XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 19 novembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 1174  COLLETTI, C. 1528  MAZZIOTTI DI CELSO E C. 2150  FERRANTI, RECANTI «MODIFICHE AL CODICE PENALE IN MATERIA DI PRESCRIZIONE DEI REATI»

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di Glauco Giostra, ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma, di Tullio Padovani, ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, e di rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Padovani Tullio , Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Giostra Glauco , ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 18 
Padovani Tullio , Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa ... 19 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Padovani Tullio , Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Padovani Tullio , Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 19 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 23 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Colletti Andrea (M5S)  ... 24 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 24 
Amoddio Sofia (PD)  ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Rossomando Anna (PD)  ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 27 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 29 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 31 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 33 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 33 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 33 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 34 
Giostra Glauco , Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma ... 34 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione Camere penali italiane ... 34 
Ferranti Donatella , Presidente ... 34

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di Glauco Giostra, ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma, di Tullio Padovani, ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, e di rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 1174 Colletti, C. 1528 Mazziotti Di Celso e C. 2150 Ferranti, recanti «Modifiche al Codice penale in materia di prescrizione dei reati», l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di Glauco Giostra, ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma, di Tullio Padovani, ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa, e di rappresentanti dell'Unione Camere penali italiane.
  Abbiamo oggi con noi il professor Tullio Padovani, il professor Glauco Giostra, il neo-presidente dell'Unione delle Camere penali, che per la prima volta viene in Commissione giustizia e a cui diamo il nostro saluto, Beniamino Migliucci, e il presidente – che conosciamo già – dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Maria Sabelli.
  Iniziamo dal professor Giostra, che mi aveva fatto una richiesta specifica perché ha dei motivi familiari. Anzi, lo ringraziamo per essere presente nonostante le difficoltà. Subito dopo sentiremo il professor Padovani e poi continueremo con l'Associazione nazionale magistrati e le Camere penali, o viceversa. Peraltro, è presente anche l'Ufficio legislativo del ministero, su incarico del ministro.
  Probabilmente ci possiamo dare un tempo di 10-15 minuti per intervento. Noi oggi non abbiamo nemmeno seduta, ragion per cui ci rimettiamo ai relatori.
  Do la parola al professor Giostra.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Innanzitutto vorrei esprimere una sincera solidarietà agli ascoltatori. Non vorrei essere noi vostri panni. Voi avete ascoltato, infatti, una processione di autorevoli relatori dirvi che la prescrizione è un problema serio, che va affrontato. Poi saranno state almanaccate tante soluzioni al problema, come le notti della famosa leggenda, mille e una e tutte meravigliose.
  Io non vorrei aggiungermi a questa sequela. Vorrei seguire, invece, un approccio leggermente diverso, perché immagino quanto arduo sia per voi il compito di fare una sintesi politica di tutto ciò che avrete ascoltato e che ascolterete.
  Cercherò di porre un problema di metodo. È mia convinzione, infatti, che, se le basi sulla diagnosi del problema possono essere comuni, sulle ragioni per cui il Pag. 4sistema non funziona il ventaglio delle possibilità, pur ancora aperto, si riduca considerevolmente, si restringa.
  Una buona terapia deve avere alle spalle una buona diagnosi e non c’è una buona terapia senza che sia chiara l'eziologia del problema. Quando io parlo di responsabilità e di colpe perché le cose non vanno, non intendo riferirmi – vorrei precisarlo – a responsabilità dei protagonisti del processo, cioè a responsabilità professionali di giudici o avvocati. Avrete già sentito e sentirete probabilmente anche oggi, con le diverse sensibilità, dire agli uni che le responsabilità sono degli altri e viceversa.
  Ci sono degli elementi difficilmente disconoscibili, per esempio, da un lato, il fatto che la stragrande maggioranza delle prescrizioni avvenga nella fase delle indagini in udienza preliminare, laddove la responsabilità degli avvocati è sicuramente marginalissima, se non inesistente.
  Dall'altro lato, nessuno può negare che l'avvocato spesso faccia – e io credo che lo debba fare – un calcolo prognostico in ordine alle chance di prescrizione. Non sceglie, quindi, un rito alternativo se la prescrizione è prossima, chiede di rinnovare l'istruttoria dibattimentale ancorché non necessarissimo e impugna per cercare di lucrare qualche vantaggio.
  Questa, però, non è una responsabilità. La responsabilità è del sistema. È la legge – ce lo dice l'articolo 111 della Costituzione – che deve assicurare la ragionevole durata del processo. I protagonisti all'interno delle coordinate legali poi si possono e si debbono regolare come credono.
  Dov’è, secondo me, il problema ? Avrete sentito dire anche questo, ma poi bisogna trarne le conseguenze fino in fondo. Noi abbiamo un sistema che consiste in un unico compasso temporale che comprende la prescrizione del reato, il periodo base, più – qualcosa adesso è cambiato; prima era metà del tempo e adesso è diventato un quarto – un segmento additivo che viene incernierato su quello base. È una sorta di nano che sale sulle spalle del gigante delle prescrizioni, quando invece forse dovrebbe raccogliere il testimone di chi l'ha preceduto e non già sommarsi a lui.
  Perché dico questo ? Perché si fondono e si confondono fenomeni assolutamente eterogenei. Persino il fattore tempo cambia nei due casi. Il tempo della prescrizione del reato è un tempo vuoto, è il tempo dell'inerzia, è il tempo della clessidra. Il tempo della prescrizione successiva a quella a processo avviato è un tempo giuridico con interruzione, sospensione e calcoli che vanno fatti e calati sulla singola fattispecie.
  La verità è che il nostro sistema è un maldestro tentativo di instaurare un meccanismo finalisticamente e teleologicamente ambiguo o anfibio, nella più ambiziosa delle prospettive. Da un lato, si vuole tutelare il bene classico della prescrizione del reato, cioè l'oblio sociale rispetto a un fatto che si è verificato nel passato e che il decorso del tempo rende meno rilevante riesumare rispetto al dispendio di energie e di fibrillazione sociale che un processo instaurato a distanza di tempo potrebbe determinare.
  Dall'altro, il meccanismo è anfibio perché si dice che è anche un modo per tutelare il diritto dell'imputato a essere giudicato entro un termine giusto. Io userei con molta cautela la parola «ragionevole», e dirò perché. Parlo, quindi, di un termine giusto, della durata giusta.
  Notate quanto questi due elementi siano tra loro eterogenei e non amalgamabili. Nessuna delle due ratio può valere anche per l'altra parte dei due segmenti che si compongono e che si vanno a innestare, anzi l'una smentisce l'altra.
  Abbiamo accennato all'oblio. Come si fa a dire che, decorso un determinato tempo, la società non abbia più interesse a coltivare un'azione giudiziaria, anzi voglia dimenticare, quando lasciamo prescrivere – ecco l'affaccio, come è stato detto, sul versante processuale – un fatto nel momento in cui si celebra quello che viene chiamato icasticamente il «rito della memoria», cioè il processo ? È una contraddizione in termini.Pag. 5
  Come si fa a dire che questo meccanismo tutela la ragionevole – su questo termine sarei cauto – durata del processo, l'accettabile durata del processo, se si pensa che per un reato che si prescrive in dieci anni, a seconda di quando emerge la notizia di reato, abbiamo un processo di dodici anni e mezzo o di due anni e mezzo ? È ragionevole la durata di un processo per sequestro di persona di trentasette anni, anzi di trentasette anni e mezzo, per la precisione ?
  Voi capite che questo non può non creare distorsioni, perché, se la notizia di reato – facciamo l'esempio base, quello dei dieci anni, che è anche il più frequente – emerge subito, il giudice sa che ha dodici anni e mezzo per poter celebrare in tutta tranquillità il processo. È psicologicamente comprensibile l'atteggiamento: di certo non accelererà più di tanto rispetto ad altri processi incombenti.
  Se, invece, si attiva il processo a ridosso della prescrizione, la difesa sa che ha a portata di mano la prescrizione e che, quindi, è inutile accedere, come diceva un mio collega autorevolissimo avvocato, al dibattimento. Io all'inizio provavo a dire che dovevamo andare al dibattimento. Poi, però, il coimputato, difeso da un avvocato un po’ più accorto, ha ribattuto: «Andiamo al dibattimento, tanto prescriviamo». Io gli feci presente che forse c'erano gli estremi per un patteggiamento o per un giudizio abbreviato e lui mi rispose: «Scusi, avvocato, perché io ho preso una condanna e l'altro ha avuto la prescrizione soltanto tre anni dopo ?».
  E ancora, che c'entra con la durata del processo la gravità del reato ? Noi l'abbiamo collegata alla gravità del reato, ma reati gravissimi possono essere di facilissimo accertamento e reati non dico bagatellari, ma di media rilevanza, no. Se qui entrasse qualcuno e, in presenza di testimoni, facesse una strage, basterebbero dieci giorni per accertare un reato gravissimo. Non c’è alcun collegamento tra gravità del reato e tempo per il processo.
  Questo è un istituto su cui dobbiamo convenire. Poniamo le basi almeno per una discussione che abbia un denominatore comune. È un istituto in difficoltà di senso, direbbe Roland Barthes, un istituto di cui dobbiamo sciogliere questa ambiguità vocazionale. Non può perseguire contemporaneamente e male entrambi questi obiettivi, ossia quello della dimenticanza, della sepoltura del fatto nella memoria collettiva, e quello della durata del processo.
  Peraltro, le cose possono anche, una volta sganciate, soggiacere a discipline diverse. Per esempio, possiamo prevedere – e, secondo me, dobbiamo – una prescrizione del reato. Poi sceglie il legislatore come commisurare i tempi. Quando questo tempo della prescrizione matura, la prescrizione è opponibile erga omnes.
  Potremmo prevedere, e alcuni progetti le prevedono, prescrizioni processuali, per così dire. In quel caso, se si prescrive rispetto al singolo soggetto, non si può prescrivere erga omnes un processo che si prescrive perché è durato dieci anni ed è iniziato subito rispetto a un reato che ha una prescrizione sostanziale di trent'anni, per esempio. Sono diversi anche i destinatari.
  Come primo step, quindi, secondo me, è indispensabile separare questi due segmenti. Questi fratelli siamesi vanno dissaldati una volta per tutte. Se decorre il tempo del reato, no problem, non c’è più spazio per avviare alcun processo. Se inizia il processo, il reato non si prescrive e affiora un'altra esigenza, ossia l'esigenza che questo processo non duri all'infinito, che non si dilati nel tempo, che non duri indefinitamente.
  Come tutelare questa nuova esigenza ? Occorre arrivare al merito e, nello stesso tempo, far sì che non ci si arrivi in tempi geologici. Si dice – l'ho letto in scritti di autorevolissimi colleghi e anche in qualche passaggio della relazione al disegno di legge – che, se si prevedono tempi di prescrizione, a prescindere da come li si prevede, cioè se per fasi o per l'intera durata del procedimento, si tutela la ragionevole durata del processo.
  Ebbene, se per ragionevole durata del processo si intende la ragionevole durata di cui all'articolo 111 della Costituzione, Pag. 6ma soprattutto all'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo – è a quella che in genere si fa riferimento – mi dispiace, ma questa è, come suol dirsi, una giacca abbottonata non in corrispondenza delle asole. Non c’è alcuna corrispondenza tra un'eventuale prescrizione processuale e la durata ragionevole del processo.
  Innanzitutto la giurisprudenza CEDU ce lo insegna inequivocabilmente: il processo dalla ragionevole durata è il processo che in tempi ragionevoli – adesso vediamo in che senso – arriva al merito, non il non processo, non l'aborto, non la sepoltura di un avvio di procedimento.
  C’è una pronuncia, seguita da molte altre, ma che cito perché la più risalente, Stogmuller del 1969 – sono, quindi, più di quarant'anni che la Corte lo predica – che dice che «è impensabile tutelare la ragionevole durata del processo ex ante in giorni, mesi ed anni. La valutazione può essere fatta solo ex post, in base alla condotta delle parti, alla complessità del processo, alle difficoltà e agli ostacoli che possono essere intercorsi in itinere iudicii».
  Perché dico questo ? Perché prestabilire dei termini significa fare una sorta di aberratio ictus. Noi possiamo avere l'appello entro tre anni e allora possiamo avere un processo che si celebra in due anni e otto mesi, che non violerebbe – se prescrizione fosse uguale a ragionevole durata – la ragionevole durata del processo e che, invece, lo viola.
  Qual è il concetto di ragionevole durata del processo insegnato dalla Corte europea ? Non è il processo breve. È il processo in cui non ci sono ingiustificate stasi e in cui tutto era strettamente indispensabile. Non lo è quasi mai, ma, laddove lo fosse, anche un processo lunghissimo può avere la ragionevole durata.
  Questo lo dico perché, se la dead line è rispettata, ci può essere lo stesso un'irragionevole durata. Il processo è stato fatto in due anni e otto mesi, ma avrebbe dovuto essere fatto in un anno e mezzo. Si poteva fare. Per contro, è stata fatta cadere la mannaia della prescrizione dopo tre anni, ma quel processo avrebbe dovuto durare quattro anni, perché c’è stata una rogatoria, perché c’è stata un'infermità mentale dell'imputato, perché c’è stata una sospensione che non poteva consentire di celebrare il processo nei tempi prescritti.
  A riprova di questa giacca mal abbottonata – credo che non ci debbano essere ulteriori esigenze di dimostrazioni, mi illudo che possa essere così – per dimostrare che prescrizione processuale e ragionevole durata sono altro, porto telegraficamente, perché il tempo stringe e non voglio sottrarlo a chi ha cose più interessanti di me da dire, un esempio.
  Basterebbe pensare che l'Italia ha il maggior numero di condanne per irragionevole durata del processo e il maggior numero di processi chiusi per prescrizione. Se la seconda fosse lo strumento per ottenere l'altra, uno dei due valori dovrebbe averlo buono. Noi in questi esami del sangue europeo siamo sempre sotto, invece, da tutti e due i punti di vista degli indici.
  Non solo, l'Italia è già stata condannata – cito solo una sentenza, Alikaj del 2011 – perché la prescrizione viola il diritto della persona offesa ad avere in un ragionevole tempo una pronuncia nel merito. Ricorderete il caso. Non posso rievocarlo. Se del caso, se ci saranno domande, mi ci soffermerò. Poiché il reato si era prescritto, la Corte europea ha detto che si era violato il diritto, in quel caso alla vita, perché il processo era per un omicidio, perché la persona offesa aveva diritto ad avere una pronuncia nel merito.
  Se la prescrizione, anche processuale, dovesse indicare la ragionevole durata, con i reati imprescrittibili avremmo processi eterni. Posso ancora fare un esempio e poi non vi tedio ulteriormente. Se interviene un'infermità mentale dell'imputato che gli impedisce di partecipare consapevolmente al processo, questo fatalmente – la questione è stata sollevata anche davanti alla Corte costituzionale – diventerà lunghissimo. Questa è una lunghezza magari eccessiva, forse il legislatore nel progetto di legge Ferranti prevede anche che a un dato punto si debba porre un termine Pag. 7finale, ma questa non è irragionevole durata, perché è una durata dilatata, sì, ma, purtroppo, necessaria.
  A questo punto la scelta politica può essere quella di dire che un processo, non perché ha irragionevole durata, ma quando dura in dismisura tale per cui una collettività preferisce sapere che non è punito il colpevole e che rimanga ancora non accertato un fatto, un processo di vent'anni, a un dato punto, si deve chiudere. Si può stabilire questo. Una delle proposte in questo senso, salvo vedere termini e modalità, mi trova anche piuttosto d'accordo. La prescrizione è funzionalmente inidonea a garantire la ragionevole durata del processo.
  Al di là di questo – ci tenevo a precisarlo perché attraversa un po’ tutti gli approcci a questa tematica questa che per me è, lo dico sommessamente, una confusione fra prescrizione e tutela della ragionevole durata – a prescindere da questa (secondo me) distorsione visiva, la prescrizione processuale può aiutare, può ridurre i tempi del processo ? Questo è il tema. Fermo restando – lo ripeto, ma penso di essere stato chiaro – che, secondo me, bisogna scindere la prescrizione del reato tra quando finisce l'una e inizia il processo, abbiamo solo la possibilità di intervenire sul processo.
  La prescrizione può aiutare a ridurre i termini. Questo non si può negare. Spesso i processi hanno accelerazioni perché si approssima la prescrizione. Tuttavia è a un tempo un agente terapeutico, ma anche un agente patogeno. L'eccessiva durata del processo, in alcuni casi, può essere quella che in medicina chiamano una malattia iatrogena. È il medico che la induce, è la terapia che la induce, perché mettere degli sbarramenti temporali significa consentire che qualcuno pensi, legittimamente e direi quasi doverosamente, di puntare a quel risultato che vanificherebbe l'accertamento in ipotesi sfavorevole al proprio assistito, perché questo determina, per ricaduta, un minor accesso ai riti alternativi, richieste di istruzioni probatorie magari non necessarissime, impugnazioni e via elencando.
  La prescrizione, a mio modo di vedere, rischia, quindi, di essere anche una fonte di ingiustizia e di discriminazione, come tutte le cose che non hanno una ratio facilmente individuabile, una fonte di discriminazione tra imputato e persona offesa e tra imputati, a seconda delle scelte processuali, che a volte sono anche casuali.
  C’è un'altra prescrizione, nella proposta di legge C. 1528, che è molto interessante e ha un'ottima ratio, ma che mi serve per dimostrare come quello della prescrizione processuale sia uno strumento dalle armi spuntate, o, per meglio dire, uno strumento le cui controindicazioni sono maggiori dei benefici che è in grado di produrre. Viene chiamato la prescrizione breve e intende far fronte a quel fenomeno che è statisticamente inconfutabile, di prescrizioni che si verificano a cavaliere fra indagini e udienza preliminare, poiché si sostiene che anche il pubblico ministero deve avere un termine passato il quale il reato si prescrive.
  Lo dico con una battuta che può suonare anche provocatoria, ma questo serve solo per invitare a fare attenzione a usare questo strumento, anche perché poi la collettività capirebbe male: allora si punisca il magistrato, non si lascino del tutto privi di tutela l'accertamento di quel fatto, la persona offesa, la vittima e la collettività.
  Voglio far notare che la prescrizione nasce da un'esigenza condivisibilissima. Parlo del progetto di legge Mazziotti sulla prescrizione breve. Se ci pensate, a un pubblico ministero che volesse, per avventura, favorire un indagato, basterebbe far passare questi termini brevi di prescrizione e si sottrarrebbe anche all'obbligo dell'esercizio di azione penale e al controllo del GIP.
  Cerco di accelerare. La verifica della ragionevole durata di un processo deve avvenire ex post, secondo me, considerando se il processo sia stato troppo lungo e che cosa bisogna fare, in modo sì da ristorare e indennizzare l'interessato per Pag. 8l'eccessiva durata patita, ma non da premiarlo per quella, invece, eventualmente callidamente procurata.
  È questo il crinale. Bisogna essere fermi nell'indennizzare, nel ripagare e nel cercare di risarcire. Capisco che si tratta di un danno molto serio e severo che viene imposto al cittadino. Non lo si può fare, però, facendo abortire il processo, per le ragioni che abbiamo provato a dire.
  Da queste premesse di metodo, a mio modo di vedere, le soluzioni praticabili cominciano a restringersi rispetto al ventaglio variegatissimo, ove condiviso, ovviamente – non ho alcuna pretesa che lo sia – delle proposte che sono state prospettate, per alcuni versi, da qualche progetto di legge. Il ventaglio si restringe.
  La proposta, a mio avviso, più rigorosa – voi sarete poi chiamati all'improbo compito di cercare di trasfondere tutte queste sollecitazioni in un testo unico, in una soluzione che abbia una sua visione unitaria e il più possibilmente condivisa – sul piano logico sistematico, secondo il mio modo di vedere, avendo analizzato queste proposte di legge, è la risultante di un meticciato in proporzione diversa dei tre testi che ho preso in esame e che voi avete sottoposto alla nostra attenzione.
  Essa è incardinata soprattutto sulla soluzione di fondo della proposta di legge C.1174 Colletti. Parlo di quella logicamente, razionalmente e sistematicamente più ortodossa, ossia dell'interruzione della prescrizione del reato con l'azione penale. È finito l'oblio. Inizia la memoria. Con la memoria la collettività vuole accertare e deve avere il tempo per farlo. Se ne abusa, deve pagare in qualche modo, e vedremo come.
  Il limite della proposta di legge C. 1174 Colletti è che non si fa carico dei rischi di una dilatazione, forse pressoché inevitabile, dei tempi del processo. Gli antidoti si trovano soprattutto – non solo, ma soprattutto e, dal mio punto di vista, in maniera anche molto convincente – nella proposta di legge C. 2150 Ferranti ed altri. Si parla, per l'eccessiva durata, di un risarcimento economico e, in caso di condanna, di riduzione di pena.
  Io so che questo concetto della riduzione di pena per l'imputato che ha subìto un processo dall'eccessiva durata ha ricevuto anche qualche ingenerosa ironia, secondo me del tutto fuori luogo. Si chiede che cosa c'entri, essendo del tutto eterogeneo l'indennizzo rispetto al danno.
  Ricordiamoci, però, che l'indennizzo, se non ci fosse questo, sarebbe economico. Cosa c'entra la moneta con un processo troppo lungo ? Al limite, prendiamo atto che c’è un movimento culturale molto interessante, che non viene dal nostro Paese, ma che recepiamo dalla Germania e dalla Spagna, in piccola misura, con un tentativo di indennizzare anche sotto il profilo sanzionatorio. Chi ha subìto, si potrebbe dire – mi esprimo grossolanamente – un processo che è durato otto anni e che ne sarebbe potuti durare tre, per quei cinque anni è come se avesse patito una pena detentiva di un anno. Le commisurazioni, ovviamente, solo il legislatore può farle con un'attenta valutazione.
  A me convince questa ipotesi di risarcimento economico e di riduzione di pena, arrivando anche all'ineseguibilità della pena quando l'eccesso sia tale da non renderla eseguibile. L'accertamento deve essere perseguito comunque per la collettività e per la stabilità dei rapporti, ma può non esserci più tempo per la pena. In alcuni ordinamenti questo aspetto è già stato recepito.
  Anche la prescrizione breve, di cui al progetto di legge Mazziotti ed altri, cioè il fatto di anticipare questa fase dell'antidoto alla durata eccessiva delle indagini, mi convince.
  Dov’è che io dissento dall'una e dall'altra prescrizione breve sotto il profilo del collegamento ? Nel progetto di legge Ferranti si dice che passano due anni in appello, se non sbaglio. Bene. Se decorrono, ti debbo indennizzare: se sei condannato, con riduzione di pena; se sei assolto, con un risarcimento economico. Così ho capito. Dice, invece, Mazziotti, che se l'indagine è durata troppo, si prescrive Pag. 9il reato. Secondo me, questi meccanismi sono eccessivi e potrebbero dar luogo anche a controindicazioni serie.
  Mi piacciono gli antidoti – adesso dirò come, secondo me, vanno strutturati – ma non collegati al mero decorso del tempo. Intendo, per quello che abbiamo detto (mi consento di rimandare, per quel che vale, alle poche considerazioni che ho fatto), che non è detto che superati i due anni in appello ci sia un appello dall'irragionevole durata. Ci può essere stato bisogno di un'istruttoria dibattimentale rinnovata particolarmente complessa, si può essere creata una situazione di infermità dell'imputato che ha richiesto una sospensione o possono esserci tante altre ragioni. Viceversa, due anni potrebbero essere troppi.
  Questo irrigidire, secondo me, è sbagliato perché si rischia di risarcire qualcuno che non doveva essere risarcito e di non risarcire qualcun altro che, per essere l'appello stato celebrato in un anno e undici mesi, meritava, invece, di essere risarcito e davanti alla Pinto o alla Corte europea lo sarà. Quindi, sovrapponiamo le due cose, per non dire poi della prescrizione breve del reato durante le indagini, di cui ho già detto che l'antidoto è eccessivo.
  Io salverei sia gli antidoti, sia gli sbarramenti temporali, ma in quale chiave ? Gli antidoti li aggancerei alla ragionevole durata correttamente valutata ex post. Tutte le volte in cui gli organi deputati, cioè la Corte d'appello, come organo nazionale, e la Corte europea dovessero ravvisare un'irragionevole durata, potranno in itinere iudicii ridurre la pena e a giudizio già troppo lungo effettuato disporre un risarcimento.
  Tuttavia...

