XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 14 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1063  BONAFEDE, RECANTE DISPOSIZIONI CONCERNENTI LA DETERMINAZIONE E IL RISARCIMENTO DEL DANNO NON PATRIMONIALE

Audizione di Damiano Spera, magistrato del Tribunale di Milano, di Leonardo Pucci, magistrato del Tribunale di Potenza e di Emanuela Navarretta, ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Navarretta Emanuela , Ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Spera Damiano , Magistrato del tribunale di Milano ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Pucci Leonardo , Magistrato del Tribunale di Potenza ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Bonafede Alfonso (M5S)  ... 12 
Colletti Andrea (M5S)  ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Navarretta Emanuela , Ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa ... 14 
Pucci Leonardo , Magistrato del Tribunale di Potenza ... 15 
Spera Damiano , Magistrato del Tribunale di Milano ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Spera Damiano , Magistrato del Tribunale di Milano ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 13.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Damiano Spera, magistrato del Tribunale di Milano, di Leonardo Pucci, magistrato del Tribunale di Potenza e di Emanuela Navarretta, ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 1063 Bonafede, recante disposizioni concernenti la determinazione e il risarcimento del danno non patrimoniale, di Damiano Spera, magistrato del Tribunale di Milano, di Leonardo Pucci, magistrato del Tribunale di Potenza e di Emanuela Navarretta, ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa.
  Ringrazio per la disponibilità i nostri ospiti, ai quali do subito la parola per lo svolgimento delle relazioni.

  EMANUELA NAVARRETTA, Ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa. Innanzitutto ringrazio per l'invito a svolgere, con questa audizione, qualche riflessione su una proposta che entra nel cuore del codice civile e tocca una delle categorie più importanti del diritto privato, ossia il risarcimento del danno non patrimoniale, cui oramai affidiamo anche in buona parte la tutela civile della persona.
  Questa proposta, per un verso, suscita in me una valutazione positiva per quanto riguarda gli obiettivi che si propone, tra cui quello di evitare una situazione di trattamento differenziato nella stima del danno non patrimoniale da lesione della salute e anche di affermare qualcosa nell'area dei danni non patrimoniali da lesione dei diritti diversi dalla salute.
  Tuttavia, forse, nei termini e nei modi in cui interviene sul tema, la proposta di legge C. 1063 necessita di una riflessione ponderata e anche di interventi piuttosto incisivi, altrimenti c’è il rischio che questo obiettivo non si consegua e forse si creino delle criticità sul sistema.
  Vorrei formulare delle considerazioni, dunque, concrete sul testo, focalizzando l'attenzione su tre punti fondamentali. Il primo è la valutazione del danno non patrimoniale da lesione della salute. L'approccio della proposta è di accedere a una quantificazione e anche a una definizione unitaria.
  Sulla definizione unitaria le mie osservazioni sono le seguenti. Si dà una definizione del danno legandolo alla suscettibilità di valutazione medico-legale, ma questo ci impone di chiederci cosa effettivamente il medico legale sia in grado di obiettivare. Egli, in realtà, accerta la patologia e può obiettivare soltanto la menomazione che incide sulla funzionalità biologica del soggetto, non la sofferenza morale.Pag. 4
  Sostenere, allora, che parliamo di un danno onnicomprensivo – quindi comprensivo anche della sofferenza che accompagna i postumi – e che è suscettibile di valutazione patrimoniale potrebbe creare problemi anche rispetto alle competenze del medico legale.
  Questo rilievo non toglie che si possa poi accedere a una stima unitaria, ma tenendo distinte le categorie. Si potrebbe, per esempio, parlare del danno biologico temporaneo o permanente, suscettibile di valutazione patrimoniale e medico-legale, e delle sofferenze conseguenti che sono oggetto di una stima unitaria. Questo è il primo rilievo.
  Possiamo, inoltre, considerare nella stima tabellare, che va poi comunque personalizzata, la sofferenza che accompagna i postumi. Chi ha perso una gamba per tutta la vita avrà la sofferenza morale per questa perdita. Mi pare più difficile poter includere nella stima tabellare anche quel danno emotivo legato proprio all'impatto lesivo perché questo dipende dalle circostanze con cui si è verificato questo impatto lesivo.
  Cito sempre l'esempio di colui che è sfuggito al disastro delle Torri Gemelle riportando solo una microinvalidità, ma che sicuramente avrà subito un impatto emotivo di un certo rilievo. Lo stesso accade se la lesione è stata dolosa, colposa o dovuta a colpa grave. In questo caso, forse bisogna riconoscere qualcosa di più e si potrebbe immaginare una norma che dia un po’ di spazio al giudice per una considerazione a questa componente, il che non toglie che potremmo poi comunque agganciarla nella stima al valore di base.
  Confesso di aver fatto anche un esercizio di riscrittura di queste norme, cercando di mettermi nella prospettiva di questo progetto di riforma, senza guardarlo dall'esterno, ma dall'interno. Si potrebbe, per esempio, riscrivere l'articolo 2069-bis del codice civile, pensando a un primo comma, secondo il quale il danno biologico, con tutte le sue qualificazioni e le sofferenze che ne conseguono, si stima con le tabelle e che, con attenzione agli aspetti alle condizioni del danneggiato e alle attività che svolge, si può incrementare in una misura che descriveremo nelle disposizioni di attuazione.
  Successivamente, in considerazione delle particolari circostanze dell'evento lesivo o della colpa o del dolo, il giudice potrà dare autonoma valutazione della componente emotiva nei limiti previsti nelle disposizioni di attuazione, secondo le quali, rispetto a questo problema, il danno viene stimato con le tabelle e può essere incrementato nella direzione per cui il danno morale non può superare la misura indicata.
  Anche la quantificazione è un problema su cui riflettere tanto. È giusta l'idea di attribuire un valore di base legato alle tabelle, uguale per tutte le invalidità, ma con un adattamento equitativo. Può essere anche corretto, in questo sforzo di bilanciare uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale, un tetto all'adattamento equitativo, altrimenti il singolo giudice fa quello che vuole.
  Ipotizzare, però, per qualunque ipotesi, il 50 per cento è forse riduttivo. L'esigenza di personalizzazione presente per una microinvalidità, un colpo di frusta, non è la stessa di una macroinvalidità. Quando si pongono, dunque, dei limiti, bisogna porre attenzione. Per evitare che l'accusa si trasformi in indennizzo, si può giustificare il tetto se comunque diversificato, ad esempio, per fasce, e così lasciare quello spazio al giudice di personalizzare il risarcimento.
  Sempre sul danno biologico, due norme, l'articolo 84-bis, secondo e terzo comma, mi pare che facciano riferimento al danno alla salute che si trasmette iure ereditario, per cui il soggetto subisce un danno, poi muore, ed è prevista una riduzione all'80 per cento. Personalmente, non inserirei affatto queste due norme.
