XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 15 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 4605 FERRANTI, RECANTE MODIFICHE ALL'ARTICOLO 5 DELLA LEGGE 1° DICEMBRE 1970, N. 898, IN MATERIA DI ASSEGNO SPETTANTE A SEGUITO DI SCIOGLIMENTO DEL MATRIMONIO O DELL'UNIONE CIVILE

Audizione di Franca Mangano, presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma, e di Maria Giovanna Ruo, presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni – CamMiNo.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Mangano Franca , presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Ruo Maria Giovanna , presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni – CamMiNo ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Sannicandro Arcangelo (MDP)  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Sannicandro Arcangelo (MDP)  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Franca Mangano, presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma, e di Maria Giovanna Ruo, presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni – CamMiNo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposta di legge C. 4605 Ferranti, recante modifiche all'articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell'unione civile, di Franca Mangano, presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma, e di Maria Giovanna Ruo, presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni – CamMiNo.
  Comunico che la presidente Maria Giovanna Ruo è accompagnata dall'avvocato Antonella Florita, vicepresidente di CamMiNo.
  Do la parola al presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma, Franca Mangano.

  FRANCA MANGANO, presidente della Prima sezione civile del Tribunale di Roma. Grazie, presidente, per l'invito a partecipare a quest'audizione e per l'attenzione che da sempre dimostra per i temi della famiglia, che ci stanno particolarmente a cuore.
  Sono stata chiamata per fare le mie osservazioni, schematicamente riprodotte in un testo breve già consegnato, sulla proposta di legge recante modifiche all'articolo 5 della legge n. 898 del 1970 e successive modifiche, relativa alla disciplina dell'assegno di divorzile.
  Tale proposta trova la sua ragione specifica in una sentenza della Corte di cassazione, che, come sappiamo, ha interpretato le norme vigenti, abbandonando un criterio interpretativo risalente a una sentenza a sezione unite del 1990: il criterio del tenore di vita come parametro di commisurazione della mancanza di mezzi adeguati e dell'impossibilità a procurarsi tali mezzi da parte del coniuge richiedente l'assegno. La Corte di cassazione ha abbandonato questo criterio, sostituendolo con quello dell'autosufficienza. In realtà, in una sentenza successiva della Corte di cassazione si traduce il termine «autosufficienza».
  Si tratta di una proposta di legge che ha la sua causa in questa sentenza della Corte di cassazione e in questa rivoluzione della giurisprudenza, quindi, da un certo punto di vista, potrebbe apparire singolare che il legislatore si sia mosso in conseguenza di una nuova interpretazione giurisprudenziale.
  Questa potrebbe essere la prima osservazione da fare, però, se osserviamo più da vicino la sentenza della Corte di cassazione, ce ne diamo ragione perché, alla base di questa pronuncia, oltre alle considerazioni esegetiche sul testo normativo, che non contiene nessun riferimento al tenore di vita, c'è una valorizzazione di un concetto Pag. 4nuovo di matrimonio, rispetto al concetto attuale e sociologicamente conosciuto e non più quello del 1987. In tal senso, il matrimonio non è più indissolubile, ma è risolubile, e l'evento divorzio è ormai un istituto assolutamente metabolizzato nella concezione civile e nella consapevolezza dei consociati e, di conseguenza, comporta un'estinzione radicale e totale del vincolo, non solo dal punto di vista sentimentale, ma anche dal punto di vista patrimoniale.
  L'utilizzazione di questo criterio della Corte di cassazione porterebbe a un principio di ultrattività del vincolo matrimoniale dal punto di vista patrimoniale. Tale principio non è più tollerabile, essendo incompatibile con il concetto di autoresponsabilità del singolo, che, quando non è più parte del rapporto coniugale, è persona singola e ha la libertà di ricostituirsi una nuova famiglia. Il peso patrimoniale rappresenta, di fatto, un ostacolo a questa libertà, quindi, al principio di solidarietà post-coniugale, si contrappone il principio di autoresponsabilità economica.
  Come ho detto in più sedi, questa è una sentenza ideologica e, dunque, l'intervento del legislatore si spiega con l'esigenza di comprendere quali siano le posizioni che devono essere assunte rispetto a questi nuovi valori e a questi nuovi concetti.
  È difficile dissentire da questi postulati della Corte di cassazione, che fanno già parte della giurisprudenza, anche di merito, perché, da tempo, la Corte di cassazione aveva fortemente limitato il concetto di tenore di vita come parametro, inteso in maniera assolutamente assimilabile a quello che veniva utilizzato in occasione della separazione.
