XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 7 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Manciulli Andrea , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PROIEZIONE DELL'ITALIA E DELL'EUROPA NEI NUOVI SCENARI GEOPOLITICI. PRIORITÀ STRATEGICHE E DI SICUREZZA

Audizione del Segretario generale dell'OSCE, Ambasciatore Lamberto Zannier.
Manciulli Andrea , Presidente ... 2 
Zannier Lamberto , Segretario generale dell'OSCE ... 2 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 6 
Scotto Arturo (SEL)  ... 6 
Scagliusi Emanuele (M5S)  ... 6 
Tidei Marietta (PD)  ... 7 
Cassano Franco (PD)  ... 7 
Farina Gianni (PD)  ... 7 
Di Battista Alessandro (M5S)  ... 8 
Picchi Guglielmo (FI-PdL)  ... 8 
Monaco Francesco (PD)  ... 8 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 
Zannier Lamberto , Segretario generale dell'OSCE ... 8 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ANDREA MANCIULLI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Segretario generale dell'OSCE, Ambasciatore Lamberto Zannier.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla proiezione dell'Italia e dell'Europa nei nuovi scenari geopolitici, priorità strategiche e di sicurezza, l'audizione del Segretario generale dell'OSCE, Ambasciatore Lamberto Zannier, che ringrazio di essere qui.
  Ricordo che l'ambasciatore è già stato audito dalle Commissioni affari esteri di Camera e Senato nel corso della scorsa legislatura, con particolare riferimento al ruolo dell'OSCE nella risoluzione dei conflitti.
  Ringrazio, quindi, per la sua presenza l'ambasciatore Zannier e lo invito a svolgere il suo intervento, che risulta particolarmente significativo anche in relazione all'attuale situazione in Ucraina.

  LAMBERTO ZANNIER, Segretario generale dell'OSCE. Grazie, presidente, e grazie a tutti voi per questa opportunità.
  Vorrei partire da una riflessione sullo sviluppo di portata geostrategica che abbiamo visto nello spazio OSCE nell'arco degli ultimi due anni. Mi riferisco alla nuova politica estera russa del Presidente Putin.
  Quella che abbiamo visto nell'arco degli ultimi due anni è stata una forte azione di recupero da parte della Russia dello spazio ex sovietico, con una serie di iniziative che hanno portato a rivitalizzare la Comunità degli Stati indipendenti (CSI) e uno strumento militare – l'Organizzazione per il trattato di sicurezza collettiva, così lo tradurrei in italiano, che ha sede a Mosca, ma raggruppa tutta una serie di Paesi ex sovietici, sia nell'Europa orientale, sia nell'Asia centrale – nonché a dar vita alla creazione di un'Unione eurasiatica, con l'istituzione di una Commissione per l'Unione eurasiatica che copre grossomodo lo stesso spazio, e dell'Unione doganale.
  Si tratta di sforzi che prendono come modello i processi di integrazione dell'Europa occidentale, molto russocentrico, che si è andato consolidando in maniera molto vistosa nel corso degli ultimi due anni. Questo processo, a un certo punto, è entrato in rotta di collisione con il processo di progressivo allargamento delle Istituzioni euro-atlantiche verso est. In particolare, la politica di vicinato est-europeo propugnata dal Commissario per le relazioni esterne Stefan Füle, e i preparativi del vertice di Vilnius l'anno scorso hanno creato una frizione tra questi due processi integrativi.
  L'anno scorso nell'OSCE eravamo in una posizione, per taluni versi, privilegiata, perché l'Ucraina aveva la presidenza dell'OSCE. Io sono stato ripetutamente a Kiev. Ero in contatto col Presidente Yanukovich e col Ministro degli esteri Kozhara, sono stato due volte in Crimea, visitavo l'Ucraina ogni mese e, quindi, ho Pag. 3visto passo per passo anche gli sviluppi all'interno. Ho visto come l'Ucraina abbia vissuto questo processo di preparazione del summit di Vilnius.
  Su questo tema farei un paio di considerazioni. La prima è che l'Ucraina è un Paese che ha sempre avuto delle forti divisioni interne. È un Paese che ancora dai tempi della rivoluzione arancione del 2004 aveva mostrato due facce.
  Una era quella degli uomini della Valle del Don, popolazioni largamente russofone, con un'industria molto legata all'industria russa. C’è stata la carenza di una riforma economica negli ultimi vent'anni in Ucraina e, quindi, è rimasta questa industria pesante, che sarebbe molto poco competitiva sui mercati europei, ma che, invece, mantiene come mercato la Russia. La Russia ha continuato a rimanere un partner importante economicamente per l'Ucraina, soprattutto per l'Ucraina orientale. A sua volta, però, l'Ucraina orientale era fortemente dipendente dalla Russia in termini di risorse energetiche e, quindi, c'era un raccordo molto forte, in termini non solo etnici – in un dato senso – per queste popolazioni russofone, ma anche di interessi economici.
  L'Ucraina occidentale, invece, ha sempre guardato molto di più all'Europa. È molto vicina ai Paesi che, essendo stati storicamente parte dell'Ucraina, erano stati incorporati nell'Impero austro-ungarico e nella Polonia. È una regione che ha sempre avuto forti legami con l'Occidente.
