XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Lunedì 13 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ADOZIONI ED AFFIDO

Audizione di Pasquale Andria, Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF), di rappresentanti dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori (AIAF), di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA), di Maria Giovanna Ruo, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni (CamMiNo), di Anna Galizia Danovi, Presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia, di Margherita Prandi Borgoni, Componente del Centro studi Livatino, di Giancarlo Cerrelli, Presidente dei Comitati Sì alla famiglia e di rappresentanti del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA).
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 ,
Andria Pasquale , Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno ... 3 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 ,
Masi Maria Cristina , Coordinatrice della Commissione interna per il diritto di famiglia del Consiglio Nazionale Forense (CNF) ... 7 ,
Schillaci Angelo , Componente dell'Ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense (CNF) ... 8 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 ,
Mantovani Elisabetta , Coordinatore della Commissione famiglia dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) ... 9 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 ,
Sartori Alessandro , Presidente Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF) ... 13 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 ,
Sartori Alessandro , Presidente Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF) ... 13 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 ,
Pisano Francesco , Componente della Giunta esecutiva dell'Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori ... 13 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Sartori Alessandro , Presidente Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF) ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 ,
Ruo Maria Giovanna , Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo ... 16 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 ,
Danovi Anna Galizia , Presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia ... 19 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 ,
Prandi Borgoni Margherita , Avvocato e componente del Centro studi Livatino ... 22 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 ,
Cerrelli Giancarlo , Presidente dei Comitati Sì alla famiglia ... 25 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 ,
Cerrelli Giancarlo , Presidente dei Comitati Sì alla famiglia ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 30 ,
Nespoli Cristina , Portavoce del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA) ... 30 ,
Rocchi Monica , Rappresentante dell'associazione ANPAS ... 31 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 ,
Rocchi Monica , Rappresentante dell'associazione ANPAS ... 31 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 ,
Rocchi Monica , Rappresentante dell'associazione ANPAS ... 31 ,
Torre Anna , Rappresentante dell'Associazione ARIETE ... 32 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 34 ,
Andria Pasquale , Presidente del tribunale per i minorenni di Salerno ... 35 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 ,
Andria Pasquale , Presidente del tribunale per i minorenni di Salerno ... 35 ,
Ruo Maria Giovanna , Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo ... 36 ,
Andria Pasquale , Presidente del tribunale per i minorenni di Salerno ... 36 ,
Ruo Maria Giovanna , Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni ... 36 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 36 ,
Ruo Maria Giovanna , Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo ... 37 ,
Nespoli Cristina , Portavoce del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA) ... 37 ,
Cerrelli Giancarlo , Presidente dei Comitati Sì alla famiglia ... 37 ,
Masi Maria Cristina , Coordinatrice della Commissione interna per il diritto di famiglia del Consiglio Nazionale Forense (CNF) ... 37 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 38

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati

Audizione di Pasquale Andria, Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, di rappresentanti del Consiglio nazionale forense (CNF), di rappresentanti dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori (AIAF), di rappresentanti dell'Organismo unitario dell'avvocatura (OUA), di Maria Giovanna Ruo, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni (CamMiNo), di Anna Galizia Danovi, Presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia, di Margherita Prandi Borgoni, Componente del Centro studi Livatino, di Giancarlo Cerrelli, Presidente dei Comitati Sì alla famiglia e di rappresentanti del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni ed affido, di Pasquale Andria, Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno, di Maria Masi, Coordinatrice della Commissione interna per il diritto di famiglia del Consiglio Nazionale Forense (CNF), accompagnata da Angelo Schillaci, componente dell'Ufficio studi, di Elisabetta Mantovani, Coordinatrice della Commissione famiglia dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA), accompagnata da Paolo Ponzio, tesoriere dell'OUA e da Samantha Luponio, Segretario della Commissione famiglia e vicepresidente dell'Associazione Donne Giuriste italiane, di Alessandro Sartori, Presidente Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori (AIAF), accompagnato da Francesco Pisano, componente della Giunta esecutiva dell'Associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori, di Maria Giovanna Ruo, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo, accompagnata da Anna Minotti, Vice Presidente di CamMiNo, di Anna Galizia Danovi, Presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia, accompagnata da Riccardo Pesce, Segretario del Centro per la riforma del diritto di famiglia, di Margherita Prandi Borgoni, Avvocato e componente del Centro studi Livatino, di Giancarlo Cerrelli, Presidente dei Comitati Sì alla famiglia e di Cristina Nespoli, Portavoce del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA) accompagnata da Maria Virgillito, Segretario del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA), da Susanna Galuppo e Geraldina Paciello, componenti del direttivo CEA, da Anna Torre, dell'Associazione ARIETE e da Monica Rocchi, dell'Associazione ANPAS.
  Lascio, quindi, la parola al presidente del Tribunale dei minori di Salerno, particolarmente esperto nella materia.

  PASQUALE ANDRIA, Presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno. Grazie, signora presidente, per questo invito e per questa occasione che mi viene offerta Pag. 4 e che io utilizzerò nel tempo assegnato per alcune rapide sottolineature, riservando, poi, allo scritto una maggiore esplicitazione dei singoli temi che intenderei affrontare.
  La linea del mio intervento verte segnatamente su quelle che sono le criticità reali o supposte dello stato dell'arte, cioè dell'attuale applicazione della legislazione in materia di adozione delle persone minori di età, anticipando che a me sembra, comunque, che il sistema complessivo regga abbastanza, anche a distanza di alcuni anni dalla sua definizione in sede legislativa.
  Ci sono tuttavia, con riguardo a questo tema, un racconto mediatico dell'adozione e rappresentazioni cosiddette «distorsive» relative all'applicazione dell'istituto, soprattutto con riguardo ai tempi impiegati per la definizione dei procedimenti. Naturalmente su questo punto occorre distinguere tra adozioni nazionali e adozioni internazionali.
  Parlerò dapprima brevemente delle adozioni nazionali, riguardo alle quali le attese che vengono spesso rappresentate come molto lunghe da parte delle coppie che dichiarano la propria disponibilità all'adozione (perché di questo si tratta, non di domande di adozione, la qual cosa non è irrilevante) non derivano da ritardi, come sembrerebbe spesso ritenersi, soprattutto, attraverso la narrazione mediatica di cui dicevo, dalle valutazioni ritardate delle dichiarazioni di disponibilità, che peraltro sono in diminuzione, sia pure leggermente, da 12.901 nel 2001 a 9.657 nel 2014, ultimi dati noti (peraltro qui si tratta non di valutazione, ma di un intervento del giudice minorile finalizzato alla comparazione tra le varie dichiarazioni di disponibilità al momento dell'abbinamento, e questo non risulta con sufficiente chiarezza in quella rappresentazione del fenomeno che viene data soprattutto attraverso l'informazione giornalistica), ma la difficoltà nasce soprattutto dalla indisponibilità di minori adottabili in rapporto al numero enorme delle dichiarazioni di disponibilità rapportato ad esso.
  I minori adottabili, peraltro, sono in leggero aumento nell'arco del quindicennio, da 1.096 nel 2001 a 1.397 nel 2014, peraltro però sempre in un rapporto molto sperequato, cioè per ogni minore in stato di adottabilità ci sono almeno 9 coppie in attesa.
  Non mi pare che ci siano tempi particolarmente lunghi per l'espletamento dei procedimenti di adottabilità, che mediamente, a quanto mi risulta, sono tra gli 8-10, massimo 12 mesi per quanto riguarda il primo grado, e in qualche caso con una durata anche inferiore.
  Non trova riscontro nella realtà l'idea che ci siano in strutture di accoglienza minori adottabili e non adottati. Nel 2014, su 1.397 minori dichiarati in stato di adottabilità, sono state pronunciate 1.072 adozioni o affidamenti preadottivi. I 300 minori adottabili e non adottati del 2014 sono per lo più ragazzi grandi, anche di 16-17 anni, che spesso rifiutano l'adozione, ovvero con problemi gravi di salute e per i quali tra l'altro spesso si riesce a fornire una risposta alternativa attraverso affidamenti a lungo termine.
  Tutto ciò attesta ciò che accennavo all'inizio, ossia che la legge n. 184 del 1983, soprattutto dopo la novellazione del 2001 attraverso la legge n. 149, è nel complesso una buona legge, una legge che funziona abbastanza, anche se con qualche criticità reale a cui vorrei accennare.
  Una prima criticità è, più che altro, di natura interpretativa e applicativa: i necessari interventi di prevenzione dell'abbandono, che soprattutto con la riscrittura dell'articolo 1 della legge nel suo testo originario, operata dal legislatore del 2001, sono certamente apprezzabili e necessari, pongono però un interrogativo: quanto tempo debbono durare per provare la irrecuperabilità delle capacità genitoriali? Una risposta è sopraggiunta attraverso l'articolo 15, comma 1, lettera c), della legge n. 184 del 1983 introdotto dalla legge sulla filiazione e dal decreto legislativo n. 154 del 2013, dove si parla di un «tempo ragionevole».
  Qui vorrei però precisare che deve essere ben chiaro come la ragionevolezza del Pag. 5tempo vada commisurata non ai tempi cronologici degli adulti, ma ai tempi cronologici del bambino, che sono ovviamente molto diversi, e che ancora vi sono delle situazioni nelle quali una rigorosa valutazione prognostica, ancorché necessariamente molto rigorosa, della recuperabilità fa apparire questa di fatto impossibile. Pensate al caso di gravi patologie mentali della coppia genitoriale o ad altre situazioni simili.
  Un'altra criticità è costituita dal fatto che nell'intervento di prevenzione dell'abbandono (un tema molto frequentato, come ho letto nel resoconto di alcune audizioni precedenti) una criticità cronica è rappresentata dalla mancanza di standard nazionali dei livelli di prestazione e dai ritardi dovuti al fatto che in alcune zone del Paese le prestazioni di sostegno alla genitorialità e di recupero delle capacità genitoriali sono fortemente deficitarie. Questo per un verso nuoce gravemente all'utenza e ai diritti del cittadino, per l'altro indirettamente ritarda la valutazione che prelude alla dichiarazione o meno dello stato di adottabilità.
  Segnalerei un tema più tecnico-giuridico, che però credo abbia la sua rilevanza e al quale sono personalmente appassionato, ossia quello dell'esclusività della iniziativa del procedimento di adottabilità introdotta con l'articolo 9, comma 2, della legge n. 149 del 2001, assegnata al Pubblico Ministero, per cui il Pubblico Ministero ha l'esclusiva nella iniziativa della promozione del procedimento di adottabilità.
  Io non vedrei la possibilità di riconoscere l'iniziativa ad altri soggetti oltre al Pubblico Ministero, però vedrei bene un controllo del giudice sull'archiviazione della segnalazione da parte del Pubblico Ministero. Questo nello spirito del giusto processo e di una linea giurisprudenziale interpretativa ormai consolidata.
  L'ultima sentenza è di cinque giorni fa, della VI Sezione della Cassazione, 8 giugno 2016, n. 11782, Presidente Dogliotti e relatore Bisogni, in cui si accentua nel procedimento di adottabilità la connotazione del minore come parte del procedimento e gli si riconosce la necessità dell'assistenza legale, ivi compresa la nomina del difensore d'ufficio nel caso in cui in tutore non abbia provveduto adeguatamente.
  Sempre a proposito di criticità nelle adozioni devo dire che, se c'è, dipende anche da un cambiamento culturale su cui non posso soffermarmi. A mio modo di vedere è calata fortemente la motivazione etico-sociale e contemporaneamente è emersa una cultura che, al di là delle proclamazioni verbali, inclina sempre più a concepire l'istituto come un mezzo di realizzazione di un preteso diritto al figlio piuttosto che del diritto del bambino a una famiglia.
  Un discorso a parte merita il Titolo IV della legge n. 184 del 1983, quello relativo alle adozioni in casi particolari. Innanzitutto mi chiedo se abbia ancora un senso parlare delle adozioni in casi particolari come di adozioni non legittimanti dopo l'unificazione dello status filiationis introdotto dalla legislazione 2012-2013.
  Ho visto che si è occupata di questo in questa sede anche la mia collega del Tribunale per i minorenni di Firenze, che ha fatto anche una proposta molto particolare, ma desidero sottolineare che occorre intervenire sul Titolo IV della legge, riconoscendo all'adozione in casi particolari gli stessi effetti dell'adozione cosiddetta «piena» quanto all'estensione dei vincoli di parentela e alla elisione di rapporti giuridici – sottolineo giuridici, non personali – con la famiglia di origine, ferma restando la conservazione dei rapporti personali.
  Se posso aggiungere ancora un'osservazione, a mio modesto giudizio quando ciò sia nell'interesse del minore, soprattutto se si tratta di un minore in fase avanzata dell'età evolutiva, i rapporti personali potrebbero essere conservati anche per l'adozione cosiddetta «piena». Questo servirebbe a sdrammatizzare un'adozione per quel tanto di eradicamento che essa rappresenta dal precedente contesto familiare e il conseguente trapianto nel nuovo contesto. Una volta si diceva «come una seconda nascita», oggi credo che sia molto difficile parlare di seconda nascita. Pag. 6
  Tra l'altro, credo che non sia senza significato che, a partire dal 2000, negli ultimi quindici anni le adozioni in casi particolari costituiscano un terzo delle adozioni, fatto molto significativo. La particolarità dovrebbe essere conservata solo perché si tratta di casi particolari in cui l'adozione, in considerazione dell'interesse del minore, può prescindere dalle condizioni e dai requisiti normalmente richiesti, e l'abbinamento prescindere dalla comparazione da parte del Tribunale, il cui intervento deve avere ad oggetto solo la valutazione nel caso concreto della opportunità e della convenienza per il minore di pronunciare l'adozione da parte di quello specifico soggetto o soggetti.
  Credo che la stessa legge n. 173 del 2015, che ha declinato la continuità affettiva come diritto di cui il giudice deve tener conto, valutato l'interesse del minore, non a caso sia intervenuta anche sull'articolo 44, comma 1, lettera a), della legge in materia di adozioni.
  Non così può dirsi per il caso dell'adozione del figlio del partner dello stesso sesso, la cosiddetta stepchild adoption, tema in cui non intendo addentrarmi, per la quale va detto che il legislatore non ha provveduto e ha operato un insolito rinvio alla giurisdizione, in qualche modo sollecitando e «validando» un'applicazione dell'articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, frutto di una interpretazione estensiva, creativa o come altrimenti la si voglia chiamare, che – mi sia permesso di dire – mi lascia personalmente molto dubbioso (vedremo cosa dirà la Cassazione), ma che soprattutto espone, allo stato, al rischio di una diversità di trattamento a seconda del giudice che decide.
  È vero che finora si sono riscontrate numerose sentenze nella stessa direzione, ma questo non toglie che ci possano essere, a seconda del luogo e del giudice territorialmente competente, delle diverse opinioni, e questo ovviamente non va bene.
  Un piccolo cenno alle adozioni internazionali. I tempi per il rilascio del decreto di idoneità, sono come è noto abbastanza lunghi e comunque più lunghi del termine, sia pure ordinatorio, fissato nella legge dei sei mesi e mezzo complessivi, e dipendono in larga misura dai tempi impiegati dai servizi per la trasmissione delle relazioni al Tribunale, e non per inefficienza, ma per insufficienza dei servizi. Peraltro, a partire dall'esperienza del mio Mezzogiorno, in cui c'è qualche area di sofferenza maggiore per quanto riguarda i servizi rispetto ad altre zone del Paese, poiché i contratti sono più veloci e i piani di zona cominciano a funzionare, i tempi si stanno riducendo e riusciamo a definire, calcolando il tempo dal momento della presentazione della domanda del decreto di idoneità a quello del rilascio del decreto, in 8-10, massimo 12 mesi. È il doppio di quanto previsto – vedo che oggi alcune proposte di legge giustamente ridurrebbero ancora i tempi – però è un passo avanti rispetto al passato.
  Mi preme sottolineare però che il decreto di idoneità va mantenuto e va mantenuto in capo a un'autorità giudiziaria possibilmente specializzata, trattandosi di diritti umani fondamentali, nella specie il diritto del minore alla migliore adozione possibile, e, tenuto conto che nel sistema convenzionale dell'Aja e della nostra legge di ratifica n. 476 del 1998, l'adozione internazionale si perfeziona all'estero, avere una garanzia a monte, almeno sulla idoneità complessiva della coppia, dal momento che a mio modesto giudizio non è affatto vero che tutti possono adottare, deve avere un suo peso.
  Aggiungo solo che, sempre con riguardo alle adozioni internazionali (lo dico con stima di molti – non dico tutti – enti autorizzati, che sono veramente tanti), credo che il privato vada integrato con il pubblico, e che la proposta di legge C.3635 dell'onorevole Rossomando ed altri, che è stata in questa sede sottolineata e ricordata anche dal ministro, istitutiva di un'Agenzia italiana per le adozioni internazionali sia una buona proposta, che certamente arricchirà e sosterrà maggiormente questo complesso settore delle adozioni internazionali che spesso oggi scorgiamo in sofferenza. Grazie, presidente.

Pag. 7

  PRESIDENTE. Grazie a lei per la chiarezza e per la sintesi.
  Lascio adesso la parola a Maria Masi, coordinatrice della Commissione interna per il diritto di famiglia del Consiglio Nazionale Forense (CNF).

