XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 24 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 

SULLE PRIORITÀ STRATEGICHE REGIONALI E DI SICUREZZA DELLA POLITICA ESTERA DELL'ITALIA, ANCHE IN VISTA DELLA NUOVA STRATEGIA DI SICUREZZA DELL'UNIONE EUROPEA

Audizione di analisti ed esperti in materia di sistemi preventivi nella strategia globale contro il terrorismo.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 2 
Molinari Maurizio , Giornalista de La Stampa ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 
Cataldi Enrico , generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo ... 9 
Marazziti Mario (PI-CD)  ... 10 
Cataldi Enrico , generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo ... 10 
Mantici Alfredo , già Capo del Dipartimento analisi del SISDE ed oggi editorialista della rivista di geopolitica e sicurezza ... 12 
Olimpio Guido , giornalista del Corriere della Sera ... 15 
Raineri Daniele , giornalista de Il Foglio ... 18 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 21 
Manciulli Andrea (PD)  ... 21 
Marazziti Mario (PI-CD)  ... 22 
Pini Gianluca (LNA)  ... 23 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 24 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 24 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 25 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 25 
Cataldi Enrico , generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo ... 25 
Manciulli Andrea (PD)  ... 25 
Cataldi Enrico , generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo ... 25 
Mantici Alfredo , già Capo del Dipartimento analisi del SISDE ed oggi editorialista della rivista di geopolitica ... 25 
Olimpio Guido , giornalista del Corriere della Sera ... 27 
Raineri Daniele , giornalista de Il Foglio ... 28 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 28 
Raineri Daniele , giornalista de Il Foglio ... 28 
Marazziti Mario (PI-CD)  ... 28 
Raineri Daniele , giornalista de Il Foglio ... 28 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 28

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 16.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata, ai sensi dell'articolo 144, comma 4, del regolamento, dalla resocontazione stenografica. Ci limiteremo alla resocontazione stenografica per dare modo ai nostri ospiti di potersi esprimere nella più totale libertà rispetto a impatti che eventualmente potessero esserci nella rappresentazione immediata.

Audizione di analisti ed esperti in materia di sistemi preventivi nella strategia globale contro il terrorismo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, l'audizione di analisti ed esperti in materia di sistemi preventivi nella strategia globale contro il terrorismo.
  Questa seduta, dedicata a un approfondimento sui sistemi preventivi nella strategia globale contro il terrorismo, inaugura i lavori di una nuova indagine conoscitiva finalizzata ad individuare le priorità strategiche regionali e di sicurezza della politica estera dell'Italia, anche in vista della nuova strategia di sicurezza dell'Unione europea, sempre che essa sarà capace di metterla in campo.
  A livello europeo, la strategia regionale dell'Unione europea relativa alla Siria, all'Iraq e alla minaccia rappresentata da ISIL-Daesh, deliberata dal Consiglio europeo dell'Unione il 16 marzo scorso, si fonda su un raccordo con le Nazioni Unite, che hanno inaugurato una strategia di contrasto al terrorismo ad ampio raggio.
  Inoltre, l'Unione europea sostiene gli sforzi, anche militari, della coalizione globale anti-Daesh e collabora con i gruppi di lavoro in cui si articola tale coalizione.
  L'Italia, insieme agli Stati Uniti e all'Arabia Saudita, opera nel gruppo di lavoro sulla lotta al finanziamento del terrorismo, che evidentemente costituisce un profilo decisivo per il conseguimento dell'obiettivo.
  A livello nazionale, il decreto-legge n. 7 del 2015, che è all'esame delle Commissioni e che andrà in Aula domani, oltre a prevedere il dispiegamento militare e civile nelle missioni internazionali nei termini comunicati al Parlamento dai Ministri degli affari esteri e della difesa qualche giorno fa, sul piano degli strumenti di prevenzione prevede l'adozione di strumenti che comprendono la possibilità di applicare la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ai potenziali foreign fighters e la facoltà del questore di ritirare il passaporto ai soggetti indiziati di terrorismo.
  Emerge, in questo scenario, che la lotta al terrorismo internazionale andrebbe realizzata in maniera unitaria, senza dividere fra sicurezza interna ed esterna. Emerge, cioè, la non esclusività del tradizionale strumento diplomatico e di quello militare ai fini della gestione di questa particolare crisi internazionale, a fronte della sicura centralità della strategia preventiva fondata sulle leve dell’intelligence, su rapporti Pag. 3di cooperazione sempre più stretti fra gli Stati e sulla conoscenza profonda dei contesti regionali in questione.
  Dobbiamo dirci che tutto ciò avviene avendo alle spalle una catena di errori di vario tipo. Uno è quello di non aver posto in essere, sul piano economico e sociale, a mio avviso, il corrispettivo di una sorta di «piano Marshall» per il Medio Oriente. Gli altri sono consistiti in errori politici, anche di opposto segno, commessi in Siria, in Iraq e in Libia, in primo luogo dagli Stati Uniti, ma anche dai Paesi europei.
  In questo contesto è materia di riflessione e di approfondimento l'incredibile ritardo con cui i servizi segreti dei vari Paesi hanno preso coscienza di quello che stava accadendo. In genere, il ruolo dei servizi segreti dovrebbe essere quello di anticipare, rispetto ad altre strutture statuali, quello che fermenta. Dobbiamo prendere atto che, invece, questo fenomeno del Daesh ha preso di sorpresa tutti quanti.
  Quindi, nel quadro di una riflessione per cui la Commissione esteri della Camera non svolge soltanto il ruolo di approvare i Trattati che ci vengono di volta in volta proposti dal Ministero degli esteri, ma prende atto di una situazione di straordinaria gravità, abbiamo deciso di mettere da parte i meccanismi burocratici tradizionali e di sentire degli esperti che non vengono qui a esprimerci l'ufficialità di nessuno, né delle strutture statuali né dei servizi e così via, ma la loro libera riflessione, stando tutti in campo in modo molto importante e svolgendo ruoli diversi. Da questo punto di vista, la nostra è certamente una riunione non di ordinaria amministrazione.
  Do il benvenuto ai nostri esperti: Enrico Cataldi, generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo, avendo svolto sul campo questo ruolo; Alfredo Mantici, già Capo del Dipartimento analisi del SISDE e oggi editorialista della rivista di geopolitica e sicurezza Look out news; Maurizio Molinari, giornalista de La Stampa; Guido Olimpio, che vediamo in immagine, giornalista del Corriere della Sera, in collegamento con noi; Daniele Raineri, giornalista de Il Foglio.
  Do a ciascuno di loro la parola per un breve intervento introduttivo, per poi procedere ai quesiti da parte dei deputati e alla replica da parte dei nostri auditi. Non seguirò un ordine alfabetico, ma un ordine che deriva dagli impegni dei nostri amici, dunque do la parola per primo a Maurizio Molinari.