  Tutto ciò è ben presente anche alla Corte costituzionale. Nel 2015, il Tribunale di Firenze ha sollevato una questione di costituzionalità, ritenendo che l'applicazione del parametro del tenore di vita fosse in contrasto con l'articolo 29 della Costituzione e con la libertà individuale dell'articolo 2, e la Corte costituzionale ha risposto: «non è così poiché il concetto di tenore di vita nell'interpretazione e nel diritto vivente ormai tiene conto di svariati correttivi, che non consentono assolutamente la comparazione della posizione del coniuge al momento dell'erogazione dell'assegno con quella che era la sua posizione all'interno del matrimonio».
  In realtà, di fronte a questa pronuncia, il tribunale cui appartengo non si è trovato nella necessità di modificare radicalmente la sua giurisprudenza.
  Nei lavori preparatori delle precedenti audizioni, nella scheda relativa a questa proposta di legge, ho trovato una pronuncia del Tribunale di Roma, richiamato come esempio di tribunale che ha accolto la posizione della Corte di cassazione.
  In realtà, nel verificare tutti i casi in cui ci trovavamo a respingere le domande di assegno divorzile, i nostri criteri non venivano spostati e modificati dalla pronuncia della Corte di cassazione, la quale è stata oggetto di una diffusione mediatica fortemente ideologizzata, che quasi portava ad affermare un principio di abrogazione dell'assegno di divorzio, anche se, in realtà, quest'abrogazione non c'è stata.
  Quali sono state le nostre pronunce più significative in cui abbiamo preso le distanze dalla Corte di cassazione e da questo modo di intendere e di interpretare la pronuncia della Corte di cassazione?
  Si tratta di fattispecie nelle quali, nonostante il coniuge richiedente fosse dotato di un proprio reddito, l'incidenza del progetto di vita sul suo sviluppo professionale, personale e patrimoniale è stata ugualmente oggetto di considerazione, quindi ha consentito, nonostante la disponibilità di redditi propri, l'attribuzione di assegni di divorzio.
  Ci sono state tre pronunce del Tribunale di Roma, che, anche dopo la sentenza della Corte di cassazione, hanno riconosciuto assegni divorzili a coniugi e, in particolare, a mogli, che erano titolari di un reddito da lavoro in un caso ed erano titolari di immobili nell'altro caso o disponevano, in un altro caso ancora, di accantonamenti tali da consentire una certa autosufficienza, in senso stretto.
  Tuttavia, la storia del loro matrimonio era la storia di donne che avevano seguito il marito all'estero per favorire lo sviluppo della sua carriera professionale, sacrificando Pag. 5 la propria carriera, che era rimasta a livelli basici, o che avevano dedicato la loro vita alla cura e all'assistenza di uno o più figli disabili o ancora che, al momento della separazione si erano trovate a rinunciare a un lavoro nell'attività imprenditoriale del coniuge perché oggetto di ingiustificati declassamenti o demansionamenti.
  Ecco, si tratta dei casi in cui abbiamo riconosciuto l'assegno divorzile a coniugi, che sono per lo più donne, per le quali il matrimonio aveva rappresentato un effetto sulle loro disponibilità patrimoniali.
  Il punto in cui la Corte di cassazione pone un problema fondamentale è non tanto nell'affermazione di questi principi generali, ma nella parte in cui si sostiene che il giudice di merito non debba considerare come prevalente il criterio della proporzionalità tra i due redditi.
  Ora, la comparazione tra i due redditi rappresenta l'atto principale dell'istruttoria dei giudizi di separazione e la Corte di cassazione smentisce che questa comparazione da parte del giudice debba avere un effetto così centrale e determinante, in virtù dell'affermazione di un principio: l'assegno divorzile ha una funzione esclusivamente assistenziale e non deve avere una funzione riequilibratrice.
  Questa proposta di legge, invece, vuole recuperare la funzione riequilibratrice dell'assegno divorzile.
  Nella relazione introduttiva, si richiamano anche istituti analoghi del diritto europeo, dove, al momento dello scioglimento del matrimonio, si fanno i conti e si stabilisce quanto va ad un coniuge e quanto all'altro, prevedendo la possibilità di riequilibrio in senso definitivo.
  Questa funzione riequilibratrice viene assegnata nel primo comma a una precisa affermazione di attribuzione di assegno per compensare le disparità conseguenti allo scioglimento del matrimonio.
  A parte il fatto che viene indicato il destinatario dell'assegno e non viene indicato a carico di chi sia l'assegno, perché c'è un coniuge che deve dare all'altro e questi sono i due termini, si parla anche di compensazione.
