XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 31 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1994 , APPROVATA DAL SENATO, RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI CRITERI DI PRIORITÀ PER L'ESECUZIONE DI PROCEDURE DI DEMOLIZIONE DI MANUFATTI ABUSIVI

Audizione di Roberto Rossi, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale antimafia di Bari, di rappresentanti dell'Istituto nazionale urbanistica (INU), di Ennio Cillo, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce, di Salvatore De Luca, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e di rappresentanti dell'Associazione Italia nostra.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Rossi Roberto , sostituto procuratore presso la Procura distrettuale antimafia di Bari ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 ,
De Luca Salvatore , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ... 5 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 ,
De Luca Salvatore , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ... 6 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 ,
De Luca Salvatore , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ... 6 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 ,
Cillo Ennio , sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte di Appello di Lecce ... 9 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 ,
Tuccillo Domenico , sindaco di Afragola e presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Campania ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Arcuri Emilio , vicesindaco di Palermo e rappresentante dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 ,
Arcuri Emilio , vicesindaco di Palermo e rappresentante dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 15 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Ragonesi Antonio , responsabile dell'area sicurezza e legalità, politiche ambientali, territorio e protezione civile dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
De Luca Giuseppe , segretario generale dell'Istituto nazionale urbanistica (INU) ... 17 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 ,
Montini Emanuele , consigliere nazionale dell'Associazione Italia nostra ... 18 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 ,
De Luca Salvatore , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ... 21 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 ,
De Luca Salvatore , procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ... 21 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 ,
Sarro Carlo (FI-PdL)  ... 23 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 ,
Tuccillo Domenico , sindaco di Afragola e presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Campania ... 25 ,
Cillo Ennio , sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce ... 26 ,
Tuccillo Domenico , sindaco di Afragola e presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Campania ... 26 ,
Cillo Ennio , sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce ... 26 ,
Arcuri Emilio , vicesindaco di Palermo e rappresentante dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) ... 28 ,
Cillo Ennio , sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Roberto Rossi, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale antimafia di Bari, di rappresentanti dell'Istituto nazionale urbanistica (INU), di Ennio Cillo, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce, di Salvatore De Luca, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e di rappresentanti dell'Associazione Italia nostra.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 1994, approvata dal Senato, recante disposizioni in materia di criteri di priorità per l'esecuzione di procedure di demolizione di manufatti abusivi, l'audizione di Roberto Rossi, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale antimafia di Bari, di Giuseppe De Luca, segretario generale dell'Istituto nazionale urbanistica (INU), di Ennio Cillo, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce, di Salvatore De Luca, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, di rappresentanti dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) e di Emanuele Montini, consigliere nazionale dell'Associazione Italia nostra.
  Ringrazio tutti della disponibilità, anche perché già un'altra volta abbiamo dovuto modificare la convocazione. Vado nell'ordine, anche secondo le indicazioni che ci sono state date e gli orari delle ripartenze, e darei dieci minuti a ciascuno per l'intervento. Cerchiamo di stare nei tempi. Poi ci sarà magari un giro successivo.
  Do la parola a Roberto Rossi, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale antimafia di Bari.

  ROBERTO ROSSI, sostituto procuratore presso la Procura distrettuale antimafia di Bari. Ringrazio per quest'invito. Sono certo che questo incontro sarà proficuo per la presenza anche di tante altre persone che qui possono riferire in ordine a questi argomenti. Parlo anche come rappresentante della procura di Bari per una lunga esperienza nel campo delle indagini di tipo ambientale-paesaggistico e delle demolizioni.
  Parto dall'esperienza della Procura di Bari, perché secondo me può dare alcune indicazioni utili in ordine ai rilievi che si possono fare su questa proposta di legge. La Procura di Bari non ha ordini di priorità sul problema delle demolizioni. Parte da un principio generale, che mi sembra molto importante, e cioè che la demolizione effettuata dall'autorità giudiziaria è, in realtà, suppletiva rispetto a quella dell'autorità amministrativa. Il legislatore ha disegnato questo come uno strumento di supporto alla pubblica amministrazione. Quello che realizziamo prima di procedere all'attività specifica è di stimolare la pubblica Pag. 4 amministrazione a un «dovere istituzionale».
  In particolare, è, a mio avviso, estremamente rilevante e ha interferenza sulla proposta di legge di cui stiamo trattando il problema del raccordo tra l'ordine di demolizione e l'acquisizione al patrimonio comunale del bene. La realtà che spesso ritroviamo è che l'ordine di demolizione amministrativo viene generalmente fatto, non c'è dirigente amministrativo che non lo faccia, e i rappresentanti dell'ANCI qui possono confermarlo.
  La legge dice in maniera molto chiara che, se inottemperato, dopo 90 giorni il bene viene acquisito direttamente al patrimonio. Questo comporta una serie di problemi, tanto che la Corte dei conti è intervenuta in diverse occasioni anche con condanne degli amministratori perché, se il bene, infatti, passa al patrimonio comunale – non occorre la trascrizione, che ha solo effetti rispetto ai terzi ed è immediata – si pongono dei problemi di responsabilità amministrativa da parte degli amministratori che non intervengono o mandando via le persone o acquisendo canoni di pagamento.
  Dico questo – ci insistiamo molto – perché la proposta di legge, ed entro qui direttamente nella vicenda, pone prima di tutto un problema di raccordo molto importante, molto problematico tra la procedura amministrativa e quella giudiziale. Gli ordini di priorità sono posti all'interno della procedura giudiziale. È la procedura giudiziale che deve – poi vedremo che tipo di regole è questo – seguire un determinato ordine. Questo pone una serie di problemi di interferenze con la procedura amministrativa, e si complica già una realtà già molto complessa. Lo pongo come un problema non solo e non tanto dell'amministrazione giudiziaria. Mi pongo il problema dei rapporti con le amministrazioni comunali.
  Non essendoci un ordine di priorità, se un dirigente comunale non fa l'ordine di demolizione o non acquisisce al patrimonio, questo è foriero indubbiamente di «responsabilità» di diverso tipo, sicuramente di tipo contabile o anche, se vogliamo, di carattere penale nel momento in cui vi è una sollecitazione da parte della Procura o del vicino di turno. Questo, quindi, è un primo problema che la proposta di legge non si pone proprio. Non è un problema da poco nella concretezza dei profili.
  Questa proposta di legge parte sicuramente da un'idea giusta, corretta, cioè che vi sono differenze nel momento in cui bisogna fare le demolizioni. È corretto anche che queste regole generali non siano poste dal singolo procuratore quale che sia. Il problema, però, è che se l'idea è giusta, a mio avviso così com'è realizzata pone delle grosse criticità.
  Il primo problema, come ho già evidenziato, è quello del rapporto con un'autorità amministrativa. Il secondo problema è questo: mentre i criteri di priorità delle procure sono interni, i criteri di priorità così come sono costruiti potrebbero avere una rilevanza di tipo processuale, e quindi aprire un contenzioso infinito che può avere e che avrà sicuramente, se così verrà approvato, effetti negativi. Ne avrà sul carico di lavoro, sulla disparità di trattamento dei cittadini – norme a mio avviso abbastanza larghe pongono sempre problemi di disparità ai cittadini – per la conflittualità con la giurisdizione amministrativa.
  Un ulteriore dato è che il moltiplicarsi dei procedimenti giurisdizionali porterà quasi inevitabilmente a un blocco delle esecuzioni. Questo ha una valenza notevole sotto il profilo non solo dell'efficacia del giudicato – qui si pongono problemi tecnici in cui non voglio entrare – ma soprattutto pone problemi dell'efficacia della pena.
  È chiaro che le demolizioni hanno un effetto positivo, al di là di tutto, proprio sulla questione dell'abusivismo. Nel momento in cui si demolisce una casa, abbiamo visto che questo pone una serie di effetti positivi all'interno della diminuzione dei procedimenti. Quali potrebbero essere le soluzioni rispetto a queste questioni?
  Primo, i criteri di priorità debbono essere non derivanti da accertamenti, ma avere un carattere oggettivo. Lì dove introduciamo criteri in cui occorre un accertamento, questo pone dei problemi processuali Pag. 5 enormi. Vi cito un esempio concreto che ho immaginato. Io vado davanti al giudice e dico che il pubblico ministero non ha rispettato i criteri di priorità, perché io, che sto al terzo posto dei criteri di priorità, credo che vi siano degli altri procedimenti che andavano fatti prima. Che cosa deve fare il giudice? Acquisire tutti i fascicoli dei procedimenti? Studiarseli tutti per vedere se il pubblico ministero ha studiato? Questo è, francamente, impossibile.
  Oltretutto, obiettivamente – potremmo leggerceli uno alla volta, ma non credo abbiamo tempo – ognuno di questi comporta problemi di accertamenti enormi sulle soluzioni abitative. Fare, invece, dei criteri di priorità secchi, più semplici, ma legati a fattori automatici, già definiti dalla sentenza passata in giudicato, potrebbe facilitare enormemente e diminuire il contenzioso quasi a zero. Se già è giudicato e definito quell'immobile abitativo in una zona sottoposta a vincolo assoluto, non può esserci discussione. Così come sono formulati, invece, si apriranno enormi casi di discussione.
  Ovviamente, non credo che la soluzione che costituisce il presupposto del procedimento, e cioè quella dell'impatto dei procedimenti penali all'interno della situazione abitativa, possa trovarsi all'interno del giudicato penale, ma questo è un discorso che ci porterebbe molto lontano e non è di nostra competenza.

  PRESIDENTE. La ringraziamo, anche per essere rimasto nei tempi.
  Do ora la parola a Salvatore De Luca, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del tribunale di Palermo.

  SALVATORE DE LUCA, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. La ringrazio, presidente. Spero di essere all'altezza di quanto detto da lei.
  Ringrazio tutti i componenti della Commissione. Dividerò il mio intervento in due parti, una estremamente sintetica di carattere generale, una seconda più specifica in ordine all'articolato della proposta di legge in esame.
  Da un punto di vista generale, devo dire semplicemente che i più grossi problemi legati alla procedura di demolizione sono due. In primo luogo, una procedura a norma di legge non esiste; il secondo problema è dato dal reperimento di fondi per procedere alle demolizioni. Mi aspettavo, infatti, un intervento normativo più completo. Le norme di legge sulla procedura da applicare non esistono. Questa procedura – non voglio fare atto di falsa modestia – ce la siamo inventati Ennio Cillo, qui presente, Ugo Ricciardi e il sottoscritto. E qui mi fermo, ma chiaramente se ci saranno domande sono a vostra disposizione.
  Quanto al reperimento delle risorse patrimoniali, demolire costa, anche se alla fine dovrebbe essere tutto posto a carico del condannato, ma si devono anticipare queste somme. Si è creata una situazione paradossale. In buona sostanza, laddove il procuratore o il suo delegato è bravo a reperire fondi, rectius, trova la disponibilità tramite moral suasion o altro del comune per anticipare le somme, le demolizioni si fanno, altrimenti vanno a rilento.
  La procedura di richiesta dell'anticipazione a Cassa depositi e prestiti, infatti, è abbastanza lenta e presuppone la collaborazione del comune, dal quale la domanda viene avanzata su richiesta della Procura. Non voglio andare nella patologia dell'organo comunale che deliberatamente omette di mandare parte della documentazione, basta che l'organo comunale richiedente faccia un qualunque errore materiale e la Cassa depositi e prestiti, dopo alcuni mesi, addirittura un anno o anche più, rimanda tutto indietro e si ricomincia.
  Questo è il problema veramente fondamentale delle procedure di demolizione, e crea situazioni onestamente imbarazzanti. A Napoli e a Milazzo si demolisce, ma a Messina o a Catania no. Sto parlando a caso, chiaramente, non parlo dei colleghi, mentre la giustizia dovrebbe avere un'uniformità su base nazionale.
  Mi permetto di dire, inoltre, che la Procura nella procedura di demolizione, per quanto di natura amministrativa, compie atti giudiziari: è abbastanza singolare che debba reperire i fondi. Per paradosso, sarebbe Pag. 6 come se io, prima di arrestare una persona, dovessi curarmi di reperire i fondi per trovargli un posto in carcere e, non trovandoli, non lo arrestassi.

  PRESIDENTE. Non succede. Questa linea ci era stata proposta, con il sovraffollamento carcerario, ma non l'abbiamo assunta.

  SALVATORE DE LUCA, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Ci stiamo allenando con le demolizioni a reperire i fondi.

  PRESIDENTE. Ci era stato detto di fare una specie di graduatoria.