  MAURIZIO MOLINARI, Giornalista de La Stampa. Grazie, presidente, e grazie a tutti voi dell'invito.
  L'argomento del quale stiamo parlando si origina dal Califfato. Il Califfato, come sappiamo, è uno spazio di 250 mila chilometri quadrati che si estende dall'Iraq alla Siria. È nato come risultato ed è divenuto l'epicentro di due conflitti.
  Quello che voglio condividere con voi questa sera sono le mie esperienze personali di corrispondente dal Medio Oriente, che mi hanno dato maniera di entrare in contatto con degli elementi che mi fa piacere condividere con voi.
  Uno di questi due conflitti sovrapposti è il conflitto fra sciiti e sunniti, che è all'origine vera di Daesh, in quanto Daesh è una reazione, anzitutto in Iraq, alla gestione del potere a Baghdad da parte di due primi ministri sciiti in rapida successione, con politiche discriminatorie e vessatorie nei confronti dei sunniti, che ha innescato un revanscismo sunnita nel nord e nell'ovest del Paese, che ha dato modo ad Al Baghdadi di rafforzare il Daesh che guidava dal 2011, trasformandolo progressivamente nello Stato islamico, nel Califfato che conosciamo. Quindi, sicuramente una dinamica è quella fra sunniti e sciiti.
  La seconda dinamica è quella all'interno dei sunniti, dove c’è un conflitto fra governanti ed elementi rivoluzionari jihadisti che si originano dall'ideologia dei Fratelli Musulmani, il gruppo nato in Egitto nel 1928, che ha avuto come ideologo Hasan al-Banna e poi ha avuto delle evoluzioni all'interno del mondo musulmano, producendo una serie di gruppi, organizzazioni fondamentaliste, salafite, che sono arrivate fino a noi con Bin Laden e quindi con Daesh.Pag. 4
  All'epicentro fra lo scontro all'interno del mondo sunnita, fra jihadisti e governanti, e lo scontro fra sunniti e sciiti, c’è il Califfato. Il Califfato ha la sua giustificazione ideologica prioritaria nella volontà di genocidio, cioè eliminazione fisica (basta leggere i testi di Al Baghdadi) nei confronti degli sciiti, ma al contempo è anche una forza rivoluzionaria dirompente contro i regimi sunniti.
  Ciò che è interessante notare è cosa sta avvenendo ai confini del Califfato. Innanzitutto, la cosa basilare da dire è che la mappa del Medio Oriente, che noi tutti conosciamo, non esiste più. L'Iraq non esiste più come Stato: a nord di Baghdad ci sono zone controllate da Daesh, da altre tribù, ci sono zone controllate dai ribelli curdi, ma sicuramente l'Iraq nei confini delle piantine che noi tutti abbiamo in mente non esiste più.
  La Siria non esiste più. La Siria è divisa in due zone, per il 40 per cento controllate da Assad, le zone sunnite e la costa, gli alawiti, fino a Damasco; l'altro 40 per cento, il deserto orientale, è nelle mani di Daesh; poi vi sono zone di territorio pari circa al 20 per cento in mano di altri gruppi. Ma la Siria come noi l'abbiamo conosciuta non esiste più.
  Il confine fra la Siria e il Libano c’è per metà. Il confine è dato dalla Valle della Beqaa: nella parte meridionale il confine esiste ancora, nel senso che c’è un confine sorvegliato da soldati libanesi che segnano la differenza di territorio fra Siria e Libano; nella parte settentrionale della Valle della Beqaa questo confine non c’è più, perché ci sono i miliziani di Daesh.
  Tutto questo per dire che il punto di partenza per tentare di comprendere cosa sta avvenendo lì è anzitutto la trasformazione della mappa geografica, la presenza di nuove entità, di nuovi interlocutori più o meno rappresentativi, ma sicuramente la scomparsa di Stati nazionali che noi fino a questo momento abbiamo conosciuto.
  Da qui l'importanza, a mio avviso, di descrivere i confini del Califfato. Il Califfato ideologicamente è stato pensato, voluto e creato da Al Baghdadi per espandersi, esattamente perché si richiama all'Islam delle origini, di Maometto, che non aveva confini predefiniti, ma i cui confini per natura stessa tendevano ad allargarsi. Quando, fra l'altro, il Califfo minaccia il nostro Paese dice «Roma, Gerusalemme, la Francia, l'Iberia» aggiunge sempre «e oltre», proprio perché, per definizione, il Califfato non ha confini stabiliti.
  Cosa sta avvenendo ai margini dell'area che oggi il Califfato occupa ? Un'area, come abbiamo detto, di circa 250 mila chilometri quadrati, da nord di Baghdad a est di Aleppo. C’è una zona di offensiva di Daesh al confine fra il Libano e la Siria. I guerriglieri di Daesh sono riusciti a insediarsi sui monti al confine fra i due Paesi, lungo una zona che si estende per circa 140 chilometri, da metà della Valle della Beqaa fino al nord, fino ad Arsal, per una profondità che si estende, secondo il personale della Croce Rossa che ho avuto modo di incontrare, fra un minimo di due e un massimo di dieci chilometri, dove stanno accumulando miliziani, risorse e ostaggi, al fine di lanciare un'offensiva di primavera e inizio estate dentro il Libano.
  Loro sono su queste montagne, le montagne del Qalamoun, e a valle di queste montagne ci sono sette villaggi: l'obiettivo di Daesh è di scendere dalle montagne e insediarsi in questi villaggi. Il primo villaggio che per loro è il vero obiettivo è la cittadina di Arsal, per il motivo molto semplice che è popolata soprattutto e quasi esclusivamente da sunniti.
  Qui c’è il capitolo dei sunniti in Libano. Alcuni deputati sunniti sono stati fermati dalle forze di sicurezza libanesi mentre portavano soldi a Daesh (acronimo arabo per Isis); alcuni soldati sunniti dell'esercito libanese hanno disertato per andare nelle fila di Daesh e gli hezbollah, che sono la forza militare dominante in Libano, della quale di fatto l'esercito è una propaggine, sono a tal punto preoccupati del rafforzamento locale di Daesh in questa zona al confine fra Siria e Libano da immaginare loro un'offensiva di primavera sulle montagne.
  In questo momento le montagne del Qalamoun sono ancora coperte di neve, ma gli hezbollah sono determinati, appena Pag. 5la neve sarà completamente sciolta, di salire sulle montagne e ricacciare indietro Daesh dal lato della Siria.
  Il piano di battaglia degli hezbollah, del quale i comandanti parlano apertamente in Libano (è un argomento comunemente discusso, soprattutto nella valle della Beqaa, dove sono stato recentemente), prevede anche un attacco dalla zona della Siria sulle montagne, perché anche dall'altra parte ci sono forze fedeli a hezbollah o comunque a milizie sciite favorevoli ad Assad. Quindi, in realtà, quello che loro hanno in animo di fare è un «sandwich» per eliminare queste sacche di Daesh. Questa è la strategia di hezbollah.
  Poi, invece, c’è la strategia di Daesh che, come abbiamo detto, è quella di scendere dalle montagne e conquistare questi villaggi. Gli hezbollah stessi, molto efficienti, con grande controllo del territorio e bisogna riconoscere con una grande capacità di difendere la sicurezza delle minoranze cristiane in Libano, di fatto assumendone la rappresentanza, temono che Daesh abbia un piano più esteso per il Libano e che, in coincidenza con questa offensiva di primavera che sta pianificando, potrebbe lanciare non solamente attacchi terroristici dentro la città di Beirut, ma soprattutto riaprire il fronte della città di Tripoli.
  Come molti di voi sanno, Tripoli è di fatto divisa in due da una strada, Via Siria: da una parte ci sono gli alawiti, fedeli agli sciiti, fedeli ad Assad, e dall'altra parte ci sono i sunniti. Io sono stato lungo questa strada, che è pattugliata – sebbene ci siano i posti di blocchi dell'esercito libanese – dai due fronti. Ci sono le pattuglie alawite e ci sono le pattuglie sunnite.
  È interessante che, stando con gli alawiti, quando questi vedono le pattuglie sunnite, dicono che si tratta di pattuglie del Daesh, non le definiscono pattuglie sunnite. Fisicamente queste pattuglie sono delle grandi motociclette, molto grasse come motociclette, con questi sunniti sopra altrettanto molto visibili, con la jalabiya, il tradizionale copricapo sunnita, che in due o tre ispezionano la strada avanti e indietro. La strada è a due direzioni: da una parte ci sono le pattuglie sunnite o del Daesh, secondo gli alawiti, e dall'altra ci sono le pattuglie alawite.
  Questo è il fronte del Libano. Poi c’è il fronte della Giordania, il Paese che visito più spesso. Il mio ufficio di rappresentanza è a Gerusalemme, ho un ufficio a Ramallah, ma il Paese dove vado più spesso, proprio a causa del Califfato, è la Giordania.
  È un Paese letteralmente on the brink, sul ciglio di una situazione molto pericolosa. Per rendersene conto, basta andare al confine, che anche qui è di fatto un confine con il Califfato. Il confine fra la Giordania e la Siria, nella zona del Mafraq, cioè a nord della Giordania, è un confine molto esteso, di centinaia di chilometri, dove solamente nella parte terminale, dall'altra parte, ci sono le forze di Assad, ma andando al nord dall'altra parte ci sono le forze di Daesh.
  Che cosa hanno fatto i giordani lungo questo confine ? Hanno creato una barriera elettronica di sicurezza (non c’è una barriera fisica) che consente di vedere a 5-7 miglia di distanza qualsiasi oggetto che si avvicina, che sia un cammello, una capra, un soldato, un uomo, qualsiasi cosa. Al punto di sorveglianza di questo sistema elettronico i giordani hanno portato un gruppo di giornalisti, al quale io appartenevo, e ci hanno fatto vedere che, su qualsiasi oggetto che loro non riconoscono che si avvicina dalla Siria verso la Giordania, loro sparano.
  Questo perché proprio dalla zona del Mafraq vi sono stati obiettivamente dei tentativi, che hanno avuto successo, di infiltrazione da parte di gruppi limitati del Daesh in Giordania, che poi sono stati eliminati dalle forze aeree giordane, ma una volta che avevano passato il confine.
  In maniera analoga, l'Arabia Saudita sta costruendo lungo i confini con l'Iraq un vallo di mille chilometri di lunghezza dove la barriera elettronica si somma a una barriera fisica, a più barriere fisiche, a una serie di stazioni di monitoraggio, di torrette, con il posizionamento di almeno – da quanto le autorità saudite dicono – mille uomini delle truppe speciali.Pag. 6
  Quindi, sostanzialmente l'Arabia Saudita sta blindando i confini. La Giordania ha blindato il confine con il Califfato. In Libano c’è un confine aperto.
  Poi, attenzione, c’è quello che sta facendo Israele: Israele considera il confine fra la Giordania e l'Iraq, come ha detto il Presidente del Consiglio in più riunioni chiuse e aperte, il confine orientale dello Stato di Israele.
  Lo Stato di Israele dà un sostegno di militari, di intelligence, di informazione alla Giordania per difendere il confine orientale con l'Iraq. La barriera di sicurezza che vi ho appena descritto al confine fra la Giordania e la Siria assomiglia molto alla barriera elettronica che Israele ha realizzato ai confini con Gaza, e tutto questo sostegno israeliano al regno hascemita si spiega con il grande timore che gli israeliani hanno di un'implosione del Regno.
  Da dove nasce questo timore dell'implosione del Regno ? Nasce dal fatto che in Giordania obiettivamente esistono cellule del Daesh almeno in tre città: Zarqa, Salt e Ma'an.
  Ma'an si trova nel sud; è la città dove ci sono state più rivolte, dove c’è stata anche una caccia aperta ai militanti del Daesh. Ma'an è al sud, lontana due ore di macchina da Amman, Zarqa e Salt sono invece più vicine ad Amman (30-45 minuti di macchina) e lì in due occasioni i jihadisti di Daesh hanno avuto il coraggio di sfilare con delle vetture in pieno giorno con le bandiere di Daesh.
  Il pericolo di questa crescita di cellule di Daesh dentro la Giordania è tale da spingere i giornali vicini alla corona hascemita a intervistare spesso eminenti rappresentanti fedeli alla vecchia Al Qaeda, citandoli contro Daesh. Si tratta spesso di sermoni pronunciati in luoghi pubblici, in cui dicono che la vecchia Al Qaeda era una cosa seria, mentre Daesh vuole solamente il suo dominio sui sunniti e quindi i fedeli di Al Qaeda non devono sostenere Daesh.
  L'altro elemento di debolezza strutturale del Regno, che purtroppo si è aggravato dopo la drammatica uccisione del pilota giordano al quale è stato dato fuoco, è che le tribù beduine che sostengono fermamente la corona e che sono l'ossatura del Regno hanno tradito dei momenti di disappunto per quanto è avvenuto, in quanto contestano al re Abdallah la scelta di essersi unito agli americani e agli occidentali entrando nella coalizione contro Daesh.
  Nella zona di Al-Karak, da dove proviene la famiglia del pilota ucciso e dove ho incontrato il padre, nella tribù del Kasasbeh, molti affermano che il grande errore di questo re è stato di entrare in una guerra che non ci riguarda, mentre il padre, re Hussein, quando ci fu la prima guerra del Golfo, scelse di non partecipare e di garantire la neutralità del Regno.
  Si tratta di tutti elementi di instabilità, che sommati alla debolezza strutturale del Regno di Giordania spiegano perché a volte sulla stampa israeliana arrivano notizie e indiscrezioni che non si sa se siano vere o false, ma che hanno a che vedere con avvenuti colloqui fra Netanyahu e il re giordano sulla necessità e la definizione di una possibile via di uscita, anche repentina, in caso di accelerazione della crisi.
  L'ultimo tassello dei confini (se è possibile chiamarli così) dell'espansione del Califfato – laddove il Califfato da un punto di vista territoriale è nello spazio che stiamo descrivendo ma ha anche un'altra componente di tipo ideologico, ossia la possibilità di contagiare come un virus altre cellule jihadiste in altri Paesi che non appartengono strutturalmente a questo corpo centrale ma vi aderiscono per propria scelta ideologica: ha a che vedere con l'Egitto, dove il grande timore di Al-Sisi è quello di un'alleanza di fatto fra le cellule jihadiste nel Sinai di Beit Al Maqqdis, che hanno scelto di aderire al Califfato, e i Fratelli Musulmani che ancora continuano a operare all'interno dell'Egitto.
  Il timore dell'Egitto per questa fusione operativa con i Fratelli Musulmani, che obiettivamente da quando è salito al potere perseguita attivamente con ogni mezzo che la guida del governo gli consente, è tale da spiegare perché Al-Sisi abbia preso l'iniziativa nel proporre, assieme Pag. 7al re di Giordania e al re saudita, una soluzione di tipo interno, teologico musulmano-sunnita.
  Se ha fatto il discorso, che voi conoscete, alla fine dell'anno sulla proposta di una rivoluzione musulmana all'interno dell'Islam per estirpare il cancro della jihad – ed è stato seguito in altri interventi pubblici da parte del grande imam della Università di al-Azhar nel chiedere agli ulema, i saggi dell'Islam, ai singoli imam di entrare nelle moschee e diffondere la versione corretta degli insegnamenti coranici e degli insegnamenti della vita di Maometto – è perché Al-Sisi ritiene che il cuore della questione sia teologico e che questa miccia teologica possa essere disinnescata solamente da una mobilitazione del clero sunnita.
  Vuole spingere quindi il clero sunnita a impegnarsi dentro ogni singola moschea di ogni Paese sunnita, per spingere i fedeli a rifiutare l'interpretazione jihadista di due elementi, che ripeto perché sono importanti e sono diversi: i dettami del Corano e gli esempi che vengono dalla vita personale di Maometto.
  Vi racconto una cosa che è avvenuta a me perché è interessante. Ho avuto modo di incontrare un generale egiziano che è stato compagno di accademia di Al-Sisi e gli ho chiesto perché Al-Sisi, che è un uomo così pio, così musulmano, così fedele, sia così determinato contro i Fratelli Musulmani, che cosa lo spinga.
  Mi ha risposto che ci sono due motivi: il primo, quello che tutti sappiamo, è che il generale Al-Sisi ritiene che i Fratelli Musulmani avessero stretto assieme ad Hamas, ai jihadisti del Sinai e agli islamici in Libia un patto di fatto contro le forze armate quando era al Governo Morsi, e che quindi il suo colpo di Stato abbia evitato che questo avvenisse; ma il secondo è che se si vanno a leggere le prime pagine del Corano con il comportamento di Maometto si vede che Maometto ha fondato l'Islam con i guerrieri e non con gli imam. Ha detto: «Islam was built by soldiers and not by clerics».
  Questo secondo me è il cuore del pensiero di Al-Sisi, cioè l’élite militare egiziana ritiene che l'errore teologico dei jihadisti è ritenere che gli imam siano più importanti dei militari, mentre loro si reputano in chiave teologica musulmana eredi dei veri fondatori dell'Islam.
  Credo che questo conflitto, questa diversa interpretazione teologica all'interno del mondo sunnita interessi direttamente noi occidentali anche perché investe quello che sta avvenendo in Libia.
  Solamente due parole sulla Libia, dove io sono stato negli anni ’90 a intervistare Gheddafi, ma non recentemente, quindi non conosco quanto è avvenuto di recente, ma solamente leggendolo in base alla mia esperienza su quanto avviene in Medio Oriente. È interessante notare che il modo di comportarsi delle cellule che aderiscono volontariamente a Daesh in Libia ricorda quanto hanno fatto in Siria e in Iraq sotto due punti di vista.
  Il controllo delle risorse sul territorio è prioritario nel dispiegamento delle Forze armate: in Iraq e in Siria riguardò i pozzi di petrolio, i fiumi, i ponti e le dighe; in Libia, se noi vediamo, riguarda i pozzi di petrolio e le zone sulle coste, dove c’è più accessibilità al mare.
  In comune c’è l'idea delle risorse, perché Daesh si autofinanzia. La grande forza di Daesh, il grande modello economico florido per due miliardi di fondi, un surplus stimato dall'amministrazione americana (Guido Olimpio ne sa sicuramente più di me) in 250 milioni di dollari l'anno secondo i documenti del Tesoro americani, si basa sull'autofinanziamento, sullo sfruttamento delle risorse in loco e sulla capacità di trasformarle in una fonte inarrestabile di ricchezza, che è il modello tradizionale di economia delle tribù.
  La differenza fra le tribù e gli Stati è che gli Stati hanno una visione organica dell'economia; le tribù – come Gengis Khan – controllano le vie da dove viene la ricchezza e con quello si alimentano. Questa è la prima caratteristica che accomuna il modus operandi (da quello che si può vedere, basta guardare la mappa) delle cellule di Daesh in Libia e delle cellule di Daesh in Iraq e in Siria.Pag. 8
  Il secondo è la scelta militare di attaccare innanzitutto i gruppi islamici. Se noi ricordiamo come Daesh si è imposto in Siria, la prima scelta dei comandi militari di quello che poi sarebbe diventato il Califfato con la dichiarazione del 29 giugno 2014 è stata di attaccare gli altri gruppi islamici, non Assad, perché la priorità è quella di avere il dominio assoluto innanzitutto delle proprie forze o delle forze che sono assimilabili al proprio campo, per ingrandire il proprio campo.
  Qui c’è un'idea di combattimento e di guerra che è molto diversa da quella che abbiamo in Occidente: l'idea non è quella di avere una vittoria immediata e assoluta su un territorio, ma l'obiettivo è di rafforzarsi su un singolo territorio assimilando tutte le forze che sono in qualche maniera più omogenee.
  Daesh infatti in Libia ha iniziato con la Cirenaica ma adesso sta combattendo in maniera più determinata in Tripolitania, dove ci sono le milizie islamiche, perché il vero obiettivo sembra essere esattamente la ripetizione di quanto avvenuto in Siria e in qualche maniera anche in Iraq, ovvero prendere la leadership di tutte le forze islamiche, per poi in un secondo momento dedicarsi al confronto con gli altri.
  Chiedendovi scusa per la lungaggine del mio intervento, faccio solamente due riflessioni su cosa spetta a noi fare. Come sapete, io ho vissuto a lungo negli Stati Uniti dopo l'11 settembre e adesso ho questa esperienza israeliana, che è un Paese che conoscevo anche da prima. Ci sono due elementi della strategia difensiva degli Stati Uniti e di Israele che possono essere oggetto della riflessione europea e nel nostro Paese.
  Tutto verte sulla necessità di limitare le libertà personali in nome della sicurezza collettiva. È un passaggio difficile e doloroso per ogni democrazia. Gli israeliani hanno iniziato a farlo nel 1950, gli americani lo hanno fatto con il Patriot Act dopo gli attacchi dell'11 settembre, un compendio di leggi votate più volte dal Congresso in maniera traumatica, con grandi lacerazioni, grandi polemiche, ma di fatto poi il Congresso lo ha avallato.
  Quali sono i due strumenti di fondo che il Patriot Act consente alle forze di sicurezza negli Stati Uniti di adoperare, le due azioni importanti ? La prima è quella di fermare un sospetto anche se il sospetto non ha commesso un reato.
  La mia casa è a New York, a Times Square. Io mi sento sicuro perché, se un poliziotto vede una persona con una mano in tasca, la ferma anche se non ha fatto niente. Si chiama stop-and-frisk, è stato creato dal sindaco Bloomberg con l'avallo del Governo degli Stati Uniti. È certamente una violazione della libertà personale, un'intrusione nella libertà personale perché magari la persona ha messo la mano in tasca solamente per prendere un accendino o una caramella, ma questo consente in termini più ampi alle forze di sicurezza americane di intervenire nei confronti di sospetti anche se non hanno commesso un reato e quindi di aumentare l'opera di prevenzione.
  In ultima istanza sta ai singoli operatori di sicurezza avere l'intelligenza e la capacità di farlo senza eccedere nella violazione delle libertà personali, ma questo sicuramente ha garantito maggior sicurezza ai cittadini della città di New York, esattamente come avviene in maniera analoga a Gerusalemme e Tel Aviv.
  Il secondo elemento è quello della sorveglianza elettronica. Tutti voi sapete che il New York Police Department dopo l'11 settembre creò un'unità che per dieci anni ha monitorato elettronicamente tutti i singoli residenti del New England, compreso me stesso, a cominciare dalla comunità degli studenti musulmani negli atenei.
  Lo hanno fatto perché la sorveglianza elettronica dei singoli cittadini molto spesso consente di intercettare comunicazioni molto sofisticate, come ad esempio quelle nelle chat nei social network che altrimenti sfuggono.
  Sono stati passaggi traumatici per la democrazia americana, come lo sono stati in maniera e forma diverse in uno Stato come Israele, ma sicuramente, se oggi gli Stati Uniti e Israele hanno una capacità difensiva importante nei confronti di una minaccia come questo terrorismo, che è Pag. 9un virus che si trasmette attraverso civili insospettabili, è perché è stato siglato un nuovo patto sociale su un nuovo tipo di equilibrio fra libertà personali e sicurezza collettiva, e ovviamente a questo i droni hanno contribuito.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Molinari di averci esposto cose che non leggiamo nei suoi articoli perché è andato oltre, dandoci un contributo originale. L'ultima parte del suo intervento si collega al contributo del generale Cataldi, facendo i conti con esperienze del passato che però sono totalmente diverse e attengono alla lotta contro le Brigate Rosse, un capitolo del passato che ha aspetti che ci aiutano a comprendere ma, come evidenziato da Molinari, qui si apre un capitolo totalmente diverso e totalmente nuovo.
  Do quindi la parola a Enrico Cataldi.

