XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Mercoledì 14 settembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 3671-BIS GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLE DISCIPLINE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA

Audizione di Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma, di Antonino La Malfa, presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma, di Giovanni Nardecchia, giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Monza, e di Massimo Ferro, consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Ambrosini Stefano , professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Ambrosini Stefano , professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
La Malfa Antonino , presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Nardecchia Giovanni , giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Monza ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Ferro Massimo , consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Ermini David (PD)  ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Piepoli Gaetano (DeS-CD)  ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Ferro Massimo , consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Ferro Massimo , consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma, di Antonino La Malfa, presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma, di Giovanni Nardecchia, giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Monza, e di Massimo Ferro, consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 3671-bis Governo, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di Stefano Ambrosini, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma, di Antonino La Malfa, presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma, di Giovanni Nardecchia, giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Monza, e di Massimo Ferro, consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione.
  Sono presenti i relatori del provvedimento, l'onorevole Ermini e l'onorevole Bazoli, quindi possiamo iniziare, dando la parola al professor Stefano Ambrosini e chiedendogli di contenere lo svolgimento della relazione entro il quarto d'ora, in modo da consentire ai colleghi di porre le domande.
  Preciso anche che c'è già un documento elaborato dal professor Ambrosini, che verrà distribuito ai colleghi. Ovviamente, l'audizione verterà sul testo che è arrivato dal Governo, quindi le chiediamo eventuali osservazioni, se ci sono.
  Do la parola al professor Stefano Ambrosini per lo svolgimento della relazione.

  STEFANO AMBROSINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma. Ringrazio molto per il prestigioso invito. Io ho partecipato, seppur indegnamente, alla Commissione Rordorf, occupandomi, in particolare, di concordato preventivo e di misure di allerta, che sono il cuore del disegno di legge delega.
  Salta all'occhio, rispetto alla versione della Commissione Rordorf, un'accentuazione del discorso sul concordato liquidatorio. Credo sia, ormai, unanime l'opinione secondo la quale il concordato liquidatorio serve a poco. Nel testo presentato dal Governo, è stato tolto un aspetto, che, invece, avevamo considerato molto utile per i creditori, quello dell'apporto esterno. Questo è l'unico caso, che pensiamo, veramente in tantissimi di noi, debba essere mantenuto.
  Cosa vuol dire apporto esterno? L'imprenditore, per evitare quello che, oggi, si Pag. 4chiama fallimento – ma, domani, liquidazione giudiziale – mette mano al portafogli e mette dei soldi in più. Questo è un vantaggio autoevidente, che aumenta il livello di soddisfazione dei creditori, perché è un sacrificio personale dell'imprenditore.
  Dopo una lunghissima riflessione in sede di Commissione, sia della nostra sottocommissione sul tema sia di quella plenaria, avevamo ipotizzato la formulazione relativa appunto all'apporto esterno. Naturalmente, andrebbe precisato, per evitare quegli abusi, cui abbiano purtroppo assistito, che ciò vale solo nel caso di apporto di risorse esterne, che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori, come si legge a pagina 2.2.
  Ho messo un titolo un po’ vivace, «Come tutelare i territori senza gettare via il bambino con l'acqua sporca», nel senso che il concordato liquidatorio è superabile, ma bisognerebbe lasciare questa cosa perché è pacifico che in questo modo i creditori, non solo le banche, ma anche i lavoratori, gli artigiani e i professionisti, prendano più soldi.
  Sempre in tema di concordato, il disegno di legge delega recita, all'articolo 6, comma 1, lettera a): «inammissibilità di proposte concordatarie che abbiano natura essenzialmente liquidatoria». Lo trovo molto giusto e opportuno. Forse, tuttavia, l'avverbio «essenzialmente» lascia aperto un eccessivo margine di discrezionalità, foriero di prassi disomogenee presso i vari tribunali, che è ciò che vorremmo – credo – tutti quanti evitare.
  Allora, sarebbe molto utile chiarire cosa è concordato in continuità e cosa è liquidatorio, appunto perché il focus è su un concordato in continuità, il che vuol dire conservazione dei complessi produttivi e, con essa, quella dei livelli occupazionali, evidentemente nell'ottica del miglior soddisfacimento dei creditori. Questo è un altro punto aperto, su cui magari tornerò brevemente.
  In quest'ottica, ci chiediamo – e sono a pagina 3.3 – come superare le incertezze interpretative, che disincentivano gli investimenti, perché chiunque si occupi, da un certo numero di anni, di questa materia sa che gli investitori sono attratti, in quanto possono fare affidamento su regole ragionevolmente certe. Purtroppo, ancora oggi, nella disciplina del concordato, in particolare lo spartiacque liquidazione e continuità non è chiaro.
  Allora, bisognerebbe dire che l'affitto di un'azienda, che poi è prodromico a una cessione, è di continuità, anche se stipulato anteriormente alla domanda, altrimenti resta fuori, con danno per i creditori. Anche in questo caso, bisognerebbe chiarire che non è necessariamente detto che la componente di continuità sia prevalente su quella liquidatoria, cioè questo criterio meramente quantitativo della prevalenza rischia di affossare dei concordati, per esempio, solo perché ci sono tanti immobili da vendere e quel valore prevale su qualsiasi continuità.
  Bisognerebbe, invece, dire che anche, quando la componente liquidatoria è prevalente, tuttavia il concordato si considera in continuità, come stanno affermando moltissimi tribunali italiani, purché non ci siano casi di abuso. Anche in questo caso, c'è la massima attenzione per la correttezza dei comportamenti per evitare che qualcuno artificiosamente costruisca un ramo aziendale, solo per evitare i barrage del concordato liquidatorio.
  Altro tema molto importante, dal punto di vista pratico, è la moratoria ultrannuale. Questa sarebbe un'occasione estremamente propizia per chiarire la possibilità di pagare i creditori privilegiati, anche oltre l'anno, altrimenti si affossa di nuovo la continuità. Si può pagare il creditore ipotecario, che, in quanto banca, può aspettare tre o quattro anni, perché non deve cascare la mannaia entro l'anno, naturalmente chiarendo che, in quel caso, il creditore ipotecario, non falcidiato quantitativamente, ma ri-scadenziato temporalmente, vota per l'intero credito. Lo dico perché, altrimenti, si schiude uno scenario nuovamente di incertezza interpretativa.
  Questione annosa, di cui la Commissione e i relatori, in particolare, sono ben edotti, a cominciare dalla Presidente, è quella della fattibilità del piano, su cui sono scorsi veramente fiumi di inchiostro. Pag. 5La mia modesta esperienza mi suggerisce la non opportunità di inserire un concetto nuovo. Nel wording del testo, si parla di realizzabilità, secondo me, solo per non ripetere – è una mania un po’ italica quella dell'allergia alle ripetizioni – il termine «fattibilità». Su questo termine, invece, si è già formata un'amplissima giurisprudenza, quindi sarebbe molto importante parlare chiaramente di fattibilità, altrimenti rischiamo di introdurre...

  PRESIDENTE. A quale punto del testo si riferisce?

  STEFANO AMBROSINI, professore di diritto commerciale presso l'Università degli studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro e di diritto della crisi d'impresa presso la LUISS Guido Carli di Roma. Si tratta della lettera f) del comma 1 dell'articolo 6, Presidente, ossia quella sui poteri di verifica, in ordine alla realizzabilità.
  Il rischio è che ricominciamo, daccapo, a interrogarci su cosa sia la realizzabilità, mentre, già oggi, sappiamo abbastanza chiaramente cos'è la fattibilità.
  C'è un altro punto delicato di questa norma. È vero che si tratta di un revirement rispetto al nostro lavoro della Commissione Rordorf, ma, assolutamente questo poco importa, perché non c'è nessun attaccamento feticistico, almeno da parte mia, al nostro lavoro. Tuttavia, in questo caso, sembrerebbe che il magistrato possa, leggendo la domanda, dire «non mi piace» o «non mi convince», mentre – purtroppo, ma così è – nessun magistrato è in grado di fare un esame, prima facie, sulla realizzabilità economica; deve essere il commissario a segnalare la non realizzabilità. Veramente, è – credetemi – materialmente impossibile per il giudice, in fase di ammissione, effettuare una valutazione prognostica, senza un sostrato di tipo economico-aziendale.
  È molto importante dire che – sono a pagina 3.3 – tale valutazione deve essere limitata alla fase successiva all'ammissione, previa segnalazione commissariale. Deve essere il commissario a segnalare la non realizzabilità, perché, motu proprio, il tribunale non è fisicamente in grado di farlo.