  Se, infatti, il soggetto sopravvive per un po’ di tempo, cioè muore nella fase acuta della malattia, il danneggiato ha patito un'inabilità temporanea, perché non ha neanche superato la fase acuta della malattia, per cui avrà maturato quel risarcimento Pag. 5da inabilità temporanea peraltro calcolato su giorni e ore ed è anche basso, per cui non è il caso di decurtarlo.
  Se invece il poveretto va in coma, quindi supera la fase acuta della malattia, nel senso che si stabilizzano i postumi, e vi rimane per 2 anni, per quell'arco di tempo avrà maturato quella inabilità al 100 per cento: perché decurtargliela ? O stabiliamo che il risarcimento del danno alla salute non è trasmissibile o, se lo riteniamo trasmissibile, gli si riconoscerà quello che ha maturato, né più né meno. Escluderei, quindi, del tutto quelle due norme. Ovviamente, mi riferisco solo alla parte maturata: se i giorni di sopravvivenza sono tre, l'inabilità temporanea sarà per tre giorni; se un anno, l'inabilità permanente è per un anno. Non è, però, decurtato il valore. Quella è la vita reale: possiamo dire che è vissuto per un anno e mezzo in coma, al 100 per cento, e calcoliamo quello, ma non lo decurterei del valore.
  La proposta si occupa anche del risarcimento del danno non patrimoniale da lesione di altri diritti diversi dalla salute, un terreno complicatissimo. Solo osare intervenire su questa materia è veramente un atto di coraggio, ma che apprezzo. Esiste, infatti, in giurisprudenza un'anarchia. Posso riportare senza timore di offendere – poverini, come fanno ? – i numeri. Come, però, intervenire ?
  Il testo della norma, l'articolo 2059-ter, e la norma correlata della disposizione di attuazione mi lasciano un po’ perplessa. Nella sostanza, per quantificare questo danno, si deve applicare il criterio legale, che si ha però anche per i danni da uccisione; in assenza del criterio legale, si applica l'articolo 1226. Bisogna intervenire, allora, in questa materia con qualcosa di più.
  Anche in questo caso ho tentato – vi chiedo scusa, è stato un esercizio teorico, poi bisognerebbe ponderare con attenzione – la formulazione di una regola generale di risarcimento di questi altri danni.
  Si può immaginare il comma di un ipotetico articolo 2059-ter che stabilisca i criteri cui deve attenersi il giudice. Il danno non patrimoniale diverso da quello di cui all'articolo 2059-bis, primo comma, potrebbe essere valutato, ad esempio, tenendo conto dell'oggettiva gravità dell'offesa, delle condizioni personali del danneggiato, delle circostanze in cui si è verificato l'evento lesivo e dell'eventuale colpa grave o dolo. Codificheremmo quello che la giurisprudenza ha un po’ creato, ma non sempre in maniera uniforme.
  Resta un problema. Una volta che il giudice abbia stabilito che ci sia stata l'ingiuria, le circostanze, la presenza del dolo, quale numero attribuire: 30, 50 o 80 ? Questo è veramente un grosso dilemma.
  Nelle disposizioni della proposta di legge è presente un'idea che, a mio avviso, andrebbe valorizzata proprio nel testo della norma, ad esempio secondo il principio che, nella quantificazione del danno non patrimoniale, il giudice deve operare una ragionevole comparazione con i precedenti giurisprudenziali analoghi.
  Questo traspare dalla proposta di legge attraverso l'itinerario della norma di attuazione, in cui si immagina che il Ministero della giustizia operi questa raccolta, ma credo che, invece, sia importante dare proprio il messaggio. Il giudice che deve tradurre in denaro quei criteri è solo o deve procedere a una ragionevole comparazione con i precedenti, come in Italia non è scontato poiché non siamo in common law ?
  Aggiungo, ma per negarlo subito perché bisogna pensarci, un altro problema: sul danno alla salute mettiamo le tabelle, le limitiamo e così via; sul danno all'uccisione, come vedremo, le modalità saranno analoghe; sul danno da violenza carnale, da carcerazione ingiustificata, invece, do quello che mi pare ? Il giudice potrebbe dare per una diffamazione più di quanto dà per un danno da uccisione ? Questo è un grossissimo dilemma su cui gli americani studiano e noi invece lo facciamo molto poco.
  Mi chiedo – ripeto che è un punto su cui riflettere – se per una norma non debba essere previsto un ragionevole confronto Pag. 6con la stima dei danni tabellati come clausola generale. Ci si affida, cioè, alla ragionevolezza del giudice, ma con dei parametri, al confronto con casi analoghi e anche con quelli tabellati. Se si sta risarcendo un danno da ingiuria, non si può dare più di quanto si dà per un danno da uccisione. Certo, non possiamo blindare tutto perché toglieremmo al giudice la giusta equità e il margine che devono restargli, ma forse può essere in qualche modo orientato.
  Il terzo nucleo di problematiche di cui si occupa la proposta è quello del danno da uccisione, non quindi della trasmissione del danno alla salute maturato dalla vittima, ma proprio del danno da uccisione per gli stretti congiunti, per la perdita del marito, della moglie, di un figlio. La proposta accoglie l'impostazione di tabellare questo danno. Ovviamente, non si tabella il danno, ma la gravità dell'offesa: è più grave, ad esempio, la perdita di un figlio che quella di un nipote.
  Qui può essere anche accolta l'impostazione, ma di nuovo, in termini di formulazione della norma, la collocazione sistematica credo che andrebbe fortemente revisionata. Anche in questo caso avevo fatto un esercizio che non va interpretato come un'alternativa, ma come una sintesi dei concetti che voglio illustrare.
  Immaginando una disposizione dell'articolo 2059-ter sul danno non patrimoniale diverso dalla salute, potrebbe esserci un primo comma sui criteri in generale, un secondo sul confronto ragionevole coi precedenti, un terzo secondo il quale, in caso di uccisione della vittima, il danno non patrimoniale degli stretti congiunti è valutato con riguardo alla gravità dell'offesa secondo le tabelle e, in considerazione degli altri criteri del primo comma – circostanze, condizioni personali della vittima, gravità della colpa o dolo – il giudice può equitativamente incrementarlo.
  Anche in questo caso, si può eventualmente stabilire un tetto di adattamento equitativo con tutte le cautele del mondo. Bisogna, infatti, evitare la critica di trasformare in indennizzo, ma potrebbe anche andar bene un tetto non troppo basso, che garantisca un buon margine di valutazione discrezionale al giudice.
  Con un intervento su queste norme del codice, cioè la parte generale, è evidente che non sono più necessario gli articoli 138 e 139, che vanno abrogati. A quel punto, la lex specialis tace, opera la lex generalis.