  ENRICO CATALDI, generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo. Grazie, presidente. Grazie dell'invito, effettivamente la metodologia e l'ordine pragmatico che penso di dover dare all'intervento prende spunto proprio da quello che ha detto il dottor Molinari, che ho seguito con estremo interesse.
  Il dottor Molinari ha delineato una situazione di guerra, perché qui non stiamo parlando più di terrorismo, ma stiamo parlando di guerra guerreggiata. Ci dobbiamo chiedere come siamo arrivati a questo punto, e parto proprio dalla premessa che faceva il dottor Molinari in quanto si parte da prima del secondo conflitto mondiale, quando si costituiscono con al-Banna i Fratelli Musulmani e l'ideologo dei Fratelli Musulmani è colui che verrà impiccato per l'attentato a Nasser e il fratello di colui che istruirà Bin Laden. Quindi facciamo subito i voli pindarici che servono per arrivare ai giorni nostri, secondo la legge fisica per cui nulla si crea e nulla si distrugge.
  Arriviamo a questo perché dopo il secondo conflitto mondiale si genera il problema palestinese, che crea tutta quella serie di eventi e di attentati che ben conosciamo. C’è il problema della soluzione dei fenomeni coloniali partendo dall'Algeria e passando per il Mali.
  Si arriva al 1990, ai conflitti di carattere etnico-religioso in Bosnia, in Cecenia e altrove, e arriviamo alle guerre guerreggiate in Iraq. E dalle guerre guerreggiate in Iraq arriviamo alla dichiarazione di guerra del fondamentalismo mondiale edita su un giornale arabo in lingua inglese a Londra sotto gli occhi di tutti, che è la dichiarazione di guerra al mondo islamico fatta da Bin Laden e al Zarqawi (1998).
  Di tutti questi fatti e fattori noi siamo spettatori pubblici perché li osserviamo, e qui mi rifaccio ai ricordi del passato che evocava il presidente Cicchitto, perché noi abbiamo impiegato degli anni a capire che cos'era la DS2 delle Brigate Rosse, ma nel mondo anni per capire cosa fosse la dichiarazione di Bin Laden del 1998.
  Abbiamo capito nel tempo queste cose quando con il tragico settembre del 2001 assistiamo a quello che succede a New York e poi a quello che succederà a Londra, a Madrid, e a quello che non succederà in Italia, a Roma, perché secondo la ripartizione dei territori fatta dall'ideologia islamica c’è il dar al-Islam, il territorio dell'Islam, il dar al-Harb, il territorio di combattimento, e il dar al-Hudma, il territorio della tregua, dove esiste un'altra teologia monocratica che va salvaguardata.
  Noi ci siamo illusi (e crediamo di continuare in questa illusione) che l'Italia, Roma, il Vaticano siano il territorio della tregua anche in presenza del Giubileo preannunciato per dicembre prossimo, ma le evoluzioni sono tali che ci inducono rapidamente ad arrivare alla primavera araba, che accogliamo scevri dalle esperienze del passato con entusiasmo.
  Ho ritrovato un vecchio documento di analisi di cui non cito l'autore e leggerei questo passo: «Al Qaeda ha quindi sicuramente riportato un colpo devastante nella sua struttura portante (si riferisce ovviamente alla morte di Bin Laden) anche perché coevo alla cosiddetta primavera araba, che sembra ad oggi non orientata a favorire un processo di tipo integralista radicale, quanto piuttosto a una democratizzazione islamica».Pag. 10
  Questo non è un testo d'accatto, è una qualificata analisi dopo l'inizio della primavera araba.

  MARIO MARAZZITI. Qual è la fonte ?

  ENRICO CATALDI, generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo. Si tratta di documenti interni.
  Il 2 maggio 2011 muore Bin Laden, per cui è databile successivamente, e nel luglio del 2014, al termine del Ramadan, Al Baghdadi pronuncia una sorta di evoluzione da al Qaeda e un passaggio differenziato da al Qaeda a quello che sarà il Daesh. Anche questa è una cosa pubblica, che tutti possono leggere, pertanto i teatri di guerra, a cui il dottor Molinari faceva saggiamente riferimento, si creano attraverso prospettazioni che sono sotto gli occhi di tutti, basta analizzarle. È quindi essenziale conoscere per capire.
  Mi rifaccio all'esperienza delle Brigate Rosse e alla strategia seguita dall'Arma dei Carabinieri che ha pensato bene di farmi costituire l'Istituto superiore delle tecniche investigative, che era orientato a preparare le nostre forze investigative a conoscere i fenomeni.
  Queste persone venivano formate attraverso le analisi dei testi scritti da coloro che operavano sul campo.
  Il dottor Guido Olimpio era uno dei principali osservati, nel senso che fotocopiavo i suoi articoli e li distribuivo ai discenti perché né formassero oggetto di valutazioni proprie, perché non c’è niente di meglio che leggere e capire quanto scrive colui che sta sul campo.
  Del resto, il dottor Olimpio nel suo libro La testa del serpente si pone subito l'interrogativo di cosa succederà dopo la morte di Bin Laden, il libro è scritto per questo e parla degli affiliati, dei volontari, del proselitismo e di quello che si poteva immaginare all'epoca.
  Adesso noi dobbiamo considerare, a fronte di questa zona franca che si è venuta a creare tra Siria e Iraq, una diversificazione rispetto al passato, rispetto ad al Qaeda, che dice «muoiono più musulmani che infedeli», critica larvata alla strategia del Daesh.
  Facciamo un parallelismo tra quello che sono state le Brigate Rosse e quello che sarebbe stata (fortunatamente non lo è stata) l'insurrezione armata contro i poteri dello Stato. Le due cose possono essere assimilate ad al Qaeda e al Daesh, laddove al Qaeda è la holding del terrore, il Daesh invece è l'instaurazione dell'Islam, è una religione attuata anche attraverso le armi.
  Al Qaeda si comporta e agisce come cellula terroristica espansa sul territorio, ha quindi il problema del proselitismo, della clandestinità, dell'alimentazione clandestina sulle montagne di Tora Bora, mentre il Daesh ha un territorio dove far affluire i foreign fighters, se uno vuole un indirizzo, ci si reca, prende il kalashnikov e combatte. C’è il problema anche dei convertiti.
  Direi che al Qaeda è l'islamismo, la forma ideologica di interpretazione della religione islamica, mentre Daesh è il salafismo, è il ritorno agli antichi, agli anziani e alle metodologie da loro adottate. Al Qaeda attraverso l'idea forza di Bin Laden produce proselitismo per perseguire delle finalità politiche (faccio questo perché voi andiate via dall'Arabia Saudita).
  Questi invece combattono su un territorio di cui diventano proprietari e si espandono sul territorio al solo fine di espandere il territorio islamico e la religione islamica attraverso l'attuazione delle scritture sacre. Questa è la jihad intesa come lotta e non come sforzo.
  Sul piano della prevenzione queste situazioni partono proprio da questo, creare una cultura attraverso le forze di cui disponiamo sul territorio per fronteggiare questo fenomeno, ed è inutile dire che l'immigrazione è uno dei problemi seri, così come la famosa seconda generazione con cui dobbiamo confrontarci. È altrettanto vero che, se come è stato detto avessimo aiutato gli Stati del nord Africa, forse non ci troveremmo oggi con grossi afflussi migratori.
  Certo che oggi andare ad aiutare sarebbe ardito, perché si rimarrebbe magari Pag. 11sul campo o vittime di sequestri. La galassia che si fronteggia è estremamente variegata e affronta molti territori.
  Vorrei fare innanzitutto una considerazione un po’ forte: mi veniva da pensare che tutta la primavera araba che ha generato questa situazione bellica nasce con una spinta che aveva il suo portato ideologico: tutto è nato dalla Tunisia che poi ha espanso verso la Siria, con ben altri obiettivi e sistemi. Sappiamo, infatti, della presenza di Assad e degli alawiti, la minoranza sciita rispetto alla maggioranza sunnita, esattamente il contrario di quello che si è verificato in Iraq, dove era la minoranza sunnita che opprimeva la maggioranza sciita.
  In Tunisia, dove è cominciato tutto, potrebbe iniziare dunque la fine del fenomeno Daesh, perché pochi giorni fa c’è stato un fatto importante a Rabat, subito dopo l'attentato al museo del Bardo: le due forze che confliggono in Libia, i Fratelli Musulmani e le milizie di al Fath, si sono incontrati e stanno cominciando a parlare, per cui potrebbero fare un fronte comune, distinguendo nel proprio ambito le componenti Daesh che magari nascondono in seno o sopportano in alcune città.
  Di questo c’è da preoccuparsi, non da rallegrarsi, perché qualora il Daesh perdesse terreno dovrebbe rientrare in clandestinità e, se rientra in clandestinità, c’è il caso che compia quegli attentati e quelle aggressioni che erano proprie di al Qaeda, con la differenza che al Qaeda sulle montagne afgane e in Iraq era più lontano di quanto non lo sia attualmente Daesh sulle coste del Mediterraneo.
  Che fare ? L'attività preventiva ancora una volta presenta la vecchia bilancia da cui è inutile nascondersi: tanto aumenta la difesa sociale, tanto si riduce il libero arbitrio. È chiaro che se dettiamo una legge da coprifuoco siamo più sicuri anche dai furti in casa, però certo non si può uscire di casa, quindi questa bilancia si squilibra.
  Le misure adottate all'estero sono indubbiamente misure forti (vi faceva riferimento il dottor Molinari). Noi abbiamo ormai strumenti di tipo scientifico che dovremmo saper porre in essere. Una proposta che ho sempre sostenuto quando recentemente abbiamo affrontato la problematica della banca dati del DNA è una cosa piuttosto elementare: in Italia l'articolo 4 del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza consente a una persona, anche a ognuno di lor signori, che si dovesse trovare senza documenti per la strada di essere fermato e sottoposto a fotosegnalamento, con prelievo delle impronte digitali a fini identificativi, anche se vestiti in giacca e cravatta.
  Sarebbe ardito sostenere l'estensione di questo provvedimento attraverso l'acquisizione del tampone salivare, che è un prelievo non invasivo, a tutti gli immigrati che arrivano sicuramente senza un'identità certa ? Questa non è una schedatura di massa: è la possibilità di rintracciare, attraverso il moderno mezzo scientifico di identificazione personale, le persone attraverso il proprio DNA.
  È una questione rapida, facile da attuare e basterebbe semplicemente una proposta normativa che estendesse la pratica dell'acquisizione del DNA per il tampone salivare con il consenso dell'avente diritto, come previsto dall'articolo 349 del codice di procedura penale, anche alle leggi per l'identificazione personale.
  Altro sistema è il monitoraggio dei siti informatici, monitoraggio che viene fatto ai fini dell'individuazione e quindi della cancellazione di quei siti che fanno propaganda, ma anche ad altri scopi quali il phishing che può essere fatto a fine di prevenzione per l'individuazione dei flussi finanziari. Se pensiamo ancora al passaggio del denaro da mano in mano o a cose di questo genere, ragioniamo da giurassici, se parliamo in termini informatici e magari ci rivolgiamo al nostro nipotino di 10-15 anni che ci sa insegnare l'uso del computer e di Skype molto meglio di quanto non sappiamo fare noi, allora sì che ragioniamo in termini moderni.
  È stato adottato il decreto-legge, n. 7 del 2015, che è estremamente importante; un provvedimento legislativo che va approfondito nel dettaglio dimostrando maggior coraggio, perché si è affrontato un Pag. 12problema fondamentale: per essere interlocutori in materia di terrorismo internazionale dobbiamo avere una forma di coordinamento che sia assolutamente efficiente.
  Il Parlamento quindi individua nel procuratore nazionale antimafia un settore che possa coordinare tutte le procure distrettuali, ma ciò non basta perché esistono dei settori dove è necessario non compartimentare i settori dello Stato. Faccio espresso riferimento ai servizi di sicurezza senza averne paura, perché dobbiamo uscire dalla ghettizzazione in cui a volte vengono relegati i servizi di sicurezza e quindi, così come questi partecipano al Comitato di analisi strategica (CASA) e possono recepire e quindi interscambiare con le forze di polizia le notizie utili alla prevenzione anche in termini di sequestri preventivi a fini patrimoniali, è bene che a queste riunioni partecipi anche un magistrato delegato della DNA e questo non sia una bestemmia.
  L'esercizio giurisdizionale non necessariamente deve essere avulso dal principio della conoscenza dei fenomeni, perché il magistrato deve valutare se l'esigenza dell'obbligatorietà dell'azione penale possa essere messa in secondo piano rispetto a un intervento con un provvedimento espulsivo nei confronti di una persona che può essere allontanata dallo Stato perché pericolosa e questo deve far parte della funzione di coordinamento.
  Non voglio ricordare che Al Baghdadi è stato arrestato negli Stati Uniti, è stato detenuto e poi liberato, per cui anche questo tipo di valutazioni, magari alcune fatte a Guantanamo di un certo ordine e altre fatte in altro modo, hanno subìto dei vulnus, perché altrimenti non ci troveremmo in queste condizioni.
  Dal 2001 al 2007 è stata adottata una serie di provvedimenti legislativi in Italia che ci rendono legislativamente armati sotto ogni profilo, che va dal proselitismo all'addestramento, all'adescamento, al finanziamento, al reato transnazionale, a tutte quelle cose che a chi ha vissuto il periodo del terrorismo interno sono assolutamente mancate. Adesso le abbiamo, dobbiamo metterle in pratica e la cosa principale è fare in modo che la conoscenza di questo fenomeno sia studiata approfonditamente e resa ostensibile a tutti quelli che fanno parte delle forze dell'ordine. Grazie.

