XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 6 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 3201 , DI CONVERSIONE IN LEGGE DEL DECRETO-LEGGE N. 83 DEL 2015, RECANTE MISURE URGENTI IN MATERIA FALLIMENTARE, CIVILE E PROCESSUALE CIVILE E DI ORGANIZZAZIONE E FUNZIONAMENTO DELL'AMMINISTRAZIONE GIUDIZIARIA.

Audizione di Luciano Panzani, presidente della Corte d'appello di Roma.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Panzani Luciano , Presidente della Corte d'appello di Roma ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 19.05.

  Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito)

Audizione di Luciano Panzani, presidente della Corte d'appello di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 3201, di conversione in legge del decreto-legge n. 83 del 2015, recante «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria», l'audizione di Luciano Panzani, presidente della Corte d'appello di Roma.
  Il presidente della Corte d'appello di Roma è esperto in materia fallimentare. Oltre che sentirlo in relazione alla sua esperienza professionale, consideriamo che attualmente è anche componente della Commissione di studio per la revisione delle procedure concorsuali nominata dal Ministro della giustizia, in particolare con riferimento al settore che viene a essere toccato dal decreto-legge al nostro esame.
  Do la parola al presidente Luciano Panzani per le osservazioni che riterrà di fare.

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Presidente, grazie per questo invito.
  Svolgo una premessa. Questo decreto-legge – parlo essenzialmente della parte relativa alle procedure concorsuali – è intervenuto mentre ormai erano in fase piuttosto avanzata i lavori della Commissione Rordorf nominata dal Ministro della giustizia per la revisione organica delle procedure concorsuali. Si è, quindi, sovrapposto ai lavori della Commissione.
  La Commissione è convocata dal presidente Rordorf per giovedì mattina. Giovedì mattina dovrebbe approvare i princìpi di delega e concludere la prima parte dei suoi lavori, salvo venire riconvocata per l'eventuale redazione dei decreti delegati, ove il disegno di legge andasse in porto.
  Devo anche dire che la Commissione non è stata nominata con l'intento di cambiare i tratti fondamentali della riforma che è stata fatta nel 2005-2006. Io ho già espresso in molte sedi il giudizio su quella riforma, che condivido. D'altra parte, facevo parte della Commissione Vietti, da cui è nata questa riforma, ragion per cui non potrei entrare in contraddizione con me stesso.
  Tuttavia, la riforma Vietti era una riforma incompleta, nel senso che larghe parti della materia restavano da regolare. In modo particolare, non è stata attuato pienamente uno dei princìpi fondamentali di tutta la legislazione concorsuale direi mondiale. Il modello di riferimento è sempre la disciplina americana, il cosiddetto Chapter Eleven, sulla procedura di reorganization.
  Il Chapter Eleven è stato recepito in tutto il mondo – anche in Cina – ed è quello che nella risoluzione della Commissione europea del marzo 2014 per l'armonizzazione Pag. 4delle procedure concorsuali nell'ambito dell'Unione europea è indicato come l'esigenza di concedere la seconda chance, di garantire il fresh start e di creare un sistema di incentivi per cui l'imprenditore entri subito in procedura. Il ritardo nell'entrare in procedura, infatti, è il grosso problema un po’ in tutto il mondo, ma, in modo particolare, delle imprese italiane.
  Dico in due battute che le imprese italiane sono piccole e sono, inoltre, prevalentemente a base familiare. La struttura di controllo, ancorché sia una struttura societaria, corrisponde a una famiglia. Entrare in procedura significa normalmente perdere il controllo, ragion per cui tali imprese sono restie e si risolvono, pertanto, ad accedere alle procedure di ristrutturazione o concordato soltanto quando è ormai troppo tardi e, quindi, quando sono completamente decotte. Questo è uno dei grossi problemi. Si tratta di intervenire su questo.
  Manca poi una disciplina dei gruppi, ancorché tutte le imprese italiane, o la stragrande maggioranza, siano ormai organizzate in gruppi. C’è la necessità di rivedere la disciplina del sovraindebitamento del consumatore e anche del debitore civile, semplicemente perché non funziona – non arrivano domande nei tribunali o ne arrivano pochissime – e perché non siamo in linea con le indicazioni della raccomandazione europea.
  La Commissione deve toccare tutta una serie di temi, ma l'idea – non per nulla si parla di revisione organica – è quella non di effettuare ulteriori emendamenti alla legge del 1942, che ormai è un po’ un vestito di Arlecchino con tante pezze, ma di fare una riscrittura completa, che conserverà sicuramente istituti e norme della vecchia disciplina così come è avvenuto per il codice penale o il codice di procedura penale, che avevano varie parti che ricopiavano norme pregresse. Si tratterà comunque di una revisione totale.
