XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 3 dicembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 1609  DAMBRUOSO, RECANTE L'ISTITUZIONE DELLA DIREZIONE NAZIONALE ANTIMAFIA E ANTITERRORISMO E DELLE DIREZIONI DISTRETTUALI ANTITERRORISMO

Audizione di Lamberto Giannini, direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Giannini Lamberto , Direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 6 
Giannini Lamberto , Direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno ... 6 
Molteni Nicola (LNA)  ... 7 
Giannini Lamberto , Direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Lamberto Giannini, direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 1609 Dambruoso, recante l'istituzione della Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e delle direzioni distrettuali antiterrorismo, di Lamberto Giannini, direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno.
  Su questo tema abbiamo già audito il procuratore nazionale antimafia e altri esperti. Questa è l'ultima audizione che facciamo sul punto.
  La sua audizione ci è utile per avere un parere con riferimento all'istituzione di un'unica Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo e delle direzioni distrettuali relative.
  Do la parola al dottor Giannini per lo svolgimento della sua relazione.

  LAMBERTO GIANNINI, Direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno. Io mi occupo di questa materia da 22 anni. Da due anni sono il direttore del Servizio antiterrorismo. Ho diretto per dieci anni la DIGOS di Roma. Nel periodo dell'ultima esperienza brigatista Galesi-Lioce, dirigevo la sezione antiterrorismo della DIGOS che si è occupata delle indagini.
  Questa è un'esigenza che viene profondamente avvertita. Nel corso degli anni questa esigenza è andata sempre più crescendo, per una serie di motivi che illustrerò.
  Ad esempio, nella vicenda delle Brigate Rosse e dei responsabili delle morti dei professori D'Antona e Biagi e del sovrintendente Petri, noi abbiamo avuto tre distinti processi: un processo a Firenze per l'omicidio Petri, un processo a Bologna per l'omicidio Biagi e un processo a Roma per l'omicidio D'Antona, che recuperava tutte le attività della banda armata delle Brigate Rosse.
  Personalmente, ho testimoniato ai vari processi. Fortunatamente, grazie alla collaborazione dei magistrati, le divergenze furono sempre appianate e fu garantita la piena efficacia delle indagini, però è evidente che, se ci fosse stato istituzionalmente qualcuno in grado di coordinare e di far transitare il discorso informativo, non sarebbe stato assolutamente un danno. Allora fu fatto, a mio parere, molto bene.
  Questa esigenza adesso si va avvertendo ancora di più, soprattutto per quel che riguarda la minaccia del terrorismo internazionale. Immaginare indagini limitate alla singola città e al singolo posto è una velleità. Le nostre indagini vengono fatte un po’ in tutto il mondo e ci sono dei Pag. 4collegamenti. Le difficoltà che noi abbiamo spesso derivano dal fatto che dobbiamo seguire attività svolte sul web e con mezzi di comunicazione molto sofisticati. Tante volte rincorriamo, perché i tempi della giustizia chiaramente non sono compatibili con le esigenze investigative. Mi riferisco, ad esempio, alle rogatorie per individuare quali sono i provider che fanno una determinata attività.
  Sarebbe necessario qualcuno in grado di accentrare queste conoscenze e queste competenze. Nel caso in cui siano già stati fatti degli accertamenti in maniera riservata con un'indagine della procura di Roma o della procura di Torino, la presenza di qualcuno che possa conoscere, eventualmente smistare subito l'informazione e metterne altri a conoscenza potrebbe consentire senza dubbio di abbreviare i tempi.
  C’è anche un altro aspetto. L'antiterrorismo è una materia estremamente specialistica, che necessita una conoscenza di situazioni in continuo cambiamento, di realtà internazionali, di gruppi che si modificano e di metodologie operative. A mio avviso, necessita quasi di una particolare cultura.
  Questa particolare cultura è già forte, sedimentata e a disposizione di tutti per quello che riguarda la specifica competenza dell'antimafia. Ad esempio, ci sono dei comportamenti che tutti gli inquirenti sanno esattamente riconoscere come propri dell'appartenenza a una formazione mafiosa e anche del ruolo che si ha nella formazione stessa. Riporto l'esempio di un soggetto che riesce a parlare con un boss come Toto Reina o Matteo Messina Denaro di cose dell'organizzazione. C’è un'esperienza consolidata investigativa per cui si sa con certezza che per parlare con qualcuno che ha quel grado all'interno dell'organizzazione si deve necessariamente ricoprire un certo ruolo.