  PRESIDENTE. È finito il tempo.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Vorrei terminare almeno questo punto, altrimenti non riesco a chiudere. Ometto di precisare quello che avrebbe potuto essere il mio pensiero, perché conta meno.
  Questi meccanismi, questi antidoti, vanno conservati, ma devono operare nella loro fisiologia, cioè devono essere valutati ex post o in itinere, caso per caso.
  Gli sbarramenti temporali – questo è l'altro antidoto che introdurrei, oltre a risarcimento economico, riduzione di pena, ineseguibilità della pena nei casi più gravi e prescrizione finale, che è prevista come l’extrema ratio per i processi eccessivi – io li manterrei, perché sono molto calibrati quanto a ragionevolezza di durata, ma come una presunzione relativa di responsabilità dell'organo procedente. Non so quanto possa piacere al dottor Sabelli quest'idea.
  Intendo, cioè, che, se il processo dura più del termine previsto – bisogna calibrarlo attentamente – è onere dell'organo procedente, di secondo grado, la Cassazione o, se vogliamo prevederlo, anche di primo grado, dimostrare che non si poteva fare altrimenti, pena sanzione disciplinare. Quando le cose non vanno, il responsabile, per la mancanza di risorse, è l'ordinamento. Se è il magistrato che non fa bene il suo dovere, è il magistrato. Non deve pagare, però, la collettività con un mancato accertamento. Poi, come abbiamo detto, c’è la clausola finale.
  Volevo dire, ma non lo dico, perché ho preso troppo tempo e me ne scuso, che questa che ho appena affacciato per grandissime linee, in modo impressionistico, è, secondo me, l'impostazione che logicamente mi convince di più: scissione tra prescrizione del reato e fase processuale, nel processo lasciare che i termini decorrano, salvo prevedere antidoti i più severi possibili per contrastare la spinta, ma anche evitare barriere rigide, per scongiurare il rischio che si punti a ottenerle e che non funzioni tutto ciò che precede quelle barriere.
  Un'ipotesi, invece, che presenta qualche difficoltà in più di inserimento nel sistema e che potrebbe risultare politicamente e culturalmente, perché il passaggio potrebbe essere brusco dalla situazione attuale a quella che ho appena detto, più Pag. 10realistica è quella, che è nel progetto di legge Ferranti, di spostare la prescrizione fino al primo grado.
  Aggiungo solo una battuta e poi, se ci saranno domande su questo, risponderò, perché io poi avrei un sub-suggerimento in proposito. Si potrebbe dire, per conferire una razionalità al sistema, che, quando l'ordinamento rivolge l'accusa a un soggetto, ovviamente fa terminare la fase dell'oblio, perché vuole ricordare e vuole accertare, ma si obbliga nei confronti di questo soggetto a fornire una risposta nel merito in tempi ragionevolmente giusti.
  Se non lo fa – potrebbe essere questa, credo, la spiegazione dell'impostazione – ci può essere la prescrizione del reato. Dopodiché quello che segue non è più il diritto ad avere una risposta breve in tempi ragionevoli, come vuole anche la Convenzione europea, ma il diritto a esercitare i propri poteri di controllo sul fondamento di quella risposta. Questo può avere i rimedi che ho appena detto, ossia gli antidoti che si possono e si debbono apprestare.
  Mi dispiace di non poter svolgere l'altra parte.