  MARIA CRISTINA MASI, Coordinatrice della Commissione interna per il diritto di famiglia del Consiglio Nazionale Forense (CNF). Buonasera, grazie, presidente. Mi sforzerò di essere sintetica, anche noi elaboreremo uno scritto che vi sarà inviato nei prossimi giorni, e aver condiviso molte delle osservazioni fatte dal Presidente Andria ci consente di essere ancora più brevi di quanto avessimo immaginato.
  Il Consiglio nazionale ritiene preliminare il tentativo, che speriamo vada a buon fine, di armonizzare tutto l'assetto che riguarda l'adozione, su cui ci si interroga già da diversi anni, anche alla luce delle numerose evoluzioni degli ultimi tempi in tema di relazioni familiari, quindi nell'accezione ampia, quindi riteniamo imprescindibile una valutazione che oggi tenga conto anche di questo, sempre nell'ottica dell'interesse esclusivo del minore.
  Questa inversione deriva anche dalla cura di alcune disposizioni, quindi dalla necessità di considerare il minore (poi bisognerà vedere quanto avvenga nella pratica) nei procedimenti di adozione come soggetto autonomo, al punto da prevedere un difensore.
  Qualche tempo fa, in occasione della firma del protocollo sulle adozioni internazionali tra Consiglio nazionale e Commissione per le adozioni internazionali (CAI) abbiamo accolto una delegazione russa, che nell'ascoltare una sintesi delle disposizioni è rimasta impressionata da questa figura che ha considerato unica, cioè la previsione di un difensore. Altra è poi la questione (qui interviene il problema della difformità di prassi) di quanto sia incisiva questa tutela in relazione al minore.
  Ho fatto questa digressione solo per sottolineare come non sia possibile non condividere questo cambio di tendenza, quindi il diritto del minore ad avere una famiglia, il diritto alle attenzioni e alle cure, a un patrimonio affettivo. Sul punto, quindi, è doveroso soffermarmi su una delle ipotesi, quella a cui spesso fa richiamo l'articolo 44 , comma 3, della legge n. 184 del 1983, cioè l'adozione monogenitoriale.
  Peraltro sull'argomento abbiamo letto accuratamente anche le precedenti audizioni ed è probabilmente maturo il tempo per estendere anche al single la possibilità di adottare, se si considera il patrimonio, la relazione, il diritto del minore a questo contesto, tenuto conto che anche oggi il single ha in affidamento minori e tenuto conto anche della recente approvazione della legge sulla continuità affettiva, che tende a salvaguardare proprio il patrimonio affettivo che il minore ha potuto costruire attorno a sé.
  Sul punto il richiamo a questa legge sulla continuità effettiva non prevede la possibilità che possa essere applicata al single che ha in affido un minore, quindi sottolineavamo questa distonia rispetto alle premesse.
  Entro nel merito del procedimento e ho l'occasione di richiamare quanto detto anche dal Presidente Andria. La Commissione che coordino gode del contributo prezioso delle associazioni in materia specialistica, la settimana scorsa abbiamo condiviso anche il contenuto del nostro intervento di oggi e la nostra idea sul punto ed è emerso (questo è unanime) la necessità di rivedere il procedimento sia in termini di tempistica, come lamentato non necessariamente a danno di chi chiede, quindi dei possibili, aspiranti genitori, ma anche del minore, soprattutto quando si aspetta una dichiarazione di abbandono che deve essere sicuramente salvaguardata, tenuto conto che anche questa è una caratteristica del nostro Paese che noi consideriamo apprezzabile, ovvero il tentativo di conservare finché è possibile la famiglia d'origine.
  Questo è un diritto che non può essere negato, ma laddove ci siano problemi tali da rendere difficile poterli risolvere a favore, è necessario che la tempistica supplisca, e in ordine alla tempistica il potenziamento di tutti gli operatori che concorrono. Come giustamente sottolineava il Pag. 8Presidente Andria, è una questione non di inefficienza, ma di mezzi, di risorse, perché i procedimenti sono tanti e le risorse sono poche e spesso anche la precarietà del rapporto di lavoro dei soggetti impegnati in questo genere di indagini rallenta un percorso in cui i tempi possono sicuramente fare la differenza.
  Altra cosa che teniamo a sottolineare è la centralità pubblica, quindi la natura pubblicistica del procedimento legato all'adozione, contrari quindi a qualsiasi forma di privatizzazione, un ruolo che deve essere assolutamente gestito dalla magistratura. Con riferimento in particolare all'adozione internazionale (poi mi fermo per invitare il professore Schillaci agli ulteriori rilievi rispetto a questo) questo mi offre l'occasione di richiamare anche in questa sede la decisione di sottoscrivere un protocollo con la CAI, ed è appunto quello cui si faceva riferimento prima.
  Sono moltissimi gli enti e sono anche diversi. Inoltre, sono diversi gli approcci e le procedure, quindi, mai come in questo caso, è necessaria l'uniformità e magari un nuovo censimento o un'anagrafe che tenga conto di tante cose e che renda trasparenza. In un periodo in cui la priorità è quella di rendere trasparente tutto quello che è appunto a che fare con i diritti dei cittadini, è quanto mai necessario che la trasparenza ci sia anche in questo.
  La preoccupazione è, in tutto questo, soprattutto perché si tratta del diritto di un minore, anche quella di tutelare il diritto di un soggetto ad accogliere, quindi a dare e a riempire di contenuto quello che è un contenitore, a seconda delle definizioni e della ridefinizione che poi si darà, che non abbia mai nessun rilievo sotto il profilo economico, insomma, e che siano altri i valori che poi vengano assunti, anche ai fini di una valutazione di un giudizio di idoneità.
  Mi fermo e invito il professore Schillaci a intervenire se ha ulteriori rilievi.

  ANGELO SCHILLACI, Componente dell'Ufficio studi del Consiglio Nazionale Forense (CNF). Grazie, Presidente. Ringrazio anche l'avvocata Masi. Io farò solo alcune considerazioni molto puntuali su alcune delle cose che sono state dette, aggiungendo poi qualche elemento ulteriore.
  Sul profilo degli effetti delle adozioni speciali, già il presidente Andria ha parlato dell'alternativa tra un'estensione di effetti che un tempo avremmo chiamato «legittimanti o pieni». Io vorrei richiamare su questo punto, perché è stato già detto tutto, un elemento ulteriore che è il dato che proviene dal diritto comparato. In particolare, per esperienze come quella spagnola o quella francese, per esempio, l'adozione cosiddetta «coparentale» ha già effetti pieni; tant'è che ci si trova – su questo, poi, tornerò per un altro profilo di quello che volevo dire – ad avere alcuni problemi, per esempio, quando si chiede la trascrizione del provvedimento di adozione coparentale estera proveniente da Paesi, dove chiaramente l'effetto sia legittimante, ma su questo tornerò in seguito.
  C'è un secondo punto su cui mi vorrei soffermare molto velocemente, in aggiunta a quello che ha già detto l'avvocata Masi prima di me.
  Sul procedimento di adozione nazionale, quindi sul titolo secondo della legge, c'è un profilo che secondo me meriterebbe di essere considerato, sempre nell'ottica di un coordinamento tra la legge n. 184 del 1983 e la recente legge n. 173 del 2015 sulla continuità affettiva.
  A mio modo di vedere, ma anche in relazione al documento che sarà poi prodotto dal Consiglio, il comma 1-bis dell'articolo 25, come introdotto dalla legge n. 173 del 2015, non appare sufficientemente chiaro su un punto, cioè, se a fare domanda di adozione e a essere ritenuto soprattutto idoneo all'adozione sia un soggetto, in questo caso fino a oggi la coppia che è stata affidataria per un periodo prolungato, è necessario un anno ulteriore di affidamento preadottivo o no? Il comma 1-bis dell'articolo 25 non è sufficientemente chiaro, perché fa un riferimento al comma 1, in cui però c'è l'anno di affidamento preadottivo, quindi questo è un punto sicuramente sul quale, secondo noi, è necessario un coordinamento con la legge n. 173 del 2015. Pag. 9
  Per quello che riguarda il procedimento propedeutico all'adozione internazionale, di cui al titolo terzo, torno su un aspetto che è stato già trattato, cioè quello dei tempi per la dichiarazione di idoneità (articolo 29-bis). Ecco, qui si potrebbe valutare l'opportunità di precisare un termine, entro il quale i servizi sociali siano tenuti a trasmettere la relazione, sempre con le precisazioni che sono state fatte, cioè sulla necessità di un potenziamento dei servizi sociali, e sempre con la cautela doverosa, nel senso che la fissazione di un termine non può andare chiaramente a discapito dell'interesse del minore e dei soggetti coinvolti, di modo che le valutazioni vengano fatte con la dovuta cura.
  C'è un ultimissimo punto e poi chiudo. Sempre sul profilo dell'adozione internazionale, vorremmo richiamare l'attenzione sulla recentissima sentenza n. 76 del 2016 della Corte costituzionale, relativa appunto alla normativa applicabile in caso di domanda di trascrizione di un'adozione estera.
  La sentenza n. 76 del 2016 della Corte costituzionale è una sentenza di inammissibilità per errata prospettazione della questione in relazione all'oggetto. In particolare, il Tribunale per i minorenni di Bologna, investito di una domanda di trascrizione di adozione coparentale pronunciata negli Stati Uniti, ha ritenuto di dover applicare alla trascrizione dell'adozione coparentale statunitense gli articoli 35 e seguenti della legge sulle adozioni, relativi alla trascrizione del provvedimento straniero di adozione internazionale. Ecco, la Corte con la sentenza 76 del 2016 ha avuto modo di chiarire che, quando la trascrizione abbia a oggetto non già un provvedimento estero di adozione internazionale, quindi pronunciata secondo il modello e lo schema normativo della Convenzione dell'Aja, ma quando abbia a oggetto un provvedimento di adozione nazionale, si debbano applicare gli articoli 41 della legge n. 218 del 1995 sul diritto internazionale privato e, pertanto, gli articoli 64, 65 e 66 della stessa legge.
  Questa è una differenza non di poco conto sia per il profilo della competenza, perché, se si applica la legge n. 218 del 1995, competente è l'ufficiale di stato civile in prima battuta e il tribunale civile, casomai in sede di impugnazione. Nel caso della trascrizione, ex articolo 35 e seguenti della legge sulle adozioni, è competente il Tribunale per i minorenni.
  Inoltre, c'è una differenza molto rilevante anche sull'estensione del controllo sul merito del provvedimento perché, nel caso della trascrizione ex legge n. 218 del 1995, c'è un controllo sulla compatibilità con l'ordine pubblico, inteso in senso internazionale, mentre, nel caso di trascrizione ex articolo 35 della legge sulle adozioni, il controllo è molto più penetrante perché comporta appunto un controllo sulla compatibilità con i principi interni che regolano il diritto di famiglia e dei minori. Io mi fermerei qui perché forse ho preso anche troppo tempo.

  PRESIDENTE. Grazie. Adesso passiamo all'Organismo unitario dall'avvocatura (OUA). Do la parola a Elisabetta Mantovani, coordinatrice della Commissione famiglia. Sono presenti, come dicevo prima, anche Paolo Ponzio, il tesoriere, e Samantha Luponio, segretario della Commissione famiglia e Vicepresidente dell'Associazione nazionale donne giuriste.

  ELISABETTA MANTOVANI, Coordinatore della Commissione famiglia dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA). Affronterò le tematiche con un respiro un po’ più ampio perché toccherò probabilmente delle tematiche di natura sostanziale e molto più particolare, che forse, oggi, non sono state comunque affrontate, condividendo già, in alcuni passaggi, gli interventi precedenti.
  Mi rifarò comunque al documento che c'è stato inviato e depositato, quindi vorrei dare un accenno appunto al discorso di una normativa vecchia ormai di trent'anni, che deve inserirsi in un contesto sociale evoluto e che porta a confrontarsi con dei modelli di famiglia non più tradizionali, cui invece si atteneva con la promulgazione della legge.
  La premessa, anche rispetto alle modifiche di natura sostanziale e processuale Pag. 10che abbiamo trasferito nel documento, parte appunto da questo presupposto, cioè si pongono delle domande in ordine ai requisiti all'adozione da parte degli adottanti rispetto a quest'evoluzione sociale e anche rispetto alle nuove normative che sono entrate in vigore appunto sulle unioni e sulle convivenze di fatto.
  Inoltre, ci piace ricordare sempre, come OUA, che, se ci sono delle sentenze innovative, che magari in forma anche polemica si dicono «creative», esistono a tutela di diritti di persone vulnerabili che comunque le norme oggi non riescono a tutelare pienamente perché ci sono degli avvocati visionari che pongono all'attenzione dei magistrati alcuni casi.
  Riteniamo che ci siano molti casi oggi che non possono trovare una tutela uniforme appunto perché il dato normativo non è completo da questo punto di vista.
  Riterrei, da un punto di vista di politica sociale, ma anche di politica forense, che sarebbe importante, nella materia che ci occupa, abbandonare delle ideologie preconcette per capire davvero cosa corrisponde all'interesse del minore. Questo è un concetto che viene sempre citato, però, di fronte a dei casi concreti, subentrano dei preconcetti e delle ideologie e ci si blocca effettivamente a verificare, soprattutto quando si tratta di relazioni affettive, se determinati limiti corrispondono all'interesse, alla vita e al sentimento di quel bambino.
  Questo, per me, è assolutamente indispensabile perché il non abbandonare ideologiche preconcette comporta lacerazioni anche di natura sociale, in una materia che non dovrebbe assolutamente porle.
  Dobbiamo fare i conti, secondo me, con un nuovo modo di essere la famiglia oggi, con delle dissociazioni molto profonde e particolari tra quelli che storicamente sono sempre stati considerati degli elementi indissolubili.
  Per esempio, la famiglia non è più connessa al concetto di matrimonio e la procreazione non è più connessa a un concetto di sessualità, così il matrimonio e la procreazione non sono più elementi indissolubili.
  Questo cosa comporta? Comporta che dobbiamo trovare, in determinate situazioni concrete, e anche il legislatore deve trovare dei nuovi principi cui uniformare le normative oggi che vanno rinnovate assolutamente.
  Si tratta di principi in termini di uguaglianza e di fare delle norme che non siano discriminatorie, a prescindere dal modello di famiglia cui ci si vuole rivolgere perché, oggi, le famiglie sono di più modelli.
  Inoltre, quando dobbiamo riscrivere il diritto di famiglia che oggi è diventato il diritto della filiazione, perché il matrimonio è un elemento neutro rispetto alla filiazione, questo concetto dovremmo applicarlo in tutte le normative che dobbiamo affrontare e regolamentare, quindi, quando guardiamo dove il diritto di famiglia va a cozzare nella regolamentazione di diritti di fatto di relazioni familiari, dobbiamo effettivamente estraniarci da modelli tradizionali di famiglia.
  Sappiamo anche che, a livello internazionale, per esempio con il problema degli unioni civili, quindi con la domanda «quali genitori e quali persone possono affacciarsi effettivamente all'adozione?», già ci hanno detto, come ha fatto la Corte di Strasburgo, che, se anche l'unione è un istituto affine al matrimonio, non potranno essere accettate alcune discriminazioni, cioè nessuna discriminazione per ragioni di orientamento sessuale in nessun ambito normativo. Dunque, se anche il legislatore non vorrà prenderne atto e comunque, di fronte alla legge, di fronte la continuità affettiva e di fronte a un bambino che ha una relazione di fatto ormai protratta da tempo, solo in quanto inserito una famiglia omogenitoriale, non applica, in risposta all'interesse del minore, la volontà a continuare questo legame affettivo, credo che vi saranno avvocati che accederanno alle Corti europee e troveranno giustizia anche in quel caso concreto.
  Alla domanda cui noi abbiamo cercato rispondere, cioè «quali genitori?», riteniamo Pag. 11 che sia assolutamente venuto il momento di allargare la platea delle persone che possano accedere all'adozione, perché riteniamo che oggi, non sia forse corretto che siano le sentenze del tribunale a costruire una civiltà, cioè deve effettivamente ormai il legislatore prendersi la responsabilità di risolvere i problemi sociali e l'armonizzazione delle norme che man mano intervengono sulle famiglie.
  Relativamente alla tenuta della legge, alcuni elementi di natura procedurale sono già stati illustrati e ci conformiamo a questi, perché riteniamo conforme anche alle nostre osservazioni quanto già sollevato.
  Quello che mi preme illustrare è che appunto, sulla base di principi uniformanti che non fossero discriminatori, avevamo introdotto anche delle modifiche di natura sostanziale.
  La prima, che aveva già anticipato il dottor Andria, era relativamente al discorso della abrogazione dell'articolo 55, nel senso di eliminare ogni distinzione tra adozione legittimante e adozione in casi particolari, perché l'articolo 74 del codice civile dice che tutti i figli sono uguali, per cui lo sono anche quelli adottivi, senza nessuna discriminazione. Anche i figli riconosciuti tali in base all'articolo 44 non possono più essere ritenuti quasi figli perché sono tutti figli, quindi riteniamo che questa distinzione possa essere effettivamente abrogata.
  Faccio subito un accenno. Non è che non esista nessun altro tipo di adozione, perché noi proponevamo la normazione dell'adozione mite, per cui, nell'adozione mite, abbiamo quell'effetto del rispetto del legame con la famiglia biologica, quindi si tratta di un'adozione che non rescinde quel rapporto e riguarda bambini che sono istituzionalizzati e per i quali c'è un affidamento sine die.
  In questo caso, pur ritenendo che l'adozione, comunque, non debba mai costituire una seconda nascita, ma che un bambino si adotta con una sorta di affettività che bisogna donare, perché l'adozione è bidirezionale, bisogna tutelare entrambi gli interessi, quando non confliggono, dell'adulto, che magari ha il diritto sacrosanto della genitorialità, e quello del minore. Comunque, quando noi avvocati, da negoziatori, sappiamo che nell'ambito di un conflitto comunque si dà qualcosa che fa bene a entrambi, non è che si sta «adultizzando» il bambino o meno, ma si realizza qualcosa di positivo per entrambi. Per l'adozione mite ancor di più il rapporto non deve essere rescisso con la famiglia di origine.
  Mi riferisco a un'adozione tout court, senza l'adozione in casi particolari, perché, quando è stata siglata la normativa, i casi particolari erano minori, cioè erano pochi, quindi giustificavano un legislatore saggio, ma che ha visto qualcosa che solo oggi quotidianamente vediamo di dover regolamentare. C'è un'adozione senza nome e un'adozione mite che, eventualmente, dovrà essere regolamentata, per porre tutti di fronte alla legge nella stessa maniera, senza lasciare alla giurisprudenza di alcuni tribunali di dirimere queste vicende in un modo o in un altro. Sull'estensione, abbiamo detto di questa platea delle persone eventualmente pronte all'adottabilità. Noi l'avevamo anche inserita con una modifica sostanziale all'articolo 4, comma 5 bis, dove si dovrebbe togliere l'inciso «sussistendo i requisiti previsti dall'articolo 6», cioè, quando c'è la continuità affettiva, effettivamente si deve tutelare l'interesse del minore di poter continuare la propria relazione con la famiglia in cui inserito, che è assolutamente indistinguibile, sia che si tratti, in quel caso di specie, di un single, di una coppia omosessuale o di una coppia coniugata o separata eccetera, perché comunque va tutelata la relazione affettiva, la relazione di fatto e il sentimento di questo bambino.
  La continuità affettiva, a mio parere e a nostro parere, dovrebbe essere tutelata in ogni caso, quindi anche quell'inciso «sussistendo i requisiti previsti dall'articolo 6», una volta che effettivamente non si abbia coraggio di incidere sull'articolo 6, ritenendo che tutti hanno il diritto di accedere all'adozione, potrebbe essere rivisto. Pag. 12
  Inoltre, si dovrebbe modificare anche l'articolo 44, comma 1, lettera a), sopprimendo, così come è già previsto da una proposta di legge Ravetto (se non erro), l'inciso «quando il minore sia orfano di padre e di madre». Anche in questo caso, l'articolo 44, comma 1, lettera a), dovrebbe essere applicato sempre e non solo in ipotesi di orfano.
  Tutti i bambini, rispetto alla continuità affettiva, devono essere trattati in maniera uguale, non è che, perché uno è stato affidato un single, debba essere pregiudicato nell'interesse che dovremmo ritenere preminente, quindi senza fare differenze tra famiglie.
  Altrettanto dicasi per quanto la riguarda l'articolo 44, comma 1,lettera b), nel senso di far accedere a questo tipo di adozione anche il convivente, non solo il coniuge, e, vista la nuova normativa, se non vogliamo fare una norma già per principio discriminatoria, anche l'unito. Qui, ci vuole il coraggio appunto del legislatore.
  Altra modifica che noi abbiamo indicato, procedendo velocemente, è quella di intervenire sulla modifica dell'articolo 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983 a seguito del vuoto legislativo che si è creato con l'intervento della sentenza della Corte costituzionale, dove effettivamente dovremmo regolamentare ormai questa procedura nella tutela della riservatezza, a fronte del diritto della persona adottata, ormai maggiorenne, di conoscere le proprie origini, quindi dettagliare il procedimento che alcuni tribunali dei minori stanno regolamentando un po’ a macchia di leopardo e in maniera diversa.
  So che c'è già una proposta di legge presentata a riguardo, ma effettivamente bisogna intervenire sull'articolo 28, comma 7. Sull'adozione mite ho già detto, mentre sulle modifiche di diritto processuale ovviamente ci vorrebbe l'integrazione della normativa in termini di difesa d'ufficio dell'avvocato del minore perché qui si pongono dei problemi di copertura anche di spesa, cioè il patrocinio a spese dello Stato non viene applicato, così come avviene in ambito penale. I tribunali attingono da liste di difensori d'ufficio, predisposti dai Consigli dell'Ordine e mutuando in parte una regolamentazione che «hanno copiato», dal penale, ma questo punto è bene normarla e fare in modo che effettivamente vi sia un'ampia copertura di patrocinio a spese dello Stato per rendere accessibile la difesa appunto nei confronti dei minori nella maniera più ampia possibile.
  Per quanto riguarda la semplificazione del procedimento, noi abbiamo ventilato l'ipotesi di un decreto d'idoneità che venga, come nella maggior parte dei Paesi, fatto oggetto di una sorta di accompagnamento e non di un giudizio da parte di un'autorità giurisdizionale.
  Certo, quest'aspetto merita un approfondimento, però forse, nella velocizzazione anche di tutta la procedura, può essere una considerazione da fare. Occorre una sorta di concettualizzazione dell'abbandono, nel senso che, anche nella redazione di queste relazioni dei servizi, ho visto la relazione del dottor Sceusa che dice che è importante per noi averle anche tutte uguali, cioè capire su quali parametri in tutto il territorio nazionale debba avvenire la risposta. Vi sono delle difficoltà interpretative ed inoltre queste relazioni non sono mai sufficientemente approfondite, quindi occorre anche una concettualizzazione dell'abbandono con l'approvata irrecuperabilità che viene appunto da una relazione fatta compiutamente e in modo sapiente.
  Sui tempi per le relazioni sociali e sul ruolo dei servizi, vorrei riportare due flash. Noi riterremmo che sarebbe opportuno disciplinare dei tempi di natura perentoria per questo tipo di relazione perché, altrimenti, non ne veniamo più fuori – detta brutalmente – e anche disciplinare il ruolo dei servizi, che qualche volta confondono il ruolo di sostegno con quello di valutazione, con delle gravi conseguenze anche in termini di sostenibilità delle famiglie, di cooperazione in questo senso.
  Per quanto riguarda la banca dati, abbiamo visto, anche nell'azione del Governo, che quanto abbiamo da fare assolutamente è essenziale. Per esempio, io provengo dal distretto di Venezia e so che questo sta operando in questo sistema. Soprattutto, Pag. 13potrebbe essere utile fare quegli abbinamenti anche con criteri condivisi in tema di affidamento o di adozione, in modo tale da trovarsi eventualmente un bambino inserito in un affidamento, che davvero domani possa essere anche fruttuoso, se debba convertirsi in un'adozione. Mi fermo.

