa molto giusta, ossia che l'Italia ha una collocazione geografica e geofisica nel Mediterraneo e che il grande problema del nostro Paese è quello di riuscire a far diventare tale collocazione anche fonte di un'elaborazione culturale e politica. La mia domanda, mi scuso, è molto cattiva; l'Unione europea – non solo quella attuale, ma tutte quelle che abbiamo fino adesso sperimentato – aiuta in questa direzione?
  L'altra domanda riguarda il Vietnam, Paese che per l'immaginario di alcune generazioni è stato una specie di patria ideale. Lei ha iniziato, Ambasciatore, richiamando la visita negli Stati Uniti del presidente del Partito Comunista. Siccome questo è molto interessante, mi spiega come convive questa tradizione in cui ha ancora un significato importante la parola «comunista» con una realtà dinamica e vivace come quella che Lei descrive e nella quale probabilmente l'impresa privata ha anche un ruolo? Tale transizione è diversa da altre e sarebbe anche molto interessante sapere qualcosa su questo, anche se è tutto in contraddizione con i tempi. Grazie.

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  GEA SCHIRÒ. Ringrazio l'Ambasciatore, il professor Caracciolo e la dottoressa Lan Anh.
  Innanzitutto, mi sono posta il problema – credo di poterlo dire a nome del mio gruppo in questo momento – di come dare forma alla vostra presenza in Commissione oggi e credo di aver intuito che un'emergenza sia quella di creare un dibattito attorno alle isole Paracel e Spratly. Un piccolo primo gesto politico su cui posso assicurare il mio impegno è quello di presentare un'interrogazione, per assumere informazioni su come il Governo intenda muoversi diplomaticamente. Si tratta di un piccolo gesto pubblico di ringraziamento alla gentilezza che loro hanno voluto avere.
  Vista la scarsa sicurezza del Mare Cinese meridionale, la nuova via della Cina marittima, oltre alla «nuova via» della Cina di cui parla spesso il Segretario generale cinese, è un'altra delle opzioni a cui la Cina tiene moltissimo e implica prima un accordo multilaterale, vista la situazione delle isole; quindi è un obbligo, nonostante la predilezione della Cina per i trattati bilaterali, come anche la dottoressa Lan Anh ricordava.
  In secondo luogo, non esiste un diritto marittimo comune, anche se c'è il problema del passaggio dalle dichiarazioni ai codici di condotta.
  Un'altra cosa in cui l'Italia è esperta è l’institution building, che abbiamo fatto spesso, a partire dall'Afghanistan, e che potrebbe essere un tratto molto importante della nostra esperienza da utilizzare.
  Infine, per chi come l'Italia ha aderito alla Banca Asiatica d'Investimento per le infrastrutture, a cui ha aderito anche il Vietnam e ovviamente la Cina – la sede è in Cina e noi aderiamo con Cassa depositi e prestiti e Banca Intesa – potrebbe essere un modo per creare un accordo generale sulla navigazione nel Mar della Cina e anche uno strumento di pressione rispetto alla trattativa diplomatica sulle isole, tenuto conto che si tratta, come ci ha mostrato la dottoressa Lan Ahn, di una via per il commercio.
  Peraltro, esprimo un dubbio personale circa il fatto che, considerando tutti i gasdotti che passano da lì e da Hormuz – 15 milioni di barili al giorno – e arrivano tutti nel Mediterraneo, questo sta diventando una polveriera, pieno com'è di gas. Ciò mi stupisce. Questa è la nostra proposta, più che una domanda, caro Ambasciatore.
  Vorrei rivolgere una breve domanda al professor Caracciolo per chiarire un dubbio. Lei giustamente ha rilevato che lo yuan è una moneta fittizia. Ricordo che nel 1987 ero in Polonia, ai tempi di Balladur, quando ci fu il famoso tracollo e su Trybuna Ludu si leggeva: «solo lo zloty polacco ha resistito». Mi divertiva moltissimo. Adesso, molto in grande, c'è un problema di agenzie di rating fittizie e di moneta più o meno interna e non commerciale.
  Dall'altro lato, proprio recentemente ho spesso sentito il presidente Prodi raccontare un episodio del Segretario generale cinese che gli diceva che per fortuna era nato l'euro, perché a loro il bipolarismo yuan-dollaro non piaceva ed era importante che esistesse l'euro al mondo per bilanciare il dollaro. Non è il mio campo e sono piuttosto ignorante, però, secondo Lei, è una forma di ingenuità – anche se non si può dire, in questo caso – del presidente Prodi? Qual è la visione che c'è dietro? È un auspicio per uno yuan forte o per un euro forte, e quale ruolo potrà avere una volta che verrà istituzionalizzato? Non vorrei superare il collega Farina in tempo impiegato, ma questo implicherebbe un problema di trasparenza delle banche cinesi che non esistono e di un mondo che adesso non tocca a noi in quest'occasione affrontare. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per la replica.