  PRESIDENTE. Se si può fermare per il dibattito, ci può essere poi questa ulteriore possibilità. La ringrazio molto. Non ho voluto comprimere più di tanto i tempi, tenuto conto dell'interesse e della delicatezza della materia, non facile da definire. Di questo siamo tutti consapevoli, ed è per questo che stiamo cercando di fare l'approfondimento maggiore.
  Do la parola al professor Padovani.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa. Grazie, signor presidente. Credo di poter far risparmiare un po’ di tempo perché rare volte posso dire di essermi trovato tanto compiutamente d'accordo con un relatore che mi ha preceduto come in questo caso.
  Io e il professor Giostra, per la verità, siamo uomini molto consonanti. Questa volta devo riscontrare che questa consonanza si sviluppa per larga parte del suo intervento addirittura all'unisono. Io concordo perfettamente con la diagnosi che lui ha formulato, anzi, mi ero preparato una scaletta che a volte è talmente sovrapponibile alla sua esposizione da sospettare che lui nottetempo si sia introdotto nel mio studio o che io, in stato di trance, mi sia spostato nel suo e mi sia appropriato delle sue idee.
  È perfettamente vero – sintetizzo in due parole – che la prescrizione è un istituto che soffre di una grave turba psichiatrica, cioè di personalità multipla, perché nella prescrizione convivono due anime contraddittorie: l'anima del trionfo dell'oblio e l'anima del rito della memoria, da circoscrivere entro limiti che si vorrebbero ragionevoli a priori e che a priori ragionevoli non possono essere, come ci ha illustrato splendidamente il professor Giostra. Pertanto, noi, con la prescrizione, sostanzialmente ci proponiamo di risolvere problemi che, in realtà, stanno altrove.
  Noi scarichiamo sulla prescrizione un peso che la prescrizione porta indebitamente, tant’è vero che solo nel nostro Paese la riforma della prescrizione costituisce un nodo addirittura drammatico, ma in nessun Paese si parla di prescrizione. Quando mai ?
  Io parlo con colleghi francesi e mi ridono in faccia letteralmente. Non si capacitano. Parlo con colleghi tedeschi, i quali attribuiscono alcune mie considerazioni a una dimensione latina che sfugge alla loro stessa comprensibilità. Che ci sia un problema legato alla prescrizione a loro pare assurdo, per forza, perché da loro la prescrizione non soddisfa esigenze legate, per esempio, alla ratifica a posteriori di meccanismi selettivi che si sono verificati attraverso l'operatività del sistema, non per scelta. È questo il dramma.
  Il sistema ha selezionato arbitrariamente, per le ragioni più diverse, a volte perché un magistrato se n’è andato dall'ufficio e ha lasciato un pesante carico di fascicoli non distribuiti che sono stati lì per due o tre anni. Ecco che il meccanismo Pag. 11della prescrizione ha preso l'abbrivio e chi lo ferma più, se si tratta di reati di modesta entità ?
  Cosa c'entra qui la responsabilità di Tizio e di Caio ? Niente. C'entra la disorganizzazione profonda che anima il funzionamento della macchina, o meglio che sopprime il funzionamento della macchina. La selezione è avvenuta, di fatto. Alcuni reati non saranno perseguiti.
  Il fatto è che non tutti i reati possono essere perseguiti. Su questo dobbiamo essere chiari. Noi pretendiamo che la macchina giudiziaria soddisfi una domanda che è enormemente superiore all'offerta. Come possiamo pensare di far entrare in un foro dal diametro di dieci centimetri una massa di un metro, di due metri o di tre metri ? Non ci passerà mai. Sarà, ovviamente, giocoforza scegliere.
  La scelta o avviene consapevolmente, o avviene inconsapevolmente. Avviene per meccanismi non controllabili, attraverso il governo del tempo affidato al caso, perché di questo si tratta. Si tratta di affidare il governo del tempo, cioè la cosa più preziosa in riferimento a quello che è essenzialmente un istituto di durata, ossia il processo, al caso, alla combinazione, oppure, a volte, di fronte a stati di necessità, alla percezione individuale, per cui si mandano avanti alcuni processi perché sono più urgenti e più importanti e gli altri si lasciano indietro.
  Io ho amici pubblici ministeri che queste cose me le dicono con estrema franchezza. Non possono stare a fare tutto, perché non possono lavorare quaranta ore al giorno. Allora scelgono e qualcosa resta indietro. Pazienza, manderanno avanti quello che possono e quello che credono di dover mandare avanti.
  Come si chiama questa ? Si chiama discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale. Noi non conosciamo questa parola orribile. Io ho bestemmiato in chiesa. Non si può dire, non si deve dire. Noi abbiamo l'obbligatorietà dell'azione penale: tutti sono uguali.
  Certo, tutti sono uguali, ma poi arriva la prescrizione, che li rende diseguali. Ecco che, come vedete, la prescrizione si fa carico di meccanismi selettivi. Perciò, è inutile che ci giochiamo troppo intorno. La prescrizione rimarrà.
  Vogliamo in qualche modo adottare rimedi di vario genere allungando i termini ? Va bene, allungheremo tutti i processi, ma, allungando i processi, riprodurremo il meccanismo della prescrizione a uno stadio più avanzato. Non c’è verso.
  È irragionevole scaricare sulla prescrizione i problemi legati alla ragionevole durata del processo facendo finta di credere che la prescrizione possa fornire una risposta, quando è manifestamente esattamente il contrario. Se un reato viene perseguito al nono anno e ha dieci anni di prescrizione ordinaria, davanti ci sono tre anni e mezzo. Se, invece, viene perseguito al terzo, ha davanti dieci anni. L'ha detto prima il professor Giostra. Questo è perfetto e inequivocabile.
  La prescrizione da noi è un istituto con il quale maneggiamo altro materiale. Non maneggiamo quello specifico della prescrizione, cioè l'istituto connesso alla persistenza nel tempo della memoria collettiva e al conseguente interesse alla punizione di un determinato soggetto. Non maneggiamo questo, perché, se maneggiassimo solo questo, i nostri problemi non esisterebbero. Noi avremmo, come in molti Paesi, un termine di prescrizione che finisce quando inizia l'esercizio dell'azione penale, perché con l'esercizio dell'azione penale inizia il rito della memoria e il rito della memoria è antagonistico rispetto al percorso verso l'oblio.
  Trionfo dell'oblio: tale fu definita da Impallomeni la prescrizione. Il trionfo dell'oblio non può celebrarsi nel momento in cui si celebra il rito della memoria. Ma come, se stiamo ricordando che Tizio è stato ucciso da Caio, adesso dichiariamo la prescrizione, nel bel mezzo di un dibattimento d'appello ? Sì, perché è passato il tempo, è scaduto, è suonata la campanella. Ma dove ? In quale scombiccherato ordinamento si può concepire una simile ridicola, assurda e paradossale commistione ?
  Eppure noi con questa commistione lavoriamo, perché la prescrizione la trasciniamo Pag. 12fino all'estremo limite del giudizio di Cassazione. Queste due anime, però, sono due anime che non convivono. Perciò la personalità duplice della prescrizione è una personalità conflittuale. La prescrizione è un istituto psichiatrico e noi siamo gli psichiatri che si sforzano di somministrare psicofarmaci, ma che non curano.
  Siamo qui a somministrare psicofarmaci perché il rito dell'oblio è un rito distruttivo. Il percorso dell'oblio è un percorso distruttivo. Il rito della memoria è un rito creativo. Il processo crea addirittura ontologia sociale, come direbbe il grande Maurizio Ferraris. Crea ontologia sociale e dà corpo alla memoria. Addirittura si celebrano processi solo per la memoria, quando si tratta di ricordare, per l'appunto. Figuriamoci come possa convivere questo con il trionfo dell'oblio.
  Non c’è dubbio che il percorso della memoria inizi quando l'organo pubblico si alza in piedi e dice che deve esercitare l'azione penale. È ciò che avviene nel nostro ordinamento, non scordiamocelo mai, al termine delle indagini preliminari, a proposito della copertura costituzionale dell'esercizio obbligatorio dell'azione penale.
  Io ho sempre detto che nel nostro Codice c’è scritto che l'esercizio dell'azione penale arriva in fondo alle indagini preliminari. Prima c’è copertura costituzionale. Ma dove ? Prima c’è un dovere funzionale, l'indagare, ma non l'obbligatorietà dell'azione penale. Questo dovrebbe indurci a qualche altra considerazione, ma non è questa la sede, e me ne rendo conto.
  A questo punto il problema è che fare, come dobbiamo mettere insieme questo paradosso per cui un reato si estingue per trionfo dell'oblio proprio mentre si sta celebrando il rito della memoria ? Questo è il busillis.
  Sulle soluzioni io e il professor Giostra non siamo più tanto d'accordo. Evidentemente lui non è riuscito a vedere i miei appunti e io non ho visto i suoi, altrimenti ce ne saremmo forse impossessati.
  Ciò non significa che io non sia d'accordo con l'impostazione rigorosamente consequenziale, dal punto di vista logico, e concettualmente ineccepibile. Il professor Giostra è uomo che presenta solo congegni perfetti e quello che lui ha delineato è un congegno concettualmente perfetto. Io, però, che pratico un po’ questi meccanismi da tanti anni – non diciamo nemmeno quanti, perché ormai ho passato ogni soglia sinodale – sono perplesso di fronte a un quadro che vedo complicare ulteriormente la macchina. Si tratta di innestare sub-procedimenti in una vicenda che è già molto complessa, con risarcimenti e riduzioni di pena fino a un terzo.
  Io mi sono posto il problema seguente: se arriviamo in Cassazione, quella riduzione a un terzo chi la fa ? La Cassazione no, perché è fino a un terzo. Allora si fa il rinvio per quello ? Butto lì qualche piccolo problema. Poi per il risarcimento facciamo un altro processo, perché naturalmente dobbiamo accertare in che termini sia stato irragionevole quel procedimento. In sostanza, per porre un rimedio ci siamo procurati tanti di quei danni che rischiamo di non risollevarci davvero più.
  Bisogna, dunque, acconciarci, fintanto che non avremo soluzioni migliori, a rimedi politicamente più praticabili e forse anche, se volete, più semplici, o meglio, forse anche più grossolani. Quali sarebbero questi rimedi ? Io ho non la panacea per tutti i mali. Ho solo delle suggestioni.
  Io parto da una considerazione. A me sembra inequivocabile che, nel momento in cui si esercita l'azione penale, la prescrizione come trionfo dell'oblio non ci possa essere più in sé. Non ci può essere perché si inizia un percorso caratterizzato dal rito della memoria, che però deve continuare come rito della memoria, non come un adagiarsi sul divano e aspettare che ogni tanto si possa svolgere una qualche attività di un qualche significato.
  Se noi guardiamo il nostro Codice, scopriamo che la durata ragionevole del processo è già delineata perfettamente. Io ho fatto i conti e li ho fatti con i miei ragazzi. L'anno scorso ho trattato le cause di estinzione del reato e della pena alla Scuola e abbiamo fatto tutti i conti. Abbiamo preso un reato normale, ordinario, Pag. 13abbiamo messo insieme tutti i termini e abbiamo calcolato, se questi termini venissero rispettati con i comporti minimi che si richiedono, in quanto tempo si chiuderebbe un giudizio di primo grado. Si chiuderebbe in un anno, in un anno e qualche mese, non di più.
  Io stesso nella mia esperienza professionale ho potuto constatare che reati anche di una data complessità sono arrivati al giudicato, passando per appello e Cassazione, nell'arco di quindici mesi. Quello è un record assoluto, devo essere sincero, ma dimostra la possibilità. Si trattava di una questione piuttosto intricata in materia edilizia – sapete com’è la materia – con un appello piuttosto laborioso. Eppure in quindici mesi si è fatto.
  La delineazione di un quadro di processo a durata ragionevole, dunque, c’è già. Oggi è già introdotto nel sistema un principio per cui, quando si verifica una stasi nel processo, la si imputa a colui al quale è ascrivibile. Tu, difensore, hai un impedimento ? C’è la sospensione della prescrizione. A me pare che il meccanismo della sospensione, che è una riscoperta in taluni dei disegni di legge, debba essere la soluzione. Questa è la regola, l'asse portante. Poi lo si adatta in concreto.
  La regola è questa. Ogniqualvolta celebriamo il rito della memoria, cioè rispettiamo le scansioni, allora non c’è, ovviamente, niente da dire. Nel rito della memoria di prescrizioni non si parla. Quando ci fermiamo e aspettiamo, roteando i pollici, qualche accadimento, perché il magistrato è trasferito o perché l'ufficiale giudiziario non notifica in tempo, quando accadono fatti di questo tipo, non c’è più nulla e la prescrizione riprende il suo corso, perché si tratta di situazioni temporali ascrivibili all'oblio. Ti sei dimenticato di me e allora corre quell'oblio, deve correre.
  Vedete che, salvo gli adattamenti, che ovviamente ora non posso improvvisare in questa sede, tutto torna a posto, perché il problema delle impugnazioni non esiste più. Non esiste più perché, se io impugno, il termine è sospeso. Io, pubblico ministero, ho avuto una sentenza di condanna nei tuoi confronti ? La potrei eseguire, ma non posso perché tu hai un diritto potestativo nei miei confronti, cioè mi metti nella condizione di non eseguire quella sentenza perché impugni. È un diritto sacrosanto, ma da questo diritto non può scaturire una conseguenza che porti all'oblio, vivaddio. Qui il termine è sospeso, ed è sospeso finché dura l'appello, che duri poco o duri tanto.
  Se, invece, a ricorrere è il pubblico ministero, il discorso mi sembra molto diverso, perché in questo caso il pubblico ministero non ha neanche – lo dice la Corte costituzionale – la copertura dell'obbligatorietà dell'azione penale. Compie una scelta e, quindi, la prescrizione continua a decorrere.
  Con questa disparità di trattamento avremmo scoraggiato le impugnazioni in un modo drastico. Altro che ricorsi contro i patteggiamenti. Operando in modo accorto col meccanismo sospensivo, essendo chiaro che con l'inizio dell'azione penale non ci sono più interruzione e termini nuovi, in fondo ci si arriva e, se non ci si arriva, si saprà anche perché non ci si arriva, perché ci sarà la frazione temporale che ha determinato la prescrizione, con tutte le possibili conseguenze, se ci sono delle responsabilità.
  Naturalmente, per far questo dobbiamo anche renderci conto che determinati termini andrebbero un po’ adattati alla realtà. Se voi prendete il Codice di procedura penale, scoprite che le udienze dibattimentali si susseguono un giorno dopo l'altro, purché il giorno non sia festivo e, quindi, anche di sabato. Se oggi non si finisce il processo, si va a domani, poi a dopo domani, poi a sabato e poi a lunedì, finché è finito.
  Quando mai ? Esiste un processo così ? Eppure è scritto. È un termine ordinatorio. Nella logica che io vi propongo, ogni volta che il rinvio supera l'udienza successiva, scatta il meccanismo sospensivo, ma è assurdo pensare che in Italia, con i mezzi che abbiamo, si possa davvero organizzare un meccanismo di questo tipo.
  Se vogliamo evitare ingressi così penetranti nel tessuto processuale, dobbiamo Pag. 14rassegnarci, allora, a forfetizzare i termini di sospensione del giudizio di primo grado, distinguendo grossolanamente tra processi che hanno l'udienza preliminare, processi a citazione diretta e processi di Corte d'assise. Dobbiamo fare, cioè, un sistema di sospensioni gradate in termini di presumibile rilevanza. Una Corte d'assise dura sempre più di un giudizio monocratico. Questo è inevitabile, per ragioni fin troppo evidenti, anche se gli accertamenti dovessero risultare relativamente semplici. In Corte d'assise si va per reati anche molto complessi. Io ho tre Corti d'assise per avvelenamento doloso di acque. Ci sono processi che durano anni, ovviamente, in Corte d'assise. Dobbiamo forfetizzare. Il meccanismo non può essere diverso da questo.
  Riduzioni di pena e risarcimento io non mi sento di condividerli, non in punto di principio. Capisco la ragione, mi rendo conto che questo sarebbe un sistema per dare sanzione a una durata divenuta irragionevole, ma preferirei operare in modo più puntuale e più accorto su questo meccanismo, distinguendo dal momento dell'inizio dell'azione penale le fasi che sono imputabili a un processo che si sta svolgendo e che, quindi, celebra il rito della memoria e i tempi morti che, invece, stanno affossando quella memoria e, quindi, ricelebrando il trionfo dell'oblio.
  Non è difficile farlo. Secondo me, non è difficile. È semplice. Io sono per i sistemi semplici e lineari che siano applicabili e soprattutto che siano immediatamente comprensibili. Il tessuto normativo deve essere tale che la sua leggibilità risulti, per chi è dotato di un minimo di cognizione, subito chiara. Diversamente, entriamo in quella farragine che rende il meccanismo della prescrizione del tutto indecifrabile.
  Oggi siamo, per esempio, all'illeggibilità. Nessuno capisce come è fatto il sistema. Bisogna fare lunghi studi per capire che è un immondezzaio, che l'attuale prescrizione è un monumento di stupidità, irragionevolezza e paradossi. C’è tutto quello che di più negativo si possa concepire nella legislazione penale.
  Noi abbiamo tutto proprio perché la prescrizione è un istituto cruciale, tempestoso, affetto da turbe psichiche. È un malato la prescrizione, è un malato mentale, figuriamoci. Abbiamo bisogno continuamente di camicie di forza. Questa non è la mia soluzione, perché la ricetta non ce l'ha nessuno, ma l'indicazione, secondo me, è in questa direzione.