  Ora, la compensazione può dare al giudice di merito il problema di introdurre una valenza risarcitoria, laddove è chiaro che si vuole, invece, soprattutto mirare a una funzione di riequilibrio.
  Questo può essere certamente un equivoco, laddove la non adeguatezza di mezzi (esistente nel diritto positivo) forse maggiormente ci consentirebbe un riequilibrio, qualora le sezioni unite cui la questione è stata rimessa da una settimana chiarisse e correggesse questa posizione così radicale nonché – lo ripeto – ideologica e programmatica della Prima sezione civile.
  La non adeguatezza di mezzi forse consentirebbe maggiormente l'effetto di riequilibrio indicato nella proposta di legge, che, del resto, corrisponde alla posizione di gran parte della dottrina, che ormai, in più scritti e in più riflessioni, invita all'abbandono del criterio meramente assistenziale, in ragione di una funzione di riequilibrio dell'assegno di divorzile.
  Inoltre, questa disparità viene ricondotta a un unico momento, quello dello scioglimento. Tuttavia, questa norma si applica in maniera indifferenziata, come prevede l'ultimo paragrafo del comma 2 o del comma 3 di questo articolo unico, anche alle unioni civili, per cui c'è un problema nell'indicare il momento temporale della valutazione rispetto al matrimonio, che prevede necessariamente un passaggio attraverso la separazione per arrivare al divorzio, e rispetto allo scioglimento dell'unione civile, che è, invece, diretto e immediato, secondo la disciplina della legge n. 76 del 2016. C'è, quindi, anche un problema di coordinamento.
  Il primo periodo del comma 2 dell'articolo unico della proposta di legge fa un'elencazione di criteri, che devo dire corrispondono alle categorie che noi utilizziamo e ai casi cui ho fatto riferimento. La cura e l'assistenza di figli disabili e la mancanza di opportunità professionali e di crescita professionale sono criteri che noi normalmente utilizziamo, quindi quell'elencazione corrisponde alla giurisprudenza e alla pratica dei giudici di merito, con l'avvertenza che il nostro criterio prevalente è quello della durata del matrimonio. Pag. 6
  Lo dico perché, quando parliamo di diritto all'assegno divorzile e quando parliamo, a proposito dell'orientamento della Corte di cassazione, di un orientamento ingiustamente radicalizzato, facciamo riferimento a matrimoni lunghi e facciamo riferimento a situazioni di coniugi, che sono prevalentemente donne e che hanno sopportato e vissuto, all'interno del matrimonio, sacrifici che poi si sono risolti a svantaggio della loro condizione patrimoniale.
  La durata del matrimonio certamente ha un peso prevalente nel valutare la sussistenza e la commisurazione del diritto all'assegno divorzile e, dunque, forse dovrebbe essere messa per prima nell'elencazione.
  L'altra condizione alla quale facciamo spesso riferimento è quella dell'età del coniuge richiedente perché la giovane età lascia pensare a una più rapida possibilità di ricostituzione della propria condizione patrimoniale, fermo restando che la situazione del mercato del lavoro di oggi e fermo restando il fatto che le donne, che rappresentano per il 99 per cento il coniuge cui viene erogato l'assegno divorzile, sono i soggetti, assieme ai giovani, più colpiti dalla disoccupazione.
  Fermo restando quest'aspetto, a 60 anni o a 50 anni ci sono pochissime o, addirittura, nessuna possibilità di rientrare nel mondo del lavoro, mentre a 35 anni c'è qualche possibilità in più, quindi questo deve essere valorizzato.
  Positivo è il giudizio sulla possibilità espressa nel penultimo comma di prevedere da parte del giudice un assegno a termine. Questo si coniuga anche con l'indicazione dell'età, anche se quest'affermazione si deve coordinare con l'istituto esistente della revisione, quindi bisogna capire come si combina il termine dato dal giudice con la possibilità di chiedere e ottenere la revisione della disposizione contenuta.
  Personalmente, invece, non ritengo che debba essere introdotta una disposizione specifica, per il rischio di introdurre un divorzio con addebito.
  So che l'avvocato Ruo non è d'accordo con la mia interpretazione, ma ciò sarebbe in controtendenza con una concezione che tende a eliminare anche la separazione per addebito.
  Forse la nostra giurisprudenza è restrittiva nell'ammissione delle prove eccetera, però questo andrebbe in controtendenza. D'altra parte, ritengo che la considerazione per la natura della materia di separazione è già un deterrente sufficiente a evitare che l'assegno divorzile venga attribuito a favore del coniuge la cui condotta abbia determinato il fallimento dell'unione familiare.
