XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 28 giugno 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA STRATEGIA ITALIANA PER L'ARTICO.

Audizione della Professoressa Elena Sciso, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma.
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 3 
Sciso Elena , Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma ... 4 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 9 
Colletti Andrea (M5S)  ... 9 
Sciso Elena , Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma ... 9 
Cassano Franco (PD)  ... 9 
Sciso Elena , Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma ... 9 
Garavini Laura (PD)  ... 9 
Sciso Elena , Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma ... 9 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 10 
Sciso Elena , Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma ... 10 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 10 
Sciso Elena , Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma ... 10 
Palazzotto Erasmo , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Civici e Innovatori: (CI);
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI: Misto-FARE!-PRI;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
ERASMO PALAZZOTTO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della Professoressa Elena Sciso, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno alla seduta odierna reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Strategia italiana per l'Articolo, l'audizione della Professoressa Elena Sciso, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Saluto e ringrazio per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori la Professoressa Sciso. Nell'ambito della stessa Facoltà e della Facoltà di Giurisprudenza, la Professoressa Sciso insegna anche diritto internazionale dell'economia e dell'ambiente. Fino al 2011 è stata componente della Commissione tecnica che opera nell'ambito della Seabed Authority, l'autorità internazionale che disciplina le attività estrattive di minerali, petrolio e gas nei mari profondi, nel segno della tutela dell'ambiente marino. Nel 1990 la Professoressa Sciso è stata consulente giuridico del Ministro degli affari esteri per la questione Antartide e dal 1998 è arbitra internazionale, designata dal Governo italiano, per la soluzione delle controversie in materia di tutela ambientale nell'Antartide, presso la Corte permanente di arbitrato dell'Aja.
  La Commissione ha richiesto il contributo della Professoressa Sciso, al fine di poter ricevere un inquadramento giuridico della «questione Artico», alla luce dei riferimenti finora emersi nel corso del lavoro di indagine. Mi riferisco, innanzitutto, al diritto internazionale del mare, ma anche al Trattato delle Isole Svalbard, siglato dall'Italia nel 1920, al cosiddetto Accordo di Barents tra Norvegia e Russia, siglato nel 2010, e all'opportunità che la comunità internazionale si attivi per uno specifico strumento giuridico sull'Artico, in analogia con quanto è avvenuto per l'Antartide. È da segnalare che gli interlocutori incontrati nel corso della recente missione in Norvegia e presso le Isole Svalbard hanno negato questa esigenza alla luce degli equilibri consolidati, raggiunti dalla Norvegia e dalla Russia. In occasione della stessa missione, la delegazione della Commissione affari esteri e comunitari ha direttamente preso contezza di quanto l'Artico rappresenti un avamposto ineguagliabile sul piano ambientale, scientifico, del processo tecnologico e delle applicazioni industriali e debba restare un patrimonio a disposizione di tutto il pianeta. È, pertanto, essenziale l'impegno della comunità internazionale nel prevenire alterazione degli equilibri, anche di carattere geopolitico, nella regione; equilibri tutelati fino ad oggi anche grazie alle fonti di diritto internazionale, con particolare riferimento al profilo del riarmo.
  Avverto che la Professoressa Sciso ha depositato il testo integrale della sua relazione, che rimarrà agli atti dell'indagine conoscitiva.
  Do ora la parola alla Professoressa Sciso affinché svolga la sua relazione.

Pag. 4

  ELENA SCISO, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti, cercherò di essere relativamente sintetica, ma soprattutto cercherò di darvi un quadro il più possibile onnicomprensivo nella prospettiva disegnata dal presidente. In questa prospettiva, io vorrei fare una premessa di carattere generale: i due Poli, il Polo Nord e il Polo Sud, hanno una struttura fisica e geologica completamente diversa. L'Antartide, come sappiamo tutti, è essenzialmente una massa continentale circondata da acque, che sono quelle a sud del 60° grado di latitudine sud. Su questa massa continentale non ci sono Stati sovrani. Quindi, corrispondentemente, non c'è esercizio di giurisdizione esclusiva di Stati costieri nelle acque antartiche. L'Artico, al contrario, è costituito da acque circondate da terra ferma, da territori sui quali si esercita la sovranità di determinati Stati. Si tratta dei cinque Stati costieri artici, cioè la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, la Danimarca, attraverso la Groenlandia, e la Norvegia.