  ALFREDO MANTICI, già Capo del Dipartimento analisi del SISDE ed oggi editorialista della rivista di geopolitica e sicurezza Look out news. Grazie dell'invito. Abbiamo messo molta carne al fuoco in questi due interventi. Maurizio Molinari ci ha dato una panoramica generale che potremmo definire geopolitica e di sicurezza internazionale, mentre Enrico Cataldi ci ha portato all'interno del territorio nazionale su cosa dobbiamo fare e come lo possiamo fare.
  Io non posso che sottoporvi in parte una ripetizione di cose che avete sentito viste da un angolo un po’ diverso. Cataldi ha detto che bisogna conoscere per decidere e Molinari si è chiesto che hanno fatto i servizi di informazione di fronte alle primavere arabe.
  Prima di arrivare a questo, vorrei ricordare a tutti che Hitler nel Mein Kampf ha scritto esattamente quello che avrebbe fatto quindici anni dopo, nella successione con cui l'ha fatta: presa del potere, Cecoslovacchia, Polonia e poi la Russia da schiavizzare per creare lo spazio vitale. L'ha scritto in carcere negli anni ’20 e quindici anni dopo ha fatto esattamente le cose che aveva detto, e tutte le discussioni prima della seconda guerra mondiale, prima di Monaco, vertevano sul dubbio che non avrebbe fatto quanto aveva detto, ma tutti tendono o provano a fare quello che hanno scritto.
  L'anno scorso abbiamo fatto un grande reportage sulla Tunisia, il Paese «più interessante» delle primavere arabe, perché è l'unico Paese che ha una solida borghesia laica, che ha delle tradizioni democratiche consolidate, a Tunisi ci sono ragazze con i fuseaux insieme a quelle con l’hijab, è l'unico Paese arabo uscito dalle primavere che oggi ha un governo di coalizione in cui sono presenti membri di Ennahda, gli islamisti, e partiti laici, quindi è l'unico Pag. 13esempio di primavera che ha avuto un certo successo.
  Abbiamo già parlato degli errori che abbiamo fatto, io ebbi a definire le primavere arabe la Pearl Harbor dell’intelligence occidentale: non un governo occidentale è stato avvisato dai propri rappresentanti all'estero, diplomatici e membri dell’intelligence, di società intere che si stavano per disgregare o stavano per esplodere, nessuno ha contribuito a far comprendere che cosa fossero le primavere.
  Se le riguardiamo con occhio freddo, sono state tutte lotte dinastiche, si è definita – il colmo dei colmi in Tunisia, in Libia, in Egitto – l'idea che ai padri succedessero i figli. Le classi dirigenti intorno ai centri di potere sono state le prime a fomentare rivolte e la società ha seguito. La cosa straordinaria è che tutta l’intelligence occidentale si è vista passare davanti questo fenomeno senza dire ai propri governi una sola parola.
  La stessa cosa mi viene in mente perché questa mattina, mentre preparavo un articolo ho riletto l'intervista che un anno fa abbiamo fatto a un membro salafita del gruppo Hisb-ut-tahrir tunisino, il quale a febbraio del 2014 ci ha parlato del Califfato (ne ha parlato prima di Al Baghdadi), ci ha detto che l'Islam come lo considerano loro è incompatibile con la democrazia perché tutte le leggi devono derivare dalla Sharia e ci ha detto il problema dei confini del Califfato.
  Il problema dei confini del Califfato non è uno scherzo perché (qualcuno di voi avrà avuto l'opportunità di vedere il documentario sul Daesh su Sky) quando la prima pattuglia di soldati del Daesh arriva sulla frontiera irachena e passa dalla Siria in Libano uno di quelli che noi consideriamo dei tagliagole fa un fine discorso geopolitico e dice: oggi abbiamo abbattuto le frontiere di Sykes-Picot, ossia le frontiere abbastanza ridicole a guardarle sulla carta geografica, fatte con il righello ad angolo retto, con le quali Francia e Gran Bretagna nel 1919 si sono spartite le spoglie dell'Impero ottomano, senza tener conto delle differenze religiose, senza sapere dell'enorme inimicizia tra sciiti e sunniti, senza sapere del ruolo delle tribù.
  Si sono scelti dei potentati locali e si sono fatte le frontiere. A questo punto per coerenza, se esistesse una coerenza politica che si trasferisce da una congiuntura storica all'altra, avremmo dovuto continuare ad appoggiare i potentati locali invece di tentare di esportare la democrazia, perché il risultato è stato questo.
  Noi abbiamo contribuito con la spinta ideologica, con il sostegno morale, con il sostegno politico e massmediatico a creare l'illusione in alcune parti di questo mondo che tutto si potesse risolvere con il sistema «un uomo, un voto», che funziona quando c’è la politica di mezzo, perché la politica è mediazione, è discussione, è battaglia che porta a un risultato. Quando la politica è religione, l'altro è un apostata, e per alcune religioni l'apostasia va punita con la morte. Come occidentali abbiamo commesso questo errore, nel secondo dopoguerra abbiamo combattuto alcune guerre che non hanno risolto i problemi per i quali sono state combattute.
  Mi riferisco al Kosovo che oggi è esattamente nelle condizioni in cui stava quindici anni fa, è un non Stato, c’è una non frontiera, c’è una non amministrazione, cioè non abbiamo risolto il problema; e in particolare all'Iraq, perché come coalizione occidentale abbiamo scatenato una serie di forze che venivano compresse da un regime autocratico e dittatoriale, e poi si sono hanno creato le premesse per quello che è successo oggi, come evidenziato da Molinari.
  Gli ultimi due presidenti del consiglio iracheni, Allawi e al Maliki, hanno emarginato da ogni posizione di potere la minoranza sunnita, che per sessanta anni era stata la classe dirigente del Paese, e hanno creato le premesse per la nascita di Al Baghdadi, che nasce militarmente dallo Stato maggiore di Saddam Hussein e dalla Guardia repubblicana.
  I grandi successi militari che hanno avuto in Siria e in Iraq con la presa di Mosul (a Mosul si sono impossessati della filiale della banca nazionale irachena con milioni di dollari dentro cash) nascono Pag. 14dalla cattiva gestione politica di una serie di situazioni locali che noi non abbiamo compreso.
  Il confronto in atto di cui ci stiamo occupando ha due grandi aspetti. Il primo è la grande guerra civile interreligiosa tra sciiti e sunniti, una guerra che si combatte in Siria e in Iraq, è una guerra che si combatte o si potrà combattere tra Iran, Arabia Saudita e Turchia, che sono i tre grandi fratelli che stanno dietro alle fazioni in campo.
  C’è una seconda guerra che è stato giusto sottolineare, che è quella all'interno del mondo sunnita, perché non sono tutti pazzi scriteriati (gli arabi sono stati grandi scienziati, grandi matematici, grandi filosofi, non sono pazzi), c’è gente che dice che il Corano non dice tutto questo, e la morte del pilota giordano è stata un sacrilegio nel mondo sunnita perché era un prigioniero e poi perché era un musulmano, due figure che Maometto vieta esplicitamente di trattare male.
  Vi rubo ancora cinque minuti. Vorrei ricondurre questo grande fenomeno, visto che a me piacciono i paragoni storici, a quello che è successo nell'Europa del ’600 con la Guerra dei trent'anni. Il problema della successione spagnola porta allo scontro fra luterani e cattolici, trent'anni, una pestilenza che spopola l'Europa e si arriva al cuius regio eius religio, io sono protestante e sto nella Germania del nord, tu sei cattolico e stai in Baviera, e così si è divisa l'Europa.
  Se vogliamo azzardare un'analisi di prospettiva, ricordiamo che con il Trattato di Westfalia una guerra che è durata trent'anni e che è scoppiata per motivi religiosi ha sancito l'uscita della religione dalla politica degli Stati nazione, che si erano formati. Il Papa non poteva più mettere in testa la corona di re e il clero protestante è stato rigorosamente tenuto fuori dalla politica, quindi una guerra di religione può portare alla nascita degli Stati nazione.
  Ha detto Molinari e sottolineo anch'io che la carta del Medioriente è cambiata e non tornerà mai più a quelle linee tracciate con il righello e con la squadra sui deserti dell'Arabia e dei Paesi vicini. Noi ci dobbiamo attrezzare a capire cosa dobbiamo fare dopo, anche qui possiamo prendere esempio dal passato: nel febbraio del 1945 la guerra in Europa non era finita e c'era il problema delle armi segrete che Hitler poteva riuscire a sviluppare, eppure nel febbraio del 1945, prima della fine della guerra, i tre grandi si sono riuniti a Yalta e hanno deciso cosa avrebbero fatto dopo.
  Noi finora non l'abbiamo fatto, non siamo andati in guerra contro la Jugoslavia sapendo cosa avremmo fatto dopo, non siamo andati in guerra in Iraq sapendo cosa avremmo fatto dopo e non siamo andati ad intervenire nelle primavere arabe, in modo sconsiderato a mio avviso, sapendo cosa sarebbe successo dopo. Eppure la possibilità di leggere il futuro c'era, perché è vero che il futuro non si può prevedere, però io mi posso spingere a dire che probabilmente il 15 agosto farà caldo, quindi esistono degli spazi di previsione del futuro, sono spazi deterministici ma esistono.
  Prevedere che togliere di botto un sistema arrogante e autoritario come quello di Gheddafi, che però grazie a una molto intelligente redistribuzione della rendita petrolifera aveva tenuto omogeneo un Paese fatto da tribù, etnie e religioni diverse, che toglierlo bruscamente dalla sera alla mattina poteva significare quello che abbiamo davanti oggi, laddove il dentifricio è uscito dal tubetto e non riusciamo a rimetterlo dentro.
  Chiudo con una riflessione (mi collego a Enrico Cataldi) su quello che dobbiamo fare. Anche qui siamo tutti vittime del nostro background professionale e culturale, quindi non mi muoverei prima di aver analizzato attentamente tutto quello che è successo in Europa dopo l'11 settembre. Tutti gli attentati che ci sono stati in Europa sono stati compiuti da cittadini europei o da cittadini di seconda generazione non ancora naturalizzati: in Spagna ha agito un gruppo di marocchini di seconda generazione, a Londra ha agito un gruppo di cittadini di Sua Maestà britannica iscritti al circolo del cricket e con il Pag. 15passaporto inglese, in Francia hanno agito due cittadini francesi recentemente naturalizzati.
  Prima di pensare di affondare i barconi perché con i barconi arrivano i terroristi, chiediamoci cosa dobbiamo fare di fronte a un fenomeno che si esprime su una spinta imitativa che viene da quel teatro, perché è chiaro che questi ragazzi si ispirano ai filmati degli sgozzamenti, degli omosessuali lanciati dalle torri, ai messaggi secondo i quali l'unica dignità è data dalla jihad, dalla lotta, non dall'Islam.
  Dobbiamo cominciare dal punto di vista della politica estera a riflettere attentamente prima di prendere decisioni come quelle di chiudere definitivamente delle porte, perché credo in base alle forze in campo che da qui a non tantissimo tempo dovremo aprire un canale di dialogo con Assad: non credo sia possibile ottenere contemporaneamente il risultato della caduta di Assad e del crollo del Daesh, la botte piena e la moglie ubriaca non si possono avere.
  Sul piano delle relazioni internazionali credo che vadano studiati con molta attenzione i fenomeni e che le diplomazie e i servizi che lavorano all'estero vadano sollecitati a capire di più come si evolvono le società in cui lavorano.
  Sul fronte interno credo che dovremmo riattrezzarci, senza paura di apparire razzisti perché è una cosa che non esiste. Ai tempi del terrorismo delle Brigate Rosse molti brigatisti si erano laureati a Trento, quindi l'Università di Trento poteva essere considerata un bacino di reclutamento, ma questo non significava che tutti gli universitari di Trento fossero terroristi attuali o potenziali.
  Lo stesso discorso secondo me andrebbe fatto nel circuito delle moschee, che è un circuito polverizzato, in gran parte illegale per mancanza di rapporto con le autorità italiane (solo la grande moschea è totalmente legale), ed è nel circuito delle moschee che i cittadini italiani o gli immigrati di seconda o di terza generazione possono trovare quella risposta al disagio sociale e anomico che spesso li può prendere come è successo in Inghilterra, e la risposta la trovano nel passaggio verso anelli concentrici di maggiore vicinanza alla jihad, all'interno della quale si discute di cosa fare.
  Per una legge quasi di scienza della guerra, finché il Daesh sarà impegnato militarmente sul terreno in Iraq, Siria, Libia con i suoi affiliati recenti, difficilmente avrà il tempo, le energie e la possibilità di dedicarsi a trasferte all'estero: può ottenere più facilmente il risultato con la propaganda attraverso i circuiti più interni al mondo delle moschee irregolari.
  Credo che questi siano i due aspetti principali e non voglio rubarvi altro tempo. Grazie.