  Su questo procedimento io devo dire che sono rimasto piacevolmente sorpreso, perché all'interno della Commissione, che è molto numerosa, sia pure con indicazioni in parte diverse, ci sono delle linee fondamentali che vanno un po’ tutte nella medesima direzione, ragion per cui la Commissione ha potuto operare e si è divisa in sei sottocommissioni. Una si è occupata della parte ordinamentale, una del sovraindebitamento, una dei gruppi e via elencando.
  La quarta sottocommissione, coordinata da me, si è occupata in modo particolare delle procedure di ristrutturazione e della cosiddetta procedura di allerta. Essa dovrebbe rappresentare un meccanismo per incentivare l'imprenditore a entrare in procedura, non un meccanismo inquisitorio, ma un meccanismo extragiudiziale di supporto.
  Su tutto questo si è inserito il decreto-legge n. 83 del 2013. Naturalmente, noi siamo stati informati dal ministro dell'esistenza di questa intenzione di fare il decreto-legge e abbiamo avuto una parziale interlocuzione con i rappresentanti del Ministero dell'economia e delle finanze sul tema. Poi il capo di gabinetto ha ritenuto di non affidare alla Commissione completamente questa interlocuzione.
  Il risultato finale è che ci sono alcuni interventi che sono anticipatori rispetto agli orientamenti della Commissione, che sono sicuramente condivisibili, e altri interventi che, invece, si pongono al di fuori delle linee di riforma. Su questi interventi io raccomando in modo attivo in particolare l'attenzione della Commissione, perché si rischierebbe di approvare delle norme che dovrebbero poi essere riscritte nel giro di pochi mesi. Si tratta di norme che, considerato che il decreto-legge contiene una norma transitoria che prevede tempi differenziati di entrata in vigore e una disciplina molto articolata, rischierebbero forse, almeno alcune, di non venire di fatto mai applicate.
  A questo punto, seguo un ordine, che non è quello dell'articolato, ma è un ordine logico, e indico subito una norma, l'articolo 4 del decreto-legge n. 83 del 2015, che modifica l'articolo 161, primo comma, lettera e) della legge fallimentare di cui al regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, in materia di concordato preventivo. Espongo prima tutte le modifiche sulla disciplina del concordato preventivo.Pag. 5
  Si tratta di una norma che, a mio avviso, ma non solo a mio avviso – direi che è l'opinione di altri componenti della Commissione – rappresenta un passo indietro, anche se probabilmente è una norma che trova spiegazioni in alcune reazioni del mondo imprenditoriale a taluni concordati e a taluni dissesti.
  Si dice che «la proposta di concordato deve in ogni caso indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile procurata in favore di ciascun creditore». Apparentemente, è una norma innocua, una norma che dice all'imprenditore di chiarire bene il contenuto della proposta.
  In realtà, chiedendo di indicare l'utilità per ciascun creditore, la norma comporta che ciascun creditore deve ricevere qualche cosa dal concordato, il che è molto spesso irrealistico. È frequente, infatti, che vi siano dei concordati in cui i creditori chirografari hanno una speranza di ottenere qualche cosa, ma non una certezza.
  Ricordo un caso recente e importante, quello di «Acqua Marcia», in cui il tribunale di Roma, omologando il concordato, ha detto che le previsioni del commissario giudiziale si discostano da quelle dell'attestatore della proposta, nel senso che prevedono un realizzo inferiore. Se il realizzo fosse inferiore, i creditori chirografari non troverebbero soddisfazione, ma l'adunanza dei creditori ha votato a favore. Non è compito del tribunale «essere più realista del re», ragion per cui il concordato viene omologato. Del resto, la proposta di concordato era una proposta di cessione dei beni, con un'alea implicita sull'entità del recupero. Io giudico questa una decisione corretta, ma con questa modifica non sarebbe più possibile l'omologazione.
  Preciso anche che il presidente Rordorf mi ha autorizzato per le vie brevi ad anticipare qualche tratto, ancorché non ci sia l'approvazione ufficiale, dei princìpi di delega. La Commissione ritiene di proporre una disciplina del concordato piuttosto diversa da quella attuale, ossia di mantenere il concordato cosiddetto in continuità, quello che prevede la ristrutturazione e la conservazione dell'impresa, e di abolire il concordato cosiddetto liquidatorio, ritenendo che, quando si propone la liquidazione, sia più che sufficiente il fallimento.
  Noi riteniamo di cambiare nome al fallimento, come ha fatto tutta l'Europa. Il termine «fallimento» contiene una valutazione negativa. Pertanto, si parlerà di «liquidazione giudiziale». L'hanno fatto la Francia, la Spagna e la Germania, ma la sostanza non cambia. Se si deve liquidare, tanto vale che lo si faccia attraverso una procedura giudiziale, salvo che a procedura di liquidazione giudiziale aperta il debitore offra qualcosa in più ai creditori che altrimenti non potrebbero ricevere. Questo, però, non fa parte della procedura di concordato, che è diretta alla ristrutturazione e alla riorganizzazione.