  Yanukovich, che era un uomo dell'Est, un uomo che aveva le sue basi nel partito delle regioni e nelle aree orientali, era forse il miglior interlocutore per l'Unione europea, quando si trattava di avvicinare l'Ucraina all'Unione europea. Ha sempre cercato di farlo in maniera da non provocare fratture all'interno del Paese, portando con sé le comunità dell'Est, ma anche, nei suoi pubblici interventi, chiarendo sempre che, a suo giudizio, un approfondimento dei rapporti con l'Unione europea non avrebbe comportato una diminuzione o un rallentamento dei rapporti con la Russia. Anzi, più volte gli ho sentito dire che, a suo giudizio, l'Unione doganale russocentrica era ben compatibile con lo spazio di libero scambio rafforzato, proposto dall'Unione europea.
  Veniva smentito su questo punto, invece, dagli europei, che gli dicevano: «Devi scegliere. Se vieni da noi, devi fare una scelta di campo. Non puoi mantenere un piede in due staffe».
  Questo alla fine si è rivelato il «tallone d'Achille» della sua politica, perché la Russia ha forzato, a un certo punto, le pretese per quello che riguardava i prezzi del gas e la cooperazione economica, ma anche per quello che riguardava le prospettive di assistenza finanziaria di cui l'Ucraina, con l'economia a pezzi, aveva grande bisogno.
  Yanukovich si è trovato, quindi, costretto a dover scegliere e, non avendo abbastanza sul piatto da parte degli europei, ha dovuto scegliere Mosca. Questa è stata una scelta drammatica, che è maturata nell'arco di poche ore, ma in realtà il dibattito era andato avanti da mesi.
  Ricordo che in uno dei forum in Crimea, in cui si parlava di sicurezza nello spazio est-europeo in generale, c'era stato un dibattito molto acceso tra lo stesso Yanukovich e il presidente lituano sui prezzi del gas. Il presidente lituano diceva: «Noi paghiamo il gas più caro d'Europa, ma la nostra è una scelta politica. Non ci importa, continuiamo a prenderlo dalla Russia, ma abbiamo scelto di andare nell'Unione europea. Tu devi avere il coraggio di fare la stessa scelta».
  Le dimensioni del Paese, però, sono diverse, così come la sua composizione sociale. Yanukovich non ha potuto fare questa scelta e, quindi, si è rimesso sul lato del rapporto rafforzato con Mosca, ritardando, a suo dire, il processo di Unione europea. Questo ha fatto scattare immediatamente Maidan e ha portato agli sviluppi che vediamo oggi.
  Questo è un processo che non si limita solo alla Russia, ma che vediamo anche in una serie di altre zone. Lo vediamo con la Moldova, che sta progressivamente avvicinandosi all'Unione europea, con la Transnistria che reagisce in maniera sempre Pag. 4più negativa. Noi, che ci occupiamo di portare avanti i negoziati su quel conflitto, vediamo un forte irrigidimento delle parti su questo fronte.
  In Georgia c’è una simile dinamica. Vediamo sia l'Abkhazia, sia l'Ossezia del Sud sempre più distaccate dalla Georgia. Per noi è difficile anche rimettere personale sul terreno.
  Tornando all'Ucraina, la situazione in questo momento è estremamente preoccupante per una serie di fattori. Il primo è il fattore interno stesso. Non bisogna sottovalutare questa divisione all'interno del Paese.
  Per darvi un'idea, come OSCE, noi abbiamo osservato tutte le principali elezioni in Ucraina nell'ultimo ventennio e abbiamo facilitato la ripetizione delle elezioni del 2004, durante la rivoluzione arancione. Da quelle elezioni è uscito un Governo filo-occidentale che ha fatto una serie di riforme, tanto che le elezioni successive, nel 2008, sono state giudicate dall'ODHIR (Office for Democratic Institutions and Human Rights) come forse le migliori elezioni mai tenute nello spazio ex sovietico negli ultimi vent'anni. Erano considerate ottime.
  Quelle elezioni così ben organizzate le ha vinte Yanukovich. Questo mostra che la base politica di un presidente che si è mostrato ben filorusso era molto solida. La Crimea adesso è partita un po’ per la sua orbita, come l'Ucraina occidentale. Anche a Kiev, come abbiamo visto, pur essendo molto più pro-occidentale, ci sono divisioni. Questo avviene anche nella capitale.
  L'Ucraina è un Paese che si è spaccato sulla scelta europea e che si è spaccato in maniera difficile da rimettere insieme, perché il processo politico si è spostato dal Parlamento alle strade. Maidan è stata una sorta di rivoluzione più o meno pacifica. Il presidente ha dovuto andare via a seguito di un'azione di mediazione internazionale che è riuscita nel senso di cercare di riportare almeno una parte del processo politico in Parlamento, ma è fallita per quanto riguarda la transizione democratica.
  Una parte del Paese, a questo punto, spinta anche – parleremo poi del fattore esterno – da attori esterni alla Russia in particolare ritiene che le Istituzioni di Kiev siano illegittime e, quindi, se ne distanzia. Comincia, dunque, a chiedere un dibattito più approfondito sul processo di revisione della Costituzione prima di tutto, con richieste a gran voce di una Costituzione federale, ma anche con un'agenda di grande decentralizzazione, probabilmente anche a lungo termine, che porterebbe a spaccature nel Paese. All'Est, infatti, guardano comunque a un rapporto preferenziale con la Russia e il federalismo viene visto anche in quell'ottica.
  Questo è un modello che fa venire in mente un po’ quello della Bosnia, un modello per nulla funzionale e, quindi, molto rischioso. Il Governo propone un'ampia decentralizzazione e un dibattito su questo aspetto e noi, come OSCE, stiamo cercando di facilitare il dibattito.
