XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 19 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 2 

Audizione della Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), Monique Barbut:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 2 
Barbut Monique , Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD) ... 2 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 6 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 6 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 6 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 7 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 7 
Barbut Monique , Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD) ... 7 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 8.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche tramite la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), Monique Barbut.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche emergenti, le sfide e le nuove prospettive di sviluppo dell'Africa Sub-sahariana, l'audizione della Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD), Monique Barbut, che saluto e ringrazio per la partecipazione ai nostri lavori.
  La signora Barbut è accompagnata da Jihane Salem e Sven Walter, Programme officer Liaison – Land, Security and Resilience.
  Do la parola alla nostra ospite affinché possa svolgere il suo intervento.

  MONIQUE BARBUT, Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD). Signor presidente, signore e signori, innanzitutto vi ringrazio per l'opportunità che mi date di esprimermi in questa sede e parlare della desertificazione e del degrado delle terre, che come sapete rientrano nel mandato della Convenzione delle Nazioni Unite sulla lotta alla desertificazione.
  Come sapete, la questione non è nuova soprattutto per l'Italia, data la sua posizione geografica e il suo ruolo storico nel processo che ha portato all'avvento di questa Convenzione. Il vostro Paese, infatti, ha ratificato la Convenzione già nel 1997 ed è stato anche il primo Paese ad accogliere una conferenza delle parti, sempre nel 1997.
  L'attualità ci dice però che l'Italia potrebbe svolgere un ruolo più ampio in questo campo. Parlo della recente tragedia in Libia, dove oltre venti egiziani cristiani sono stati massacrati dai terroristi del Daesh. Quando le immagini di queste atrocità sono state diffuse sugli schermi, sono state accompagnate da un messaggio dei terroristi che dicevano di essere già a sud di Roma. Naturalmente essi utilizzano il termine «Roma» come simbolo della minaccia che rappresentano per l'Occidente. È chiaro però che ormai si tratta di una minaccia su scala internazionale.
  Generalmente, quando si parla di questi conflitti, si pensa che le cause siano incentrate su aspetti religiosi o etnici. Certo, questa è una realtà innegabile, ma a mio parere ci sono anche altre sfide alla base di questa insicurezza a livello internazionale.
  Il mio intervento di oggi vuole proprio sottolineare il legame sempre più evidente tra la questione del degrado delle terre e quello dell'insicurezza. Si tratta di una questione di importanza strategica, che meriterebbe maggiore attenzione da parte dei politici. Oggi, infatti, nessun Paese o regione è esente dagli effetti del degrado dei suoli, della siccità prolungata, della desertificazione.Pag. 3
  L'interazione tra il degrado delle terre e il riscaldamento climatico è poi amplificato e accresce ancora di più le sfide che i Paesi devono raccogliere all'interno dei propri confini, nelle regioni e a livello internazionale.
  Pensiamo alle migrazioni forzate e ai conflitti per l'accesso alle risorse naturali. Questa situazione si vive in un mondo interconnesso, in cui si prevede che circa 9 miliardi di individui vivranno con un cambiamento climatico di più di due gradi e una concorrenza sempre più agguerrita per accedere alle risorse naturali.
  Gli osservatori internazionali ci dicono che prossimamente la concorrenza per le risorse naturali rappresenterà una grave fonte di minaccia per la pace internazionale. La FAO, per esempio, dice che soltanto per la questione della sicurezza alimentare sarà necessario aumentare del 70 per cento la produzione di risorse alimentari per rispondere al fabbisogno della popolazione mondiale entro il 2050.
  La dinamica demografica che noi conosciamo implica anche che la disponibilità di terre fertili continuerà a diminuire. Nel 1960 ogni individuo aveva a disposizione circa mezzo ettaro di terra. Oggi è disponibile meno di un terzo di questa superficie pro capite. Per soddisfare il fabbisogno di terre fertili per la produzione di cibo abbiamo bisogno di convertire 4 milioni di ettari di terra ogni anno per nutrire la popolazione che avremo nel 2050.