  Non è proprio la stessa cosa per quello che riguarda il terrorismo, dove le regole sono addirittura più ferree. Anche nel terrorismo interno di matrice marxista leninista ci sono delle regole rigidissime. In passato noi abbiamo avuto casi di colloqui accertati, per modalità operative di determinate attività, di un soggetto con Nadia Desdemona Lioce, che, mentre per noi e per chi conosceva la materia erano assoluto indice dell'appartenenza del soggetto all'organizzazione, anche con un grado importante di referente di gruppo, non sono stati valutati nella stessa maniera. Questo avviene perché non è semplice conoscere queste cose. Magari per me possono sembrare banali, però sono 24 anni che faccio questo tipo di attività.
  Ecco, quindi, che, leggendo la proposta di legge, una delle cose che ho maggiormente apprezzato è l'idea di poter riunire un gruppo di magistrati che hanno una solida esperienza professionale nel campo e anche la possibilità che ci sarà poi di applicarli per poter costituire, a mio avviso, un punto di riferimento per chi sta affrontando delle realtà che sono completamente nuove.
  In Sicilia, terra dove si è affrontato il problema mafioso, un altro tipo di criminalità, adesso c’è il grosso problema dalla migrazione clandestina. Lungi da me mettere in relazione il terrorismo con la migrazione clandestina, però è fatto di tutti i giorni che da questi Paesi dove c’è la guerra spesso arrivano soggetti che hanno con sé computer con proprie foto che li ritraggono armati, in un conflitto o cose del genere. Spesso e volentieri hanno fatto quello che dovevano fare nel loro Paese dove c'era la guerra, cioè hanno prestato servizio e cose del genere.
  Queste cose vengono valutate – questo è un fatto che non riguarda solo i magistrati, ma anche polizia e carabinieri – da persone che non hanno mai affrontato questo problema. Vedere una cosa del genere può essere particolarmente allarmante e può far mettere su delle attività. Forse, con una conoscenza del fenomeno, si può sapere che l'arrivo di un soggetto di una determinata nazionalità che ha del materiale è probabilmente molto meno significativo dell'arrivo di un soggetto di un'etnia diversa o addirittura di un clan diverso.
  Pertanto, immaginare che ci sia la possibilità dal centro di applicare magistrati Pag. 5che hanno delle esperienze pluriennali di contrasto al terrorismo di varie matrici a supporto di situazioni dove si presenta un discorso emergenziale è sicuramente un fatto importante.
  Aggiungo che, a mio avviso, c’è un momento storico per cui i fatti che succedono rendono opportuno questo. Un altro dato storico particolarmente favorevole è legato all'attuale struttura della Direzione nazionale antimafia, che vede al suo vertice un magistrato che, oltre ad avere un'esperienza nel settore della mafia e della criminalità organizzata, si è occupato anche di problematiche relative al terrorismo. Io l'ho conosciuto nel corso degli anni lavorando proprio su questo. A mio avviso, quindi, questo è un momento favorevole e felice per impiantare questo discorso.
  Pongo altri due spunti di riflessione. Nell'attività antiterrorismo c’è una larga fascia di informazioni, su cui vengono poi avviate le indagini dalla polizia, che non provengono semplicemente dall'ambiente criminale, come capita spesso nella lotta alla mafia, dove la figura del collaboratore di giustizia ha garantito sicuramente un salto di qualità, bensì da relazioni internazionali e dall’intelligence. Queste informazioni vengono acquisite all'estero, spesso in teatri di guerra.
  Personalmente ho fatto delle attività in Afghanistan per l'omicidio di una giornalista italiana e ho avuto grossissimi problemi con il riferimento e il contatto con le varie autorità.
  Dico questo per sottolineare un duplice aspetto. Avere una figura centrale che sia in grado di ricevere determinate indicazioni o di recepirle una volta che arrivano a una procura e che, con le garanzie di riservatezza, l'attenzione e la gestione del caso, sia pronta a trasferirle lì dove servono è certamente una risorsa.
  Arrivo a dire ancora di più. Capisco che molti sono contrari, anche per problemi relativi al nostro quadro normativo generale, ma questo, a mio avviso, è un primo passo necessario. È una situazione talmente importante che si potrebbe addirittura immaginare, qualora ne ricorressero le condizioni, un centro da cui possano dipendere anche in maniera funzionale le direzioni distrettuali, per cui le indagini partono dal centro e vengono svolte insieme alle direzioni distrettuali stesse.