  Il problema, ovviamente, è quello della sicurezza, con queste bande armate che avevamo visto comparire in Crimea e che adesso sono arrivate, in gran numero peraltro, nell'Est del Paese, ingrossando le loro fila con persone del luogo.
  Gli ucraini ci dicono che hanno ampia prova di questo. Hanno catturato anche persone che non sono ucraine. Sono, invece, russi che, a loro giudizio, vengono da altre zone della regione del Don. Non hanno prove, però, per affermare che la Russia stia attivamente sostenendo queste milizie. Ci sono individui cosacchi del Don, per esempio, che potrebbero essere entrati di loro iniziativa.
  È difficile giudicare chi c’è dietro, ma indubbiamente il problema esiste. Si tratta di milizie molto ben armate ed equipaggiate, ma anche di grande esperienza, come abbiamo visto negli scorsi giorni. Sono in grado di abbattere elicotteri e di tenere in scacco forze che vengono impiegate con capacità notevole. Sono milizie che hanno un addestramento molto professionale e che sono in grado di tenere il campo contro un'operazione di antiterrorismo che ha messo in campo materiali e armamenti sofisticati.Pag. 5
  Abbiamo anche un problema di interferenza, in un certo senso. Il tentativo di recuperare il processo politico subisce un'interferenza da parte di queste milizie e di questa operazione che sta andando avanti.
  Quanto all'OSCE, l'anno scorso, come dicevo, la presidenza era ucraina e abbiamo avuto la ministeriale dell'OSCE a Kiev. I ministri dei Paesi OSCE, tutti i ministri che contavano, erano presenti. In realtà erano più presenti a Maidan che nelle sale di riunione. Il tema Ucraina era quello che ha dominato i lavori del Consiglio ministeriale.
  Questa eredità della presidenza ucraina ha anche mostrato che l'OSCE, essendo un'organizzazione inclusiva, che comprende gli Stati Uniti, l'Unione europea e la Russia, aveva forse al suo interno il potenziale per svolgere un'azione di mediazione tenendo coinvolte tutte le parti.
  Questo è ciò che è successo nell'arco degli ultimi mesi. Alla fine, dopo alcune settimane di negoziato e soprattutto dopo gli eventi di febbraio, quando abbiamo visto che si cominciavano a creare situazioni conflittuali sul terreno, abbiamo deciso di mettere in campo un'operazione di monitoraggio civile. Adesso abbiamo quasi duecento persone sul terreno, centocinquanta osservatori e cinquanta persone di supporto dislocate in dieci diverse località sul territorio ucraino, da est a ovest, ma concentrate soprattutto nelle aree dell'Est, in questo momento.
  Siamo autorizzati a far crescere questa missione fino a cinquecento persone. Ovviamente, non è facile trovare persone con il profilo adeguato, perché abbiamo bisogno di personale che parli il russo e che abbia anche capacità di mediazione. Una delle funzioni che noi abbiamo è quella di stimolare il dialogo localmente e, quindi, di cercare di attivarci con tutti gli attori. Quest'azione di mediazione che stiamo cercando di portare avanti si iscrive proprio nelle attività di questa operazione.
  C’è un'iniziativa a un livello politico di intervento e questo è ciò che ha portato alle intese di Ginevra per la de-escalation del conflitto e il disarmo delle milizie. Il problema, però, risiede nell'attuazione di queste intese e soprattutto nel disarmo delle milizie.
  Su questo fronte stiamo cercando di ottenere maggiore cooperazione da parte della Russia, che, come abbiamo visto, ha comunque influenza sulle milizie. L'abbiamo visto per la liberazione degli ostaggi militari dell'OSCE, la scorsa settimana. È stato un inviato del Presidente Putin che è riuscito a sbloccare la situazione con le autorità locali, convincendole a rilasciare questi militari senza alcuna contropartita.
  Inoltre, abbiamo sul terreno un centinaio di osservatori specializzati sul monitoraggio delle elezioni per vedere lo stato di preparazione delle elezioni presidenziali del 25 maggio. Questo sarà un altro passaggio molto delicato. Ciò che vediamo non è del tutto rassicurante, devo dire.
  Il capo di questo team è un'italiana, Tana De Zulueta, che conoscerete tutti bene. Le ho parlato ieri e mi diceva che nell'est del Paese ci sono attività piuttosto ovvie di sabotaggio della preparazione delle elezioni. In alcune zone, non solo in posti complicati come Sloviansk o Kramatorsk, ma anche nei grandi capoluoghi dell'Est, i nostri hanno visto atti di intimidazione dei membri delle Commissioni elettorali.
  È in corso – direi proprio – un'attività di sabotaggio di questo passaggio elettorale, che per l'Ucraina è molto importante. Gli ucraini vogliono andare avanti e vogliono anche cercare di chiudere il capitolo Yanukovich con l'elezione di un presidente che rispecchi la volontà degli elettori in Ucraina. Il problema, ovviamente, è convincere tutti a partecipare. Questa è una questione su cui ci continuiamo a impegnare anche noi, ma su cui vogliamo avere il contributo di tutti, anche degli attori esterni.