  PRESIDENTE. Il testo è già a disposizione. Adesso, c'è l'AIAF, con il Presidente Sartori e un componente della Giunta esecutiva, Francesco Pisano.

  ALESSANDRO SARTORI, Presidente Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF). Grazie, presidente. Ringrazio anche per questo invito.
  A dire la verità io mi ero promesso di trattare un po’ una fase più generale, ma la collega Elisabetta Mantovani mi ha «bruciato». Di questo sono molto contento, così lascio andare più a fondo, nel pratico e nel concreto, il collega Pisano.

  PRESIDENTE. Anche voi avete portato un documento?

  ALESSANDRO SARTORI, Presidente Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF). Abbiamo portato un documento, però facciamo presente che ci riserviamo di integrarlo, anche alla luce di questo simpatico scambio di opinioni, di approfondimenti eccetera, per cui abbiamo già precisato che lo sostituiremo molto rapidamente, naturalmente in esito anche a questa giornata di interessanti confronti.
  Dal punto di vista generale, io esprimo solo due osservazioni, di cui una è stata già fatta anche dalla collega. A fronte dei mutamenti sociali, la tutela dei minori deve abbandonare, appunto, le risposte rigide e costruite su un'idea di famiglia, che non è che una delle realtà possibili e oggettivamente non può essere considerata maggiormente rispondente alla tutela dei diritti dei minori, per ciascuno dei quali deve potersi trovare una soluzione adatta al caso concreto, che sia rispettosa dei diritti umani inviolabili delle persone.
  La Corte europea dei diritti dell'uomo ha parlato di «the best interest of child», che non è il superiore interesse del minore, ma la miglior tutela che possiamo dare all'interesse del minore, quindi non il singolo interesse che è una cosa molto vaga. Il concetto di «the best interest» è una cosa molto più incisiva e molto più precisa, di cui, come ho visto, molte decisioni, cui già si è fatto cenno, hanno tenuto debitamente conto, quindi facciamo riferimento a quello, perché la Corte europea ci dà un indirizzo preciso e ci fa superare anche un lessico che è in parte insufficiente, a mio modesto avviso.
  Mi limito a fare una considerazione, ma poi lascio la parola al collega.
  Bisogna cominciare all'affidamento in modo diverso e bisogna pensare a un affidamento sine die. Lo è già sostanzialmente, però mi chiedo perché mettere un limite. Ci possono essere delle situazioni che giustifichino, invece, una riforma che precisi che l'affidamento sia non limitato nel tempo e non ci sia un prefissato termine, ma che sia in funzione a quello che ho detto prima, cioè al concetto di «the best interest of child», quindi deve essere rivista questa concezione temporale che poi – lo ripeto – nella prassi è stata già ampiamente superata.
  Mi fermo qua perché preferisco lasciare la parola al collega Pisano che entrerà più nel merito di alcune nostre opinioni che, peraltro, coincidono molto quelle già altri espresse dalla collega Mantovani e dal Consiglio nazionale forense.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola a Francesco Pisano.

  FRANCESCO PISANO, Componente della Giunta esecutiva dell'Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori. Vorrei partire da una riflessione. Partiamo dai 30.000 minori fuori famiglia e proviamo a considerare questo dato alla luce delle sentenze di condanna che il nostro Paese ha avuto, ma non solo il nostro Paese, dalla CEDU rispetto all'articolo 8.
  L'articolo 8 ha fatto irruzione nella nostra cultura giuridica, quindi anche nel Pag. 14discorso della politica e del legislatore. In realtà, non si tratta di non è qualcosa di straordinariamente nuovo perché già l'articolo 2 della Costituzione dice che lo Stato riconosce i diritti inviolabili della persona, come individuo nelle formazioni sociali di cui fa parte, e l'articolo 30 della Costituzione parla dei diritti della relazione genitori-figli.
  Qual è la portata innovativa dell'articolo 8? Finalmente, grazie alla specificazione dell'articolo 8, noi abbiamo un giudice, che prima non avevamo, rispetto a queste situazioni. Questo richiamo della Convenzione europea all'effettività dei diritti dovrebbe portarci tutti, cioè noi operatori del diritto, ma anche il legislatore, a vedere questi 30.000 minori fuori famiglia come 30.000 persone e 30.000 famiglie che hanno subito un'ingerenza dello Stato nella loro vita privata e familiare.
  Voi capite bene che per noi è fondamentale poter avere degli schemi di riferimento per dire se questa ingerenza è stata legittima. Inoltre, sappiamo troppo poco perché i dati sono fermi al 2011.
  La sistemazione di questi ragazzi è vaga perché ci sono comunità alloggio e ci sono case famiglia che sono strutture dove gli operatori turnano e che ruotano intorno a delle coppie, come la Comunità Papa Giovanni eccetera. Ci sono comunità alloggio che in realtà sono istituti che hanno fatto un restyling, ma le soluzioni architettoniche e spesso anche la cultura sono rimaste un po’ quelle degli istituti. Ci sono, poi, famiglie che sono famiglie affidatarie – per così dire – occasionalmente e famiglie che lo fanno, non per professione, anche se non ci sarebbe niente di male, ma per vocazione, cioè famiglie che hanno questo tipo di apertura, normalmente collegate ad associazioni religiose.
  Come vedete, queste sono tutte soluzioni diverse e non è che una sia migliore di un'altra. Poi, ognuno ne può preferire una, però è importante sapere che c'è un fronte di risposte diversificate per i ragazzi. Molto spesso, invece, noi sappiamo che i ragazzi finiscono dove c'è posto, cioè siamo ben lontani da soluzioni individualizzate.
  La prima cosa che ci sentiamo di dire alla Commissione giustizia e al Parlamento è che sappiamo troppo poco di questo fenomeno e dobbiamo guardare ad esso non con il mito che noi siamo quelli che fanno gli interessi dei minori, ma con la dura realtà che lo Stato fa un'ingerenza in un diritto fondamentale. Dovremmo saperne abbastanza da poter essere, di volta in volta, con la coscienza a posto sul fatto che l'ingerenza sia stata legittima, oppure con la coscienza in disordine. Diversamente, l'interesse concreto dei minori diventa qualcosa di fortemente pregiudicato.
  Questo per quanto riguarda la conoscenza del fenomeno. Per quanto riguarda, invece, i presupposti di questa ingerenza, farei una distinzione tra affidamento e adozione. Bene o male, sull'adottabilità il legislatore ha messo a punto il meccanismo anche da ultimo, con l'ultima riforma che avete fatto. Si può discutere sempre, per carità, ma mi pare sufficientemente chiaro che cosa sia il concetto di abbandono e che cosa non possa essere considerato abbandono.
  La Cassazione è molto puntuale nel richiamare i giudici minorili su determinati punti. Ultimamente, per esempio, c'è stato il richiamo alla CTU, ossia all'accertamento tecnico fatto da un terzo, quando le parti contestano le posizioni dei servizi sociali. Su questo ho sentito che il dottor Sceusa ha fatto un po’ di resistenza, dicendo: «Io le CTU non le faccio, altrimenti che cosa ce li ho a fare i giudici onorari?» Su questo, però, vorrei tornare dopo.
  Abbiamo invece l'altro procedimento, quello dell'articolo 333 del codice di procedura civile. Lì – badate – la situazione è molto critica, perché abbiamo un'ingerenza dello Stato nella vita familiare che si basa su due elementi a dir poco evanescenti. Il citato articolo 333 dice che il giudice interviene in situazioni di pregiudizio, il che, come voi capite, è un parametro estremamente ampio. Inoltre, è estremamente vaga anche la delimitazione del potere di intervento del giudice, perché il giudice può fare Pag. 15tutto ciò che reputa conveniente a fronte di una situazione di pregiudizio.
  Se vediamo l'articolo 333 alla luce dell'articolo 8, non mi pare che venga fuori un sistema armonico. Emerge una criticità molto importante. Forse il legislatore dovrebbe discutere, dovrebbe cercare di fare il punto su una codificazione dei presupposti per l'ingerenza e dei limiti dell'ingerenza.
  Mi rendo conto che è un'opera improba, ma, se andiamo avanti con l'articolo 333, andiamo avanti con un meccanismo che non può funzionare. È la vecchia giustizia minorile del parens patriae, cioè del giudice che si sostituisce al genitore, facendo ciò che è bene per il minore. Questo non è un sistema compatibile con il riconoscere agli individui il loro diritto inviolabile alla relazione familiare. Quindi, l'articolo 333 del codice di procedura civile è un punto ineludibile, su cui speriamo che la Commissione voglia ritornare.
  Dei livelli essenziali delle prestazioni sociali (LIVEAS), sono contentissimo che abbia parlato il dottor Andria. In merito nelle precedenti audizioni anche il Ministro Costa ha detto che occorre che coordiniamo.
  Bisogna che paghi lo Stato. Non è questione di coordinare. L'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione dice che lo Stato deve finanziare i livelli minimi di assistenza. Su questo siamo fermi – lo voglio dire alla presidente e ai deputati presenti – al 1993, allorché in Conferenza unificata Stato-regioni le regioni dissero allo Stato: «Va benissimo, facciamo i LIVEAS. Diteci, per favore, quale quota del PIL destinerete ai livelli essenziali». Se vogliamo che il dottor Andria possa contare sullo stesso assetto di servizi del dottor Sceusa o del tribunale per i minori di Venezia, è chiaro che lo Stato deve finanziare. Poi ognuno potrà fare di più, ma nessuno potrà fare di meno. Badate, questa è una questione essenziale, altrimenti l'interesse del minore sarà sempre nella nostra bocca un artificio retorico.
  Jean-Luc Carbonnier diceva che è una formula magica l'interesse del minore, perché in effetti ci consente di prendere decisioni senza poi più di tanto motivarle, dicendo solo «l'ho fatto nel tuo interesse», come il genitore dice al figlio: «Fai così. È nel tuo interesse, perché lo decido io». Su questa questione dei LIVEAS tornateci, perché è veramente essenziale.
  Con riguardo a un'altra questione essenziale, la collega Masi ha detto una cosa sui servizi. Ha detto che i servizi spesso confondono. È vero, ma – adesso non è che voglia fare il difensore d'ufficio dei servizi sociali – non è questione che i servizi confondono. È il sistema che è confusivo. Se abbiamo una giustizia minorile che continua a pensare che il servizio sia l'ausiliario del giudice, come succede nel penale, abbiamo un'enorme distorsione. Qui l'intervento dovrà essere deciso, perché è proprio una questione di una cultura che deve camminare.
  Il servizio sociale farà la protezione e le persone devono essere stimolate a rivolgersi al servizio, ma come faccio io a rivolgermi al servizio, nel momento in cui vedo il servizio come il braccio armato del giudice? Non lo farò mai. Investiamo allora nella confidenzialità del servizio, il che non significa che non si debba segnalare.
  Questa è una materia delicatissima, su cui dovrete tornare. Il servizio sociale deve essere restituito alla sua funzione. Oggi abbiamo un servizio sociale intasato per commesse dei tribunali per i minorenni, che poi non riesce a fare quello che deve fare. Abbiamo i consultori familiari che non vanno a parlare ai ragazzi nelle scuole perché devono fare le relazioni per il tribunale. Questa è una questione da vedere.
  Un altro elemento su cui ci soffermiamo brevemente, un'altra ricaduta di questo meccanismo confusivo tra servizi e tribunale, qual è? È che, oltre a non avere i servizi per i cittadini e, quindi, ad avere una violazione della legge n. 328 del 2000 sui diritti sociali delle persone, abbiamo un cattivo processo. Lo stesso soggetto, che magari ha fatto la segnalazione al PM, mi deve valutare, ma mi deve anche sostenere, ossia deve anche dire al giudice se sono recuperabile e in quali tempi sono recuperabile. Deve assistere il Pag. 16minore. In questo modo avremmo un disservizio, ma anche un processo iniquo.
  Questa polemica con il dottor Sceusa deve continuare e deve diventare feconda. Il punto che, secondo me, il legislatore deve affrontare è se possiamo andare avanti con un giudice che ha una sua scienza privata in Camera di consiglio. Questo è uno snodo culturale fondamentale. Sceusa dice: «Io ho i miei esperti. Che me ne faccio del CTU?». È vero, ma facciamo attenzione. Lui ha detto questo: «Io raccolgo le prove dei fatti nel contraddittorio delle parti. Poi mi faccio una mia valutazione, che è fuori dal contraddittorio». Questo non è un equo processo. Questo è un problema fondamentale.
  So che alcuni dei valentissimi colleghi che ascoltano difendono la composizione del Collegio con i componenti privati. Su questo possiamo discutere, ma, comunque, la questione della scienza privata del giudice è ineludibile. Noi vogliamo un giudice che raccoglie e discute tutto nel contraddittorio e che, quando si ritira in Camera di consiglio, è solo con le leggi e con i princìpi, non con altri elementi che fanno prova, una prova scientifica che è sua privata.
  Conclusivamente, la riflessione che abbiamo fatto in AIAF sul nuovo possibile modello adottivo qual è? Più o meno, è quella che ci pare stia emergendo da queste audizioni, ossia un'adozione che sia piena – sicuramente è piena; di legittimante non ha proprio più senso parlare – ma aperta. Da questo punto di vista ci siamo chiesti se serva o no, collega Masi, quest'adozione mite, perché probabilmente se abbiamo un'adozione piena, ma aperta, ci saranno dei casi particolari – questi sì, particolari – in cui il giudice valuterà l'interruzione dei legami. Ma questo è un portato del rispetto della vita privata, pure previsto dall'articolo 8, ossia che i bambini e i ragazzi hanno delle storie e la nuova nascita non risponde più a un interesse socialmente diffuso. Ci saranno sempre dei casi particolari in cui procedere in questo senso.
  Quella sull'affidamento temporaneo piuttosto che a lungo termine è una riflessione. A questo punto, il discorso va a sovrapporsi all'adozione mite. Dobbiamo renderci conto che c'è una quantità di casi in cui probabilmente un affido temporaneo non serve e in cui probabilmente un'adozione, per quanto mite, non è la risposta giusta per quel ragazzo. Probabilmente un'accoglienza stabile e non sottoposta a questo precariato, con l'ansia se arriverà il decreto di proroga o no, può essere una risposta efficace.