  Questa norma, così com’è scritta, è una norma che probabilmente vuole moralizzare, ma che finisce con il danneggiare fortissimamente la possibilità di recupero delle imprese. In realtà, a ben vedere, è un po’ la logica vecchia della legge del 1942, che ai suoi tempi era perfettamente in linea con le altre legislazioni: l'impresa insolvente, la mela marcia, va tolta dal cesto prima che infetti le altre, perché fa concorrenza in modo ingiustificato, svende i propri beni e, in ipotesi, commette reati. Non è più questa la logica, però, in nessun Paese.
  D'altra parte, la disciplina oggi in vigore prevede l'istituto cosiddetto cram-down, che in inglese, anzi in slang, significa ingozzare l'oca, ossia obbligarla a trangugiare una cosa anche se non la vuole. I creditori che dissentono rispetto alla proposta possono opporsi all'omologazione e dimostrare che la proposta di concordato, ancorché votata dai creditori, offre loro meno di quello che sarebbe recuperabile con le alternative astrattamente prospettabili in pratica rispetto al fallimento. In questo caso il tribunale accoglie l'opposizione. Va detto, però, che normalmente la ristrutturazione, anche quando si traduce nella cessione dell'azienda in attività a un soggetto terzo, consente di recuperare di più, perché si cede un'azienda in attività, invece che dei beni fermi, che immediatamente perdono di valore.Pag. 6
  Il secondo rilievo riguarda l'articolo 3, comma 1, lettera c) del decreto-legge n. 83 del 2015, che aggiunge quattro commi all'articolo 163 della legge fallimentare. In sostanza, si prevede che uno o più creditori che rappresentino almeno il 10 per cento dei crediti possono presentare una proposta di concordato concorrente su cui avverrà la votazione. Accanto alla proposta dell'imprenditore, del debitore, c’è, quindi, la proposta di questi creditori. Per raggiungere il 10 per cento si ammette un mercato dei crediti, ossia che qualcuno possa comprare dei crediti per arrivare alla soglia critica.
  In proposito bisogna distinguere due piani. Il giudizio sull'introduzione della proposta concorrente è un giudizio positivo – fa parte dei princìpi che la Commissione Rordorf proporrà come princìpi di delega – perché aumenta la contendibilità ed evita che i creditori possano accontentarsi di una proposta, diciamo così, eccessivamente limitata.
  Diciamo anche che la soluzione scelta solleva delle perplessità perché non distingue. I presupposti per accedere al concordato preventivo sono due alternativi: o lo stato di crisi, o lo stato di insolvenza. Se l'imprenditore è in stato di insolvenza, in sostanza continua a operare perché i creditori glielo consentono, ossia ha consumato il proprio capitale e opera utilizzando il credito che di fatto i creditori gli hanno concesso semplicemente perché non li paga. In questo caso si giustifica pienamente la proposta concorrente.
  Se, invece, la proposta concorrente viene presentata quando il presupposto è lo stato di crisi e, quindi, l'imprenditore è ancora libero, ci sono profili di costituzionalità, un po’ perché c’è una sorta di esproprio senza indennizzo – non penso al contrasto tanto con la Costituzione, quanto con la Convenzione dei diritti dell'uomo, perché la nozione di credito è tutelata in maniera più rigorosa, come diritto di proprietà – un po’ perché viene anche limitato il diritto di libertà di iniziativa economica. Fa, infatti, parte della libertà di iniziativa economica il contenuto della proposta che si fa ai creditori.
  Al di là di queste, che sono considerazioni in diritto, c’è soprattutto un problema pratico, ossia un'evidente controindicazione. Se l'obiettivo è quello di convincere l'imprenditore a entrare in procedura, se gli si dice che il giorno in cui entra in procedura può arrivare una proposta di un terzo che gli sfila l'azienda, sicuramente lui non accederà alla procedura se non quando è proprio all'ultima spiaggia, per evitare poi responsabilità penali.
  Questa è, quindi, una norma controproducente, perché non distingue tra stato di insolvenza e stato di crisi. Va bene la norma nel decreto-legge, a condizione però che si aggiunga la condizione che l'imprenditore si trovi in stato di insolvenza.
  C’è un altro aspetto di questa norma che va sottolineato e che, a mio avviso, è criticabile. In questo la Commissione Rordorf ha più coraggio. La Commissione immagina, infatti, che la proposta concorrente possa essere presentata da chiunque, non necessariamente da un creditore. Non si vede in che cosa un creditore sia più meritevole rispetto a un terzo qualsiasi, quando è questione di una proposta che va sul mercato.
  C’è un'altra considerazione da fare. Questo famoso meccanismo per arrivare al 10 per cento rischia di creare un mercato dei crediti per cui qualche creditore potrebbe ricevere di più nel mercato dei crediti e altri poi, in sede di adempimento del concordato, di meno. Anche in questo modo, quindi, i creditori rischierebbero di essere discriminati.