  Da questa situazione così diversa scaturiscono regimi giuridici diversi applicabili alla gestione e all'uso di queste due aree. Nel 1959, come probabilmente alcuni di voi sanno, per l'Antartide è stato concluso il Trattato di Washington. Il Trattato di Washington si inseriva in una situazione nella quale non c'erano Stati sovrani e nella quale le acque erano da considerarsi alto mare. Il Trattato, quindi, riproduce le libertà tradizionali dell'alto mare: libertà di navigazione, libertà di sorvolo, libertà di posa di cavi a fini di comunicazione e quant'altro. Non c'erano e non ci sono Stati sovrani in Antartide, c'erano soltanto pretese di sovranità avanzate da sette Stati. Queste pretese, tuttavia, non si sono mai concretizzate nel corso degli anni e non si sono mai trasformate in titoli effettivi di sovranità. Il Trattato congela queste pretese di sovranità attraverso la freezing close dell'articolo 4, in base al quale queste pretese di sovranità non vengono né riconosciute né disconosciute ma, appunto, congelate allo stato in cui si trovavano nel 1959 per tutta la vigenza del Trattato. Il Trattato avvia una cooperazione esclusivamente in materia scientifica.
  Successivamente, nel corso degli anni, questa cooperazione si è allargata, anche in Antartide, all'uso delle risorse con la conclusione di due Accordi specifici: quello sulle foche del 1972 e quello sulla pesca del 1982. Il Trattato di Washington stabilisce anche che l'Antartide sia una zona smilitarizzata e denuclearizzata; pone il divieto di effettuare esperimenti nucleari in Antartide e della posa di materiale radioattivo nei fondi dell'Antartide. Il Trattato di Washington è stato completato, nel 1991, da un Protocollo di tutela ambientale, il Protocollo di Madrid. La gestione dell'area è affidata a un ampio sistema di cooperazione, del quale fanno parte attualmente 53 Stati; ma, nell'ambito di questi 53 Stati, 29 hanno un ruolo particolare e sono le Parti consultive antartiche. Le Parti consultive antartiche sono quegli Stati che mostrano un interesse attivo nell'area, mantenendo stazioni scientifiche permanenti in Antartide. L'Italia ha acquisito questo status nel 1987. Il nostro Paese, infatti, mantiene due basi: la prima, a titolo individuale, è la Base di Terranova, che oggi si chiama Base «Mario Zucchelli», e l'altra, gestita insieme alla Francia, è la Base «Concordia».
  Naturalmente, non c'è una popolazione stanziale in Antartide, perché il clima non lo consente, ci sono soltanto gruppi di scienziati che, periodicamente e per periodi limitati, occupano queste stazioni scientifiche.
  In Artico, come abbiamo detto, ci sono essenzialmente acque circondate da territori che appartengono a Stati sovrani. Questo significa, quindi, che in Artico si applicano, innanzitutto, gli accordi di cui questi Stati sovrani sono parti. Mi riferisco, quindi, soprattutto alla Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare, che codifica il diritto consuetudinario del mare. La Convenzione è stata ratificata, fino ad oggi, da 167 Stati, quindi è un trattato a portata universale. Tutti gli Stati del Consiglio Artico sono parti della Convenzione di Montego Bay, tranne gli Stati Uniti. In effetti, l'Amministrazione Obama, nel tracciare la Pag. 5Strategia degli Stati Uniti per l'Artico nel 2016, aveva posto come obiettivi prioritari per gli Stati Uniti ratificare la Convenzione e procedere, sulla base delle disposizioni della Convenzione, alla misurazione della piattaforma continentale artica.