  PRESIDENTE. Grazie molte.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Chiedo scusa, ma, poiché mi devo allontanare, posso aggiungere una considerazione alle osservazioni del professor Padovani ? Chiedo scusa, ma ragioni superiori mi inducono ad andare. Prendo solo cinque minuti. Intervengo solo per la parte in cui non siamo riusciti a copiarci, laddove ci sono dissonanze. Per il resto ha parlato molto meglio lui.
  Io non sono d'accordo sulla circostanza che i rimedi complichino e inducano su procedimenti farraginosi, perché comunque un rimedio dobbiamo porlo. Ce lo impone la Convenzione europea. Anche il meccanismo che Tullio propone di scorporare con dei timeout tutti i periodi di sospensione evita che maturi la prescrizione, ma non che si celebri un processo di irragionevole durata. La Corte europea vuole che andiamo davanti alla Pinto e poi davanti a lei perché sia risarcito.
  Un meccanismo indennizzatorio dobbiamo comunque prevederlo. La soluzione nel progetto di legge Ferranti è di aggiungere un meccanismo indennizzatorio che consiste in una riduzione di pena e va in una direzione che abbiamo già incontrato del meccanismo per inumana detenzione, di recente introduzione, col 35-ter. Invece di indennizzare pecuniariamente, si è detto che chi ha subìto un afflittività aggiuntiva rispetto a quella che dovrebbe comportare una pena legittimamente eseguita avrà diritto alla contrazione almeno della durata.
  Certo, sono rimedi grossolani, ma questo è anche un modo per lo Stato, a parte il prosaico argomento del risparmio economico, Pag. 15per ristorare sotto il profilo della sofferenza, perché il processo è sofferenza. Se a un certo punto, per aver subìto un processo troppo lungo, mi vedo applicata una pena più breve, io non ci trovo nulla di male. Le difficoltà tecniche che adombrava Tullio Padovani ci sono tutte: chi deve farlo, con quali parametri, che succede in Cassazione. Li vedremo, ma il principio mi starebbe a cuore che passasse, anche perché togliamo la riduzione di pena, ma l'indennizzo economico come rimedio, ripeto, non ce lo toglie nessuno.
  Come secondo punto – questo dimostra che non abbiamo fatto in tempo a copiarci – io sono perfettamente d'accordo con una questione. Era la cosa che non avevo avuto tempo di dire e, per dimostrare che non la dico adesso, di rimbalzo, ho depositato gli estratti di dieci anni fa sull'argomento, perché sono esattamente sulla linea del professor Padovani quanto a disciplina delle impugnazioni.
  Quando io dicevo che porterei un correttivo al progetto di legge Ferranti ed altri, intendevo che, se dobbiamo spingerci alla sentenza di primo grado, un meccanismo secondo me piuttosto pagante per il nostro sistema sarebbe quello che se l'imputato ha diritto entro un dato termine e lo Stato l'ha accusato, lo Stato deve dargli una risposta entro quel dato termine. Dopodiché, se a impugnare è il pubblico ministero da solo o altro, la prescrizione continua a decorrere, perché è lo Stato stesso che dice che non è soddisfacente la risposta che ha dato. Questa è la ratio, grossolanamente.
  Se, invece, il pubblico ministero si acquieta, questa è la risposta. Se non ti sta bene, tu hai i rimedi perché sia controllata, ma quei rimedi non debbono portare poi alla cancellazione del reato mediante prescrizione, bensì, dal mio punto di vista, agli eventuali ristori per l'eccessiva dilatazione del processo.
  Questo meccanismo disincentiverebbe il pubblico ministero. Il pubblico ministero si chiede, infatti, se, per avere un anno in più, debba rischiare la prescrizione. A quel punto, si ferma. Inoltre, disincentiverebbe non le impugnazioni sacrosante della difesa, quando si tratta di dimostrare l'innocenza, ma quelle che si fanno, e che sono un po’ al limite, perché forse si potrà ottenere qualcosa. Non si potrà ottenere nulla. O nel merito si ha qualche carta da giocare, oppure è meglio che ci si fermi a propria volta.
  Questa è, molto grossolanamente, l'idea che si potrebbe perseguire.

  PRESIDENTE. Grazie, professore.

  GLAUCO GIOSTRA, ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Mi spiace tanto non potervi ascoltare. Mi fermo ancora un po’.

  PRESIDENTE. Di solito si fanno domande, ma io volevo dare la parola agli altri auditi, perché aspettano già da tempo.
  Iniziamo dal presidente delle Camere penali, l'avvocato Beniamino Migliucci. Diamo atto che sono con lui anche l'avvocato Luca Brezigar e Francesco Petrelli.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Grazie, presidente, per l'invito. Avete sentito due lezioni magistrali, che peraltro hanno fatto intendere la complessità della materia, perché tra due maestri del diritto ci sono già delle difformità di vedute. Difformità di vedute ci sono anche tra le proposte che noi oggi abbiamo dovuto leggere. La complessità sta nel metterle insieme, anzi, io direi che sono difficilmente componibili.
  Il primo aspetto che vorrei sottolineare è che hanno ragione sia il professor Padovani, sia il professor Giostra quando dicono, nella sostanza – io dico male quello che hanno detto loro – che la prescrizione è inidonea a garantire la durata ragionevole del processo. Diciamo che non c'entra nulla. Diciamo, anzi, che allungare i tempi della prescrizione può portare a un allungamento dei tempi del procedimento. Spesso si parla del processo, ma si dimentica che il procedimento è un iter più complesso, più complicato e più lungo.Pag. 16
  Entrambi gli intervenuti hanno posto l'evidenza sulla necessità di considerare quello che ci è stato fornito per studiare sul nostro intervento. Svolgo le prime due considerazioni.
  Le raccomandazioni europee, sia quella che viene citata a pagina 45, presidente, sia quella del GRECO, in realtà riguardano più i reati legati alla pubblica amministrazione. Cominciamo, quindi, anche quando parliamo di Europa, a non enfatizzare richiami e raccomandazioni come se riguardassero tutto. Riguardano un tema specifico, perché la corruzione è un tema centrale e di questo si tratta.
  Un altro aspetto che è necessario considerare, con riferimento sempre alla documentazione che ci avete fornito, è che dal 2005 sono dimezzati i processi che si prescrivono. Sono passati da più di 210.000 a 113.000, più o meno.
  Un altro dato che deve fare riflettere, altrimenti, come dicevano entrambi gli esimi professori, non si capisce dov’è il punto e quale sia la cura da dare, è che quasi nel 70 per cento dei procedimenti il tempo dell'oblio matura nel corso delle indagini.
  Un altro discorso da considerare è che, quando non matura, spesso si arriva al processo dopo che si sta per arrivare alla prescrizione. Se noi non abbiamo presente questo, non andiamo da nessuna parte. Ogni proposta avrà il limite di non aver compreso quale sia il problema.
  Sempre traendo qualche spunto maldestro – è maldestro lo spunto che prendo io – dalle interlocuzioni dei due professori, osservo che non si può parlare di rendere più ragionevole la durata del processo soltanto parlando della prescrizione, anzi non si arriva a nulla. Dobbiamo parlare di quanti sono i reati per cui si fanno i processi. È un feticcio o no l'obbligatorietà dell'azione penale ? Bisogna considerare che ci sono troppi reati inutili per i quali si fanno processi inutili ? È da considerare o no un'indagine sul giudizio dinanzi al giudice di pace che poi si conclude con ricorsi per Cassazione ? È da verificare – lo diceva il primo presidente della Corte di cassazione Santacroce – che non si può incidere sulla durata ragionevole del processo se non si incide sul sistema penale sostanziale.
  Io credo che una riforma che non tenga conto di questo potrebbe essere una riforma sbagliata, che dà l'idea soprattutto all'opinione pubblica di poter arrivare finalmente in fondo a un percorso, a un processo penale, perché quelli che sono colpevoli e anche quelli che sono innocenti vedrebbero un accertamento del fatto, ma non si arriva a quello che, invece, dovrebbe essere l'obiettivo, ossia rendere ragionevolmente breve il processo.
  Più tardi, presidente – gliel'avevo già detto a Viterbo; non è una provocazione – io le farò omaggio di un libro che l'Unione delle Camere penali ha pubblicato nel 2008 e che racchiude alcune esperienze dell'Avvocatura in tutti i tribunali italiani.
  Riprendendo quello che ha detto il professor Padovani, bisognerebbe cominciare dalle disfunzioni organizzative, cosicché magari da 113.000 arriveremo già a 50.000 e, ponendo altre piccole riforme, si arriverebbe al punto zero. Il problema, però, non sarebbe evitato, perché noi abbiamo il dovere, come cittadini, di arrivare a un procedimento che sia ragionevolmente breve.
  Venendo alle indicazioni che sono state fornite sinora, non se ne può dimenticare neanche un'altra, ossia che noi abbiamo un articolo che spesso dimentichiamo, l'articolo 27 della Costituzione, che riguarda la rieducazione del reo.
  Che cosa c'entra la rieducazione del reo ? Se una pena arriva troppo tardi rispetto a un fatto, è sommamente ingiusta, anche perché spesso la persona è cambiata, ed è questa la ragione più intima dell'oblio al quale si faceva riferimento.
  Dopo un determinato periodo c’è un interesse da parte dello Stato a perseguire chi sia già cambiato, dopo 10-15 anni ? Diceva il professor Giostra che ci sono dei processi che durano o che possono durare già da noi 20-25 anni. Diventa anche l'enfatizzazione di un problema inesistente dire che non si possa arrivare, nella gran parte dei casi, a dei risultati proficui, cioè Pag. 17a fare i processi laddove si prendano in considerazione alcuni aspetti importanti, sui quali si sono già soffermati i relatori che mi hanno preceduto.
  Il tema è quello di cercare di comprendere se, per esempio, non ci sia anche da ripensare – lo dico come immagine complessiva – un'idea globale di rivisitazione del sistema. Noi abbiamo dei termini, nel nostro Codice di procedura penale, che non sono ordinatori, ma canzonatori. Le indagini non finiscono mai. È giusto che le indagini, per la complessità delle indagini stesse, possano durare dei tempi ragionevoli, ma probabilmente anche il codice accusatorio prevedeva delle indagini brevi, perché la prova si doveva formare in dibattimento.
  Quanto più ci si allontana dal fatto, quanto più il processo diventa inquisitorio, perché si riversa tutto. Bisogna fare anche una rimeditazione di questo. Bisogna, però, anche rendersi conto che le indagini non possono durare sine die e che forse, quando le sentenze si depositano, si dovrebbero depositare nei termini che il Codice assegna.
  Occorrerebbe, quindi, indicare anche dei tempi. Non parlo di tempi che poi possano essere suscettibili di estinguere i reati, ma di un disciplinare più serio, che sotto questo aspetto sarebbe anche auspicabile. Ci sono delle sentenze che vengono depositate altro che dopo i novanta giorni, mentre magari poi, per fare i motivi di appello, rimangono giustamente i termini che vengono assegnati.
  Io credo che si debbano intanto avere chiari alcuni princìpi. Secondo noi, un tempo in cui deve maturare l'oblio sostanziale deve rimanere e deve essere assolutamente evitata ogni demagogica messa in discussione di questo aspetto. Lo Stato non deve avere più interesse a processare una persona, dopo un determinato numero di anni. Questo deve essere un elemento che rimane, mentre deve essere, secondo noi, privilegiato l'aspetto delle sospensioni, come diceva il professor Padovani, ma non del tutto. Non su tutti questi aspetti sono d'accordo.
  Per esempio, ci può essere un appello che non viene fatto per ragioni strumentali, ma un appello che ha ragione di essere coltivato. Dunque, vanno previsti, secondo noi, comunque dei tempi entro i quali quell'appello deve essere discusso, ma magari non il tempo dell'appello. Contingentare il tempo dell'appello sarebbe sbagliato, perché può essere complicato. Dire, però, entro quanto l'appello deve essere fatto è giusto, altrimenti, per come siamo fatti noi, in Italia si rimarrebbe condannati a vita in primo grado.
  Il tema delle sospensioni, meglio che quello delle interruzioni, si presta anche ad arrivare alla dichiarazione della prescrizione sostanziale, perché, se, a un certo punto, passati diversi step - quello delle indagini e quello del primo grado – si vuole evidentemente, dopo l'esercizio dell'azione penale, iniziare la prescrizione e porre il tempo della prescrizione processuale, questo non può, però, avere una durata infinita.
  Per esempio, leggendo le tre proposte, che, come diceva bene il professor Giostra, hanno tutte un contenuto apprezzabile, ma difficilmente intersecabile, in alcune – mi pare in quella che chiamiamo, per comodità, senza offesa per gli altri, Colletti e Mazziotti, perché sono i primi nomi che mi vengono – si evoca, se non sbaglio, sempre il richiamo all'articolo 157 del Codice penale. Da una parte, si riprende la prescrizione sostanziale. A un certo punto, cioè, dopo che ci sono state o le sospensioni, o le interruzioni, si recupera.
  Se non ce l'abbiamo fatta entro un dato numero di anni, il processo finisce comunque, altrimenti sarebbe troppo grave che, nel momento in cui si esercita l'azione penale, da questo momento in poi, si andasse avanti all'infinito. Questo pregiudicherebbe non solo una durata ragionevole del processo, ma anche il diritto di una persona a rimanere sana di mente, perché in Italia anche da innocenti si verrebbe magari dichiarati tali dopo venticinque anni, il che evidentemente è una stortura difficilmente immaginabile.
  Anche le questioni delle sospensioni devono essere attentamente valutate, perché Pag. 18ognuno può determinare una sospensione. L'avvocato che è ammalato può determinare una sospensione, che poi si computa.
  Noi, però, per esempio, siamo del tutto sfavorevoli alle sospensioni dopo le sentenze di primo e di secondo grado, per ragioni che sono facilmente sintetizzabili. In Italia noi abbiamo un sistema secondo cui è già difficile evocare la presunzione di innocenza. Ne abbiamo parlato, presidente, anche a Viterbo. Una condanna di primo grado, soprattutto con una sospensione che non sia limitatissima nel tempo, provocherebbe nell'opinione pubblica l'idea di una persona che è stata condannata e che, quindi, è stata condannata a ragione, ma potrebbe provocare anche degli effetti molto dirompenti sotto il profilo, per esempio, patrimoniale. Molti processi hanno anche delle misure patrimoniali preventive che seguono via via la fase delle indagini e che poi proseguono da quando si arriva al processo.
  Pensiamo a tempi troppo dilatati per arrivare a un appello che magari si conclude con un'assoluzione. Una persona potrebbe già essere stata rovinata, tenuto conto che – ed ecco che tutto deve essere visto coerentemente – le misure reali patrimoniali trovano una difficoltà. Vengono confermate quasi sempre nella fase delle indagini, perché basta che ci sia l'astratta configurabilità del bene con il reato e la pertinenza e non c’è questa incisiva.
  Prestiamo attenzione, quindi, alle cause di sospensione. Noi siamo d'accordo con quello che ha detto il professor Padovani, ossia che questo è il tema, quello delle sospensioni, a seconda di chi le provoca.
  È giusta anche la diversificazione tra l'appello del pubblico ministero e l'appello del condannato. In merito io avrei sempre qualche cosa da dire perché evidentemente il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio in Italia non si è ancora affermato. Se capita ancora che ci siano due sentenze di merito che assolvono, la Cassazione che rinvia e che poi l'imputato venga condannato, ciò significa che da noi questo principio esiste molto poco. Forse, però, rimeditare quello che serve e quello che non serve potrebbe aiutare.
  Per quanto riguarda la proposta di legge Ferranti, che ha molti aspetti che dovrebbero essere integrati, io rilevo, per esempio, parlando dell'interruzione, che l'articolo 160 prevedrebbe un'interruzione della prescrizione del processo penale. Ci sono dei tempi che vengono indicati nell'articolo 160 e che non rammento. Poi, però, con la pronuncia della sentenza di primo grado, il corso della prescrizione è interrotto. Da lì in poi sembrerebbe sine die.