  C'è un altro aspetto molto importante nella comunità economico-finanziaria. Io voglio pensare che, per un lapsus, è stata cancellata una norma, invocata concordemente da tutte le categorie economiche, dall'Associazione bancaria italiana (ABI) a Confindustria e a quant'altri, che è la stabilità della prededuzione dei finanziamenti. Non è possibile chiedere a un soggetto, che finanzia un'impresa in crisi, quindi sconta la maggiore alea consustanziale all'investimento in impresa in crisi o addirittura prossima al default, se non lo si rassicura sulla stabilità del beneficio della prededuzione, anche in caso di fallimento. Ci sono purtroppo alcuni tribunali che lo riconoscono nel concordato, ma, dichiarato in fallimento, lo negano. Questo crea un vulnus alla tutela dell'affidamento e alla stabilità delle situazioni giuridiche, cui, a mio sommesso avviso, occorre rapidamente porre rimedio, perché si tratta di un aspetto centrale dal punto di vista economico.
  Non potrei terminare il mio intervento, senza segnalarvi, perché è veramente una cosa in cui crediamo in molti della comunità scientifica e professionale, un aspetto, anche in questo caso annoso, che è quello del voto. Siamo passati, a mio modo di vedere con una troppo brusca oscillazione del pendolo, dal silenzio assenso al silenzio diniego. Il principio generale dell'ordinamento italiano – e debbo dire di tutti gli ordinamenti di civil law – è che il silenzio di per sé non è significativo, perché, se io sto silente, come fai a dire che sono d'accordo o contrario? Il rimedio tecnico è quello scomputare dal quorum gli astenuti e i non votanti, dimodoché per chi dice «sì» sarà sì e per chi dice «no» sarà no. Per chi non vota o si astiene, francamente è una prestazione inesigibile quella inferire dal silenzio e dall'inerzia una qualche forma volitiva.
  Infine, ci sono le misure di allerta, che aprono un dibattito, nel quale neanche entro, perché si tratta di problema, come sostengo da tempo, di valutazione squisitamente politica e di individuazione di un punto di caduta tra interessi contrapposti. Probabilmente, il testo della Commissione Rordorf era un po’ blando; tant'è che alcuni Pag. 6 di noi hanno scritto che mancava la chiusura del cerchio, quando l'imprenditore restasse inerte.
  Forse, oggi, manca una graduazione in funzione dei comportamenti, cioè sarebbe probabilmente opportuno – sono all'articolo 4 del testo del disegno di legge delega – limitare la segnalazione al Tribunale delle imprese e la conseguente pubblicazione al Registro delle imprese ai casi in cui non vi sia stata attivazione da parte del debitore. Intendo dire che, se veramente – sono a pagina 1 e il seguito è a pagina 2 – vogliamo, visto che la voluntas legis è chiaramente in quel senso, incentivare le condotte virtuose e sanzionare i soli imprenditori che restino effettivamente inerti, allora bisognerebbe graduare la conseguenza sanzionatoria in rapporto all'attivazione dello strumento.
  Un'ultima cosa che, come è emerso anche parlando con tante persone che se ne sono occupate, come il dottor Fontana e altri, risulta essere un lapsus calami, scritto com'è; questo è diventato la lettera e) del comma 1 dell'articolo 6. Ora, prevedere la suddivisione obbligatoria dei creditori in classi è, secondo me, un involontario assurdo giuridico, perché significa vietare i concordati senza classi. Questa cosa non ha senso, perché, da che mondo è mondo, si fanno i concordati con le classi e i concordati senza classi, per cui propongo sommessamente, ma convintamente, di ripristinare il wording e prevedere i casi nei quali è o sia obbligatoria la formazione di classi. Ora, se poi il tema – e ho terminato – è quello di annettere rilevanza al cosiddetti «collateral», cioè all'ipotesi in cui lui banche siano in qualche modo avvantaggiate sul binario parallelo di garanzie rilasciate dall'imprenditore, allora si potrebbe chiarire, già nel disegno di legge delega, che fra le ipotesi di classi obbligatorie vi è quella in cui vi sia la presenza delle cosiddette «garanzie collaterali». Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per la chiarezza e anche per la sinteticità, al tempo stesso, oltre che per l'approfondimento.
  Do la parola al Presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma, Antonino La Malfa.

  ANTONINO LA MALFA, presidente della Sezione fallimentare del Tribunale di Roma. Anche io limiterò il mio intervento solo a quegli elementi possibilmente critici, che meritano un approfondimento. Per il resto, la mia rimane tutto sommato un'adesione di fondo.
  All'articolo 2, comma 1, lettera m), sulla specializzazione del giudice, mi pare che ci sia una forte contraddizione fra l'enunciazione di principio e la specializzazione del giudice. Poi, si dice, in realtà, «ai tribunali e sedi della sezione specializzati in materia di impresa spetta la competenza sulla procedura concorsuale e sulle cause che derivano, relative a imprese in amministrazione straordinaria e a gruppi di grande rilevanza» e «tribunale ordinario per crisi di insolvenza del consumatore e del professionista», quindi per le piccole procedure, e si dice «sezioni fallimentari presso il tribunale ordinario», quindi si immagina altro giudice ancora, per le procedure concorsuali diverse da quelle sue indicate. Poi, c'è questa competenza degli organismi di composizioni che hanno anche loro una competenza abbastanza forte per le procedure di allerta, per le quali, peraltro, va segnalata la difficoltà, in futuro, di individuare quale sia l'organismo di composizione della crisi in un posto. Per esempio, Roma già ne prevede due nella stessa sede.
  In merito, posso dire che, probabilmente, queste andrebbero ricondotte a una, ma non è facile. Probabilmente la specializzazione è l'elemento che va privilegiato. L'argomento è estremamente tecnico perché l'insolvenza presuppone una forte conoscenza sia degli aspetti normativi che degli aspetti economico-aziendali.
  Procedo molto rapidamente perché ho varie cose da dire e, se la Presidente vuole, invio magari un testo più approfondito.
  Passo all'articolo 4, sulla procedura di allerta e composizione assistita della crisi. Per la verità, mi pongo in maniera un po’ critica sull'istituto in sé. Ritengo intanto che l'istituto, così come configurato, si attagli poco alle crisi che abbiano un'origine strutturale nell'insufficienza dell'impresa e nell'incapacità dell'impresa di andare avanti per affrontare una crisi di tipo economico- Pag. 7sostanziale e si adatta alle crisi di origine finanziaria. Tant'è che al professionista delegato viene indicato di trovare una soluzione di tipo finanziario. Tuttavia, risolvere il problema finanziario non vuol dire risolvere i problemi, quando, soprattutto, l'impresa ha dei problemi interni e strutturali; da questo deriva una potenziale e modesta efficacia dell'istituto stesso.
  C'è un altro elemento di rischio. Vedo che trapelano notizie e, per quanto si parli di riservatezza e viene evidenziata e sottolineata la riservatezza della procedura presso gli organismi di composizione, tuttavia è molto difficile tutelare una vera impermeabilità. In questo caso, l'impermeabilità è particolarmente importante soprattutto per le imprese di grandi dimensioni, per non parlare di quelle quotate in borsa. Per queste imprese la semplice propagazione della notizia che l'impresa è in una procedura di allerta è in grado di creare un'allerta nel mercato, quindi di rendere oltretutto quest'impresa debole nonché contendibile e aggredibile da parte dei terzi.
  Un altro elemento di criticità è l'ombrello protettivo, che si ipotizza nella legge possa dilungarsi oltre i termini. Lo dico perché, se si vuole risanare l'impresa e dare una prospettiva di risanamento, è chiaro che questo ombrello protettivo non può essere limitato a brevissimi tempi. Ora, se questo ombrello protettivo si dilunga troppo a lungo, rischia di compromettere la ragione dei creditori in maniera anche grave.
  Mi sembrano anche di difficile percezione, per i soggetti che devono segnalarli, gli indizi della crisi, visto che, a sua volta, la crisi è un concetto abbastanza indeterminato, quindi un indizio, qual è la crisi, diventa pericoloso.
  C'è un ultimo elemento, che, se applicato su larga scala, potrebbe comportare una soglia di applicabilità, ma rischia di intasare gli uffici. Una procedura di allerta applicata a tutte le imprese rischia obiettivamente di intasare sia gli organismi di composizione che poi gli uffici giudiziari.