  Mi avvio alle conclusioni. Spero di essere stata sintetica, ma ho voluto essere molto ristretta nei tempi per consentirvi eventuali domande. Il messaggio che vorrei trasmettere è il seguente: questa proposta di legge tocca un tempio sacro del diritto privato, una delle materie su cui si è più scritto, c’è più giurisprudenza e più interessi economici, quindi viene una certa ansia solo a pensare di farlo.
  Ciò premesso, voglio esprimere un apprezzamento per chi ha pensato di farlo. È, infatti, una materia che ora sta creando delle conflittualità altissime, le tabelle che si applicano alle responsabilità mediche, la responsabilità civile dell'auto, con il rischio veramente di aver proclamato la tutela dei diritti fondamentali e di mortificarli, invece, nella quantificazione assolutamente differenziata.
  Mi permetterei di suggerire non di rinunciare, ovviamente, all'idea, ma di creare un terreno di lavoro nei termini in cui potrete e saprete fare al meglio. Ci si può anche sedere a tavolino e riscrivere, ma non basta. Bisogna ripensare alla ricaduta di ogni parola su questo sistema, come ai danni da gravissime lesioni del congiunto e a una serie di casi che, ovviamente, non si possono tipizzare, ma a proposito delle quali è necessario capire che ricadute si producono.
  Anche rispetto al coordinamento sistematico con l'assicurazione obbligatoria – INAIL, per esempio – coi sistemi previdenziali, bisogna fare un collegamento, altrimenti non funzionerà. Certo, bisognerà anche riflettere – non dico che la risposta debba essere affermativa – sull'opportunità, visto che si mette mano alle norme sulla quantificazione della non patrimoniale, di scrivere nell'articolo 2059 quello che ha scritto la giurisprudenza. Pag. 7Questa, infatti ha riscritto la norma, come prodotto dell'interpretazione della norma che noi applichiamo.
  Personalmente, sono contentissima di questa norma creata dalla giurisprudenza, ma mi chiedo se, intervenendo sul quantum, non si debba quantomeno trasfondere nel testo legale l'elaborazione della giurisprudenza, e quindi trasformare l'attuale norma in disposizione legale. Non sono sicura io stessa dell'opportunità o inopportunità, ma credo sia utile un momento di riflessione su questo punto.
  Di nuovo, ringrazio per l'invito. Rivolgo i miei complimenti a chi ha avviato l'iniziativa legislativa. Il mio è un messaggio di cautela e anche, se ce ne fosse bisogno, di disponibilità a lavorare.

  PRESIDENTE. La ringraziamo molto. Ho visto che aveva anche un testo scritto: se lo ritiene, può inviarcelo. Ovviamente, poiché delle sedute relative all'indagine conoscitiva viene redatto un resoconto stenografico, se riterrà, anche in un successivo momento, di inviarci alcune delle proposte emendative di cui ci ha parlato poco fa, penso possa essere utile.
  Do ora la parola al magistrato del tribunale di Milano, dottor Damiano Spera.

  DAMIANO SPERA, Magistrato del tribunale di Milano. Sono davvero onorato di partecipare a questa importante audizione.
  Dirò subito che condivido la gran parte delle valutazioni della professoressa Navarretta. Anch'io penso che questa sia una sfida positiva, che accolgo e trovo intrigante. Significa, infatti, avere finalmente il coraggio di mettere mano agli articoli 2059-bis, 2059-ter e seguenti del codice civile, a mio avviso facendo seguito all'unico tentativo, se ricordo bene, del disegno di legge n. 99, che abortì in malo modo e di cui nessuno ha più parlato.
  I tentativi di inserire il danno alla persona nel codice civile – rifuggendo da particolari statuti del danno nell'ambito della responsabilità civile Auto o dell'INAIL, anziché condurlo a unitarietà nel codice civile – è sicuramente, a mio giudizio, un'iniziativa assolutamente apprezzabile e condivisibile. Anch'io più volte l'ho definito l'unico rimedio.
  Adesso viviamo in una situazione di assoluta anarchia e di difficoltà di compatibilità. Basti dire che certe volte, se nel processo vi sono il trasportato, il conducente o il lavoratore in itinere e anche un altro danneggiato, devo applicare il danno patrimoniale così come previsto dal decreto legislativo n. 38 del 2000 per il primo, che a sua volta mi chiede il differenziale, per cui applico una determinata categoria di parere medico-legale e determinati tipi di risarcimento sia patrimoniali sia non patrimoniali. Devo applicare, inoltre, eventualmente il barem dell'articolo 139 per un altro danneggiato e i criteri di liquidazione per le micro permanenti. Eventualmente, quanto al differenziale, devo applicare altri criteri sia di accertamento del danno sia di liquidazione. Non posso, dunque, che essere favorevole a un'iniziativa che, però, appunto, data la sua complessità, deve porsi dei problemi di coordinamento, altrimenti permangono grosse perplessità.
  Temo soprattutto, come spiegherò, che possano esserci subito questioni di incostituzionalità che, dopo la prima, la seconda, la terza volta, minerebbero alle radici qualsiasi positivo tentativo in questa materia.
  Prima di affrontare le questioni nello specifico, ma sempre condividendo gran parte delle questioni affrontate, mi sono posto un problema metodologico. La proposta di riforma si pone sulla scia della sentenza delle Sezioni unite del 2008, sulla scia dell'Osservatorio di Milano del 2009 e anni seguenti, le edizioni successive della tabella milanese, e sulla scia della sentenza 12408 del 2011 della Corte di Cassazione.
  Mi sono, però, anche posto il problema che negli anni 2012 e 2013 – le ultime sentenze risalgono al 22 agosto 2013, al 3 ottobre 2013 e all'11 ottobre 2013, quindi proprio a meno di un mese fa – tante sentenze, con diversi relatori peraltro, almeno Pag. 8apparentemente possono minare le questioni poste dalle sentenze delle Sezioni unite.
  Non è questa, chiaramente, la sede per discuterne. La conclusione cui sono arrivato l'ho descritta nella breve relazione che ho preparato per questo evento. A mio giudizio, ma penso che anche la professoressa sarà d'accordo, tutte le sentenze recentissime che ho esaminato non minano ancora alle fondamenta né la sentenza delle Sezioni unite del 2008 né i presupposti da cui è partito l'Osservatorio milanese e, per l'effetto, la sentenza Amatucci del 2011.
  È importante porre la questione perché, diversamente, rischiamo di porre quest'auspicabile riforma su fondamenta non solide, mentre la mia opinione è che tutte queste sentenze, anche quando parlano confusamente di danno esistenziale, non minano i presupposti da cui partono. In pratica, l'ossatura delle tipizzazioni del risarcimento del danno dell'Osservatore milanese, prima ancora della personalizzazione sulla base delle fattispecie concrete, pone il danno sui pregiudizi atomo-funzionali, sul pregiudizio relazionale e sul pregiudizio da sofferenza interiore.