  Nel mio ufficio e nella polizia questo è un parere largamente condiviso, perché questa esigenza è forte, anche – lo sottolineo di nuovo – per l'espansione capillare del fenomeno.
  Negli anni scorsi, più o meno ogni procura di particolari città, siccome affrontava spesso il problema, aveva delle persone che se ne occupavano e che maturavano una grossa esperienza.
  Quella che noi in questo momento riteniamo essere la minaccia principale dal punto di vista del terrorismo islamico è quella dei cosiddetti foreign fighters, soggetti che vanno fuori a combattere e che torneranno. Sono jihadisti che hanno fatto di tutto e hanno avuto capacità militare. Quando torneranno, vedremo cosa succederà. Ci stiamo già organizzando per affrontare il problema e qualcosa stiamo facendo, però è un fenomeno in divenire.
  Quando questi soggetti torneranno, non arriveranno laddove noi siamo più attrezzati, cioè a Milano, a Roma, a Torino o a Bologna, città che hanno una solida esperienza. Immaginate che sono rimasti tutti scandalizzati a Belluno quando a un certo punto si sono accorti che un imbianchino e un altro soggetto erano diventati martiri della Jihad e stavano combattendo all'esterno. Questo è successo anche a Ravenna e in altre città, dove queste attività non sono nell'immaginario, non sono nelle corde e non sono mai state svolte.
  Pertanto, a mio avviso, avere un centro che possa rafforzare determinati presidi con posizioni di particolare competenza è certamente positivo.
  Infine, c’è la possibilità di avere un'azione strategica. Qualcuno mi potrebbe obiettare, giustamente, che la magistratura non deve fare delle strategie. Io non parlo di strategie politiche, ma di strategie operative.Pag. 6
  L'esistenza di un distretto antiterrorismo, a mio avviso, dà la possibilità al capo di una direzione distrettuale di parlare con tutti i magistrati del proprio distretto e di dare delle indicazioni precise su quali possono essere i sintomi e gli allarmi che debbono far scattare un'indagine antiterrorismo. Spesso questi allarmi incidono su reati completamente diversi. Se non c’è sensibilità, non vengono percepiti come indicatori dell'inizio di un'attività antiterrorismo.
  Cito un esempio. In una città del Nord è arrivata alla nostra attenzione una famiglia normale di fede islamica che andava a portare un bambino in un asilo nido. A un certo punto non è arrivata la mamma, ma una zia, che ha messo in atto una serie di comportamenti particolari. Quando c'era un insegnante che, nell'affidare il bambino a chi lo veniva a prendere, richiedeva un minimo di contatto fisico, questa rifiutava e se ne andava.
  Questa situazione anomala sul posto è stata subito percepita come la volontà di non avere un contatto con l'infedele o qualcosa del genere. Dunque, sono state svolte delle attività investigative. Si è accertato che questa persona era intenzionata ad andare a fare il martire in Siria ed è stata espulsa dal territorio dello Stato.
  Altre attività possono arrivare, ad esempio, da delle segnalazioni per maltrattamenti in famiglia, nel caso di una donna che afferma che il marito ne limita i movimenti in uscita. Se non si sta particolarmente attenti, questo potrebbe essere visto come uno dei tanti casi drammatici di maltrattamenti in famiglia. Forse un occhio attento, vedendo determinati contesti, può percepire una radicalizzazione particolare, un approccio esagerato o un mutamento radicale dei comportamenti che ci possono far avviare altri tipi di attività.

  PRESIDENTE. Grazie di questo esauriente intervento.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO DAMBRUOSO. Innanzitutto, ringrazio il dottor Giannini. Evidentemente sono interessato, essendo il presentatore di questa proposta di legge. Mi fa piacere avere qui il dottor Giannini, anche se la richiesta di audizione non proviene da me. Ho avuto la fortuna di poterlo conoscere.
  Oggi, piuttosto che sul terrorismo di matrice fondamentalista islamica di cui lei ha parlato, le chiederei qualcosa su Carminati, visto che lei ha indagato su di lui per più di 15 anni, per cui è uno di quelli che lo hanno conosciuto meglio.