  Mi fermo sull'allerta e passo al concordato preventivo. Su quest'aspetto, sostengo le posizioni del professor Ambrosini. Il concordato liquidatorio è quello che ha dimostrato, ormai in cinquant'anni, un forte gradimento da parte dell'economia ed è quello che ha consentito, comunque, di arrivare a una soluzione concordata della crisi, al di là della soluzione fallimentare. Voglio dire che il concordato non è solamente utile quando risana l'impresa, perché il concordate è utile quando consente anche di uscire dalla crisi e di risolvere la crisi, senza passare da una procedura aggressiva e competitiva, qual è quella del fallimento. Quindi il concordato è comunque positivo. Tant'è che l'ingresso della riforma del 2005 parlava di soluzioni concordate della crisi e non parlava di risanamento unicamente. È chiaro che il risanamento è la cosa migliore, ma, per questo caso, quanto meno nell'ipotesi graduata in cui pervenga finanza esterna, mi sembra particolarmente utile.
  Sostengo le posizioni del professore, anche con riferimento alla durata della dilazione. Su quest'aspetto, esprimo un'esperienza del nostro ufficio, dicendo che, soprattutto in relazione ai concordati in continuità, si scontra spesso con la oggettiva impossibilità per un'impresa che tenta il risanamento di pagare, entro un anno, i crediti privilegiati e, particolarmente, i crediti fiscali, sui quali, peraltro, ci sono pure le dilazioni che provengono dal fisco. Questo mi sembra un elemento veramente forte da sottolineare.
  Un altro elemento che vi indico, ma che meriterebbe una rivisitazione, è quello dell'esecuzione del concordato. Anche su questo punto, ci sono forti lacune. Insomma, alla fine, l'esecuzione del concordato è lasciata abbastanza all'improvvisazione e a una supplenza da parte dei tribunali. Particolarmente significativa è la necessità di regolare e di dare poteri al liquidatore nei confronti dei liquidatori dell'impresa, che è in concordato preventivo.
  Mi fermo sul concordato per passare alla transazione fiscale, di cui ho avuto modo di occuparmi. Ho visto che non ne ha parlato nessuno, ma è un istituto centrale, perché il debito fiscale è una delle categorie preponderanti dei debiti delle imprese italiane e funge un po’ da ammortizzatore prima di arrivare all'insolvenza. Così come Pag. 8attualmente configurata, la transazione fiscale è piena di confusione e di elementi di contraddizione. Innanzitutto, per la transazione fiscale va chiarito che non è una transazione, non è un negozio e non è un accordo fra il debitore e il fisco, perché la struttura dell'istituto è tale da non prevedere un negozio o un accordo, ma è una procedura che consente al fisco di esprimere il voto e di partecipare consapevolmente al concordato, transigendo le proprie posizioni creditorie.
  Tra gli altri elementi da chiarire e, a parer mio, assolutamente da eliminare, vi è un elemento sul consolidamento. Non è possibile il consolidamento dei crediti fiscali, quando, all'esito del concordato, rimane ancora una diversità di opinioni fra il debitore e il fisco, cioè, se ciascuno dei due ha un parere diverso, non è possibile consolidare nulla. Inoltre, ne consegue che, se non si può consolidare il debito fiscale, non ne può derivare la cessazione del contendere, perché non possono essere eliminate le liti, se non finisce la lite stessa.
  È opportuno, poi, chiarire il rapporto fra la transazione fiscale e la transazione dei debiti fiscali, ai sensi dell'articolo 160, quindi eliminare il divieto di trattamento dei crediti IVA, perché la Corte di giustizia europea ci ha dato l'indicazione, per cui non è incompatibile con la proposizione dei concordati preventivi, posto che ci sia un'adeguata tutela delle ragioni del fisco.
  L'ultimo punto riguarda la disciplina unitaria per il trattamento dei crediti fiscali e dei crediti previdenziali, che, oggi, hanno due regimi assolutamente differenziati, ma non c'è nessuna ragione per trattare diversamente, sia sotto il profilo procedurale che sotto il profilo sostanziale, crediti che hanno, tutto sommato, un analogo contenuto.
  C'è un ultimo punto – e poi ho finito – sulla procedura liquidatoria e sull'attuale fallimento. Su quest'aspetto, mi pare che il punto, in cui maggiormente bisognerebbe ancora intervenire rispetto alle proposte del disegno di legge in discussione, sia costituito dal fatto che il disegno di legge non ha eliminato le problematiche che si sono create con riferimento al comitato dei creditori. La procedura fallimentare si reggeva su tre gambe, tutte e tre solide, in ipotesi: il curatore, il tribunale con il giudice delegato e i creditori con il comitato dei creditori.
  L'esperienza ormai di dodici anni di applicazione ha dimostrato che il comitato dei creditori è un istituto che non funziona, perché non si riesce a formarlo. Raramente lo si forma, ma, quando lo si forma, spesso che il comitato non recepisce, non risponde e, di fatto, non funziona, per cui ne deriva un'asimmetria strutturale della procedura di fallimento. Questo diventa ancora più importante nella prospettiva della riforma, perché la prospettiva della riforma ingloba in sé anche i concordati liquidatori puri, il che significa che l'importanza economica del fallimento è destinata ad aumentare, quindi lasciare una procedura che ha una lacuna strutturale così forte significa fare una riforma che non ha un assetto stabile e che, di per sé, già nasce claudicante.
  Mi rendo conto che non basta dire rimettiamo a posto le cose, perché si tratta di intervenire sulla stessa filosofia del fallimento o, quanto meno, sulla struttura del fallimento. Bisogna riorganizzare l'assetto dei poteri tra giudice delegato, curatore e creditori, ai quali comunque va garantita la possibilità di partecipare. Certamente, in qualche modo, si è erode il terreno sotto i piedi del giudice delegato, quando il giudice delegato deve provvedere sulla convenienza degli atti, che è argomento che la legge vuole destinato ai creditori, ma su cui interviene il giudice che ha obiettivamente, per sua natura, un'ottica di legalità, oltre che un'ottica di convenienza; comunque la convenienza non è sua.
  Su questo insisterei particolarmente perché è un argomento molto sentito nell'applicazione quotidiana.
  Un altro argomento, che si riconnette a quest'ultimo, è quello relativo alle misure che consentano la verifica e la trasparenza delle nomine dei professionisti, visto che riceve varie critiche nell'applicazione quotidiana. C'è un ultimo punto, invece, più preciso, che riguarda la ripartizione dell'attivo, che il disegno di legge attribuisce al curatore, in un'ottica probabilmente di accelerazione. Pag. 9 Mi pare che questo non colpisca il segno, nel senso che la ripartizione dell'attivo molto raramente determina una lentezza della procedura, sostanzialmente mai, per cui lasciare nelle mani del giudice delegato l'approvazione del progetto di ripartizione è sicuramente un elemento di legalità e assicura una maggiore solidità. In effetti, lasciarlo al curatore con l'impugnazione, che poi vada al giudice, secondo me allunga di più i tempi e dà meno forza al provvedimento iniziale.
  Mi fermerei qui, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente La Malfa. Do la parola al giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Monza, Giovanni Nardecchia.

  GIOVANNI NARDECCHIA, giudice della Sezione fallimentare del Tribunale di Monza. Ringrazio anzitutto il presidente e tutta la Commissione di questo piacere e di questo onore. Anch'io mi riserverei, se possibile, di inviare un testo scritto nei prossimi giorni, in modo tale da poter, in qualche modo, meglio chiarire quello che, ora, brevemente cercherò di esporvi.
  Io credo che, in qualche modo, per parlare su alcuni punti di questa riforma bisogna, a mio avviso e a nostro avviso, affrontare i punti centrali e io credo che su questo non si possa che parlare essenzialmente delle misure di allerta.
  In questi dieci anni, il pendolo delle riforme fallimentari è oscillato un po’ come un pendolo impazzito. Siamo partiti dal 2005 con un'esaltazione dell'autonomia negoziale, che ha avuto forse la sua massima espansione nel 2012, con il cosiddetto «concordato con riserva», i cui effetti forse non sono stati così positivi e, secondo quelle che erano anche le migliori intenzioni di chi li ha ideati, hanno portato una sorta di piccola controriforma, iniziata nel 2013 con il decreto «del fare». Nel 2015, in qualche modo si è tornati a stabilire dei paletti un po’ più fermi e un po’ più forti sul concordato preventivo, con un ritorno di un controllo giudiziale un po’ più forte. Questo cosa ci insegna? Questo ci insegna forse – penso di poterlo dire – che anche la migliore delle leggi fallimentari possibili non può fare molto, se in qualche modo non si interviene su un nodo centrale che è la tempestiva emersione della crisi d'impresa.
  Questo oscillare di dieci anni in proposte anche ideologicamente molto lontane fra loro, ci fa pensare e ci fa venire forse il sospetto che, se non si interviene su un elemento fondamentale, che va al di là della riscrittura tecnica della miglior legge fallimentare e che è quello della tempestiva emersione della crisi d'impresa, forse, anche oggi, in qualche modo, a mio avviso, rischiamo di perdere una grande occasione che è quella finalmente di una riforma strutturale, di una riforma organica e di una riforma che davvero abbraccia tutta la legge fallimentare. Questo rischio c'è, se davvero non si interviene con attenzione e con decisione su questo punto, che, a mio avviso, mi permetto di dire che è forse quello davvero centrale.