  GUIDO OLIMPIO, giornalista del Corriere della Sera. Grazie per l'invito. Cercherò di essere abbastanza sintetico proponendovi delle schede.
  Intanto credo che oggi sia importante parlare di terrorismi e non di terrorismo: è una minaccia variabile, non sempre definita, non sempre uguale, i militanti si adattano, cambiano tattiche, non c’è un profilo netto, la famosa tattica americana del profiling oggi non si può applicare, come vediamo dagli episodi di Parigi, di Copenaghen, di Sidney, personaggi e figure completamente diversi con origini diverse.
  Questo chiaramente complica il lavoro delle forze dell'ordine e degli analisti. C’è poi un elemento personale in questo terrorismo che prevale: spesso è un individuo che si trasforma e decide di agire usando la politica, in certi aspetti (parlo con molta cautela) c’è un punto di unione tra lo sparatore di massa delle scuole americane e il terrorista singolo.
  La mia paura è che un domani negli Stati Uniti o in alcuni Paesi occidentali il singolo sparatore che prima uccideva nella scuola con un gesto di follia oggi lo faccia per un gesto di follia ma si ammanti di una bandiera del Daesh o di qualsiasi altro gruppo, perché credo che l'elemento personale sia alla base di molti di questi atti terroristici, è un innesco, è come se nella testa di questi elementi scattasse qualcosa, e ovviamente nessuno vuole apparire da Pag. 16solo, ma si vuole essere parte di una realtà molto più ampia.
  A questa realtà incerta, non ben definita si aggiunge la gara fortissima, la lotta, la rivalità spaventosa tra al Qaeda e Daesh, una rivalità a livello propagandistico ma che oggi vediamo anche a livello operativo di rivendicazione. Ogni volta che c’è un attentato comincia il balletto ipotizzando che sia stato al Qaeda o Daesh o un ibrido, come abbiamo visto a Parigi con addirittura due organizzazioni separate e rivali che in qualche modo si assumono la responsabilità.
  Questo quadro confuso ci porta ad alcuni aspetti operativi che vorrei sottolineare. Intanto le tattiche: il primo aspetto è il terrore urbano. Per molto tempo sotto al Qaeda il marchio era l'attentato suicida; si facevano esplodere su un autobus, in un ristorante, all'aperto in una piazza.
  Questo elemento rimane, però c’è sempre più la tendenza alla missione sacrificale, ossia una missione da dove non ritorni, che è comunque un'azione suicida, ma viene svolta con metodi completamente diversi. La si lancia all'interno di centri abitati (Parigi, Copenaghen).
  Per fare questo tipo di raid non serve un addestramento sofisticato e neppure un armamento pesante, è facile procurarsi le armi attraverso i canali della criminalità organizzata (trovare un kalashnikov in Francia o in altre città europee non è così problematico) e con queste armi puoi attaccare e sparare. Se non sei capace di costruire una cintura esplosiva, puoi colpire usando un mitra o una pistola.
  Si mette in crisi il sistema di sicurezza e si sparge il panico all'interno di una città, perché non si capisce dove sono, dove colpiscono, quanti sono, come hanno fatto ad agire. Abbiamo ancora tutti negli occhi le scene della macchina della polizia francese che indietreggia davanti a due militanti armati di kalashnikov.
  Sono inoltre obiettivi raramente protetti, perché un giornale o un negozio kosher non sono obiettivi, sono luoghi comuni che vengono colpiti e dove magari vengono presi degli ostaggi.
  C’è un elemento anche simbolico e religioso: queste azioni, questi interventi, queste incursioni sono una ripetizione di quanto facevano i guerrieri sacri all'epoca del Profeta. Nell'ultimo attentato di Tunisi le due rivendicazioni più o meno attendibili fanno riferimento a queste famose scorrerie, quindi c’è un elemento simbolico che dà maggior valore al loro gesto.
  È inoltre un modus operandi che può essere usato sia dal singolo individuo, dal famoso «lupo solitario» o dal branco di «lupi», quanto da una cellula strutturata.
  L'altro elemento sono gli obiettivi, i negozi o i giornali, obiettivi non abbastanza difesi, ma un altro elemento che sta emergendo è che oggi i terroristi vogliono prendere di mira le forze di polizia, i militari. Si tratta di una tattica che abbiamo visto usata in Pakistan e in India e che si sta cercando di riprodurre in Europa, come si è visto a Parigi e a Copenaghen.
  Questo ovviamente comporta due problemi. Il primo è un problema di sicurezza più generale, laddove il cittadino si chiede chi sia in grado di difenderlo se colpiscono anche la polizia. L'altro elemento è molto più delicato e importante e riguarda le stesse forze dell'ordine: noi schieriamo degli agenti per difendere obiettivi sensibili con il rischio che vengano presi di mira, quindi io non sono un militare ma credo che i militari e le forze di polizia debbano rivedere anche il sistema di tutela, quindi è un problema anche di addestramento e di equipaggiamento.
  Del resto, anche in Italia accadde all'epoca delle Brigate Rosse con i famosi attacchi contro agenti e carabinieri di guardia alle carceri o alle aule bunker dei tribunali.
  L'altro elemento interessante sempre sul livello operativo è la cellula familiare. È una vecchia storia, era già così negli anni ’90 con le cellule algerine, tunisine e marocchine presenti in Europa, ma sempre più di frequente i terroristi di qualsiasi tipo e di qualsiasi affiliazione, appartenenti a gruppi o meno creano delle cellule che sono basate sulla famiglia. Il complice è il fratello, i fratelli, la sorella, i cugini.Pag. 17
  Questo perché è più facile difenderla dalle infiltrazioni (è difficile che un fratello tradisca l'altro fratello) e al tempo stesso favorisce anche i contatti, in quanto ci possiamo incontrare perché è una riunione familiare, non devo dare conto a qualcuno durante l'interrogatorio del perché sono andato a casa di mio cugino.
  Altro elemento interessante che è emerso durante le inchieste italiane sul terrorismo islamico negli anni ’90: nei contatti telefonici io posso usare un codice che non è un codice, come «parlo di Mohamed quello della cascina», perché se parli in questo modo con tuo fratello sai benissimo qual è il Mohamed della cascina, non devi aggiungere altro. Se infatti avete conoscenza delle intercettazioni fatte dalle nostre forze di sicurezza, vedrete che molti dialoghi sono su questa base.
  Gli interpreti sono diversi, sono molto complessi, hanno profili ambigui. Abbiamo quelli che io chiamo «i nomadi della jihad», nomadi perché altamente mobili, hanno delle radici sociali o familiari non così solide e forti, a volte vivono ai margini, quando possono tra le aree di crisi e l'area europea, occidentale.
  Questo succedeva già in Afghanistan e in Pakistan, ma poi le cose si sono complicate, era molto difficile raggiungere quelle realtà e ovviamente farlo con l'Iraq, con la Siria, con la Turchia o comunque con le aree mediorientali. Non sempre questi nomadi hanno un legame forte con un movimento come al Qaeda o altri gruppi che sappiamo, ma certamente ne subiscono l'influenza via internet e comunque cercano di affiliarsi, cercano disperatamente di legarsi a queste realtà perché nessuno vuole apparire isolato, un loser, un perdente, ma vuole essere parte di un gruppo o di una realtà.
  Poi ci sono gli strutturati o i diretti da un'organizzazione (al Qaeda, Daesh, Hakim). Sono i veri operativi che abbiamo visto agire in Belgio, microcellule con una discreta esperienza militare o terroristica, che sanno smontare le armi, usare lanciagranate e bombe a mano, possono agire in modo indipendente o perché innescati. In Belgio così è stato: la cellula era composta da elementi diretti da un terrorista rifugiato in Grecia e malgrado questo sono riusciti a proteggersi e a raccogliere armi.
  Oggi sono gli elementi più pericolosi anche se sono interessati ad altro e fino adesso hanno colpito poco, e anche in Belgio per fortuna grazie alla vigilanza sono stati fermati in tempo, c’è stata un'indagine frutto di una cooperazione internazionale tra belgi, francesi, americani. Fondamentali le intercettazioni dalle quali è emerso come il capo della cellula li chiamasse tranquillamente dalla Grecia, quindi è vero che sono attenti, che usano sistemi protetti, ma è anche vero che fanno delle fesserie.
  A volte tendiamo ad attribuire ai terroristi doti di invincibilità, mentre non sono invincibili: i terroristi fanno delle sciocchezze e mi riferisco anche a tutte le storie sulla carta d'identità lasciata a Parigi dentro la macchina che ha dato adito a speculazioni e dietrologie, ma non sempre i terroristi sono intelligenti e chiunque abbia fatto inchieste o indagini sa benissimo che dalle BR in poi la storia del terrorismo è piena di episodi come questo.
  Poi abbiamo quelli che io chiamo «gli affascinati»: non c’è giorno, non c’è ora che non arrivi una notizia di soggetti partiti per raggiungere il Daesh. Tre ragazze sono partite dall'Inghilterra, due dall'Austria, due dalla Francia, ed è evidente che queste nuove leve sono persone che rimangono affascinate dal messaggio del Daesh, probabilmente sanno poco e lo hanno conosciuto via internet, sul web, però ritengono che il Daesh non sia solo un movimento di guerra, ma sia qualcosa di bello, una moda, per cui una volta si andava a Goa in India, mentre oggi pensano di trovare così il loro paradiso, la risposta a difficoltà magari obiettive, sociali, e abbiamo i racconti perché c’è una tendenza, un movimento molto forte di giovani e di adolescenti a volte neanche maggiorenni.
  Sappiamo tutti che usano prevalentemente il low cost, e sono usciti articoli e analisi sul fatto che comprano un biglietto per pochi euro e raggiungono senza problemi Pag. 18la Turchia. Oggi ritengo però che un'area da sorvegliare con molta attenzione sia la rotta terrestre, che passa per la Bulgaria, per la Turchia e magari passa anche dall'Italia. È più facile infatti scendere in Italia, prendere un traghetto per la Grecia, dalla Grecia raggiungere la Turchia e da qui i teatri di guerra.
  Questa è una tattica, sono vie che sono state usate per anni dalla metà degli anni ’90 per raggiungere altre zone, poi progressivamente dopo l'11 settembre queste rotte siriane sono state seguite dai terroristi. Si fa partire tutto dalla nascita del Califfato, ma queste rotte e questi collegamenti risalgono all'invasione americana dell'Iraq, è in quel momento che nascono delle strutture in alcuni Paesi per supportare la resistenza contro gli americani, e uno di questi Paesi è la Siria.
  La Siria che oggi vuole presentarsi come nostro partner ha contribuito bellamente in maniera oscena all'appoggio ai terroristi islamisti. Invito chiunque ad andare a leggere le inchieste svolte dai carabinieri e dalla polizia che hanno accertato la presenza di facilitatori, di elementi legati al qaedismo ad Aleppo e nelle zone di confine. Queste non sono mie interpretazioni, ma sono dati di fatto.
  Questo per dire che le strutture si passano, si ereditano: c’è un nuovo terrorismo che usa vecchie tattiche, un terrorismo molto furbo che ha imparato, cambiano i ruoli ma – ripeto – continua a seguire quello che gli hanno insegnato i padri.
  Poi abbiamo gli ibridi. Questa linea era già emersa sotto il qaedismo: sono nuclei eversivi che per certi aspetti si collocano a metà tra il lupo solitario o il branco di lupi, ma cercano un legame o agiscono sotto l'ombrello di un'organizzazione terroristica più ampia come al Qaeda o Daesh. In genere lo vediamo nel caso di un attentato, quando inizialmente si pensa a un'azione solitaria e dopo tre giorni la polizia scopre che non era un'azione solitaria, ma che l'attentatore aveva uno o più complici, come in Danimarca, dove l'esecutore dell'attacco ha agito da solo, ma ad oggi sono state già arrestate cinque persone, l'ultima pochi giorni fa.
  C’è poi il fronte del carcere. Chi è addetto alla sicurezza deve investire tantissimo nel fronte del carcere, perché il carcere è la palestra e il punto di reclutamento, il punto di contatto tra criminalità comune e terrorismo, le indagini di Parigi hanno fatto emergere che erano due elementi con piccoli precedenti penali, ma che poi in carcere sono stati allevati.
  Era così negli anni ’90, lo abbiamo visto anche in Italia, ci sono moltissimi esempi e quindi devono essere investiti denaro, risorse, uomini per monitorare quello che avviene in carcere. Purtroppo per ragioni pratiche gli elementi islamici sono concentrati in due o tre grandi prigioni, Macomer e Benevento, ma sarebbe forse meglio spargerli, dividerli e monitorare i contatti che hanno.
  Voglio infine ricordare un episodio che forse molti dimenticano. Era il 12 ottobre 2009, un cittadino italiano di origine libiche, Mohamed Game, decide di attaccare la caserma Santa Barbara a Milano, attentato fallito di un soffio. Il profilo di Game è estremamente interessante: era laico, aveva un lavoro, problemi familiari e di soldi, ha deciso di aderire. È andato in biblioteca, si è scaricato dei file da internet, ha studiato come fare una bomba e ha letteralmente preparato la bomba nella sua cucina di casa.
  Fortuna ha voluto che non avesse il fertilizzante adeguato, perché aveva trovato solo quello a basso grado e questo ha evitato una strage, è rimasto ferito soltanto lui. L'ho citato soltanto per dire come sia facile organizzare un attentato ed arrivare all'obiettivo viaggiando sotto rada.