  LUCIO CARACCIOLO, Direttore della rivista Limes. Per quanto riguarda la questione Cina, Europa, Germania, è inutile che continuiamo a parlare di Europa che si esprime con una voce sola perché francamente è una perdita di tempo. L'Europa è un campo di competizione dove vi sono alcune regole che vengono trattate in base ai rapporti di forza, come nel resto del mondo.

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  PRESIDENTE. Non si capisce bene se è un campo di competizione o un campo di battaglia.

  LUCIO CARACCIOLO, Direttore della rivista Limes. Appunto. È interessante che la Cina ancora qualche tempo fa pensava che l'Europa potesse diventare un attore geopolitico in modo da giocarlo nei confronti degli Stati Uniti; poi si sono accorti che non lo è e hanno strutturato un rapporto strettissimo con la Germania. Oggi se vai in Cina e parli di Europa, loro ti rispondono «Germania». Questo è un dato di fatto con il quale dobbiamo convivere finché non decidiamo di voler fare l'Europa, ma temo che non sia per domani.
  Per quanto riguarda la questione che mi poneva il professor Cassano, è chiaro che il resto dell'Unione europea non ha l'interesse che abbiamo noi per il Mediterraneo, salvo alcuni Paesi, che però sono in competizione con noi, non esclusa la Grecia.
  Una delle questioni che si pone oggi è se il Pireo debba diventare un porto cinese, quindi una potenziale alternativa a Venezia nello sviluppo delle Vie della Seta; ci troviamo ancora una volta a essere oggetto di competizione. Credo che ormai sia entrato nell'immaginario dei nostri amici europei del nord e del centro Europa il fatto che il Mediterraneo significhi qualcosa di profondamente corrotto e negativo dal quale rifuggire. D'altronde, quando non volevano accoglierci nell'euro ci trattavano da Club Med, non a caso.
  Per un Paese come il nostro, che non sfrutta a mio avviso adeguatamente l'enorme risorsa che è il Mediterraneo, questa è una lezione da tenere presente. Noi non possiamo permetterci di avere uno sguardo baltico sul Mediterraneo.
  La sua domanda, onorevole Schirò, andrebbe forse rivolta al presidente Prodi. Il fatto è che la Cina, negli ultimi anni, ha diversificato le sue riserve, passando da una netta prevalenza dei dollari a un paniere di monete tra le quali anche l'euro. Questo vuol dire che la Cina ha un interesse a che l'euro viva, perché in un nuovo ordine monetario internazionale cui la Cina tende e che non dovrebbe essere più dollarocentrico – vedi anche gli scambi energetici con la Russia eccetera – il fatto che vi siano più monete più o meno a livello paritario sulla scena mondiale, tra cui lo yuan renminbi, il dollaro, l'euro e forse qualcos'altro è qualche cosa che è nell'interesse cinese; che sia anche nel nostro si può discutere.

  GIANNI FARINA. Questa alleanza euroasiatica...