  Allo stesso tempo il processo di degrado delle terre continua ad aggravarsi e questo porrà sfide reali. Le cifre parlano da sole. Oggi il 24 per cento delle terre utilizzabili nel mondo è degradato e, se limitiamo questa cifra unicamente al settore agricolo, risulta degradato il 52 per cento delle terre agricole nel mondo.
  L'ultima relazione del gruppo di esperti sul cambiamento climatico indica che siamo entrati in un processo di declino delle terre fertili. Ogni dieci anni perderemo il 2 per cento di produttività delle terre nel mondo. In alcuni Paesi in via di sviluppo, in particolare in Africa, la perdita di terre arabili raggiunge addirittura il 50 per cento.
  Alcune simulazioni economiche nel Mali ci permettono di affermare che il contributo dell'agricoltura al prodotto nazionale lordo è in diminuzione di circa il 30 per cento. Entro il 2025 si ritiene anche che circa 2,4 miliardi di persone vivranno in zone soggette a intensi periodi di stress idrico.
  Se vogliamo utilizzare un linguaggio sportivo, possiamo dire che in ogni gara c’è un vincente e un perdente. In termini di cambiamento climatico e degrado delle terre, i perdenti inevitabilmente sono i Paesi più fragili e poveri, e non è sorprendente che le popolazioni di questi Paesi adottino strategie di sopravvivenza per trovare una via di uscita ad una situazione ambientale ed economica sempre più difficile.
  In Italia abbiamo una conseguenza concreta di questa preoccupante situazione, ovvero la migrazione di persone provenienti dall'emisfero sud. Se le risorse in termini di terre e acqua continueranno a diminuire, come avviene in molti Paesi dell'Africa, le popolazioni attive avranno sempre meno risorse per nutrire le proprie famiglie. Come prima soluzione sceglieranno la migrazione e si dirigeranno verso le regioni dove penseranno di poter trovare un minimo per vivere decentemente e sostenere le famiglie.
  La migrazione come mezzo per adattarsi al cambiamento climatico è un dato nelle strategie di sopravvivenza. In passato, le popolazioni rurali colpite dalla siccità e dal degrado delle terre sceglievano una migrazione stagionale semplicemente per compensare il deficit di produzione agricola. Oggi però la situazione è cambiata e, visto il degrado molto grave delle terre, queste migrazioni sono diventate permanenti.
  Le forze vive dei Paesi colpiti si spostano non soltanto verso i centri urbani, ma anche verso le regioni del mondo e in particolare l'Europa. Si stima che entro il 2020 60 milioni di persone potrebbero lasciare le zone più aride dell'Africa subsahariana Pag. 4per andare verso l'Africa del nord e l'Europa. Come ripeto, parliamo di 60 milioni di persone.
  Lampedusa è ormai conosciuta in tutto il mondo come il principale centro di transito di questi flussi di persone, che non esitano ad attraversare il Mediterraneo, rischiando la vita, per sfuggire ad una situazione economica e ambientale nel proprio Paese troppo difficile. Nei primi sette mesi del 2014 si calcola che circa 84.000 persone siano arrivate in Italia via mare, e purtroppo tutto indica che questa situazione non cambierà rapidamente.
  Il Ministero della difesa inglese stima che 135 milioni di persone migreranno a causa della desertificazione entro il 2045. Si stima anche che tra 250 milioni e un miliardo di persone rischino di essere sfollate entro il 2050 a causa del riscaldamento climatico.
  Al di là del fenomeno migratorio, osserviamo anche che nei Paesi più colpiti dal degrado delle terre la sicurezza delle persone è sempre più un dato sensibile. La migrazione, infatti, resta un'opzione per coloro che hanno i mezzi per partire. Gli altri, se non viene offerto loro un sostegno di alcun tipo, sentono forte la tentazione di intraprendere strade senza uscita pensando di trovare una soluzione, e questo spesso si traduce nella scelta dell'estremismo.