  La Convenzione di Montego Bay è uno strumento giuridico fondamentale per la gestione delle questioni che riguardano l'Artico perché disciplina le varie zone costiere, che sono pertinenza degli Stati costieri, fissa l'ampiezza massima di queste zone, stabilisce, da una parte, i diritti e gli obblighi degli Stati costieri e, dall'altra, fissa le libertà o i diritti degli Stati terzi nelle zone di pertinenza degli Stati costieri. Gli Stati Uniti possono procedere, ma solo unilateralmente, alla misurazione della loro piattaforma continentale e, nell'ipotesi di controversia, non possono servirsi dei rimedi specifici offerti dalla Convenzione di Montego Bay.
  In Artico non si applica soltanto la Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare. Per esempio, si applicano altri accordi, come quello sulla conservazione delle specie ittiche migratorie; si applica il Polar Code, cioè una serie di regole che sono state messe a punto dall'Organizzazione Marittima Internazionale (International Maritime Organisation) per la navigazione specifica nelle acque polari. Quindi, il Codice polare si applica, allo stesso modo, alle navi che navigano in Artico e in Antartide. Tutti gli Stati artici sono parti del Polar Code, che va a completare e ad integrare un altro accordo importante per l'Artico, ossia la Convenzione per la prevenzione e il contenimento dell'inquinamento causato da navi.
  In materia ambientale, all'Artico si applica anche la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Mi riferisco agli Accordi di Parigi del dicembre 2015, che sono stati ratificati da tutti gli Stati artici. Sappiamo che il Presidente Trump ha denunciato quella Convenzione; sappiamo anche che la Convenzione può essere denunciata soltanto tre anni dopo la sua entrata in vigore, quindi questa intenzione di Trump, se mantenuta, diverrà operativa fa circa tre anni. Per ora gli Stati Uniti sono parte degli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici e, quindi, sono tenuti a rispettarne i pochi obblighi previsti.
  In Artico si applicano anche accordi sul divieto dell'uso di armi di distruzione di massa, per esempio la Convenzione sul divieto di armi batteriologiche del 1972 e la Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche del 1993. All'Artico si applica anche un importante trattato del 1971 sulla proibizione della installazione di ordigni nucleari e di altre armi di distruzione di massa sui fondali e sul sottosuolo marino artico. Si applica anche il Trattato di non proliferazione nucleare del 1968 e vale la pena di ricordare che due Stati costieri artici (la Federazione Russa e gli Stati Uniti d'America) sono potenze nucleari ai sensi di questo Trattato del 1968. Ciò risponde all'auspicio, che è stato sostenuto ad alcune parti, di stabilire per trattato, anche per l'Artico, zone smilitarizzate e denuclearizzate.
  Nell'Artico già non è possibile effettuare esperimenti nucleari grazie ai trattati di cui abbiamo parlato. Quanto all'ipotesi di una smilitarizzazione dell'Artico, francamente, a causa della presenza di grandi potenze come la Russia e gli Stati Uniti, questa ipotesi mi pare piuttosto irrealistica, per lo meno in un breve-medio periodo.
  La governance dell'Artico è affidata ad una forma di cooperazione che, però, a differenza di quella dell'Antartide, non ha alla base un trattato internazionale. La governance dell'Artico è regolata nell'ambito del Consiglio Artico, che nasce sulla base di quello che noi chiamiamo uno strumento di soft law, cioè una dichiarazione: la Dichiarazione di Ottawa del 1996. Del Consiglio Artico fanno parte otto Stati membri, che sono i cinque Stati artici, già ricordati in precedenza, cioè la Russia, gli Stati Uniti, il Canada, la Danimarca e la Norvegia, e altri tre Stati costieri, i cui territori non si affacciano direttamente sull'Artico, ma che sono stati storicamente attivi nella regione. Questo ruolo viene riconosciuto alla Svezia, alla Finlandia e all'Islanda, che, quindi, sono membri del Consiglio Artico. Del Consiglio Artico fanno Pag. 6parte anche sei permanent partner, che sono le sei organizzazioni di popoli indigeni dell'Artico. I permanent partner hanno un ruolo particolare, che, però, non è quello di membro.