  PRESIDENTE. Grazie.

  ALESSANDRO SARTORI, Presidente Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori (AIAF). Mi scuso se alle 17 dovrò allontanarmi. Avrei veramente piacere di restare, ma lascio il collega Pisano, che ascolterà tutti gli interventi.

  PRESIDENTE. Do la parola a Maria Giovanna Ruo, presidente di CamMiNo, Camera nazionale avvocati per la famiglia e i minorenni. È presente anche Maria Minotti, vicepresidente.

  MARIA GIOVANNA RUO, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo. Grazie, presidente, per l'opportunità. Noi abbiamo presentato due documenti. Uno è più discorsivo, l'altro è una rivisitazione puntuale della normativa che ci siamo permessi di fare, cercando di snellirla in vari punti. Forse è possibile lavorare su questa normativa, anche per renderla più aderente al desiderio di chiarezza dei nuclei familiari, che spesso si trovano coinvolti in una situazione di grande confusione.
  Molte cose sono già state dette e su queste sorvolerò. Il nostro documento ha tre parti: una generale, una più specifica sull'accesso alle adozioni e alle tematiche che da questa vengono poste e la terza più relativa all'articolato e alle proposte.
  In linea generale, vorrei dire che riceviamo molti appunti dell'utenza relativamente al percorso adottivo, che viene avvertito come intrusivo, incomprensibile e troppo lento. Noi avvocati giochiamo in questi procedimenti come difensori degli Pag. 17affidatari, dei genitori biologici o del minore e, quindi, abbiamo tante diverse prospettive. Ci sembra, però, che in tutto questo – richiamo anche quanto è già stato detto – sia necessario un potenziamento dei servizi alla persona. Se non si parte da un potenziamento dei servizi alla persona, in una società fragile e con crescenti fragilità, ci troveremo sempre di fronte a un'inadeguatezza.
  Non mi riferisco soltanto a potenziamento e, quindi, a risorse, ma anche a una ridefinizione del percorso professionale e di preparazione. Non è possibile che gli assistenti sociali – scusi se parlo in maniera esplicita – facciano tre o quattro esami di diritto, quando poi andranno a impattare sempre con giudici, procedimenti, avvocati, ma soprattutto con diritti fondamentali delle persone. Quindi, è necessario anche ridisegnare il percorso formativo degli assistenti sociali.
  Un altro aspetto che ci sembra di dover sottolineare in partenza è il seguente: perché parlare di crisi delle adozioni, estrapolando il dato da una crisi generale della genitorialità? Ci sembra che ci sia una crisi generale della genitorialità. Considerare solo un segmento può comportare una visione sbagliata della situazione.
  C'è sicuramente il percorso adottivo da rivedere – abbiamo tentato di farlo – ma c'è certamente anche una politica di sostegno alla genitorialità che va attuata, con modalità molto ampie e non soltanto – mi permetto di dire – con il bonus. Per carità, farà comodo a tutti, ma non è certo il sostegno alla genitorialità che in questo momento di crescente fragilità ci vuole.
  Su un altro punto, che è stato semplicemente toccato, siamo d'accordo, cioè la necessità di mantenere il controllo pubblico e giurisdizionale sul percorso adottivo – siamo in materia di status, non può essere privatizzato – e la necessità di «disgiuridicizzare» il dibattito in corso, riportandolo agli esatti contorni giuridici e vedendo il minorenne al centro del sistema.
  Lo dico a me stessa per prima e l'ho detto a tutti i nostri soci: è molto difficile in un dibattito di questo genere, in cui emergono diverse visioni antropologiche, riuscire a riportare tutto in contorni giuridici. Tentiamolo, però, altrimenti abbiamo una soluzione al problema che dipende da altro. Credo che al centro di tutto questo vada con forza ribadito che non esiste un diritto di adottare, ma che esiste un diritto del bambino con famiglia e bisogni speciali o senza famiglia di essere adottato.
  Quello che dobbiamo vedere è in che termini si pone questo diritto a essere adottato. Se abbiamo un bambino adottabile, un bambino nei cui confronti è stato dichiarato lo stato d'abbandono, il bambino che ha subìto il vulnus più terribile che si possa subire, cioè quello di essere rifiutato da coloro dai quali si attende l'amore e l'accoglienza, in questo caso, cosa ci dice la legge, che non è stata riformata sul punto?
  La legge parla soltanto dei coniugati, ma andiamo a vedere qual era il dato di allora. Il dato di allora era una grande stabilità dei rapporti coniugali e la scelta legislativa era in questo senso: attenzione, questo è un bambino che ha già subito un abbandono, che ha già subìto un trauma; lo collochiamo in una situazione nella quale, nell’id quod plerumque accidit, c'è una stabilità del rapporto.
  È così oggi? Credo che questo sia l'approccio che dovremmo darci. Non dovremmo dire se sia meglio il matrimonio, la convivenza o il single. Qual è la risposta più adatta per accogliere persone che hanno già subìto un vulnus di questo genere? È ancora quella di ancorare tutto – lo chiedo a me stessa e lo chiedo al legislatore – al matrimonio, in ragione di un principio di stabilità che oggi statisticamente (siamo andati a vederci i dati) non esiste più?
  Ancora, c'è la Convenzione dell'Aja del 2008. Mi sembra che due Convenzioni siano grandi assenti in questo dibattito. Prendiamo la Convenzione europea sull'adozione dei minorenni data a Strasburgo il 27 novembre 2008 sulle adozioni e il suo articolo 7. L'articolo 7 ci dice «cose», nel momento in cui siamo in Europa, e in queste «cose» ci dice «sì» alle adozioni dei coniugati eterosessuali e via dicendo. Lo prendo, perché non voglio sbagliarmi nel dirlo: la legge permetterà che un bambino Pag. 18sia adottato – non che gli adulti adottino – da due persone di sesso che sono sposate tra loro, o quando l'istituto esiste, sono uniti in un'unione registrata tra loro; o da una singola persona. Quindi, l'adozione dei single è prevista dal 2008. Poi ci torno.
  Poi, al capoverso 2, recita: «. Gli Stati sono liberi di estendere il campo di applicazione della presente Convenzione a coppie dello stesso sesso sposate tra di loro o che hanno stipulato una partnership registrata insieme. Sono anche liberi di estendere il campo di applicazione della presente Convenzione alle coppie di sesso diverso e a coppie dello stesso sesso che vivono insieme in una relazione stabile».
  L'Europa dice: la platea è questa, parte obbligatoria e parte no. Noi non abbiamo ratificato questa Convenzione.
  Un altro principio giuridico rilevante è il diritto del minorenne alla continuità degli affetti e al suo interesse. Sì, certo, c'è stato un percorso interno, che data dalla legge n. 56 del 2004, ma c'è un'altra importantissima Convenzione che non abbiamo ratificato e che forse sarebbe uno snodo importante. È la Convenzione del Consiglio d'Europa sulle relazioni personali riguardanti i minori, varata a Strasburgo il 15 maggio 2003, non ratificata.
  Questa Convenzione, se ratificata, porterebbe al superamento anche di altri problemi. Cito tra parentesi i PAS e chiudo la parentesi. Non voglio essere presa sul serio sul termine che ho utilizzato, perché non sono competente, ma lo uso per indicare il fenomeno. Dall'altra parte, questa Convenzione – abbiamo riportato tutti i punti – tutela i legami familiari. È vero che le Convenzioni non ratificate non sono normative all'interno, ma è altresì vero, se non vado errata, che hanno comunque un forte valore interpretativo e di tendenza.
  Penso alla Corte europea dei diritti dell'uomo. Attenzione, la Corte europea dei diritti dell'uomo non mi sembra che abbia mai detto: «Le coppie omosessuali debbono assolutamente adottare». Ha detto: «Non potete discriminare le coppie omosessuali». Mi sono chiesta perché, partendo da un approccio antropologico assolutamente diverso, e mi sono andata a guardare i princìpi giuridici.
  Sono andata a vedere l'articolo 30 della Costituzione, che ci dice che «i genitori istruiscono, mantengono ed educano». Certamente l'istruzione e il mantenimento prescindono dall'orientamento sessuale. E l'educazione? L'educazione che cosa ci dice? È normata dall'articolo 29 della Convenzione dei diritti del fanciullo e dall'articolo 315-bis del codice civile in merito all'educazione, i contenuti, e soggettivi, e oggettivi, dell'educazione non mi sembra siano condizionabili – lo dico con grande rispetto – dall'orientamento sessuale dei genitori. Quindi, giuridicamente l'approccio e il percorso fatto personalmente da me mi portano a dire che non ci sono nel diritto dati normativi che ci portino a questo.
  Salto tutto il resto. Vorrei arrivare a illustrare brevemente che cosa abbiamo identificato nel percorso adottivo. Si può innanzitutto migliorare il percorso adottivo eliminando la prima fase di ammissibilità davanti al tribunale per i minorenni. Gli interessati depositano i documenti al tribunale per i minorenni e il tribunale per i minorenni invia l'indagine socio-psico-ambientale ai servizi. Vanno direttamente dai servizi e l'esame arriva dopo. Vanno con una dichiarazione sostitutiva di notorietà, o una dichiarazione di notorietà, dicendo: «Siamo in possesso dei requisiti». A quel punto, si elimina una prima fase morta, per esempio. Non si elimina la giurisdizione. Tra l'altro, so che una procedura di questo genere viene già espletata in alcune regioni italiane, che hanno superato la legge.
  Passando all'affidamento, l'affidamento, di cui agli articoli 2 e 5 della legge n. 184 del 1983, va tutto rivisitato, perché non è garantista. Non garantisce il minorenne, che non viene rappresentato – parliamo di «curatore del minore», non di «avvocato», perché la Cassazione così ci ha indicato; può essere anche un avvocato, ma è un curatore – e non garantisce la famiglia. Abbiamo dei provvedimenti open perché la legge è troppo poco costringente rispetto ai contenuti. Non sappiamo chi eserciterà la responsabilità genitoriale (affidamento ai Pag. 19servizi, collocamento presso una famiglia). Queste sono situazioni dolorosissime, come era stato prima ricordato, che riguardano diritti indisponibili.
  Passo all'adottabilità e all'adozione nazionale. Sempre andando velocemente, in merito all'adozione nazionale, una volta che c'è stata l'indagine socio-psico-ambientale – prego il Presidente Pasquale Andria di correggermi, se sbaglio – poi c'è l'abbinamento. Nel frattempo, gli aspiranti genitori adottivi sono inseriti in un elenco. Nulla sanno. Aspettano anni. Può darsi che Salerno sia una bellissima oasi, ma a Roma si aspettano anni senza sapere cosa sia successo. L'informazione deve essere fornita. Io non ho diritto ad adottare, ma ho diritto di sapere che cosa ne è della mia domanda.
  Quanto all'adozione internazionale, forse si può eliminare l'ultima fase davanti al Pubblico Ministero. C'è già stata la conformità dell'articolo 4. Vedo gli enti autorizzati che annuiscono. Eliminiamola. Anche questa appesantisce, e via continuando.
  Infine, passo ad alcune ulteriori proposte. Del database non voglio parlare.
  Con riguardo alla normazione più particolareggiata del curatore avvocato, è verissimo che esistono elenchi assolutamente «così», dove si pesca chi si vuole, senza che sia garantita la specializzazione, con inquinamento del contraddittorio anche al di fuori di quel processo.
  Passo all'adozione per i maggiorenni. Si parla dell'adozione dei minorenni, ma sull'adozione dei maggiorenni siamo così a posto? Prima di tutto, riguarda sempre più giovani adulti che hanno passato in affidamento molti anni e, quindi, è un'adozione per i maggiorenni non classica.
  In secondo luogo, il maggiorenne che viene adottato a 30-35 anni perde il cognome, ma non ha diritto a mantenere un'identità? Poiché è previsto un automatismo, i giudici dicono: «No. Noi dobbiamo applicare la legge – ci sono state tre cause, l'altro giorno, al tribunale per i minorenni –. A quarant'anni ti cambio il cognome. Poi tu farai la procedura davanti al prefetto». Sono meccanismi distorsivi. Anche l'adozione per i maggiorenni – non mi sembra sia stata ancora toccata – è un istituto che va rivisitato.
  Lasciamo il nostro voluminoso pacchetto e l'altro meno voluminoso.

  PRESIDENTE. Grazie. Adesso do la parola a Anna Galizia Danovi, presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia, che è accompagnata da Riccardo Pesce, segretario del Centro.