  Le misure di allerta vengono definite, nel testo, di natura non giudiziale e confidenziale, che poi, attraverso il corso dei lavori, è divenuta un po’ un misto, perché, come ben sappiamo, abbiamo poi una fase giudiziale. Io credo che questa misura di allerta, per funzionare, dovrebbe avere degli elementi, essere semplice, essere economica ed essere efficace. Il primo rischio, che io vedo in questa struttura, è la lunghezza. Semplicemente, sommando le varie fasi, quella della segnalazione, passando a quella davanti all'Organismo di composizione della crisi (OCC) e all'eventuale nomina di un professionista, quindi al passaggio della fase giudiziale, al Registro delle imprese, al Tribunale delle imprese e quant'altro, rischiamo, con una facilissima previsione, di ipotizzare un meccanismo di 12-15 mesi, che, a mio avviso, rischia di essere del tutto incompatibile con le esigenze di questo tipo di procedimento, che a mio avviso deve essere semplice, veloce ed efficace, oltre che economico.
  La proposta, che vorremmo porre all'attenzione di questa Commissione, è quella, appunto, di ipotizzare in qualche modo un restringimento di questa fase davanti all'OCC, nel senso di fare tutta la fase dell'allerta Pag. 10 davanti all'OCC. In che termini? Ora, cerco di spiegarlo brevemente.
  Il primo, a mio avviso, investimento deve essere fatto sull'OCC, cioè, se vogliamo che questa cosa funzioni, dobbiamo fare un grande investimento sull'indipendenza e sull'autonomia dell'OCC. Questo è il primo, a mio avviso, messaggio forte da dare, il che significa, anche dal punto di vista organizzativo, come ricordava prima il presidente La Malfa, per esempio, una scelta anche dolorosa, ma di unicità dell'OCC. Pensiamo ai possibili problemi che possano sorgere, in senso lato – dico una parola sbagliata – per la competenza fattuale dell'OCC. L'OCC è competente a decidere determinati flussi informativi, ma solo a Roma ce ne sono venti, per cui quello che arriva prima è quello che prima incontra il debitore ed è quello che, in qualche modo, prima si attiva, quindi la scelta organizzativa e la scelta di autonomia e indipendenza dell'OCC è una scelta essenziale con riferimento al funzionamento di questo meccanismo.
  La seconda scelta, quella dell'investimento, è che i professionisti nominati dall'OCC devono avere i massimi requisiti di indipendenza, di autonomia, di professionalità, altrimenti, questo non funziona. Lo dico perché, se vogliamo scommettere su questo meccanismo, dobbiamo scommettere che questo meccanismo sia capace di funzionare, quindi professionisti chiamati siano dotati di requisiti di indipendenza e autonomia.
  La proposta, che sommessamente mi permetto di avanzare e di esporre brevemente, è quella di prevedere che, una volta che giungono tutte quelle segnalazioni, in qualche modo, dovranno essere ben individuate, con riferimento ai presupposti, perché, come ben sappiamo, gli organi di controllo, oggi, hanno anche un obbligo di segnalare, in relazione all'insolvenza, il procedimento di liquidazione, quindi dobbiamo ben chiarire quali sono i limiti relativi alle segnalazioni sull'OCC, ossia quelli della crisi e con riferimento alla segnalazione dell'insolvenza.
  Su quest'aspetto, mi permetto di dissentire con il presidente La Malfa. Io credo che comunque è positiva la scelta di ampliare tutta l'insolvenza perché – sono forse maniaco della semplicità – il fatto che funzioni l'articolo 5, che in sessant'anni aveva prodotto cinque sentenze in Cassazione. È chiaro a tutti che cosa sia l'insolvenza, per cui ha fatto bene, a mio avviso, il legislatore delegato ad ancorare questo concetto ancora all'insolvenza, perché, in qualche modo, quanto meno abbiamo bisogno di certezze da questo punto di vista.
  Si potrebbe poi ipotizzare che, a fronte di questa convocazione, vi sia la nomina, sempre e non soltanto su istanza del debitore, da parte dell'OCC, ove lo ritenga, di un professionista dotato di tutti i requisiti di indipendenza e autonomia, che debba redigere una relazione sulla situazione economica e finanziaria, aggiornata in quel momento. Il mediatore professionista, oltre ad avere il compito di trovare una soluzione mediata tra debitore e creditore, dovrebbe, a mio avviso, depositare anche una relazione economica aggiornata, che dovrebbe poi depositare, o unitamente all'attestazione positiva, nell'ipotesi in cui questa crisi è stata superata, oppure, ove anche fosse negativa, questa relazione potrebbe essere un fondamento da utilizzare per qualsiasi altra soluzione che il debitore voglia assumere.
  Con ciò cosa intendo dire? Una volta che vi è questa relazione e il professionista imposta questa relazione, ove con i debitori non si fa nulla, l'OCC potrebbe concedere a questo debitore un termine 30 o 60 giorni, per iniziare una procedura concorsuale, che sia un accordo o un concordato. Cosa vuol dire tutto ciò? Questo significa che in qualche modo risparmieremmo – e i tempi economici dei costi sono notevoli – anche molti costi di molti professionisti, il che è una delle misure che è, in qualche modo, richiesta dalla riforma.
  Oltretutto cosa faremmo in questo caso? Salveremmo anche la figura professionale dell'attestatore. Con ciò cosa voglio dire? I problemi che sono sorti in questi anni e che hanno portato a questa grave quasi guerra ideologica, in relazione al Tribunale, quindi alla fattibilità economica, al controllo giudiziale e quant'altro, sono dovuti, a mio Pag. 11avviso, inevitabilmente al retropensiero che questi professionisti attestatori nominati dal debitore non fossero del tutto indipendenti. Questo è uno dei motivi che ha portato anche a queste lotte quasi ideologiche sui controlli del tribunale.
  Ove davvero questo professionista nominato dall'OCC fosse, nell'ipotesi di accesso a una procedura concorsuale, anche lo stesso professionista che va a testare quel piano e quell'accordo, avremmo in qualche modo una certezza di terzietà di questo professionista e verrebbero meno anche i molti problemi in relazione alla figura dell'attestatore che sono emersi in Commissione. Tant'è vero che anche nella relazione illustrativa si faceva riferimento al dubbio che fosse ancora fattibile e ancora attuale la figura dell'attestatore, proprio perché su questa figura e sulla sua terzietà sono sorti questi dubbi.
  A nostro avviso, ove il debitore non facesse nulla, ovvero dopo che la mediazione è andata male ed è stata depositata la relazione entro 30 o 60 giorni non depositasse un accordo e non depositasse un concordato, sarebbe inevitabile, nel caso in cui la relazione facesse riferimento a una situazione di insolvenza, la segnalazione ai sensi dell'articolo 7.
  La segnalazione in base all'articolo 7 dovrebbe giungere soltanto all'esito di tutti gli esperimenti, ossia dopo il primo esperimento per giungere a una mediazione fra il professionista, il creditore e il debitore e all'esito del deposito di una relazione e all'inazione del debitore che, in un termine breve, non ha né depositato un accordo né un concordato. Credo che in questo caso, ove l'inerzia del debitore si protraesse fino in fondo e fosse riscontrata una situazione di insolvenza, sarebbe inevitabile il ricorso all'articolo 7.
  Quali potrebbero essere questi vantaggi? Il primo potrebbe essere la contrazione dei tempi, perché in questo caso la procedura potrebbe durare al massimo 6-7 mesi, invece dei 12-15 attuali.
  Il secondo potrebbe essere il risparmio dei costi. Pensate che attualmente per giungere a un concordato il debitore potrebbe ricorrere a tre professionisti: il primo nominato dall'OCC, il secondo nominato dal presidente del tribunale delle imprese e il terzo nominato da lui ove depositasse un concordato.
  Inevitabilmente ci sarebbe anche un effetto positivo dal punto di vista del debitore, perché quest'ultimo sa che, una volta che l'OCC nomina un professionista, quel professionista sarà il suo attestatore. Pertanto, se lui vuole un professionista di sua fiducia, deve anticipare i tempi, deve richiedere un concordato, un accordo o una procedura prima che l'OCC si muova e nomini quel professionista, perché solo in quel caso avrà la certezza di avere il professionista di sua fiducia.