  Al Consiglio partecipano anche osservatori, che possono essere Stati, organizzazioni internazionali, ma anche ONG. Attualmente, nel Consiglio Artico sono presenti dodici Stati osservatori, sette sono Stati membri dell'Unione europea, se vogliamo considerare il Regno Unito ancora membro dell'Unione europea (Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna, Olanda e Polonia). L'Italia ha acquisito questo status nel 2013. Ci sono poi cinque Stati non europei: la Cina, l'India, la Corea del Sud, Singapore e la Svizzera. L'Unione europea ha presentato richiesta per ottenere lo status di osservatore nel 2013. Il Consiglio Artico non ha respinto questa richiesta, riservandosi, però, di assumere una decisione formale una volta che fosse stata risolta la controversia che, in quel periodo, l'Unione europea aveva con il Canada a motivo della caccia delle foche. Questa controversia è stata superata ormai da un po’ di tempo, però anche nell'ultima riunione del Consiglio Artico, quella che si è tenuta Fairbanks nel maggio scorso, la questione dell'attribuzione dello status di osservatore all'Unione europea non è stata nemmeno toccata, non era nemmeno presente nell'agenda dei lavori del Consiglio Artico. In realtà, probabilmente, i fatti ucraini e il rinnovo delle sanzioni nei confronti della Russia, che è avvenuto recentemente, non sono elementi che possano lasciar sperare bene in uno sbocco positivo a breve della richiesta dell'Unione europea. Però, l'Unione europea partecipa come osservatore ad hoc ai lavori del Consiglio Artico.
  Gli osservatori non partecipano minimamente al processo decisionale, il quale è esclusivamente in mano agli otto Stati membri. La Dichiarazione di Ottawa, inoltre, prevede che il numero degli Stati membri del Consiglio Artico non possa essere aumentato: otto erano nel 1996 e otto saranno in futuro. Può essere aumentato il numero degli osservatori e può essere aumentato il numero dei partner permanenti. I partner permanenti non partecipano al processo decisionale, ma hanno il diritto di essere consultati rispetto a questioni che riguardano la tutela dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile, ossia l'uso sostenibile delle risorse dell'Artico. Le decisioni vengono assunte per consensus. Gli osservatori possono presentare dei progetti affinché alcune questioni vengano discusse, ma possono farlo solo tramite l'intermediazione di uno Stato membro.
  Recentemente, nel 2013, sono stati conclusi due veri e propri accordi nell'ambito del Consiglio Artico: uno per la cooperazione in materia di salvataggio marino e l'altro relativo alla cooperazione nella prevenzione e nel contenimento dell'inquinamento da petrolio. Vorrei sottolineare che, anche in questo caso, questi accordi sono aperti esclusivamente alla partecipazione degli Stati membri del Consiglio Artico, quindi sono aperti solo alla partecipazione di questi otto Stati.
  Per quello che riguarda, poi, la pesca nelle zone di alto mare dell'Artico, cioè quelle acque che, per la verità, sono veramente limitate e, oltretutto, sono in gran parte coperte dai ghiacci, è stata adottata nel 2015 dai cinque Stati artici – quindi dagli Stati sovrani artici – una Dichiarazione che si richiama interamente ai princìpi della Convenzione di Montego Bay in materia.