  PRESIDENTE. È una fase.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Sì, ma, o andrebbe riportata la prima parte dell'articolo dopo questo punto, parlando delle fasi, o ci dovrebbe essere un richiamo all'articolo 157. Il processo, però, non può mai durare più a lungo della prescrizione. Letta così, sembra che da questo momento in poi vada bene tutto e che, fino a quando una persona muore, la processiamo.
  Ha ragione il professor Giostra: non si possono fare mai ironie su ciò che tende a risarcire un cittadino di un'idea di malagiustizia, ma ancorarsi, in questo caso, all'idea che, nel momento in cui l'efficienza dello Stato non è possibile, si debba offrire un risarcimento è una soluzione che non sta bene. Bisogna cercare di rendere ragionevole il tempo del processo con dei meccanismi che esulino dalla prescrizione e ai quali tutti debbano partecipare, ma bisogna anche dare al cittadino la certezza di un processo.
  Diceva il Ministro Orlando, forse, una volta – spero di ricordare bene per non mettergli in bocca parole che non ha detto – che la prescrizione del passato aveva un'idea classista. C'erano alcuni reati che non si prescrivevano mai e altri che si prescrivevano un po’ troppo presto.
  Tuttavia, io credo che sia necessario davvero contemperare la ragionevole durata del processo, che va perseguita per vie Pag. 19totalmente diverse rispetto a queste. Se si vuole, invece, dare l'indicazione che in Italia i processi si fanno, questo non deve essere stabilito attraverso la prescrizione e non deve dare neanche al cittadino, magari per accontentare una parte dell'opinione pubblica o chi vuole o desidera che le indagini non finiscano mai, l'idea che sia possibile in Italia un processo che inizia, ma nel quale un cittadino può essere esposto per tanti anni.
  Io ho già concluso. Poi magari faremo avere, se il presidente lo ritiene, qualche nota scritta, ma spero di avere esposto chiaramente il nostro pensiero.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa. Vorrei dire una cosa sul risarcimento, non per polemizzare, ma anzi per integrare. Io sono un antico sostenitore di un principio di civiltà accolto in numerosi ordinamenti: il principio della soccombenza nelle spese nel giudizio penale. Se fosse accolto questo principio elementare di civiltà, «chi perde paga» e, quindi, se perde lo Stato, paga, il problema del ristoro sarebbe in re ipsa, perché nella determinazione delle spese dovrebbe essere inclusa anche la maggior durata.
  Chiudo. Ci arriveremo un giorno, ma me vivo non credo.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Ho l'impressione che neanch'io ci sarò.

  PRESIDENTE. Le strade sono molto complesse.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa. Grazie, presidente. Spero di aver contenuto i termini dell'intervento.

  PRESIDENTE. Saluto il professor Padovani e ringrazio anche degli eventuali contributi scritti che ci possono arrivare, fermo restando che il testo è tutto trascritto e stenografato e che, quindi, volendo, vi sarà mandato per le correzioni.
  Anticipo, per il professore che adesso se ne va, che è qui presente solo uno dei relatori, l'onorevole Amoddio. L'onorevole Dambruoso, che è anche questore, è impegnato nell'Ufficio di presidenza. Loro, però, inizieranno adesso un lavoro per cercare di fare un testo unificato.
  La ringrazio, perché lei se ne sta andando, di questa partecipazione. Ci auguriamo che ci possa essere via via un'interlocuzione sui testi per arrivare a un testo unificato. Voi giustamente avete commentato le proposte in sé. Alla luce di queste audizioni, i relatori faranno questo sforzo e poi ci sarà necessariamente l'interlocuzione col Governo. Nel frattempo è arrivato anche il Sottosegretario Ferri, che ringrazio.
  Professore, grazie.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di diritto penale presso la Scuola Superiore S. Anna di Pisa. Io sono disponibilissimo, come il professor Giostra.

  PRESIDENTE. Do la parola, dulcis in fundo, al presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Maria Sabelli.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Grazie, presidente. Le relazioni che hanno preceduto il mio intervento mi consentono di astenermi da un esame troppo approfondito della struttura e delle finalità dell'istituto della prescrizione.
  Mi limiterò a dire che, come è noto, la prescrizione è stata profondamente riformata con la legge 5 dicembre 2005, n. 251. Questa legge non si è limitata soltanto a ridurre in linea generale, peraltro non sempre, i termini di prescrizione, ma ha prodotto anche un sistema profondamente incoerente, oltre che molto complesso.
  Solo a titolo di esempio, ha innestato sull'istituto della prescrizione gli effetti collegati a qualità soggettive dell'imputato e ha anche interferito con le scelte future del legislatore attraverso un collegamento rigido fra termine di prescrizione e pena edittale massima.Pag. 20
  Ricordo, per esempio, quanto è avvenuto in occasione della riforma della corruzione, laddove l'aumento della pena edittale è stata nella discussione pubblica collegata più a un'esigenza legata al termine prescrizionale che a una valutazione effettiva sul disvalore del reato di corruzione.
  Dico questo perché tutte e tre le proposte in esame hanno il pregio di destrutturare completamente l'istituto della prescrizione, così com'era venuto dalla riforma del dicembre 2005 e, per la verità, anche rispetto alla disciplina previgente. La valutazione sulla gravità della situazione che fa l'ANM, che io rappresento, è diversa da quella che ho ascoltato dal presidente dell'Unione delle Camere penali sul fatto che siano poco più di 100.000 i casi di prescrizione. Si tratta, a nostro giudizio, di un'evidente situazione grave, che determina, fra le altre conseguenze, la violazione dei diritti delle persone offese, oltre a un enorme dispendio di energie e di risorse.
  Sono d'accordo con quanto ho già ascoltato, cioè sul punto che la prescrizione è un istituto di diritto penale sostanziale che trova la sua ragion d'essere nell'esaurimento dell'interesse repressivo dello Stato. Non è, invece, compito della prescrizione l'esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo. Questa finalità, ovviamente tutelata dall'ordinamento, deve essere piuttosto realizzata con altri strumenti, in particolare con strumenti di natura processuale e organizzativa.
  Svolgo ancora qualche considerazione di carattere generale. È stato detto, e io condivido, che l'istituto della prescrizione è collegato al cosiddetto diritto all'oblio. Se è così, però, bisogna anche chiedersi se sia ragionevole un sistema che consente il decorso della prescrizione anche quando lo Stato ha manifestato, con l'esercizio dell'azione penale e la volontà di procedere e continua a manifestare con un processo in corso, la volontà di non dimenticare quel fatto, quel reato.
  I dubbi sulla ragionevolezza del sistema aumentano quando il prodursi di questo effetto di oblio possa essere rimesso all'iniziativa discrezionale del soggetto, ossia l'imputato, che è interessato all'oblio, attraverso gli strumenti processuali. Parliamo, naturalmente, di legittimo esercizio di facoltà processuali, che determina, però, una confusione e una sovrapposizione fra prescrizione e diritto all'oblio, tutela del diritto all'oblio e attualità della pretesa punitiva dello Stato ed esercizio di strumenti processuali che servono per una verifica della correttezza e della fondatezza di questa pretesa punitiva.
  Da quanto ho detto deriva, quindi, sul piano sistematico la necessità quantomeno di prevedere la sterilizzazione della prescrizione per il tempo del processo.
  Aggiungo che alcune proposte, tra cui anche una di quelle in esame, prevedono alcuni effetti interruttivi collegati all'emissione di sentenze intermedie di condanna. Questa a noi sembra una scelta errata sul piano del sistema, perché la pendenza del processo non può essere legata soltanto alla fondatezza della pretesa punitiva, né con riferimento al momento dell'esercizio dell'azione penale, né con riferimento alle fasi processuali successive. In merito vi è anche il conforto delle Sezioni unite della Corte di cassazione, che, con una sentenza del 2010, hanno affermato proprio che la sentenza di assoluzione è strutturalmente idonea a determinare la pendenza del grado di appello.
  Sorvolo sui profili di diritto comparato perché sono ricavabili dal dossier elaborato dagli uffici della Camera.
  In realtà, il punto che a noi sembra fondamentale – su questo vorrei aggiungere qualche considerazione rispetto alle relazioni che ho ascoltato – è la stretta connessione che va affermata fra le norme del sistema processuale e l'istituto della prescrizione. Non dobbiamo, a nostro avviso, farci illusioni. Nessuna riforma della prescrizione potrà mai, in realtà, essere autosufficiente se non si interviene anche sulle regole del processo, ivi comprese le regole che governano il sistema delle impugnazioni, oltre che, ovviamente, sul sistema dell'organizzazione, perché un approccio che non si limiti a essere solo Pag. 21astrattamente corretto e astrattamente accettabile deve confrontarsi con la realtà del sistema.
  Consideriamo allora soltanto i dati statistici. Faccio riferimento, per brevità, solo a quelli relativi alla Corte di cassazione, che disegnano una situazione imponente e insostenibile. Parlo di dati che sono ricavati dalla relazione inaugurale dell'anno giudiziario 2014.
  Nel solo anno 2013 sono pervenuti alla Corte di cassazione ben 52.834 ricorsi. Di questi, quelli definiti nello stesso anno dalla settima sezione – la settima sezione è quella che opera il cosiddetto spoglio – sono stati ben 22.216. Su oltre 52.000 sono, quindi, oltre 22.000 quelli dichiarati immediatamente inammissibili dalla settima sezione, su un totale di ricorsi dichiarati inammissibili da tutte le sezioni, compresa la settima, di 33.980. Più della metà dei ricorsi pervenuti alla Corte di cassazione sono stati dichiarati inammissibili.
  Bisogna tener conto che il sistema prevede che anche per questi ricorsi sia fissata l'udienza, sia pure in Camera di consiglio, ancorché non partecipata, con conseguente dispendio di risorse, di uomini e di mezzi.
  La situazione per quanto riguarda le Corti d'appello – non ho portato i dati, ma sono anch'essi facilmente disponibili – è ancor più grave e il fenomeno delle dichiarazioni della prescrizione nella fase d'appello è anch'esso imponente. Dico questo per evidenziare che bisogna tener conto sia della realtà dei numeri, sia della necessità di interventi processuali organizzativi.
  Vengo in breve alle tre proposte di legge. La proposta Colletti prevede tutta una serie di interventi: un aumento dei termini di prescrizione ordinaria e un intervento, peraltro opportuno, sul reato continuato, che recupera la precedente previsione del Codice penale, anch'essa purtroppo alterata con la legge del dicembre 2005, e determina la definitiva sospensione della prescrizione dal momento dell'assunzione della qualità di imputato ai sensi dell'articolo 60 del Codice di procedura fino all'irrevocabilità della sentenza.
  In sostanza, questo disegno di legge prevede la sterilizzazione del tempo del processo dal momento di esercizio dell'azione penale fino alla sentenza definitiva. È stato già osservato che la scelta, che corrisponde, per la verità, alla premessa che io avevo fatto, è coerente anche sul piano sistematico. Naturalmente, e concordo con l'osservazione, essa solleva il problema della relazione fra regime della prescrizione del reato e ragionevole durata del processo.
  Dicevo al principio che, in realtà, l'istituto della prescrizione non ha fra le sue finalità quella di assicurare la ragionevole durata del processo. Al contrario, la prescrizione mette in evidenza le disfunzioni, l'incapacità del sistema. La ragionevole durata del processo deve essere affidata ad altre soluzioni, che sono quelle che prima ricordavo, di natura organizzativa e processuale.
  In realtà, la sterilizzazione della prescrizione per tutta la durata del processo gioca una sorta di scommessa: la forza di questa sterilizzazione dovrebbe risolversi nella capacità dissuasiva rispetto a impugnazioni strumentali volte esclusivamente a produrre una dilazione dei tempi processuali, proprio per beneficiare della prescrizione o per altre ragioni contingenti, e nella capacità di indurre a un uso maggiore dei riti alternativi.
  Voglio essere chiaro. Nel dire questo non voglio individuare colpe o situazioni di abuso, perché parliamo, naturalmente, sempre di uso legittimo delle facoltà processuali. Occorre, però, interrogarsi sull'adeguatezza delle regole processuali rispetto al sistema che di fatto quelle stesse regole hanno generato.
  Effettivamente, però, non possiamo sottrarci a una riflessione sull'adeguatezza e sulla possibile pendenza senza termine finale di un processo, una volta che sia prevista la sospensione a tempo indeterminato e che sia esercitata l'azione penale. In questo caso, a nostro avviso, si imporrebbe proprio un intervento urgente sugli Pag. 22strumenti processuali, su quelle soluzioni organizzative intese a evitare una persistenza senza termine del processo.
  L'altra soluzione che mi pare sia stata suggerita, invece, è quella di un ampliamento dei casi di sospensione della prescrizione.
  Veniamo alla proposta di legge Mazziotti Di Celso. Questa proposta modifica la durata dei termini di prescrizione. In linea generale, i termini che ne derivano risultano più brevi rispetto sia a quelli attuali, sia a quelli esistenti prima della riforma del dicembre 2005.
  Questa proposta di legge, inoltre, collega la sospensione del termine di prescrizione solo ai casi di sentenze intermedie di condanna – mi riporto alla critica di carattere sistematico che ho già fatto – e introduce una prescrizione breve per il tempo precedente l'esercizio dell'azione penale o una richiesta di archiviazione, quindi per il tempo delle indagini preliminari.
  Come dicevo, la misura dei termini di prescrizione così ridotta a noi sembra veramente del tutto insufficiente ad assicurare in linea generale una conclusione utile dei procedimenti penali prima dello spirare del termine prescrizionale.
  Per quanto riguarda la prescrizione breve, comprendo le finalità di sollecitazione al pubblico ministero. Ho ascoltato anche le osservazioni che sono state fatte sul numero di prescrizioni dichiarate proprio nella fase precedente l'esercizio dell'azione penale.
  Occorre, peraltro, tener conto – non lo dico per scaricare la magistratura inquirente da responsabilità, ma solo ai fini di un inquadramento e di una ricostruzione più completa delle ragioni di questo fenomeno – sia del tempo di prescrizione già decorso prima che la notizia di reato giunga agli uffici della procura della Repubblica, sia di un'altra realtà patologica (mi riferisco, in particolare, ai casi di citazione diretta), cioè dei tempi di fissazione dell'udienza dibattimentale. Essi sono, purtroppo, determinati dall'elevato numero di processi pendenti, il che si riflette, naturalmente, sulla prescrizione, perché la mancata fissazione dell'udienza evidentemente non consente l'esercizio dell'azione penale.
  La prescrizione breve, peraltro, determinerebbe un'ulteriore serie di conseguenze, anzitutto il possibile maturare della prescrizione a distanza, tutto sommato, anche molto ravvicinata rispetto alla data di commissione del reato e anche prima che sia spirato eventualmente il termine di prescrizione ordinaria, con conseguenze di incoerenza sul sistema complessivo.
  Questo disegno di legge ha, peraltro, il pregio di prevedere una dettagliata disciplina transitoria, cosa che sarebbe opportuno considerare per evitare incertezze interpretative ed eventuali disparità di trattamento.
  La proposta di legge C. 2150 Ferranti prevede una sorta di combinazione tra la prescrizione sostanziale, che opera cioè fino all'esercizio della azione penale e poi fino alla sentenza di primo grado, e una prescrizione processuale.
  Per quanto riguarda il tempo precedente, si rimodula il termine di prescrizione ordinaria collegato alla pena edittale, ma aumentato di un quarto, vengono introdotte delle nuove ipotesi di sospensione e si prevedono come sole cause di interruzione della prescrizione l'esercizio dell'azione penale e la pronuncia della sentenza di primo grado, prevedendo per il primo grado dei termini di prescrizione totalmente autonomi e svincolati dagli eventi che si sono verificati nel tempo trascorso nella fase precedente.
  Ho letto che nella relazione illustrativa si fa riferimento anche alla necessità di evitare che la condanna colpisca persona diversa, cioè divenuta altro rispetto a colui che era al momento della commissione del reato. Questa è sicuramente un'esigenza da riconoscere e da tutelare, anche se la sua tutela va probabilmente realizzata attraverso strumenti diversi. Penso, per esempio, alla messa alla prova nella fase cognitiva e agli strumenti delle misure alternative nella fase dell'esecuzione.
  La previsione di termini prescrizionali per il giudizio di primo grado, in realtà, Pag. 23non realizza quella sterilizzazione della prescrizione nella fase processuale che a noi, invece, sembra più coerente sul piano del sistema generale, in base alle considerazioni che facevo al principio.
  Volendo comunque accedere a una soluzione di questo tipo, opportunamente la durata di questa prescrizione viene modulata in relazione alla natura del rito – Corte d'assise, tribunale collegiale o monocratico, da udienza preliminare o da citazione diretta – anche se vi sono degli altri indici sintomatici di una speciale complessità del processo. Penso, per esempio, al numero degli imputati, al numero dei reati, al numero delle persone offese e al numero dei testimoni, ragion per cui la soluzione andrebbe forse integrata con questi indici.
  È stato già detto, per le fasi successive di appello e di Cassazione, che sono previsti, invece, uno sconto di pena per l'imputato condannato e un risarcimento per l'imputato assolto. In realtà, questa soluzione, se ha il pregio di evitare il decorso della prescrizione in queste fasi, tuttavia non è uno strumento sufficientemente dissuasivo di fronte ad azioni soltanto dilatorie.
  Peraltro, sui tempi che sono stati individuati – due anni o anche un anno per la Cassazione, ma specialmente due anni per le Corti d'appello – a noi sembrano dei tempi, francamente, utopistici, alla luce del carico di questi uffici giudiziari.
  Svolgo un'altra osservazione. La riduzione di pena e il risarcimento del danno, a nostro avviso, se fosse questa la scelta, andrebbero piuttosto legati al superamento del tempo complessivo di primo grado, appello e Cassazione, piuttosto che al superamento delle singole fasi, anche perché dal testo di legge che abbiamo esaminato sembrerebbe che l'eventuale sforamento dei tempi dell'appello e della Cassazione potrebbe portare a un cumulo di questi benefici.
  Mi pare di aver già ascoltato anche l'osservazione per cui l'eventuale riduzione di un terzo per la fase di Cassazione, qualora le condizioni fossero rilevate dalla Corte di cassazione, imporrebbe alla Corte di cassazione il rinvio. Si dovrebbe probabilmente, invece, individuare un meccanismo più agevole.
  Con riferimento alla proposta di legge Mazziotti e alla proposta di legge Ferranti, osserviamo che opportunamente si è prevista la decorrenza del termine di prescrizione al compimento dei quattordici anni per i reati previsti dall'articolo 392, comma 1-bis del Codice di procedura penale.
  Presidente, io ho preparato una relazione. Mi riservo, però, di farla pervenire, perché vi ho rilevato alcune imprecisioni.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Vorrei intervenire di nuovo solo per un minuto, essendo stato breve prima, sulle riflessioni del dottor Sabelli, che, non a caso, ha voluto parlare per ultimo.
  Intervengo solo su due aspetti. Evidentemente mi sono spiegato male. Il punto non è che l'Unione delle Camere penali non abbia presente il problema delle 113.000 prescrizioni. Ricordo che questo tema non riguarda soltanto i diritti delle persone offese, perché la durata ragionevole del processo è prevista dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, soprattutto per chi un processo lo subisce, ossia anche per l'imputato, così come dall'articolo 111 della Costituzione.
  Non si tratta di avere o non avere presente questo. Si tratta soltanto di capire come si possa arrivare a un tempo del processo ragionevolmente breve, senza farlo diventare irragionevolmente lungo allungando i tempi di prescrizione.
  Quanto alla disamina del dottor Sabelli, su alcuni punti siamo d'accordo, per esempio sul fatto che, per ridurre i tempi del processo, si debba incidere su altri aspetti e non sulla prescrizione. Manca forse quell'approccio al sostanziale, di cui dicevamo prima, su altri temi come l'obbligatorietà dell'azione penale.
  Per quanto riguarda poi l'altro tema, ha detto bene il dottor Sabelli: in Italia c’è la tendenza a scaricare le responsabilità. Lui evocava gli appelli o i ricorsi per Cassazione inammissibili. In Cassazione i Pag. 24casi di prescrizione sono molto pochi. Proprio in base al dossier che ci avete fornito si vede che sono più nella fase dell'appello. Ce ne sono anche in primo grado, ma anche in questo caso non bisogna dimenticare che a volte in primo e secondo grado si arriva perché i tempi delle indagini sono lunghissimi. Poi c’è una contrazione dei tempi del primo grado. Anche questo va detto per chiarezza.
  A proposito dei sistemi delle impugnazioni, io credo che, come dicevo prima, per arrivare al punto zero, ci siano tante cose da ritoccare prima di guardare magari al doppio grado di merito, come si sente dire da qualche parte, non dico dalla vostra.
  Per quanto riguarda la sterilizzazione, il dottor Sabelli, molto cautamente, ha detto che si possono forse vedere i casi di ampliamento di sospensione del processo, dei quali abbiamo detto.
  Quanto alla sterilizzazione, ho appuntato un commento: «Ci piacerebbe di più questo. Poi il resto diventa una scommessa». A noi le scommesse non piacciono. Un termine finale comunque ci vuole, perché c’è il rischio che altrimenti un processo duri per tutta la vita di una persona.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio. Adesso diamo spazio al dibattito. Il tema è veramente difficile da risolvere, ma ce la faremo.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA COLLETTI. Grazie, presidente. Mi permetta un incipit polemico, ma non verso gli auditi. Il dottor Sabelli ha parlato di non abuso delle facoltà processuali relativamente alla prescrizione da parte degli avvocati, il che è giustissimo. Io polemicamente dico che, in realtà, esiste un abuso della potestà legislativa in alcune proposte di legge approvate nel passato in Parlamento. Mi riferisco principalmente a quelle portate avanti da una classe politica che adesso fa parte anche di questo Governo.
  Tolta questa polemica, io ho dei dubbi. Si è parlato di riduzione della pena per l'eccessiva durata del processo. Su questo punto il vantaggio per un eventuale patteggiamento, qualora con il decorrere del termine prescrizionale si potesse avere un'altra riduzione della pena, dove sta ?
  Infatti, la mia proposta di legge, che è quella più tranchant, nella quale viene sterilizzata la prescrizione durante la fase processuale, e dovrebbe far parte, giustamente, di un primo inizio di una revisione sistemica del processo penale. In realtà, qualora passasse quella proposta, si potrebbe addirittura prevedere di abbassare il termine prescrizionale generale, così da incentivare eventualmente a chiudere le indagini preliminari in un termine più breve.
  In altre parole, poiché la mia proposta di legge prevede un allungamento del termine prescrizionale, qualora si sterilizzasse la prescrizione, in realtà quel termine potrebbe benissimo essere diminuito, perché si applicherebbe eventualmente solo durante le indagini e non più durante il processo.
  Un altro punto su cui vorrei una risposta è, secondo voi, in base alla vostra esperienza, in caso di sterilizzazione della prescrizione con l'assunzione della qualità di imputato, quanto se ne gioverebbero i ricorsi agli istituti quali patteggiamenti, riti abbreviati o l'istituto che viene molto poco utilizzato – stando a quanto mi dicono, non essendo penalista – per esempio, del giudice di pace penale, agli articoli 34 e 35 del DL n. 274 del 2000 ?
  Quanto noi favoriremmo, quindi, in realtà, un minor numero di dibattimenti grazie al pericolo che hanno gli imputati della sterilizzazione della prescrizione ?