  Un istituto diverso, ma collegato, previsto dal decreto-legge n. 83 del 2015, nell'articolo 2, comma 1, è quello delle offerte concorrenti. In questo caso le offerte concorrenti non riguardano la proposta. L'imprenditore ha già presentato la proposta. Si tratta di vendere i beni. Si prendono, dunque, in considerazione, attraverso un meccanismo per cui vengono messe successivamente in votazione, le varie offerte presentate, non solo quella che può essere già stata raccolta dall'imprenditore quando il concordato è stato prefabbricato – il termine Pag. 7inglese è prepackaged – ma anche proposte di un soggetto terzo. Si tratta di un modo per evitare, anche qui, indebiti lucri. C’è stato qualche caso clamoroso in passato. L'istituto è condivisibile.
  Ci sono delle norme, sempre nel decreto-legge, che sono diretta conseguenza dell'introduzione delle proposte – non delle offerte – concorrenti. L'articolo 3, comma 4, lettera b) sopprime il secondo comma dell'articolo 175 della legge fallimentare. Si consente, quindi, di modificare la proposta di concordato dopo l'inizio delle operazioni di voto, cosa che oggi è vietata.
  Io credo che, anche se la relazione al disegno di legge di conversione su questo aspetto è muta, il fine sia di consentire al debitore di modificare la proposta a fronte della proposta concorrente dei creditori. Si crea, però, un meccanismo di possibili successivi rilanci che mi sembra difficile da governare, nonché di proposte al rialzo, presentate in articulo mortis dall'imprenditore, non serie.
  Io credo che sarebbe più opportuno prevedere che il giudice, quando siano iniziate le operazioni di voto, valuti l'ammissibilità delle nuove proposte e detti regole per gli eventuali rilanci, in maniera tale da evitare una terra di nessuno in cui può succedere di tutto, come primo risultato, il rinvio dell'adunanza dei creditori. Questo può veramente diventare uno strumento dilatorio.
  Un'altra modifica è prevista dall'articolo 3, comma 5, lettera a), del decreto-legge n. 83 del 2015, che modifica l'articolo 177, comma 1, della legge fallimentare e regola il meccanismo della votazione delle più proposte.
  Si tratta di un meccanismo piuttosto complesso perché, per rendere confrontabili le diverse proposte, si prevede che debbano avere lo stesso contenuto. La seconda proposta deve necessariamente contemplare tutto ciò che c’è nella prima. Tutto sommato, però, al di là della macchinosità, sembra accettabile.
  In merito devo dire che la Commissione Rordorf si è orientata nel senso di abolire l'adunanza dei creditori e, quindi, di effettuare un intervento che porti la votazione al di fuori delle aule giudiziarie. L'adunanza dei creditori è un po’ un residuato storico e, tra l'altro, è fonte di rallentamento, perché il tribunale fissa l'adunanza in relazione ai suoi carichi di lavoro, quando ha un'udienza libera, mentre, se la votazione viene fatta per via telematica e registrata dal commissario giudiziale, che riferisce al tribunale come eventuale termine per le opposizioni, le cose vanno in maniera decisamente più semplice e spedita. È verosimile, quindi, che, ove i princìpi di delega vadano avanti, sarà poi necessario coordinare queste norme con i nuovi princìpi.
  Per completare l'esame degli interventi in materia di concordato preventivo occorre fare riferimento all'articolo 2, comma 2, lettere b) e c) del decreto-legge n. 83 del 2015, che modificano l'articolo 182 della legge fallimentare. Si prevede il rinvio agli articoli da 105 a 108-ter della legge fallimentare e alle norme che regolano la vendita in caso di fallimento anche per vendite che avvengano nella fase anteriore all'omologazione del concordato.
  Oggi si discute molto se si possano disporre delle alienazioni prima dell'omologazione. Un'interpretazione rigorosa tende a escluderlo, ma l'esigenza pratica c’è, perché molto spesso non si può attendere, altrimenti i beni si deprezzano e si perdono delle occasioni.
  Il tema, quindi, è un tema dibattuto. Il richiamo delle norme in tema di vendita previste per il fallimento introduce un sistema notevolmente rigido. Pertanto, io richiamo qui l'attenzione della Commissione sull'opportunità di lasciare al giudice la facoltà di stabilire di volta in volta quali regole seguire, senza un richiamo automatico agli articoli da 105 a 108-ter della legge fallimentare.