  Per ciò che riguarda la questione della sicurezza e della cooperazione, eventualmente anche militare, in Artico, vorrei ricordare che degli otto Stati membri del Consiglio Artico soltanto tre non fanno parte della NATO, cioè la Russia, la Svezia e la Finlandia. Però, la Svezia e la Finlandia, che non sono membri della NATO, sono membri dell'Unione europea. A questo riguardo, in materia di sicurezza e di difesa, l'articolo 42 del Trattato sull'Unione europea, che prevede la possibilità di sviluppare una politica europea di sicurezza e di difesa, dice chiaramente che questa politica, comunque, dovrà essere conforme agli impegni che alcuni Stati membri hanno assunto nel quadro NATO. Quindi, se mi permettete un'annotazione di carattere non giuridico, ma in qualche modo politico- Pag. 7strategico, possiamo dire che in questo contesto la Russia è un po’ isolata. Quindi, è veramente inverosimile pensare che la Russia possa arretrare di un millimetro rispetto alle sue pretese in Artico, tanto più alla luce di questa situazione.
  Ho già detto che la Convenzione di Montego Bay è uno strumento giuridico fondamentale per la gestione dell'Artico, ma lo è anche per la soluzione delle eventuali controversie che possano nascere fra gli Stati artici. Le controversie in atto sono più d'una. Ci sono, innanzitutto, le controversie che riguardano i famosi passaggi: il passaggio a nord-ovest e il passaggio a nord-est, che sono passaggi speculari.
  Rispetto al passaggio di nord-est, la controversia è tra gli Stati Uniti e la Russia; però, da qualche anno, l'Unione europea appoggia la posizione degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti sostengono che il passaggio a nord-est, che passa attraverso le acque territoriali, le acque interne e la zona economica esclusiva della Russia, è uno stretto internazionale, che, quindi, dovrebbe essere garantita la libertà di passaggio ai vari Stati e che questo passaggio non possa essere bloccato da una decisione dello Stato costiero. La Russia, secondo gli Stati Uniti, ha esteso indebitamente il suo mare territoriale e le sue acque interne, così che questo passaggio adesso attraversa anche una parte di mare territoriale russo e acque interne russe.
  Probabilmente voi lo avrete saputo andando in Artico, la Russia impone a tutte le navi che vogliono utilizzare questo passaggio il pagamento di un permesso di transito prescrivendo a queste navi di rispondere ad alcune condizioni che vengono specificate in una serie di regolamenti adottati da un organismo creato a questo proposito. Per giustificare questa sua posizione, la Russia invoca una disposizione della Convenzione di Montego Bay: l'articolo 234, che è relativo alle aree marine coperte dai ghiacci e consente allo Stato costiero di adottare, entro la sua zona economica esclusiva – quindi, al di là del mare territoriale, entro 200 miglia dalla costa –, disposizioni tese a prevenire l'inquinamento marino da navi e a preservare la sicurezza della navigazione. Le navi che intendono passare attraverso queste zone devono, quindi, conformarsi a questi regolamenti, che, a loro volta, devono essere non discriminatori e basati su documentazione scientifica.
  Un'altra controversia, che oppone gli Stati Uniti al Canada, riguarda, invece, il passaggio a nord-ovest, che si è parzialmente liberato dei ghiacci di recente e ha consentito di abbreviare la rotta di comunicazione verso l'est, verso i Paesi asiatici. Il Canada sostiene che il passaggio a nord-ovest si sviluppa all'interno delle sue acque interne. Gli Stati Uniti, invece, ancora una volta, ritengono che si tratti di uno stretto internazionale. Gli stretti internazionali mettono in comunicazione due zone di alto mare o due zone economiche esclusive. Il passaggio negli stretti internazionali – lo ripeto – non può mai essere sospeso discrezionalmente dallo Stato costiero. Il Canada, invece, ritiene che il passaggio attraversi le sue acque interne. Dal punto di vista giuridico c'è una grande differenza tra le acque interne e le acque territoriali. Nelle acque territoriali di uno Stato, che sono quelle che si trovano al di là della linea di base del mare territoriale, lo Stato esercita un controllo ma gli Stati terzi hanno il diritto di passaggio inoffensivo. Le acque interne, che sono quelle che si trovano al di qua della linea di base del mare territoriale, sono, invece, acque sovrane e lo Stato costiero vi esercita gli stessi diritti pieni di sovranità che esercita sulla terraferma, quindi senza diritti di passaggio per gli Stati terzi. Il Canada, fino ad oggi, si è astenuto dall'invocare l'articolo 234 della Convenzione di Montego Bay, che si applica alle acque coperte dai ghiacci, però, anche recentemente, ha fissato come obiettivo prioritario della politica estera artica del Paese quello di mantenere la sovranità canadese nell'Artico del nord, quindi anche in questo passaggio.