  Un esempio recente è rappresentato dalla situazione del lago Ciad. In cinque anni questo spazio è diventato il luogo di concentrazione dei terroristi di Boko Haram. Le sponde del lago Ciad finora erano servite come fonte naturale fertile e durante i periodi secchi le popolazioni del Niger, del Ciad, del Camerun e della Nigeria che vivono intorno al lago ne traevano le risorse.
  Non soltanto queste popolazioni sono molto aumentate, passando da 22 milioni nel 1991 a 38 milioni nel 2012, ma il lago Ciad è anche sottoposto a una forte pressione, per cause naturali ed umane, che sta portando al suo prosciugamento.
  La sua estensione era infatti di 25.000 chilometri quadrati nel 1963 e oggi è soltanto di 1.400 chilometri quadrati. Di conseguenza, l'agricoltura diventa sempre più difficile da praticare, mentre la domanda di produzione alimentare cresce e le popolazioni che vivono intorno al lago sono sempre più povere e più emarginate.
  La Nigeria fino a poco tempo fa era un Paese esportatore netto di prodotti alimentari, oggi è invece un Paese importatore di cibo. Il 90 per cento del bestiame è concentrato negli undici Stati del nord del Paese, che sono gravemente toccati dalla desertificazione. Le migrazioni interne hanno accelerato e l'accesso alle risorse naturali, in particolare alle terre fertili, è sempre più difficile. Questo ha reso la coesistenza e la coabitazione tra i diversi attori rurali molto difficile, in particolare tra agricoltori e pastori.
  Dal 2003 sono stati censiti oltre cento conflitti violenti tra i vari operatori rurali nel nord della Nigeria. Nel Sahel, nel Corno d'Africa, fino al Mar Rosso tutti i Paesi conoscono questo circolo vizioso di degrado delle terre, maggiore povertà, conflitto per l'accesso alle scarse risorse naturali e insicurezza.
  Nel 2008 la questione dell'insicurezza alimentare è stata resa ancora più sensibile dal fatto che i principali prodotti di base hanno subito un aumento nei prezzi in più di trenta Paesi e questo ha provocato rivolte popolari. Tali rivolte del pane hanno generato molte morti e hanno portato a quella che definiamo la «primavera araba». Le Nazioni Unite ritengono che le situazioni di conflitto per l'accesso alle risorse naturali tra agricoltori e pastori siano costate la vita a 300.000 persone.
  Pensiamo alla Siria. Come ha detto anche Al Gore, tra il 2006 e il 2010 ci sono stati i peggiori anni di siccità di questo Paese. Come conseguenza, un milione di piccoli agricoltori è andato nelle città e si è unito a un milione di rifugiati iracheni. Ci si è trovati con 2 milioni di persone nelle principali città della Siria senza futuro, senza lavoro e senza speranza. È chiaro che l'attuale situazione di guerra in Siria ha anche altre cause, ma secondo me è comunque importante notare che l'interazione Pag. 5tra la siccità prolungata e il riscaldamento climatico ha intensificato il conflitto.
  Che cosa si può fare per dare risposte e offrire a questi milioni di persone disperate possibilità di sopravvivenza diverse da quella delle migrazioni forzate e dei conflitti ? Noi pensiamo che ci siano alcune tappe pratiche di cui tenere conto. In particolare segnaliamo la creazione di un sistema di allerta precoce per ridurre il rischio associato alla siccità e all'insicurezza alimentare e per prevenire i conflitti.
  Un approccio di questo genere sarebbe meno costoso delle soluzioni militari che si adottano quando la crisi è ormai dichiarata. La gestione sostenibile delle terre rappresenta anche una risposta alla perdita di produttività dei terreni. La migliore gestione delle terre è un investimento economico, che offre opportunità di lavoro nelle comunità rurali alle popolazioni vulnerabili. È anche il modo migliore per stabilizzare queste popolazioni.