  SALVATORE DE LUCA, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Accade con le REMS (Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza) per le misure di sicurezza detentive. Ci sono dei grossi problemi a Palermo. Non abbiamo i posti.
  Sì, abbiamo fatto una giustizia su base regionale: dove ci sono le REMS si applicano le misure di sicurezza, altrimenti aspettano a piede libero. Il procuratore Lo Voi ha scritto anche al Ministero al riguardo.
  Andiamo ora a questa proposta di legge in particolare. Io penso di essere una persona ragionevole, quindi mi rendo conto che dietro alle demolizioni di immobili, per quanto abusivi, abitati, possono esserci delle esigenze sociali, amministrative. Per quanto una casa sia abusiva, può esserci il minore, la persona anziana, la persona diversamente abile. Mi sembra assolutamente ragionevole, quindi questo punto di vista va analizzato. Il magistrato non deve chiudersi nella torre d'avorio. Viviamo in un contesto difficile e dobbiamo tenere conto anche delle esigenze che ci sono, nell'ambito della legge ovviamente.
  Questa proposta di legge, però, è a parer mio assolutamente squilibrata. Non sembra ispirata a criteri di razionalità e, soprattutto, di chiarezza. Se mi darete il tempo, analizzerò punto per punto con estrema velocità l'articolato della proposta di legge. Tanto per cercare di essere chiaro, la recente riforma dei reati tributari ha una sua ratio ispiratrice. La normativa è sufficientemente coerente e chiara, tranne un singolo punto, che riguarda la sospensione delle confische, una cosa che non riguarda l'oggetto della valutazione odierna. Ha, in ogni caso, una sua coerenza, una sua razionalità e una sua chiarezza. Si può condividere o meno la scelta del legislatore, ma questo non tocca a noi magistrati. Il legislatore, nell'ambito del quadro costituzionale, ha ampi poteri per scegliere una via o l'altra.
  Nel caso della proposta di legge in esame, invece, vi sono dei punti apertamente irrazionali e dei punti assolutamente oscuri. Passo ad analizzare la lettera a) del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico in materia di edilizia che l'articolo 1 della proposta di legge è volto ad introdurre, innanzitutto. Non c'è molto da dire. È residuale, teoricamente, perché l'immobile che mette a rischio la pubblica e la privata incolumità in realtà non deve essere sanato con la procedura di demolizione. Se aspettiamo le procedure di demolizione, in tante parti l'Italia ha tutto il tempo di crollare addosso a coloro che vi abitano. Sono altri gli organi preposti ad agire nei casi di urgenza e di incolumità pubblica o privata. Non sarò qui a fare una guerra di religione sulla lettera a). D'accordo, se gli organi preposti non adempiono ai loro doveri, si dia la priorità alla demolizione.
  Con «gli immobili in corso di costruzione o comunque allo stato grezzo e non ultimati» siamo al punto fondamentale. Nei protocolli d'intesa con i comuni che ho avuto modo di siglare per conto degli uffici – ne ho rappresentati diversi – che rappresentavo, sicuramente si dava una priorità agli immobili in costruzione, cioè che chiamavo non definiti. Le sottocategorie, però, erano diverse: immobili in corso di costruzione, priorità assoluta di demolizione, nel caso di zona di inedificabilità assoluta; immobili definiti in zona di inedificabilità assoluta; terza fascia, immobili definiti in zona di inedificabilità relativa; Pag. 7quarta fascia, immobili definiti in zona di inedificabilità relativa.
  In buona sostanza, entra a pieno titolo il criterio della tutela del paesaggio, dell'ambiente e dell'edilizia, cosa che in questa proposta di legge è assolutamente marginale, come vedremo negli altri punti.
  Come nota di mero colore, riguardo alla chiarezza, in molte zone del Meridione dire «comunque allo stato grezzo», non significa dire non abitato, per cui mi pongo il problema con i successivi articolati: se allo stato grezzo è abitato? Questo lo vedremo.
  Si parla poi di «immobili anche abusivamente occupati, utilizzati per lo svolgimento di attività criminali». È abbastanza singolare, ma non starò a fare una guerra di religione su questo. Dico semplicemente che se avessi costruito un immobile abusivo in zona edificabile o anche inedificabile e una banda di spacciatori mi invadesse l'abitazione, mi guarderei bene dal denunciarli perché scatterebbe una delle fasce prioritarie per farmi abbattere la casa. Questo è, dunque, un disincentivo a denunciare l'occupazione abusiva. Tuttavia, sono – ripeto – situazioni molto marginali e successive lettere d) ed e) sono più interessanti. In particolare, la lettera d) riguarda immobili di qualsiasi valore e dimensione, anche se abitati dai componenti della famiglia. In buona sostanza, per essere sintetici, ha a che fare con mafiosi, articolo 416-bis e quant'altro. Anche qui vale l'osservazione che abbiamo fatto in relazione alla pubblica e privata incolumità. Dovrebbe essere, infatti, assolutamente residuale perché in una distrettuale che sa fare bene il suo lavoro i patrimoni mafiosi vengono aggrediti con le misure di prevenzione reali e con l'articolo 12-sexies della legge n. 356 del 1992.
  A ogni modo, anche qui non è il caso di fare guerre di religione perché può residuare qualche casa di mafioso non sottoposta a sequestro per altra via. Qui, però, si dice «anche se abitati», come alla lettera a), «anche nel caso in cui l'immobile sia abitato»; invece, nella lettera e), «immobili di rilevante impatto ambientale o costruiti su area demaniale o in zona soggetta a vincolo ambientale, paesaggistico, idrogeologico, archeologico», non si dice «anche se abitati».
  Lo stesso vale per la lettera f) «immobili complessi o villaggi turistici o comunque oggetto di lottizzazione abusiva». Anche qua, infatti, non si dice «anche se abitati». Quindi, applicando il criterio ubi voluit dixit, dovrei dedurne che i criteri di cui alle lettere e) ed f) si applicano per immobili non abitati.
  Tuttavia, il criterio ermeneutico che ho appena indicato non è troncante, il che significa aprire la porta a un contenzioso inesauribile, fino a quando la Cassazione non avrà un orientamento assolutamente univoco e troncante. Sembrerebbe che il legislatore abbia detto che, in questo caso, non devono essere abitati, perché negli altri punti ha detto «anche se abitati», cosa che qui non dice, ma – ripeto – non è un criterio ermeneutico troncante.
  «Immobili adibiti ad attività produttive di tipo industriale» va bene.
  Il punto in cui si parla di «immobili abitati la cui titolarità è riconducibile a soggetti appartenenti a nuclei familiari che dispongono di altra soluzione abitativa» va rimesso subito in contatto con la lettera m), «immobili abitati, la cui titolarità è riconducibile a soggetti appartenenti a nuclei familiari che non dispongono di altra soluzione abitativa».
  Qui si apre un'altra voragine perché si tratta di accertamenti estremamente complessi che incidono fortemente nella gerarchia delle priorità, che non sono esattamente connaturati alla fase dell'esecuzione e che comunque comportano spesso una probatio diabolica da parte della Procura, soprattutto alla lettera i).
  La mia proposta riguardo a questi punti, ove si volessero mantenere intatti, sarebbe quella di un onere di allegazione della parte nel termine di 60 giorni dal momento in cui ha conosciuto con il primo atto la procedura esecutiva. Questo, infatti, si scontra con delle esigenze della prassi che probabilmente il legislatore non conosce a fondo.
  Vi sono procure, come quella di Palermo di cui mi occupo da circa un anno, che hanno 3.000 procedure di demolizione Pag. 8a partire dal 1993, tutto su cartaceo, perché purtroppo il Ministero non ci fornisce un programma informatico idoneo a selezionare le procedure di demolizione. Quindi, dovremmo visionare 3.000 procedimenti, a partire dal 1993. In più, essendo dei fascicoli per l'esecuzione, alcune notizie non ci sono perché il fascicolo di esecuzione non nasce per accertare determinati requisiti che sono qui previsti, per cui questi 3.000 procedimenti si dovrebbero anche integrare.
  Ora, senza scomodare Karl Popper e l'epistemologia moderna, anche per non fare brutte figure – sicuramente siete tutti in grado di farmi fare cattiva figura – facciamo una piccola simulazione, in relazione alla lettera b), «immobili in corso di costruzione o comunque allo stato grezzo e non ultimati».
  Sono stato procuratore a Barcellona Pozzo di Gotto, nella cui giurisdizione ricadevano anche le isole Eolie, ma ciò vale anche per il procuratore di Agrigento. Abbiamo una serie di scheletri o baracche non ancora definite nella periferia cittadina, in zona anche edificabile, e la mega villa con piscina sotto la Valle dei Templi oppure a Panarea sugli scogli. Come devo procedere? Rientrano nelle fattispecie di cui alla citata lettera b), per cui, rispetto al comma 2 del citato articolo 44-bis che l'articolo unico della proposta di legge è volto ad istituire, devo considerare la gravità della pena inflitta e la data di accertamento del reato.
  Il primo problema è che possono esservi anche più condannati a pene diverse perché la pena ha anche una natura soggettiva, ai sensi dell'articolo 133 del codice penale. Per esempio, se uno ha precedenti penali prende di più di un tizio incensurato. Per la costruzione abusiva vi può essere condanna per il proprietario, il costruttore o colui che se n'è occupato, ma ognuno dei tre ha preso una pena diversa.
  Passando al secondo criterio, gravità della pena e data dell'accertamento non corrispondono. Quale dei due criteri è prevalente? È rimesso al pubblico ministero?
  Inoltre, la data di accertamento del reato spesso può non figurare nella sentenza, quindi devo andare a prendere tutte le carte del procedimento di cognizione perché la data di accertamento è diversa da quella della consumazione, per cui – ripeto – spesso nella sentenza non vi è.
  Ora, diciamo che abbiamo risolto il problema della data della sentenza e della gravità della pena e ritorniamo alla mega villa sotto il Tempio di Agrigento. In base a tutti i criteri – la dosimetria della pena non è una scienza esatta e l'accertamento è un fatto oggettivo, se arrivato – devo demolire prima tutte le baracche alla periferia di Agrigento e per ultima mi tocca la mega villa alla Valle dei Templi in costruzione con piscina, il resort o il mega albergo.
  Mi pare sinceramente irrazionale, ma ho le mani legate perché – comma 3 del citato articolo 44-bis del testo unico in materia edilizia – il pubblico ministero può derogare all'ordine dei criteri indicati al comma 1, ad eccezione di quelli di cui alle lettere i), l) ed m), con riferimento al singolo caso e specificamente motivato. Quindi, non posso fare deroghe al comma 2; pertanto non posso dire, con decreto motivato, che demolisco prima la mega villa sotto o «appiccicata» alla Valle dei Templi perché la legge me lo consente. Non posso emettere un provvedimento motivato che deroghi ai criteri di cui al citato comma 2.
  Ultimo punto, gli «altri immobili non compresi nelle categorie sopra indicate» di cui alla lettera l), non ho capito sinceramente quali siano. È certamente per mia pochezza perché ci sono tutti, abitati e non abitati, che hanno fatto danno ambientale o meno, e così via. Insomma, non so quali siano queste ipotesi residuali che, tra l'altro, sono tenute in grande considerazione perché non sono derogabili, neanche con decreto motivato.
  Se mi è consentito, faccio una proposta. Come ho già detto, non sono contrario in assoluto ai criteri di priorità, ma a criteri così strutturati, sia da un punto di vista tecnico, sia per l'incertezza del destinatario.
  Chi è il destinatario di questa norma, il singolo pubblico ministero? Quali sono i rimedi processuali se il pubblico ministero non adempie a questi criteri di priorità, gli Pag. 9incidenti di esecuzione per ottenere la sospensione? Anche qui, in base quale criterio?
  Partiamo all'esperienza alla Procura di Palermo. Ho trovato 3.000 procedimenti a partire dal 1993. L'interessato si può limitare a fare un'istanza al giudice dell'esecuzione e chiedere di verificare se è effettivamente il primo, per cui occorre controllare tutti e 3.000 procedimenti, o fa un'istanza alla Procura che è obbligata a rispondergli e a dargli copia dei propri elenchi?
  Ebbene, tutto questo non è disciplinato, per cui anche qui si potrebbe aprire un contenzioso a non finire perché un giudice potrebbe dichiarare l'incidente di esecuzione inammissibile in quanto assolutamente generico; un altro potrebbe, invece, dire alla Procura di tirare fuori i criteri, cioè gli elenchi fatti in base ai criteri di priorità. Ecco, tutto questo non è detto.
  Allora, vengo alla mia proposta. Il legislatore più volte si è occupato di criteri di priorità, ma non nella fase dell'esecuzione – questo è un novum assoluto – ma in quella del processo. La norma più rilevante al riguardo è l'articolo 132-bis delle norme di attuazione, «formazione dei ruoli di udienza e trattazione dei processi». Stiamo parlando di materia pure abbastanza delicata, cioè di detenuti e di cittadini che chiedono giustizia. Insomma, non stiamo discutendo di quisquilie.
  La norma, però, elenca dei criteri di priorità, ma non produce una rigida gerarchia non superabile. L'articolo 132-bis delle norme di attuazione non dà natura direttamente processuale ai criteri di priorità, ma dice che «i dirigenti degli uffici giudicanti – è rivolta ai processi, quindi uffici giudicanti – adottano i provvedimenti organizzativi necessari per assicurare la rapida definizione dei processi per i quali è prevista la trattazione prioritaria».
  In buona sostanza, secondo il mio modesto parere, si potrebbero organizzare dei criteri di priorità, tenendo conto anche del danno ambientale e paesaggistico, cioè della gravità del fatto, e come nel caso del citato articolo 132-bis delle norme di attuazione, dare il dovere al capo dell'ufficio di adottare, nel documento organizzativo, tutti i provvedimenti organizzativi idonei perché siano rispettati i criteri di priorità.
  In altri campi, questo ha funzionato. È un'assunzione di responsabilità da parte del dirigente, che non crea rigidità e tutte le problematiche processuali che ingolferebbero e toglierebbero ulteriori energie processuali alla macchina della giustizia, già in difficoltà per un eccesso di sovraccarico. Infine, probabilmente, si otterrebbe un risultato migliore anche da un punto di vista di giustizia sociale.