  Nel complesso, noi giudici della famiglia percepiamo, ma certamente ancora di più lo percepiscono gli avvocati familiaristi, una generale insofferenza nei confronti delle forme di erogazione periodica di somme di danaro. Si tratta di un'insofferenza generalizzata, che deriva dalla maggiore mobilità sentimentale, ma anche dalla crisi economica, che fa valutare più gravosamente questi oneri, non soltanto nei confronti del coniuge, ma anche nei confronti dei figli.
  Tutti questi protocolli, che nascono al Tribunale di Lecce o al Tribunale di Salerno e che, in materia di affidamento, stabiliscono la divisione dei figli, che stanno tre giorni da un genitore e quattro giorni dall'altro, hanno l'effetto di eliminare il contributo di mantenimento, dunque di favorire il mantenimento diretto: mantengo il figlio mentre sta a casa mia e a te non do nulla.
  Per quest'atteggiamento generalizzato, il timore del Tribunale di Roma è che ciò vada sempre a discapito della parte debole, ossia del figlio e del coniuge debole.
  Per quanto riguarda la tendenza e l'insofferenza nei confronti dell'assegno divorzile, come ripeto perché l'ho già detto, soltanto il 20 per cento delle pronunce in materia di divorzio contengono assegni divorzili e la media è di 500 euro, quindi non stiamo parlando di assegni divorzili di 10.000 o di 30.000 euro, rispetto ai quali forse ci si può chiedere il motivo e la ragione. Forse, rispetto a questa realtà e a quest'insofferenza, effettivamente il giudice della famiglia dispone di pochi strumenti.
  I nostri strumenti sono rozzi e sono pochi perché ci occupiamo dell'assegnazione Pag. 7 della casa coniugale e dell'erogazione dell'assegno.
  La possibilità di prevedere anche forme di erogazione capitalizzate una tantum non soltanto per accordo delle parti, ma anche determinate da parte del giudice, potrebbe essere una soluzione, magari prevedendo una forma rateizzata.
  Ovviamente ciò deve essere fatto in coordinamento con gli altri istituti ovvero bisogna – sono già stata in quest'aula a parlare dell'altra proposta di legge in materia di patti in vista del divorzio – rivedere tutto il sistema.
  Non in ultimo, bisogna considerare che la solidarietà post-coniugale è una realtà del nostro diritto positivo, nella misura in cui il coniuge titolare di assegno di divorzile abbia diritto a una quota della pensione di reversibilità e a una quota del trattamento di fine rapporto (TFR), aspetti che dimostrano che nel nostro ordinamento esiste un effetto del rapporto matrimoniale riconosciuto positivamente che va oltre il divorzio.
  Noi giudici che dobbiamo fare applicazione della legge dobbiamo sempre bilanciare il principio di autoresponsabilità anche con un principio di solidarietà che sopravvive al divorzio.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Ricordo anche che abbiamo già chiuso l'indagine conoscitiva sulla proposta di legge dell'onorevole Morani C. 2669, in materia di patti prematrimoniali, e dovremmo ora passare alla fase emendativa, quindi, da quello che comprendo, forse è bene darci un po’ di tempo, ma seguirle in parallelo.
  Adesso, do la parola alla presidente Maria Giovanna Ruo.

  MARIA GIOVANNA RUO, presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni – CamMiNo. Grazie, presidente. L'argomento di oggi è importantissimo ed è vero che c'è una grande insofferenza ormai vissuta dai cittadini nei confronti di strumenti di prestazione continuativa. Ora, che si tratti di 500 euro o di 2.500 euro, ciò dipende dalla situazione dell'obbligato, quindi anche i 500 euro in uno standard di vita di 2.300 euro sono molto significativi.
  Intanto, vorrei comunicare che la nostra associazione ha cambiato denominazione sociale. Questa è la prima volta che la presentiamo ufficialmente e ci fa molto piacere presentarla qui: da oggi, siamo la Camera nazionale avvocati per la persona, le relazioni familiari e i minorenni.
  Bisogna ormai prendere atto che la famiglia è una delle stelle della costellazione familiare. Mi riferisco alla famiglia costituzionale, di cui all'articolo 29. Dobbiamo, quindi, pensare alla tutela dei soggetti vulnerabili in tutte le formazioni sociali in cui si svolge il loro sviluppo, come ci dice l'articolo 2 della Costituzione, garantendo e rimuovendo gli ostacoli come ci dice l'articolo 3. In questo senso, ci siamo mossi anche cambiando denominazione sociale.