  Questo ci porta all'aspetto esterno – su cui magari chiudo e poi possiamo avere un po’ di dibattito – che è un aspetto importante. Io ero di recente, all'inizio della settimana scorsa, in Kazakistan. Il ministro degli esterni mi diceva: «Noi siamo totalmente confusi. Se guardiamo EuroNews o la BBC, sentiamo una storia. Se Pag. 6guardiamo i canali russi, sentiamo una storia completamente diversa. C’è una guerra di propaganda in atto che sta avendo un impatto negativo sulla nostra società».
  Le società di questi Paesi post-sovietici hanno tutti delle grosse comunità russe. I cittadini russi in questi Paesi all'improvviso cominciano a ripoliticizzarsi. Vedono che c’è qualcuno che li protegge, che li difende e che sostiene la loro causa a Mosca e risollevano la testa. Ciò può creare instabilità in altre zone.
  Un elemento importante anche nel nostro mandato della missione di monitoraggio è quello di riferire su quello che vediamo sul terreno. Cerchiamo, quindi, di essere anche una voce di moderazione, di riportare i fatti come li vediamo e di evitare che vengano politicizzati.
  In questo momento il fatto che ci siano versioni così differenti è vero. Io stesso l'ho constatato, guardando Russia Today e alcune stazioni televisive occidentali. Anche io mi sono trovato molto nei media internazionali in questo periodo. C’è un grosso sforzo per capire che cosa succede.
  In realtà poi, come sempre, ci sono responsabilità un po’ da tutte le parti, ma indubbiamente ci sono dei fenomeni che sono elementi piuttosto fuori controllo e altri che è difficile determinare. Ci sono manifestazioni e attacchi ai manifestanti e non si capisce mai bene chi abbia attaccato chi. Su questo poi si creano delle storie che diventano estremamente controverse e che alimentano l'instabilità sul terreno.
  L'impegno con la Russia comporta anche il cercare di avere un chiarimento da Mosca, che ha mantenuto, tutto sommato, un atteggiamento poco profilato su questo aspetto, al di là dei preparativi militari e della presenza militare nelle vicinanze del confine ucraino. Tale presenza è molto controversa. Alcuni Paesi occidentali hanno chiesto di ispezionare gli spiegamenti russi, ma i russi hanno spiegato che non ci sono spiegamenti al di là dei limiti consentiti e che tutto è normale. Non ci sarebbe motivo di portare gli ispettori internazionali in quella regione.
  Gli ispettori dei Paesi OSCE si mantengono, quindi, all'interno del territorio ucraino e si limitano a osservare le attività militari in Ucraina e quel poco che riescono a vedere al di là del confine.
  Mi fermerei qui. Possiamo forse approfondire il tema nel dibattito.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FABRIZIO CICCHITTO

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ARTURO SCOTTO. Voglio ringraziare l'ambasciatore Zannier per l'illustrazione di questa situazione, estremamente interessante, e vorrei fargli una domanda.
  Recentemente il Ministro della difesa, Roberta Pinotti, in un'intervista rilasciata a La Repubblica, credo domenica scorsa, ha evocato l'ipotesi di una missione di pace in Ucraina, sotto l'ombrello – non si capiva bene quale, ne ha evocato più di uno – ONU-NATO-Unione europea.
  Ovviamente, ha delineato questa come un'ipotesi – ragion per cui la prendo come tale – senza, però, specificare nemmeno dove sarebbe eventualmente collocata una missione di peacekeeping, lungo quali confini e con quali caratteristiche.
  Volevo chiederle un'opinione.

  EMANUELE SCAGLIUSI. Grazie, presidente. Ringrazio anch'io l'ambasciatore per il quadro della situazione che ci ha delineato.
  La domanda che volevo fare io è riferita sempre alle affermazioni del ministro della difesa, che parlava di questa azione di peacekeeping. Mi chiedo e le chiedo quanto un'operazione del genere possa essere utile al centro dell'Europa e dell'area OSCE. Si rischierebbe di avere magari un secondo Afghanistan in una zona ancora più vicina a noi e, quindi, una situazione pericolosa. Sappiamo come spesso queste missioni di pace, purtroppo, vadano a finire o quali ne siano i risultati.Pag. 7
  Le chiedo, quindi, un'opinione sull'affermazione del ministro della difesa, ma anche se non ritiene che sia più utile un'azione diplomatica che veda proprio l'OSCE come primo attore e protagonista.

  MARIETTA TIDEI. Anch'io mi associo ai ringraziamenti dei miei colleghi all'ambasciatore Zannier. Come membri della delegazione all'Assemblea parlamentare dell'OSCE, noi abbiamo potuto incontrarlo a Vienna e verificare non solo il grado di consenso di cui gode il lavoro dell'ambasciatore, ma anche il grande lavoro che l'OSCE fa nella prevenzione dei conflitti e nel rafforzamento delle democrazie e delle Istituzioni democratiche.
  Purtroppo, le scene che ci arrivano dall'Ucraina sono ormai quasi di guerra a tutti gli effetti. Io vorrei fare una domanda sulle elezioni, proprio alla luce di tutte le cose che ci diceva lei sulle attività di sabotaggio in alcune regioni ucraine.
  Insieme ad alcuni parlamentari, noi faremo parte di questa missione di osservazione elettorale, quella del 25 maggio. Vi chiedo se ci sia il rischio che queste elezioni possano essere fatte slittare, anche sulla base delle dichiarazioni del Ministro degli esteri russo, Lavrov, proprio di pochi giorni fa, se non di ieri, che affermavano che tenere le elezioni in un momento del genere è quanto meno singolare.