  ANNA GALIZIA DANOVI, Presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia. Prima di entrare nel problema che oggi dobbiamo affrontare – lo scopo sarebbe di riuscire ad affrontarlo almeno con delle vicinanze di pensiero e di opinione – vorrei farvi presente la mia leggerezza nel tornare oggi a ridiscutere di queste proposte, di queste innovazioni, che ho seguito dall'inizio della mia professione venendo in Parlamento, quando sono intervenute le grandi riforme del diritto di famiglia.
  Allora accompagnavo la segretaria del Centro che oggi presiedo. Devo dire che, con il Parlamento che ci riceveva e con tutti gli esponenti politici dei diversi settori, chiaramente una persona giovane accoglieva questo invito come una festa. Oggi sono qui a ridiscutere della legge sull'adozione – ripeto – ai cui lavori ho partecipato prima.
  Vorrei dividere il mio intervento in due parti. La prima conterrà delle prime riflessioni sulla legge che abbiamo, la seconda ulteriori considerazioni su questa evoluzione incredibile del tessuto familiare, che ha portato una serie di interventi e di modifiche nel pensiero e nella vita del giurista.
  Se si deve fare una ricognizione su questa legge sull'adozione, devo dire che il Parlamento ha affrontato una serie di problematiche e ha dato ascolto a una serie di istanze che da più parti venivano sollevate. Tanto per stare in tema, non possiamo non ricordare con estremo interesse e apprezzamento la legge n. 219 del 2012, recante «Disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali». Tale legge, forse anche perché è stata seguita da persone come il professor Bianca, che amo da una vita, ha Pag. 20proprio fondato il giurista nelle problematiche e, forte dell'esperienza di chi l'ha accompagnata, è pervenuta ai risultati che tutti sappiamo, nonché ad alcune modifiche, quali, per esempio, l'articolo 74 del codice civile.
  Vedo che qui ci sono persone che, come me, riconoscono che cosa vuol dire – non ne ha parlato abbastanza la stampa e non c'è stata una diffusione nemmeno a livello di seminari – questa modifica del citato articolo 74. Dopo aver confermato che la parentela è il vincolo tra le persone che discendono dallo stesso stipite, essa ha poi aggiunto che ciò è vero sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all'interno del matrimonio, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio sia adottivo.
  Guardate che chi ha vissuto, come me, questo completo distacco tra il figlio legittimo e tutti gli altri non può non plaudire a un articolo del genere. Non può non trovare nell'impianto di questa legge, nella parità assoluta tra tutti i figli, un valore inestimabile. Noi assolutamente plaudiamo queste modifiche, le quali hanno poi recentemente apportato alcuni interventi agli articoli 1 e 44 della legge sulle adozioni, che sanciscono il diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido.
  È tenero, secondo me, questo nostro legislatore, che non dice «dei figli», ma «dei bambini e delle bambine». Non dice «degli esseri» o «dei consociati». Dice «bambini e bambine» – mi ha fatto venire in mente le favole, in un certo senso – quasi per ridare a questo bambino e a questa bambina un animo, una dimensione nata dal cuore forse più che dalla legge.
  Quindi, abbiamo sicuramente una piena dignità dei figli, ovunque siano nati, in famiglia, fuori dalla famiglia o in adozione; abbiamo un riconoscimento completo di una giustizia anche sotto il profilo procedurale nell'adozione che non ha niente a che vedere con l'adozione e la legge sull'adozione, che persone come me e i colleghi presenti hanno vissuto; abbiamo la possibilità finalmente di un intervento del legale, che non sia considerato dal PM come un intruso nel giudizio, anche se abbiamo ancora (non cesso mai di denunciarlo) un tribunale come Milano a cui è fatto impedimento all'avvocato di avere diretto accesso al fascicolo ancora oggi, e questo lo denunciamo da anni. Con un unico presidente, che è stato Adolfo Beria di Argentine, eravamo riusciti a restituire dignità il nostro ruolo, ma oggi siamo ricaduti in questa situazione, addirittura con dei provvedimenti e con delle relazioni secretati. Mi scuseranno i giudici minorili presenti, ma si è trattato di uno solo, il migliore.
  Tutto questo per dire che, con alcuni distinguo, non posso non riconoscere a questa attuale legge sull'adozione una serietà, una dignità, con tutti gli opportuni ritocchi che chi mi ha preceduto segnalava, che dovrebbe arrivare a un'ottima legge.
  Attenzione, però, cosa manca perché questa legge funzioni? Bene ha detto il collega che ha parlato prima: mancano i fondi, stiamo facendo una battaglia contro i mulini a vento, non solo i giudici minorili per l'adozione, ma i giudici nelle case di divorzio, nelle cause di separazione si rivolgono ai servizi e chiedono aiuto, danno la prescrizione e dispongono che al loro provvedimento si dia immediatamente esecuzione con un accesso per vedere dove il minore stia meglio. Cosa ci rispondono però i servizi? Denunciateci.
  A Milano, purtroppo, una capo servizio è arrivata a dire: «mi denunci, avvocato, perché sono veramente in difetto, ma io le dico noi siamo in quattro a reggere un numero di casi infiniti!» in una certa zona di Milano. Noi abbiamo tre problemi nell'adozione e sono tutti connessi non a come è fatta la legge, che secondo me, anche con l'aiuto della giurisprudenza e del buonsenso, è assolutamente accettabile, ma abbiamo il grossissimo problema dell'attuazione di questi provvedimenti.
  Pensiamo soltanto a una cosa delicatissima che fa seguito all'inserimento preadottivo del figlio nella famiglia: possiamo denunciare un abbandono totale. Il problema non è se questi genitori siano adeguati, per cui magari in primo grado sono ritenuti inadeguati e in Corte d'appello sono ritenuti adeguati, ma il problema emerge quando si trovano a svolgere la Pag. 21funzione di genitore di un minore arrivato da un momento all'altro, al quale potrebbero dedicare le loro migliori energie se qualcuno li avesse preparati e li stesse sorreggendo.
  Non è il prima, ma è il dopo, e sento dire che si riducono continuamente le adozioni, effettivamente la gente è meno incentivata, ma, a fronte di questa riduzione che giustamente qualcuno prima di me ha messo in relazione con la riduzione delle nascite (l'Italia è all'ultimo posto nella procreazione, quindi ovviamente non sarà molto propensa neanche ad adottare), purtroppo in questa nostra legge sul diritto di famiglia manca la cura della persona, l'accompagnamento, l'approfondimento, un tutor.
  Purtroppo nella mia vita professionale ho visto troppi casi di quella che con molto cinismo il Tribunale per i minorenni di Milano chiama «restituzione» di minorenni portati in tribunale durante la fase preadottiva per dire al giudice «non posso occuparmene più».
  Una riflessione, quindi, va fatta, e qui torniamo alla preparazione, alla professionalità, a un senso di coscienza, perché è vero che i bambini in tutto il mondo sono in condizioni tali che forse portati da noi starebbero meglio, ma attenzione: staranno meglio e potranno recidere le loro origini, il loro vissuto, esclusivamente se troveranno genitori preparati, perché non basta un genitore normale nell'adozione, ve lo posso garantire, il genitore deve essere particolarmente preparato, seguito, aiutato, e poi vola da solo (ho visto questi casi), ma non l'improvvisazione.
  L'appello che posso fare in quest'Aula è che la famiglia ritorni al centro dell'interesse del legislatore non solo nel come si scrivono le leggi, ma anche nel come si attuano. Tutto deve essere potenziato, altrimenti avremo una continua ricaduta di minori disadattati sia che siano stati adottati, sia che non lo siano stati.
  Consentitemi un accenno a un discorso che mi sta particolarmente a cuore e che da quanto ho capito probabilmente mi vedrà in netta minoranza nel pensiero di questa assemblea. Oggi abbiamo un dibattito enorme, sotterraneo che si sta svolgendo, che riguarda il percorso svolto in Parlamento dal cosiddetto «disegno di legge Cirinnà». Sapete tutti che il testo inizialmente prevedeva espressamente la stepchild adoption, faceva espresso riferimento alle adozioni in casi particolari, poi si prevedeva una modifica dell'articolo 44.
  Ad un certo punto si approva la nuova legge, che dice espressamente che la disposizione di cui al periodo precedente, quindi la normativa che ho citato, non si applica alla legge n. 184 del 1983, di cui stiamo discutendo.
  C'è poi un inciso, che dice «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione delle norme vigenti». Scusate, ma avendo la mia professione l'età di mio figlio professore, 45 anni, lo posso dire: questo inciso non è chiaro, non è giuridicamente corretto e va rivisto, perché dopo queste disposizioni, che da un lato pare vogliano salvare anche in prospettiva futura la giurisprudenza che è emersa e dall'altro mal si riconnettono alla disposizione precedente, noi abbiamo avuto in Italia (ce ne vergogniamo con gli altri Stati) una bagarre, sentenze del Tribunale per i minorenni di Roma di cui ancora non conosciamo il finale e non ci risulta che la Cassazione si sia espressa, sentenze del tribunale di Torino, sentenza della Corte d'appello di Milano che, scavalcando completamente il problema, ha ritenuto che la moglie della donna che in Spagna aveva sposato potesse, nel momento in cui le due si erano separate, essere riconosciuta madre adottiva.
  Su questo dico solo due parole: in una materia così delicata, in una situazione così confusa, dico al Parlamento che, se non lo ha detto prima e vuol dirlo adesso, facendo entrare nell'adozione a pochi mesi di distanza quello che ha escluso da quella legge, allora lo deve motivare, e per motivarlo due sono gli elementi che riporto all'attenzione di tutti.
  Noi stiamo parlando di un minore, di un bambino che entra in una realtà completamente diversa dalla genetica, abbiamo approfondito questi studi e abbiamo visto cosa hanno scritto i cultori della psicologia quando dimostrano cosa succede quando Pag. 22c'è un problema d'identità che viene rimessa in discussione. In questo momento non posso arrogarmi alcun diritto perché mi inchino alla volontà di tutti, ma, se non è stata introdotta prima, mi si vuole spiegare perché viene introdotta adesso?
  Cerchiamo, quindi, di approfondire questi argomenti, di non fare un'altra volta nel diritto di famiglia quella velocizzazione che alla fine è di nocumento, di danno, non porta a niente.

  PRESIDENTE. Grazie. Do ora la parola a Margherita Prandi Borgoni, avvocato e componente del Centro studi Livatino.

  MARGHERITA PRANDI BORGONI, Avvocato e componente del Centro studi Livatino. Buonasera, ringrazio questa Commissione e la sua presidente anche a nome del Centro Studi Livatino per questa convocazione. Il mio contributo non sarà accademico, ma di esperienza.
  Io sono avvocato, mi occupo da circa trent'anni di questa materia. Dopo gli interventi illustri dei colleghi che mi hanno preceduta, dei magistrati e dei professori, cercherò di portare alla vostra attenzione il momento in cui noi ci approntiamo ad accogliere e a ricevere il punto di vista di chi si trova ad affrontare un carico di dolore e di fatiche che riguardano la necessità di accedere all'adozione.
  Abbiamo sentito e sappiamo che l'avvocato vive e condivide i percorsi di alcune esistenze sia come curatore speciale del minore, sia come difensore del genitore che rischia di perdere il proprio figlio e, talvolta, come consulente delle coppie di aspiranti adottanti, che si accingono a intraprendere il difficile percorso dell'adozione. Quindi in questo tipo di procedimento abbiamo tre centri di interesse: il minore, la famiglia di provenienza e gli aspiranti adottanti.
  Noi abbiamo il compito di dare veste giuridica, per un'adeguata interlocuzione con le istituzioni, a un carico di dolori, vissuto dai minori per le tristi vicende che hanno delineato le loro vite, ma spesso anche dalle famiglie, che vedono i loro errori e le loro difficoltà, le loro fatiche così gravate dall'immediato e possibile rischio di perdere un figlio.
  Le famiglie d'origine guardano alla normativa sull'adozione con paura, ma nello stesso tempo ne apprezzano la lunghezza, perché vedono in essa una garanzia di riflessione e di nuove possibilità di cambiare, di avere il tempo per evidenziare ai giudici e ai servizi sociali tutto quanto è possibile per recuperare nel disperato desiderio di tornare ad essere genitori.
  Rammentiamo che spesso non è così e che le famiglie non sempre sono famiglie violente, ma talora vivono disagi di vario tipo, che si possono quindi recuperare con un'adeguata attività d'intervento. Dall'altro lato, abbiamo le coppie che chiedono di adottare, che guardano alla normativa sull'adozione con speranza, con il desiderio di procedure più snelle, veloci, aperte, che consentano loro il prima possibile di abbracciare quel bambino che desiderano amare come loro figlio, certe che tutto si appianerà, perché il loro desidero di amare è tanto grande che sperano di poter superare le difficoltà.
  Per quanto mi è stato dato di verificare, il calo delle domande di adozione, oltre ad essere collegato alla denatalità, è fortemente connesso all'aumento del ricorso alla fecondazione assistita, soprattutto dopo la sentenza alla Corte costituzionale che ha dato la possibilità di accedere anche a quella eterologa, perché risulta molto più facile, più semplice, e forse comprensibilmente preferibile, avere un figlio biologico piuttosto che adottarne uno.
  Il minore è il terzo soggetto sulla scena, quello nel cui superiore interesse tutto dovrebbe avere movimento. Qual è il suo interesse? Innanzitutto, riavere la sua famiglia, quella in cui dovrebbe aver imparato affetti, volti, mani, sorrisi, oppure, avere una famiglia il prima possibile o la migliore possibile? Nei nostri studi e nei tribunali pezzi di carta, ma in realtà pezzi di vita: la legge n. 184 del 1983 è stata mutata anche nel titolo che non cessa di affascinarmi, Il diritto del minore a una famiglia. Tutta la normativa internazionale, la nostra legge e la giurisprudenza ci impongono un punto di vista privilegiato, che Pag. 23è quello della tutela del minore, il più debole tra tutte le parti di questa vicenda umana.
  Egli ha diritto a rimanere nella sua famiglia e soltanto in via residuale dovrà esserne allontanato, recidendo legami, storia, affetti, per essere poi indirizzato verso un percorso difficile, cioè l'inserimento in un'altra famiglia che lo accolga temporaneamente oppure in una struttura. Così per lui il dolore di questa gravissima perdita dovrà mutare in un carico di speranze, per ritrovare braccia amorevoli in una nuova casa nel modo più delicato e indolore possibile, favorendo la possibilità di inserirlo in una famiglia dove un padre e una madre potranno aiutarlo a ritrovare almeno qualcosa di conosciuto e naturale.
  Il presupposto da valutare per tracciare la strada migliore per quel minore è la sussistenza dello stato d'abbandono, che deve essere analizzata, verificata, comprovata, meditata, perché bisogna essere assolutamente certi che quel minore non avrà il diritto di poter crescere ed essere educato nella propria famiglia d'origine.
  La lunghezza di questa procedura, quindi, forse è un pregio, perché in un campo come questo, in cui misuriamo non dati oggettivi, ma relazioni umane, la durata è una garanzia di attenzione, riflessione e cura. È quindi veramente importante che nelle fasi di accertamento tutto venga fatto nel modo migliore, perché un errore può significare un insuccesso e, come già accennato dai relatori precedenti, il cosiddetto «fallimento adottivo» comporta per il bambino un trauma indelebile.
  Non si può sbagliare, la tutela è quella di un soggetto debole, fragile, come sappiamo tutti ma è importante continuare a tener presente, qualcuno che senza colpe è privato di affetti e certezze che costituiscono le colonne di una personalità, quel sapersi amati dai propri genitori.
  Sappiamo che in Italia il numero di bambini in attesa di adozione è inferiore al numero delle coppie, il rapporto tra coppie che chiedono di adottare e bambini in cerca di adozione è di 9 a 1, salvo quelli con problematiche particolari relative alla salute o all'età, però tutti condividono che l'obiettivo è unico, cioè il perseguimento del loro interesse.
  In concreto cosa accade? Sappiamo tutti come funziona la procedura, ma qualcuno prima di me ha già autorevolmente accennato alle problematiche che riguardano il momento dell'indagine da parte del servizio sociale, perché, mentre il servizio sociale effettua delle verifiche e indica prescrizioni, i genitori non hanno diritto di accesso al fascicolo, fino a che non vi sia il provvedimento del giudice.
  Io ho in corso un caso in cui una ragazzina è in un centro assistito perché ha tentato il suicidio, però sono otto mesi che non accediamo al fascicolo, che la mamma non accede al fascicolo, perché è stato in Procura per un lungo periodo e la mamma (il padre si è allontanato da tempo) non ha potuto avervi accesso, quindi anche il procedimento davanti al Tribunale per i minori necessiterebbe di una modifica, perché la parte non ha accesso per troppo tempo alle vicende che la riguardano.
  Il giudice del Tribunale per i minori rimane una garanzia importantissima per il vaglio sull'operato e sulle valutazioni dei servizi, perché ricordiamoci che il genitore accede agli uffici del servizio sociale con paura, sapendo di essere posto sotto osservazione e in un'ottica di riprovazione che egli coglie, perché spesso il servizio sociale che lo riceve è lo stesso che ha fatto la segnalazione, quindi spesso il genitore non comprende a fondo quanto gli viene spiegato perché è turbato e inconsapevole.
  I servizi sono oberati, pertanto anch'io evidenzio l'esigenza di incrementare le risorse finanziarie per consentire una migliore formazione del personale, un'integrazione dei servizi, per realizzare un'attività più compiuta e completa.
  La procedura vede come figura fondamentale quella del difensore. Noi spesso non siamo amati dai servizi sociali, facciamo fatica ad avere un rapporto con loro. Qualche anno fa come consigliere dell'Ordine e responsabile per la famiglia della mia città avevo iniziato con l'Ordine degli psicologi dell'Emilia-Romagna a svolgere un'attività di confronto che coinvolgeva servizi sociali, avvocati, psicologi dell'ASL e Pag. 24psicologi spesso utilizzati come CTU dal tribunale, e ci eravamo resi conto che tra noi ci sono registri linguistici diversi, abbiamo una inconsapevolezza reciproca del modo di operare che crea tanta chiusura e tanti problemi alle famiglie.
  Spesso i servizi non comprendono il nostro modo di comportarci perché non sanno cosa stiamo cercando di fare, laddove non siamo in guerra con loro, ma stiamo cercando di capire la situazione, per aiutare e sostenere la coppia che si è rivolta a noi, il genitore o il minore che è stato affidato alla nostra difesa.
  Noi abbiamo cercato di fare questo lavoro per favorire il dialogo e l'incontro e ne è nata una collaborazione utile. In alcune città stanno nascendo dei protocolli che dovrebbero essere condivisi, più uniformati, per favorire una maggior oggettività e una migliore diffusione dell'ascolto di tutte le parti di questo procedimento così delicato.
  Non dimentichiamo che spesso gli operatori dei servizi sociali sono persone molto giovani, quindi, per ragioni anagrafiche non hanno un'adeguata esperienza, e in ogni caso la storia di ciascuno porta a rischiare di leggere una vicenda nella propria ottica deformata o informata dalla propria esperienza personale, quindi povera di oggettività, laddove una formazione accurata con fondi destinati a questo fine potrebbe aiutare tantissimo.
  Il primo soggetto importante da valutare è il minore. Come vive i rapporti con la famiglia naturale quando ne viene allontanato? Quando è presso una famiglia affidataria o in comunità vive con grande gioia il contatto con i suoi genitori, se è piccolo cerca l'affettuosità, cerca condivisioni, contatti, carezze. Ricordo l'esempio di un bambino (ma ciascuno di voi avrà migliaia di esempi da ricordare) che nell'incontro fatto con la mamma in presenza dell'assistente sociale, che aveva il compito di verificare gli agiti dei singoli soggetti coinvolti, voleva farsi tagliare i capelli solo da lei.
  I minori più grandicelli invece cercano il contatto, la confidenza con il genitore che ritrovano, una nostalgia di affetti e di casa, quindi lo stato di abbandono deve essere seriamente verificato, deve essere attuale, perché causerà un trauma a quel bambino. Egli dovrà lasciare la sua famiglia naturale, la sua mamma e il suo papà e li perderà per sempre, un addio deciso da altri che egli subirà per il perseguimento del suo maggior interesse.
  Sotto questo profilo la possibilità di adozione del nascituro secondo me è discriminatoria nei confronti di quel bambino, perché lo stato di abbandono deve essere attuale, deve essere verificato e sappiamo che quando i bambini non riconosciuti alla nascita vengono dichiarati in stato di abbandono nel giro di una ventina di giorni vengono già assegnati alla famiglia, ma il nascituro non avrebbe la possibilità di verificare che i suoi genitori decidano di non abbandonarlo.
  Una cosa è, infatti, la paura che si può provare in vista di una nascita, temendo di non avere risorse adeguate, altra cosa è avere un bambino tra le braccia e con il tempo trascorso avere la possibilità di nuove speranze, perché magari c'è una casa assegnata, un lavoro ritrovato, una speranza più grande, senza pensare poi che con l'adozione del nascituro si porrebbe un problema non da poco se il genitore poi cambiasse idea. Non penso che l'ordinamento giuridico potrebbe fondare l'emanazione di un provvedimento di natura pubblica su una dichiarazione privata incerta e futura.
  Per quanto riguarda la coppia che chiede di adottare, sono richiesti dei requisiti non tanto di natura economica, perché per quelli è sufficiente che la coppia sia in grado di soddisfare i bisogni essenziali, quanto la capacità di svolgere quel difficile capolavoro che è il compito educativo.
  I requisiti che la legge richiede devono sussistere al momento della domanda, perché da quel momento inizierà la valutazione. La coppia deve essere unita in matrimonio da almeno tre anni e questo requisito di stabilità ha una ragione, perché il minore non potrà essere incluso in un nucleo familiare in cui i rapporti tra gli adulti non siano già consolidati e inseriti in un progetto di vita stabile di un futuro Pag. 25insieme, perché un bambino ha bisogno di certezze, di rapporti stabili, di stabilità.
  Ovviamente tutte le famiglie hanno i propri limiti, ma l'esistenza di un progetto di vita predeterminato e stabilito in un matrimonio è indicatore della volontà di pensare anche all'altro e non soltanto a se stessi in una prospettiva di durata.
  Il fatto che il Tribunale debba scegliere tra le coppie che hanno fatto domanda di adozione vuol dire che il legislatore ha già preso atto del fatto che da tempo il numero di coppie che chiede di accedere all'adozione supera quello dei minori in stato di abbandono, quindi questo comporta una valutazione del giudice sulla miglior coppia possibile per quel bambino.
  Sul divario di età, maggiori di 18 e minori di 45 anni, avete già sentito in precedenti audizioni che in Italia le donne italiane con più di 40 anni che partoriscono erano circa il 9 per cento nel 2014, però dobbiamo sempre pensare che lo Stato deve normare nell'interesse del più debole, quindi non si può intervenire sulla libera scelta di persone che decidano di concepire in un'età più avanzata, ma lo Stato deve tutelare l'interesse del minore, quindi genitori troppo anziani potrebbero non garantire al minore di essere accompagnato in modo adeguato per quanto riguarda sia la fase dell'adolescenza che l'ingresso nell'età adulta. Su genitori troppo giovani evidentemente il problema si pone per la mancanza o la carenza di esperienza educativa. In sintesi, poiché noto che il tempo scorre, io richiamo anche quello che ho visto in tante CTU e che tutti quanti abbiamo visto senz'altro, durante i tanti anni di esperienza.
  Nelle CTU si afferma e si sostiene l'importanza della presenza di entrambe le figure genitoriali. L'accesso a queste deve essere garantito, fino a che un genitore non sia pericoloso per il minore, tanto che, se un genitore frappone ostacoli all'accesso dell'altra figura genitoriale, gli può essere revocata la collocazione o addirittura l'affidamento.
  Questo principio, che è estremamente importante, deve essere normato e deve essere l'elemento indicatore anche per il giudice perché è richiamato dalla nostra Costituzione. Anche la legge del 2011, quella istitutiva dell'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, ha richiamato il fatto che il garante dell'infanzia deve promuovere la piena applicazione del diritto del minore a essere educato nella propria famiglia.
  La propria famiglia è quella costituita dei genitori e si traduce nel diritto con la doppia figura genitoriale perché, ovviamente, non necessariamente si vive, ma inevitabilmente si nasce da una mamma e da un papà.
  Mi chiedo, quindi: se si autorizzasse l'adozione dei single o della coppia omosessuale, non si andrebbe a violare il diritto di quel bambino, che verrebbe discriminato, perché verrebbe privato della relazione più ricca, due soggetti anziché uno, dal momento che ci sono tante coppie che attendono di adottare, e più arricchente e complementare, cioè un papà e una mamma? Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Do la parola a Giancarlo Cerrelli, Presidente del Comitato Sì alla famiglia.