  Con riferimento agli altri punti, passiamo al concordato liquidatorio. È chiaro che la suggestione è evidente nel dire che sicuramente, se vi è un apporto di terzi, se in qualche modo è l'interesse dei creditori, è chiaro che comunque può star bene a tutti. Per quanto riguarda la scelta di fondo, noi riteniamo giusta la scelta di mantenere il concordato nell'ambito della continuità. Se, però, si vuol tornare a un concordato liquidatorio, credo che non si possa del tutto allontanarsi dalla scelta del 2015, cioè un concordato liquidatorio che abbia una percentuale del 20 per cento. Io credo che sarebbe davvero singolare un ritorno al passato, quasi come se quest'anno non fosse successo nulla, tornando a un concordato liquidatorio privo di percentuali. Pertanto, crediamo davvero che il concordato liquidatorio debba tornare, ma debba tornare nei limiti del 2015.
  Chiaramente, crediamo anche che il concordato liquidatorio e la possibilità di farlo potrebbe essere una delle misure premiali relative alla tempestiva emersione della crisi d'impresa. Voglio dire che potrebbe essere una delle ipotesi riservate al debitore che solertemente ha iniziato il procedimento di allerta e che, ove non abbia trovato riscontro nei creditori, ha comunque diritto e facoltà di portare un concordato liquidatorio. Potrebbe essere una misura premiale nell'ipotesi in cui il debitore si sia attivato tempestivamente per attuare la propria soluzione della crisi di impresa. Pag. 12
  Passiamo alla continuità. A questo punto è fondamentale chiarirsi bene su quello che è continuità. Soprattutto se il concordato sarà solo continuità, è necessario a mio avviso che vi sia davvero una chiarezza, nel senso che il legislatore dovrebbe espressamente indicare nei princìpi delega quello che è continuità e quello che non è continuità, perché altrimenti rischiamo di avere 130 ipotesi di continuità quanti sono i tribunali italiani.
  In questo caso, se crediamo che la stella polare debba essere ancora il soddisfacimento dei creditori, non può che essere una percentuale relativa alla soddisfazione che i creditori hanno dalla continuità e alla soddisfazione che i creditori hanno dalla non continuità.
  A proposito della soddisfazione dei creditori, allo stato tutte le forme di concordato, anche quella con continuità, hanno come centro, o quantomeno come finalità, il migliore interesse dei creditori.
  A tal riguardo ci preoccupano un po’ alcuni passaggi dei princìpi di legge-delega e anche della relazione in cui l'interesse dei creditori sembra in qualche modo essere subordinato o quantomeno accantonato rispetto ad altri interessi.
  Siamo certi che ciò non accadrà, però temiamo che questo possa aprire una sorta di strada a una piccola amministrazione straordinaria in cui l'interesse dei creditori venga a essere subordinato ad altri interessi.
  Crediamo che questo non sarebbe davvero opportuno e, quindi, che nei princìpi di legge-delega, anche con riferimento ai concordati con continuità, vada ribadita la centralità dell'interesse dei creditori. Riteniamo che una soluzione di questo genere all'interno della legge fallimentare sarebbe dirompente e devastante per tutto l'impianto complessivo.
  Per quanto concerne il tema affitto d'azienda e continuità, sicuramente è opportuno verificare anche la possibilità della continuità indiretta attraverso l'affitto. Quel che è fondamentale è che questo non metta in discussione uno dei princìpi della riforma del 2015 che sta avendo larghissima diffusione, che è quello delle offerte concorrenti, cioè l'idea che in tutti concordati vi sia un procedimento competitivo per la vendita degli asset.
  Riteniamo che l'affitto d'azienda possa essere utile per traghettare l'impresa in concordato, purché si tratti di un affitto ponte, cioè di un affitto che si fermi nel momento in cui vi è un'offerta concorrente e nel momento in cui i commissari o il giudice stabiliscono le modalità di vendita.
  Tenere fermo l'affitto oltre quella fase significherebbe in qualche modo eludere il principio delle procedure competitive, proprio perché – l'esperienza di questi mesi dei procedimenti in Italia lo dimostra – mettere in competizione affitto e vendita insieme diventa molto difficile, sia dal punto di vista finanziario che dal punto di vista della tempistica.
  Poiché io penso che le cose che funzionano siano quelle semplici, la vendita deve essere solo vendita di azienda con un prezzo e basta. Quello funziona. Quando si comincia a mettere in vendita, affitto più azienda eccetera, diventa una questione poco comprensibile dagli imprenditori esterni e poco funzionale.
  Passiamo alla fattibilità. Anch'io prego assolutamente i legislatori di non introdurre nuovi lemmi, perché troveremmo 50 interpretazioni diverse su quello che è la realizzabilità economica, andando ad appurare se c'è qualche differenza con la fattibilità economica.
  Da questo punto di vista, credo che sia davvero opportuno mantenere il concetto di fattibilità economica, concetto così alato con riferimento alla giurisprudenza. Noi riteniamo che la soluzione del legislatore sia opportuna.
  Per ciò che riguarda i rapporti pendenti, è assolutamente opportuna l'idea di limitare la sospensione alla fase del concordato con riserva, lasciando lo scioglimento soltanto alla fase successiva, perché solo quando c'è un piano e solo quando il debitore ha fatto la completa discovery di tutte le sue carte è possibile sciogliere un contratto, soprattutto con gli effetti negativi che si hanno nei confronti dell'altro soggetto. Pag. 13
  A tal riguardo, c'è davvero la necessità che il legislatore intervenga sui contratti bancari, perché abbiamo 150 interpretazioni, tutte fattibili e tutte degne di attenzione, in relazione alla possibilità di incidere nella fase del concordato sui contratti bancari pendenti, tanto più che, se il futuro del concordato sarà un concordato in continuità, ogni concordato avrà uno o più rapporti giuridici pendenti con le banche. Questo è davvero un elemento che sta provocando un'incertezza interpretativa e, quindi, una difficoltà di applicazione della norma enormi.
  Ognuno può avere la sua idea ma, qualunque sia l'idea, l'importante è che il legislatore ci metta mano, perché questo è un elemento di incertezza davvero grave che sta minando molto.
  Sui finanziamenti sono assolutamente d'accordo con il professor Ambrosini: è fondamentale che si dia certezza al finanziatore. Tuttavia, a mio avviso, la certezza si può dare solo attraverso un elemento: il fatto che tutti questi finanziamenti siano sempre autorizzati dal giudice, perché altrimenti, senza l'autorizzazione del giudice, non è ipotizzabile una stabilità che vada anche oltre il concordato e che, quindi, sopravviva anche al fallimento. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Do la parola a Massimo Ferro, consigliere della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, per lo svolgimento della sua relazione.

  MASSIMO FERRO, consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione. Io inizio come avrei concluso, augurandovi buon lavoro, perché, in effetti, avete bisogno, al di là del mio augurio personale, che conta poco, di grande coraggio e di grande lucidità e respiro. Infatti, vi accingete per l'ennesima volta ad affrontare il diritto – oggi chiamiamolo per come correttamente va inquadrato dal punto di vista normativo – fallimentare, che ha mutato pelle in questi dodici anni, divenendo un diritto ordinariamente utilizzato dalle manovre economiche, di politica industriale e di legislazione sociale per aggiustare obiettivi che il Governo e il Parlamento si danno in relazione all'occupazione, alla crescita, alla stabilità.
  Che cosa è successo dentro il diritto fallimentare? Da un lato, è successo che questa permeabilità e duttilità del diritto fallimentare hanno avuto come ricaduta una sua mitezza progressiva e, quindi, un'accentuazione della sulla fragilità.
  Dall'altro punto di vista, sappiate – ma so che voi lo sapete – che non esiste in Italia un diritto fallimentare, non solo perché – non ne parliamo, perché già nella convocazione eravamo stati avvisati di tenerne conto – l'articolo 15 dell'originario disegno di legge è stato espunto e, quindi, non si parlerà di amministrazione straordinaria. Pertanto, per quel che si capisce, il sistema che andrà a regime continuerà a contemplare – unico al mondo – un giudice o una pubblica amministrazione e qualche volta un giudice e una pubblica amministrazione.
  Non è soltanto questo tipo di frammentarietà molto italica che continuerà a contraddistinguere il sistema concorsuale domestico. L'altra frammentarietà deriva dal fatto che noi abbiamo tanti diritti fallimentari quanti sono i regimi in vigore quando le procedure sono partite.
  Dunque, una prima raccomandazione è quella di stabilire una congrua vacatio legis di quella che sarà la vostra riforma e, al contempo, di unificare tutti i diritti fallimentari pro tempore che sono attualmente vigenti e che contraddistinguono centinaia di migliaia di procedure, ciascuna delle quali trae origine e regolazione dal diritto vigente nel momento, avendo preso parte dei modelli successivi soltanto in misura minoritaria.