  Mi trovo assolutamente concorde nel fatto che le due assi portanti, anche del diritto di famiglia, siano, da una parte, i principi di autodeterminazione e di responsabilità e, dall'altra, il principio di solidarietà.
  Lo dico perché, se uno di questi due elementi si sposta, l'asse portante si squilibra, come sta avvenendo.
  Perché sta avvenendo tutto ciò? I tempi sono profondamente modificati. Ci sono una serie di fenomeni di cui dobbiamo parlare, anche perché, altrimenti, non consideriamo qual è la realtà.
  Nella statistica, quale che sia la propria Weltanschauung, come la definiscono i tedeschi, ossia visione della vita, ci possono essere più relazioni familiari per uno stesso soggetto e non più un unico rapporto coniugale destinato a durare tutta la vita.
  Inoltre, c'è un'aspettativa di vita media che si è allungata, quindi una possibilità maggiore per il rapporto interpersonale di entrare in crisi rispetto a un tempo in cui la vita era più breve, anche perché un matrimonio che dura 40 anni è molto più complesso da portare avanti di un matrimonio che ne dura venti.
  Dobbiamo anche considerare altri fenomeni, come la ricostituzione di nuclei familiari, e dobbiamo considerare che poi i Pag. 8nuclei familiari nuovi devono scontare l'obbligazione nei confronti del primo nucleo familiare perché succede che, se io divorzio e sono il proprietario della casa, sono tenuta all'assegno di mantenimento, per cui i figli della nuova compagine familiare non avranno diritto a quella casa e si trovavano già fortemente condizionati anche per quanto riguarda l'erogazione nei confronti dell'ex coniuge.
  Questo è un primo elemento da tenere presente: non funziona più la giustizia che funzionava un tempo. Il secondo elemento che ci sembra opportuno tenere presente è costituito dai cosiddetti «divorzi grigi», che sono diventati un fenomeno crescente.
  Che cosa intendo per divorzi grigi? I divorzi grigi sono quei divorzi in cui c'è – mi sia consentito questo termine, anche se quanto dico corrisponde al vero – la rottamazione del coniuge anziano rispetto a un'alternativa più giovane, più avvenente e più gratificante.
  Di solito, ciò si verifica nei confronti della donna. Si tratta di un libello di ripudio che la nostra società sta ricostruendo.
  C'è un istituto, quello dell'affidamento, che vale in tutto il nostro ordinamento: ho fatto affidamento sulle prospettive di un rapporto che immaginavo sarebbe durato per tutta la vita, per cui ho sacrificato, nel senso del sacrum facere e non di rinunciare, cioè ho fatto una scelta positiva per la costruzione di quella famiglia, rinunciando alle mie opportunità professionali, lavorative e formative, ma, a un certo punto, mi trovo con una prospettiva in cui, per una sacra e inviolabile libertà di un altro, non posso avere più la medesima libertà.
  Ora, questo sarà controcorrente e faremo i salmoni che vanno controcorrente, però di queste cose bisogna parlare. Nessuno vuole introdurre un divorzio per colpa, ma si vuole dire che, se bisogna fare giustizia, bisogna considerare anche queste situazioni, che sono il portato della nuova società.
  Quest'aspetto riguarda quasi sempre l'universo femminile, cosa che trovo un vero libello di ripudio: hai assistito i miei tre figli e, casomai, anche il figlio dell'altro coniuge che è venuto a vivere con me, facendo da genitore sociale, esattamente come per i nostri tre figli, e, casomai, hai anche accudito mia madre anziana, però adesso esercito la mia libertà sacrosanta ed è tutto finito.
  Ritengo che quest'aspetto debba essere valutato in un sistema di riequilibrio della giustizia.
  Ora, se la mia posizione non è politically correct, me ne assumo la responsabilità.
  C'è un altro trend che riguarda più l'universo maschile: uomini vedovi o separati hanno delle relazioni con donne giovani, che, più o meno, li strumentalizzano, spesso anche al fine di una permanenza nel nostro territorio, come accade in episodi sempre più frequenti, e che, a un certo punto della vita, decidono di riguadagnare la loro sacrosanta libertà.
  Tuttavia, non è corretto né giusto considerare che questi abbiano diritto a un assegno di mantenimento in ragione della sperequazione, quindi il principio della sperequazione deve essere contemperato con altri criteri.
  Bastano i criteri che ci sono oggi? In situazioni di giudici illuminati, tali criteri possono bastare, ma le leggi non si fanno solo per i giudici illuminati. Le leggi si fanno perché siano certe in tutto il territorio dello Stato e si fanno perché non tutti i giudici sono specializzati. Ora, non vorrei aprire la ferita rispetto alla riforma per cui questa Commissione tanto ha fatto, come si è continuato a fare in Senato, anche se tale riforma non ci sarà.