  STEFANO DAMBRUOSO. Colgo l'occasione della presenza di due autorevoli rappresentanti, sia della magistratura, sia dell'Avvocatura. Poiché è emerso un aspetto che io ho trovato interessante memorizzare, cioè che, facendo delle comparazioni che vengono quasi naturali con Paesi vicini, come la Francia, dal momento della reintroduzione della reformatio in peius in secondo grado c’è stato un abbattimento di circa l'80 per cento delle Pag. 25impugnazioni, volevo chiedere se oggi, in considerazione di metodi o approcci culturali di tipo accusatorio e difensivo, sia riproponibile nel nostro Paese la possibilità di una libera reformatio in peius, a prescindere dall'impugnazione del PM.
  Grazie.

  SOFIA AMODDIO. Pongo una domanda veloce al dottor Sabelli. Quando lei dice, dottor Sabelli, che due anni in appello le sembrano utopistici, intende utopistici nel senso che sono irrealizzabili o nel senso che sono tanti i due anni di sospensione in appello ?
  Sempre per il dottor Sabelli, sulla prescrizione breve prevista dalla proposta di legge Mazziotti, devo dire, onestamente – chiedo lumi anche a tutti i relatori che abbiamo sentito, che ringrazio per le loro attentissime relazioni – che io, nonostante l'onorevole Mazzotti la chiami prescrizione breve in fase di indagine, ho effettuato alcuni calcoli e ho visto che è tutt'altro che breve. Nella prescrizione in fase di indagine, a mio avviso, occorre porre comunque un argine, un sistema alla lunghezza delle indagini, a tutela non solo dell'imputato, ma anche della parte offesa, lo sottolineo.
  Mi riferisco al punto in cui si dice che prima della scadenza dei termini di cui ai commi 1 e 5 il reato si prescrive, in fase di indagine, quando il pubblico ministero non chiude le indagini entro il termine di sei mesi (dai calcoli risulta questo) aumentati del doppio – il tempo diventa, quindi, doppio, cioè di un anno – comprese le proroghe. Questo è il termine di prescrizione breve. Abbiamo, quindi, un anno e sei mesi.
  Come sappiamo, il giudice può dare una proroga anche due volte e, quindi, questo diventa un termine di prescrizione di due anni per un processo semplice: sei mesi, più sei mesi di proroga, più il doppio diventano due anni. Per quei reati per i quali noi sappiamo che le indagini possono arrivare fino a un tempo di diciotto mesi, il doppio diventa trentasei mesi.
  Mi rivolgo a questi illustri relatori. Io non definirei questo un termine breve. Chiedo a loro cosa ne pensino dopo aver guardato questi calcoli che sto offrendo in discussione.

  PRESIDENTE. Mi aggancio a qualche domanda, in particolare all'ultima legata al processo della prescrizione in fase di indagine della proposta di legge Mazziotti, che ovviamente mi pare si sovrapponga al termine della prescrizione sostanziale.
  Dobbiamo fare due scelte. Questa è una proposta che io non ho capito sotto questo aspetto. Mi rivolgo anche al relatore. Porrò poi, invece, delle domande costruttive.
  Questa proposta Mazziotti pone effettivamente il problema del numero di prescrizioni che si realizzano durante la fase delle indagini sostanzialmente senza un controllo, si dice, particolarmente pregnante sull'andamento di queste indagini. Questa problematica io la posso anche condividere, perché si dice che molto tempo si «mangi» anche con le indagini.
  Mi rivolgo al Presidente Sabelli, perché è lui la parte in causa. Non capisco cosa proponga l'onorevole Mazziotti, perché nella sua proposta di legge si estingue sostanzialmente il reato, addirittura, non tenendo conto della fisiologia della prescrizione del reato, ma del fatto che, in pratica, non si sono concluse le indagini in quel tempo. A questo punto, si mette una tagliola alla tagliola. Francamente, non capisco la filosofia di questa proposta.
  Lo preciso perché, peraltro, fa parte del Gruppo del relatore. Non capisco la filosofia. A questo punto, se, per prescrivere il reato, la legge mi impone sei anni, quando l'ho scoperto avevo tre anni e ho impiegato due anni per fare le indagini, perché lo devo far prescrivere, se non esercito le indagini entro un determinato periodo di tempo ?
  Diversa è l'ipotesi – il professore sa che abbiamo cercato di valutarla anche in altra sede – di un controllo del giudice sulla durata delle indagini e, quindi, sulla loro ragionevolezza, affinché non ci siano tempi morti. Questa è una questione diversa, secondo me, perché, a questo punto, si risponde a un'altra finalità. Non si può addebitare interamente Pag. 26alla base del processo dell'appello o della Cassazione il fatto che ci siano stati dei tempi morti non giustificati o non dovuti durante le indagini.
  Ha fatto bene la relatrice a porre il problema. Su questo punto forse non abbiamo riflettuto più di tanto.
  Io vorrei una risposta – mi rivolgo soprattutto al professore, oltre che agli altri auditi – perché io ho capito questo: c’è un denominatore comune per cui si accetta la natura di prescrizione sostanziale fino a un dato punto e poi si propone, da parte di alcuni, ma soprattutto vostra (così mi sembra di aver capito, ma su questo ho sentito anche le Camere penali abbastanza vicine), che ci sia una fase, una prescrizione processuale.
  La proposta di legge Colletti non mette tempi (mi pare che non ne metta), mentre il dottor Sabelli dice che alcuni tempi sono utopistici. In realtà, però, anche le Camere penali dicono questo. Mi sembra ragionevole. Non si può pensare che, se si va nella fase processuale, non ci sia un tempo.
  Vorrei capire tutto questo aspetto, fermo restando che ho compreso la questione delle sospensioni e di incidere un po’ di più sulle sospensioni. A un certo punto, però, se vogliamo che ci sia – anche se non la chiamiamo più così – la prescrizione sostanziale e, quindi, l'oblio, vogliamo, però, anche che ci sia un termine massimo di garanzia della durata del processo.
  Dopodiché bisogna capire che succede se – questo è l'altro quesito – si accede a questa ipotesi: c’è l'estinzione del processo, c’è l'estinzione del reato e, se si supera il termine massimo, si può andare ai rimedi risarcitori che citavamo ? Li prevede, peraltro, solo la mia proposta di legge e, quindi, mi prendo tutte le critiche. Era un tentativo, preso anche da altri ordinamenti, di cui riconosco tutti i limiti, di evidenziare che, per accertare la riduzione, si deve fare un altro processo, così come per accertare il risarcimento.
  Capisco che la questione potrebbe essere farraginosa e forse quello è il caso limite. Vorrei, però, capire come vedete questa individuazione di fasi processuali, di una prescrizione processuale. A un certo punto finisce la prescrizione sostanziale e inizia quella processuale. Come la si può articolare in maniera che possa essere di garanzia del diritto dell'imputato a non vedersi sotto processo a vita ? Se anche non la vogliamo vedere come strumento di realizzazione della ragionevole durata del processo, è diritto dell'imputato non vedersi sotto processo a vita e della parte lesa avere la certezza della conclusione del processo.
  È di oggi – guardo l'onorevole Rossomando – la notizia riguardante il processo di Torino sul caso Eternit. Il giudice di cassazione chiede la prescrizione del reato. È una situazione intollerabile. Io credo che questa situazione noi non la possiamo più tollerare, una soluzione la dobbiamo trovare, ragionevole ed equilibrata. Ci sono tutti quei sistemi di supporto e di rinnovamento del processo che dobbiamo trovare. Io credo, però, che qualche cosa si debba fare.
  Sono d'accordo con quello che diceva il professor Padovani sulla lettura della situazione all'esterno, anche se l'Europa – ha ragione il presidente delle Camere penali – non ci chiede specificatamente di inserire elementi sulla prescrizione in toto. Questo si associa con alcuni reati, che sono quelli che più ne subiscono le conseguenze. In realtà, questo nostro sistema è incomprensibile all'esterno, ragion per cui bisogna intervenire.
  Mi fa molto piacere – lo devo dire, essendo una persona molto diretta – aver visto una grande ragionevolezza da parte di entrambi i mondi, sia della magistratura, sia dell'Avvocatura. Io vi chiedo, e credo di farmi interprete anche da parte dei relatori, uno sforzo per riuscire a portare anche in via parlamentare, se possibile, la riforma di questa tematica. È una delle riforme importanti, che poi, ovviamente, dovranno essere accompagnate anche da altre.