  LUCIO CARACCIOLO, Direttore della rivista Limes. Vuol dire i BRICS?
  Quella è una sigla e come molte sigle che noi inventiamo pensiamo che abbiano una realtà di fatto. Se Lei va a vedere concretamente i rapporti fra Brasile, Russia, India e Cina c'è un po’ di tutto e di più. È come la «primavera araba»: sono sigle che ci servono per comunicare, ma che non rispecchiano i dati di fatto.

  PRESIDENTE. Sono sigle per fare i numeri speciali di Limes.

  LUCIO CARACCIOLO, Direttore della rivista Limes. Per fortuna, anche se abbiamo tanti difetti, quello non l'abbiamo fatto.

  HOANG LONG NGUYEN, Ambasciatore del Vietnam in Italia. Grazie. Per quanto riguarda i rapporti tra Vietnam e Giappone, l'onorevole Farina ha già indovinato tutto: Giappone e Vietnam adesso sono diventati più stretti alleati in tutti i campi – economico, commerciale, d'investimento, politico – e c'è una frequentazione ad altissimo livello, di grande amicizia e di grande intesa tra i due Paesi. Quello che sta facendo la Cina ha fatto superare tantissimi ostacoli interni, non c'è bisogno di spiegarlo.
  Per quanto riguarda lo Stato comunista ed il suo rapporto con l'economia di mercato, vorrei dire che il Vietnam nel 1986 ha cominciato le sue riforme economiche, che non sono altro che l'introduzione dell'economia di mercato al posto dell'economia pianificata e centralizzata, che è stata un fallimento.
  Debbo dire che, dal punto di vista teorico, l'introduzione dell'economia di mercato Pag. 21 come strumento per lo sviluppo socioeconomico di un Paese socialista non è in contrasto con le teorie; però, attenzione, con lo sviluppo economico dall'inizio degli anni Novanta si cominciano ad avere le riforme istituzionali e politiche, che vanno adesso parallelamente con le riforme economiche.
  Due giorni fa abbiamo concluso la visita in Italia del ministro della giustizia vietnamita, che ha incontrato anche il Parlamento, la Commissione giustizia del Senato, per spiegare il nuovo percorso delle riforme politiche e istituzionali del Vietnam, soprattutto nel campo della giustizia. Abbiamo adottato una nuova Costituzione nel 2013; e adesso abbiamo l'ambizione che da qui al 2020 dobbiamo introdurre delle leggi quanto al procedimento civile e penale nel sistema giudiziario che comincino a implementare questo nuovo percorso di riforme istituzionali e politiche che corrisponda anche alle riforme economiche che sono state implementate da trent'anni. È un processo continuo e parallelo che noi dobbiamo attuare; dobbiamo impiegare il giusto tempo per attuarlo.
  Per quanto riguarda l'osservazione dell'onorevole Schirò sulla Banca asiatica d'Investimento per le infrastrutture, non c'è bisogno di questo organismo per spiegare l'importanza economica della Cina per il Vietnam. Già la Cina adesso è in primo partner commerciale del Vietnam, con i suoi 36 miliardi di dollari, al pari dell'Unione europea.

  GEA SCHIRÒ. Era per avere un nuovo approccio multilaterale.