  Qualora, invece, come noi tutti ci auguriamo, si svolgessero le elezioni, che tipo di missione di osservazione elettorale potrebbe esserci ? Parlo anche delle difficoltà di dislocamento dei vari osservatori alla luce di quello che è successo negli ultimi giorni. Le chiedo, quindi, se non si rischi, come lei stesso diceva prima, di avere un'osservazione piuttosto parziale.

  FRANCO CASSANO. A me è capitato, in quest'ultimo periodo, anche come scelta editoriale, di leggere alcuni libri sul 1914. Uno di questi si chiama I sonnambuli. Ancora più di recente mi è capitato di leggere un libricino di Richard Overy, lo storico inglese della Seconda guerra mondiale, che parla – il titolo del libro è Sull'orlo del precipizio – dei dieci giorni che hanno preceduto lo scoppio del conflitto.
  Passo alla domanda. Essendo io un meridionale, sto facendo tutto quello che è consentito dalla mia cultura per esorcizzare qualsiasi analogia. Stante questo, l'aspetto che colpisce nel leggere questi libri è l'inconsapevolezza degli attori, i quali sono in un gioco che controllano solo in parte. Ci sono vincoli precedenti, situazioni particolari e comportamenti degli attori imprevedibili.
  Io non credo che sia quello lo scenario, ma la mia domanda è: se lo scenario non è quello, qual è ? Che tipo di previsioni possiamo fare, guardando l'evoluzione successiva di questa crisi ? Credo che la politica si debba interessare anche di questo tipo di prefigurazioni.

  GIANNI FARINA. Ringrazio l'ambasciatore Zannier per un'esposizione che mi sembra molto obiettiva, completa e preoccupata, come, d'altronde, la situazione impone.
  Devo dire che il presidente dell'OSCE attuale è una sicurezza persino di obiettività. È un uomo politico che io conosco da tempo, un autentico europeo, in un Paese in cui in questo momento gli europei non sono la maggioranza, come lei ben sa, e che sta svolgendo un'opera di straordinaria importanza. Io mi compiaccio, dunque, non solo per l'amicizia che mi lega a quest'uomo politico, ma anche per il ruolo che sta dimostrando.
  Lei non ha parlato, in una brillante esposizione, della questione che io ritengo abbia in parte cambiato le regole del gioco e che un po’ a tutti è sfuggita di mano: non ha parlato di Odessa. Io ritengo che quella questione, quell'atto sia stato un momento di cambiamento che è sfuggito di mano un po’ a tutti. Io ritengo che sia sfuggito di mano anche ai russi.
  Non è assolutamente vero che Putin stia agendo con lucidità. Certo, cerca di svolgere un'operazione di straordinario interesse nazionale, ma in questo momento io vedo una preoccupazione collettiva e, quindi, c’è l'esigenza, in questo caso, io concludo, che l'Europa svolga un ruolo più Pag. 8consono alla sua importanza strategica nel continente.
  Quello che appare nei messaggi televisivi che lei ha citato – anch'io guardo Russia Today ed EuroNews – mostra una divaricazione totale dell'informazione, che provoca poi i sentimenti a cui lei ha accennato.
  In questo caso io ritengo che l'Europa, ancora una volta, non stia svolgendo il suo ruolo. Ci muoviamo un po’ tutti poco, escluso il protagonismo della Merkel, che si vede benissimo essere l'interlocutore privilegiato dei due campi, sia Washington, sia Mosca. Questo lo si vede. Tutto il resto è sfilacciato. Naturalmente il Governo italiano sta svolgendo una sua opera di mediazione corretta e – vorrei dire – anche saggia, ma manca la voce dell'Europa, il che per me è preoccupante.
  Inoltre, vorrei capire quali sono le conseguenze e le notizie che ci vengono da Odessa che, secondo me, sta diventando, anche per le elezioni prossime, con il loro possibile o non possibile svolgimento, il punto cruciale di una svolta in senso positivo o negativo.

  ALESSANDRO DI BATTISTA. Ambasciatore, le pongo solo una domanda: lei ritiene che l'opinione pubblica italiana sia adeguatamente informata rispetto alla situazione generale o pensa che ci sia uno squilibrio di informazioni che va in direzione di una propaganda eccessivamente filo-statunitense ? Noi cittadini italiani, lei reputa, abbiamo le giuste informazioni, dall'una e dall'altra parte, per crearci una nostra opinione autonoma e sovrana ?

  GUGLIELMO PICCHI. Vorrei sapere quanto i russi siano in controllo della situazione nell'Est del Paese e anche nella regione di Odessa. Questa è una domanda.
  La seconda domanda è quanto realisticamente le elezioni del 25 maggio avranno luogo e se si svolgeranno secondo un minimo di standard OSCE.
  Come terza domanda: in tutto questo dobbiamo considerare chiusa la questione della Crimea o che cosa ne pensiamo in senso lato ?

  FRANCESCO MONACO. Ambasciatore, lei ci ha reso conto efficacemente di questa – sono parole sue – frizione tra due processi, da un lato l'attivismo e il protagonismo di Putin nell'area dello spazio ex sovietico e, dall'altro, il tendenziale allargamento euro-atlantico dal punto di vista dell'Ucraina.
  Anche ieri, in occasione dell'audizione informale del presidente sloveno sono affiorati qui – è il bello del bicameralismo, che al momento sopravvive – accenti diversi tra i nostri due presidenti di Commissione di Camera e Senato circa le responsabilità, in capo a Putin, da un lato, o all'Unione europea, dall'altro, con qualche forzatura e qualche eccesso sull'uno e sull'altro fronte. Le chiedo un giudizio su questa controversia relativamente alle responsabilità sulla situazione che si è prodotta.