  La mia rilettura delle sentenze mi riconduce a questa statuizione di sintesi: laddove si parla di esistenziale, in realtà è possibile ricondurre questo aspetto del pregiudizio esistenziale nei termini dinamico-relazionali, e quindi, ancora una volta, nei termini dell'Osservatorio milanese e, per l'effetto, della tabella incamerata nell'articolo 84-bis. Nonostante, quindi, le numerose questioni poste negli ultimi anni, credo che comunque la riforma dovrebbe poggiare su solide fondamenta. Anch'io, come la professoressa, sono assolutamente d'accordo sulla ratio. Bisogna superare le diversità ed entrare finalmente in un discorso di unitarietà del danno.
  Le criticità esistono. Sono d'accordo sui princìpi di fondo e sulla ratio ispiratrice, ma credo che questa riforma presenti luci e ombre. Sinceramente, la tecnica di normazione deve essere perfezionata, come è stato già precisato, proprio con riferimento alla nozione. Apprezzo, però, il riferimento alla sofferenza. Se partiamo, infatti, dal presupposto che nel contenuto minimale del danno non patrimoniale l'aspetto della sofferenza è enfatizzato dalle sentenza delle Sezioni unite del 2008, secondo me un riferimento espresso anche nella nozione alla sofferenza è necessario.
  Sono anche d'accordo sul fatto che si debba discutere e valutare quanto e fino a che punto questo debba essere accertato dal medico legale. Aggiungo, però, alle osservazioni che condivido sulla sofferenza che deriva dalle modalità del fatto e che sono rimesse alla motivazione della sentenza del giudice, che esistono argomentazioni sulla sofferenza fisica di cui è giusto si occupi proprio il medico legale. Nel nuovo quesito approvato a Milano abbiamo inserito, appunto, una valutazione del medico legale da 1 a 5 in una scala di sofferenza fisica. Questo, dunque, è un aspetto coerente e che mi piace.
  È da valutare, invece, l'aumento fino al 50 per cento. La proposta prende in considerazione le due possibilità, il riferimento all'aumento personalizzato di cui all'articolo 138, che è più restrittivo ed è quello portato dalla proposta di legge, e quello più elastico dell'articolo 139. Da un lato, quindi, si pone un criterio di personalizzazione più rigido, dall'altro, se ne aumentano le possibilità di personalizzazione.
  Questo può essere anche condivisibile, ma in relazione al 50 per cento, dobbiamo tenere presente, benché non sia questo il momento di farlo – lo accenno nella relazione che vi lascerò – che, quando nel 2009 abbiamo costruito la tabella per Milano, abbiamo aumentato già dal 33 per cento in poi, dalle macrolesioni in poi del 50 per cento. Rispetto, dunque, alla genesi storica della tabella, un aumento del 50 per cento può risultare eventualmente eccessivo. È necessaria, a mio avviso, una rielaborazione, anche tenendo conto che non è condiviso, forse neanche dalla professoressa da quanto ho sentito poco fa, che la personalizzazione debba essere di più sulle macrolesioni che sulle micro.Pag. 9
  Abbiamo sostenuto, almeno a Milano, che un'eccessiva personalizzazione sulle macrolesioni porta facilmente a una duplicazione dello stesso danno. Le condizioni di vita soggettive di un macroleso del 100 per cento già sono talmente elevate che continuare a personalizzare di un ulteriore 50 per cento può risultare eccessivo, ma questa è una scelta di campo comunque opinabile, per cui può essere sicuramente sottoposta ad approfondimenti.
  Vedo, invece, un pericolo nel fatto che si parli solo di aumento. Dobbiamo stare attenti. Altro discorso è un criterio orientativo. Qui abbiamo una sfida triplice, enorme, che accetto per la quale sono contento di discuterne con voi, ma un criterio orientativo del tribunale di Milano comporta delle «vie di fuga» – nei nostri criteri, come avete letto, il giudice valuterà per il caso concreto e, se vuole, può diminuire o aumentare – mentre una legge che preveda solo casi di aumento può vedere delle incostituzionalità.
  Anch'io, personalmente, che sono stato uno degli artefici della tabella di Milano proprio in lesioni di diritti inviolabili della persona, anche per il danno per perdita di rapporto parentale ho liquidato addirittura zero o, comunque, valori inferiori anche rispetto al minimo standard perché le condizioni del caso concreto mi orientavano in quel senso.
  Questo punto è un elemento di valutazione. Abbiamo citato l'esempio di chi perde la moglie e parte per un viaggio con l'amante per le Maldive: significa che non c’è un vero danno da sofferenza, da sconvolgimento delle condizioni di vita del soggetto. In quel caso, il danno potrebbe essere irrisorio o molto limitato.
  Un altro esempio macabro, che piace ai medici legali, è quello di una persona completamente cieca di un occhio che perde la retina: è danno biologico, ma non da sofferenza, non anatomo-funzionale. Il danno finale non patrimoniale è pressoché zero. Per una lesione al femore di un arto che non ha alcuna sensibilità, esiste un danno biologico temporaneo di 2-3 giorni e niente di più.
  Sotto tutti i profili, anche il danno da lesione del diritto di autodeterminazione per parlare di altri diritti, in qualche caso il mio riconoscimento è stato pari a zero perché c'erano stati benefìci finali per il soggetto. Voleva un intervento, gliene hanno praticato un altro, gli è andata meglio di come sarebbe finita nell'altro caso, non c’è alcuna prova né allegazione che abbia sofferto per questo sbaglio: il danno non patrimoniale è zero. Bisogna stare attenti anche a questi profili di eventuale incostituzionalità.
  L'articolo 2059-ter è inutile e va eliminato oppure è un po’ pericoloso. Innanzitutto, è una norma che rinvia a un'altra, per cui sono in pari grado, e quindi il legislatore successivo può un po’ quello che vuole. Vanno almeno individuati dei criteri di rotta per il decisore successivo, che però lasciano il tempo che trovano, mentre potrebbero essere interessanti dei criteri di liquidazione che il giudice dovrà adottare nel caso concreto.
  È chiaro, però, che non siamo in regime di common law e questo reperimento, molto interessante e che va sicuramente approfondito, dei precedenti va studiato, i precedenti vanno selezionati, servirebbe una commissione, ma andiamo sicuramente nella giusta direzione. Tutti, infatti, nei vari convegni abbiamo riconosciuto che l'unico sistema per creare una piccola tabella sul danno da violazione di altri diritti della persona è il precedente. Diversamente, si cade nell'assoluto arbitrio.
  È una scelta di campo decidere se sia giusto o meno parlare in generale di altri diritti e se non debba esserci alcuna altra specificazione. La professoressa Navarretta su questo ha scritto numerosi libri, ma un riferimento ad altri diritti significa aprire al danno non patrimoniale da lesioni di proprietà. Non c’è alcun riferimento ad altri diritti. Trovo, allora, questo riferimento pericoloso perché mi sembra troppo aperto.