  C’è poi un punto molto importante, che riguarda una norma assolutamente condivisibile, perché rimedia a un vuoto di normativa, ma che produce alcuni effetti sicuramente negativi. L'articolo 1, comma 1, lettera b), del decreto-legge n. 83 del 2015 aggiunge un comma all'articolo 182-quinquies della legge fallimentare in tema Pag. 8di crediti assistiti da prededuzione, che vanno pagati anche in caso di fallimento con preferenza rispetto a tutti gli altri. Esso prevede la prededuzione ai finanziamenti autorizzati in via d'urgenza funzionali a urgenti necessità relative all'esercizio dell'attività aziendale.
  In altri termini, io ho bisogno di un finanziamento per comprare la materia prima oppure per pagare gli stipendi. Queste sono le situazioni. In merito oggi c’è un vuoto normativo. Non si prevede espressamente la prededuzione in questi casi in cui effettivamente potrebbe servire.
  Le osservazioni, quindi, non sono sull'opportunità, ma sul fatto che in questo modo si crea un paracadute che disincentiva l'imprenditore a entrare in procedura. Nel momento in cui l'imprenditore entra in procedura, infatti, l'autorizzazione la può chiedere immediatamente al tribunale, non ha bisogno di un riconoscimento particolare di queste ipotesi. Questa è la prima questione.
  Come seconda questione, si amplia ancora la categoria dei crediti in prededuzione. È sempre più frequente, ed è lamentato anche da Confindustria, il caso in cui ci siano aziende in cui l'attivo viene consumato in parte rilevante da questi crediti in prededuzione. La mia proposta – qui preciso che parlo a titolo personale; non è una proposta della Commissione Rordorf – è di riprendere una norma di chiusura che esiste nella legge fallimentare tedesca, la quale dispone che chi contrae debiti in prededuzione oltre i limiti dell'attivo ne risponde personalmente, salvo che questa grave situazione, ossia l'incapienza dell'attivo, non fosse prevedibile al momento in cui il debito è stato contratto.
  Questa responsabilità riguarda sia l'imprenditore o gli amministratori della società, sia il soggetto deputato alla vigilanza, ossia il commissario giudiziale. Questo perché in diversi casi c’è un po’ un abuso del ricorso alla prededuzione. Non sarà probabilmente il caso, che facevo prima, del pagare immediatamente il creditore che rifiuta di non fornire se non viene pagato cash, ma tutta questa materia, complessivamente considerata, porta veramente a un'estensione eccessiva della prededuzione.
  Tra l'altro, qui stiamo parlando di concordato, ma questo è un fenomeno che si vede in modo particolare nelle amministrazioni straordinarie delle grandi imprese in crisi, in cui la regola è che non si arrivi a pagare i creditori.
  Merita, invece, assoluta approvazione l'articolo 8 del decreto-legge n. 83 del 2015, che modifica l'articolo 169-bis della legge fallimentare in materia di contratti pendenti. Questa è una questione tecnica. C'era un'interpretazione dei contratti pendenti, secondo cui l'imprenditore in concordato preventivo poteva essere autorizzato a sciogliersi, che sosteneva che non si trattasse solo dei contratti con le obbligazioni ineseguite da parte di entrambe le parti – la nozione che dà la legge fallimentare – ma anche dei contratti in cui una delle due parti avesse già adempiuto.
  Il problema si poneva, in particolare, nei casi in cui la banca avesse già erogato il finanziamento, l'imprenditore avesse effettuato una cessione di crediti nei confronti di terzi sui quali la banca si potesse soddisfare o avesse dato un mandato all'incasso e gli organi della procedura ritenessero di potersi sciogliere, con il risultato di pretendere di incassare loro stessi questi crediti.
  Questa interpretazione, che ha avuto qualche fortuna giurisprudenziale tra i giudici di merito, è stata respinta da questa norma. In sostanza, non dico che sia una norma di interpretazione autentica, ma ci si avvicina notevolmente.
  Vengo a uno degli interventi più qualificanti del decreto-legge in esame, ossia l'introduzione nel nostro sistema della categoria accordi di ristrutturazione. Ricordo che gli accordi di ristrutturazione sono una speciale procedura in cui la prima fase è stragiudiziale. Si raggiunge un accordo con una parte dei creditori che rappresentino almeno il 60 per cento dei crediti e che non riguarda i restanti creditori. Si chiede poi al tribunale l'omologa di questo accordo e questa omologa, che non colpisce gli altri creditori, ha alcuni Pag. 9effetti, tra cui quello di rendere esenti da revocatorie i pagamenti che sono stati fatti ed escludere responsabilità penali per bancarotta semplice. Inoltre, con le ultime modifiche introdotte è possibile anche concedere per un periodo limitato di tempo una sospensione delle azioni esecutive.
  Di questo accordo di ristrutturazione si crea un tipo differenziato, che assomiglia a due procedure, ossia alla procedura di sauveguarde financière accélerée che è stata introdotta l'anno scorso in Francia e allo scheme of arrangement inglese, più nei risultati che non nella struttura.