  A valle, ma è un interrogativo che hanno posto già altri colleghi, le chiedo qualche parola in termini di previsioni sugli sviluppi – sia quelli probabili, sia quelli auspicabili – con specifico riguardo agli aspetti politici e anche alle eventuali soluzioni istituzionali e costituzionali, per venire a capo di una situazione che prima o poi dovrà avere anche una risposta, io credo, o una soluzione di tipo politico o addirittura costituzionale.

  PRESIDENTE. Le domande sono state sintetiche, ma molto complesse.
  Do la parola all'ambasciatore Zannier per la replica.

  LAMBERTO ZANNIER, Segretario generale dell'OSCE. Cominciamo dalla missione di pace. In realtà, la missione di monitoraggio civile dell'OSCE è una missione di pace di per sé, che ha una funzione di stabilizzazione, di allerta precoce, di prevenzione del conflitto, di prevenzione della crisi e di prevenzione dell'allargamento dalla crisi, o comunque di contenimento.
  Abbiamo uomini sul terreno dappertutto, a Donetsk e a Sloviansk. Quando gli osservatori militari erano stati ritirati, i miei andavano tutti i giorni a parlare con Pag. 9il sindaco per cercare di convincerlo a evitare un negoziato e per chiedere il rilascio. Come dicevo, alla fine ci è voluto l'intervento della Russia, ma anche quello è stato il risultato di un'azione diplomatica.
  Ora siamo in una fase in cui ancora c’è lo spazio per l'azione politica e diplomatica. Non è il momento di pensare a operazioni di pace militari. Se si pensasse a un'operazione di peacekeeping, intanto sarebbe un'operazione molto complicata, perché non si tratterebbe di intervenire in un conflitto aperto tra due parti, ma in un quadro molto complesso. Cosa ci fanno i militari in quel contesto ? Il processo è ancora molto politico, anche se, purtroppo, c’è violenza e c’è l'uso delle armi.
  Lo strumento migliore rimane, dunque, a mio giudizio, quello politico. Se si guarda poi a organizzazioni che possano discutere un possibile mandato per un'operazione che può essere un'operazione di pace, non di peacekeeping militare ma più ampia, viene in mentre l'ONU, oltre all'OSCE, ma certamente non guardiamo a operazioni NATO e nemmeno all'operazione missione europea.
  L'Unione europea ha in mente di fare qualcosa di diverso. Ne ho discusso a Bruxelles un paio di settimane fa. I Paesi più interventisti all'interno dell'Unione europea vorrebbero fare un'operazione di riforma del settore di sicurezza e, quindi, di assistenza alla polizia: una missione tecnica, ma non di pace. L'Unione europea sostiene molto la nostra missione. È il maggior contribuente alla nostra missione, che è sostenuta, però – e questa è anche la nostra forza – anche dalla Russia.
  Ieri ho visto il Ministro Lavrov e ho parlato a lungo col suo vice. La Russia sta lavorando per darci un contributo finanziario. Noi abbiamo già sei o sette russi tra i membri come monitors sul terreno e li usiamo attivamente, perché sono un ottimo strumento per dialogare con le comunità più radicali nell'est del Paese.
  Direi che questa è la strada su cui occorre cercare di continuare, in questa fase. In merito potrei aggiungere, visto che sono qui a Roma, che l'Italia è ben presente in questa missione. Ci sono sei o sette monitors italiani e un italiano è il capo del centro che abbiamo a Lugansk, che è uno dei posti più difficili. Abbiamo, dunque, un buon profilo interno dell'operazione.
  L'Italia è un po’ in coda, però, quando si guarda al sostegno finanziario. Mi rendo conto dei problemi più in generale, ma stiamo parlando di una crisi che potrebbe degenerare in qualcosa di estremamente serio. Quando si tratta di tirar fuori una ventina di milioni per mandare cinquecento monitors – questo sarebbe il costo – suddivisi fra cinquantasette Paesi, alla fine forse conviene guardare a quello, piuttosto che cominciare a riflettere su processi di riarmamento e dire che abbiamo ridotto troppo e che dobbiamo pensare alla nostra sicurezza in maniera diversa. È un dibattito che si vede adesso in Germania, per esempio. I tedeschi si sono resi conto improvvisamente che avevano troppo pochi carri armati.
  È forse ancora bene investire in queste operazioni civili e farlo al momento giusto. Questo è il momento in cui bisogna veramente spingere sul piano dell'azione politica per fare de-escalare la crisi.
  Quanto alle elezioni, io ho incontrato Lavrov a Mosca subito dopo il 21 febbraio, il 22 o 23 febbraio, prima ancora che si facesse il Governo a Kiev. Già allora Lavrov diceva che quello che serve in Ucraina adesso è un dibattito pubblico immediato sulla Costituzione. Quello deve essere il primo punto, possibilmente con un referendum. Ovviamente, lui aveva già la linea, che porta avanti tuttora, del federalismo.
  Le elezioni dovranno seguire. Non c’è necessità di accelerare le elezioni in un processo e in una fase così confusi. Bisogna rimettere le cose in ordine e poi andare avanti con i processi elettorali. La posizione è rimasta identica. Lavrov continua a dire che non è il momento, anzi che è anche peggio, perché adesso c’è crisi.