  Per questo la nostra Convenzione pone l'accento soprattutto sull'emergenza di obiettivi globali come quello della neutralità in termini di degrado delle terre. Lo scopo è prevenire il degrado continuo, ma anche ampliare lo schema delle pratiche di successo nella gestione delle terre, così da renderle accessibili a tutti.
  Bisogna recuperare terre degradate e abbandonate anche mediante incentivi, così da restituirle alle popolazioni rurali che ne sono proprietarie e renderle nuovamente utili per la produzione economica e la creazione di ricchezza. Riteniamo che circa 500 milioni di ettari di terre abbandonate potrebbero essere recuperate e rimesse nel circuito della produzione alimentare. Quasi 2 miliardi di ettari di terra in tutte le regioni del mondo potrebbero essere recuperati.
  È importante attirare l'attenzione dei decisori politici su questo tema e incoraggiare le autorità dei Paesi coinvolti e i loro partner nello sviluppo a considerare l'effetto benefico per tutti dell'investire su questo obiettivo.
  Le tecniche e le pratiche per ripristinare queste terre sono del resto a disposizione di tutti e hanno costi molto ragionevoli. Si ritiene, per esempio, che con una spesa tra i 25 e i 65 dollari si possa riabilitare un ettaro di terra nel Niger. Se si confronta questo costo con l'assistenza umanitaria, che nel 2011 in quel Paese è stata pari a 161 milioni di dollari, si capisce che in Niger avremmo potuto garantire il recupero da 3 a 7 milioni di ettari di terra. È una soluzione pratica, che costa poco e che può portare a una trasformazione radicale della situazione nei Paesi colpiti dal degrado dei suoli.
  Questo mi porta anche a sottolineare che così facendo contribuiremmo in maniera notevole allo sforzo internazionale per un mondo decarbonizzato. La terra, infatti, cattura naturalmente il carbonio. Se recuperiamo 500 milioni di terre degradate, potremo catturare un terzo dei gas a effetto serra prodotti ogni anno. Si tratta della strategia più rapida e meno costosa anche per lottare contro il cambiamento climatico. Speriamo quindi che tale questione possa entrare nell'accordo che sarà firmato a Parigi nel mese di dicembre.
  Per concludere vorrei sottolineare nuovamente il fatto che le migrazioni forzate e i conflitti legati al degrado delle terre coinvolgono direttamente i Paesi dell'Europa. L'Italia potrebbe maggiormente riflettere su tali questioni nella sua politica di cooperazione allo sviluppo. Bisogna prestare maggiore attenzione al ripristino delle terre, alla gestione sostenibile dell'agricoltura e dell'acqua, temi che dovrebbero essere parte della politica italiana di cooperazione anche per contribuire al miglioramento delle condizioni ambientali e della sicurezza. È una questione di interesse nazionale per l'Italia, come del resto per gli altri Paesi europei, soprattutto quelli che si trovano sulla sponda nord del Mediterraneo.
  Per quanto riguarda il processo di negoziazione sul cambiamento climatico, vorrei esortare l'Italia, attraverso i suoi negoziatori, a presentare il tema del potenziale Pag. 6della terra come una risposta concreta alle sfide presenti in particolare nei Paesi colpiti dalla desertificazione. Tale questione deve essere difesa nel contesto dei negoziati che a Parigi dovranno portare all'accordo sul cambiamento climatico.
  Credo che l'Italia si trovi anche nella posizione giusta per sostenere l'inclusione della neutralità del degrado del suolo negli obiettivi di sviluppo sostenibile. Il vostro Paese, infatti, sta già comprendendo la fattibilità di questa strategia attraverso un progetto pilota realizzato d'intesa con la nostra Convenzione.