  La verità è che quella riforma non era volta contro alcuni, ma per dare giudici specializzati a tutti, perché non abbiamo giudici specializzati in tutta Italia.
  Nei piccoli tribunali, non c'è questa possibilità concreta allo stato attuale o non tutti i presidenti assegnano a uno o a due magistrati in materia di famiglia, per cui, quando un povero giudice promiscuamente tratta il settore bancario e la famiglia, non possiamo aspettarci la sensibilità rispetto alle specifiche tecniche di questa materia che ha la Prima sezione civile.
  Come associazione nazionale, posso dire che ci occupiamo di tanti casi e che le nostre 57 sedi ci evidenziano delle fortissime Pag. 9 anomalie, ma anche un certo appiattimento – mi sia consentito dirlo – della giurisprudenza rispetto al trend dominante: devo tenere presente il tenore di vita, per cui c'è sperequazione, e comunque devo dare un assegno divorzile, senza applicare gli altri criteri, oppure, com'è adesso, non ti do l'assegno perché sei autosufficiente economicamente.
  In realtà, a noi sembra che lo snodo per l'assegno divorzile sia in principi che sono, da una parte, di responsabilità e di autodeterminazione e, dall'altra, di solidarietà e ci sembra di averlo trovato nel principio di dignità, cioè il coniuge che non è responsabile della crisi e dell'impossibilità della convivenza ha diritto a una vita dignitosa, nel senso dell'articolo 1 della Carta di Nizza, anche perché si tratta di un criterio giuridico e non di un criterio metagiuridico o etico.
  Il criterio della vita dignitosa elimina la possibilità di assoluta parificazione a ciò che era prima della fine del matrimonio, anche perché un divorzio non può essere tamquam non esset, cioè prosegue, però, nello stesso tempo, assicura quella dignità cui la persona ha sempre diritto perché si tratta di fondamento della nostra carta costituzionale e del diritto europeo.
  Ritornando alla problematica della responsabilità della fine e dell'insofferenza dell'utenza rispetto a un dovere di corresponsione a chi è stato responsabile, ammesso che sia stato responsabile della fine di un matrimonio, della improseguibilità della convivenza e della comunione materiale e spirituale, possiamo testimoniare come avvocati che ciò risponde al sentire diffuso delle persone.
  A noi viene denunciata, per esempio, la violazione dell'obbligo di fedeltà anche da chi non è coniugato perché ciò risponde al sentire sociale, a quella teoria di affidamento cui facevo riferimento prima.
  Tra l'altro, quest'abrogazione di fatto dell'addebito avvenuta in separazione sta portando allo sfruttamento dell'istituto giuridico del matrimonio. Qual è la differenza, a questo punto, tra una libera convivenza e un matrimonio, se poi sopravvive soltanto la parte economica di solidarietà, ma non si guarda l'aspetto della violazione dei doveri? C'è una contraddizione in termini che viene avvertita dalla società civile e che la società civile – scusatemi il termine non proprio corretto – digerisce poco perché lo ritiene contrario alla giustizia.
  Abbiamo osservato il sistema francese e quello spagnolo, che hanno introdotto, tra l'altro abbastanza recentemente, dei criteri molto puntuali. Innanzitutto, entrambi i sistemi prevedono che il giudice, quindi non soltanto l'accordo delle parti, possa stabilire una tantum, mentre per noi è previsto soltanto per l'accordo delle parti. Mi chiedo se non sarebbe opportuno anche nel nostro ordinamento l'inserimento di una simile previsione.
  C'è un secondo aspetto: il sistema francese richiama la responsabilità nella fine della convivenza e il sistema spagnolo non la richiama. Non sono stata in grado di osservare il sistema tedesco, per miei limiti.
  I criteri sono estremamente puntuali, quindi richiedono alla giurisprudenza, anche a quella più distratta e che ha da fare tante cose di tanti argomenti diversi, una puntuale motivazione.
  Tra questi criteri, c'è anche un'evoluzione del senso sociale. Per esempio, non c'è soltanto l'apporto dato alla carriera dell'altro, ma anche l'appoggio dato all'altro.
  Qual è la differenza di valutazione e in che cosa ha senso la differenza di valutazione tra l'appoggio che io do perché mio marito faccia carriera, quindi abbia diritto a usufruire dei benefici per la carriera fatta, e il fatto che io abbia assistito la sua anziana madre, quindi gli abbia consentito di farle carriera, sgravandolo di quel peso?