  GIANCARLO CERRELLI, Presidente dei Comitati Sì alla famiglia. Signora presidente e onorevoli deputati, ringrazio dell'invito a questa audizione.
  Io rappresento il Comitato Sì alla famiglia che ha come scopo la promozione e la difesa della famiglia naturale, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, e che, assieme al Centro studi Rosario Livatino, approfondisce gli aspetti culturali e giuridici afferenti a questa istituzione basilare della società. Rappresento anche l'Unione giuristi cattolici italiani, storica associazione fondata nel 1948, che ha lo scopo di contribuire all'attuazione dei principi dell'etica cristiana nell'esperienza giuridica.
  Ho già depositato e già inviato una relazione più ampia che mi riservo di modificare in alcune parti.
  Passando al tema dell'audizione, d'esordio vorrei affermare che il giudizio sull'impianto e sullo stato di attuazione della legge Pag. 26n. 184 del 1983 è tendenzialmente positivo. La legge non ha bisogno di riforme radicali, ma, eventualmente, di alcuni aggiustamenti burocratici, di cui farò stato nella mia breve esposizione.
  Ritengo opportuno prendere le mosse dal principio cardine su cui si fonda la legge n. 184 del 1983, cioè il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia.
  Tale diritto, come noto, è il capoverso dell'articolo 1 della legge ed è un diritto che è stato già riconosciuto dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. In più, questo diritto del figlio di crescere in famiglia ha ottenuto un'ulteriore importanza e forza dall'inserimento nel Codice civile all'articolo 315-bis.
  Il diritto a crescere nell'ambito della propria famiglia si declina nel diritto del minore alla doppia figura genitoriale, che non significa diritto del minore ad avere due genitori qualsiasi. Tuttavia, l'affermazione del diritto del minore alla propria famiglia non può che indicare il diritto ad avere una mamma e un papà.
  Il diritto del minore a crescere nella propria famiglia è, dunque, come esito, il diritto alla bigenitorialità, cioè alla doppia figura genitoriale, che è strettamente connesso all'idea di famiglia.
  Tuttavia, è opportuno evidenziare che la bigenitorialità e la famiglia sono due elementi da cui non si può prescindere. Il diritto del minore ad avere due genitori non si può configurare senza una sua valutazione qualitativa, cioè che il minore abbia due genitori che siano i suoi genitori, quindi di sesso diverso.
  La genitorialità, infatti, è una dimensione di ruoli e di ruoli diversi, quantunque complementari tra padre e madre, e non è difficile constatare che si potrà anche crescere senza un padre e una madre, ma senza di essi, in quanto genitore e genitrice, non si può nascere.
  Oggi, tutto questo, però, è messo in discussione, con il pretesto di attuare un preteso diritto di uguaglianza e così superare eventuali discriminazioni.
  Ritengo che questo sia un aspetto che debba essere attenzionato dal legislatore perché, con il pretesto di accontentare gli adulti, si sta creando una categoria di veri discriminati, cioè di minori che non avranno il diritto di conoscere e di crescere con i propri genitori biologici, non perché siano stati da loro abbandonati, ma perché sono fatti nascere con tecniche artificiali che negano loro il diritto fondamentale di conoscerli e di crescere con chi li ha procreati.
  L'istituto dell'adozione, che è nato per perseguire un nobile fine, cioè quello di dare una famiglia a un bimbo che non ne ha una, ultimamente sembra, invece, essere usato per il perseguimento di un chiaro fine ideologico, che tende a marginalizzare sempre più culturalmente il dato biologico della genitorialità, a favore di un non ben specificato aspetto e rilievo sociale di questa.
  La famiglia in questo periodo, come ho già detto, risente di preoccupanti tensioni. Questa societas che è l’habitus, il nido, in cui il minore deve crescere ed essere educato e formato negli ultimi quarant'anni ha, tuttavia, subito un processo di ridefinizione giuridica, che è ancora in atto e che sta erodendo le basi giuridiche costitutive dell'istituto familiare.
  È necessario chiedersi se una tale ridefinizione giuridica della famiglia, che sembra banalizzare l'istituto del matrimonio, con disposizioni che tutelano in modo assoluto il diritto di autodeterminazione degli adulti a porre fine in modo sempre più veloce al vincolo coniugale, così minando gravemente la stabilità del vincolo matrimoniale e familiare, sia funzionale o meno all'interesse superiore del minore a crescere e a essere educato nell'ambito della propria famiglia.
  Il nuovo diritto di famiglia sembra favorire, infatti, una privatizzazione e una fluidità dei rapporti familiari, che preconizzano l'avvento di una famiglia che a me piace chiamare «famiglia on demand». Si potrà scegliere di entrare e uscire a piacimento, quante volte si vorrà, da un tipo di famiglia che si eleggerà tra una varietà di modelli, in base ai propri desideri e ai propri gusti sessuali. Pag. 27
  In tal modo, tuttavia, si tradisce il diritto fondamentale dei minori di crescere e di essere educati nell'ambito della propria famiglia, che è il luogo di protezione e di maturazione della loro identità. È appunto questa la criticità che vorrei maggiormente evidenziare circa l'attuazione della legge n. 184 del 1983. Infatti, se si continuerà a depotenziare la famiglia con leggi che favoriscono un'irresponsabilità e un disimpegno diffusi, saranno i minori a risentirne maggiormente perché non potranno soddisfare il loro diritto di crescere nella loro famiglia.
  Da anni, è in atto un pressing culturale, diretto a convincere l'opinione pubblica che le coppie dello stesso sesso, anche riguardo all'accoglienza dei minori, devono rappresentare un concetto di famiglia universalmente condiviso, tanto quanto quello, davvero universale, dell'unione di un uomo e di una donna, da cui ogni essere umano viene al mondo. In modo preoccupante, in questa direzione si sta muovendo la giurisprudenza di merito, che è giunta ad affermare, ignorando completamente la Convenzione di New York e le più moderne conoscenze scientifiche, che non sono né il numero né il genere dei genitori a garantire di per sé le condizioni di sviluppo migliori per i bambini, bensì la loro capacità di assumere questi ruoli e le responsabilità educative che ne derivano.
  Nonostante la Corte EDU abbia sancito in modo chiaro la non esistenza di un diritto umano all'adozione – da ultimo con la recentissima sentenza dell’affaire Chapin et Charpentier contro Francia del 9 giugno 2016 – alcune Corti di giustizia italiane, con un'evidente forzatura sul piano giuridico, hanno avuto riguardo più a tutelare un presunto diritto dei partner omosessuali a ottenere un riconoscimento giuridico, seppure indiretto, di una nuova forma di genitorialità, inventandosi l'impossibilità giuridica di affidamento preadottivo, piuttosto che realizzare il preminente interesse del minore.
  Eppure, nei lavori preparatori della legge n. 184 del 1983, l'impossibilità di affidamento preadottivo riguardava solamente un'impossibilità di fatto. Il legislatore si riferiva, dunque, ai bambini difficili e a quei 300 casi che si trovano in istituti e che nessuno vuole.
  È sempre più diffusa, tuttavia, la pretesa di diventare genitore, prescindendo da una famiglia in cui accogliere i minori. Non esiste, però, un diritto ad avere un figlio, come non esiste un diritto all'adozione. Non possiamo, pertanto, restare indifferenti ai modi di concepimento dei minori, soprattutto quando questi avvengono in violazione delle nostre leggi, fondate appunto sui loro diritti, come nel caso della fecondazione eterologa praticato al di fuori dei casi eccezionali previsti e dell'orribile pratica della maternità surrogata. Si tratta di soluzioni che inseguono, per gli adulti che vi ricorrono, il diritto al figlio, ma trascurano i diritti del figlio.
  Ritengo che un correttivo da apportare alla legge sia quello di prevedere una qualche sanzione e non certamente un premio per chi, intenzionalmente, aggiri la legge n. 184 del 1983, procurandosi, anche all'estero, un bambino con tecniche artificiali, che giungono fino all'abominio della maternità surrogata. Tali soggetti si servono di un procedimento, ormai ben rodato e organizzato e in frode allo spirito della legge n. 184 del 1983, per soddisfare il loro egoismo, con la conseguenza di negare al bambino, che si sono procacciati, il diritto di poter crescere con un papà e con una mamma.
  Giova ricordare che l'istituto dell'adozione mira a garantire al minore abbandonato l'educazione in un'idonea famiglia sostitutiva, in caso di incapacità educativa dei genitori. L'adozione, perciò, è l'attuazione dei principi costituzionali che garantiscono il pieno sviluppo della personalità. L'educazione deve avvenire in famiglia perché solo la famiglia è considerata capace di garantire una normale evoluzione psichica del minore e il pieno sviluppo della sua personalità. Per famiglia si intende, però, quella che dice la Costituzione, cioè quella coniugale fondata sul matrimonio e costituita da una coppia di genitori.
  Le scienze umane hanno, dal canto loro, chiaramente e ripetutamente sottolineato che, per una corretta evoluzione della personalità Pag. 28 e per una normale socializzazione, il minore ha bisogno di validi modelli genitoriali di riferimento e della necessaria compresenza di una figura educatrice materna e paterna. Inoltre, la concreta realtà ha abbondantemente confermato l'esattezza di tale assunto, cioè che l'assenza di una sola di tali figure educative non favorisce il normale sviluppo della personalità, ma genera disturbi della personalità, confusioni e vuoti psicologici, causando profondi traumi psichici, spesso irreversibili o irrisolti anche dopo molti decenni.
  Solo una vera famiglia, cioè una famiglia completa e formata da una coppia di genitori, e non pure una famiglia incompleta, monca e monoparentale può promuovere e assicurare tale pieno sviluppo perché, per raggiungere una vera maturazione psichica, il minore ha bisogno di avere validi modelli educativi e di identificarsi in una figura materna e paterna, dovendo anche la famiglia adottiva trovare una corrispondenza nei modelli biologici, formati appunto da una figura materna e paterna, cioè che una coppia di genitori.
  Non a caso l'articolo 30 della Costituzione usa il plurale, dicendo che, nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. Tale dizione prefigura e implica necessariamente una coppia educatrice, formata da un padre e da una madre, genitori, onde una famiglia monoparentale si porrebbe contro la lettera e lo spirito degli articoli 29 e 30.
  L'articolo 6 della legge n. 184 del 1983 recita: «l'adozione è consentita ai coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni». Tra i coniugi, non deve sussistere e non deve aver avuto luogo negli ultimi tre anni separazione personale neppure di fatto. Ecco, la ratio della norma è quella di assicurare al minore una famiglia collaudata, quindi un focolare stabile armonioso, dove i legami sono ben saldi.
  Collegato al problema della stabilità della coppia coniugale è quello se l'adozione piena sia consentita alla cosiddetta «famiglia di fatto». La famiglia di fatto (conviventi more uxorio), invero, non dà la garanzia di un legame stabile, potendo i conviventi separarsi ad nutum. Per giunta, se i conviventi more uxorio non hanno l'esigenza e il coraggio di assumere pubblicamente l'impegno di una vita in comune, che per loro rimarrà tale finché ci sarà dell'affetto, sembra contraddittorio e insensato che possano assumere pubblicamente un impegno di donare un'unione stabile a un minore che ha già sofferto un abbandono.
  Pertanto, pur rientrando tra le formazioni sociali tutelate dall'articolo 2 della Costituzione, la convivenza more uxorio, non può essere equiparata alla famiglia fondata sul matrimonio, in quanto ontologicamente caratterizzata, per sua natura, da una questione precaria, potendosi sciogliersi per volontà di uno dei conviventi. Per tali motivi, esprimo il mio parere contrario e a inserire, nella platea degli adottanti, i conviventi, i single e le persone omosessuali singole o unite civilmente.
  Vorrei aggiungere solo poche parole sul diritto alla continuità affettiva e alla cosiddetta «adozione mite».
  L'adozione, in tutte le sue forme, si fonda a monte sulla necessità di venire incontro ai bisogni di un minore abbandonato, mancando il quale presupposto non può e non deve farsi ricorso a detto istituto, pena contraddire e violare il principio fondamentale di cui all'articolo 1 della legge n. 184 del 1983.
  Un uso distorto, più che alternativo, dell'articolo 44, comma 1, lettera d), della legge sulle adozioni ha consentito a una certa giurisprudenza la creazione della cosiddetta «adozione mite», atta, a suo dire, a venire incontro alla situazione dei cosiddetti «minori nel limbo», vale a dire quei minori che, a causa di un cosiddetto «semiabbandono permanente» si trovano affidati sine die a una famiglia. Con tale forma di adozione si consente alla famiglia affidataria, che pure non avrebbe i requisiti per adottare e che comunque non ha eseguito le relative procedure, di procedere all'adozione del minore che ospita in affidamento familiare.
  In ossequio al principio della continuità degli affetti, di cui non si sa quale sia la vera fonte, ci si accontenta dei consensi ex articolo 45 e 46, creando una sorta di Pag. 29adozione consensuale. Si consente, infatti, in tal modo di eseguire una scelta del minore contraria allo spirito e alle regole dell'adozione, tanto interna che internazionale. Il semiabbandono permanente, in realtà, è un'ipotesi di non abbandono, per far fronte alla quale il ricorso all'adozione, ancorché mite, tradisce lo spirito che ha animato la nostra legislazione in materia e che pervade gli articoli 2 e 3, secondo comma, della Costituzione.
  Troppo spesso ci si dimentica che è la Repubblica a dover intervenire per rimuovere le condizioni di difficoltà che impediscono l'attuazione del pieno sviluppo della persona, sostenendo il disagiato e non già privandolo dei suoi diritti inviolabili, primo tra tutti quello alla propria famiglia.
  Si rinvengono pure nel corso della presente legislatura – mi consenta, Presidente – numerosi progetti e disegni di legge che si propongono tutti di facilitare l'adozione dei minori da parte delle famiglie (o chi per loro) affidatarie, per la necessità – si dice – del mantenimento del rapporto affettivo instaurato, senza preoccuparsi di verificare l’animus, con il quale l'affidatario è addivenuto alla scelta di procedere a un affidamento familiare, anziché seguire le ordinarie procedure del procedimento adottivo, ove percorribili.
  Il sospetto di una possibile – ma legalizzata – frode alla legge, volente o nolente, sorge. Pertanto, ritengo che non sia da favorire questo modello di adozione perché tradisce anch'esso evidentemente il superiore interesse del minore.
  Mi avvio alla conclusione. Gli aspetti che maggiormente interessano e preoccupano, però, i genitori adottivi e che sono insistentemente proposti dalle associazioni di mutuo aiuto di genitori operanti nel territorio, sono soprattutto due: la richiesta di un potenziamento in ambito pubblico del supporto alle famiglie nel post-adozione e nella pre-adozione e un maggiore e più strutturato controllo sull'eticità, trasparenza e completezza delle comunicazioni degli enti privati e pubblici, durante la procedura adottiva, sia nazionale che internazionale.
  Il genitore adottivo chiede di non essere lasciato solo nell'affrontare questa meravigliosa avventura che è, sì, straordinaria, ma è anche difficile. I genitori adottivi chiedono di essere informati di tutto quanto accade durante la procedura. Occorre formare strutture e operatori che non sono presenti in modo sufficiente nei territori.
  Sulla proposta di adozione cosiddetta «aperta».