  Che cosa si dice ? L'accordo di ristrutturazione viene riservato ai crediti delle banche e degli altri intermediari finanziari e non incide sui crediti che non hanno tale natura. La proposta di accordo, ove raggiunga la maggioranza del 75 per cento dei crediti appartenenti a questa categoria (banche e intermediari finanziari), è vincolante per gli altri creditori che siano banche o intermediari finanziari, salvo opposizione davanti al tribunale e dimostrazione che non c’è il 75 per cento, che il proprio credito non fa parte di quella categoria e ipotesi analoghe.
  In questa maniera si vincono le resistenze a una soluzione negoziale che possono muovere le piccole banche e i piccoli intermediari in genere. Succede, cioè, che si raggiunge l'accordo con un numero rilevante di banche e poi ce n’è una che si oppone e mette i bastoni tra le ruote, pretendendo condizioni diverse. Questo accordo sblocca la situazione.
  In sé l'istituto è condivisibile. Non so dire quanto in concreto possa essere efficace dal punto di vista operativo ma la Commissione Rordorf ha ritenuto che potesse essere compreso nei princìpi di delega. Non ci aveva ha pensato inizialmente, ma poi ha mutuato tale principio.
  Le questioni riguardano la scrittura di questa norma. La questione più critica sorge dalla previsione che i creditori a cui viene esteso l'accordo e che lo subiscono siano considerati consenzienti ai fini della formazione della maggioranza del 60 per cento che è necessaria perché l'accordo sia efficace. Abbiamo, quindi, due maggioranze, quella ordinaria dell'accordo di ristrutturazione del 60 per cento, che riguarda l'intero ammontare dei crediti, – quindi non solo i crediti finanziari – e quella del 75 per cento, che riguarda i crediti finanziari. Qui si dice che «i creditori finanziari dissenzienti – che vanno oltre il 75 per cento – sono considerati nella maggioranza del 60 per cento». Questa soluzione, in pratica, significa che un creditore non soltanto subisce l'estensione obbligatoria degli effetti dell'accordo, ma viene addirittura compreso ex lege nella maggioranza che ha votato l'accordo.
  Io ho riportato un passo del primo commento che ha scritto su «il Fallimentarista», una rivista di diritto fallimentare online, il presidente Lamanna, che è stato presidente della Sezione fallimentare del tribunale di Milano. Egli dice che si tratta di un'evidente forzatura, anche perché, a ben vedere, questo 60 per cento depurato di questi creditori finti consenzienti si riduce di molto. Questa è sicuramente la norma che lascia più perplessità.
  Ci sono poi altri profili di carattere tecnico che richiederebbero un'esegesi dettagliata della norma. Cito il terzo comma del capoverso 182 septies del comma 1 dell'articolo 9 del decreto legge n. 83 del 2015, che detta una norma scarsamente comprensibile. Vi si dice che: «ai fini di cui al precedente comma – cioè ai fini delle maggioranze – non si tiene conto delle ipoteche giudiziali iscritte dalle banche o dagli intermediari finanziari nei novanta giorni che precedono la data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese».
  È un principio generale il fatto che non si tenga conto delle ipoteche iscritte nei novanta giorni anteriori, ma che cosa vuol dire che non si tiene conto di un'ipoteca quando la maggioranza è calcolata non sulla qualità del credito (se privilegiato o chirografo), ma soltanto sull'entità ? Quando si dice che si guarda alla categoria, la categoria considera i crediti delle banche e degli intermediari finanziari, non parla di crediti privilegiati o di crediti chirografari.Pag. 10
  In generale, negli accordi di ristrutturazione non ci sono regole, appunto perché sono accordi. Riguardano soltanto i creditori con cui si raggiunge l'accordo e gli altri sono creditori estranei. Quindi, o c’è il «sì, aderisco», o c’è il «no, non aderisco». Nel dire che le ipoteche non sono efficaci questa è una norma, così com’è scritta, di difficile comprensione. Se si voleva dire che non sono efficaci nel successivo fallimento allora bisogna dirlo, bisogna precisarlo. Cito questo più come un esempio, nel senso che è un po’ tutta la normativa che va esaminata con attenzione.
  L'altro aspetto un po’ sorprendente è che la stessa disciplina viene prevista per le convenzioni di moratoria. Gli accordi di ristrutturazione sono un istituto previsto dalla legge fallimentare, le convenzioni di moratoria no. Sono dei contratti che a volte vengono stipulati tra l'imprenditore e alcune banche, in cui alcune banche si impegnano a non agire esecutivamente mentre vanno avanti le trattative. Dire che anche queste convenzioni sono vincolanti purché siano state portate a conoscenza – peraltro, anche qui, su come sono state portate a conoscenza la norma è piuttosto lacunosa – a me pare una forzatura, perché il contenuto della convenzione non è noto, non è predeterminato. Si dice soltanto che non ne può derivare un obbligo delle banche non aderenti di erogare ulteriore credito, ma questo evidentemente con la convenzione di moratoria in sé ha poco a che fare.