  Per quanto riguarda l'articolo 84-bis, non sono d'accordo sulla valutazione per il danno tanatologico. Serve, a mio avviso, una riforma che rispetti, come a mio Pag. 10giudizio dovrebbe essere, i princìpi fondamentali di equità e armonia con l'enorme mondo normativo, ma soprattutto giurisprudenziale, diritto vivente fino a oggi, salvo casi eccezionali di diritto positivo. Se vogliamo tenere in piedi il sistema «tremendo» di questi 2-3 articoli, dobbiamo essere in armonia con il diritto vivente.
  Dobbiamo essere consapevoli, allora, che già con le Sezioni unite nel 2008, sentenza San Martino, e un consolidato orientamento che prende le mosse addirittura dalla famosa sentenza della Cassazione del 1925, il danno da perdita della vita non è risarcibile. Non condivido, dunque, che si liquidi l'80 per cento, ma possiamo valutare.
  Questo aspetto apre, però, un altro problema e, anzi, è un problema. Questa vuole essere una soluzione a un problema del soggetto che muore prima della sentenza passata in giudicato per la stessa causa dell'illecito o per altra causa. Aggiungo che apre anche il problema di colui che vede un risarcimento nel primo grado e un rigetto della domanda nel secondo grado.
  Lancerei, allora, un'altra sfida, se è possibile. Secondo l'articolo 2057 del codice civile, il giudice, per quanto riguarda il danno non patrimoniale derivante da danno alla persona permanente, può dare luogo a una rendita vitalizia prendendo le opportune cautele e tenuto conto delle condizioni delle parti e della natura del danno.
  Da anni cerco di applicare questa norma, che a ben riflettere risolve tutti i problemi. Se muore dopo un giorno, un mese, un anno, 2 anni, 5 anni, prima del giudicato, per la stessa causa dell'illecito o per una causa diversa, liquidiamo quello che ha maturato e che ha sofferto.
  Sarebbe veramente interessante. Immaginate un ragazzo con problemi di cura e assistenza, danno patrimoniale, danno da sofferenza per tutta la vita, e una vita presunta dell'uomo occidentale di circa 80 anni: oggi, a volte liquidiamo 3 milioni di euro pensando che succeda questo. Nel caso in cui questo povero cristo sia particolarmente sfortunato e muoia per altra causa dopo un certo numero di anni, tutto questo danno futuro va eventualmente agli eredi se è stato già incamerato: non è giusto. Si tratta, infatti, di un danno del soggetto, non di una ricchezza acquisita.
  Questo sarebbe molto interessante e, secondo me, compatibile in tema di armonia ed equità. Potrebbe essere apprezzato anche dal mondo assicurativo, che potrebbe a questo punto valutare non di mettere da parte riserve esagerate per un danno che potrebbe non esserci più. I miei colleghi dell'Appello mi raccontano che, in caso di condanna delle istituzioni, questa restituzione chiaramente non avviene mai.
  Abbiamo, inoltre, delle persone, soggetti deboli, incapaci di amministrare immense fortune e vedo spesso la calata dei parenti che prendono questi soldi. Non è un bello spettacolo. A volte, in udienza mi rendo conto del dramma di queste situazioni, che però non posso risolvere perché ho bisogno di cautele importanti, dell'intervento dello Stato. I problemi fiscali sono enormi e servono, quindi, garanzie enormi.
  Lancerei questa sfida in questo contesto. Per salvare l'articolo 84-bis capoverso, potremmo inserirlo in un addentellato all'articolo 2057-bis. Potrebbe essere veramente di grande interesse e lo sottopongo alla vostra attenzione e all'eventuale dibattito. Questo ci risolve tutto il problema enorme che abbiamo sull'apprezzabile lasso di tempo.
  Anche per danno da perdita del rapporto parentale – c’è un refuso perché l'allegato dovrebbe essere B e non 2 – si prevede solo un aumento e non anche una diminuzione. Vedo rischi di incostituzionalità, come ne vedo per un altro aspetto che deriva dalla genesi della fonte, cioè l'Osservatorio, i criteri orientativi di Milano, fonte fondamentale di questa proposta di riforma.
  Si può anche stabilire un criterio per il reperimento di precedenti per il padre, la madre, la figlia, la sorella. Adesso, abbiamo trovato anche precedenti che riguardano il nonno per la perdita del nipote. Per gli altri, si può stabilire che valuterà il giudice. Sostenere, invece, in una legge che questi sono soggetti legittimati Pag. 11apre il profilo di incostituzionalità per la vecchia zia che è stata sempre in casa e che ha diritto al risarcimento del danno. Bisogna stare attenti e creare – mi rendo conto della complessità normativa – delle vie di fuga che consentano di salvaguardarne la costituzionalità. Ripeto, infatti, che questa normativa, questa materia, non questa proposta di legge, è a forte rischio di eccezione di costituzionalità.
  Quanto all'articolo 4, i riferimenti agli articoli 138 e 139 sono, a mio avviso, svuotati del tutto e forse è meglio eliminarli completamente. Non se ne ravvisa più un valore normativo, un'esigenza. Se poniamo il riferimento nel codice civile e questi elementi non hanno un quid pluris, forse è meglio eliminarli.
  Oltretutto, con questa riscrittura cadono anche i riferimenti a tutto il novum della legge. La legge Balduzzi è stata espressamente abrogata, ma non è stato valutato forse e, in ogni caso, richiamo l'attenzione sugli articoli 32,comma 3-ter e 3-quater della legge n. 27 del 2012. In un anno, abbiamo discusso di questi benedetti commi ai fini dell'accertamento medico-legale.
  Può darsi che qualcosa di buono sia stato fatto. A Milano, come saprete, abbiamo individuato, alla luce di quella legge, un nuovo quesito medico-legale per rendere più stringente e meno soggettivo l'accertamento del medico legale. Forse un recupero di quella legge va fatto, anche perché è espressamente abrogato l'articolo 3-ter e non lo è il 3-quater. Ciò crea un problema.
  Quanto all'applicazione della legge, per una normativa del genere valuterei se buttare a mare la tabella delle menomazioni dell'articolo 139. Mi pare che abbia fatto nelle aule giudiziarie buona figura di sé, ci offre una certezza sui barem medico-legali delle micropermanenti. Nessuno se n’è lamentato più di tanto. Se è buona, si potrebbe salvarla.
  Certamente, è anche una norma che presenterà enormi problemi di diritto intertemporale. Sostenere che si applica a tutti i giudizi in corso, salvo che vi sia stata una sentenza di primo grado o una transazione, significa, in quei regimi di equità e di armonia di cui parlavo, far saltare, per esempio, le riserve di tutte le compagnie assicuratrici. Tutti noi stiamo pagando i premi in base a un regime di micropermanenti per cui esiste l'indennizzo o comunque un forfettario. Applicare, invece, subito a tutti i procedimenti anche in corso e ai fatti pregressi una tabella milanese che da 1 a 9 prevede un aumento d'emblée almeno, mediamente, del 40-45 per cento circa, significa creare un grosso problema e sicuramente uno di eccezione di incostituzionalità.