  PRESIDENTE. La invito alla conclusione. Lei è l'unico che sta leggendo integralmente il documento, quindi provi a sintetizzare.

  GIANCARLO CERRELLI, Presidente dei Comitati Sì alla famiglia. Si tratta di una sintesi del documento.
  Sulla proposta che permetterebbe di mantenere rapporti con la famiglia di origine, qualora possibili, si è contrari alla adozione cosiddetta «aperta» perché è stata riscontrata da alcuni genitori adottivi l'estrema difficoltà per i bambini di gestire questo doppio rapporto di appartenenza e di attaccamento con la famiglia che li ha accolti.
  In conclusione, si rivela che il modello giuridico di famiglia, che l'ordinamento sembra propiziare, appaia essere sempre più orientato a soddisfare, come detto, il diritto di autodeterminazione degli adulti, piuttosto che l'interesse superiore del minore. In tal modo, si tradisce il diritto fondamentale dei minori di crescere e di essere educati nell'ambito della propria famiglia, che è il luogo di protezione e di maturazione della loro identità.
  È appunto questa la criticità che vorrei maggiormente evidenziare circa l'attuazione della legge n. 184 del 1983. Infatti, se continuerà a depotenziare la famiglia con leggi che favoriscono un'irresponsabilità e un disimpegno diffusi, saranno i minori a risentirne maggiormente perché non potranno soddisfare il loro diritto di crescere nella loro famiglia.
  Per questi motivi siamo contrari a incrementare la platea delle categorie di adottanti ai single, ai conviventi more uxorio e ai partner di unioni civili. Pag. 30
  Riteniamo che l'impianto e lo spirito della legge n. 184 del 1983 siano sufficientemente accettabili e, pertanto, eccettuati alcuni aggiustamenti di tipo burocratico, che la legge n. 184 del 1983 non debba subire una riforma di una riforma radicale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Adesso, abbiamo il Coordinamento enti autorizzati (CEA), con la portavoce Cristina Nespoli, e poi l'associazione ARIETE e l'associazione ANPAS.

  CRISTINA NESPOLI, Portavoce del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA). Intanto ringraziamo la Presidente per l'invito.
  Noi siamo enti autorizzati per le adozioni internazionali, quindi il nostro intervento verte su quello che è il nostro ruolo. Siamo enti autorizzati, iscritti all'albo, quindi, non proponiamo una visuale giuridica e non saremo eccessivamente tecnici.
  Noi siamo qui, oggi, soprattutto a rappresentare l'attuale situazione del mondo delle adozioni internazionali. Sicuramente si tratta di una situazione che è nata negli ultimi due anni. Oggi, qui ho sentito dire, nei pochi accenni alle adozioni internazionali, che ci sono troppi enti.
  Ci sono molti enti e ci sono enti che fanno adozioni internazionali, utilizzando forse procedure e metodiche diverse, ma tutti all'interno di una stessa legge e tutti ovviamente rispondendo, o almeno tutti dovrebbero farlo, alle indicazioni della legge, che nel mondo è ritenuta la miglior legge sulle adozioni internazionali. Lo dico perché, quando noi adoperiamo all'estero siamo considerati un sistema, cioè un sistema Italia, che funziona ed è il migliore sulle adozioni internazionali, per esempio dal punto di vista delle famiglie che presentiamo.
  Io non entro nel merito della tipologia delle famiglie, perché su questo noi rispondiamo solo ed esclusivamente alla legge, quindi, se il Parlamento decidesse di ampliare la platea dei soggetti che possono accedere le adozioni, noi obbediremmo alla legge.
  In questo momento, le famiglie italiane sono considerate le migliori dal punto di vista della preparazione e gli enti, in quanto sussidiari all'attività pubblica, sono considerati gli attori più seri delle adozioni internazionali.
  Ci teniamo a ribadire questa posizione. Io rappresento il Coordinamento enti autorizzati e, accanto a me, ci sono due enti che non sono del mio Coordinamento, cioè l'ANPAS, per le pubbliche assistenze, e l'Associazione ARIETE.
  Siamo in rappresentanza di 38 enti che, soprattutto in questo ultimo anno, hanno espresso a tutti i livelli istituzionali, compreso al Presidente del Consiglio, la propria posizione sulle adozioni internazionali, che purtroppo sono passate da una totale assenza di interesse da parte dell'opinione pubblica – e, diciamolo, anche da parte del Parlamento – a un interesse centrale e quasi ossessivo, come noi lo stiamo definendo, soprattutto da parte dei media. Oggi, siamo qui per dirvi: utilizziamo anche dei termini corretti.
  Sulla crisi delle adozioni, vorrei dire che, se continuiamo a parlarne con la terminologia e i contenuti utilizzati in questo periodo, è probabile che non si dia una buona immagine delle adozioni, non ci sia una buona reputazione e anche alcune famiglie, che possono essere anche un po’ in difficoltà o incerte, si facciano passare la voglia di diventare famiglie adottive.
  La crisi delle adozioni, se un è dato numerico, è stato smentito dai fatti, in quanto la Commissione per le adozioni internazionali due mesi fa ha pubblicato i dati parziali dei numeri assoluti delle adozioni, in cui l'Italia è l'unico Paese in controtendenza rispetto al resto del mondo. Si tratta di un piccolo aumento, ma significativo in Paesi che vedono la sostanziale diminuzione del numero delle adozioni.
  Ma è quello che ci interessa? A noi non interessa il numero delle adozioni, ma ci interessa la qualità delle adozioni, quindi, che i bambini che siano stati adottati erano in condizioni di adottabilità e abbiano trovato la situazione familiare migliore che gli si potesse offrire. Questo è il vero dato che a noi interessa, non il numero delle adozioni, quindi, quando parliamo di adozioni, ci riferiamo a un mondo che probabilmente Pag. 31 sta cambiando e sta cambiando soprattutto negli ultimi due anni. Noi siamo qui a dirvi che la nostra posizione di 38 enti è una posizione che è stata espressa perché riteniamo che questo momento sia un momento cruciale per la stessa sopravvivenza delle adozioni internazionali.
  Noi non abbiamo fatto mistero, in nessun luogo, di aver gradito la scelta del Presidente Renzi di delegare parte delle sue funzioni alla Consigliere Della Monica, che noi riteniamo essere stata la miglior Presidente che potesse esserci in questo momento. Questa non è stata evidentemente una scelta a caso perché è una scelta coraggiosa che sta cercando, laddove ci sono delle zone grigie di gestione delle adozioni, di traghettare l'intero sistema in un clima di totale trasparenza e legalità. Noi, nella trasparenza e legalità, immaginiamo di trovarci accanto le istituzioni e tutti gli enti. Non possiamo immaginare delle istituzioni, o un ente pubblico, che possano non essere accanto a un'istituzione che dice di farlo e, nei fatti, porta le adozioni internazionali nella totale trasparenza e legalità.
  Lascio la parola alle mie colleghe. Ovviamente ci riserviamo di far giungere un documento scritto.

  MONICA ROCCHI, Rappresentante dell'associazione ANPAS. Io rappresento l'ANPAS, Associazione nazionale pubbliche assistenze.

  PRESIDENTE. La interrompo perché vorrei precisare lo scopo dell'audizione. Mi riferisco all'intervento che è stato fatto poc'anzi.
  Qui non era in discussione se la scelta della vicepresidente della Commissione per le adozioni internazionali sia stata adeguata o meno. Questa è un'indagine conoscitiva. Lo dico anche perché, se mandate il documento, non serve che sia un documento in appoggio o meno a una nomina, che nessuno ha messo in discussione. La cosa importante è capire per tutti i documenti se ci sono e quali sono i punti critici della normativa attuale, nella procedura o nelle prassi applicative ed eventuali suggerimenti per correggerli e per migliorarli.

  MONICA ROCCHI, Rappresentante dell'associazione ANPAS. Lei ha perfettamente ragione, presidente, ma ci deve permettere di dire queste cose, perché da queste cose possono o non possono cambiare delle situazioni di legge. La legge che c'è, come ha detto la mia collega, è una legge buona, considerata buona da molte parti del mondo, ma va applicata, e va applicata anche nel rispetto delle Istituzioni.
  Noi siamo enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali. Non possiamo denigrare chi ci autorizza. Perché dobbiamo denigrare?

  PRESIDENTE. Guardi, questa impostazione dell'intervento non l'ammetto. Nessuno ha denigrato. Non se n'è parlato.
  L'intervento che interessa aia fini dell'indagine conoscitiva è eventualmente finalizzato alla rappresentazione da parte vostra di quali sono i punti che non vengono applicati. Che di solito le nostre normative siano a livello europeo tra le migliori lo sappiamo, ma sicuramente ci sono dei punti che non vengono applicati, o che vengono applicati male, o ci sono delle problematiche.
  Chiedo se cortesemente, essendo voi gli enti, ci potete rappresentare quali sono i punti critici, se ci sono. Se invece non ci sono, va bene così.

  MONICA ROCCHI, Rappresentante dell'associazione ANPAS. Intanto volevo presentare l'associazione che rappresento. Si tratta dell'ANPAS, l'Associazione nazionale pubbliche assistenze. L'ANPAS rappresenta 880 associazioni in tutto il territorio nazionale, che conoscete, purtroppo, per le ambulanze che vi soccorrono nelle vostre città. È un'associazione che è stata riconosciuta ente morale con regio decreto nel 1911. Conta 90.000 volontari e 400.000 soci. Questo è per fornirvi solo dei numeri su chi siamo.
  Siamo un ente un po’ particolare rispetto agli altri, perché facciamo sanitario, sociale e protezione civile. Siamo abituati in tutti questi nostri settori a lavorare proprio con le Istituzioni. Ecco perché ho iniziato il mio intervento un po’ sensibilizzata Pag. 32 sul fatto che le Istituzioni fossero prese un po’.
  Sulla legge sono costretta a dire quanto segue. La legge, come abbiamo detto e come voi sapete – come ha detto la presidente – è una legge apprezzata. Va applicata e va applicata in tutte le parti d'Italia in modo uguale, ma, purtroppo, – questo lo vediamo anche soltanto per il fatto dei protocolli regionali – non è applicata nello stesso modo.
  Potrei suggerire la composizione della Commissione per le adozioni internazionali (CAI) un po’ più snella per il numero dei commissari, che è molto elevato, ma vorrei, ovviamente, che fosse anche applicata la legge, ossia il decreto del presidente del Consiglio dei ministri che è stato emesso lo scorso agosto, il decreto Del Rio, che riguarda i conflitti di interesse all'interno della Commissione. Anche questo non permette la riunione della Commissione, che viene da molti richiesta e denunciata come una cosa non giusta. Se ci sono dei conflitti di interesse, di rappresentanza all'interno della Commissione stessa, questo non le permette di riunirsi. Giusto?
  Non c'è solo la legge nazionale, ma ci sono anche vari dispositivi e regolamenti che non vengono applicati, come, per esempio, il discorso delle associazioni familiari, che sono rappresentate all'interno della CAI e che sono, in realtà, delle rappresentazioni degli enti.
  Come fa la CAI a controllare il controllato, se è all'interno? Questa mi sembra una cosa molto importante. Occorre stare attenti sulla trasparenza e sulla legalità, che in questo momento la CAI sta perseguendo, proprio nella trasparenza, anche all'estero, delle nostre adozioni.
  Il fatto che alcuni membri delle associazioni familiari, come il CARE, nella figura della signora Monya Ferritti, facciano parte anche dell'Ai.Bi., non va bene. L'ente all'interno della CAI non va bene. Può essere Ai.Bi. o possono essere anche altri enti, perché ovviamente l'Istituzione è sovrana agli enti. La Commissione autorizza gli enti, i quali devono svolgere le adozioni nella massima trasparenza e legalità.
  Ho finito.

  ANNA TORRE, Rappresentante dell'Associazione ARIETE. Prendo la parola per l'associazione Ariete. L'impianto della legge, come hanno detto un po’ tutti, è sicuramente positivo, buono e apprezzato anche all'estero. Ci si domanda, se possiamo modificare qualcosa. Onestamente, si è parlato di velocizzare. Mi pare che un denominatore comune fosse proprio la velocità.
  Io non lo so. Parlo anche molto per il buonsenso delle cose. Noi abbiamo detto che il cardine su cui fondiamo tutto è l'interesse del minore. Nell'interesse del minore dobbiamo correre? Non lo so. Dobbiamo fare delle valutazioni e delle cose, altrimenti poi mi sembra che questa velocità ci venga chiesta più dalle famiglie che non dai minori. Certamente interpretiamo l'esigenza del minore di fare tutto velocemente, ma quest'istanza, in questo momento, mi sembra un po’ più appiattita sulle famiglie che non sui minori.
  In tema di velocizzare, sull'escludere i tribunali non sono d'accordo. Facciamo prima escludendo la fase del tribunale? Credo che i requisiti dobbiamo approfondirli realmente, proprio perché ce lo siamo detto un po’ tutti. La famiglia negli ultimi quindici anni è cambiata. Ci sono tante situazioni familiari differenti e ci sono – consentitemi un termine – anche delle patologie all'interno di famiglie che appaiono al momento buone, ma che occorre approfondire. Ci sono dei requisiti che vengono richiesti che non mi sembra non debbano essere approfonditi.
  Poi possiamo pensare di informatizzare i tribunali e di metterli in collegamento, ma queste sarebbero le proposte che verrebbero dopo. Escludendo dei passaggi, onestamente, non mi pare che si vada a tutelare il diritto di un minore in questo senso.
  Ci siamo detti – l'ho letto anche negli atti precedenti – che c'è un denominatore comune anche rispetto ai servizi, ma, ahimè, la nota dolente rispetto ai servizi del territorio è anche una questione economica. Ce la siamo già detti questa cosa: mancano i servizi territoriali, che non sono di aiuto probabilmente né ai minori, né alle Pag. 33famiglie, nel supportarle nella fase pre- e nella fase post-. Tuttavia, in merito il discorso diventerebbe anche più ampio, perché potremmo legiferare come vogliamo, ma, se non ci sono i soldi e le regioni non prendono conto di questo all'interno del loro modo di lavorare, tutto resta un po’ così.
  Allora ben venga – qualcuno la chiede – la riduzione degli enti autorizzati. Sono convinta anch'io che probabilmente potrebbero essere tanti. Questi enti autorizzati, però, di fatto, in prima istanza, al ritorno dall'estero delle famiglie con i minori fanno la prima accoglienza. In genere, poiché la famiglia con l'ente autorizzato ha avuto un rapporto durante tutto l'iter dell'adozione, si entra un po’ in confidenza e le prime persone ad essere chiamate sono gli operatori degli enti autorizzati.
  Se sul territorio – penso a diversi territori anche del Sud – non ci sono dei servizi, tutto sommato, pare che vogliamo legittimare delle associazioni familiari che non sono registrate da nessuna parte, di cui non conosciamo i bilanci e di cui non conosciamo i professionisti che sono all'interno. Ritengo che forse uno sguardo un po’ più a trecentosessanta gradi sull'ente autorizzato vada posto. Tagliarli tout court solo perché le famiglie ci dicono che sono troppi.
  Magari attuiamo la legge, cioè conferiamo una metodologia uguale a tutti gli enti. Poiché lavoriamo in delega dello Stato, quando è stata costituita la Commissione per le adozioni – noi già c'eravamo, la Commissione è arrivata dopo – probabilmente nessuno si è seduto e ha incominciato a dire quali fossero le procedure da attuare per omologarci (per il colloquio informativo facciamo tutti così, la procedura si fa così). Questo è mancato.
  Quindi, nell'impianto della legge ritengo sia mancata l'attuazione, cioè il mettersi intorno a un tavolo tutti gli enti insieme alla CAI e cominciare a dire quali dovessero essere le procedure. Invece, purtroppo in Italia – noi eravamo già in corsa con i minori – questo non è avvenuto.
  L'ultima cosa che mi sento di dire riguarda la velocità. Noi abbiamo un rapporto con Paesi stranieri e con alcune legislazioni nei Paesi stranieri. Potremmo avere – lo dico senza polemica – anche un decreto di idoneità in tre giorni, ma lo capiamo che l'adozione internazionale di fatto si gioca su un altro territorio, su cui noi non abbiamo alcun tipo di competenza? Siamo ospiti in casa di altri, dove dobbiamo farci apprezzare.
  Come diceva Cristina Nespoli, ringraziamo Iddio che l'Italia è già molto apprezzata. Si ritiene soprattutto nei Paesi dell'America Latina, dove noi sposiamo una certa cultura, che abbiamo delle famiglie più accoglienti perché nel mondo, purtroppo, per una politica particolare, siamo andati a dire a tutti i Paesi che volevamo i bambini special need e anche bambini grandi, in virtù del raggiungimento di un numero delle adozioni.
  Oggi siamo tutti a lamentarci del post-adozione e del non sostegno alle famiglie, ma la politica delle precedenti Commissioni è stata quella di raggiungere dei numeri, portando a casa di tutto e di più, non considerando una strategia politica che non dava la possibilità a queste famiglie che erano in cambiamento di poter sostenere queste situazioni.
  Le cose vanno chiamate con il loro nome. Oggi c'è la crisi, ma è una crisi annunciata da tempo. Ho sempre sostenuto e detto che non conta la quantità, ma la qualità. Vorrei tanto potere avere un cambio culturale.
  I mass media poi ci aggiungono di loro, perché fa notizia dover dire delle cose giocando su delle situazioni di anomalie delle Commissioni, ma non pensando realmente al benessere dei bambini. Lo dico perché, poiché molti enti di questi 38 che stanno insieme sostengono le famiglie quando non trovano i servizi, ci rendiamo conto che le famiglie sono cambiate e non hanno più la struttura per poter avere delle situazioni particolari di bambini.
  Per carità, lavoriamo per i bambini e dire queste cose sembra in controtendenza, come se volessimo mettere una croce su questi bambini. No, di fatto ci sono altri Pag. 34programmi di cooperazione e di aiuto che possiamo fare per i bambini che sono all'estero con i progetti di sussidiarietà che vengono finanziati dalla CAI. Anche su questa sussidiarietà penso che ci voglia il cappello della CAI. Non può essere premiato un ente piuttosto che un altro per fare i percorsi di sussidiarietà e di cooperazione all'estero.
  Tutto sommato, quindi, le cose ci sono, ma devono essere sviscerate bene, altrimenti mi pare che si vada nell'interesse di qualcuno piuttosto che dell'altro. Direi che dobbiamo sostenere in questa fase soprattutto il diritto del minore. Diamo voce a chi la voce non la può avere nemmeno in questa stanza.