  Comunque, questa sembra una norma scritta e disegnata su alcune prassi negoziali, forse neanche estese a tutta Italia, ma utilizzate prevalentemente a Milano, che non sono notissime a tutti e, pertanto, da prendere decisamente con le dovute cautele.
  Esprimo un giudizio positivo su molte novità del decreto-legge che riguardano le modifiche alla disciplina della figura del curatore. La più rilevante di queste – c’è tutto un capo dedicato al curatore – è l'incompatibilità tra la carica di commissario giudiziale e quella di curatore.
  Cosa succede normalmente nelle procedure concorsuali ? Non in tutti i tribunali, ma nella maggior parte, il commissario giudiziale, nel caso in cui un concordato non vada a buon fine, succede a se stesso, perché viene nominato curatore.
  Questo porta due conseguenze. La prima è che, essendo la stessa persona, è ben difficile che rilevi violazioni di legge e negligenze nella precedente condotta. La seconda è che ci sono casi frequenti di commissari giudiziali che non sono tanto preoccupati di portare a buon fine la procedura, perché comunque per loro il lavoro continua, diventando curatori. Spezzare i due incarichi, che richiedono tra l'altro professionalità diverse, segue soltanto il modello attuato in Francia ed è assolutamente opportuno.
  È importante poi la previsione di un registro nazionale presso il Ministero della giustizia in cui debbano essere trascritte tutte le nomine di commissari e curatori. Qui non c’è un contrasto, ma la Commissione Rordorf è andata al di là. Nel testo si prevede soltanto un registro che abbia funzioni dichiarative, di pubblicità e di trasparenza. La Commissione prevede, invece, un albo presso il Ministero della giustizia per cui, per svolgere l'attività di commissario o di curatore, occorrano requisiti di professionalità che non sono la mera iscrizione all'albo dei dottori commercialisti o degli avvocati, ma prevedono un'esperienza concreta maturata sul campo, corsi di formazione e via elencando.

  PRESIDENTE. Si tratterebbe di un albo nazionale ?

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Sì, di un albo nazionale. Servirebbe effettivamente anche a dare un po’ di ali a queste figure, che oggi sono in parte schiacciate dalla fortissima concorrenza che viene fatta da tanti, che vorrebbero partecipare, ma che non hanno la preparazione e forse neanche la struttura.
  È giusta la norma del decreto-legge che dice che il tribunale deve motivare anche Pag. 11sull'organizzazione dell'ufficio del professionista che viene nominato, garantendo che sia idoneo a gestire quella procedura. Certamente, però, il tribunale non lo potrà fare se non ha a disposizione qualche informazione in più rispetto a quelle odierne.
  Un'altra norma importantissima è la previsione, all'articolo 7 del decreto-legge n. 83 del 2015, di una disciplina di chiusura del fallimento che consenta una chiusura più rapida. Si dice, cioè, che, quando rimangono giudizi pendenti – le due ipotesi sono i giudizi pendenti e i crediti tributari da incassare; mi sembra che il decreto-legge consideri espressamente i giudizi pendenti, mentre per il resto c’è una formula più generica – si può chiudere la procedura e rimane in funzione il curatore, ma a fallimento chiuso, per questi ulteriori adempimenti.
  Qual è il vantaggio ? Il vantaggio è di due tipi. Il primo è che in questo modo si può dare l'esdebitazione al fallito, perché la procedura chiude. Il secondo, più discutibile – avete sentito quello che ha detto Giuliana Civinini prima a proposito della legge Pinto – è che, chiudendo la procedura, non si vìola più il principio della ragionevole durata. Su questo io ho qualche perplessità perché, se rimane un pezzo pendente, in realtà questa è più una finzione che non una sostanza.
  Va subito aggiunto, però, che la Commissione Rordorf, recependo le indicazioni della raccomandazione della Commissione europea, prevede che l'esdebitazione possa essere sempre richiesta, salvo nei casi di frode, quando siano decorsi tre anni dall'apertura della procedura. La raccomandazione europea dice che non si può aspettare più di tre anni dall'apertura della procedura per provvedere sul discharge, ossia sull'esdebitazione.
  In realtà, quindi, su questo l'intervento dovrebbe essere un po’ più coraggioso, anche perché subiamo in questa materia anche la concorrenza degli altri ordinamenti. Poiché il forum shopping esiste e in Inghilterra il termine è un anno dall'apertura della procedura, abbiamo, almeno in qualche caso – tra Germania e Inghilterra è successo – per cui si chiedono trasferimenti. Si chiede, per esempio, il trasferimento di residenza in Inghilterra a Londra, si aspetta un anno e poi si chiede al giudice inglese.