  PRESIDENTE. Grazie anche di questo contributo, su cui la Commissione e il relatore rifletteranno.
  Do ora la parola al dottor Ennio Cillo, sostituto procuratore generale presso la Procura generale di Lecce. Questi sono i territori più martoriati da questa problematica, ma anche quelli in cui c'è stata una presa di coscienza anche da parte degli uffici giudiziari.

  ENNIO CILLO, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte di Appello di Lecce. Per brevità ho comunque portato qualcosa di scritto. Sono stati decisamente territori martoriati dall'abusivismo, anche se non tutti e non in tutte le parti. Qualche mese fa, però, ho avuto la sensazione del miracolo. Infatti, dopo quasi 15 anni di lavoro sul progetto pilota per le demolizioni portato avanti dalla Procura generale, con una procedura molto articolata, ma anche di semplice applicazione, che il Consiglio Superiore ritiene una buona prassi e che oramai è diffusa in molte procure italiane (vi ho portato una copia perché immaginavo che per brevità non avrei potuto soffermarmi), siamo arrivati al risultato di ottenere circa 250 demolizioni. Di queste 250 demolizioni la gran maggioranza sono autodemolizioni, cioè demolizioni seguite direttamente dall'interessato nel momento in cui è stata attivata la procedura di demolizione e sono state superate le opposizioni. Questo ritmo di demolizioni effettive ha invertito dopo oltre dieci anni di lavoro la concezione che si poteva impunemente realizzare le costruzioni Pag. 10 abusive, e la mentalità si è invertita al punto tale che è intervenuta la convinzione che ormai, rispetto all'ordine di demolizione, non c'è più niente da fare, anzi conviene attivarsi per demolire direttamente, anche perché quasi sempre la pena è sospesa a condizione che si demolisca e perché, con prassi altrettanto corretta e rigorosa, gli uffici di esecuzione non concedono benefici penitenziari a chi non ha ottemperato con la demolizione.
  In un quadro generale, siamo riusciti ad arrivare al punto che lo scorso anno, quindi per il 2015, rispetto alle migliaia di demolizioni iniziali, abbiamo avuto circa 50 sentenze di condanna per demolizione per abusi da eseguire in tutto il Salento. Questo vuol dire che avremo 30 autodemolizioni; 10 si risolveranno e 10 le demoliremo d'autorità. Insomma, in un anno siamo in condizione di eseguire 50 demolizioni. Pertanto, per l'anno prossimo abbiamo l'obiettivo di azzerare l'aumento di costruzioni abusive sul territorio, iniziando gradatamente, sia pure in maniera simbolica, a recuperare terreno rispetto al passato, soprattutto mettendo un punto fermo a un fenomeno che sembrava endemico.
  Riguardo a queste procedure, è importante che si sia prospettato un criterio logico di demolizione proposto dal legislatore. Siamo tutti d'accordo, infatti, con la logica di graduare. I vari protocolli – primo il nostro, esattamente come tutti gli altri – adottano questi criteri. Evidentemente, io ho demolito prima la casa del grosso trafficante di droga perché nel paese non aveva senso presentarsi a demolire le case dei normali cittadini, se prima non avessimo avuto la capacità, l'impegno e la determinazione di demolire quella. Il risultato è stato che dopo aver demolito quella non c'è stato bisogno di andare a demolire le altre, perché gli altri si sono adeguati spontaneamente.
  In tutto questo, i criteri che di volta in volta abbiamo utilizzato sono di opportunità e hanno una certa elasticità. Ci sono mille situazioni diverse rispetto alle quali è comunque urgente intervenire. Per esempio, c'è chi ha completato l'abitazione dopo la sentenza di condanna, rifacendo l'abuso, dunque ne ha fatto uno più recente, compiendo tre violazioni dei sigilli ed è riuscito a portare in porto l'abitazione. Ecco, questo è significativo perché non possiamo dimostrare che chi fa tre violazioni di sigilli e non tiene conto della prima sentenza di condanna non venga sanzionato.
  Tutto questo fa parte di una logica di intervento. Così come, pur avendo la demolizione finanziata direttamente dalla regione – abbiamo acquisito, anche con una legge regionale, personale amministrativo che collabora in tutto questo, anche per evitare situazioni di difficoltà di trattamento là dove non vi sia il finanziamento comunale – di fronte alla circostanza di una casa, nella quale è emerso dopo che avremmo creato una grave situazione di disagio sociale, mettendo la famiglia di ragazzi disoccupati con il bambino appena nato in mezzo alla strada, nonostante il finanziamento della regione, nonostante fosse una priorità sulla quale ci eravamo impegnati, l'abbiamo messa da parte.
  Ci vogliono, quindi, i criteri, ma ci vuole anche l'elasticità, ci vuole anche la logica. Nel momento in cui proponiamo invece dei criteri rigidi da applicare, paralizziamo completamente questo tipo di lavoro. Non solo: se, anche se non è questa la volontà del legislatore, si avrà la percezione che questo sistema costituisce un escamotage praticabile, avremo la paralisi di tutto questo lavoro virtuoso al quale lavoriamo da oltre dieci anni.
  Vi faccio un esempio: la prima opposizione in sede di esecuzione mi è stata fatta sul testo di legge approvato dal Senato, con la richiesta di sospendere l'esecuzione fino all'approvazione definitiva del provvedimento, e non era una prima casa, era un'abitazione di tutt'altro genere.
  Attenzione, quindi, perché, sia pure con le migliori intenzioni, rischiamo non di graduare un recupero del territorio, ma di paralizzare un intervento di questo genere.
  Passando all'esame del testo, condivido quanto è stato detto prima di me: il comma 2 dell'articolo 44-bis del testo unico in materia edilizia che l'articolo unico della proposta di legge è volto ad introdurre è paralizzante, intanto perché è escluso dalle Pag. 11possibilità di deroga. Le deroghe singole, motivate riguardano i criteri del comma 1 del medesimo articolo 44-bis, per il comma 2 non è prevista alcuna possibilità di deroga.
  Sappiamo tutti che in ogni Procura le procedure sono centinaia o migliaia, stabilire ogni volta quale sia la più remota o la più recente, perché lì non dice se il criterio di priorità sia la più remota o la più recente, ma solo che «si adottano criteri di priorità temporale» è complicato.
  Se potessi aggiungere un suggerimento, direi che conviene partire dalle più recenti e gradatamente risalire a quelle remote, ma ci può essere un significato anche nel demolire un'opera remota ma particolarmente significativa, perché emblematica di una illiceità ambientale, e io non posso essere vincolato al dover esaurire prima un'intera categoria di opere, anche perché per la molteplicità di situazioni che abbiamo non riusciremo mai ad esaurire un'intera categoria, quella magari degli scheletri abbandonati, prima di passare a quella delle case in zona paesaggistica.
  I criteri di tempo e di gravità previsti dal citato comma 2 e considerati inderogabili a mio avviso non hanno quindi alcuna ragione d'essere e – consentitemi sottovoce – giuridicamente sono anche sbagliati, perché la gravità della condanna non equivale a gravità dell'abuso, un incensurato può fare un abuso grave oppure un pluripregiudicato per altri reati può prendere una condanna grave per un abuso leggero in zona non vincolata.
  Anche questo è tutto da ripensare, però, a mio avviso, innanzitutto andrebbe indicato nella premessa che si tratta di criteri orientativi. Mi sono permesso, nelle brevi note che vi ho trasmesso, di dire che l'articolo 44-bis potrebbe contenere questa considerazione: il pubblico ministero interviene quando opera le demolizioni, «osserva i criteri di priorità in linea di massima e salvo che ciò comprometta la complessiva e tempestiva esecuzione delle sentenze, tenuto conto del numero e della complessità delle demolizioni da eseguire e assicurandone comunque l'effettività».
  Mi sembra condivisibile anche l'idea del collega De Luca che potrebbe demandare l'applicazione di questi criteri, pure specificati come complessiva priorità, ai capi degli uffici nella loro determinazione.
  Consentitemi, poi, di dire che prevedere undici categorie non è realistico, anche perché alcune potrebbero essere concentrate. Intanto quelli pericolanti non soltanto se già accertati. Se anche se non è stato accertato ma vediamo uno scheletro e sappiamo tutti che è pericolante, anche se non c'è formalmente l'accertamento consentiteci di andarlo a demolire prima degli altri. Quindi intanto «se pericolanti», poi come categorie sicuramente riunirei quelle di cui alle lettere a) e b) del comma 1 del citato articolo 44-bis, in quanto ben possono stare insieme.
  Sicuramente poi vanno riuniti gli immobili sottoposti a vincoli paesaggistici con i villaggi turistici e le lottizzazioni, altrimenti dovremmo prima demolire tutte le singole costruzioni in zona paesaggistica, anche le più modeste, un'opera che non finirà mai, e solo dopo quel «mai» potremo cominciare a demolire i villaggi, ovvero le zone lottizzate, e questo è non senso che si introduce se riteniamo questi criteri rigorosi e vincolanti, si supera se riuniamo le categorie e al loro interno conserviamo un margine di valutazione di opportunità che ci consente delle scelte.
  Occorre sicuramente un approfondimento dal punto di vista tecnico-giuridico intanto quando parliamo di opere ultimate e opere non ultimate: ultimate o non ultimate al momento dell'accertamento della polizia giudiziaria o al momento della sentenza di condanna di primo grado?
  Sicuramente non oltre, perché altrimenti subito dopo la sentenza di condanna (già dopo la sentenza di condanna quando la dissequestri continuano i lavori) scateneremmo la corsa al completamento dell'edificazione abusiva, perché a quel punto, completata l'edificazione abusiva sia pure dopo la condanna, la casa è diventata ultimata e non rientra più nella categoria più a rischio di demolizione, ma a quel punto consegue una doppia impunità, perché già sei stato condannato e hai proseguito l'opera, Pag. 12 con il vantaggio che a quel punto non ti viene demolita l'abitazione.
  Ci siamo accorti ad esempio che facevano una serie di patteggiamenti perché così le dissequestravamo subito e potevano proseguire i lavori. Siamo andati a recuperarli tutti uno per uno, però bisogna purtroppo vivere in questo contesto per verificare.
  Ultimo segnale di allarme che volevo lanciare: quando si parla di abitazioni rispetto alle quali ci sono soggetti che hanno una posizione di titolarità giuridica, bisogna fare attenzione: se parliamo della situazione al momento dell'accertamento e della qualità di proprietario del soggetto condannato, se si è preso la condanna, salvo che non fosse la norma, come spesso si faceva in termini di edilizia, può essere che sia effettivamente il soggetto interessato, ma se parliamo solo di una generica situazione di titolarità, immediatamente tutte le case abusive saranno affidate per il breve periodo in cui proverai a fare l'esecuzione in comodato gratuito all'indigente di turno.
  Avremmo quindi la corsa a cercare una testa di legno da inserire nell'abitazione solo per il periodo (tanto è un comodato gratuito) in cui c'è il rischio che venga attivata la demolizione.
  Scusate l'enfasi, scusate la passione, ma sono talmente tanti gli anni che abbiamo dedicato a questo progetto e anche quella che speriamo non sia un'illusione di vedere finalmente dei risultati concreti che si vanno prospettando, che tutto questo provoca una certa attenzione. Vi prego di leggere queste indicazioni non come una valutazione assolutamente negativa o come un'iniziativa giudiziaria non attenta a questi valori, che comunque sono valori costituzionali ai quali doverosamente dobbiamo porre attenzione, però costituzionalmente l'ambiente è insuscettivo di essere subordinato a qualunque altro, quindi prima di stabilire dei criteri rigidi, che magari involontariamente creino un paradosso e non consentano di eseguire una demolizione che costituisce un vero recupero ambientale, è necessario rivedere e rivalutare a fondo le problematiche che questa proposta di legge pone.
  Vi ringrazio molto di avere avuto l'attenzione di interloquire anche con quelli che vivono concretamente questa situazione ogni giorno.

  PRESIDENTE. Grazie. Adesso abbiamo l'ANCI, l'INU e Italia Nostra. Questo provvedimento si rivolge alle procure, quindi abbiamo chiamato prima qualche Procura che è calda ed esperta sul tema.
  Questo è il mio punto di vista sul provvedimento. Stiamo andando sul costruttivo, cercando di capire i punti critici di questa normativa che esistono sicuramente, altrimenti non ci saremmo trovati in questa situazione, perché il Senato ha voluto rappresentare una problematica che credo esista.

  CLAUDIA MANNINO. Intervengo sull'ordine dei lavori. Visto che questa è la Commissione giustizia, volevo chiedere se non fosse possibile spezzare le audizioni in due parti, anche contingentando molto i tempi, tra le domande da fare alla magistratura e le domande da fare ai portatori di interessi, ANCI, INU e Italia Nostra.

  PRESIDENTE. Questo è un suggerimento che si potrebbe accogliere anche perché così liberiamo anche gli auditi. Siccome però i partecipanti non sono molti, potremmo anche andare avanti, quindi diamo subito la parola ai rappresentanti di ANCI Domenico Tuccillo che, oltre che sindaco di Afragola, è Presidente ANCI Campania, Emilio Arcuri, vicesindaco di Palermo, Antonio Ragonesi, responsabile sicurezza e legalità, politiche ambientali, territorio e protezione civile ANCI, e Laura Albani, responsabile protezione civile, ambiente, porti e aeroporti dell'ANCI.
  Abbiamo, quindi rappresentanza, di Campania e Sicilia dell'ANCI, oltre ovviamente alla rappresentanza dell'ANCI nazionale.