  DANIELE RAINERI, giornalista de Il Foglio. Grazie. Io vorrei che vi rimanesse in testa una cosa da questo incontro, e porto a questo incontro le mie esperienze personali: che è molto facile, molto più di quanto realizziamo, contattare i capi e i gruppi islamisti. Sto parlando di Jabhat al-Nusra e dello Stato islamico.Pag. 19
  Faccio un esempio scemo che come tutti i ritornelli scemi vi rimarrà meglio in testa: se io fossi un siriano e dovessi contattare un italiano, Achille Occhetto, non saprei come fare, ma, se venissi qua a Roma e venissi qui in Parlamento, probabilmente in dieci minuti troverei il numero di telefono, l'indirizzo, le sue abitudini, e sarebbe facilissimo.
  È la stessa identica cosa laggiù. Io ho lavorato in Siria negli ultimi tre anni, sono andato avanti e indietro e mi sono reso conto di quanto è facile conoscere i capi dei gruppi islamisti, quanto è facile contattarli. Anche loro hanno i telefonini, che magari non portano addosso perché hanno paura degli strike aerei americani.
  Il famoso video del pilota giordano arso vivo nella gabbia è stato deciso da un «comitato media» formato da quattro persone, una di queste quattro persone si chiama Amr Al Absi, è un super terrorista siriano di trent'anni, una persona molto importante che ha invitato Al Baghdadi in Siria suggerendogli che con la guerra civile c'erano le condizioni ideali per far nascere un Califfato. Ad Aleppo a luglio ho incontrato molte persone che hanno sul telefonino foto con lui e il suo numero, che sapevano dove stava.
  Adesso ovviamente è più in clandestinità perché ci sono gli strike aerei, quindi tutto è diventato più difficile, ma il messaggio che vorrei che passasse è che stiamo sprecando un enorme capitale umano di contatti e di relazioni, snobbando la gente che sta sul posto, mentre basterebbe andare là e parlare con i siriani.
  Un'altissima percentuale di siriani è disgustata dallo Stato islamico, però ha avuto rapporti con loro, quindi potremmo scoprire molto di più di quello che sappiamo adesso. Questo perché, come si è detto, non è più un gruppo, ma è un esercito, un partito con le sezioni di partito, con le sezioni locali, basta andare là, presentarsi e parlare con loro.
  Noi non sappiamo nulla dello Stato islamico in Libia, o meglio non sapevamo nulla fino a due settimane fa, e lo Stato islamico in Libia sta operando almeno da settembre e ancora non si conosceva la gerarchia precisa. Due settimane fa un gruppo libico, la Katiba 166 di ribelli anti Gheddafi, ha iniziato gli scontri contro lo Stato islamico nella zona di Sirte.
  Dopo due giorni di scontri hanno perquisito i cadaveri dei combattenti morti dello Stato islamico e hanno trovato la lista con i capi, quindi ora abbiamo una lista con i primi dieci nomi di capi dello Stato islamico, e questo soltanto grazie alla gente del posto che ha fatto da sé.
  Nel mio lavoro mi sono reso conto che non stiamo ascoltando assolutamente questi attori locali, questa gente locale che conosce i nomi, che conosce i posti, che conosce singolarmente, perché è una cosa che sta andando avanti ormai da quattro anni, quindi loro hanno tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno, però noi non lo stiamo sfruttando.
  Questo capitale umano sta lentamente tramontando, perché per esempio in Siria tutti i contatti che avevo preso nel corso di questi anni stanno fuggendo nei campi profughi in Turchia, un paio purtroppo sono morti, è tutto un capitale umano che sta sparendo, si sta sparpagliando, per non parlare del fatto che anche i capi di questi gruppi terroristici hanno capito cosa sta succedendo e quindi sono sempre più in clandestinità.
  Dovremmo riuscire ad approfittarne, quindi, anche ai fini di questo incontro che verte sulle strategie preventive contro il terrorismo. Noi continuiamo a considerare questi gruppi come lo Stato islamico e Jabhat al-Nusra come qualcosa di esotico e lontano, mentre sul confine turco fanno parte della vita quotidiana, il vicino di casa ha avuto relazioni familiari con loro, è tutto molto più interconnesso di quanto sembra da qui.
  Anche dai titoli dei giornali sembra una cosa molto misteriosa, da gruppi sconosciuti, mentre laggiù tutti gli appartenenti a questi gruppi hanno un curriculum, hanno fatto il militare con qualcun altro, sono stati compagni di qualcuno nei campi di addestramento, andavano in moschea con qualcuno che oggi li ha lasciati per le Pag. 20loro idee estremiste ed è disposto a parlare. Questo funziona a un livello che non riusciamo a immaginare.
  In un recente caso di sequestro è stato molto facile contattare un comandante di Jabhat al-Nusra, il secondo gruppo di jihad in Siria.
  Il secondo messaggio che volevo dare oggi è che il tempo lavora contro di noi. Come già detto, questo sta sparendo. Tutti abbiamo presente la figura di John Cantlie, il giornalista britannico, ostaggio dello Stato Islamico, che realizza video molto angoscianti, costretto a fare il reporter per lo Stato Islamico da Aleppo e Mosul. Si tratta di video di propaganda, fatti per altro molto bene.
  Cantlie era stato sequestrato già una volta nel luglio del 2012, ma allora lo Stato Islamico embrionale non era abbastanza forte per tenerlo prigioniero e questa cattura fu uno scandalo nella zona di Bab al Hawa, cioè uno dei due valichi tra Turchia e Siria. Fu uno scandalo tale che il gruppo islamico fu costretto a liberarlo.
  Lo so perché in quel momento ero nella stessa zona e all'epoca lavoravo con il Syrian Free Army (SFA), che adesso ormai è scomparso perché i gruppi estremisti hanno preso il sopravvento. Mi ricordo che ci fu una campagna contro il sequestro. Prima hanno trovato dove lo tenevano e poi hanno convinto con le brutte gli islamisti a rilasciarlo, sostenendo che davano un cattivo nome alla rivoluzione e che loro erano molti di più.
  Questo era il luglio del 2012. La cosa funzionò perfettamente. Cantlie fu liberato e ritornò a fare il suo lavoro. Si sentiva talmente sicuro che ritornò in Siria a ottobre dello stesso anno e a novembre fu catturato in una zona poco lontana, ingannato dalla facilità con cui i non islamisti locali lo avevano liberato. C'erano i contatti e il rapporto di forza era nettamente a favore dei non islamisti.
  Purtroppo questo non è più possibile. È un chiaro esempio di come il fattore tempo sia importante. Queste occasioni vanno prese al volo, quando sono nelle loro fasi embrionali, preliminari. Se per la Siria e per l'Iraq un discorso del genere non vale perché, come dicono i militari americani, le cose sono fubar, cioè compromesse oltre ogni possibilità di rimediare, in Libia, invece, siamo ancora in questa fase embrionale.
  In Libia la maggior parte della popolazione è ancora disposta a contattarti, a darti informazioni e dirti dove sono i covi dello Stato Islamico perché non li vogliono. Prevale ancora il buonsenso contro un orizzonte, che vedono arrivare, molto simile all'Iraq. Sanno benissimo che lo Stato Islamico non sarà tollerato e quindi ci saranno raid aerei, incursioni, guerra. Nessuno, a parte la frangia più fanatica, vuole accettare su di sé il peso di una guerra.
  Eppure, anche in Libia stiamo lasciando che questa fase embrionale scivoli ineluttabilmente verso la fase del consolidamento, quella in cui lo Stato Islamico diventa imbattibile. Uno dei più grandi gruppi islamisti libici si chiama Ansar al-Sharia. Da almeno un mese gira una voce, ancora non confermata, secondo cui Ansar al-Sharia vorrebbe dare la propria fedeltà allo Stato Islamico e al califfo Abu Bakr Al Baghdadi.
  Se questo capitasse sarebbe un disastro perché adesso possiamo stimare in circa mille i combattenti dello Stato Islamico. Mille combattenti su camionette con i mitra sono nulla e infatti gli israeliani non sono così preoccupati. Ma se diventassero 20.000 sarebbero una forza in grado di occupare e imporre la propria legge su intere zone della fascia costiera, di occupare i pozzi di petrolio e di attrarre altri volontari.
  Il messaggio è che è molto facile contattarli e infatti, se dei ragazzini inglesi di quindici anni riescono a mettersi d'accordo con lo Stato Islamico per passare clandestinamente il confine sorvegliato dall'esercito turco, vuol dire che i capi dello Stato Islamico non sono molto difficili da trovare. La raccomandazione è che in Libia può essere ancora possibile una collaborazione con la gente locale per la ricerca delle informazioni. Il dare informazioni agli italiani si può trasformare in un lavoro.Pag. 21
  Quando mi trovavo ad Aleppo, scherzavo con i ribelli locali e dicevo che il loro benzinaio sapeva più cose della CIA. Un benzinaio di Raqqa, che ogni giorno vede quanti veicoli passano, con quante persone a bordo, con chi, se c’è o meno una scorta, ha una mole di informazioni a disposizione che i droni non ottengono facilmente per via delle difficoltà tecniche. I droni non possono volare ventiquattro ore al giorno. Lui invece li vede di prima di mano; vede le facce, conosce i nomi.
  Questo lavoro dovrebbe essere fatto a Sirte, a Derna e a Sabrata, la terza città libica dove lo Stato Islamico sta impiantando le sue basi, con un problema in più perché Sabrata è vicino alle installazione dell'ENI e questo inizia a toccare anche i nostri interessi nazionali.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i relatori. Esco da questa tornata di audizioni arricchito. Ogni relatore ci ha dato una chiave di lettura originale e autonoma. Abbiamo, quindi, un quadro molto più variegato di quello che possedevamo in precedenza.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA MANCIULLI. Ringrazio tutti perché ho ascoltato molte cose interessanti, che condivido in gran parte. Vorrei porre un problema.
  Sono molto d'accordo con l'enfasi con la quale Guido Olimpio ha parlato della competizione in atto fra «Al Qaeda core» e lo Stato Islamico. È una competizione un po’ strana perché ci sono non pochi casi nei quali – veniva citato al-Nusra in Libia, ma non è il solo – piccole organizzazioni stanno in un limbo di indecisione sulla parte con cui schierarsi. Questo non fa altro che aumentare la competizione, che è anche competizione di attrazione.
  A questo proposito mi preoccupa molto il fatto che si stia diffondendo una vulgata che identifica solo nello Stato Islamico il problema. In realtà pare abbastanza chiaro che, nella reazione di «Al Qaeda core», l'azione diventi l'elemento di contrasto della supremazia mediatica dello Stato Islamico. Questo, secondo me, è particolarmente visibile nella penisola arabica con la branca yemenita di Al Qaeda, quella che negli ultimi mesi è stata più attiva.
  Da questo punto di vista, l'ultimo attentato nello Yemen, se ne fosse confermata la matrice dello Stato Islamico, cosa che ancora non è del tutto certa, rappresenterebbe senza dubbio una novità. Sarebbe infatti il primo atto, dopo il colpo di Stato dei ribelli Houthi, per contrastare Al Qaeda nello Yemen. Fino a oggi nessuno ci aveva provato perché Al Qaeda è una forza e, soprattutto dopo il colpo di Stato, ha dato segni di vita.
  Vengo al punto. Sono molto preoccupato di un'altra cosa. È evidente che Al Qaeda sta provando, in un rapporto rinnovato con i talebani e avendo un'ossessione per il quadrante siro-iracheno, a riaprire con forza lo scenario Af-Pak per aprire un doppio fronte e insidiare la vera novità rappresentata dalla guerra convenzionale che lo Stato Islamico ha innescato.
  Io penso che questo sia un punto sul quale bisogna concentrarsi perché i segnali ci sono. Anche oggi c’è stato un attentato dei talebani che ha ucciso alcuni bambini durante una partita di cricket. C’è stato l'attentato alla scuola di Peshawar e quello alle due chiese. Sono inoltre segnalate frequenti riunioni nelle varie madrasse che si trovano nella zona pachistana di confine.
  Penso che questo sia un punto del quale nessuno parla, ma del quale presto dovremo occuparci perché a mio avviso sarà il terreno sul quale Al Qaeda proverà a spostare l'attenzione e riequilibrare.
  Il generale prima citava il documento di Bin Laden del 1998. Penso sia giusto, ma non dimenticherei nemmeno quello del 2004. Il documento di Bin Laden del 2004, quello per un nuovo ordine mondiale, più dell'altro si occupa degli Stati e soprattutto degli Stati arabi «moderati» – metto tra virgolette la definizione che a me non piace – e teorizza l'attacco a quegli Stati.Pag. 22
  Quello è anche il documento che comincia a mettere in luce la differenza di analisi e di prospettiva tra lui e Al-Zawahiri, che secondo me, in base agli interventi che ho sentito, è stato un po’ sottovalutato. Al-Zawahiri non è una figura a sé. È l'internazionalista del movimento, quello che ha teorizzato per primo il franchising e il vero elemento di scontro con lo Stato Islamico, con Al-Zarkawi e la formazione dello Stato islamico che agisce sul territorio.
  Quel tipo di formazione è molto minacciosa perché più di tutte le altre ha teorizzato i lupi solitari e l'auto-addestramento, che a mio avviso non avviene più nelle moschee. Per il lavoro che faccio alla NATO vedo cose di tutti i Paesi e ormai siamo in una fase molto evoluta. Sono d'accordo con Guido Olimpio. Siamo a metà tra un fenomeno di moda che intercetta adolescenti alla ricerca di loro stessi oppure delinquenti.
  Da questo punto di vista, penso che occorra fare attenzione perché, se non si capisce bene questo, si finisce per cercarli dove non sono.