  La materia è molto complessa e va approfondita. Secondo molta dottrina, questa che riguarda proprio il risarcimento del danno è una materia di diritto sostanziale, e quindi non dovrebbe essere applicata ai fatti illeciti pregressi. Bisogna valutare, quindi, anche questo aspetto.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il nostro ospite per questo approfondimento.
  Do la parola al dottor Leonardo Pucci, magistrato del tribunale di Potenza ed esperto del settore.

  LEONARDO PUCCI, Magistrato del Tribunale di Potenza. Sono contento per molte ragioni di essere qui presente. La principale è che questa proposta di legge incontra, effettivamente, quanto agli obiettivi, come hanno già sottolineato gli altri due auditi appena ascoltati, assolutamente il consenso mio e di tanti altri colleghi, i quali spesso si trovano nella difficoltà di approcciarsi alla materia dei danni e di non riuscire mai ad attingere a parametri certi, in particolare per la tutela che io dico del cittadino.
  Quando vi è una disparità di trattamento di situazioni più o meno uguali, infatti, vanno bene i discorsi di princìpi di diritto, ma ciò che è più importante è, appunto, evitare discrasie, discriminazioni. Una proposta di legge in tal senso, dunque, per me è santa.
  Per carità, non vi parlerò tanto dei princìpi di fondo, come hanno fatto meglio di quanto avrei fatto io i collega di Milano e la professoressa, ma per finzione in Pag. 12questi 15 giorni, cioè da quando mi è arrivato il testo della proposta, ho tentato di applicarla e ho colto dei vantaggi, ma anche dei punti decisamente molto problematici.
  Mi occupo sostanzialmente di lavoro e in quel campo esiste una serie di altri diritti, come il danno alla professionalità del lavoratore, all'immagine stessa del lavoratore o anche dell'impresa. In un primo momento, ero contento dell'articolo 2059-ter perché mi permetteva di ancorare delle fattispecie particolari a un dato più certo, ma nel contenuto, come hanno già evidenziato la professoressa e il collega, mancando del tutto i criteri per una quantificazione del danno stesso, è abbastanza indifferente che questo articolo ci fosse o meno.
  A differenza, invece, della professoressa, sono molto contento dell'approccio sul danno da morte. Purtroppo, ho avuto tanti di casi di infortuni sul posto di lavoro che hanno condotto al decesso del lavoratore e fino a oggi non ho mai compreso fino in fondo le ricostruzioni sull'apprezzabilità del danno. Lo trovo strano. La morte è la morte.
  Per questo, dare una piena rilevanza alla morte del danneggiato, relegando l'apprezzabile lasso di tempo dal fatto alla morte a un semplice aumento mi sta bene come idea di fondo. Certo, il secondo comma dell'articolo 84-bis delle disposizioni di attuazione su questo è un po’ strano. Io non sono svelto, ma non ho compreso cosa significhi. Inizialmente, avevo pensato che fosse quasi una sorta di indennizzo, cioè che ogni volta che vi è la morte si liquida la somma che corrisponde all'80 per cento, ma non si abbassa la tempistica. Già il fatto che in due si interpreti in maniera simile è indice che forse il comma, se mantenuto, per carità, andrebbe almeno perfezionato.
  Al tempo stesso, ho delle perplessità sulle tabelle per quanto riguarda la morte dei congiunti, sempre richiamando ciò che ha rilevato anche il collega, con cui sono perfettamente d'accordo sulla difficoltà di escludere dei soggetti dalla possibile risarcibilità del danno da perdita di congiunto. Ho una perplessità anche sugli importi per i figli da 160.000 euro al doppio all'incirca. Per dirvi una sciocchezza, mi è successo due mesi fa di riconoscere quasi un milione di euro di danni a un lavoratore di una banca per mobbing e mi pare strano che la perdita di un figlio corrisponda a un terzo di quanto ho riconosciuto a lui. C’è il rischio di non trattare con congruità fatti diversi. È strano.
  Per il resto, sempre tentando di applicare la norma a casi concreti di questi giorni, esistono perplessità, come ha già anche evidenziato il collega, sulle disposizioni transitorie, l'applicazione a esclusione di una sentenza. Neanche io ho compreso cosa significhi il comma 3 dell'ultimo articolo. Pare di comprendere che si applicherebbe la legge laddove il tribunale abbia accolto, ma non se ha rigettato, il che è strano. Mentre in un caso si applicherebbe, in un altro invece no. Non penso che fosse questa l'idea di chi ha scritto la norma, quindi bisogna porre attenzione su certi punti.
  In ogni caso, esistono delle difficoltà, ma ritengo che sia davvero importante che si porti avanti questa proposta di legge, che va certamente perfezionata, ma non abbandonata perché, effettivamente, a noi serve davvero.

  PRESIDENTE. Voi siete i primi che la Commissione ha deciso di audire, tra l'altro invitati dallo stesso relatore che è anche il presentatore di questa proposta e che quindi ha consapevolezza della rilevanza della tematica e, al tempo stesso, della difficoltà di arrivare a un testo forte, condiviso. Si tratta di temi abbastanza importanti.
  Abbiamo iniziato a oggi e, come nostra abitudine, andremo avanti negli approfondimenti. Poco fa stavo parlando con la professoressa Navarretta proprio di un eventuale apporto anche successivo, che giudico molto utile e gradito.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALFONSO BONAFEDE. Ringrazio gli uditi e passo subito a chiarire un punto Pag. 13importante. Raccolgo con piacere l'invito a una rielaborazione che tenga conto di possibili contributi futuri e anche, eventualmente, alla formazione di un apposito gruppo di lavoro.
  In Commissione siamo abituati a vedere proposte di legge che nel corso del loro iter vengono stravolte prima di giungere in Aula, spesso per dinamiche politiche più o meno condivisibili. Se per una volta queste dinamiche sono di carattere tecnico-scientifico, ben venga e, da questo punto di vista, noi siamo assolutamente disponibili. Sono contento che sia stata colta la sfida, che sicuramente non voleva essere né esaustiva né risolutiva, nella consapevolezza di toccare un tempio sacro del diritto privato, come è stato evidenziato.
  A tal proposito, vorrei solo chiarire che è ovvio che, se le sfide si moltiplicheranno, si andrà a incidere anche sull’an debeatur del risarcimento. Ben venga, quindi, lo spostamento dal quantum all’an. Nello spirito iniziale, però, proprio partendo dalla consapevolezza che l'attuale assetto giurisprudenziale sembra aver trovato finalmente una sua solidità, la proposta intende incidere non tanto sull’an, quanto su una chiusura del cerchio che gli permettesse di non essere sminuita o stravolta nella sede, che sembra secondaria, della quantificazione e che, invece, incide sulla sostanza.