  Tuttavia, non le porrò queste domande. La mia era una premessa simpatica per arrivare ad apprezzare il fatto che lei ha ribadito alcune cose che abbiamo già sentito dagli altri relatori, cioè la necessita di una specializzazione. Non si può essere tuttologi. Soprattutto, non ci può essere una magistratura tuttologa su materie che necessitano una specializzazione di questo genere.
  Lei ha ricordato, ed è importante, che la rappresentanza internazionale in reati di per sé transnazionali necessita di un ufficio che abbia una propria soggettività internazionale. Questa la può avere soltanto un ufficio di coordinamento, così come avviene in tutti gli altri Paesi d'Europa.
  Lei oggi è il capo dell'ufficio antiterrorismo e rappresenta proprio quello a cui la magistratura da tempo aspira: avere una persona che coordina tutte le DIGOS d'Italia. Tutte le DIGOS d'Italia devono mandare gli atti all'ufficio oggi gestito dal dottor Giannini, che ha la possibilità di fare coordinamento.
  In alcuni momenti la capacità di avere la vera competenza in un osservatorio nazionale sul terrorismo sembrava essere un terreno a cui voi della polizia non volevate rinunciare. In realtà, così non è. Mi fa piacere oggi riscontrarlo ancora una volta.

  LAMBERTO GIANNINI, Direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno. Non è così, anzi voglio dire una cosa. Forse può travalicare, Pag. 7però penso sia un'informazione corretta da dare. È un momento molto particolare e vi assicuro che in questo settore abbiamo abbondantemente messo da parte le vecchie gelosie con l'Arma, con cui lavoriamo tutti i giorni.
  Per cercare di fare una valutazione comune e, quindi, non tenere il pallino come polizia o come altri, c’è un altro organismo, che è il Comitato di analisi strategica antiterrorismo (CASA), con cui cerchiamo di superare quelle difficoltà a cui vi ho fatto cenno, relative a notizie che provengono dall'estero e ad attività di intelligence.
  È un tavolo che si riunisce settimanalmente e a cui sediamo come Polizia di Stato. Il dottor Papa, che è il capo della Polizia di prevenzione, è il presidente. Poi ci sono io, come membro dell'antiterrorismo. A questo tavolo siedono anche l'Arma dei carabinieri, la Guardia di finanza, l'AISI, l'AISE e il Dipartimento di amministrazione penitenziaria. È un organo in cui ci scambiamo ogni tipo di informazione sulla minaccia, per fare una valutazione e poi andare a operare, evitando sovrapposizioni.
  Immagino che in un futuro ci possa essere a margine di questi incontri anche un'eventuale contatto per un'ulteriore forma di coordinamento, ognuno con le proprie competenze e con i limiti che spesso ci vengono imposti da trattati internazionali e da attività di intelligence. Magari ci vengono passate delle informazioni che hanno un carattere di segreto, che sono più facili da sviluppare per un'attività di polizia di immediato impatto piuttosto che come acquisizione di prova. Questo può essere un modo per avere un ulteriore scambio.
  Questo può aiutare nel caso in cui ci sia la necessità di verificare l'attività di un foreign fighter. Noi abbiamo un problema che non riguarda solo coloro che partono dall'Italia, ma anche coloro che vengono dall'Europa, transitano per l'Italia e partono con i voli low cost, da Ancona, da Bari o da Brindisi, vanno in Grecia e poi si spostano in Turchia.
  Facendo delle attività che possono investire più soggetti, magari uno investigato a Bari, uno a Milano e uno a Torino, noi deteniamo un'informazione che li collega tutti e tre. Avere oltre alle procure, qualcuno che possa smistare le informazioni è sicuramente una cosa positiva.

  NICOLA MOLTENI. Ringrazio per l'interessantissima audizione. Le pongo una domanda, alla luce di quello che voi potete riscontrare nel vostro lavoro sul campo quotidiano e al netto di qualunque tipo di considerazione di natura politica. Secondo voi, alla luce dei riscontri effettuati in questo periodo, l'operazione Mare Nostrum può essere stata un ulteriore fattore di rischio rispetto a un'infiltrazione di natura terroristica ?
  Le misure che il premier britannico Camerun sta adottando per poter fronteggiare questo fenomeno, che, sicuramente in maniera ridotta rispetto alla Gran Bretagna, tocca anche il nostro territorio – mi riferisco ai famosi 50 cittadini che sarebbero stati o sarebbero tutt'oggi a combattere nelle zone del califfato – sono strumenti utili, ripetibili e adottabili anche nel nostro sistema-Paese ?