  DOMENICO TUCCILLO, sindaco di Afragola e presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Campania.Pag. 13Grazie, presidente, anche dell'opportunità di partecipare a questa riflessione e di aver ascoltato gli esponenti della Procura. Mi sembra, infatti, che, pur trattandosi di materia incandescente specie per alcuni territori, che finisce per esplodere in contrapposizioni molto violente, se non in guerre di religioni, l'impostazione molto ragionevole e propositiva che è stata espressa possa aiutarci a compiere qualche passo avanti rispetto a un testo normativo che ovviamente – sottolineo «ovviamente» perché non occorre essere giuristi di alta scuola per capirlo – ha i caratteri della parzialità e dell'emergenzialità, oltre che essere un articolato legislativo abbastanza grezzo, una specie di immobile non finito.
  Queste condizioni non consentono di svolgere quello che dovrebbe essere il compito di questa istituzione, cioè di affrontare una problematica che ormai è diventata massiccia e massiva, perché i fenomeni dell'abusivismo hanno acquistato una tale rilevanza, una tale massa critica che, se non vengono affrontati con spirito molto realistico, con la consapevolezza di uno stato di fatto e, quindi, della necessità di governare e dare risposta a questi problemi, si rischia di andare soltanto su soluzioni emergenziali oppure – peggio ancora – di lasciare le cose così come stanno.
  Siamo, quindi, di fronte a due soluzioni, che di per sé non sono la soluzione ottimale. Il tema andrebbe affrontato con ben altra capacità di approfondimento e di riflessione sul piano urbanistico, sul piano del ruolo dei comuni nella pianificazione urbanistica, su quello che potrebbero fare i comuni dal punto di vista del riordino del territorio, perché le situazioni sono molto diverse, spesso si tratta di un abusivismo che si realizza in zone senza problematiche idrogeologiche o vincoli paesaggistici che quindi potrebbero essere riordinate in modo diverso.
  Tutto questo sfocia nel punto richiamato dal procuratore De Luca in merito agli strumenti operativi e finanziari di cui i comuni da una parte e la procura dall'altra dispongono o, per meglio dire, non dispongono.
  Questo crea un ginepraio e un groviglio di rapporti di responsabilità tra le procure e tra i sindaci, che spesso diventa una specie di caccia all'uomo nei confronti dei sindaci, che si trovano a gestire un problema molto più grande di loro, perché parlare di 70.000 edifici abusivi in Campania certificati, più quelli in corso di definizione, vuol dire pensare di abbattere una città delle dimensioni superiori a quelle di un capoluogo.
  Questo è lo stato dell'arte ed è veramente penoso dover affrontare la problematica nei termini in cui ci viene sottoposta oggi, quindi, come ANCI, assumeremo un'iniziativa e ci faremo parte attiva per affrontare le problematiche in modo molto più serio e adeguato, sperando che poi nelle sedi istituzionali possano essere recepite e discusse.
  Per quanto riguarda invece la proposta che è alla nostra attenzione, la valutazione che esprimiamo, fatte le dovute premesse, è che, comunque, essa possa costituire un'opportunità per dare una prima risposta, una prima soluzione al problema. Ovviamente questo deve significare che le osservazioni e le condizioni poste oggi qui (e immagino che anche ieri siano stati ascoltati altri procuratori) e quelle di tutti coloro che hanno titolo per contribuire a una riflessione e a un miglioramento del testo possano essere accolte, a partire dai criteri che devono essere di carattere più oggettivo anziché soggettivo, a partire dalla richiesta di alcune procure, per quanto riguarda gli abbattimenti che sono il risultato di sentenze definitive passate in giudicato, di poter attingere a fonti di finanziamento dirette da parte della procura, senza dover passare necessariamente attraverso quest'interfaccia con i comuni, che assume una serie di complicanze e di farraginosità certamente notevoli.
  Queste sono probabilmente delle correzioni al testo che devono essere apportate e che possono mettere effettivamente in condizioni di avere un dettato normativo più adeguato e più rispondente ai criteri di razionalità che venivano richiamati dal procuratore De Luca e che dia certezza giuridica. La situazione peggiore sarebbe Pag. 14veramente quella di trovarsi poi in una condizione in cui si aumenta addirittura l'incertezza giuridica e, quindi, si complica ancora di più una matassa che è già sufficientemente complicata e aggrovigliata.
  La posizione che, come ANCI Campania in particolare, mi sento di esprimere è questa, ossia di cercare oggi, di fronte a un provvedimento emergenziale che è il frutto dell'assenza della politica rispetto a un fenomeno di questa gravità e di questa dimensione che si continua a non voler affrontare con un intervento legislativo più organico e più adeguato, di cogliere l'opportunità di questa legge, apportando le correzioni che il caso richiede, per poter avere una prima risposta a un problema che in qualche modo è nato nelle procure stesse. Sono le procure stesse che hanno dovuto iniziare a stabilire dei protocolli per individuare delle priorità.
  In questo senso saremmo, anche qui, di fronte a una situazione un po’ curiosa, perché non ci sarebbe nemmeno omogeneità e ogni procura finirebbe per fare il protocollo a modo suo. Ogni amministrazione e ogni sindaco finirebbero per fare una scala di priorità a modo proprio. Avere un'omogeneità e delle certezze in questo senso, che non vincolino in modo rigido quelle che devono essere anche la discrezionalità e la valutazione dei procuratori, penso possa essere un'occasione da cogliere, in attesa che, come spero, si voglia poi affrontare più adeguatamente questo problema.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola adesso a Emilio Arcuri per ANCI Palermo e poi ad Antonio Ragonesi.

  EMILIO ARCURI, vicesindaco di Palermo e rappresentante dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Ci state offrendo la possibilità di esprimere un punto di vista che – confermo quanto diceva il sindaco di Afragola – è un punto di vista assolutamente positivo e propositivo. Credo che il senso da parte nostra sia questo, come anche il senso della convocazione da parte vostra.
  Vorrei partire da una considerazione generale e non parlare nel dettaglio. Farò soltanto un riferimento alla proposta di legge. La considerazione è questa, in qualche modo storica: non possiamo più valutare queste vicende legate all'abusivismo edilizio come abbiamo fatto negli anni tutti noi, ossia quelli che c'erano ed erano in età della ragione, negli anni Sessanta, Settanta e ancora negli anni Ottanta, affrontando la questione dell'abusivismo edilizio come un problema di tipo urbanistico-edilizio.
  Mentre un manufatto abusivo era in costruzione, non ci sono stati, spesso – ahimè, duole dirlo – per motivi di consenso da parte dei sindaci del tempo, interventi interruttivi efficaci e quello che era un manufatto edilizio è diventato poi una casa o un albergo, cioè ha svolto una funzione sociale. Non era semplicemente una successione di pilastri, di tamponamenti dei muri e di partizione interna degli ambienti.
  Oggi dobbiamo, secondo me, affrontare – questo è il senso, che colgo fino in fondo in questo tentativo di costruire una gerarchia – il tema dal punto di vista proprio del problema sociale che affrontiamo, che è quello che viviamo ogni giorno come sindaci e assessori. Ci tornerò.
  I tempi che ho citato erano quelli in cui le definizioni erano le più bizzarre. Le richiamavamo prima di entrare qui. Me ne ricordo tre clamorose. Una era «abusivismo di necessità», come se ci fosse poi un abusivismo contrapposto, ossia un abusivismo di virtù. Un'altra era la «pianificazione dal basso». Addirittura qualcuno parlava di pianificazione democratica, con i cittadini che costruiscono le loro città, fuori non dalle regole, ma dai vincoli che opprimono la piccola imprenditoria e il desiderio di farsi la casa. La più bizzarra forse delle definizioni di allora era quella dell’«edilizia spontanea»: si prende l'innaffiatoio, si butta un po’ l'acqua e l'indomani spunta un pilastro.
  Siamo oggi in un'altra fase. Il dottor De Luca – non tocca a lui dirlo, ma lo dico io, perché per me questa è ragione di vanto, se posso dire così – è stato il promotore della sottoscrizione di un protocollo d'intesa tra la procura di Palermo e il comune di Palermo in cui c'è un tentativo serio, che mi permetto di richiamare brevemente, di Pag. 15fare, come si dice in questi casi, una riforma senza la riforma, ossia un'operazione nel concreto che consenta di estrapolare princìpi e metodologie di intervento utili.
  Vado davvero rapidissimamente per sintesi e cito proprio le frasi. «Saranno individuati di comune accordo con atti formali gli immobili che saranno demoliti e si procederà a eseguire le demolizioni tenendo conto tendenzialmente delle priorità anche in relazione alle condizioni del manufatto e allo stato dei luoghi». C'è già una prospettazione che in qualche modo definisce gerarchie. Ci torno più avanti.
  «Saranno, in ogni caso, con precedenza individuati i manufatti abusivi eseguiti nell'ambito di lottizzazioni abusive o nella disponibilità di soggetti ai quali è applicata una misura cautelare o una misura di prevenzione per fatti di criminalità organizzata. Potranno in ogni caso decidere di procedere – sempre congiuntamente procura e comune – alla demolizione congiunta di quelle opere che, in qualunque epoca eseguite, configurino comunque un palese caso di intollerabile offesa al patrimonio urbanistico e ambientale circostante. L'esecuzione delle opere demolizione a opera del comune dovrà essere svolta entro un congruo termine». Ci si assegnavano 90 giorni. Questo è relativo, ovviamente. Non è un termine perentorio, bensì ordinatorio, ma è sempre bene tenerne conto.
  «Le fasi di intervento di cui al precedente articolo 3 vengono così determinate: prima fascia: opere non completate e realizzate in zone di inedificabilità assoluta; seconda fascia: opere completate e non completate realizzate in zone di inedificabilità assoluta».

  PRESIDENTE. Possiamo anche prendere il documento, come suggeriva il relatore, su questo punto. Acquisiamo il documento.

  EMILIO ARCURI, vicesindaco di Palermo e rappresentante dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Credo che senz'altro come materiale di discussione possa essere utile.
  «Opere non completate realizzate in zone di inedificabilità relativa; opere completate realizzate in zone di inedificabilità relativa o non destinate a residenza abituale (cosiddette seconde case); tutte le altre opere abusive a partire da realizzazione ex novo in centri abitati, rispetto a quelle in zone periferiche e rispetto agli ampliamenti di preesistenti edifici, con precedenza di manufatti più consistenti».
  Fin qui, come vedete, in assenza di riforma, alcuni criteri di razionalità, buonsenso e condivisione di contenuti hanno portato la Procura di Palermo, come immagino sia avvenuto a Lecce e in altri posti in cui questi protocolli hanno fatto un po’ da battistrada, a individuare dei criteri.
  Qual è il limite principale? Ne parlavamo poco fa con il presidente dell'ANCI regionale. Questo provvedimento che guarda le procure, in realtà, guarda le procure perché dichiara apertamente quello che è, ma non può, secondo me, non tenere conto del secondo binario, che è quello dei comuni. Il migliore provvedimento che parla alle procure, se non parla anche ai comuni che devono eseguire poi materialmente – di questo si discute – le demolizioni, è un provvedimento che ha una sua debolezza intrinseca. Mi sembra che questo sia un elemento critico da rilevare.
  Peraltro, i limiti legati alla circostanza che si tratta di interventi che incrociano la convivenza civile non vengono menzionati qui, tranne nella lettera m) del comma 1 dell'articolo 44 del testo unico in materia di edilizia che l'articolo 1 della proposta di legge è volto ad introdurre. Poco fa qualcuno faceva riferimento – mi pare il procuratore di Lecce – alla circostanza che talune famiglie potrebbero, in caso di uno sgombero propedeutico a una demolizione, mettere dentro qualcuno, come una donna in stato di gravidanza, o fare trovare dei bambini.
  In realtà ciò è accaduto. L'ultima demolizione che non siamo riusciti a fare a Palermo è esattamente di questo tipo, con l'assistente sociale che ci diceva: «Scusate, ma questi dove li mandate? Li cacciate via da qui. Sono minori. Dove vanno?» Questo Pag. 16è uno dei problemi, ossia la prima casa e la presenza di soggetti in condizione di svantaggio o di soggetti minori.
  Un altro problema connesso, che può fare lievitare anche i costi – su questo torno rapidamente concludendo – è quello legato ai pericoli dell'intervento di demolizione. Che cosa intendo dire? Se un cittadino riesce finalmente ad averla vinta su chi ha fatto l'abuso al quarto piano sopra la sua testa, quando si interviene, si ha il problema di garantire un fatto tecnico, ossia la sicurezza nella demolizione di quelli che stanno al piano di sotto.
  Addirittura, prima di procedere alla demolizione di un immobile realizzato nella «collina del disonore di Palermo», che è Pizzo Sella, abbiamo dovuto fare e ancora stiamo ultimando i lavori di messa in sicurezza di questo immobile per poterlo demolire evitando che precipiti sotto.
  Sono tutti temi dei quali, secondo me, la procura non si deve occupare, ma sono problemi che incontrano i sindaci, problemi sociali o anche legati alla sicurezza. Talvolta – è vero, non ne faccio mistero – alcuni comuni, dietro l'alibi delle risorse che non c'erano, si sono garantiti. Questo per alcuni può essere un alibi, ma il problema è reale, tanto più in relazione alle nuove norme che riguardano la contabilità degli enti locali.
  Palermo non ha, allo stato, questo problema, perché ha una società edile in house con operai assunti negli anni Novanta che sono edili e sono ormai a concludere la loro esperienza, come tutti i vecchi operai. Operiamo con questi laddove possibile, tenendo conto di questo protocollo e anche di quei richiami che, molto opportunamente, la procura della Repubblica di Palermo fa al sindaco di Palermo, in particolare all'assessore delegato e a me, dicendo: «Proseguiamo con le demolizioni, perché questo ritmo non è un ritmo adeguato a questo protocollo d'intesa». Ha ragione la procura. Dobbiamo proseguire su questa strada per riuscire dappertutto a realizzare le demolizioni possibili nel tempo e nella situazione dati.