  Lavrov è isolato, però, su questo punto. Ovviamente dall'est dell'Ucraina ci sono molti che la pensano allo stesso modo e questo è uno dei problemi che abbiamo, Pag. 10perché questi potrebbero poi non votare. In questo senso la Russia ha un'influenza negativa, quando si tratta di partecipazione alle elezioni.
  Le elezioni sono molto spinte dall'Occidente, dagli americani prima di tutto. Ma anche una serie di europei, alcuni più che altri – veniamo poi all'Unione europea – spingono perché queste elezioni siano svolte. Gli ucraini sono determinati, dicono che è un passaggio fondamentale, che bisogna ristabilire la legalità delle Istituzioni, che si deve andare avanti e che ci deve essere un successo a ogni costo. Chiedono anche a noi di impegnarci per aiutarli a far sì che queste elezioni siano positive e diano un buon risultato.
  Cosa succederà alle elezioni ? Questo è più difficile a dirsi. Io mi sto ponendo anche un problema di sicurezza. Ho appena fatto uscire, un paio di giorni fa, un avviso interno, limitando i movimenti nell'Ucraina orientale, perché ho delle preoccupazioni per la sicurezza del mio personale. Stiamo parlando di un migliaio di persone presenti per l'osservazione elettorale.
  Già garantire la sicurezza di un migliaio di persone sul terreno sarà un impegno non indifferente. L'ODIHR se ne sta già preoccupando, ma una delle conseguenze può essere che effettivamente l'osservazione sia ridotta nelle zone più problematiche, in quelle in cui forse ci sarebbe più bisogno di osservazione. Questo è uno dei problemi che potremmo trovarci di fronte, andando verso le elezioni.
  Comunque, gli ucraini sono determinati. Non si parla di rinvio. Lo escludono nella maniera più categorica e chiedono a tutti, anche a me, di sostenere, cosa che io faccio ben volentieri, questo loro processo. Poi, però, dovremo vedere anche quale sarà il risultato. Se è un processo politicamente unificante, ben venga, ma, se è un processo che crea ulteriore divisione, avremo un altro problema sul tavolo.
  Passando al ruolo della Svizzera, il Presente dell'OSCE, Burkhalter, sta facendo miracoli. Oggi a Mosca incontra il Presidente Putin, io l'ho visto ieri a Vienna e si era incontrato con il Ministro degli esteri tedesco, Steinmeier, il giorno prima. Stiamo lavorando su iniziative di tutti i tipi e stiamo cercando di creare un allineamento nella comunità internazionale. Credo che senza di lui l'OSCE non sarebbe stata così incisiva, come riesce a essere. Su questo aspetto siamo fortunati. Abbiamo la presidenza giusta per gestire questo scenario.
  Quanto agli scenari, noi abbiamo un processo di dibattito sull'agenda futura dell'OSCE che chiamiamo «Helsinki + 40». L'anno prossimo, il 2015, sarà, infatti, il quarantesimo anniversario della firma degli accordi di Helsinki del 1975. Lo chiamiamo, quindi, «Helsinki + 40». Si stava cominciando a preparare l'idea di un summit di Capi di Stato e l'adozione di un documento con una nuova visione della sicurezza nello spazio euro-atlantico e la creazione di una comunità di sicurezza.
  È un'idea molto rilevante, perché è proprio intesa a evitare scenari come quello delle due aree di integrazione che vengono a conflitto l'una con l'altra. Si tratta di cercare di creare uno spazio unico. È un concetto comunque positivo.
  L'atmosfera all'interno dell'organizzazione, però, è cambiata al punto che alcuni cominciano a parlare di «Helsinki – 40», il che ci ributta nella metà degli anni Trenta. C’è effettivamente l'impressione che – anche in termini di rapporto, di linguaggio, di dialogo, o di mancanza di dialogo, tra le delegazioni – stiamo veramente attraversando una fase molto difficile. Ci sono toni polemici e infuocati, che in alcuni casi stiamo rivivendo.
  Per un periodo io mi sono occupato di CSCE (Commission on Security and Cooperation in Europe), negli anni Ottanta, durante la Guerra fredda, all'inizio della mia carriera e ho ritrovato quel tipo di dinamiche, quel tipo di linguaggio adesso, in questi giorni all'interno dell'OSCE.
  Effettivamente gli sviluppi sono preoccupanti, almeno sul piano politico. Sul terreno dobbiamo allineare una serie di attori che hanno strategie molto diverse. Questa è la sfida.Pag. 11
  Quanto al tema della consapevolezza – vorrei legare due o tre punti attorno a questo – centrale in questo senso è l'Unione europea. L'Unione europea vista da fuori non dà l'impressione di un attore di grande efficacia, perché è divisa. Ci sono delle linee molto diverse all'interno e il risultato è l'inazione, o il rischio di iniziative che non siano ben riflesse perché non ben ponderate e perché risultato di un compromesso all'interno dell'Unione stessa.
  Penso alla missione sulla rule of law, che rappresenta il compromesso tra la linea robusta di alcuni che volevano lanciare una missione vera e propria di monitoraggio, come quella che stiamo facendo noi, e quelli che, invece, dicevano che l'Unione europea, essendo una delle parti in causa, è meglio che si astenga e usi altre organizzazioni, come l'ONU o l'OSCE. Questo è un compromesso che non dovrebbe creare danno, ma in questo momento non è ben chiaro quale sarà l'apporto di un'azione di questo tipo, se verrà messa in campo.