  Venendo al problema dell'articolo 15, trovo particolarmente positivo che sia rimasto l'impianto dell'articolo 14 e, quindi, che sia rimasto un aggancio delle imprese attualmente soggette ai controlli in materia di liquidazione coatta amministrativa al regime ordinario.
  Mi permetto di suggerire l'introduzione, alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 14, di un «anche». In quell'articolo sembra che l'autorità amministrativa assuma i compiti Pag. 14 degli OCC e contestualmente assuma anche i compiti di segnalazione dell'allerta.
  Sarebbe il caso di lasciare che quelle imprese possano scegliere se ricorrere invece a un OCC sul territorio, oppure al Ministero o a un'articolazione decentrata del pubblico ministero.
  Forse è antieconomico sprecare le competenze dei sensori interni a quelle imprese di segnalazione delle insolvenze e, quindi, sarebbe il caso di agganciare in modo più chiaro l'articolo 14 ai princìpi generali e permettere che i controllori, i sindaci o i controllori interni di quelle imprese che attualmente sono soggette a liquidazione coatta amministrativa possano segnalare i sintomi di crisi e possano far entrare in allerta anche queste imprese.
  Allo stesso modo, sarebbe uno spreco prevedere per gli imprenditori ordinari che l'Agenzia delle entrate, gli agenti di riscossione, gli enti previdenziali o gli altri creditori qualificati secondo la lettera c) del comma 1 dell'articolo 4 debbano, a pena di perdita del privilegio, segnalare gravi inadempimenti e esonerarli da questa segnalazione per questo tipo di imprese che hanno insolvenze molto simili.
  Questa stabilità e, quindi, maggiore predicibilità del diritto dell'insolvenza si può ottenere anche, in linea generale, separando in modo più netto le norme-principio che contraddistingueranno necessariamente la vostra elaborazione dalle norme di funzionamento.
  Le norme di funzionamento in questi anni hanno seguito, fotografandole in maniera molto corretta, le prassi più virtuose. Tuttavia, le prassi virtuose, per loro definizione, dopo poco tempo sono sopravanzate da altre prassi che, necessariamente, sono più virtuose di quelle precedenti.
  Un inseguimento fotografico continuo da parte del legislatore delle prassi virtuose ha condotto in questi anni a conoscere bene – questo è un titolo di merito, che in particolare riguarda questa Commissione – ciò che accade nel giudiziario, nella comunità professionale e nella giurisprudenza, ma anche a un'ansia di tipo normativo da inseguimento. Pertanto, la disciplina concorsuale in questo momento è costituita da grandi princìpi e da norme molto minute, che, se questo sarà il metro, genereranno a loro volta altre norme minute.
  Come si può ovviare agli scopi di una norma di dettaglio? Si può ovviare individuando degli obiettivi, obiettivi dati al curatore futuro e al commissario futuro e obiettivi dati ai giudici, individuando delle garanzie di carattere sostanziale, cioè strutturale: l'indipendenza, la velocità, la mancanza di conflitti di interesse per quanto riguarda i soggetti privati prestati all'autorità giudiziaria e, per quanto riguarda il giudice, fissando requisiti processuali che siano idonei ad assicurare i risultati che, altrimenti, solo in senso declamatorio vengono individuati.
  Vista anche la mia esperienza personale, sulle prestazioni giurisdizionali faccio una raccomandazione: una migliore delimitazione dell'oggetto dell'accertamento che sia demandato al processo. Do un'indicazione. Oggi noi abbiamo in tutta la legge concorsuale la regolazione dei rimedi impugnatori attraverso un principio devolutivo – così si chiama – pieno. Pertanto, in secondo grado dentro la concorsualità si ricomincia da capo.
  L'esempio è semplice: Tizio viene dichiarato fallito, perché non si è presentato davanti al tribunale, benché regolarmente notificato. È sufficiente la prova del credito, ovvero la prova che sia un imprenditore commerciale. Una volta che sa che è dichiarato fallito e che ha scelto di non andare davanti al tribunale, reclama la dichiarazione del proprio fallimento davanti alla corte d'appello; per la prima volta prova che era sotto soglia e, quindi, che non doveva essere dichiarato fallito, e la corte d'appello revoca la dichiarazione di fallimento.
  Allo stesso modo, Tizio non ottiene l'ammissione al concordato e reclama. Il curatore che nel frattempo è stato dichiarato e un creditore si costituiscono, introducono nuovi fatti, che esistevano anche prima, ma sui quali per la prima volta provocano il dibattito davanti al giudice di secondo grado. Quella non ammissione e, quindi, quel fallimento vengono revocati. Pag. 15
  Credo che sia maturo il tempo per introdurre nell'ambito della disciplina concorsuale il principio devolutivo attenuato, per cui il giudice del reclamo (dell'impugnazione o come lo chiamerete) si occupi esclusivamente di fatti che sono stati mal considerati dal giudice precedente e non possa più accadere che nei rimedi impugnatori si possano introdurre nuovi documenti, nuove prove e fatti per la prima volta portati all'attenzione del contraddittorio.
  Mi sento di suggerire una proposta in materia di accertamento del passivo, che si riaggancia a questo coraggio al quale mi permetto di richiamarvi nell'indicazione degli obiettivi dati agli organi più che nelle norme di dettaglio.
  Credo che sia giunto il momento di affidare – lo dico in maniera sbrigativa, ma nello scritto cercherò di essere meno frettoloso – al curatore la formazione dell'accertamento del passivo, così come accade nelle liquidazioni coatte amministrative.
  Il giudice, a seconda della complessità della procedura (giudice delegato in procedure poco complesse o tribunale in formazione collegiale per procedure più complesse), sarebbe il giudice dell'impugnazione e la corte d'appello sarebbe il giudice del reclamo.
  Questo tipo di impianto avrebbe una serie di vantaggi. Innanzitutto, si manterrebbe quello che accade ora, per cui il creditore, anche senza il ministero di un avvocato, può fare le sue insinuazioni al passivo.
  Quello che prevede il testo della riforma sulle preclusioni attenuate dovrebbe essere attuato con molta prudenza, perché si vanno a porre dei vincoli a un'attività che non è assistita dal ministero di un legale. Tuttavia, una volta assolti alcuni requisiti minimi di forma e di tempistica, ci può anche stare questo tipo di preclusione.
  Il giudice delegato oppure – lo ripeto – il tribunale in formazione collegiale nelle dimensioni più complesse si occuperebbe dell'impugnazione, con contezza piena delle ragioni per le quali il credito non sia stato ammesso, e la corte d'appello sarebbe l'unico giudice del reclamo.
  Un vantaggio immediato intuibile sarebbe che l'affermazione più veloce di una giurisprudenza a livello distrettuale accorcerebbe di anni l'affermazione di un diritto per ora regionale e poi – si spera che lo sarà, come dovrebbe essere – di carattere nazionale.
  Oggi, come sapete, il sistema dell'impugnazione del passivo prevede che sia formato dal giudice delegato. L'impugnazione si fa davanti al tribunale collegiale; dopodiché si arriva in cassazione.
  Io e i miei colleghi della prima sezione decidiamo ricorsi di cinque anni fa. Procediamo in ordine cronologico e anche con molta accelerazione.
  Nel corso di questi cinque anni il diritto di merito si confronta sulle riviste e nei convegni, ma non si confronta giudiziariamente parlando. Dunque, l'individuazione di un giudice unico dell'impugnazione avrebbe questo significato.
  Nel testo vi è un'ambiguità di fondo per quanto riguarda le domande tardive. La domanda è tardiva quando per definizione non è tempestiva. Tuttavia, nel nostro sistema, come sapete, esistono le domande tempestive, che vengono esaminate dal curatore, le domande tardive oltre un certo tempo e le domande super-tardive, quelle che superano un ulteriore tempo.
  La mia proposta è che non ci sia più questa tripartizione, ma vi sia solo una bipartizione: domande tempestive, che quindi vengono valutate, e domande tardive, per le quali si deve introdurre quel requisito che è oggi previsto per le domande super-tardive, cioè dare conto del ritardo.
  La cassazione è arrivata velocemente, nel giro di tre sentenze, a definire qual è la causa non imputabile al creditore che giustifica l'ammissibilità della domanda ora super-tardiva. Se abolite questa ambiguità, fate cosa buona, dal mio punto di vista, perché semplificate l'iniziativa del creditore, responsabilizzandolo.
  Oggi lo stato passivo non ha nessuna efficacia extrafallimentare. Pertanto, le decisioni che vengono adottate, anche in pienezza di contraddittorio, nell'ambito dello stato passivo non producono effetti – si Pag. 16dice – quindi non esprimono un giudicato extrafallimentare.