  PRESIDENTE. Grazie. Antonio Ragonesi ha un documento oppure vuole dire qualcosa?

  ANTONIO RAGONESI, responsabile dell'area sicurezza e legalità, politiche ambientali, territorio e protezione civile dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Presidente, faremo pervenire poi un contributo scritto con delle osservazioni puntuali. Mi premeva sottolineare semplicemente l'aspetto legato ai costi, a questo doppio binario. La parte che riguarda la responsabilità amministrativa l'abbiamo stimata in almeno 5 miliardi di euro e il fondo istituito con la legge n. 221 del 2015, per cui stiamo cercando anche proattivamente di fornire un supporto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha una dotazione limitata di 10 milioni di euro.
  È vero che si è detto che si tratta di somme da anticipare per poi procedere, ma da questo punto di vista crediamo che la disparità, la forbice rispetto alla situazione attuale, con un dato accertato solo dalle Polizie municipali nell'anno 2014 di oltre 12.000 nuove situazioni, faccia propendere effettivamente nella bilancia verso un fenomeno più di carattere sociale che non legato all'abusivismo edilizio. Da questo punto di vista l'ANCI è disposta anche a mettere a disposizione la propria rete di esperti, se fosse necessario, per approfondire delle proposte nella direzione che è stata esposta dalla delegazione che ha parlato prima.
  In ultimo, la questione molto semplice da riferire è quella di ricorrere preferibilmente a parametri oggettivi, come si è detto, e di sottoporre questo tema rispetto alla questione di vincolo di non edificabilità assoluta come principale questione su cui ragionare e poi, a seguire, gli altri. Crediamo che questo sia preferibile.
  Faremo poi pervenire una nota scritta da parte dell'associazione. La ringrazio ancora per l'occasione e l'opportunità che ci ha offerto.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola a Giuseppe De Luca, segretario generale dell'Istituto Pag. 17 nazionale urbanistica (INU), e poi a Emanuele Montini di Italia Nostra.

  GIUSEPPE DE LUCA, segretario generale dell'Istituto nazionale urbanistica (INU). Buon pomeriggio. Sono segretario generale dell'INU e insegno urbanistica alla facoltà di architettura a Firenze da molti anni. Vi ringrazio e ringrazio la presidente. Abbiamo preparato un documento che abbiamo lasciato. Ve lo sintetizzo brevemente per lanciare proprio una sorta di accorato appello anche soprattutto per la presenza dei sostituti procuratori. Alcuni li monitoriamo. Monitoriamo, per esempio, il «modello Palermo», che è molto interessante, secondo noi.
  Volevo dire velocemente alcune cose. L'INU si è sempre opposto ai condoni edilizi. Con forza diciamo che l'esito dell'attuale disastro di molte parti del territorio, specialmente nel Sud, sono questi condoni negli ultimi trent'anni e soprattutto l'attesa che questi condoni hanno destato e destano. Questo soprattutto perché il filone condono è stato messo solamente all'interno della filiera fiscale e/o della filiera della repressione e non tanto sotto un profilo di natura squisitamente di progettazione di territorio.
  Ahimè, la richiesta che facciamo, anche attraverso questa Commissione e magari anche discutendo di questa proposta di legge, che potrebbe essere rivista integralmente, è che la questione condono, così come il bilancio, venga messa in una norma costituzionale. Solo così, pensiamo, gli amministratori pubblici, gli uffici tecnici e soprattutto l'apparato giudiziario hanno la possibilità concreta di far riferimento a una norma di principio di natura generale per cui nessun condono sia più possibile in questo Paese. Questo assume la stessa forza culturale che ha poco fa indicato il sostituto procuratore di Lecce Cillo, perché è una sorta di bonifica ambientale e culturale, si potrebbe dire quasi religiosa.
  Detto questo, secondo noi, il problema dell'abusivismo si può tentare di risolverlo in una sorta di accordo intergovernativo e interistituzionale, avendo come punto di riferimento – ahimè, mi ripeto – un progetto urbanistico. Non è possibile abbattere, modificare e alterare luoghi senza avere una visione di natura fisico-relazionale, edilizia e soprattutto d'opportunità.
  Le priorità che sono elencate qui dentro sono priorità nella filiera giuridico-amministrativa o giuridico-repressiva. Abbiamo bisogno, invece, di filiere, cui ha accennato in maniera molto velocemente – e lo ringrazio – il vicesindaco di Palermo, di natura urbanistica fisica. Una volta abbattuto l'edificio, che ci facciamo lì dentro? Come lo collochiamo? È giusto abbattere quello o un altro, se non è inserito all'interno di un piano?
  Che cosa vi proponiamo noi? Proponiamo che, in presenza anche di demolizioni con sentenza definitiva, le sole strutture tecniche che hanno competenza amministrativa, urbanistica, sociale, anche politica – la politica deve assumersi questa decisione, perché fare urbanistica è sostanzialmente fare politica – devono essere gli apparati amministrativi dentro i comuni. Non può essere diversamente.
  Le procure potrebbero, come nel caso di Palermo, che monitoriamo e ci piace moltissimo, ma è un primo nucleo di partenza, assumere il ruolo di cabina di regia, che mette nella filiera le regioni, le procure, ma anche le prefetture, gli uffici del lavoro, gli assistenti sociali – non si può fare urbanistica senza una nuova alleanza con la società viva, con i portatori di interessi – con chi effettivamente disegna le progettualità sul territorio.
  Mi avvio a concludere. Vi rimando al documento che abbiamo sottoscritto, che vi inviamo ed è disponibile anche sul sito dell'INU. Per INU, definire un elenco di priorità è una scelta squisitamente urbanistico-amministrativa, perché possono esserci problemi anche squisitamente di tecnicalità vicina – abbatto un edificio e l'altro mi rimane completamente vuoto – di efficientamento energetico, di carico urbanistico che viene a modificarsi.
  Con ciò non voglio giustificare il non intervento, ma il fatto che abbiamo bisogno di un piano di recupero di riordino ambientale, previsto già dall'articolo 29 della legge n. 47 del 1985. Senza un piano di Pag. 18recupero ambientale, come possono muoversi le procure? È un procedimento di natura squisitamente amministrativa, encomiabile, bellissimo, ma che finisce per avere un problema squisitamente occasionale. Abbiamo bisogno, invece, di un'alleanza politica.
  Chiediamo che il problema dell'abusivismo venga inserito all'interno dell'agenda urbana nazionale, in discussione proprio in queste settimane e in questi mesi da parte del Governo nazionale, perché dobbiamo presentarla prima di tutto all'Unione europea e poi alla Conferenza di Quito di ottobre 2016. O il problema abusivismo e il problema del riordino del territorio comincia a diventare di interesse nazionale dentro un processo urbanistico, finanziario e culturale, o cominceremo sempre a vederci ogni tanto, avremo sicuramente delle persone che per professionalità, per etica della responsabilità, per convinzione, per religiosità lavoreranno su quest'argomento, ma avremo una continuità di contenziosi, furbate e procedimenti che possono allungare i tempi all'infinito sine die, senza risolvere il problema, che è di natura squisitamente culturale.
  Non può non essere dentro la risoluzione dei problemi la parte amministrativa più esposta, e cioè il livello comunale. Può sembrare quasi arduo affermare una cosa del genere, ma in vigore, come i viceprocuratori mi insegnano, è ancora un procedimento di natura autorizzativa. È ancora in vigore quello francese. Il livello autorizzativo in questo campo è quello urbanistico. Può piacere o meno. Noi dovremmo agire esclusivamente o prioritariamente all'interno di quel procedimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professore De Luca.
  Adesso do la parola a Emanuele Montini, con cui concludiamo l'indagine conoscitiva, consigliere nazionale dell'associazione Italia nostra. Ci ha portato un volume, Edilizia e urbanistica, che teniamo a disposizione anche dei colleghi.

  EMANUELE MONTINI, consigliere nazionale dell'Associazione Italia nostra. Porto il saluto del presidente Parini e il nostro ringraziamento a tutta la Commissione per quest'occasione di approfondimento di una tematica fondamentale come quella dell'abusivismo edilizio, una vera vergogna di questo Paese.
  Il fenomeno è molto grave. Solo per limitarci alle regioni Campania e Lazio, per la Campania già nelle premesse della proposta di legge si legge che ci sono 70.000 casi di abusivismo edilizio, ancora da demolire, consacrati, quindi con ordinanza di demolizione già emessa, ma ancora in piedi. Ce ne sono 45.000 nel Lazio, che probabilmente diventeranno il doppio, perché sulle 260.000 domande di condono edilizio a Roma, si stima che circa un quarto siano inammissibili, e forse anche per questo non sono state ancora, in questi anni bui che ci hanno preceduto, emanate. Adesso, però, si sta procedendo. Questi sono i numeri.
  Certamente, questi abusi dovrebbero essere demoliti, ma il condizionale è d'obbligo, in quanto in queste regioni solo lo 0,1 per cento degli abusi viene demolito. Di questo centinaio di demolizioni, soltanto il 10 per cento è realizzato tramite le procure. Dobbiamo dire che questi sono i numeri. Sono poche in generale e il 10 per cento a opera delle procure. Al resto pensano i comuni con proprie gare d'appalto.
  Tornando alla proposta di legge, è a nostro avviso del tutto fuorviante. Nella sua impostazione principale fa pensare che il problema delle demolizioni sia la procura, l'ordine del giudice della demolizione e l'attivazione degli uffici presso la cancelleria o la nomina delle ditte come consulenti d'ufficio – ci sono state diverse formule utilizzate dalla procura – ma nessuna di queste cose è vera. Tranne qualche di centinaio di demolizioni, ce ne sono veramente ancora molte da realizzare. Secondo noi, questo non è casuale, ma dipende da una precisa scelta politica, che è quella che posterga gli interessi della legalità e del paesaggio – ricordiamo che il 25 per cento di questi abusi insiste su area vincolata – a quelli del potere economico e, chiaramente, elettorale di questo milione di abusivi. Pag. 19
  Ovviamente, tutto ciò ci fa concludere che questa proposta di legge è del tutto errata e a forte rischio di incostituzionalità. Come abbiamo già ascoltato anche dai rappresentanti delle procure che ci hanno preceduto, esiste una situazione particolare in base alla quale si introduce una fase istruttoria del tutto impropria in violazione anche del principio del giudicato. Sostanzialmente, si pone questa fase, che potrebbe essere anche esplicata come incidenti di esecuzione, e quindi ulteriormente gravante il procedimento, in una in cui invece c'è una sentenza in giudicato.
  Si riapre e si dovrebbe valutare anche alcuni elementi di livello soggettivo leggendo questa proposta di legge, quando invece appunto i protocolli di legalità delle procure da Roma a Bari, a Lecce, a Palermo, si concentrano su elementi non soggettivi, ma oggettivi, di più facile comprensione e individuazione. La ragionevolezza è nelle procure da sempre. Non è che l'azione delle procure, il 10 per cento delle demolizioni realizzato a livello annuo, sia assolutamente irragionevole. Segue una logica che finora è stata vincente, ma torno al concetto di prima.
  Non è tanto il 10 per cento delle demolizioni della procura che dovrebbe essere il problema, ma l'esiguità delle demolizioni da parte dei comuni per mancanza di risorse, di cultura della legalità e – fatemelo aggiungere – del fatto che se oggi dovessi, come dirigente comunale, non emanare un ordine di demolizione, fare una gara d'appalto, non ci sarebbe nessuna sanzione per me a livello disciplinare. Prenderò, inoltre, la mia retribuzione di risultato piena. Oggi, infatti, non è entrato ancora neanche nell'ambito della legge n. 190 del 2012, la cosiddetta «legge Severino», per quanto riguarda l'anticorruzione, il concetto del non fare.
  Non è soltanto per fare qualcosa che ci sono delle conseguenze di rischio corruttivo, come si definiscono in gergo, ma anche nelle aree del non fare. Questo significa, invece, invertire una tendenza e dare più trasparenza alle procedure che dovrebbero sottendere a questo tipo di reazione al fenomeno dell'abusivismo edilizio. Si allunga ancora il brodo pur di non demolire gli abusi, in questo modo spuntando secondo noi le armi alla magistratura nella lotta al ripristino della legalità.
  Comunque, il testo nella sua completezza è denso di norme a favore dell'abusivismo, anche se non si vedono in maniera molto chiara, a parte la capacità di questo testo di dilazionare i tempi dell'esecuzione delle demolizioni a opera delle procure. Citiamo solo un esempio. Al proposto articolo 44-bis, comma 1, lettere m) e i), del testo unico in materia di edilizia, si qualifica l'occupante come titolare dell'abuso edilizio. Su questo abbiamo già sentito alcune indicazioni del procuratore Cillo, per quanto riguarda la questione della titolarità, su quanto sia difficile capire se un soggetto è titolare o meno. Aggiungo che questa lettura è del tutto errata.
  In questo modo, infatti, si pensa che il soggetto che sta all'interno di un abuso edilizio con ordinanza di demolizione operativa sia ancora titolare di quell'immobile. Non c'è nessun titolo, e questo deve essere chiaro. In base all'articolo 31, comma 3, del testo unico in materia di edilizia, il soggetto non ha nessun titolo ad abitare quell'immobile, perché ovviamente c'è stata, appunto in base al citato comma 3, l'acquisizione al patrimonio comunale, anche se ancora sospesa rispetto alla delibera che dovrebbe identificarne o individuarne la pubblica utilità. Comunque, non ha più un titolo a rimanere là dentro. Questo riferimento alla titolarità creerebbe una distonia legislativa a tutto vantaggio delle ragioni dell'abusivo che ancora pretenda di avere un titolo di proprietà sull'immobile. In questo modo, potrebbe essere un ulteriore danno al sistema delle norme che regolano questa materia.
  Mi avvio a concludere. Potremmo anche continuare, ma Italia nostra auspica che questa proposta di legge pertanto non prosegua il suo iter legislativo. Lo diciamo molto chiaramente. Se dovesse farlo, si riserva di proporre appositi suggerimenti di modifica del testo, puntuali e approfonditi.
  Concludiamo che ben altre sono le norme necessarie a questo Paese per sconfiggere Pag. 20 la piaga dell'abusivismo edilizio, che sta consumando in modo irreparabile il suolo e il paesaggio italiani. Leggiamo, ad esempio, con favore la norma inserita nella conversione in legge del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia» sulla sanzione pecuniaria da 2.000 a 20.000 euro da irrogare agli abusivi che non ottemperino all'ordine di demolizione, comportando un potenziale extra gettito, facendo riferimento a quel milione di abusivi che vi ho detto ancora non sanati, di 10 miliardi di euro annui, anche perché la sanzione in area vincolata va erogata ed è una sanzione amministrativa nella misura massima di 20.000 euro.
  Stiamo parlando, quindi, di 10 miliardi di euro, che potrebbero essere anche di meno, ma addirittura potrebbero essere una risorsa extra gettito continuativa e annuale. Se le regioni volessero attuare la possibilità permessa da questa nuova norma da introdurre nel testo unico dell'edilizia, potrebbero tranquillamente fare una legge regionale per la reiterazione della norma in ragione annuale, ovviamente se perseverano in ottemperanza.
  Ancora molte cose ci sono da fare, e molte norme ancora da scrivere. Alcune aspettano addirittura da tredici anni di essere attuate, come la costituzione dell'osservatorio sull'abusivismo edilizio, previsto fin dal 2003 con l'articolo 32, comma 13, del decreto legge n. 269 del 2003, mai attuato, mai pervenuto. Sul sito del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, infatti, non ce n'è traccia.
  Per contrastare questo fenomeno Italia nostra è e rimane a disposizione della Commissione per qualsiasi supporto in questa direzione nell'interesse generale alla legalità e alla salvaguardia del paesaggio italiano.