  In un mondo interconnesso, com’è quello odierno, non possiamo più ignorare il legame tra degrado delle terre, insicurezza, migrazioni e povertà. La terra è un capitale naturale e va considerato nel pacchetto di misure che dobbiamo prevedere per la cooperazione allo sviluppo, la lotta al riscaldamento climatico, la lotta all'immigrazione clandestina e la sicurezza di noi tutti.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio la signora Barbut e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PIA ELDA LOCATELLI. È stata una bella lezione di geografia, di storia naturale, di geopolitica, di economia. È stato molto interessante e mi dispiace di essere qui sola, perché sarebbe stato altrettanto interessante per tanti altri colleghi e colleghe.
  Spero che la signora Barbut capisca che siamo in un periodo di grande frenesia, con mille attività, ma mi impegno a diffondere questi concetti perché sono davvero stimolanti, oltre che molto importanti e connessi alle politiche che il nostro Paese deve attuare.
  Innanzitutto la ringrazio perché mi aspettavo, sbagliando, un discorso sulla desertificazione. Non avrei mai pensato a legami così evidenti, pur in un mondo tanto interconnesso, tra desertificazione, cambiamento climatico, migrazioni e conflitti. Alla fine di questa catena complessa abbiamo il dovere di includere seriamente queste tematiche nella definizione delle nostre politiche per la cooperazione allo sviluppo, che è materia che interessa molto questa Commissione e complessivamente il Parlamento italiano.
  Recentemente abbiamo modificato la nostra legge sulla cooperazione, cercando di adattarla all'evoluzione del mondo, che non sempre è un'evoluzione positiva. Al contrario, come Lei ci ha raccontato, è un'evoluzione che va verso forme quasi disastrose per quanto riguarda l'assetto naturale e antropologico mondiale.
  È stato tutto così interessante e legato da una logica strettissima che, presidente, non possiamo far altro che assumerci un impegno affinché, insieme ai colleghi degli altri Comitati – penso soprattutto al Comitato sui post-Millennium Development Goals, che sta lavorando sui Sustainable Development Goals –, riusciamo a trasmettere questa bella lezione di oggi e a integrarla nell'impostazione delle nostre politiche di cooperazione.
  Ringrazio di nuovo la nostra ospite.

  PRESIDENTE. Aggiungo che l'idea di questa indagine conoscitiva era proprio quella di segnalare come l'Africa si trovi ad affrontare sfide globali. Dalle soluzioni che verranno trovate per quelle sfide probabilmente dipenderà anche il futuro stesso dell'umanità. Una di queste sfide è il cambiamento climatico, che è anche la ragione di questa audizione.
  La ringrazio di averci fatto notare come esistano interconnessioni non solo tra le questioni inerenti i cambiamenti climatici, quali il degrado delle terre, l'innalzamento della temperatura del globo e la riduzione delle risorse idriche, ma anche tra il cambiamento climatico, i processi di desertificazione e, più in generale, i cambiamenti del quadro geopolitico. I primi possono incidere sui flussi migratori e su quelle condizioni socio-economiche che possono essere concausa dei conflitti che oggi attraversano tutto il continente africano e non solo.Pag. 7
  Siamo abituati a non considerare la terra tra le risorse esauribili. Quando pensiamo alle risorse esauribili e alle fonti energetiche, non consideriamo mai la terra tra quelle principali. Io credo invece che oggi abbiamo assunto questa lezione sul fatto che probabilmente la terra è la prima delle fonti esauribili, perché è la risorsa che genera le altre. Dal degrado dei suoli dipende anche la limitatezza delle risorse idriche e questa credo che sia la sfida più importante.
  È stato un contributo prezioso e penso che lo inseriremo tra gli elementi di questa indagine conoscitiva come indirizzo per la cooperazione internazionale del nostro Paese, su come essa potrebbe essere più efficace e forse anche meno costosa nel perseguimento degli obiettivi se indirizzata verso il recupero delle terre degradate. La raccogliamo in sede di Comitato come una sfida importante.