  Nel testo che vi è arrivato, però, c'è un'indicazione: si raccomanda una certa stabilità per quanto riguarda i diritti reali immobiliari. La stessa stabilità, che di fatto è un vulnus al principio del giudicato extrafallimentare, è da incoraggiare, invece, a mio avviso, perché è sempre prestazione giurisdizionale; sono tempi, sono decisioni, sono energie, sono risorse scarse utilizzabili.
  Si potrebbe estendere, da un lato, ai beni mobili registrati e poi, con un certo coraggio, ad alcuni tipi di crediti, che trovano un contraddittorio pieno nell'ambito delle procedure concorsuali, cioè i crediti previdenziali, i crediti tributari e, se avete ancora maggior coraggio, alcuni tipi di crediti bancari, come, per esempio, i contenziosi che nascono da mutuo. In tal modo, alla chiusura della procedura questi debiti sarebbero esattamente accertati o non accertati in termini definitivi come esistenti o non esistenti.
  La dottrina, ovviamente, mi direbbe che ciò che si va ad accertare nello stato passivo non è il credito, ma è il diritto a partecipare al concorso. È facile rispondere che il diritto a partecipare al concorso sussiste in quanto innanzitutto esiste il credito. Di conseguenza, non si vede perché questa dimensione accertativa ineludibile, anche nell'ambito delle procedure concorsuali, debba generare ulteriori costi, ulteriori perdite di tempo, ma, soprattutto, instabilità una volta chiusa la procedura.
  Ci si è innamorati, giustamente, di una serie di indicazioni che provengono dalla raccomandazione della Commissione del 12 marzo 2014, che predica la possibilità di dare la seconda chance al debitore onesto.
  Qui è stato previsto il meccanismo delle esdebitazioni. In maniera un po’ pallida, si è individuata la possibilità delle «esdebitazioni di diritto per le procedure minori».
  Forse si potrebbe avere più coraggio, prevedere, cioè, che tutte le procedure che un domani si chiameranno «di liquidazione» producano di per sé, per qualunque debitore, anche per quello non onesto, un flat, cioè un taglio orizzontale per un certo tipo di debiti, quantomeno per quelli che sono generati dal tempo del processo concorsuale.
  Si potrebbe, cioè, stabilire che, per legge, tutti gli interessi che maturano in corso di procedura liquidatoria sono oggetto di un'esdebitazione di diritto, indipendentemente da chi sia il debitore, gaglioffo o virtuoso, lasciando, invece, all'esdebitazione volontaria su domanda, ovviamente da decidere in contraddittorio, una diversa scelta sull'esdebitazioni più generali, che quindi presuppone correttamente criteri di meritevolezza.
  A tal riguardo, perché non approfittate di questa opportunità culturalmente, professionalmente e politicamente straordinaria per scegliere voi quali sono i debitori del futuro meritevoli di essere esdebitati? Perché rimettere ai giudici concetti etici quali la bontà, la cattiveria, la collaborazione, la correttezza? Perché non individuate quali sono, sovranamente, come Parlamento, i crediti sensibili, quelli che esprimono, in un certo momento storico o secondo le vostre sensibilità politiche di convergenza, quel tipo di crediti indefettibili, il non pagamento dei quali precluda comunque al debitore la possibilità di chiedere l'esdebitazione?
  Potreste dare importanza a quote di un credito fiscale particolarmente odioso quando non viene pagato come quello IVA (anche perché è un'imposta armonizzata), alle ritenute d'acconto non versate o a una quota dei crediti di lavoro.
  Si possono individuare politicamente dei crediti di particolare sensibilità, il cui pagamento oggettivamente deve essere risultato all'esito della procedura liquidatoria, per cui, laddove un fallimento, una liquidazione, o come si chiamerà, non si chiuda con il pagamento almeno parziale di quel tipo di crediti, non si possa accedere all'esdebitazione.
  Sulla liquidazione dell'attivo ho un'impostazione lievemente diversa da quella dei miei colleghi. Ritengo, anche in questo caso, che sia giunto il momento per attribuire al curatore, almeno per le procedure meno complesse dimensionalmente e meno sofisticate, l'intera liquidazione dell'attivo e Pag. 17chiudere la procedura con l'approvazione del programma di liquidazione, lasciando al giudice per le procedure meno complesse il compito di dirimere i contrasti che eventualmente nascono in ordine sia ai riparti, come è già stato immaginato, sia alla liquidazione.
  Vengo ora al concordato con continuità. Il testo è un po’ reticente, laddove vi affida di riflettere su cosa sia la continuità, definendola in negativo: la non liquidazione. Forse è più opportuno precisare, non solo per pulizia o nitore terminologico, che cosa vuole il Parlamento in capo a un'impresa che va a riciclarsi e a ristrutturarsi attraverso un concordato preventivo, continuando la propria attività.
  Ci sono – e arrivano anche in cassazione – casi di imprese che hanno mantenuto una «foglia» di ramo di azienda e, sulla base di questa, riescono a individuare un simulacro di continuità e, quindi, ad accedere a questo tipo di concordato.
  Forse è il caso di individuare in sede legislativa qual è il nucleo identitario dell'azienda, la cui continuazione giustifichi il concordato con continuità, se quest'ultimo – sono d'accordo sul fatto che sia l'unica forma di concordato – sarà il concordato del futuro.
  Mi corre l'obbligo di richiamare i risultati dell'ultima ricerca empirica su base nazionale che è stata condotta dall'associazione che coordino, l'Osservatorio sulle crisi d'impresa (OCI). È stata citata anche qui, ma la richiamo a mia volta perché è stata citata con degli errori a volte clamorosi, per cui la rettifico.
  Questa ricerca è stata condotta su concordati depositati dal primo gennaio 2013 al 10 aprile 2016 (tre anni e cento giorni), ha esaminato tutti i concordati presentati in Toscana e in Puglia (733 procedure). È stata condotta dall'OCI insieme ad alcuni professori dell'Università di Bologna (Paletta) e dell'Università di Pisa (Tron) e ha portato ad alcune associazioni di carattere virtuoso.
  Nel caso di domande con riserva, c'è una più alta probabilità di revoca, di improcedibilità e di inammissibilità: 2,2 volte rispetto ai concordati senza riserva. Invece, la nomina del commissario giudiziale ha aumentato la possibilità di consenso dei creditori (gli indici numerici di consenso dei creditori), nonché l'omologa del concordato.
  Questo dato – ce ne sono molti altri, che poi, se sarà possibile, vi allegherò – andandolo a traslare sull'allerta, testimonia che non occorre avere paura di questa procedura di allerta.
  Questa procedura di allerta, con un approccio un po’ meno ideologico, è una procedura precoce che consente al debitore, attraverso un'assistenza non preconcetta ma cooperativa da parte di un organo pubblico, di poter traghettare la propria crisi verso una soluzione della stessa in ambito negoziale concertato, oppure in un ambito di carattere concertativo.
  Sono d'accordo con chi mi ha preceduto: ci sono alcune duplicazioni. Il facilitatore nominato dall'OCC probabilmente si sovrappone rispetto alle misure protettive ordinate dal tribunale. Non si capisce come i sei mesi davanti all'OCC si cumulino con la durata delle misure protettive ordinate dal tribunale. Su questo dovreste fare un'opera di taglio.
  Circa le misure premiali, perché non immaginare che il debitore che esca positivamente da una procedura di allerta sia messo nella condizione di avere ulteriori vantaggi competitivi nell'ambito del successivo concordato, per esempio «dezavorrandolo» dal corredo informativo che normalmente viene prescritto per poter proporre il concordato, oppure garantendogli anche il meccanismo esdebitatorio, ancora più vasto nel concordato, facendolo partire dall'instaurazione delle misure di allerta?
  Infine, presidente, nell'ambito della procedura che è stata condotta, è stato applicato quello che è noto come lo «Z-Score model di Altman», un criterio di ricerca molto particolare, in relazione al quale, andando a vedere i bilanci, fascicolo per fascicolo, società per società, si è arrivati alla conclusione che tutte le società analizzate erano insolventi cinque anni prima dell'accesso al concordato preventivo (e non quattro come vi è stato detto). Pag. 18
  Il dato di per sé è drammatico, perché nel 2010 noi, come OCI, eravamo giunti alle stesse conclusioni, però con una ricerca condotta sulle imprese fallite, non sulle imprese in concordato.
  Dunque, il dato del 2010, una ricerca intermedia del 2013 e la ricerca del 2016 hanno resocontato che le imprese sono insolventi cinque anni prima dell'accesso a una disciplina concorsuale purchessia e che il loro business caratteristico, ovvero la redditività di ciò che fanno, cessa dai tre ai due anni prima.