  Per tale ragione, condivido perfettamente quanto è stato illustrato dalla professoressa Navarretta in merito allo spirito di cui dovrebbe essere permeato l'articolo 2059-bis che, forse, vuole andare proprio in quella direzione. La norma si ritrova incidentalmente a dover definire il danno non patrimoniale derivante da lesione alla salute, ma in realtà l'approccio voleva essere solo quello di sostenere che, in presenza di una lesione alla salute, le conseguenze vanno valutate in quel sistema tabellare, proprio partendo da una differenziazione ontologica di due generi di danno, cioè quello che per sua natura è tangibile, il danno alla salute, e tutti gli altri diritti.
  Condivido perfettamente le preoccupazioni sollevate in ordine a possibili rischi di incostituzionalità, ma il tetto del 50 per cento voleva proprio consentire al giudice di spaziare all'interno del danno da lesione della salute potendo individuare la sofferenza emotiva, cioè tutte le conseguenze richiamate. Un tetto così alto, quindi, voleva essere, in sede di quantificazione, una via attraverso cui il giudice potesse mantenere una discrezionalità nel quantum, ma in realtà anche per l'individuazione di voci di danno nei casi più particolari in cui il danno alla salute incideva su altro.
  Condivido anche la possibilità di differenziare il tetto massimo a seconda della lesione, ma ripeto che deve allora essere chiarito a monte. Nell'esempio di esce illeso dal crollo delle Torri Gemelle, il danno che si risarcisce non è quello conseguente alla lesione dovuta alla storta causata nella fuga – lì teoricamente sarebbe da valutare un'applicazione congiunta degli articoli 2059-bis e 2059-ter – perché quella della storta riceverebbe ovviamente una quantificazione a parte. Ripeto, però, che sono tutti punti di partenza più o meno condivisibili e su cui ragionare.
  Tenevo al discorso del danno tanatologico perché, effettivamente, il secondo comma dell'articolo 84-bis non rende esattamente l'idea. Il problema è dato dal caso in cui il soggetto danneggiato muoia all'istante. In caso di morte istantanea, una parte della giurisprudenza individua la necessità di trovare un lasso di tempo apprezzabile entro cui il danneggiato ha avuto consapevolezza del fatto che sta morendo.
  In una sorta di giustizia sostanziale, questo porta il danneggiante, trovatosi – ragioniamo sempre con esempi macabri – nell'istante in cui sta per investire la persona che attraversa la strada, nella valutazione di doverlo uccidere sul colpo piuttosto che colpirlo parzialmente per evitare che possa sopravvivere per i 10 minuti, l'ora o le 2 ore necessarie per raggiungere la consapevolezza della morte.
  Per questo, la norma era chiaramente provocatoria nell'individuazione di una Pag. 14somma forfettaria: nelle tabelle del danno non patrimoniale, per ogni caso di morte, preso atto di tutte le invalidità temporanee, se ci sono, o di tutte le altre valutazione, quando il soggetto muore, per il solo fatto che è morto, è individuata una somma dell'80 per cento.
  È chiaramente provocatoria, ma risponde a un'esigenza di giustizia sostanziale che, indubbiamente, a mio avviso, pone un problema teorico ancora più elevato, cioè quello di inserire una fattispecie di danno chiaramente punitivo. La giurisprudenza sul danno tanatologico si interroga su cosa sia stato leso nel momento in cui, per ridurre ai minimi termini un dibattito sicuramente complesso, muore nello stesso istante. Indubbiamente, l'idea di quantificare un danno tanatologico finisce col far scivolare la questione sul terreno più arduo, se vogliamo, ma anche più ampio dell'introduzione di un danno punitivo. In quel momento si risarcisce la gravità della condotta del danneggiante.
  Tuttavia colgo anche un appiglio con riguardo a quanto osservava la professoressa Navarretta sulla possibilità di inserire criteri che valutino anche la gravità dell'offesa o il dolo o la colpa grave del danneggiante e mi chiedo se, introducendo questi criteri, non valga la pena di riflettere su una revisione dell'attuale assetto giurisprudenziale sul danno tanatologico.
  Quanto alla rendita vitalizia, sicuramente potrebbe andare incontro proprio all'idea del danno da morte e valutare come la morte incida anche nella quantificazione del danno.

  ANDREA COLLETTI. Purtroppo non ho potuto ascoltare l'intervento del dottor Spera perché ero impegnato in Commissione finanze su una risoluzione sulle cosiddette tabelle di Milano, un argomento che purtroppo si sta dibattendo anche in Commissione affari sociali.
  La professoressa Navarretta, in un certo senso, ha contestato, nella valutazione del danno morale, l'incidenza dell'inclusione delle competenze demandate al medico legale. Personalmente, però, dalla norma mi sembra che emerga che il medico legale, valutando le condizioni di danno e le lesioni, può valutare teoricamente l'incidenza relazionale oltre che, ovviamente, quella nelle attività quotidiane. Tale incidenza, quindi, deve poi essere demandata nel concreto attraverso un giudizio fattuale o controfattuale da parte del giudice anche attraverso prove testimoniali. Esiste, dunque, questa discrepanza.
  Inoltre, in riferimento all'impatto emotivo su una persona che subisce un danno di lieve entità, credo che tale situazione rientri nel danno psicologico valutabile attraverso una consulenza medico-legale. Ho quindi dei dubbi in merito al fatto che il cosiddetto impatto emotivo vada addirittura oltre il danno morale e diventi proprio danno biologico.
  Inoltre, questo provvedimento non intende essere un provvedimento settoriale, ma bensì tenta di integrare tutte le fattispecie, come purtroppo non è accaduto, ad esempio, per l'articolo 3 del decreto Balduzzi, che ha avuto anche un'eccezione di incostituzionalità da parte del tribunale di Milano proprio perché la norma non era affatto chiara. L'intento è quello di chiarificare la portata.
  Faccio anche presente alla presidente Ferranti che sulla proposta di legge sul rischio clinico in Commissione affari sociali alcune proposte tendono a portare la responsabilità del medico come responsabilità extracontrattuale rispetto alla responsabilità della struttura come responsabilità contrattuale. Ovviamente, tale ipotesi dovrebbe essere discussa anche in Commissione giustizia in sede referente e le segnalo il problema.
  Ringrazio i nostri ospiti di essere venuti a chiarirci un po’ le idee.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  EMANUELA NAVARRETTA, Ordinario di diritto privato e diritto privato europeo presso l'Università degli studi di Pisa. Innanzitutto, chiarisco un punto emerso con riferimento alla sofferenza fisica. Il medico Pag. 15legale è in grado di obiettivare la sofferenza fisica, che sicuramente fa parte di ciò che è misurato nei postumi dal medico. Il medico legale è in grado anche di misurare la patologia psichica, quando è patologia. Deve esserlo, infatti, altrimenti non è nelle sue competenze.