  La settimana prossima io sarò a Washington. La cosa che mi ha sorpreso è che ho avuto un sacco di inviti ad andare a parlare nei vari consessi, al Woodrow Wilson International Center e al Council on Foreign Relations. Tutti vogliono capire un po’ meglio. Credo che stia cominciando a crescere una preoccupazione sul fatto che forse il tema è stato sottovalutato o capito male. Bisogna capire un po’ meglio che cosa sta succedendo e quali sono le opzioni.
  Abbiamo sentito linguaggi di tutti i tipi su questa crisi. Abbiamo sentito il Segretario generale della NATO e una serie di ministri degli esteri. A Kiev, tre settimane fa, ho sentito il Ministro degli esteri svedese, Carl Bildt, e anche i polacchi che dicevano: «Noi siamo qui ad aiutare. Se c’è bisogno, invieremo divisioni». Ci sono quelli che pensano già a scenari conflittuali in un'ottica Est-Ovest.
  I Paesi più a est all'interno dell'Unione europea, gli ex Patto di Varsavia e i baltici, giustamente sono molto preoccupati. Alcuni di questi hanno grosse minoranze russe e un rapporto complicato con la Russia da tempo. Sono veramente preoccupati per questa politica di Mosca, che potrebbe, a un certo punto, anche toccare questioni di loro diretto interesse o addirittura intaccare la loro stessa sicurezza.
  Effettivamente ci sono queste forti preoccupazioni all'interno dell'Unione europea, che vede anche la Russia come un importante partner economico e per le forniture energetiche. Ci sono tutta una serie di considerazioni da fare. Molti Paesi dell'Unione europea vedono la necessità di uno sviluppo di un rapporto equilibrato con la Russia in tutti i settori, anche in quello politico, ma con la frustrazione di osservare questa politica molto robusta che continua il suo corso.
  Una delle questioni che ho visto dalla mia prospettiva è che, se uno guarda questa situazione da un punto di vista esclusivamente interno, di politica interna russa, vede che il Presidente Putin non è mai stato popolare come oggi. Ha recuperato la Crimea, tiene in scacco l'Occidente, è un eroe celebrato da tutti, non ha opposizione all'interno del Paese e ha una strategia di ricomposizione di uno spazio più ampio attorno alla grande Russia. Ha una politica quasi imperiale, in un certo senso.
  Alcuni Paesi – questo l'ho visto nei Paesi dell'Asia centrale – hanno una forte attenzione alla gestione dei rapporti con la Russia. La Russia viene vista ancora come il Paese chiave, il Paese che può fare la differenza in termini di loro sicurezza. L'influenza della Russia in questo spazio va crescendo e, quindi, questo può anche, in un certo senso, rendere più complicata la gestione dei rapporti con un presidente che vede che in fondo la sua politica funziona.
  Sull'Ucraina, però, immagino che abbia delle preoccupazioni anche Putin, perché un'instabilità, un conflitto, una potenziale guerra civile in Ucraina non conviene nemmeno alla Russia.
  Io credo che questa sia la linea su cui occorre marciare e che quello sia lo spazio in cui si deve ricercare una soluzione insieme alla Russia. Non credo che ci Pag. 12siano altri modi. La Russia ha sicuramente influenza sulle aree russofone dell'Ucraina ed è su questo fronte che bisogna operare.
  Come dicevo, il Presidente Burkhalter oggi è a Mosca. Questo è comunque un rapporto chiave. Ieri a Vienna c'era Lavrov e ho visto il Ministro degli esteri, Mogherini, con cui ho parlato a lungo. Ho visto che lei si è intrattenuta a lungo con Lavrov, anche lei sicuramente spingendolo a cooperare. Poi lei stessa vi racconterà.
  A proposito delle responsabilità sulla situazione, ci sarebbero da scrivere libri, probabilmente. Sono gli elementi che ho menzionato all'inizio. La Russia, in fondo, ha attraversato una fase – bisogna riguardare ancora il periodo, storicamente, dalla fine della Guerra fredda a oggi – nel corso degli anni Novanta, in cui ha avuto una difficile transizione interna. All'interno dell'OSCE, per esempio, ho visto che l'agenda dell'organizzazione è totalmente in mano agli occidentali. La Russia aveva perso il controllo anche sullo spazio ex sovietico, di cui stiamo parlando.
  Siamo passati ora a una fase diversa. Il Paese si sta riconsolidando economicamente, anche se è un po’ un gigante con i piedi di argilla. Solo l'energia è la grande forza della Russia, che però si sta anche rafforzando politicamente, vuole ricreare un suo spazio e si sente minacciata dall'avanzamento delle Istituzioni euro-atlantiche.
  La politica di vicinato est-europeo dell'Unione europea è stata vista dalla Russia come una minaccia. Certamente questo è stato uno degli elementi scatenanti di questo confronto, che vede l'Ucraina come terreno di scontro.
  Uno dei problemi che abbiamo, tornando all'Unione europea, è che molti nell'Unione europea vedono la crisi ucraina come un terreno di confronto con la Russia. In realtà, è la strategia verso la Russia che determina le mosse in relazione all'Ucraina, mentre, invece, è importante focalizzare l'attenzione sui problemi dell'Ucraina stessa e capire meglio il Paese per poter intervenire con efficacia. Gestire l'Ucraina in chiave antirussa oppure pro-russa non aiuta molto.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'ambasciatore Zannier e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.