  Cosa si può conseguire dagli stimoli notevoli che arrivano dalle scienze aziendalistiche? La prima cosa che affermano gli aziendalisti è che deve esserci il turn around, deve cambiare il management, deve cambiare la gestione dell'impresa.
  A proposito della continuità aziendale, perché non pensare di mettere insieme o di studiare un raccordo tra il requisito di legalità fissato dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), il requisito reputazionale su cui l'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) interverrà fra qualche giorno e i nuovi requisiti che dovrà avere l'impresa che voglia riciclarsi o ristrutturarsi nell'ambito del nuovo concordato preventivo del futuro?
  Mi rendo conto che questo sconfigge (o scuote, se preferite) alcune abitudini culturali a non chiedersi chi è l'impresa che voglia ristrutturarsi, però è anche vero – come parlamentari dovete saperlo – che questo meccanismo così neutro, così asettico, così cieco, oggi permette anche la ristrutturazione di imprese che hanno avuto una perfetta storia criminale.
  Allora, siccome questo concordato è del tutto a-causale, cieco, sordo e non ha palato, è bene che voi legislatori vi domandiate se non possiate introdurre, attraverso la legittimazione concordatizia, l'omologa del concordato, dei requisiti strutturali di organizzazione dell'impresa, per cui quell'impresa si ristruttura, non solo attraverso dei creditori che le hanno detto di sì, ma anche attraverso un quadro etico giuridicamente attrezzato un po’ più moderno e di maggiore trasparenza.
  Altrimenti, tutti i vantaggi competitivi che hanno dato fino a questo momento le leggi attuali e che darete (perché inevitabilmente questa è la direzione) all'imprenditore in concordato generano, francamente, un grande punto interrogativo da parte dei concorrenti, di chi si è sforzato di pagare i creditori, ha pagato il fisco e non ha frodato, non ha corrotto nessun pubblico amministratore, non ha inquinato, ha ottimi requisiti reputazionali e poi si trova che il titolare del capannone accanto, non avendo fatto nulla di tutto ciò, è rimesso in pista come proprio concorrente, grazie proprio, paradossalmente, al tribunale.

  PRESIDENTE. Abbiamo concluso le audizioni. Non abbiamo molto tempo per le domande, soltanto dieci minuti, perché alle 15.30 abbiamo il Comitato dei nove.
  Se non ci sono interventi o domande, prendiamo atto di queste osservazioni molto approfondite. Penso che se ci preparaste degli scritti, poiché voi per primi ci avete rappresentato la complessità della materia e anche della tematica sottostante, sarebbero molto graditi. Ovviamente, i Gruppi parlamentari li valuteranno e i relatori faranno la sintesi. Magari potreste indicare le proposte, che ciascuno di voi ritiene essenziali, di eventuale modifica o miglioramento del testo.
  Do la parola a uno dei relatori, l'onorevole Ermini.

  DAVID ERMINI. Il tempo è poco, quindi, magari potrebbero rispondere nelle note scritte che manderanno. Io pongo una sola domanda. Non abbiamo mai sentito parlare (anche perché il tempo è poco) delle prededuzioni. Io vorrei chiedere a voi che siete esperti e che lavorate continuamente su questo: è possibile lavorare sulle prededuzioni sia a livello di qualità sia a livello di quantità?
  Spesso la massa attiva viene in qualche modo molto penalizzata dalle prededuzioni. Ci vorrebbe una soluzione che possa essere giusta ed equa, ma che non limiti. Non pensiamo soltanto ai fallimenti enormi, ma anche a quelli più piccoli, dove magari la massa dei creditori, spesso chirografari, Pag. 19si ritrova con un pugno di mosche, perché quasi tutto finisce in prededuzione.
  Vi chiedo se nelle vostre note scritte potete inserire un appunto su questo. Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GAETANO PIEPOLI. Io vorrei ringraziare coloro che sono intervenuti per i contributi che ci hanno dato. La perplessità che mi nasce è che ci troviamo di fronte a una somma di debolezze, perché voi guardate a noi e noi guardiamo a voi. Infatti, nella crisi dei soggetti dell'esperienza giuridica, purtroppo, è l'interprete professionale nella sua solitudine a vedere scaricato su se stesso il tema della crisi di impresa.
  Quando faremo un disegno di legge sulla crisi del Parlamento e sugli strumenti di gestione della crisi del Parlamento, probabilmente troveremo l'impalcatura meccanicistica per risolvere questo.
  Io non ho mai esercitato la professione, ho sempre fatto solo il professore e, quindi, la mia considerazione è assolutamente astratta. La mia perplessità sui discorsi fatti deriva dalla circostanza che mi pare che si muovano a un'altezza rarefatta rispetto al diritto materiale e alla sua effettività.
  Penso, per esempio – lo dico da un'esperienza territoriale meridionale – che esista un problema drammatico di frattura territoriale anche rispetto al tema della crisi d'impresa, che i meccanismi generali, purtroppo, a mio modesto parere, sono inadeguati a comprendere.
  Riporto un esempio molto concreto. Ormai lo stesso mercato professionale, in questo quadro di crisi globale, si è rapidamente mutato – mi riferisco al Mezzogiorno – per cui oggi si identifica con la gestione della crisi dell'impresa stessa, producendo nuove realtà aziendali che non hanno assolutamente più nulla a che fare con quello che noi pensiamo specifico della professione, perché non hanno più nulla né di artigianale né tantomeno di apporto personale.
  Infatti, la quantità e le dimensioni delle crisi aziendali sono tali da avere addirittura trasformato gli stessi studi professionali in nuove strutture aziendali, che hanno il solo compito di gestire questo soggetto progressivamente cadavere.
  Tutte queste cose rimangono un po’ al di fuori dei nostri discorsi e, quindi, la mia personale impressione è che noi continuiamo a moltiplicare gli strumenti, ma non avendo ancora la capacità di valutare le modifiche culturali e istituzionali che richiedono uno studio d'impatto, al momento assente.
  Pertanto, mi verrebbe voglia di chiedervi: cosa pensate che bisogni fare e che suggerimenti dareste per alzare il livello dell'indipendenza dei soggetti che devono gestire questo processo sempre più spinto verso la decomposizione?

  PRESIDENTE. Mi sembra che abbia evocato dei temi che meritano risposte successive. È arrivato alla filosofia.

  MASSIMO FERRO, consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione. Possiamo dire qualcosa di positivo?

  PRESIDENTE. Diciamolo, altrimenti sembriamo troppo pessimisti.

  MASSIMO FERRO, consigliere della prima Sezione civile della Corte suprema di Cassazione. In quella ricerca di cui io manderò i dati, c'è questo elemento che va conosciuto: le procedure assistite con dei professionisti in ambito giudiziale hanno ottenuto indici di consenso di quindici volte superiori rispetto alle procedure o alle fasi non ancora assistite da un professionista. È un dato in sé positivo.
  In secondo luogo, non esiste una relazione matematica tra intervento del commissario giudiziale, quindi quel tipo di professionista, e fallimento, il che vuol dire che c'è un orientamento cooperativo, consulenziale, ausiliario di messa in evidenza dei difetti molto positivo, che va a tutela del buon nome, del decoro, della professionalità Pag. 20 e dell'indipendenza di questo tipo di professionista.
  Il terzo elemento su cui riflettere è il costo. Abbiamo analizzato queste procedure di Toscana e Puglia e abbiamo visto che il costo dei professionisti nel loro complesso (del commissario giudiziale, ma anche degli avvocati, dell'attestatore eccetera) è pari al 2,2 per cento dell'attivo ristimato dai commissari. Non sappiamo se quell'attivo verrà realizzato, però è già ristimato dal commissario.
  Invece, ha assorbito una percentuale molto alta (58 per cento) di tutta la liquidità che nel frattempo è stata generata. Dunque, i costi professionali hanno assorbito quasi il 60 per cento della liquidità aggiornata delle procedure.
  Questo cosa può significare? In primo luogo, laddove c'è un'intermediazione flessibile, che non può fare il giudice, ma può fare il professionista, in un contesto regolato, con un soggetto più attrezzato dal punto di vista degli strumenti e anche della propria propensione culturale, funziona. C'è maggiore confidenza e c'è maggiore fiducia anche nei confronti dell'emersione pubblica della propria crisi d'impresa.
  L'altro dato concerne l'indipendenza. Così come avevo proposto, è evidente che i requisiti reputazionali di un'impresa che esca dalla ristrutturazione devono accompagnare stabilmente tutti i professionisti che ruotano, per scelta del debitore o per scelta del tribunale, in questo ambito.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo. Noi manderemo le trascrizioni e voi magari rifletterete, in relazione a quello che avete detto, su punti essenziali che possono essere sicuramente migliorati e messi all'attenzione dei commissari.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.