  C'è, poi, una controversia relativa alla delimitazione delle piattaforme continentali tra la Danimarca, la Russia e il Canada, lungo la dorsale di Lomonosov. La piattaforma continentale è, in senso geologico, la prosecuzione sottomarina della terraferma ed è una zona costituita da fondali marini Pag. 8e dal sottosuolo marino su cui lo Stato costiero esercita diritti sovrani limitatamente allo sfruttamento delle risorse. Le risorse della piattaforma continentale sono risorse minerarie, quindi, per quel che riguarda l'Artico, si tratta di riserve di gas naturale e di petrolio. Sulla piattaforma continentale di uno Stato costiero nessun altro Stato, per nessuna ragione, può pretendere di esercitare un'attività di sfruttamento. Anche in questo caso, la delimitazione delle piattaforme continentali avviene sulla base delle regole fissate dalla Convenzione di Montego Bay, che istituisce un organismo di controllo, ossia la Commissione per il margine esterno delle piattaforme continentali. La Russia e la Danimarca hanno trasmesso le loro misurazioni alla Commissione e sono in attesa di conoscerne il risultato, mentre il Canada ad oggi non ha trasmesso alcuna misurazione.
  Prima di passare all'illustrazione dello status giuridico dell'arcipelago delle Svalbard, vorrei soffermarmi anche su un'altra piccola isola, che è poco più di uno scoglio, l'isola di Hans, la cui sovranità è contesa tra Danimarca e Canada. Perché è così importante affermare la sovranità su uno scoglio? Perché, secondo la Convenzione di Montego Bay, anche le isole hanno la piattaforma continentale e, quindi, la sovranità sull'isola di Hans consentirebbe a questi Stati di estendere la loro piattaforma continentale.
  Il Presidente faceva cenno alla controversia tra Russia e Norvegia per la delimitazione delle rispettive zone costiere, zone economiche esclusive e piattaforma continentale. Tale controversia è stata risolta mediante accordo nel 2010, in applicazione delle regole della Convenzione di Montego Bay.
  Lo status giuridico delle Isole Svalbard è molto particolare e anche molto interessante anche per l'Italia, perché l'Italia è parte del trattato che definisce questo status giuridico. Le Isole Svalbard sono state oggetto di una controversia di sovranità tra la Russia di allora e la Norvegia, che è stata risolta con un trattato che attribuisce la sovranità sull'arcipelago alla Norvegia. Contestualmente, però, tale trattato attribuisce agli Stati parte, che originariamente erano nove e adesso sono diventati quarantatré, su un piano di perfetta parità con i cittadini norvegesi, il diritto di svolgere attività di pesca, di svolgere l'attività di caccia sulla terraferma, ma anche nelle acque prospicienti, di sviluppare attività economiche, commerciali e anche minerarie.
  Il codice minerario è stato elaborato nel 1925 e non è stato mai modificato. Però, il diritto del mare dal 1925 ad oggi si è evoluto. Quindi, anche se il codice minerario parla di trivellazioni per estrazione mineraria nelle acque prospicienti le coste, un'ordinanza del ministero competente norvegese, nel 1967, ha esteso questi diritti alle acque territoriali e, siccome i trattati sono soggetti ad una interpretazione evolutiva, come stabilito dalla Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, questi diritti di svolgere attività mineraria, quindi di effettuare trivellazioni, devono intendersi oggi relativi anche alla piattaforma continentale delle Svalbard.