  MARIO MARAZZITI. Grazie. Mi tratterrò dal sottolineare le tantissime cose che ci avete aiutato a far entrare nel nostro background. Vorrei solo raccogliere l'ultima osservazione di Raineri sul fattore tempo.
  Il fattore tempo è decisivo e quasi tutta la storia recente mostra che per ora abbiamo sempre perso le occasioni. Penso al documento del 2011 che è stato letto e di cui abbiamo chiesto la fonte. Era solo per sapere se fosse italiana o americana o altro, non perché volessimo conoscere la fonte. Oggettivamente colpisce per il fatto che descrive in maniera cronachistica quello che sembrava allora, ma veramente non diceva nulla del reale. È un grave problema perché tutta quella roba delle primavere arabe è stata enfatizzata in maniera tale da portare l'Occidente a compiere tutte le scelte sbagliate che poteva fare in pochissimo tempo.
  In sintesi, mi sembra importante che diventi patrimonio comune l'osservazione che voi facevate sul fatto che il primo obiettivo del Califfato è quello di raccogliere l'egemonia dentro il mondo islamico e che quindi l'intervento, casomai, sarebbe in due fasi. Detto questo, il problema è laddove questa egemonia il Califfato non ce l'ha ancora. Credo che dobbiamo porci questo problema, perché lì forse è più attaccabile, nonché il problema di quali siano i comportamenti giusti o sbagliati che possiamo assumere.
  Dobbiamo favorire il fatto che chi ancora non è «califfizzato» non lo diventi. Quali sono i comportamenti sbagliati che, in Libia o in altri posti, l'Occidente ancora può tenere e che potrebbero accelerare questa «califfizzazione» ? Ovvero quali sono i comportamenti giusti e dove è giusto applicarli in tempi rapidi per interrompere questo processo ?
  Questo mi sembra il punto su cui le politiche estere e di difesa occidentali dovrebbero ragionare. Esistono, per esempio in Iraq, in Siria o altrove, posti in cui i combattenti non siano ancora in maggioranza islamisti o membri di Al Qaeda o Al-Nusra e simili ? Se lì è ancora possibile immaginare accordi separati, allora bisogna farli presto perché più tempo passa più questi si radicalizzano. È il discorso che faceva Raineri: prima la maggioranza apparteneva al cosiddetto FSA e dopo un anno era tutt'altra cosa. Bisognerebbe avere delle analisi e una mappa che mostri la geografia di queste maggioranze o dell'esistenza di enclave per poter compiere azioni immediate. Questo è ciò che io ritengo.
  In terzo luogo, la competizione tra Al Qaeda o gruppi simili e il cosiddetto Califfato, ritengo che sia una competizione vera, ma solo finché uno non vince. Poi vale il fattore attrazione. È un discorso che riguarda il mondo arabo e islamico. La forza del vincente è la forza del vincente ed è una forza attrattiva, che non si esaurisce nel distruggere e sottomettere. È un elemento da tenere presente sempre nell'ottica del fattore tempo.
  Per concludere, mi sembra che l'Italia dovrebbe utilizzare con serietà il discorso su carceri e moschee. Mentre non mi Pag. 23sembra che abbiamo il problema delle invasioni islamiste e «califfiste» attraverso il Mediterraneo, penso invece reale il discorso che ci è stato fatto da più di uno di voi sul problema endogeno. Trovo giusta l'osservazione su Goa, l'India oppure Che Guevara, nel senso della rivoluzione assoluta e radicale.
  Credo che in carcere non si compia un lavoro sistematico né per migliorare le condizioni né per comunicare versioni realistiche e spiegare a chi sta in un mondo separato, come quello del carcere, ciò che sta succedendo nel mondo. I fatti di Parigi, le manifestazioni di mezza Europa per sostenere una posizione fortemente estremista occidentale a favore delle vignette sono il mondo europeo contro l'Islam ? Dentro il carcere la rappresentazione di questo è molto strana. Occorrerebbe fare un lavoro sistematico dentro il carcere. Lo fanno alcuni amici miei, ma penso che dovrebbe essere fatto dall'Italia per parlare, raccontare e spiegare, dal momento che sono mondi separati.
  Da ultimo, c’è il problema delle moschee. In Italia era stata fatta nascere una consulta per l'Islam dal Ministero dell'interno e quando ero più giovane me ne sono occupato. Il Ministro era Pisanu. Questa consulta è stata resa evanescente e poi chiusa. Con tutto il rispetto verso i tanti colleghi presenti, la Lega, Maroni e una gestione di tanti anni da parte di un centrodestra meno illuminato di quello rappresentato all'epoca da Pisanu hanno fatto sì che non avessimo nemmeno quella, quando è ovvio che dovremmo avanzare alle moschee alcune richieste, cosa possibile solo se le finanziassimo.
  Nella misura in cui si lascia il finanziamento delle moschee totalmente al di fuori dei circuiti, senza nemmeno monitorare i flussi di denaro, il rischio che alcune delle moschee marginali possano essere sotto l'influenza di altri aumenta. Ritengo che sarebbe serio per un Paese come il nostro decidere una linea strategica unitaria su questo e costruire percorsi normali e legali che diventino anche di monitoraggio, di avanzamento di richieste e così via.
  È un appello a chi tende a dire: «Mai un soldo per un musulmano in Italia».

  GIANLUCA PINI. Appello respinto. Ringrazio i nostri ospiti per i punti di vista e le analisi così diversi tra loro ed eterogenei, in alcuni casi anche non condivisibili.
  Dire che le primavere arabe si sono verificate nella totale indifferenza o ignoranza da parte dell’intelligence, quando conosciamo bene il coinvolgimento di alcune intelligence in talune operazioni, è un'espressione forte da riportare all'interno di un'istituzione. Però sorvoliamo. Purtroppo è accaduto e ne paghiamo tuttora le conseguenze.
  Ho alcune brevissime domande. La pista Daesh a Tunisi: sì o no ? Qual è la valutazione delle persone che abbiamo chiamato qui oggi a darci un contributo per capire quello che sta avvenendo ?
  In secondo luogo, ci sono stati recentemente alcuni interventi sulla stampa internazionale – cito su tutti Luttwak e Thomas Friedman – che addirittura hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica la teoria secondo la quale il Daesh sarebbe utile a bilanciare l'Iran e quindi non andrebbe distrutto. Cosa ne pensate di questa teoria, che io ritengo alquanto agghiacciante benché cinica ?
  Raineri diceva giustamente che non ascoltiamo. Noi siamo legislatori. Qui non ci sono membri del Governo. Quale contributo, secondo Lei, possiamo dare alla formazione delle norme in approvazione in queste ore relativamente sia al decreto missioni sia alla legge-quadro sulle missioni internazionali ? Ha proposte specifiche per rafforzare questo tipo di operatività sul territorio, posto che noi ci limitiamo a creare norme ? Le norme non fanno le persone operative o intelligenti, ma possono sicuramente agevolare.
  Da ultimo, mezz'ora dopo l'incidente dell'aereo della Germanwings – appena atterrato sono stato colto di sorpresa dalla notizia – una serie di siti legati alla jihad islamica inneggiava a questo incidente benché non abbia probabilmente nulla a che fare con un attentato, o per lo meno Pag. 24non abbiamo notizie in questo senso. Che lettura date del fatto che, anche quando non si tratta di un fatto violento o cruento compiuto nei confronti dell'Occidente, ci sono comunque fanatici della jihad che si compiacciono di stragi come questa ?

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ho notato anch'io che le posizioni sono state eterogenee soprattutto sulla natura del Daesh. È quello che mi interessava, anche perché, grazie al presidente Cicchitto, questa Commissione ha assistito a un'altra audizione interessante, cioè quella del Dottor Quirico.
  Tra le varie posizioni che emergono oggi, alcuni parlano di evoluzione. Ho sentito il generale Cataldi parlare di evoluzione da Al Qaeda a Daesh e spiegare anche quale sia. Alcuni, quindi, vedono una distinzione; altri, invece, la vedono come una continuità.
  L'ipotesi di Quirico è molto interessante. È una di quelle che in questo periodo lancia il messaggio più preoccupante, ma proviene da chi è stato sul territorio. Il proselitismo del Daesh che si fa Stato è un proselitismo che colpisce le giovanissime generazioni. Gli attentatori che abbiamo visto sono infatti tutti ventenni. Non si tratta di persone di bassa cultura, ma c’è una classe media dirigente acculturata che sta gestendo e dirigendo questo fenomeno terroristico-jihadista. La cosa che a me colpisce molto è che in vari Stati e in varie aree si verificano conflitti puntiformi ma connessi da una visione politica globale, cioè il Califfato.
  È una visione, secondo me, molto diversa da quelle che ho sentito oggi nelle audizioni e senz'altro più preoccupante dal punto di vista dei possibili effetti, risultati e conflitti. Agli auditi chiedo come vedano la questione Daesh inteso non come una holding, com'era il franchising di Al Qaeda, bensì come una rete che si connette laddove c’è una visione politica. Secondo me è molto più preoccupante.
  Passo alla seconda domanda. Qualcuno ha sottolineato una cosa per me assolutamente rilevante. Già dopo gli attentati negli Stati Uniti del settembre 2001 il tema fondamentale su cui l'Occidente ha fallito è stato quello del finanziamento al terrorismo. Ancora oggi ho sentito il generale Cataldi dire che è un tema importante sul quale bisognerebbe mettere in piedi una serie di strumenti diversi da quelli che sono stati usati nel passato. Ha ragione. Nel passato si teneva molto in considerazione la zakat, cioè l'elemosina nelle moschee fatta di piccole somme, e infatti con l'operazione di freezing riuscimmo a congelare soltanto piccole somme.
  Oggi ci troviamo di fronte un fenomeno che anche alcuni di voi hanno sottolineato essere gestore di una serie di traffici, tutti illeciti, che però consentono un finanziamento abbastanza importante, oltre al finanziamento proveniente da alcuni Stati, che nel conflitto intra-sunnita e tra sciiti e sunniti è molto presente. Quali potrebbero essere questi strumenti ? Quali ipotesi possono aiutare il legislatore, visto che il decreto-legge antiterrorismo ancora deve arrivare in Aula ?
  L'ultima domanda è per il giornalista Raineri. La prima cosa che mi ha colpito è stata la sua conoscenza del territorio. Ci ha fatto capire che negli ultimi anni ha lavorato molto in Siria. Mi sembra che Lei abbia sostenuto che gli strumenti per il monitoraggio del web eccetera vadano bene, ma che la vera intelligence si fa sul campo. Servono cioè gli uomini che nelle diverse aree ascoltino, ad esempio, il benzinaio.
  Viva la HumInt, quindi. Mi sembra questo il messaggio che Lei ci ha dato. Ci ha fatto anche capire che la HumInt non c’è o perlomeno che quella che c'era e gli informatori che avevamo si stanno perdendo sul campo. In Libia qualche possibilità ci sarebbe ancora. Spero di aver ben capito.
  Posso farle una domanda ? Lei era insieme alle due cooperanti durante il passaggio dalla Turchia alla Siria. Può raccontarci qualcosa di ciò che è avvenuto ? So che c’è un'indagine della magistratura. Ovviamente Le chiedo solo ciò che può raccontarci.

  VINCENZO AMENDOLA. È tutto scritto sul giornale, su «Il Foglio.»

Pag. 25

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Non avendo letto il suo articolo, posso chiedere ? Sono incuriosita.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  ENRICO CATALDI, generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo. Se posso comincio io, così da fare una rapida carrellata.
  Per quanto riguarda l'osservazione dell'onorevole Marazziti circa i colloqui in carcere, il disegno di legge in approvazione dà la possibilità ai servizi di sicurezza di svolgere colloqui informativi. Questo significa andare a parlare in carcere. Più brutalmente significa aprire un dialogo. Per essere ancora più chiari significa farsi dei confidenti.
  Quanto alla dichiarazione di Bin Laden richiamata dall'onorevole Manciulli, vorrei leggere il documento del 1998: «Chiamiamo, se Dio lo permette, ogni musulmano credente e desideroso di essere ricompensato da Lui a ottemperare all'ordine di Dio e ad uccidere gli americani e saccheggiare i loro beni, ovunque si trovino e in ogni momento». Tutto questo non presuppone un'analisi particolare. È del tutto evidente.

  ANDREA MANCIULLI. Questa stessa affermazione è contenuta anche nel documento del 2004: pagina 2, capoverso 4.