  PRESIDENTE. La ringraziamo molto.

  CLAUDIA MANNINO. La mia domanda è puntualmente riferita ai procuratori. È indirettamente una critica anche ad alcune affermazioni che ho sentito in questa sede, e mi dispiace, da parte dell'ANCI. Come anticipato dal rappresentante di Italia nostra, ciò di cui non si parla in questa proposta di legge, né se ne è parlato nelle audizioni che qui si sono tenute, è che le leggi che già esistono e sono vigenti, sono puntualmente inapplicate, dal mio punto di vista, sia dai comuni sia dalle regioni. Oggi si sta arrivando al terzo livello, che è la magistratura a dover dare al loro questo ruolo.
  Sintetizzo per punti le leggi che non vengono rispettate. Una è stata citata, ed è quella inserita nel citato decreto legge «Sblocca Italia», in particolare era un mio emendamento che prevede, appunto, le sanzioni da 2.000 a 20.000 euro per i proprietari degli immobili abusivi che hanno sentenza definitiva. Vuol dire che i comuni devono prendere atto dell'immobile abusivo, non devono assegnarlo in custodia agli abusivi stessi, ma eventualmente possono dichiarare l'interesse pubblico di quell'immobile e irrogare la sanzione, che, a parte le regioni a statuto speciale, possono anche prorogare di anno in anno.
  La domanda è: perché i comuni – chiedo, quindi, all'ANCI – non lo fanno? Perché i comuni non adempiono a questa norma che prevede anche il procedimento disciplinare per i responsabili del procedimento che non ottemperano a questa procedura? Inoltre, questi sono fondi esclusivamente destinati ai comuni che possono utilizzarli prioritariamente per la demolizione degli immobili abusivi. Avrebbero, quindi, anche i fondi per effettuare le demolizioni. Questa è la prima domanda.
  Questo è stato inserito nei commi 4-bis, 4-ter e 4-quater dell'articolo 31 del testo unico sull'edilizia, a cui va aggiunto un vecchio comma, anche questo inapplicato – chiedo anche qui all'ANCI perché non lo fanno ultimamente applicare – sulla responsabilità dei segretari comunali, che ogni mese dovrebbero comunicare alla regione e al Ministero delle infrastrutture lo stato dell'abusivismo dei propri comuni al fine di poter redigere quello che chiedevano i procuratori, cioè l'elenco regionale dello stato dell'abusivismo.
  A sua volta, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, con una legge del 1985, in particolare con il comma 3 dell'articolo Pag. 219, del decreto-legge n. 146 del 1985, deve poter redigere lo stato dell'abusivismo edilizio in Italia, cosa che il Ministro delle infrastrutture non può fare perché le regioni non mandano i dati, perché i comuni non mandano i dati e, in particolare, i segretari comunali non mandano i dati.
  Aggiungo un altro dato recente. Il procuratore Aloisio della Corte dei conti di Palermo ha inaugurato l'anno giudiziario accusando proprio i comuni di danno erariale, poiché non solo lasciano in custodia gli immobili abusivi, ma non fanno pagare neanche un affitto forfettario, tantomeno le tasse comunali che questi soggetti potrebbero pagare. Anche qui, chiedo all'ANCI: perché i sindaci non seguono questa procedura? Probabilmente, in merito allo snellimento di cui parlava poco fa il procuratore di Lecce, se non mi sbaglio, l'accelerazione delle procedure degli ultimi mesi è anche dovuta a quest'aggiornamento normativo dello Sblocca Italia.
  Continuando, la legge di stabilità ha stanziato 30 milioni di euro per i comuni, destinati anche a Cassa depositi e prestiti, per effettuare le demolizioni. Certo, il Ministero ancora non ha definito le linee guida con cui i comuni possono accedere a questo fondo. Ci auguriamo che questo avvenga nel più breve tempo possibile.
  Alla luce di queste considerazioni, mi chiedo, e chiedo alla presidente in particolare, se questa proposta legge non sia del tutto superata. Gli strumenti per i comuni per risolvere o comunque iniziare ad affrontare il problema dell'abusivismo edilizio credo che ci siano. Condivido pienamente le osservazioni dell'Istituto nazionale di urbanistica, che pone al primo posto i comuni.
  Lo strumento urbanistico e tutto ciò che comporta, anche in termini di non rispetto dello strumento urbanistico stesso, non sono un atto giudiziario. È uno strumento che molti interpretano, in particolare i comuni, come prassi burocratica, ma è lo strumento con cui si gestisce un territorio. Ogni opera abusiva deve essere inserita in un criterio di non rispetto delle regole generali, che tutti tendono a non far rispettare. Quindi, concludendo la domanda – basta non incardinare questa proposta di legge in Aula per rallentarne il procedimento –, chiedo alla Procura qual è la strada che possiamo adottare per interrompere questa procedura.
  Infatti, come è già stato detto in una scorsa audizione dal procuratore Ionta, le procure non hanno gli strumenti per ricominciare da zero con un'altra istruttoria che qualifichi le modalità con cui devono effettuare le demolizioni; lo possono fare i comuni, poi le regioni, ma solo in ultima istanza e in casi che sarebbe bene capire lo dovrebbe fare la magistratura.

  PRESIDENTE. Do la parola al procuratore De Luca per la replica.

  SALVATORE DE LUCA, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. È indubbio che i protagonisti in materia di edilizia, quindi di abusi edilizi, sono i comuni. Su questo non ci piove. Ci mancherebbe altro.

  PRESIDENTE. Fino alla sentenza passata in giudicato.

  SALVATORE DE LUCA, procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo. Anche le demolizioni vedono come protagonisti i comuni perché, a ben vedere, quelle che seguono a ordine di demolizione a seguito di sentenza penale irrevocabile sono una piccola parte di quelle che dovrebbero essere eseguite. Vi sono, infatti, una marea di demolizioni che hanno un ambito meramente amministrativo perché il principale responsabile è l'istituto della prescrizione, quindi, in sede giudiziaria non si è «cavato un ragno dal buco».
  Pertanto, su questo non ci piove. L'oggetto della discussione odierna era, però, quello dei criteri di priorità riguardanti le procure. Ora, è evidente che, per quel che mi riguarda, si tratta di un intervento non solo settoriale, ma anche fuorviante. Tuttavia, se questo è l'oggetto della discussione, di questo abbiamo parlato, mettendo in luce i problemi che discenderebbero Pag. 22dall'applicazione di questa norma così com'è.
  Detto sinceramente, se i comuni – non li sto colpevolizzando perché ci sono motivi eterogenei – avessero fatto ciò che era loro prescritto, non staremmo qui a discutere di questi problemi. La competenza dei comuni è autonoma e parallela a quella delle procure nel settore delle sentenze penali di condanna. In più, come ho già detto, i comuni hanno una competenza per tutte le demolizioni che hanno natura meramente amministrativa perché non vi è stata condanna.
  Pertanto, da un punto di vista teorico, si potrebbe dire che è inutile parlare delle procure che contano poco o nulla a livello quantitativo. Tuttavia, il legislatore ha attenzionato proprio le procure che, fra l'altro, incontrano tantissimi problemi nell'attuare le procedure di demolizione.
  Se volete, la giustificazione storica è legata a un pugno di pubblici ministeri che si sono attivati eseguendo in territori dove non si era mai eseguito nulla e attivando una funzione propulsiva di stimolo nei confronti dei comuni. Infatti, è storicamente verificato che alcuni comuni inattivi, a seguito dei protocolli di intesa, che non dicono altro che fare ciò che sta scritto nella legge (non è che il protocollo di intesa sia qualcosa di travolgente), si sono attivati, mentre prima non lo avevano fatto.
  Questa sinergia, in alcuni casi abbastanza significativi, ha funzionato, come – parlo delle mie esperienze – Lipari, Milazzo e Palermo. Altri sono assolutamente refrattari; altri aderiscono per pura facciata, ma poi oppongono resistenza passiva nel momento di applicare il protocollo.
  Quindi, sfondate una porta aperta quando dite che il problema è politico. Sono d'accordissimo. Personalmente, non farei politica neanche sotto tortura perché non è compito del magistrato, ma è evidente che è un problema che deve essere risolto da un punto di vista politico.
  Le procure possono servire là dove si devono colpire singole patologie che non assumono dimensioni sociali vastissime. Sebbene la Procura sia l'ultima sponda, problemi così vasti socialmente devono essere risolti in sede politica e poi amministrativa. Le procure sono l’extrema ratio per singole gravi patologie. In Italia non si può risolvere tutto con il penale. Vi chiedo scusa.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore a nome di tutti.
  Vorrei porre una domanda molto pragmatica, dopodiché faccio chiudere il relatore. Poco fa il procuratore De Luca ha detto che siamo qui per parlare di questa proposta. In realtà, non siamo venuti qui solo per parlare di questa proposta perché, sebbene questa sia in cantiere, vi potrebbero essere molte altre soluzioni. In realtà, noi vorremmo approfondire – questo è l'intento dell'indagine conoscitiva – la problematica; dopodiché, le soluzioni possono essere tante.
  È ovvio che nella proposta stiamo dando dei criteri di priorità alle procure, che poi sono le uniche che funzionano perché stanno realizzando le demolizioni (ovviamente, quale più e quale meno; non funzionano tutte bene allo stesso modo perché alla fine sono gli uomini che fanno gli uffici). Insomma, sia pure le demolizioni sono necessitate da un passaggio in giudicato, quindi non sono realizzate dappertutto allo stesso modo, quella parte dell'esecuzione funziona, seppure talvolta – ripeto – con grande difficoltà e dove più, dove meno.
  Per contro, non ha funzionato molto la parte amministrativa, attribuita ai comuni e alle regioni, che hanno un potere sostitutivo nei confronti dei comuni, senza contare che anche i prefetti in qualche situazione particolare dovrebbero intervenire.
  Io che non sono esperta del settore, faccio una domanda proprio da chi non ha praticato questo ambito.
  Ora, a parte la questione politica, quindi l'impatto e l'esposizione in cui si trova un sindaco (credo che ognuno di noi possa in qualche modo comprendere, anche se non giustificare), è venuto fuori anche il problema economico perché le demolizioni costano. C'è stato, infatti, anche rappresentato come vi sia una farraginosità dei finanziamenti che, da quello che ho capito Pag. 23della legge, sono previsti da parte della Cassa depositi e prestiti.
  Tralasciando la Cassa depositi e prestiti, a un certo punto si sono instaurate, però, delle prassi. Per esempio, nella prima audizione che abbiamo fatto, della quale ho chiesto riscontro anche attraverso dei documenti, è emerso che nel Lazio sia il comune, ora con il commissario, sia la regione hanno messo uno specifico capitolo di bilancio, finanziato autonomamente (la regione per 5 milioni di euro) a cui attinge direttamente la Procura della Repubblica di Roma, previa comunicazione e quant'altro.
  Allora, mi chiedo come sia possibile che una regione più sensibile faccia questo, mentre una regione meno sensibile non lo faccia. Come mai c'è questa eterogeneità anche di strumenti a disposizione? Se avessi più tempo, vorrei capire cosa fanno tutte le regioni d'Italia sul punto.
  Zingaretti ha trovato un capitolo e ci stanziato 5 milioni di euro. La collega diceva che è stato finanziato anche con la stabilità. Faremo una verifica ulteriore delle attuali fonti e forme di finanziamento, ma se il problema sono i soldi e la farraginosità della Cassa depositi e prestiti, vi sono altre soluzioni possibili, praticabili o praticate o c'è bisogno di un intervento normativo omogeneizzatore anche sotto questo profilo?
  Altrimenti, siamo rimessi alla sensibilità del singolo, sia nelle procure, sia negli enti amministrativi. Questa è la domanda che va oltre questo provvedimento, ma che mi interessa proprio perché il problema va risolto in altro modo rispetto a come impostato nel provvedimento del Senato.
  Do ora la parola all'onorevole Sarro, che è il relatore.