  Questi fenomeni riguardano sempre più i diritti fondamentali della persona, ma anche i diritti patrimoniali visti in questa diversa prospettiva dei diritti fondamentali, che ci sembrano il vero snodo.
  Stiamo parlando dell'assegno divorzile e non stiamo parlando di un'erogazione patrimoniale, da cui il ricollegarci al concetto di dignità e a tanti altri concetti di giustizia sostanziale rispetto ai diritti fondamentali.
  Mi permetterei di non lasciare oggi il documento, ma di lasciarlo nei prossimi Pag. 10giorni per condividere ulteriormente argomenti spinosi.
  In merito al sistema francese, condividiamo la perplessità sul termine «compensativo»: è vero che questo c'è in tutti gli ordinamenti, ma è altrettanto vero che nel nostro ordinamento questo vuol dire «compensare» e assume un altro significato, quindi non lo possiamo mutuare sic et simpliciter.
  Ci sembra che dovrebbe essere valutata la storia degli ex coniugi e della vita coniugale e familiare con un'attenta valutazione dell'apporto dato da ciascuno anche all'affermazione professionale e alle esigenze lavorative e esistenziali dell'altro, quindi a tutto ciò che riguarda gli aspetti di assistenza della persona.
  Circa l'età e le condizioni di salute del richiedente, siamo assolutamente d'accordo. Circa le opportunità formative, lavorative e professionali che l'ex coniuge svantaggiato ha sacrificato nell'interesse dell'altro ex coniuge e della famiglia, la durata del matrimonio dell'unione civile e la cura pregressa attuale e futura, quale disciplinata dal provvedimento, di figli della coppia minorenni gravemente disabili e maggiorenni non autosufficienti, ci sembra che anche questi aspetti debbano essere valutati.
  Ci è molto piaciuta la clausola di salvaguardia contenuta nell'ordinamento spagnolo che dice: «qualsiasi altra circostanza rilevante», che ci sembra necessaria perché i criteri non esauriscono quasi mai la varietà della vita dei casi concreti. Questa clausola di salvaguardia consente al giudice, guardando quella famiglia in quella situazione, di fare giustizia per il caso concreto in maniera più adatta.
  Tra gli esempi che riportiamo in nota, si pensi alla donna che ha assistito i genitori anziani del coniuge o anche un altro figlio di un altro matrimonio.
  Non si può prevedere tutto, ma sicuramente ci sono tante circostanze che vengono in rilievo, se noi siamo in grado di portarle in rilievo, tra l'altro.
  Inoltre, anche se tautologico, data la disattenzione di molta giurisprudenza all'articolo 337-sexies, bisogna valutare anche il titolo di proprietà della casa assegnata.
  La Corte di cassazione ha più volte sottolineato come l'assegnazione della casa al coniuge sia un valore economico, ma, in realtà, non sempre c'è un approfondimento. La Corte di cassazione parla di un valore economico pari al valore locativo dell'immobile intero, mentre io l'avevo inteso pro quota, includendo i figli. La Corte di cassazione ci dice «l'assegnazione della casa coniugale ha un valore economico patrimoniale pari al valore locativo dell'intero immobile».
  C'è disattenzione nelle motivazioni e spesso anche nei provvedimenti, quindi, considerando anche che l'articolo il 337-sexies ne parla in relazione ai figli, forse richiamarlo non sarebbe male.
  Si dice anche: «quanto al riferimento della ridotta capacità reddituale sembra assorbita dalla sperequazione che non consentirebbe all'ex coniuge di condurre una vita dignitosa». Nel richiamare la sperequazione tra i redditi, quindi, si reintroduce dalla finestra ciò che si è voluto cacciare dalla porta e si dà la possibilità di un'applicazione non attenta, semplicemente basata sulla sperequazione tra i redditi, peraltro dichiarati, facilitando il ritorno di interpretazioni superficiali.
  Circa «la durata predeterminata dell'assegno», fermo restando quanto già ha detto, penso che tale durata sia assolutamente giustissima, però, nel caso di un assegno stabilito per tre anni, al terzo anno, posso documentare e provare che non sono riuscito a trovare una posizione dignitosa.
  Parlo di posizione dignitosa perché forse tutti possiamo pulire le scale, anche se non so quanto io sarei in grado di farlo, ma quella posizione deve essere dignitosa in ragione di tutta una serie di parametri relativi al pregresso.