  HOANG LONG NGUYEN, Ambasciatore del Vietnam in Italia. La Cina economicamente è già molto penetrata nell'economia vietnamita. Come ho detto all'inizio, noi consideriamo la Cina come un'opportunità. Quello che ci preoccupa – preoccupa non soltanto il Vietnam, ma tutti i Paesi limitrofi, poiché la Cina ha problemi di frontiera con tutti i suoi vicini, e una ragione ci deve essere – è che, con la sua grandezza e con la sua crescita economica, la Cina sta già esercitando una politica aggressiva sulle isole, e anche su altre materie che non menzioniamo in questa sede.
  La stessa dichiarazione di pace che la Cina ha firmato nel 2001 con i Paesi dell'ASEAN dimostra che c'è al suo interno l'intenzione di attuare qualche azione di pace. Tuttavia, questo percorso è drasticamente cambiato dal 2007-2008, con questo nuovo approccio geopolitico di politica estera che comincia a preoccupare davvero tutti.
  Noi non aspettiamo una voce comune e unica dell'Europa, perché ciò non è magari possibile, però vogliamo che singolarmente ogni Paese europeo, con la sua civiltà giuridica, alzi la voce per tutte le azioni, non soltanto della Cina, contro il diritto internazionale. Noi crediamo che il diritto internazionale sia il pilastro fondamentale che mantiene la pace. Immaginiamo che tutti i Paesi diventino forti e arroganti e comincino ad avere questi strumenti di violenza e di utilizzo della forza e bypassino tutti i mezzi giuridici e diplomatici di pace: che mondo sarebbe?
  Noi vogliamo che l'Europa, culla della civiltà giuridica internazionale, alzi la sua voce per questa violazione del diritto internazionale. Tutto qui. Grazie.

  THI LAN ANH NGUYEN, Direttrice generale del Centre for Legal Studies dell’Institute for East Sea (South China Sea) Studies dell'Accademia diplomatica del Vietnam. Vi ringrazio nuovamente per l'interesse espresso per queste tematiche relative alla nostra regione.
  È importante sottolineare, in qualsiasi iniziativa parlamentare, che la Cina non deve agire unilateralmente. Sono stata l'anno scorso a Fuzhou, una città cinese che sarà il punto di partenza della Via della Seta marittima, la quale attraverserà poi altri Paesi. La Mongolia ha messo a disposizione il proprio territorio per quanto riguarda alcune tappe della Via della Seta, ma anche la Russia e altri Paesi. Ha messo a disposizione un proprio territorio anche lo Sri Lanka, dove la Cina ha investito su un porto civile, ma a un certo punto vi sono arrivati due sottomarini, con grande sorpresa del Paese. Quindi, la Via della Seta marittima in realtà è una grossa costruzione Pag. 22 che si estrinsecherà in maniera diversa nei diversi Paesi.
  La Cina lavorerà bilateralmente con i diversi Paesi in questa grande iniziativa della Via della Seta per mare. Il singolo Paese non informerà gli altri Paesi, quindi la Cina dividerà i vari Paesi. L'Indonesia ha affermato di aver realizzato 21 porti nel quadro degli investimenti per la Via della Seta per mare.
  Per il resto, sono d'accordo con Lei che la dimensione di sicurezza potrebbe essere utilizzata anche in maniera negativa attraverso incentivi economici.
  In secondo luogo, per quanto riguarda il tema del rapporto con il Giappone, sollevato dall'onorevole parlamentare, noi abbiamo un partenariato in crescita, collaboriamo con il Giappone in tutti i settori e, come ha detto il nostro ambasciatore, abbiamo un rapporto economico molto stretto; ma al di là del rapporto economico, abbiamo anche una valida cooperazione marittima e le navi giapponesi si fermano spesso nei nostri porti. Abbiamo anche realizzato delle esercitazioni di salvataggio in mare insieme al Giappone ed esercitazioni per la guardia costiera con la sua collaborazione tecnica. Il Giappone recentemente ha ribadito il suo impegno per il pattugliamento aereo e marittimo nel Mar della Cina.
  Sono d'accordo con Lei che forse il Giappone intende giocare la carta vietnamita; sono d'accordo in una certa misura perché effettivamente nel Mar della Cina meridionale ed orientale ci sono situazioni problematiche anche per il Giappone. Nei primi sei mesi dell'anno vediamo che mentre nel Mar della Cina meridionale la situazione è caratterizzata da grande tensione, nel Mar della Cina orientale la tensione si è attenuata, quindi il Giappone punta anche a rafforzare la stabilità nel Mar della Cina orientale.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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