  CARLO SARRO. Sarò telegrafico anche perché, giustamente, essendo nutrito il parterre dei nostri ospiti, siamo andati abbastanza avanti con l'ora. Vorrei semplicemente fare alcune precisazioni.
  La prima è che questo provvedimento è stato licenziato dal Senato con una convergenza amplissima, che ha superato i due terzi dell'Assemblea. Dunque, forze politiche di maggioranza e di opposizione hanno inteso licenziare questo testo come una prima risposta a un problema che oggettivamente esiste.
  L'altra considerazione è che i contributi che ci sono stati offerti da tutti gli ospiti e da tutte le personalità audite sono sicuramente interessanti e di alto livello, tenendo, però, presente che la funzione stessa dell'indagine conoscitiva è ovviamente di condurre un approfondimento relativamente al testo del provvedimento. L'analisi, la storia e la gravità del fenomeno dell'abusivismo in Italia è cosa nota, che meriterebbe un approfondimento a parte, forse da una Commissione di indagine.
  Ieri abbiamo ascoltato, tra i vari soggetti auditi, l'ex procuratore De Chiara, magistrato che ha profuso un forte impegno in questo settore e che, con prova di grande onestà intellettuale, ci ha detto che questo problema nasce dal fatto che per un trentennio, se non per un quarantennio, c'è stata una latitanza di tutti i livelli istituzionali, là dove certamente la responsabilità principale è della politica perché spesso ha cercato il consenso anche attraverso la tolleranza verso questi fenomeni.
  Tuttavia, i livelli istituzionali che avrebbero dovuto assicurare la repressione e il contrasto sono stati altrettanto assenti, altrimenti un fenomeno di queste dimensioni non poteva esistere, anche perché non nasce così all'improvviso o in uno spazio temporale ristretto.
  D'altra parte, abbiamo audito oggi il procuratore De Luca, il quale ci ha detto che nel nostro ordinamento non esiste un procedimento tipizzato per l'esecuzione di questo tipo di sentenze, per cui è stato frutto di una elaborazione autonoma che è stata condotta da alcune procure, in primis – mi è parso di capire – proprio dalla sua.
  Quindi, la necessità che ci sia un intervento legislativo è avvertita da tutti i soggetti istituzionali perché oggi non c'è alcuna norma di riferimento, per cui si procede con meccanismi che sono stati definiti in via empirica, poi consolidatesi attraverso i protocolli e gli accordi. Un intervento normativo che fissi delle regole ed enuclei anche dei criteri è, pertanto, sicuramente auspicabile, anche per garantire quella parità Pag. 24 di trattamento e quella effettività delle pronunce giurisdizionali che sono i principi costituzionali maggiormente coinvolti in questo provvedimento, che riguarda – ripeto – l'esecuzione delle sentenze.
  Esistono le sentenze, che devono essere seguite per tutti i soggetti che sono stati condannati, senza distinzione. Il fatto che ci sia un provvedimento carente, con delle criticità e quant'altro, che fissa dei criteri di priorità non significa che fissi criteri di esclusività, per cui a essere demolite saranno solo e soltanto le costruzioni che vengono indicate come prioritarie da demolire. Infatti, il principio è che debbano essere eseguite tutte.
  Oggi, almeno in alcuni contesti territoriali, sappiamo che questa affermazione non è realistica perché, con i tempi, le difficoltà e le carenze economiche che ci sono, rispetto a una massa enorme di demolizioni da eseguire, siamo pressoché certi che non tutte le demolizioni saranno eseguite per una circostanza di carattere logistico, organizzativo, temporale o comunque non saranno tutte eseguite in un arco temporale breve.
  Allora, vi è l'esigenza di stabilire quali sono le situazioni che meritano un trattamento immediato o comunque un'esecuzione anticipata, in questo contesto pessimo, brutto e deprecabile, ma che esiste. Il compito del legislatore è, dunque, quello di guardare alla realtà e operare delle scelte in questa data situazione di fatto. Altrimenti, credo che verremmo meno alla nostra funzione.
  Naturalmente, molti degli apporti che ci sono stati dati oggi sono estremamente utili. Ovviamente, non è intento del legislatore appesantire il procedimento e renderlo ancora più farraginoso. Il tentativo è quello di fornire dei criteri che in una situazione di questo tipo possono aiutare a eliminare i casi più pericolosi e quelli che anche ai fini della repressione hanno una valenza simbolica maggiore.
  Per esempio, ci è stato suggerito di trasferire sulla parte – presumo in sede di incidente di esecuzione – l'onere di allegazione in un termine, che è stato anche indicato in 60 giorni, per dimostrare l'esistenza o la ricorrenza di talune delle condizioni che sono fissate nei parametri normativi. Ecco, questo può essere un elemento di definizione. Quando si dice che c'è una difficoltà perché poi l'istruttoria eventuale diventa complessa, è vero fino a un certo punto. Infatti, se si dice che siamo favorevoli ai criteri oggettivi, ma non a quelli che coinvolgano l'aspetto soggettivo, c'è il supporto degli uffici comunali per quanto riguarda, per esempio, l'accertamento delle condizioni economiche. Inoltre, esistono già dei meccanismi normativi che fissano alcuni criteri.
  Il dato vero è che attraverso questo meccanismo noi possiamo comunque garantire delle certezze e soprattutto il sindacato giurisdizionale. Riguardo al timore di un eccesso di contenzioso, già oggi è possibile esperire l'incidente di esecuzione. Non è che questa norma introduca nuove forme o ulteriori criteri. Potranno essere forniti ulteriori argomenti, ma se si arriva a uno schema procedimentale chiaro il sindacato giurisdizionale non deve spaventare nessuno perché è una garanzia costituzionale a presidio di un diritto di difesa che mi sembra abbastanza importante da tutelare, al pari di altri valori coinvolti in episodi di questo tipo.
  I contributi sono, quindi, sicuramente interessanti, ma siamo comunque consapevoli del fatto che non stiamo adottando un testo unico per reprimere l'abusivismo in tutte le sue declinazioni, che sono, come abbiamo potuto ascoltare anche oggi, estremamente variegate, ma un provvedimento che dovrebbe fornire dei criteri per rendere effettivo lo strumento della repressione attraverso, appunto, la demolizione degli immobili abusivi.

  PRESIDENTE. Devo fare una precisazione. È vero che al Senato il provvedimento è stato approvato a larga maggioranza, ma oggi qui è in quota opposizione per il Gruppo Forza Italia. Questa è la situazione del provvedimento. Ovviamente, alcuni provvedimenti in quota opposizione possono andare comunque in Aula, e poi possono andare con lo stesso testo o con un testo diverso. Ci sarà un lavoro da fare, ma oggi questo dobbiamo dirlo. Pag. 25
  A questo punto, voglio rivolgere un'altra domanda al relatore, e vado un po’ fuori dai canoni. Anche con riferimento a tutte le osservazioni che sono state fatte, in effetti non si interviene sulla parte amministrativa, e quindi non si dà nessun criterio di priorità ai comuni. A questo punto, forse andrebbe fatto un parallelismo, altrimenti li lasciamo in completo abbandono, mentre è diverso di qua, ed è giusto quello che diceva l'onorevole Sarro su trasparenza e razionalità sul territorio nazionale, uniformità di criteri. Questo è un po’ lo spirito.
  Ho capito che il relatore ha colto il segnale di dire in qualche modo che sono criteri oggettivi. È vero che anche oggi c'è l'incidente e l'esecuzione, ma non prende a riguardo il criterio, cioè in quale casella sono, e quindi non devo dimostrare che mi trovo in quella casella e che magari quelli prima li ho fatti tutti.
  In concreto, rispetto a questo problema, di cui tra l'altro capisco le ragioni sottostanti di ordine, di uniformità di comportamento, mi pongo proprio questo problema. Per chi già opera in sede di criteri, cito un esempio banale: oggi sono in terza posizione, quindi il pubblico ministero avvia tutte le pratiche perché sono arrivati a me, che sono in terza posizione; domani, se non è prioritario il criterio cronologico, mentre state attivando una demolizione o comunque la procedura per la demolizione, che non si risolve in due minuti tra gare e altro, può passare in giudicato una posizione che è al secondo posto, cioè avanti a me, e quindi dovrebbe essere abbattuto prima di me, che sono sempre in fascia terza: che succede? È un discorso che io pongo.
  Questi criteri sono statici, sono riferiti sempre a un criterio cronologico di base? Ieri la Procura generale di Napoli ha detto che, fermo restando il criterio cronologico, quindi con priorità di anzianità dove si è realizzata la demolizione, si tengono presenti alcune circostanze, e magari si fa per ultima la «catapecchia». Se questa legge dovesse essere rivista alla luce di criteri più oggettivi, e quindi di indicazioni, non di vincoli, ma di linee guida – magari li chiamiamo criteri organizzativi, mera riflessione interna – operativamente, però, voi che operate con i criteri, questi avrebbero una valenza temporale? Come si fa a capire che nel frattempo il mio posto è sempre in terza posizione, e magari non diventa di seconda, quinta e così via?

  DOMENICO TUCCILLO, sindaco di Afragola e presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Campania. Vorrei rispondere alla prima parte della sua domanda, quando ha giustamente posto il problema della relazione tra il binario giudiziario e il binario amministrativo.
  Penso che questo sia veramente il punto da mettere più a fuoco, ma non per quel che riguarda questo provvedimento, bensì per quel che riguarda un lavoro politico e legislativo che secondo me occorre fare su questo tema. Riprendo molto brevemente le considerazioni del rappresentante dell'INU.
  Quando si tratta di una vicenda squisitamente giudiziaria, giunta a sentenza definitiva, che ha seguìto quel percorso, allora c'è poco da fare, la destinazione è quella. Quando si tratta, invece, di una procedura amministrativa, e poi sta nella facoltà anche dell'amministrazione decidere se abbattere o meno quel manufatto, di fronte a delle situazioni che morfologicamente si sono negli anni comunque profondamente trasformate, per cui sono sorti interi quartieri, intere città, qui c'è un problema proprio di carattere urbanistico che deve essere recuperato nella considerazione che si va a fare, e anche nelle decisioni che si vanno ad assumere.
  In questo senso, sottolineo che la stagione dei condoni, tanto per dire, non si è ancora chiusa. Sono ancora aperte le pratiche di condono. Andrebbero chiuse drasticamente dando ai comuni tempi certi, sanzioni sicure nel caso in cui non le concludono, ma dando loro anche gli strumenti per poter riordinare il territorio. Si prende atto di uno stato di fatto profondamente ormai cambiato e che si è sedimentato nel tempo. Se ho una strada che si è andata a definire per una linea di costruzioni che si è delineata, aprire un vuoto al centro è dal punto di vista urbanistico proprio privo di senso, a meno che non ci Pag. 26siano condizioni di particolare pericolo, gravità o vincolo.
  Credo che andrebbe ripensata un po’ tutta la questione in questi termini. Sulla base di questi termini, andrebbe affrontata una problematica troppo complessa per essere gestita solo in termini repressivi e di abbattimenti. Non ci sono gli strumenti né finanziari né di qualsiasi tipo, amministrativo e anche temporale per poter dire che si può affrontare la questione nel giro di un anno o due e si può risolverla. Non la risolviamo. Significa trascinarsi le cose così in una condizione di anarchia generale, dove non c'è né il riordino del territorio né gli abbattimenti, ma c'è una complicazione permanente che si va a creare, un corto circuito tra procure e amministrazioni, spesso giovani amministrazioni, nuove amministrazioni rispetto a un'epoca in cui c'è stata invece una disattenzione prolungata rispetto a questi fenomeni.
  Oggi, un giovane amministratore che arriva in un comune e deve abbattere 2.000 abitazioni, che fa? È un tema che mi poneva pure il sindaco di Casal di Principe, eletto a furor di popolo in nome dell'anticamorra. Poi che fa?