  Ci sembra ottimo introdurlo per «il coniuge svantaggiato per età o per condizioni fisiche e personali, che non abbia un'effettiva possibilità di formazione professionale». Ci sembra ottimo introdurlo soltanto in quei casi perché appunto ci sono casi che l'età e le condizioni fisiche non lo consentono. Pag. 11
  Poi, si segnala l'opportunità di prevedere norme transitorie perché bisogna capire se la norma si applica al procedimento in corso. Forse, tale norma si applica già perché siamo in un momento di grande confusione, ma vedremo che cosa diranno le sezioni unite, anche se ci vorrà più di un anno perché lo dicono. Forse, tale norma non si applica già perché, se le regole del gioco si cambiano mentre il gioco è in corso, non è corretto farlo. Sicuramente bisogna prevedere qualcosa e capire se prevederlo ai procedimenti in corso in primo grado o in secondo grado e presumibilmente, come per un criterio interpretativo corretto, bisogna prevederlo per il futuro.
  Queste sono alcune delle considerazioni che abbiamo svolto. Dopodiché, ci riserviamo di depositare il documento e anche dei suggerimenti emendativi rispetto a questa normativa, che ci sembra benvenuta per i motivi che ho detto.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ARCANGELO SANNICANDRO. C'è la possibilità di una corresponsione una tantum, consentita in via contrattuale, ma non in via normale. Ora, che cosa osterebbe a un'introduzione nel nostro ordinamento di una liquidazione di questo tipo, che tenesse conto, comunque, di tutti i parametri di cui avete parlato?
  Faccio un esempio fuori tema per dire che, nel nostro ordinamento, c'è una cosa del genere, ma fuori campo.
  In materia di trattamento di fine rapporto, ossia di un campo di cui mi interesso, c'è quella che prima si chiamava «indennità di anzianità». Negli anni Settanta, ci si chiedeva perché il lavoratore debba avere diritto a una indennità di anzianità dopo trent'anni di lavoro e perché questa debba essere rapportata alla durata del rapporto di lavoro e all'ultima retribuzione corrisposta?
  La risposta fu: quel lavoratore ha contribuito all'espansione e allo sviluppo dell'azienda fino a quel punto, per cui gli diamo quello che rappresenterebbe teoricamente una quota del livello del patrimonio aziendale raggiunto.
  Si tratta di un esempio brutale, però lo voglio fare: poiché avete parlato di durata del matrimonio e del contributo allo sviluppo del reddito familiare e della famiglia in genere, che cosa impedirebbe di introdurre nel nostro ordinamento una norma che consentisse una valutazione che porti a una corresponsione una tantum?
  Condivido il fatto che la società civile lo avverta come una specie di rendita parassitaria, perché questa è l'opinione diffusa ed è inutile negarlo, anche tra conviventi more uxorio. La prima cosa che ti dicono è «lei ha fatto questo» e «lui ha fatto questo», il che è nella natura, nella cultura, quindi si risolverebbero anche tutti i problemi di contrasto ideologico per opinioni e posizioni che si ravvisavano sotto alcuni aspetti. In questa maniera il problema è risolto: tenendo conto di tutti di parametri unificheremmo le posizioni.
  Lo chiedo perché vorrei capirlo, in quanto riguarda una materia di cui non mi occupo.

  PRESIDENTE. Se ho capito, sta dicendo «dare al giudice un'ulteriore possibilità».

  ARCANGELO SANNICANDRO. Sotto un altro profilo, si dice: «tenuto conto di tutte le circostanze il tribunale può predeterminare la durata dell'assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili».
  In questo caso si dice «predeterminare la durata», ma, in fin dei conti, di dovrebbe dire «predeterminare la somma», una volta aperta la strada da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Mi pare che già dai vostri interventi si capisse che c'è un'apertura verso questa strada. Con l'audizione di oggi si conclude l'indagine conoscitiva, che abbiamo voluto fosse ampia perché la materia lo richiede, anzi richiederebbe forse anche ulteriori approfondimenti.
  Vi ringrazio per i contributi di oggi, ma anche per lo scritto già consegnato dalla Pag. 12presidente Mangano e per quello che arriverà dell'avvocato Ruo.
  Domani verrà chiusa la discussione sul provvedimento, per cui sapremo se ci saranno interventi. Dopodiché, ci saranno dati i termini per gli emendamenti.
  In quella fase, credo ci possa essere un ulteriore confronto anche per migliorare il testo perché vorremmo entrare in punta di piedi in una materia che, giustamente, ha una forte elaborazione giurisprudenziale e fare in modo che, se riusciamo a fare un testo almeno alla Camera, questo testo sia equilibrato, ma anche, se possibile, utile.
  Vi ringrazio e dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 16.25.