  LAMBERTO GIANNINI, Direttore del Servizio centrale antiterrorismo presso il Ministero dell'interno. In merito all'operazione Mare Nostrum, è evidente che l'afflusso di molte persone necessita di attenzione, però le debbo dire che, alla luce della nostra esperienza, colui che viene per fare un'attività terroristica spesso è una persona addestrata, con capacità militari e che ha anche un costo. Io non lo vedo mettere a rischio se stesso e il bene dell'operazione (dal loro punto di vista).
  È da tenere presente anche il fatto che c’è direttamente un impatto con enti militari. Talvolta c’è qualcuno che fa foto-segnalamenti sulle navi della Marina.
  È evidente che quando c’è l'afflusso di tante persone l'attenzione va aumentata e non possiamo escludere assolutamente che un soggetto che arriva in questo modo si radicalizzi e faccia qualche cosa. Invece, il fatto che venga apposta sfruttando questo canale, a mio parere, è difficile.Pag. 8
  Una situazione diversa l'abbiamo avuta – tant’è che ci siamo attrezzati già dall'inizio – quando ci fu il crollo del regime di Gheddafi, il quale combatteva fortemente il terrorismo. Loro avevano il problema di Al-Qaeda nel Maghreb. A un certo punto attaccarono le carceri, che vennero giù. In quel caso iniziammo ad affrontare questo problema ed effettivamente trovammo un terrorista, che adesso è stato estradato in America, che era ricercato. Quel soggetto era fuggito da un carcere ed era un momento particolare. Non era l'ondata migratoria.
  Le rispondo all'altra domanda. L'Inghilterra ha preso delle misure corpose, che sicuramente andrebbero esaminate, una per una, con calma. Queste misure riguardano anche i cittadini inglesi e consistono nel ritiro del passaporto o altro.
  Vorrei portare un chiarimento sui famosi 50 italiani. Non pensiamo a 50 cittadini italiani. Il numero relativo ai cittadini italiani è molto inferiore: si contano sulle dita di una mano. Coloro che noi abbiamo inserito come italiani sono tutti quei soggetti che riteniamo hanno o abbiano avuto un rapporto importante con l'Italia, come la residenza. Ci sono anche persone che sono state in galera per dieci anni, arrestate nell'ambito di attività svolte dalla procura di Milano, sono state espulse verso la Tunisia e adesso sono lì a combattere.
  Sono soggetti che, magari, non torneranno mai in Italia, però noi li attenzioniamo perché dal nostro punto di vista sono personaggi che potrebbero avere un particolare risentimento verso l'Italia.
  Nel numero dei combattenti all'estero rientra un'altra categoria per la quale sarebbe errato dire che ci preoccupa meno: i siriani che sono tornati a combattere contro il regime di Assad.
  Io li conoscevo personalmente perché a Roma ci fu un assalto all'ambasciata siriana, quando ancora era aperta. Io dirigevo la DIGOS. Per un fatto molto fortunato, come a noi capitano ogni tanto in polizia, li bloccammo tutti mentre avevano fatto irruzione, avevano devastato e stavano andando via. Riuscimmo a bloccarli tutti senza nessuna attività informativa. Era di notte e c'era un forno aperto lì vicino. C'erano tutte le pattuglie che erano lì per un altro servizio e riuscimmo a bloccarli tutti.
  Portammo via queste persone e le identificammo. Erano tutti della resistenza siriana. Diversi di questi sono andati a combattere e diversi sono anche tornati. È una cosa che ci preoccupa un po’ meno dei jihadisti.
  Abbiamo visto uno di questi soggetti in un filmato in rete, che con un kalashnikov uccideva otto prigionieri con le mani legate dietro alla schiena, probabilmente soldati regolari. Adesso pensiamo che questa persona sia in Europa. Anche questo è un dato preoccupante.
  Tra questi 50 soggetti, il numero degli italiani è molto limitato. Tra questi ci sono italiani che hanno acquisito la cittadinanza di altre origini. Ne abbiamo uno deceduto, che è un ragazzo di Genova, Giuliano Delnevo.

  PRESIDENTE. La ringraziamo molto della disponibilità e degli elementi concreti di valutazione che ci ha dato.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.