  Quando il Comitato avrà l'occasione di incontrare il Governo, credo necessario, come suggeriva la collega Locatelli, assumerci l'impegno di porre il tema del recupero delle terre degradate all'attenzione dell'agenda politica italiana sia in una dimensione globale sia con riguardo alla Conferenza di Parigi, per far sì che esso diventi un tema centrale.
  Come è stato giustamente evidenziato, le migrazioni per ragioni climatiche sono in crescita. Dobbiamo quindi porci anche il problema di come sarà il mondo in cui vivremo tra venti o cinquanta anni. Pur pensando a un mondo sempre più interconnesso anche dal punto di vista delle persone, non possiamo che pensare di costruire un mondo in cui nove o dieci miliardi di persone possano convivere pacificamente e tutte con opportunità di sviluppo.

  PIA ELDA LOCATELLI. Vorrei aggiungere qualcosa. Mi preme innanzitutto sottolineare l'importanza della creazione di early warning, cioè sistemi di allerta precoce fondamentali per la prevenzione. Mi ha anche molto interessato il concetto di neutralità del degrado del territorio come elemento che definisce un parametro importantissimo.
  Volevo inoltre sottolineare il legame con il tema della sicurezza. In questo periodo siamo molto preoccupati – forse qualcuno è addirittura ossessionato – dal tema della sicurezza legata al terrorismo. Dimostrare come il degrado della terra possa essere una delle cause di fatto dell'insicurezza in cui viviamo, e che ci ha toccato proprio in queste ore, potrebbe essere un argomento molto convincente affinché tutti si preoccupino del recupero del capitale naturale che è rappresentato dalla terra.
  Mi pare una chiave di lettura molto convincente per promuovere politiche che tengano conto di questa complessità.

  PRESIDENTE. Do ora la parola a Monique Barbut per la replica.

  MONIQUE BARBUT, Segretaria Esecutiva della United Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD). Se me lo consentite vorrei aggiungere alcuni elementi.
  I Paesi che si trovano nelle zone secche sono stati tutti abbandonati. Abbiamo recentemente svolto uno studio, insieme alla Conferenza delle Nazioni Unite sulla desertificazione (CNUD), che abbiamo intitolato Il miliardo dimenticato. Si tratta cioè di quel miliardo di persone che vive nelle zone più secche a cui non abbiamo garantito istruzione e che non è nemmeno più in grado di nutrirsi. Se si considerano le zone di conflitto nel mondo che hanno portato all'estremismo, si scopre che sono le stesse.
  Si può parlare di religione o di conflitti etnici, ma esistono dei dati di fatto. Queste non sono opinioni della nostra Convenzione. Esistono studi condotti anche dagli eserciti tedesco e americano e dalla NATO su questi stessi temi. Se siete interessati, possiamo farveli avere. Sono tutte analisi che convergono sul medesimo risultato. Abbiamo presentato al Consiglio di Sicurezza una relazione sull'Africa relativamente al 2008, di cui abbiamo depositato Pag. 8un estratto agli atti della Commissione. In essa sono evidenziate le zone desertificate, le «rivolte del pane» che vi sono state in Africa e Al Qaeda nello stesso continente.
  Ogni volta che si verifica un uragano, la televisione ce lo mostra e tutti ne parlano. Eppure, ogni anno muoiono più persone per la siccità che per qualsiasi uragano sia mai arrivato. Queste persone però non muoiono in diretta, sotto le telecamere, perché la loro è una morte lenta e nessuno perciò si interessa di loro. È importante che i politici capiscano la questione. Devono essere guidati, andando al di là delle immagini che vengono trasmesse in televisione.
  Stiamo per trovarci in situazioni ancora più esplosive di quelle che già conosciamo.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare Monique Barbut e tutti gli intervenuti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.