  ANNA ROSSOMANDO. Io non avrei fatto alcuna domanda, essendo arrivata, non per colpa mia, in ritardo. Ho avuto un Ufficio di presidenza che si è protratto.Pag. 27
  Per completezza – mi leggerò poi con attenzione tutti i documenti e le relazioni – mi riferisco alla sua domanda, quando ha menzionato la fase delle indagini preliminari. Dato che noi, e anche lei, avevamo firmato già nella scorsa legislatura e poi riproposto un intervento sicuramente molto piccolo e mirato sul tempo che va dalla chiusura delle indagini alla richiesta del decreto che dispone il giudizio – dipende, ovviamente, se sia monocratico o di altri tipo – che, in effetti, è un tempo in cui non si stanno svolgendo indagini, ma che era stato individuato, volevo sapere che cosa ne pensiate in questo contesto.
  Per esempio, quello è un intervento che non sostituisce, ovviamente, il discorso della prescrizione. Tuttavia, come siamo abituati a fare anche in questa Commissione, noi cerchiamo di partire dai dati fattuali oggettivi per capire il miglior intervento. Questa era la domanda puntualissima.
  Poi, naturalmente, le ultime considerazioni che faceva il Presidente Ferranti ci stimolano a trovare in questo confronto la scelta di fondo e l'opzione che scegliamo in base a ciò che vogliamo. Ci sono molti modi, ovviamente, di affrontare il tema della prescrizione. Un elemento che sicuramente dovremmo innanzitutto avere è una convergenza sulla scelta di sistema. Una volta individuata la via che scegliamo, da lì discenderanno ulteriori approfondimenti tecnici.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. L'onorevole Colletti ha posto tre domande. Una mi è sfuggita perché stavo parlando con un amico avvocato. La prima è, se c’è una riduzione di pena in ottica risarcitoria – mi dica se fraintendo la domanda – chi chiederà il patteggiamento, dato che questa sarà un'attenuante. La seconda domanda mi è sfuggita. La terza è quanto gioverebbe la sterilizzazione ai riti alternativi.
  Rispondo subito a quest'ultima, perché è quella che mi suona quasi come retorica. Sono d'accordo con lei: gioverebbe molto, dal mio punto di vista, ma non ho il polso della situazione, non esercitando. Secondo me, però, sarebbe pedagogicamente molto utile e cambierebbe anche qualche cultura di strategia processuale. Pertanto, la vedo con favore, come ho detto all'inizio.
  L'altra osservazione è sulla riduzione di pena. La riduzione di pena per eccessiva durata del processo è eventuale e incerta. Non vedo il collegamento, nel senso che il patteggiamento uno se lo deve giocare subito. Quanto al chiederlo sapendo che non c’è la possibilità di maturare o di lucrare la prescrizione, verosimilmente, laddove si va incontro a una condanna certa o quasi, si chiederà più spesso di quanto non avvenga adesso. Questo rientra nel discorso che faceva lei nell'ultima domanda. Ci sarà un favor per i riti alternativi.
  L'altra è un'opzione di riserva. Se poi il processo dovesse durare troppo – occorre capire che cosa si intende per «troppo», se troppo rispetto alla fase, o troppo nell'intero arco – e ci deve essere anche una riduzione di pena, questo non mi sembra un punto sullo stesso piatto della bilancia. Credo che, quindi, un aspetto non scoraggi l'altro, dal punto di vista dell'appetibilità.
  Io ho sentito la Presidente Ferranti piuttosto remissiva in ordine a qualche critica riguardante la sua proposta di risarcire mediante riduzione di pena. Mi permetto, invece, di insistere: secondo me, questa è una strada che non va abbandonata, ma va migliorata. Ci si può riflettere, ma va tutt'altro che abbandonata. Vorrei sentire i soggetti interessati perché, quando parlo io, mi si risponde che non faccio l'avvocato.
  Io voglio sentire anche gli imputati, anche perché il rimedio è un altro. Siamo sull'ovvio. Certo, meno penalizzazione equivale a meno farraginosità e meno formalismi, ma bisogna organizzare meglio gli uffici. Poiché, però, avremo comunque a che fare con delle patologie, auspicabilmente in misura quantitativamente Pag. 28ridotta, ma sempre esistenti, il problema è questo: è come se l'alternativa che si pone sia tra un processo che funziona e uno che non funziona. Ci rassegniamo, cioè, a pagare l'imputato.
  Lo stesso discorso si sarebbe dovuto fare per i detenuti che hanno subìto un trattamento inumano. Paghiamo loro l'inumanità, paghiamo loro la tortura. Non si tratta di pagare preventivamente dicendo che poi l'imputato sarà torturato. Non siamo riusciti a evitare che lo torturassero, che gli infliggessero un trattamento inumano e, nell'altro caso, non siamo, purtroppo, riusciti a evitare che dovesse subire un processo troppo lungo. Pensiamo che, invece della monetizzazione, un altro sistema per ripagarlo sia quello di riconoscere che l'imputato ha sofferto, perché il processo è sofferenza, e di ridurre la sofferenza punitiva.
  A me non sembra che questo sia sbagliato. Poi ci sono i problemi che mi si facevano giustamente notare, per esempio in Cassazione. Li studieremo tecnicamente, ma a me questa sembra una strada abbandonare la quale sarebbe ingiusto. In Germania è così. Secondo me, sarebbe molto più comoda – lo dicevo adesso con l'amico Petrelli – una riduzione secca, perché è di più facile applicabilità e la potrebbe applicare anche la Cassazione.
  È anche vero, però, che l'irragionevolezza può avere misure diverse. Magari in qualche caso si tratta di poco e in qualche altro caso è veramente inaccettabile e devono esserci, sia pure entro una forbice prestabilita, un alfa e un omega di risarcibilità in termini di riduzione di pena.
  Mi chiedeva la presidente come si concepisce questo ? So che può non piacere, ma io credo che ogni tentativo di prevedere ex ante, a tavolino, con meccanismi vari, sia inutile.
  Prima si diceva che i meccanismi risarcitori, che io mi sento di avallare, sono farraginosi. Anche l'amico Tullio Padovani lo sosteneva. Abbiamo un'idea della farraginosità di un meccanismo che apre e chiude parentesi continuamente (questo è sospeso perché l'ha chiesto il difensore, quest'altro perché sta male il giudice, questo è stato rinviato a nuovo ruolo, poi ricalcoliamo tutto). Dopodiché ? Che cosa succede col meccanismo della sospensione ? Dilatiamo il tempo non contabile, ma la durata complessiva ? Non si può spiegare questo all'interessato. Il processo è durato dodici anni. Sì, ma otto erano di sospensione del processo. E allora ? Questa non è un'irragionevole durata del processo ? Non si è prescritto. Questo è il grande risultato. Non si prescrive perché non si computa, ma questo non mi sembra un approccio particolarmente garantista.
  Io preferisco un sistema che blocchi la prescrizione sostanziale, laddove deve bloccarsi, perché, come dicevo prima, non si tratta di uno che sale sulle spalle dell'altro, ma di uno che passa il testimone a un altro. Quando inizia il processo, la prescrizione non ha più ragion d'essere.
  Dopodiché, noi abbiamo il problema di cercare di sollecitare e propiziare procedimenti che abbiano una durata ragionevole, con stimoli, con antidoti, con controspinte, ma non con previsioni di scadenze previste.
  Del Presidente Migliucci – notava giustamente la presidente l'approccio molto sereno e costruttivo – io condivido anche molto la circostanza per cui traspare dalle sue parole una giustificatissima stanchezza per alcuni refrain sugli avvocati che ritardano il processo, i moratores. Un tempo c'erano proprio gli specializzati a dire questo: l'avvocato faceva solo i rinvii e, quindi, si è stancato e ci siamo stancati noi.
  Non si può, però, neppure disconoscere che una determinata componente, fisiologicamente strategica, nell'imboccare una strada piuttosto che un'altra e guadagnare tempo, se c’è la possibilità di una prescrizione, è percorsa, tanto è vero che, quando io ho fatto parte di qualche Commissione, l'avvocato diceva di voler fare un appello per poter lucrare la prescrizione. Non gli si poteva togliere questo diritto.
  Poi si dice, però, che un termine finale il processo lo deve avere. Io non concordo con quelli che dicono «no» alla prescrizione perché penalizza tutti, lo Stato e la persona offesa, e comporta un dispendio Pag. 29di risorse a vuoto. Qualche volta avvantaggia l'imputato, ma non sempre. Soprattutto se è innocente non intende rinunciare, perché di questi tempi è meglio non rinunciare. Perché i processi che legittimamente si possono celebrare per decenni, senza incappare nella prescrizione, oggi non ci sono ? Ci sono i reati imprescrittibili, ci sono tipologie di reati che non prevedono l'aumento della pena proporzionata perché per loro può sempre aumentare il periodo base. Ci sono reati che possono essere legittimamente giudicati dopo 37-40 anni. Questo sarebbe il processo che ha una sua fine ?
  Le cose bisogna dirsele. Io sono per una prescrizione finale che dica che oltre vent'anni, per esempio, noi, comunque sia, giustificati o no i vent'anni, dobbiamo chiudere. Farei un discorso di irragionevolezza o di necessità della durata, che può essere anche necessaria. Tuttavia, c’è un momento in cui lo Stato dice: «Basta: preferisco non perseguire questo fatto piuttosto che tenere questo processo». Ci deve essere.
  Non facciamo passare l'idea che, grazie al meccanismo della prescrizione, abbiamo tutti i «processini» molto garbati che o muoiono, oppure hanno una ragionevole durata. Così non è, perché i processi che iniziano subito per reati gravissimi durano decenni, possono durare decenni, e nessuno dice nulla.
  Ancora, per quanto riguarda la prescrizione breve, che si dice non essere affatto breve, il pubblico ministero ha dei termini per le conclusioni delle indagini. Nonostante le condivisibili osservazioni del Presidente Sabelli su attenuanti, giustificazioni e spiegazioni, c’è un margine di addebitabilità, non in quella misura, ma, se i numeri parlano di più della metà dei processi prescritti che si prescrivono in quella fase, qualche problema ci sarà.
  Io non credo alla prescrizione come rimedio, perché – siamo sempre lì – la prescrizione non colpisce la responsabilità, ma colpisce l'ordinamento e la persona offesa e comporta un dispendio di energie e comporterà un domani un risarcimento danni. Colpisce tutti meno il responsabile.
  Prevediamo, dunque, una sanzione disciplinare, se il pubblico ministero è responsabile ? Perché no ? Lo Stato non ha saputo organizzativamente fornire personale ausiliario ? Che paghi. Che paghi a livello economico o a livello di riduzione di pena, se un domani ci sarà la pena. Questa è l'ottica. Nessuno, però, deve avere la prospettiva di far fallire un accertamento che tanto è costato e che tanto è atteso soltanto perché questa prospettiva è plausibilmente perseguibile, dato che i nostri tempi sono geologici.
  I rimedi devono essere ex post e di tipo retroattivo: non si può sapere prima quando deve finire il processo. Per questo motivo io credo ai meccanismi dissuasivi che intervengano ex post e che non diano alcuna certezza al momento dell'apprestamento di una strategia processuale del tipo «Io non so se sarò risarcito, non so se questa sia una vera perdita di tempo, intanto devo giocarmi le mie carte nel merito e poi farò valere anche le mie ragioni, se il processo è durato indebitamente troppo».