  ENNIO CILLO, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce. Comincia.

  DOMENICO TUCCILLO, sindaco di Afragola e presidente dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI) Campania. Certo che comincia.
  Comincia e siamo d'accordo. Io pongo anche il tema di come metterci in condizioni di farci cominciare. C'è anche questo tema. Per rispondere a quello che veniva detto, ad esempio c'è il tema di escludere queste spese dai saldi rilevanti per il patto di stabilità. Se c'è veramente la volontà politica di dire che questo problema va affrontato e risolto, si mettono pure i comuni in condizioni di poter attingere alle risorse. Si tolgono dal tavolo gli albi. Spesso diventano degli alibi; chi dice il contrario?
  Sono, però, anche delle condizioni ostative. Conosciamo la condizione contabile nella quale i comuni operano, le condizioni finanziarie in cui oggi si trovano e operano, a meno che non dobbiamo destinare i nostri bilanci solo alle case famiglia, dove dobbiamo ospitare per ordine del magistrato i minori, e agli abbattimenti, perché finisce là. Dobbiamo anche essere messi in condizione, noi per la parte dei comuni, e la magistratura, la Procura, se si ritiene, come mi pare sia stato richiesto, di avere un accesso diretto anche a fonti finanziarie.
  È evidente che il segnale repressivo va dato, ma immaginare che questo problema si risolva solo sul versante repressivo è, secondo me, una pia illusione che non ci porta da nessuna parte.

  ENNIO CILLO, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce. Vorrei fare tre considerazioni volanti. Partiamo da una serie di normative non attuate a livello locale, con le debite eccezioni. Nella mia esperienza, infatti, ho trovato comuni collaborativi e comuni che fino all'ultimo giorno prima della demolizione aspettavano, per una casa abbandonata in mezzo alla campagna, per fare la delibera con la quale dire che c'era un interesse pubblico a realizzarci un centro di educazione ambientale. Mi trovo spesso anche di fronte a comuni che in maniera netta, chiara, si oppongono a un intervento di demolizione.
  È vero che ci sono le problematiche economiche, ma non sempre, specialmente gli uffici tecnici, intervengono per la tutela e il ripristino anche quando si potrebbe farlo a costo zero. A proposito delle norme non attuate, nel testo unico in materia di edilizia, il comma 2 dell'articolo 27, , oltre a prevedere l'ordinaria procedura per cui si ingiunge la demolizione, prevede che, salvo i casi in cui sarebbe possibile una concessione con accertamento di conformità, l'ufficio tecnico ingiunge la demolizione, interviene e demolisce quando ancora i muri non sono stati alzati.
  Questa norma sta lì da più di dieci anni, io ancora sto aspettando di vedere un caso in cui l'ufficio tecnico ha mandato direttamente a eseguire la demolizione e addebitato danni erariali, al paesaggio e al territorio. La sensibilità c'è in alcuni casi, ma in Pag. 27alcuni casi manca gravemente. Anche le problematiche economiche a volte sono reali, a volte sono delle giustificazioni.
  A mio avviso, visto che la norma prevede che, se nessun altro interviene e non è stata ancora altrimenti eseguita, si dispone la demolizione e l'esecuzione, ben venga che intanto le procure mettano in esecuzione le sentenze di condanna e qualche demolizione comincino a farla. È vero che poi dobbiamo fare un discorso di recupero del territorio. I condoni sono sempre stati giustificati dal fatto che servivano per voltare pagina, ma poi una sola demolizione conseguente al riordino ho fatto fatica a vederla.
  La regione Puglia prevede i PIRT (Piano di interventi di recupero territoriale), uno strumento interessante, piani di recupero comprensori nei quali si cerca di riequilibrare i sacrifici dei privati (chi ha la casa demolita, chi ci rimette da una parte, chi compensa dall'altra), ma tutto questo presuppone il rispetto degli strumenti urbanistici, la cultura di rispetto di una disciplina urbanistica, che nel nostro Paese ancora dobbiamo affermare con la minaccia della condanna e della demolizione. Se non facciamo prima, seriamente, un po’ di demolizioni, che sono così scarse, difficilmente potremo parlare anche di recupero, di ripristino e di tutto il resto.
  Per procedere a queste demolizioni abbiamo bisogno di operare concretamente, rispettando, certamente, una serie di priorità. Insisto nel fare un ultimo appello. A me non interessa – chiedo scusa, su questo dissento – che abbiano 60 giorni per fare l'opposizione se l'opposizione è che nell'ambito delle mille pratiche di una categoria quella di qualcuno non è la prima. Se ci sarà modo di poter fare questo tipo di opposizione, allora avremo introdotto di nuovo la possibilità, un escamotage per non rispettare la legalità.
  Poi voglio vedere come faremo a dimostrare qual è il numero d'ordine: priorità, sicuramente; rispetto di valori, sicuramente; visto che il nostro compito è garantire diritti, valutare anche su quali diritti andiamo a incidere; se possibile, tutelare diritti fondamentali, come quello all'ambiente e al territorio, senza pregiudicarne degli altri. Devono essere, però, criteri di ordine generale, più ampi. Non possono essere strumenti che propongano un nuovo contenzioso, altrimenti sarà come riaprire un nuovo condono.
  Vi rubo gli ultimi due minuti, uno dei quali per la questione del criterio usato dal punto di vista temporale. Per esempio, avendone tante da gestire, quando siamo partiti con la demolizione numero zero – avendone da quelle prima del primo condono del 1985 a quella del 2015 – siamo partiti dal 2007, ultima data dopo il condono con la quale le problematiche del condono non interferiscono più, per arrivare alle ultime più recenti. Gradatamente siamo andati cercando di far incontrare questi dati.
  Oggi ci siamo resi conto che siamo in grado, se così rimane la situazione generale, di demolire tutte le ultime dell'ultimo anno, e quindi sì sicuramente con un criterio di priorità negli ultimi reati. Oltretutto, sono situazioni meno consolidate, e forse si riesce ad arrivare in tempo. Al tempo stesso, non può essere un criterio così rigido da impedirci, per quell'abuso rilevante che sappiamo essere lì da un certo numero di anni, di demolire quello, significativo e percepito come più offensivo del paesaggio, per il solo fatto che non è né il primo né l'ultimo e non saprei proprio dire in che ordine è nell'ambito dei numeri. Dobbiamo dare delle priorità logiche. A me forse piaceva l'idea di affidare ai procuratori generali, ai capi degli uffici l'obbligo di dare dei criteri che rispettino queste priorità, ma calandoli nel concreto.
  Infine, sarà logico partire dalle ultime, ma mi piace raccontare quest'aneddoto. Di solito, vado io per le demolizioni, e sono andato alla demolizione di una villetta in una località di mare tra paese e campagna, una villetta lì da una decina, una quindicina di anni. Non era la più remota, neanche la più recente. Accanto al terreno dove c'era quella villetta, neanche grandissima, c'era un vecchio contadino, di quelli tutti curvi perché ancora lavorava con la zappa, che zappava e piantava cicorie nel terreno accanto. Pag. 28
  Al secondo giorno della demolizione, quando ha visto che la facevamo davvero, si è avvicinato e mi ha detto: «ti devo ringraziare». «Perché?» «Perché io in tutti questi anni zappavo, piantavo le cicorie, guardavo quello che si godeva la villa abusiva e me decìa (mi dicevo): come sono stato fesso a non tenere il coraggio di farla pure io solo perché la legge mi dice di non farla. Ecco, t'agghiu ringraziare, perché signorìa osci m'ha mustrato ca iddu è lu fess».
  Insomma, ha visto nel recupero di legalità anche il riconoscimento della correttezza, del rispetto della legge. Eppure quello accanto sì, era in zona vincolata, ma era un abuso come tanti. Non possiamo nemmeno pensare, quindi, solo ai grandi abusi. Ecco, aiutateci a essere ragionevolmente effettivi.

  EMILIO ARCURI, vicesindaco di Palermo e rappresentante dell'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI). Chiedo la parola anche per chiedere al sindaco di Afragola una precisazione. Quest'idea degli amministratori «felloni e complici» secondo me non va bene. La vedo serpeggiare un po’.
  Vorrei ricordare che una Commissione del Senato ha certificato che, su 100 intimidazioni ad amministratori locali, 20 sono legate esattamente a questi fatti, vale a dire a impegni nella lotta contro l'abusivismo e per la demolizione. Quando gli amministratori raccontano le difficoltà reali, bisogna avere esattamente la stessa serietà che abbiamo noi nell'ascoltare i problemi che ci sono legati alle vicende giudiziarie.
  Visto che siamo nella Commissione giustizia, non mi risulta siano stati aboliti – lo saranno, probabilmente – i tribunali amministrativi regionali, che si interpongono nel silenzio generale, come se fossero altri enti, ritardando queste operazioni di anni e anni. Esattamente da due anni e mezzo, ad esempio, contrasto con l'amministratore giudiziario di un imprenditore mafioso, beni sequestrati, per uno scheletro realizzato su verde agricolo: debbo chiedere mille permessi, devo dimostrare che è di interesse pubblico. Di interesse pubblico c'è la demolizione.
  Dammelo subito. Quando ti telefono me lo devi dare. Me lo devi dare quando ti telefono, e quando ti racconto e ti faccio vedere che lì c'è verde pubblico e che quelli sono circa 2.500 metri quadrati con uno scheletro pieno di «monnezza», tutto intorno «monnezza». Su c'è un falansterio di case popolari. Io ho la certezza assoluta che non riuscirò a demolire quest'immobile pur avendo il massimo della volontà. Non dipende da me.
  Oltretutto, appena abbiamo fatto un'ordinanza al vecchio proprietario – non sapevamo nemmeno che era bene confiscato, perché nessuno ce l'aveva detto e non ci risultava dalle carte – lui, risuscitato, ha fatto ricorso al TAR, che ha detto che era illegittimo quello che stavo facendo. E dobbiamo chiedere, sostanzialmente, che venga ripulito, quindi siamo andati in secondo grado di giudizio, ma il sindaco ovviamente ha messo un'ordinanza contingibile e urgente per motivi igienico-sanitari.
  Dobbiamo sapere che la complessità non si risolve con le formulette. Io non ho gli elementi per dire che tutti i sindaci d'Italia, al contrario di qualcuno che lo ha detto, disapplicano le norme decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «Sblocca Italia». Posso parlare delle esperienze che ho io. L'ANCI nazionale con lo Sblocca Italia l'indomani ha fatto una circolare a tutti i comuni, in modo articolato a tutti i sindaci, spiegando quello che si doveva fare e quello non si doveva. C'è poi magari il dirigente neghittoso, qualcuno che sottovaluta, ma non mettiamo in discussione questa volontà.
  Oggi la demolizione di una singola casa è un fatto che ti fa costruire molto più consenso rispetto alla mancata demolizione. Si è rovesciata l'impostazione. È bene che un po’ tutti si sveglino e capiscano che i tempi sono diversi. Non siamo più, ripeto, negli anni Settanta e Ottanta, quando sull'abusivismo si sono costruite a occhi chiusi non dico fortune politiche, ma un qualche vantaggio di consenso. Oggi è esattamente il contrario. Demolire ha un grande valore simbolico. Potete capire che cosa significhi la demolizione di una villa abbandonata a Ciaculli, contrada famigerata Pag. 29 di Palermo. Siamo andati tutti con le ruspe all'indomani del protocollo, ma era già programmato il protocollo d'intesa.
  Quante sono le demolizioni che si possono fare teoricamente nella città di Palermo? Cito questa perché è la quinta città italiane e senza nulla togliere al primato assegnato a Lecce. Credo che qua, tra Campania e Sicilia, forse il vero primato lo abbiamo noi. Per le demolizioni possibili, i gradi di giudizio della magistratura e quelli del giudizio amministrativo con il percorso a ostacoli al TAR sono 95, non 9.500.

  ENNIO CILLO, sostituto procuratore generale presso la Procura generale della Corte d'Appello di Lecce. Voglio dire che mi scuso se il mio è mai stato inteso come un riferimento generale ai sindaci. Parlavo, purtroppo, di alcune esperienze specifiche, che non consentono di escludere anche l'intervento della magistratura. Per quanto riguarda, però, in particolare questo dato, secondo me particolarmente significativo, di tante demolizioni in un luogo difficile, e comunque la difficoltà del mestiere di sindaco – per carità – mi scuso se è stato inteso come una generalizzazione negativa.

  PRESIDENTE. È ovvio che c'è sicuramente un'esposizione enorme delle amministrazioni locali e, in particolare, del sindaco. Qui c'è da vedere se anche in una riforma bisogna forse portare fuori il singolo comune, o comunque fare in modo che le autorità locali siano in sinergia, non in alternativa, altrimenti è difficile arrivare.
  Vi ringraziamo molto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.45.

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