  I giudici inglesi, devo dire, ci hanno messo un po’ a capire che cosa stava succedendo, ma, quando l'hanno capito, hanno reagito piuttosto male. Una certa agenzia che si occupava di queste cose è finita sotto indagine.
  Comunque, ci sono dei princìpi ormai accettati a livello internazionale. Del resto, nel momento in cui inizia la liquidazione e l'imprenditore, o il debitore, perché questa norma potrebbe riguardare anche il debitore civile, se estesa, si spoglia dei suoi beni, non vi è veramente motivo, se non c’è frode, per far aspettare ulteriormente l'esdebitazione.
  L'ultimo punto, che è molto importante, riguarda la disciplina penale. Preciso a questo proposito che la Commissione Rordorf non ha avuto un mandato dal Ministro della giustizia per occuparsi anche della riforma delle norme penali, ma sarà obbligata comunque a dettare qualche principio, non foss'altro perché, cambiando il nome del fallimento, se non c’è un principio di continuità tra la vecchia e la nuova disciplina, si avrebbe un «liberi tutti», che evidentemente non sarebbe immaginabile.
  La norma sulla bancarotta semplice va riscritta nel senso di precisare quali sono gli obblighi di legge, sempre che si ammetta la procedura di allerta. In tal caso, io, imprenditore o amministratore di società, che, essendo stato convocato nell'ambito della procedura di allerta dall'organismo di composizione della crisi, poi non mi attivo e non faccio nulla, non rischierei nulla. Invece, bisogna precisare che tra gli obblighi di legge c’è anche quello di attivarsi opportunamente.
  Abbiamo l'articolo 10, comma 1, lettera a), numero 3 del decreto-legge n. 83 del 2015 che aggiunge un nuovo comma all'articolo 236 della legge fallimentare. L'articolo 236 è quello che estende la punibilità per i fatti di bancarotta al concordato ed è una norma che, per effetto della riforma Vietti, ha avuto uno sviluppo imprevisto.Pag. 12
  La norma nella legge del 1942 si riferiva al concordato e il presupposto oggettivo del concordato era lo stato di insolvenza, come nel fallimento. La sfera di punibilità era esattamente la stessa.
  Quando il concordato è stato esteso dalla riforma Vietti ai casi di stato di crisi, ossia a una situazione anteriore a quella dello stato di insolvenza, poiché non si è detto nulla nell'articolo 236, si è ampliata la sfera di punibilità e di fatto le procure oggi hanno incominciato ad aprire procedimenti penali comunque, anche quando non si ritenga che sussistesse al momento dell'apertura lo stato di insolvenza.
  Questo è un problema che dovrà essere risolto, perché l'anticipazione della punibilità a questi casi, almeno nel caso della bancarotta semplice – nella bancarotta fraudolenta evidentemente i problemi sono diversi – significa che si dissuade di nuovo l'imprenditore dall'entrare anticipatamente in procedura.

  PRESIDENTE. La norma è stata ampliata.

  LUCIANO PANZANI, Presidente della Corte d'appello di Roma. Adesso arrivo a quella norma, così come è stata ampliata.
  Qui abbiamo una norma che estende ulteriormente la sfera di applicabilità dell'articolo 236, ossia estende la disciplina della bancarotta e di altri reati fallimentari ai soli accordi di ristrutturazione finanziari, cioè quelli con banche e intermediari finanziari.
  Nella relazione al disegno di legge di conversione del decreto-legge si dice che la sanzione penale è giustificata perché l'accordo incide sulla posizione di creditori estranei, ai quali viene estesa l'efficacia dell'accordo, e quindi ha un'efficacia lesiva elevata. Questo viene a essere, però, l'unico caso di accordo di ristrutturazione che verrebbe a essere sanzionato con una sanzione penale.
  Io credo che ciò sia leggermente eccessivo, anche perché con tutta probabilità la prima parte della norma, quando prevede in sostanza comunicazioni false, fa riferimento a fatti che possono già essere oggetto di incriminazione secondo la disciplina penale ordinaria, come reati di falso in sostanza. Se si tratta di società, sono probabilmente anche false comunicazioni sociali. Non credo che ci sia questa esigenza di repressione penale.
  In ogni caso tutta la materia della disciplina penale dei reati fallimentari deve essere oggetto di una riforma organica, perché abbiamo ancora le norme del 1942, mentre gli interessi tutelati sono cambiati completamente. Basti pensare al principio di par condicio, che è completamente cambiato. Era la norma cardine nella disciplina del 1942, mentre è un principio oggi ampiamente derogato, per esempio, dai criteri di formazione delle classi o dagli accordi di ristrutturazione. Immaginare di introdurre una sanzione penale senza prima riformare tutta la disciplina mi sembra veramente rischioso e avventuroso.

   PRESIDENTE. La ringraziamo molto, perché ci ha fornito dei suggerimenti puntuali, ovviamente rapportati a una riflessione più ampia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.55.