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Vado nell'ordine delle domande.
  Onorevole Colletti, la prima domanda si riferiva alla questione del rapporto fra la riduzione della pena e l'articolo 444, ossia il patteggiamento e il suo vantaggio. Alla considerazione del professor Giostra sull'eventualità di questa riduzione della pena io aggiungo che il patteggiamento, almeno nella versione ordinaria, prevede un'altra serie di vantaggi non secondari. Tuttavia, certo, in prospettiva il problema c’è.
  Già prima dicevo che questi meccanismi di favore non eliminano il carattere attraente di giungere a quella fase con la messa in opera di tutti i meccanismi possibili per ottenere la dilatazione dei tempi. Vedrei, però, comunque i due vantaggi, quello del patteggiamento e quello della riduzione, in prospettiva, su piani diversi.
  La seconda domanda riguardava la possibilità della previsione di una riduzione Pag. 30del termine ordinario di prescrizione, visto che, secondo la proposta di legge Colletti, in realtà vi sarebbe poi l'integrale sterilizzazione della prescrizione per il termine del processo.
  Su questa osservazione ribatto che sarebbe fondata solo sul presupposto che l'inizio delle indagini preliminari coincida, o quasi, con la data di commissione del reato. In realtà, accade molto spesso che giungano alla procura della Repubblica notizie di reato che si riferiscono a reati commessi molto prima e che, quindi, un tempo un po’ più lungo copra il decorso del termine di prescrizione nel tempo precedente l'acquisizione della notizia di reato.
  La sterilizzazione favorisce i riti alternativi ? Mi pare di averlo già detto: sì, anch'io, almeno in prospettiva, penso assolutamente di sì.
  A proposito della reformatio in peius – la domanda è dell'onorevole Dambruoso – faccio una premessa di carattere generale. Io credo che in materia di giurisdizione occorra sottrarsi alla tentazione di fare delle scelte di carattere efficientista in chiave di produttività, ossia rinunciare alle garanzie per ottenere un risultato di maggiore produttività. Non mi sembra che sia una strada percorribile. Questa è la premessa di carattere generale.
  L'eventuale abolizione del divieto di reformatio in peius non la vedrei, però, coerentemente con questa mia premessa, come dissuasione verso impugnazioni, invece, potenzialmente utili e magari anche fondate, ma piuttosto in chiave di coerenza sistematica con una rivisitazione in sede di appello della valutazione di merito in modo integrale.
  Due anni sono pochi ? Io ho usato la parola «utopistici». Sì, sono pochi. I dati statistici relativi alla pendenza presso le Corti d'appello è tale da far ritenere con ogni evidenza che i due anni sarebbero ampiamente sforati.
  Come dicevo prima, un approccio astratto alle norme in materia di prescrizione rischia di produrre dei risultati che non si confrontano con la realtà degli uffici giudiziari che purtroppo – sottolineo: purtroppo – è una realtà fatta anche di eccesso, di forte carico di lavoro, ma anche di carenze di personale.
  Mi dispiace tirare fuori questi argomenti, ma purtroppo dobbiamo tener conto anche dei tempi molto lunghi che tante volte decorrono soltanto per il transito del fascicolo dal primo grado alla Corte.
  Quanto alla prescrizione breve, già prima osservavo che il termine, in realtà, non è lungo, perché, se consideriamo il termine delle indagini preliminari raddoppiato, vedremmo una prescrizione breve di appena un anno. Potenzialmente un reato commesso un anno fa potrebbe essere già dichiarato prescritto.
  In realtà, si tratta di una prescrizione di carattere totalmente diverso. È ontologicamente una prescrizione di natura processuale, ragion per cui avremmo l'innesto sulla prescrizione del reato di un istituto radicalmente diverso.
  Aggiungo, attingendo anche dalla mia esperienza di sostituto procuratore che opera in una Direzione distrettuale antimafia, che un'indagine preliminare conosce abitualmente, soprattutto in procedimenti e indagini complessi in materia di criminalità organizzata, il fenomeno delle iscrizioni successive per l'accertamento successivo e progressivo di reati e per l'individuazione progressiva delle persone sottoposte alle indagini.
  Ci dovremmo anche porre il problema, quindi, di che cosa accade, perché il doppio del tempo delle indagini preliminari potrebbe essere decorso con riferimento a un reato o a un indagato e non con riferimento a un altro, con conseguente rischio di disvelamento delle indagini preliminari, che nella loro unità, al di là della decorrenza o meno o del compimento o meno del termine del doppio delle indagini preliminari, sono di fatto tuttora in corso.
  Aggiungo solo una battuta, perché il professor Giostra ha ripetutamente evocato l'eventuale introduzione di sanzioni disciplinari. In realtà, le sanzioni disciplinari già esistono a carico del magistrato che non compia gli atti dovuti in un tempo Pag. 31ragionevole. Al di là di quanto si crede abitualmente, questi procedimenti disciplinari si applicano.
  Vedo che il professor Giostra esprime scetticismo, ma mi pare che i dati statistici dicano altro. Le sanzioni disciplinari per il tardivo compimento degli atti e per il tardivo deposito delle sentenze vengono applicate.
  Per quanto riguarda l'introduzione di prescrizioni relative in materia disciplinare, mi pare che gli svantaggi e i difetti sarebbero molto superiori rispetto ai vantaggi. Sarebbe tutto un rincorrere relazioni difensive e controlli ispettivi. Quanto ai pagamenti, il sistema prevede già il pagamento con il sistema della legge Pinto.
  Diceva bene la Presidente Ferranti: la previsione di riduzione di pena, ma anche di rimedi di compensi in danaro in funzione risarcitoria non è nuova, non è estranea ad altri ordinamenti. Per la verità, è stata introdotta, sia pure in una materia completamente diversa, nel nostro ordinamento a fronte dell'ingiusta sofferenza patita dai detenuti in conseguenza della condizione delle carceri. Non è un rimedio strutturalmente incompatibile. Esiste anche con riferimento a questa materia in altri ordinamenti. Qualora si facesse questa scelta, io suggerivo prima soltanto di adottare rimedi e accorgimenti tali che evitino una moltiplicazione dei procedimenti e un loro appesantimento.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Rispondendo alle domande dell'onorevole Colletti, per me, più che altro, si tratterebbe di rendere più appetibili i riti alternativi globalmente, cioè al di fuori della dinamica della prescrizione. Noi abbiamo fatto di tutto per renderli indigeribili. Questo è il tema dell'organicità del sistema.
  Noi siamo partiti da un'ipotesi del patteggiamento che poteva rappresentare un momento di convenienza perché si voleva arrivare a fare solo i processi che servivano. Poi, invece, abbiamo via via modificato anche quello che poteva essere il rito accusatorio, prevedendo il rito abbreviato condizionato e altre forme sulle quali si potrebbe discutere.
  Si potrebbe discutere anche sull'udienza preliminare e su quella che deve essere la sua funzione. Questo ci porterebbe un po’ troppo in là, ma io credo che bisognerebbe rendere più appetibili i riti alternativi.
  Quanto alla sterilizzazione, sterilizzando si può certamente favorire e ci può essere anche un effetto deflattivo sui processi. Tuttavia, io credo che non si debba dimenticare perché, spesso ci dimentichiamo anche del passato, che le discussioni sulla prescrizione non nascono oggi e che hanno visto esprimere delle valutazioni culturali che non debbono essere adesso sepolte. Tutti, anche nel tempo passato, ricordavano che il processo è un costo umano. Qualcuno parlava di un dramma.
  Se noi adesso vogliamo dimenticarci, perché siamo diventati moderni, ragion per cui possiamo sterilizzare, in modo che le persone, pur sostenendo di essere innocenti, piuttosto che correre il rischio di un processo che duri trent'anni, optino per un rito alternativo, io credo che questo non sia corretto.
  È giusto, si può prevedere. Se si vuole arrivare a una sterilizzazione, bisogna prevedere anche la possibilità di una prescrizione, come diceva il Presidente Ferranti. Chiamiamola come si vuole. Io continuo a chiamarla, perché ho una certa età, prescrizione sostanziale. A un certo punto, comunque, lo Stato si deve arrestare. Un cittadino, una persona, non può ipotizzare che il suo processo duri per tutta la vita, magari a seconda delle scelte, di cui si parlava prima, di un pubblico ministero che, essendoci la sterilizzazione, va avanti, oppure di un giudice – sono situazioni che abbiamo visto nel nostro Paese; anche le questioni politiche non vengono in secondo piano – che decide di tenere l'imputato in primo grado fino al secondo e poi (perché no ?) dal secondo fino alla Cassazione.
  Io non credo che si debba dimenticare tutto questo sulla base delle teorie. Io Pag. 32credo che una parola fine, che sia processuale o sostanziale, la si debba sicuramente mettere.
  Per quanto riguarda l'onorevole Dambruoso, la reformatio in peius, francamente, ci trova totalmente sfavorevoli. Lo diceva già, peraltro, il dottor Sabelli. È difficile portarla nell'alveo della valutazione di merito.
  Anche su questo tema i nostri maestri del passato ci spiegavano perché la reformatio in peius in secondo grado, a fronte di un appello fatto dall'imputato senza che ci sia un appello del pubblico ministero che ha la possibilità dell'appello incidentale, diventi una forma di coercizione davvero difficile da tollerare.
  Sul divieto di reformatio in peius sono state scritte pagine che io credo rimangano attuali. Non si può pensare che un cittadino che magari ha diritto a fare un appello e che pensa di doverlo fare debba essere scoraggiato per il rischio che un giudice, indipendentemente dalla pretesa punitiva dello Stato, che, sino a prova contraria si esercita attraverso la pubblica accusa, ricorra a questo strumento. I rimedi sono altri. Se vogliamo rendere ragionevolmente breve il processo, i rimedi devono essere altri.
  Onorevole Amoddio, lei ha ragione. Tutte e tre queste proposte sono interessanti. Voglio fare anche un plauso alle forze politiche – non se ne fanno spesso – perché arrivare a tre proposte rappresenta uno sforzo di cercare una soluzione sotto un profilo anche culturale e di politica giudiziaria.
  Anche la proposta che io ho definito prima Mazziotti-Dambruoso pone un tema: quello delle indagini. Qui non si vuole scaricare niente su nessuno. Si cerca di arrivare a delle soluzioni. Non si può ignorare che manchi un controllo effettivo, un controllo giurisdizionale serio, sulla durata delle indagini e sulle proroghe che spesso vengono concesse senza che poi si facciano le indagini e che vi siano tempi ragionevoli da quando le indagini finiscono, o sono già finite da un secolo, fino al processo. Non si può porre questo a carico di un cittadino, il quale dovrebbe, a fronte della sterilizzazione, aspettare tra vent'anni il suo processo. Diventerebbe una questione amorale, neanche immorale.
  Bisogna cercare di avere presente che le indagini, anche le più complesse, vanno concluse. Sono d'accordo: ci sono delle indagini complesse che non possono essere fatte in breve tempo, come anche un processo di primo grado. Ha ragione il professor Giostra: non si può contingentare. Ci può essere un processo di primo grado che merita degli approfondimenti, il che potrebbe incidere negativamente anche sulle garanzie, perché poi potremmo trovarci tagliate le liste soprattutto della difesa.
  Questo deve essere portato, però, all'interno di un sistema che, come ricordava il Presidente Ferranti, tenga in conto due aspetti: i costi di veder prescrivere un reato, ma anche i costi umani di un processo che non finisce mai. Il tentativo deve essere quello di rendere ragionevole il processo, ma non attraverso la minaccia di una sterilizzazione sine die, non attraverso dei meccanismi che impongano alle persone di doversi determinare necessariamente a scegliere il meno peggio, perché una persona, anche sotto il profilo economico, non può sopportare le spese di un processo. Esistono le spese degli avvocati, le spese umane, le spese dei familiari.
  Noi non possiamo fare le norme dimenticandoci della realtà – questo è il punto fondamentale – né dei diritti di chi viene, incolpevolmente o anche colpevolmente, accusato di un reato. Sarebbe il torto più grave che noi potremmo fare alla nostra democrazia se, in funzione di un efficientismo, dell'idea che si debba arrivare per forza a una sentenza, ci dimenticassimo di questi presupposti.
  Il Presidente Ferranti, che ancora una volta ringrazio per questa possibilità di intervenire, evocava la sentenza Eternit e la prescrizione. Ha ragione, ma la prescrizione a volte ha un peso anche per la persona innocente. Le Sezioni unite della Cassazione hanno detto, per esempio, e io non sono d'accordo, che prevale la prescrizione sulla cosiddetta vecchia insufficienza Pag. 33di prove. Questo, anche ai fini risarcitori, ha un senso. Si privilegia l'idea che la prescrizione prevalga anche su quella che dovrebbe essere un'assoluzione, che ormai dovrebbe essere sempre con formula piena.
  L'idea che noi ci si debba far accompagnare dalle esigenze di ciò che avviene perché qualche volta succede una cosa che non ci piace nella formulazione delle leggi credo non sia una buona guida. Credo, invece, che sia una buona guida quella che il Presidente Ferranti proponeva: bisogna trovare una sintesi tra il costo umano del processo e la prescrizione. Chiamiamola prescrizione processuale, chiamiamola prescrizione sostanziale, ma va trovata.
  Quando io parlavo di risarcimento, non facevo allusioni e, infatti, l'ho precisato. Nella proposta di legge del Presidente Ferranti io evocavo l'idea che sembrava che non ci fosse – l'ho già detto prima – un'armonizzazione tra la parte prima e la parte dopo. Se si prevede un processo sine die, importa poco che alla fine, quando sono passati trent'anni, si dia qualche cosa di meno o qualche cosa di più. Bisogna cercare di far sì che il processo sia contenuto. Se non ci si arriva, faremo di tutto per farlo arrivare in fondo, ma a un certo punto si deve dire basta.
  Sotto questo aspetto io non sono totalmente d'accordo con l'amico professor Glauco Giostra, che è sempre un piacere sentire. È vero che il disvalore di un fatto non può guidarci, perché ci sono dei casi – lui prima faceva l'esempio se qui entrasse qualcuno e facesse una strage – facili. Tuttavia, l'idea che la gravità di un reato possa interessare di più l'opinione pubblica per l'oblio è un fatto che io credo rimanga.
  Io sono totalmente contrario acché vi sia un blocco, una sterilizzazione totale della prescrizione in qualsiasi momento. A un certo punto lo Stato deve dire basta. Questo, peraltro, è il miglior deterrente per un processo breve. Tutti dobbiamo impegnarci a farlo funzionare.
  Ha ragione il professor Giostra quando parla degli avvocati. Più che sulla strategia io sono d'accordo con quello che diceva il dottor Sabelli: tutti dobbiamo migliorarci, magistratura e avvocatura. Bisogna fare meno ricorsi inammissibili, magari anche leggere qualche sentenza meno inammissibile a volte sarebbe bello, bisogna fare dei ricorsi fatti bene. Gli avvocati devono essere più preparati, più formati, più specializzati.
  Questo l'abbiamo voluto fortemente, perché questo Codice avrebbe dovuto portare a una maggiore specializzazione, soprattutto per chi aveva meno mezzi, che avrebbe dovuto essere assistito da un avvocato specializzato e non da chi andava magari a passare il tempo in tribunale.
  Siamo tutti consapevoli di questo. Io, però, sono convinto che anche da questa Commissione emerga l'esigenza di contemperare l'idea di un processo che deve essere breve e che si debba percorrere per altra strada, trovando tutti insieme i rimedi e gli strumenti.
  Mi ha fatto piacere sentire, ma l'avevo già letto, dal dottor Sabelli che l'efficienza deve essere contemperata dalle garanzie, perché senza queste l'altra non serve. Occorre anche tenere presente sempre che il processo ha un costo umano difficilmente sostenibile anche per l'opinione pubblica, perché la gente durante i processi si ammala e spesso muore.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Pongo una domanda veloce: se un reato si prescrive in trent'anni e il processo inizia il giorno dopo la commissione del reato, quanto deve durare ?

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Non ho un'indicazione precisa.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. È questo il problema. Fino a quando ragioniamo ancora con questi termini, non ci siamo. Bisogna stabilire che il processo deve avere una sua durata, altrimenti non ci siamo.

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  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Certo. Io ho detto che bisogna trovare la soluzione tra le tre.

  GLAUCO GIOSTRA, Ordinario di procedura penale presso l'Università «La Sapienza» di Roma. Bisogna fare partire i termini processuali autonomamente.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione Camere penali italiane. Esatto. Bisogna far partire i tempi processuali autonomamente, senza contrarli, ma la sterilizzazione sine die, del tipo «da quel momento in poi si faccia quello che si vuole», non va bene. In tal caso, serve la prescrizione sostanziale. Delle due l'una.

  PRESIDENTE. Grazie a tutti. Abbiamo utilizzato appieno l'indagine conoscitiva.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.45.