  PRESIDENTE. Dai parlamentari non ci sono domande, ma io vorrei fare una chiosa, perché è sembrato che volessi togliere la parola a questo organismo.
  Voi date per scontate delle polemiche esterne a quest'Aula, che evidentemente riguardano l'adozione internazionale. È vero che qui sono venuti a dire – il problema è noto – che la CAI non si riunisce e che da mesi ci sono delle problematiche.
  Ora, tra l'altro, c'è stata la delega da parte del Presidente del Consiglio al Ministro Boschi anche su questo punto. Non abbiamo ancora ritenuto opportuno sentire la dottoressa Della Monica proprio perché, nel frattempo, è intervenuto questo fatto. L'avevamo messa in lista, ma, poiché è intervenuto l'annuncio della delega da parte del Presidente Renzi al Ministro Boschi, abbiamo voluto aspettare che ci fosse la delega e che fosse formalizzata. Poi occorrerà dare anche un minimo di tempo al Ministro per rendersi conto se vuole venire lei o se vuole delegare qualcuno. Eventualmente sentiremo anche la Vicepresidente Silvia Della Monica per le problematiche che vorrà rappresentarci.
  È indubbio che ci sia stato un momento di questo tipo. Le cause non le conosco. Voi avete parlato anche di questioni di conflitto di interesse. Non so, francamente. Date per scontate delle cose. Si tratta di un argomento molto specifico. Noi non abbiamo ancora sviscerato molto bene l'aspetto delle adozioni internazionali. Aspettiamo di farlo, ma non siamo entrati e non siamo voluti entrare in questa – chiamiamola così tra virgolette – «polemica» che in qualche modo è stata rappresentata anche dai media.
  Quello che ci interessa è capire, sotto questo aspetto, se, come è stato evidenziato, nella procedura, nell'insieme della procedura o comunque negli organismi ci siano dei momenti di snellimento oppure di miglior trasparenza e di raccordo migliore da fare. È un campo che ancora non abbiamo sviscerato. Su questo punto faremo anche altre audizioni.
  Non volevo qui dare spazio a ulteriori polemiche, che peraltro sono fuori di questa Commissione. Le cause per cui non si è riunita la CAI le accerterà qualcun altro. Non siamo noi deputati ad accertare le cause per cui non si è riunita, ma chi è competente. Dobbiamo soltanto capire se la normativa ci soddisfi sotto tutti i punti di vista, anche alla luce dell'esperienza e delle prassi applicative, oppure se c'è qualche punto da dover sistemare.
  Volevo fare una domanda al presidente del tribunale dei minori di Salerno. Questo quesito me lo sono posto anche alla luce delle altre testimonianze che hanno reso perlomeno gli altri due presidenti di Firenze e Trento, nonché di un sentire comune per cui indubbiamente ci sono dei tempi del procedimento che riteniamo lunghi.
  Qui è venuto oggi lei, presidente, e l'altro giorno sono venuti i due presidenti di due tribunali del Nord – abbiamo sentito Centro, Nord e Sud – a dire che sostanzialmente un procedimento dura un anno. Adesso ne sentiremo altri. Non riusciamo a fare un monitoraggio serio, però, perché ci sono statistiche e tempi, ma, considerati il sentire comune e la sua particolare esperienza sul punto, nonché la sua nota serenità di grande equilibrio e giudizio, volevo capire se, dato che di solito c'è un raccordo tra chi si occupa di una materia (se c'è un raccordo tra gli avvocati, ci sarà anche tra i magistrati, suppongo), sapete se le vostre sono delle isole virtuose oppure se, invece, ci sono dei tempi medi. Pag. 35
  Sono d'accordo con chi ha parlato. Da parte nostra non si vuole affrettare. Le cose frettolose, la giustizia «all'impiedi», non le consiglio a nessuno, né per i minori, né per i maggiorenni, né per il civile, né per il penale, ma occorrono tempi certi e prevedibili in tutti i campi. Ci stiamo provando sul penale e sul civile. Ovviamente, c'è un'esigenza di procedimentalizzazione anche nell'ambito del processo minorile, sia civile, sia penale, ma soprattutto civile.
  In riferimento a tutto questo ci stiamo provando. Volevo capire, però – faccio a tutti la domanda – se c'è una media e se ci sono dei punti critici. Si tratta di prassi virtuose o prassi non virtuose e da che cosa derivano? Derivano anche molto, da quello che ho capito, dai tempi dei servizi e, quindi, anche dalla pochezza numerica dei servizi, oppure, invece, da una disorganizzazione? A proposito di alcuni tribunali – anche il suo, mi dice, e siamo in pieno Sud, a Salerno, adesso sentiremo Roma e Milano – in questi tempi c'è l'esigenza delle famiglie che chiedono adozioni. È vero questo, ma in realtà c'è un'esigenza del minore. Non possiamo nemmeno traccheggiare più di tanto perché comunque si deve tener fede al progetto della famiglia d'origine. Se il progetto della famiglia di origine non è adeguato, bisogna compiere una scelta nell'interesse del minore.
  Ho sentito anche prima l'avvocato che rievocava situazioni sicuramente legate al bambino che rivede la madre biologica, ma tutto questo... Altrimenti, si potrebbe dire che l'adozione è un istituto che non serve, la mettiamo da parte e sosteniamo solo le famiglie. È una scelta. Una volta che questa scelta non si è fatta, l'adozione è prevista proprio come strumento che, a un certo punto, si attua nell'esclusivo interesse del minore. Vorrei capire da chi ha dei dati su questo punto se ci sono prassi virtuose e se derivano da modelli organizzativi o da realtà socioeconomiche favorevoli.
  Do la parola agli auditi per la replica.

  PASQUALE ANDRIA, Presidente del tribunale per i minorenni di Salerno. Non sono in grado, per la verità, al momento di indicarle dei dati oggettivi per tutto il territorio nazionale. Per quello che mi risulta personalmente attraverso lo scambio di idee che solitamente si ha con i colleghi anche di altre sedi giudiziarie, non credo che ci siano casi... Stiamo parlando della durata del procedimento di adottabilità, quello che decorre dal ricorso del pubblico ministero alla sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità. Non credo, francamente, salvo casi.

  PRESIDENTE. In primo grado.

  PASQUALE ANDRIA, Presidente del tribunale per i minorenni di Salerno. In primo grado, certo. Ho precisato questo nel mio precedente intervento. Parlo di primo grado. È chiaro, se c'è l'appello – come lei sa molto bene – è ricorribile per Cassazione e, quindi, i tempi si dilatano. Nel primo grado, però, a me non risulta, salvo casi eccezionali, che vi sia una dilatazione di tempi che vada al di là dell'anno.
  Questo potrebbe, invece, risultare all'esterno, ma non in dipendenza della stretta durata del procedimento di adottabilità inteso come deve essere inteso, ossia che ha un inizio e un termine, ma, per esempio, nel ritardo della promozione del procedimento di adottabilità.
  Lei mi consentirà, presidente: io ho posto un tema anche un po’ imbarazzante, che è quello del pubblico ministero. Non perché io abbia sfiducia nei pubblici ministeri, ma non vedo la ragione per la quale il pubblico ministero, che comunque è un non giudice, debba decidere senza dar conto a nessuno che si debba o non si debba proporre un ricorso di adottabilità, sottraendolo a un minimo di vaglio giudiziale, quando dall'altro lato si dice che il minore è parte nel procedimento di adottabilità. La Cassazione l'ha ribadito, come ricordavo, cinque giorni fa ancora una volta.
  Queste sono delle aporie, delle contraddizioni, che la legge contiene e su cui si potrebbe intervenire. Siamo transitati dall'onnipotenza inammissibile del tribunale che agiva ex officio in materia di adottabilità – come gli avvocati presenti di lungo corso ricordano – peraltro con un contraddittorio Pag. 36 molto barcollante, molto traballante, all'onnipotenza di un pubblico ministero, che è praticamente Minosse infernale che «giudica e manda secondo ch'avvinghia».
  Questo accenno l'ho fatto per dire che bisogna vedere tutta la fase precedente, che sfugge a qualunque controllo, perché potrebbe essere che nei tempi venga calcolata anche quella, di fatto.

  MARIA GIOVANNA RUO, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo. Come fase precedente, però, io comprenderei anche tutti i procedimenti sulla responsabilità genitoriale, perché tutti sappiamo che c'è un'osmosi continua. Le situazioni di fragilità, anche rispetto allo stesso tipo di pregiudizio, talvolta vengono catalogate dallo stesso pubblico ministero articolo 330, tra l'altra, nella nostra esperienza, vengono catalogate, invece, come adottabilità. Ricordo quando il Presidente Fadiga diceva: «Scusami, ma preferisco catalogare tutto come adottabilità, perché offro più garanzie alle parti».

  PASQUALE ANDRIA, Presidente del tribunale per i minorenni di Salerno. Benissimo. Anche noi facciamo così. Mi scusi se la interrompo.

  Volevo dire che, in effetti, il problema è che spesso c'è una duplicazione di procedimenti. Poiché quello che si è fatto nel procedimento di responsabilità non è utilizzabile nel procedimento di adottabilità.

  MARIA GIOVANNA RUO, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni– CamMiNo. Non è nemmeno sempre così. Il problema è che c'è una grande lacuna. Il grande problema è quest'area del pregiudizio, che è normata, tra l'altro, differenziatamente tra i de reponsabilitate e l'adottabilità, anche se spesso ci troviamo in situazioni di pregiudizio identiche. Ci sono queste situazioni di fragilità che entrano ed escono da procedimenti sulla responsabilità genitoriale a procedimenti di potestà, in un arco completo.
  Dopodiché, bisogna dire che Salerno, Trento e Firenze – Firenze già un po’ di più, ma anche Salerno e Trento – sono tribunali per i minorenni con un determinato bacino d'utenza. Se andiamo a Roma, Milano o Napoli – anzi, a proposito di Napoli la Campania è già divisa in due; state meglio, oserei dire, delle altre, o del Piemonte – andiamo in situazioni nelle quali il bacino di utenza è talmente ampio e articolato che, certamente, comporta dei tempi che, francamente, non ci constano essere quelli di Salerno.
  Ancora, è vero che a volte ci vogliono dei tempi di recupero, ma i tempi di recupero devono essere con un progetto di sostegno. Se si attende soltanto che il tempo passi, comunque ciò è pregiudizievole per il minore. Questo la Corte europea dei diritti dell'uomo l'ha scritto a chiare lettere: il processo must be fair e occorre la celerità della decisione, laddove è possibile.
  Servirebbe, quindi, e nella nostra proposta c'è, che immediatamente ci fosse un progetto di sostegno, conoscibile, chiaro e assolutamente condivisibile come conoscenza da parte del nucleo familiare. Dopodiché, il percorso o c'è, o non c'è. Non dico che possa certamente scaturire in esiti positivi nell'arco di due o tre mesi, ma, se non c'è un progetto di sostegno, si aspetta che questa famiglia in qualche modo recuperi. Se non recupera da sola – è quasi impossibile – di solito poi si ha semplicemente un allungamento dei tempi.
  Quindi, sono vari gli aspetti che bisogna tenere presenti.

  PRESIDENTE. Ho un'ultima domanda, per chi vuole rispondere. Poi rileggeremo tutto e seguiremo le situazioni, perché dovremo relazionare al Parlamento sull'esito di questa indagine conoscitiva, ma sull'affidamento vorrei fare una domanda proprio flash. Mi è sembrato un po’ un sentire comune.
  Questo istituto, che mi pare abbia funzionato – anzi addirittura l'abbiamo visto come primo tassello adesso per una possibile adozione futura – voi lo rivedreste riformulato? Da alcuni di voi ho sentito Pag. 37dire senza tempo. Quindi, diventa un'alternativa all'adozione. Su questo volevo chiedere: lo vedreste riformato, ma in che senso? I limiti di tempo a mio avviso sono sempre funzionali al minore.

  MARIA GIOVANNA RUO, Presidente della Camera nazionale avvocati per la famiglia ed i minorenni – CamMiNo. Certo, noi abbiamo elaborato un progetto di riformulazione dell'affidamento con alcune garanzie per tutti, per gli affidatari, per il minorenne e per la famiglia di origine. Oggi quella normativa non funziona, dà adito a una serie di situazioni ibride, ambigue, talvolta alimenta mire captative negli affidatari che marginalizzano la famiglia, talaltra alimenta invece rivendicazioni da parte della famiglia.
  Abbiamo tentato di rivedere gli articoli da 2 a 5 della legge n. 184 del 1983 mettendo mano all'articolato, per cercare di renderli più funzionali. Un affidamento senza tempo onestamente non riesco a comprenderlo.

  CRISTINA NESPOLI, Portavoce del Coordinamento Enti Autorizzati (CEA). Mi posso permettere, da madre affidataria di circa 50 bambini – perché la mia comunità prende i bambini in affido insieme alle madri – di evidenziare come la questione centrale che qui tutti hanno evocato riguardi i servizi.
  L'affidamento è stato fino a un certo punto uno strumento positivo, negli ultimi anni sempre meno utilizzato. Io vengo da una città, Torino, dove l'affido è stato uno dei più organizzati in Italia come esperienza, ma in questo momento stanno mancando i servizi sociali. I servizi sociali sono in crisi ovunque, lo sono sull'adozione nazionale, lo sono sull'adozione internazionale, lo sono sull'affido.
  Le famiglie senza sostegno o hanno una struttura come la nostra, che è semiprofessionale, quindi, è in grado di supportare questo percorso, perché l'affido è difficilissimo come strumento, perché deve trovare il giusto connubio fra famiglia originaria e famiglia affidataria, o ha un forte sostegno dei servizi, come per qualsiasi altro istituto di cui oggi abbiamo parlato, oppure non c'è legge che possa tenere: la miglior legge possibile non potrà aiutare le famiglie a sostenere un cammino che è bellissimo, ma complesso.

  GIANCARLO CERRELLI, Presidente dei Comitati Sì alla famiglia. Per quanto riguarda l'affidamento, il mio timore è che possa essere o diventare, con la nuova riforma della continuità affettiva, quasi una testa di ponte per genitori che, come ho detto anche nella mia relazione, non hanno pienamente i requisiti per l'adozione, che con il passare del tempo vengono legittimati per diventare genitori adottivi.
  Qual è il vero pericolo? Ho sentito in qualche intervento che si vogliono legittimare come genitori adottivi anche gli affidatari, che possono essere single o genitori omosessuali. Il Tribunale dei minori di Bologna, ad esempio, in una nota sentenza ha affidato a due maschi omosessuali un minore, è vero che al momento c'è il limite dell'articolo 6, che dice che devono essere coniugati, ma, se le sentenze dei vari tribunali e della CEDU soprattutto (la Corte EDU sta pressando con qualche sentenza, anche se l'ultima di tre giorni fa dice il contrario) ridefiniscono la famiglia che diventa un concetto elastico, potrebbe diventare il passepartout per far adottare a tutti.
  L'affido dovrebbe essere circoscritto a quel tempo determinato che è stabilito dalla legge e non avere ulteriori derive, che potrebbero pregiudicare il miglior interesse del minore.

  MARIA CRISTINA MASI, Coordinatrice della Commissione interna per il diritto di famiglia del Consiglio Nazionale Forense (CNF). Sul punto ci siamo abbondantemente intrattenuti, l'affidamento va nella direzione esattamente opposta: non come espediente per superare ma, se deve essere patrimonio affettivo, continuità, se l'ottica deve essere quella dell'interesse prevalente del minore, non cambia, non bisogna utilizzare al contrario gli argomenti perché diventa pericoloso.
  Noi non ci siamo soffermati, come documento del Consiglio nazionale, sull'affidamento Pag. 38 come strumento alternativo all'adozione, ma abbiamo ritenuto – dovendo poi rinviare il documento, probabilmente all'esito di questa discussione – di sottolineare alcune distonie, perché, se è quella l'ottica del minore, non possiamo scegliere quale utilizzare e quale no.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto dei vostri apporti, è stato un pomeriggio molto proficuo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.15.

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