  Ciò premesso, è chiaro che il medico legale dichiara, ad esempio, per la perdita di un dito il soggetto, di una certa età, non avrà più la pensione, l'indicazione e così via e a questo aggancia un numero: è chiaro che questo numero vuole rappresentare non solo la perdita di quelle funzionalità, ma anche tutto quello che non si può più fare e, proporzionalmente, anche quanto se ne soffre.
  Senza che il medico legale vada ad obiettivare la sofferenza o si esprima sulle singole attività, dà l'indicazione sui postumi da cui, presuntivamente, ricaviamo le ricadute sull'attività relazionale e possiamo anche ricavare – in questo senso la stima unitaria può anche andare bene – che proporzionalmente ci sarà una sofferenza per questi postumi. Ovviamente, c’è bisogno del giudice per la personalizzazione, altrimenti diventa un indennizzo e si pone il problema del limite, del suo tipo e così via.
  Quanto al discorso del danno legato più alle circostanze concrete, esiste un'intera serie di fattori che possono essere tali da giustificare un danno emotivo non strettamente proporzionato ai postumi, anche se può essere opportuno un aggancio, in modo da non consentire al giudice, anche in quel caso, di dare numeri troppo alti.
  Si tratta, però, solo di una cautela e in questo mi sembrava che l'onorevole Bonafede avesse compreso anche lo spirito del mio intervento, di non cambiare impostazione, ma semplicemente di evitare formulazioni che, da un lato, finiscano per «medicalizzare» tutto e, da un altro, sacrifichino troppo il ruolo invece fondamentale del giudice nella sua stima equitativa.
  Vorrei porre un'ulteriore osservazione sul danno tanatologico, su cui veramente rischiamo di parlare lingue diverse e sarebbe un dramma. L'alternativa è quella tra voler risarcire il valore della vita o risarcire la lesione della relazione familiare infranta ai prossimi congiunti e risarcire al danneggiato – sono d'accordo che il problema dell'apprezzabile lasso di tempo sia sbagliato concettualmente perché lo è l'impostazione – il danno alla salute che ha perso, lasciando in eredità quello che ha maturato. Non credo che si possa lasciare in eredità il valore della vita. Sono d'accordo che questo sia un punto su cui discutere.
  Non è, infatti, un'ottica risarcitoria, ma sanzionatoria e anche un po’ pericolosa in relazione a eredi e parenti. Sono punti su cui riflettere, mettendoci seduti intorno a un tavolo per decidere se vogliamo riconoscere il risarcimento del danno alla salute con la tecnica della rendita, che sono d'accordo che sarebbe la migliore – infatti con il risarcimento di quello che è stato veramente maturato si risolverebbe tutto – o il danno alla salute maturato, riconoscendo quello agli eredi più il danno iure proprio ai parenti. Possiamo anche risarcire il valore della vita e, benché su questo concordi poco, si tratta di mettersi d'accordo o comunque di formulare delle ipotesi.

  LEONARDO PUCCI, Magistrato del Tribunale di Potenza. Quest'ultima tematica è talmente importante che forse inserirla nel comma di un articolo delle disposizioni di attuazione costituisce già di per sé un problema.
  Sono d'accordo con la norma e sono tra quelli a favore del risarcimento della lesione del bene vita, ma effettivamente la collocazione è problematica. Concordo con la professoressa che esiste uno spazio per approfondire e decidere sui temi della sanzione.

  DAMIANO SPERA, Magistrato del Tribunale di Milano. Vi dirò cosa ho capito sul danno tanatologico dopo tanti anni di giurisprudenza e di sentenze. Lasciando stare i casi individuali, lo stato di arresto, almeno della Cassazione e delle Sezioni unite, ruota intorno a tre tipi di situazioni.
  Si può morire immediatamente e non c’è problema. Si può quasi prendere la Pag. 16scelta metodologica di risarcire la vita, ma questo non è possibile perché chi è titolare della vita muore, e quindi non c’è nulla risarcire. Si può introdurre il problema del danno punitivo, ma in assenza di un assetto costituzionale generale, di cui possiamo discutere, è una scelta difficile da portare avanti.
  Siccome sono tante le sentenze e le massime in relazione alla questione dell'apprezzabile lasso di tempo, sembra che alla fine si annacqui tutto. Stamattina ho riletto le motivazioni della Cassazione. Il discrimine risiede nel fatto che, se l'apprezzabile lasso di tempo significa un giorno, due, cinque, una settimana o un mese, il giudice deve valutarlo anche in base al fatto che il soggetto sia in coma o meno, per capire se si può parlare di danno biologico.
  Premesso che non c’è nulla se si muore subito, può esserci un danno morale da sofferenza in seguito a una catastrofe. Citando anche in questo caso un esempio che piace a qualcuno, sull'aereo annunciamo che di lì a poco saranno tutti morti perché l'aereo sta crollando in mare: in quei 10 minuti si ha il danno appunto delle Torri Gemelle, sicuramente un danno morale.
  Un danno alla salute che si produce per un certo periodo di tempo significa che il danno subìto è apprezzabile. In ogni caso, o non c’è alcun risarcimento – questo è lo stato dell'arte delle Sezioni unite – o c’è un danno solo da sofferenza o un danno biologico laddove il disagio duri per un po’, ma finora non c’è mai il danno, almeno a livello di Sezioni unite, alla vita. Questo è un po’ lo stato dell'arte.
  Quanto ai pregiudizi, non dimentichiamo che una delle ragioni della fortuna della tabella milanese è anche la possibilità di fornire la prova presuntiva su tutti gli aspetti di sofferenza media, di problemi interrelazionali, o esistenziali per chi preferisce il termine, ma che si possano ritenere correlati e provati anche con modeste prove, soprattutto prove presuntive. Non è un fatto da poco perché consente di reggere l'impatto del processo, che il processo può essere celebrato.
  Il disagio in sé, quindi, sta nella tabella, nei valori standard. Quando questo disagio esorbita e diventa un danno psichico, c’è un ulteriore danno biologico. Credo siano questi parametri sui quali dobbiamo muoverci.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio a nome di tutta la Commissione di questo prezioso contributo. Vi auguro buon rientro alle vostre sedi. L'ulteriore fase di meditazione da parte nostra potrà essere anche vostra.

  DAMIANO SPERA, Magistrato del Tribunale di Milano. Parlando anche a nome degli altri auditi, credo che siamo tutti assolutamente d'accordo che si debba portare avanti questo tentativo. Si tratta di una bella sfida che accogliamo e siamo contenti che qualcosa si muova in questo campo. Questo è molto importante per noi.

  PRESIDENTE. È presente anche il sottosegretario Ferri in rappresentanza del Governo, che saluto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.