  Esiste la possibilità di estendere questo regime, che attualmente è un unicum, ad altre zone dell'Artico, soprattutto per quello che riguarda l'accesso alle risorse e il loro sfruttamento? Non credo, perché, come ho già detto, in Artico ci sono Stati sovrani, che, ai sensi del diritto internazionale, esercitano diritti di giurisdizione esclusiva sulle risorse biologiche e minerarie delle rispettive zone costiere. È vero che i russi, forse per primi, nel 2007 hanno piantato la bandiera nazionale a 4.200 metri di profondità in Artico per sottolineare la rivendicazione russa di una parte del territorio artico, però è vero anche che trivellazioni sulla piattaforma continentale artica sono effettuate anche da imprese norvegesi; è vero che permessi per la trivellazione della piattaforma continentale artica intorno alle coste dell'Alaska sono stati concessi dagli Stati Uniti e che il divieto di effettuare trivellazioni nella piattaforma continentale artica degli Stati Uniti, che l'Amministrazione Obama aveva introdotto nel dicembre 2016, determinato da considerazioni di tipo ambientalista, è stato poi rimosso formalmente dal Presidente Trump nell'aprile del 2017. Lo stesso Canada, che è un Paese Pag. 9ambientalista, ha rilasciato alcune concessioni per trivellazione e, quindi, anche alcune imprese e società canadesi effettuano attività mineraria nella piattaforma continentale artica del Canada.
  Rispettando l'indicazione che mi è stata data, concludo il mio intervento e naturalmente sono disponibile per eventuali domande o chiarimenti.

  PRESIDENTE. Ringrazio la Professoressa Sciso e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA COLLETTI. Ho una curiosità: in base alla Sua esperienza, quando la Commissione potrebbe giungere a una soluzione rispetto alla disputa sulla dorsale di Lomonosov?

  ELENA SCISO, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Probabilmente tra non molto tempo. Infatti, la Russia ha proposto la sua misurazione nel 2011. Questa misurazione non è stata accettata una prima volta dalla Commissione, per difetto di documentazione scientifica. La documentazione scientifica è stata integrata nel 2014. Quindi, si è in attesa che la Commissione si pronunci. La stessa cosa vale per quel che riguarda la Danimarca. Anche in questo caso, la Commissione ha chiesto ulteriori documenti scientifici. Probabilmente, una decisione arriverà tra un anno o un anno e mezzo.

  FRANCO CASSANO. Le vorrei porre rapidamente una domanda: dovendo fare una gerarchia delle turbolenze in quest'area, Lei chi metterebbe ai primi posti? Quali possono essere le dimensioni più preoccupanti non solo per quest'area ma anche per gli equilibri più generali?

  ELENA SCISO, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Ovviamente io non sono un politologo, quindi mi scuso se non riesco ad avere una visione onnicomprensiva di questi aspetti. Francamente, io ritengo che questa forma di cooperazione per l'Artico funzioni e il motivo per cui funziona è che tiene conto di un aspetto fondamentale: è una forma di cooperazione che periodicamente mette intorno ad un tavolo gli otto Stati attivi in Artico, ma soprattutto i cinque Stati che hanno la sovranità in Artico, nel senso che ho citato prima. Questi Stati, nell'ambito del Consiglio Artico, sono riusciti a parlarsi anche nei periodi di maggiore tensione. Il fatto, poi, che, come ho già detto, il Consiglio Artico sia una forma di cooperazione di soft law – non è un'organizzazione internazionale, non è basata su un trattato internazionale – paradossalmente favorisce l'accordo, in quanto questa cooperazione si basa esclusivamente sulla volontà degli Stati di cooperare e questa volontà fino ad oggi si è manifestata.

  LAURA GARAVINI. Innanzitutto, La ringrazio molto per la Sua esposizione, che è stata estremamente puntuale e interessante. Mi pare di aver capito che le questioni che Lei pone e che sono all'oggetto di queste controversie siano soprattutto di natura giuridica. Esiste un organismo deputato a risolverle dal punto di vista meramente giuridico?