  ENRICO CATALDI, generale dei Carabinieri in congedo ed esperto di terrorismo. La differenza è che il 2004 viene dopo il 2001, mentre il 1998 è prima. Questa era la valutazione.
  Relativamente a ciò che diceva l'onorevole Calipari sulla competizione e il dualismo tra Al Qaeda e Daesh, io ho valutato, in base ad aspetti del passato, che si tratti di un'evoluzione. Le differenze tra l'Al Qaeda clandestino, holding del terrore, e colui che sta sul campo e ne è padrone sono facili a dirsi. Mentre Al Qaeda si pone il problema del proselitismo per arruolare, Daesh ha solo il problema di arruolare perché ha una casa dove ricevere. È più facile.
  Il finanziamento del terrorismo è un altro aspetto che la legge attribuisce alla potestà di coordinamento e di intervento, anche a titolo preventivo, delle procure distrettuali e del Procuratore nazionale antimafia.
  È un aspetto importante. Bisogna essere molto chiari su come si alimenta il terrorismo. Non è con la zakat né con la hawala, ma con sistemi più lucrosi e redditizi, come il narcotraffico, il traffico delle armi e tutto ciò che possiamo pensare di delittuoso. Bisogna fare anche attenzione alle corruttele che vengono chiamate «commissioni» e sono soldi che palesemente o meno, magari scoperti dopo, alimentano questo tipo di attività.
  Siccome abbiamo imprese operanti su questi territori, è facile che esse provvedano a contribuire e per questo devono essere perseguite.

  ALFREDO MANTICI, già Capo del Dipartimento analisi del SISDE ed oggi editorialista della rivista di geopolitica Look out news. Tenterò di andare in ordine.
  La riapertura dello scenario afghano-pachistano è un'altra delle previsioni come quella che il 15 agosto farà caldo. È una previsione facile perché con il disimpegno totale della coalizione occidentale è difficile che i talebani vengano contenuti ulteriormente.
  Su Al-Zawahiri ho un'opinione che mi sono fatto analizzando tutta la sua carriera. È stato il numero due che non ha ereditato il posto di numero uno alla morte del numero uno. Al-Zawahiri ha puntato tutto su Morsi e sui Fratelli musulmani e, nel momento in cui Morsi ha vinto le elezioni e per un anno ha governato, Al-Zawahiri ha fatto due dichiarazioni. La prima è che la primavera araba l'avevano inventata loro e la seconda è che tutto il sostegno andava a Morsi, quindi a un'istituzione «secolare» qual è un governo.
  Al-Zawahiri in questo momento non lo vedo né come capo di Al Qaeda né in grado di uscire dai limiti del marchio di Al Qaeda. Al Qaeda ha avuto una vita operativa molto regolare quando c'era Bin Laden che dava 2.000 dollari al mese a Pag. 26ciascun militante. È stato scritto, sempre da Luttwak, che con la morte di Bin Laden Al Qaeda avrebbe continuato più forte di prima. Ebbene, l'Al Qaeda di Bin Laden non esiste più, tant’è vero che è emersa l'Al Qaeda predona e predatoria della penisola arabica o l'Al Qaeda sciattona del Mali e dell'Algeria.
  L'Al Qaeda organizzata militarmente, quella che ha mandato cinque operativi in territorio avversario a studiare come fare un attentato come quello alle Torri Gemelle – non dimentichiamoci che cinque operativi si sono installati negli Stati Uniti per tre anni prima dell'attentato – non esiste più. Al-Zawahiri apparteneva a quella Al-Qaeda.
  Per me oggi Al-Zawahiri è un fallito e credo che sconti anche quel tanto di razzismo dei sauditi e di quelli della penisola arabica per il non perfetto arabismo degli egiziani. Al Qaeda oggi è qualcosa di diverso, che ha articolazioni regionali più o meno efficienti e più o meno operative, come Al Qaeda nello Yemen, mentre Al Qaeda nella penisola arabica è stata smantellata dai sauditi.
  Alla domanda secca sulla pista Daesh a Tunisi io risponderei di no. Tunisi nasce dal ventre profondo del salafismo tunisino, che come dicevo prima ha anticipato Al Baghdadi nella definizione del Califfato. A parte tutta la propaganda, a parte tutte le rivendicazioni che tendono a dimostrare che Daesh è ormai diventata una sorta di armata delle tenebre presente ovunque, il massacro del Bardo è un problema tunisino, che devono risolvere i tunisini. E i tunisini hanno cacciato via il capo della polizia e i capi dei servizi nelle ventiquattro ore successive.
  L'onorevole Marazziti chiedeva quali siano i punti di intervento e come ci comportiamo dove Daesh non ha l'egemonia. Noi non siamo una potenza imperiale, né siamo una potenza coloniale. Non mandiamo le cannoniere. Magari ci accodiamo quando le manda qualcun altro. Io credo che, come azione geopolitica regionale, in questo momento il nostro Paese, in perfetta autonomia, possa dare tutto il sostegno di cui hanno bisogno Egitto, Giordania e Tunisia. Si scelgono gli interlocutori istituzionali e si lavora con loro.
  Sono più perplesso rispetto all'idea di identificare e lavorare con i gruppi. Non ricordo chi ci ha posto la domanda. Nelle guerre civili è difficilissimo inserirsi nelle dinamiche tra gruppi perché si rischiano strumentalizzazioni. È quello che è successo nella fase iniziale della rivolta in Siria. Gli americani non hanno capito con chi parlavano e armi americane sono finite anche nei depositi del Daesh.
  Luttwak e Friedman sono famosi per le loro analisi provocatorie. È difficile dare una responsabilità o attribuire un nesso di causalità diretto tra eventi che stanno accadendo. Faccio un discorso paradossale. In questo momento l'unico a guadagnare veramente da ciò che sta succedendo in Medio Oriente è Israele perché ogni giorno le fila dei suoi nemici si assottigliano. Siano essi i siriani, siano essi gli hezbollah, siano essi Hamas, siano essi i palestinesi che sono andati a combattere, ogni giorno i suoi nemici diminuiscono. Qui salta fuori Luttwak che dice che la colpa è tutta di Israele. Questo determinismo non mi ha mai affascinato.
  È sicuro, dai racconti che ci ha fatto Raineri, che la Turchia guardi al fenomeno con una certa disattenzione voluta, sennò questo va e vieni di foreign fighters a cavallo del confine non sarebbe così facile. È sicuro che la Turchia sia molto preoccupata per la crescente importanza dei curdi, che si stanno guadagnando sul campo il diritto ad avere uno Stato quando tutto sarà finito. È una cosa che alla Turchia fa una paura sacrosanta. È sicuro che la Turchia sia in competizione con l'Iran. Tuttavia, legare con nessi di causa-effetto questi comportamenti politici mi sembra una forzatura tipica dei vezzi analitici americani, che sono a volte molto rozzi.
  L'esultanza per le stragi è una tradizione. Fece molto imbarazzo nel mondo palestinese la scena, mandata in onda dalla CNN subito dopo l'abbattimento delle Torri Gemelle, delle signore che offrivano pasticcini agli automobilisti fermi ai semafori per festeggiare. Questo Pag. 27purtroppo appartiene a un'antropologia culturale tipica. Non gli darei un particolare significato.
  L'onorevole Calipari parlava di continuità. Il racconto di Quirico non si può mettere in discussione perché è fatto sulla sua pelle, ma è evidente che loro si rivolgono ai giovanissimi, che sono i meno strutturati e i più sensibili a una visione politica elementare, più che globale. Il messaggio infatti è elementare.
  Daesh, più che una holding, è oggi una rete al momento ancora informale. Il nucleo di Daesh nasce dallo stato maggiore dell'esercito di Saddam Hussein. L'ostrica da cui la perla Daesh è venuta fuori è lo stato maggiore di Saddam Hussein. Con la forza della mediazione dei media è diventata una rete con un insieme di teste. Credo che abbia ragione Raineri quando dice che dovremmo puntare sul fronte che in questo momento può essere più sensibile e più aggredibile, cioè la Libia. Noi ce li siamo figurati sempre come eserciti sterminati, ma credo che le valutazioni più ottimistiche dal punto di vista del Daesh nel teatro siro-iracheno non vadano oltre i 40.000 armati.
  Tenete presente che a Sadr City a Baghdad abitano due milioni di sciiti, con i maschi tutti armati. Il confronto vero ancora non c’è stato. Come dicevo all'inizio, cuius regio eius religio: nessuna delle due forze ha intenzione di sconfinare nel territorio naturale dell'altra. La provincia di Al Anbar è sunnita ed estremista da sempre. Il centro-sud dell'Iraq è sciita.
  A Bassora Daesh non arriverà mai, così come l'armata del Mahdi non arriverà mai a Tikrit o nell'Anbar.

  GUIDO OLIMPIO, giornalista del Corriere della Sera. Sarò rapido e risponderò ad alcuni a braccio.
  La rivendicazione per Tunisi sembrerebbe attendibile, ma nella rivendicazione del Daesh non c’è un singolo elemento cronachistico che permetta di stabilire un legame vero. Le ultime interpretazioni sostengono che forse è stata fatta da qualcuno che prima apparteneva alla famosa brigata Uqba ibn Nafi e che si è staccato per aderire al Califfato, ma sono solo ipotesi che valgono come altre.
  Il finanziamento del Califfato è differente dal finanziamento che aveva Al Qaeda. Sappiamo che il Califfato e altri gruppi si finanziano con i traffici che avvengono nelle regioni dell'Iraq, della Siria, della Turchia. È un po’ difficile per i Paesi occidentali intervenire e stroncare il traffico. Come possiamo impedire che Daesh raccolga le tasse che impone sui camionisti che transitano in quella zona ? È difficile.
  Gli americani, tanto per darvi un'idea, pochi giorni fa hanno diffuso i bersagli distrutti nei raid. Ebbene, ci sono circa 270 pozzi o siti petroliferi distrutti. Quello è stato un tentativo degli americani di sottrarre al Daesh una fonte importante perché sappiamo che questo petrolio è stato venduto. Tuttavia è molto complicato poter intervenire e agire.
  Certamente, secondo me, bisognerebbe fare maggiori pressioni sui donatori, ammesso che riusciamo a scoprirli. Ci sono tanti sospetti, ma le prove certe non le abbiamo. Bisogna fare pressioni anche sulla Turchia. Il grande movimento di jihadisti non potrebbe avvenire senza, non dico la complicità, ma questa linea troppo morbida da parte dei turchi. Credo che ai turchi andrebbe chiesto conto di questo.
  Sottolineo un altro aspetto a proposito dei partner. Dove noi abbiamo un partner concreto, abbiamo successo. Basta vedere i curdi. Il movimento curdo in Siria non solo ha resistito a Kobane, ma ora è all'offensiva, se pure nei suoi limiti e nei limiti dell'area curda perché oltre non può andare. Ha comunque dimostrato che ci può essere una collaborazione fattiva che porta risultati. Un intervento molto limitato rispetto agli standard americani ha permesso di stoppare e infliggere una sconfitta piuttosto pesante al Daesh.
  Da ultimo, è vero che Daesh si sta allargando, ma secondo me si sta facendo troppi nemici. Chi lo ha preceduto, Al Zarkawi, aveva molti meno nemici, ma ha cercato di fare il passo più lungo della gamba e ha pagato. Credo che Daesh in questa fase si stia creando troppi nemici e non so se riuscirà a fronteggiarli e a tenere Pag. 28testa a tutti, non soltanto in campo occidentale ma anche nel mondo musulmano. Da qui forse deriva la necessità di trovare dei partner, quando è possibile e ammesso che esistano, per fermare il Daesh.
  Detto questo vi saluto e vi ringrazio per il tempo che ci avete dedicato.

  DANIELE RAINERI, giornalista de Il Foglio. Sarò brevissimo. Sulla Tunisia, se dovessi scommettere il mio stipendio, direi di sì. La rivendicazione è arrivata da una fonte internet che è la stessa fonte internet da cui è arrivata anche la rivendicazione dell'attentato di venerdì nelle due moschee di Sanaa attraverso l'ufficio informazioni del Wilayat di Sanaa, la capitale yemenita (il Maktab al Alami Wilayat Sanaa in arabo).
  Ho tradotto il messaggio di Tunisi e mi sembrava molto attendibile. Riportava i nomi. Se dovessi scommettere il mio stipendio, risponderei che è lo Stato Islamico. Non è mai successo che lo Stato Islamico facesse una rivendicazione poi smentita. Non è un giornale italiano: Daesh è serio.
  Ricordo Kayla Mueller, l'ostaggio americano ucciso a fine gennaio a Raqqa. Lo Stato Islamico disse che era morta e in redazione ebbi una discussione perché sostenevo che se dicevano che era morta era morta e infatti era vero. Tendo a fare affidamento su queste rivendicazioni.
  La tesi di Luttwak, ossia facciamoli scannare fra loro che è meglio così, secondo me è una scemenza di dimensioni incredibili. Non stiamo parlando di un'arena chiusa in cui i due nemici si affrontano fino al consumo reciproco. Più va avanti questa guerra, più arriveranno volontari dall'esterno, come kazaki o malesi.
  Se questa guerra si fosse conclusa nel 2012 saremmo tutti contenti, per primo Luttwak che direbbe che si sono ammazzati fra loro. Ma non è un film western. Non è il finale de Il buono, il brutto, il cattivo. Purtroppo, più fanno la guerra, più arrivano volontari, più diventano potenti e più arrivano altri volontari. Così è stato negli ultimi tre anni.

  PRESIDENTE. Non è la prima volta che Luttwak scrive delle fesserie.

  DANIELE RAINERI, giornalista de Il Foglio. Luttwak attrae con queste sue tesi.

  MARIO MARAZZITI. Come la sua teoria sulla polizia e le bande di Chicago...

  DANIELE RAINERI, giornalista de Il Foglio. Proposte specifiche da fare al legislatore non ne ho. Il mio era soltanto un grido di dolore: ascoltiamo il benzinaio di Raqqa perché ha molte cose interessanti da dirci. Era solo una notazione generica.
  Infine, su Greta e Vanessa non vorrei sembrare scorbutico, ma ho davvero scritto tutto in un articolo che è stato pubblicato il 17 gennaio su Il Foglio. Capisco che Il Foglio non è il New York Times, ma è tutto scritto lì.
  Non c’è ragione che io vi trattenga oltre.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.45.