  ELENA SCISO, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Sì, certo. A parte il fatto che esistono i normali strumenti di soluzione delle controversie predisposti dal diritto internazionale, tutti questi Stati, tranne gli Stati Uniti, sono parte della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare. La Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare contiene una parte interamente dedicata alla soluzione delle controversie.
  Naturalmente, Lei è perfettamente a conoscenza della controversia relativa ai due marò tra l'India e l'Italia. Tale controversia, rispetto alla quale è stata invano cercata una soluzione politica per anni, adesso è affidata ad un meccanismo giuridico di soluzione, ossia al Tribunale arbitrale costituito ai sensi della Convenzione di Montego Bay. Pag. 10
  Ho citato, per esempio, la controversia relativa all'estensione della piattaforma continentale di Russia, Danimarca e Canada. Per quello che riguarda la misurazione della piattaforma continentale, le relative controversie sono decise da questa Commissione per il margine esterno della piattaforma continentale, che è un organismo creato all'interno della Convenzione di Montego Bay.

  PRESIDENTE. Mi aggiungo agli interventi dei colleghi per una domanda specifica oggetto dell'indagine conoscitiva. A suo parere, non risulta necessario un ulteriore strumento giuridico per determinare la governance dell'Artico?

  ELENA SCISO, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Lei intende uno strumento giuridico di carattere tendenzialmente universale?

  PRESIDENTE. Sì.

  ELENA SCISO, Ordinaria di diritto internazionale presso la Facoltà di Scienze Politiche della LUISS «Guido Carli» di Roma. Francamente, mi sembra una proposta, oggi e nel breve periodo, piuttosto irrealistica. Per tutte le considerazioni che sono emerse, ritengo sia anche una proposta non strettamente utile. Infatti, come abbiamo visto, il quadro giuridico applicabile all'Artico è un quadro abbastanza ricco: non vi è soltanto la Convenzione di Montego Bay, ma ci sono anche molti altri accordi.
  La conclusione di un trattato universale sull'Artico, fra l'altro, dovrebbe superare lo scoglio della posizione degli Stati che hanno sovranità nell'area, cioè i cinque Stati artici di cui abbiamo parlato. Questi Stati, a partire dal 2008, hanno sempre affermato di non vedere la necessità di concludere un trattato sull'Artico, tanto meno un trattato aperto alla partecipazione di altri Stati. La partecipazione di altri Stati dovrebbe, fra l'altro, comportare una partecipazione alla pari con i membri del Consiglio Artico, ma su quale base? Quale dovrebbe essere la natura dell'interesse preso in considerazione per attribuire questa membership paritaria ad altri Stati? Nell'ambito dei consultative meeting per l'Antartide questo interesse è quello scientifico: quindi, c'è un interesse che ha natura scientifica. In Artico quale dovrebbe essere l'interesse?
  L'Artico, nella prospettiva di uno scioglimento progressivo dei ghiacci, diventa molto importante non soltanto ai fini dello sfruttamento delle risorse che ho citato (gas naturale, petrolio e altri depositi minerari), ma diventa molto importante per le rotte di comunicazione e commerciali, perché si abbrevia moltissimo la comunicazione con l'Europa e con i Paesi asiatici. Del resto, non è casuale che nel 2013 la Cina abbia concluso con l'Islanda un free trade agreement. L'Islanda è un Paese molto piccolo; ha una superficie inferiore alla metà dell'Italia, forse è un terzo dell'Italia; ha 330.000 abitanti. Che cosa ha spinto la Cina a concludere un free trade agreement con l'Islanda? La risposta è che questo Trattato stabilisce la libertà degli scambi non solo in materia commerciale, ma anche per quel che riguarda la prestazione dei servizi. Nella previsione della prestazione dei servizi aperti in Islanda alla Cina e, corrispondentemente, aperti in Cina all'Islanda rientrano anche i servizi ingegneristici. Ciò, letto in un altro modo, significa che vi rientrano i servizi per le infrastrutture energetiche nelle aree di offshore e anche i servizi in materia di trasporti.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, ringrazio la Professoressa Sciso e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.45.