XVII Legislatura

Commissioni Riunite (II e IV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 4 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE DEL GOVERNO C. 2893 , RECANTE DL 7/2015: MISURE URGENTI PER IL CONTRASTO DEL TERRORISMO, ANCHE DI MATRICE INTERNAZIONALE, NONCHÉ PROROGA DELLE MISSIONI INTERNAZIONALI DELLE FORZE ARMATE E DI POLIZIA, INIZIATIVE DI COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO E SOSTEGNO AI PROCESSI DI RICOSTRUZIONE E PARTECIPAZIONE ALLE INIZIATIVE DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI PER IL CONSOLIDAMENTO DEI PROCESSI DI PACE E DI STABILIZZAZIONE

Audizione di Giampiero Massolo, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), e di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Massolo Giampiero , Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Soro Antonello , Presidente del Garante per la protezione dei dati personali ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 9 
Spadoni Maria Edera (M5S)  ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Massolo Giampiero , Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Massolo Giampiero , Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) ... 11 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 11 
Massolo Giampiero , Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS) ... 11 
Manciulli Andrea (PD)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA II COMMISSIONE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante impianti audiovisivi a circuito chiuso.

Audizione di Giampiero Massolo, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), e di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge del Governo C. 2893, recante DL 7/2015: Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale, nonché proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, l'audizione dell'ambasciatore Giampiero Massolo, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS), accompagnato dal prefetto Adriano Soi, e di Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, accompagnato dalla dottoressa Federica Resta, assistente giuridico del presidente, da Mario De Bernart, dirigente del Servizio relazioni istituzionali, e da Baldo Meo, dirigente del Servizio relazioni con i mezzi di informazione.
  Do, quindi, la parola all'ambasciatore Giampiero Massolo.

  GIAMPIERO MASSOLO, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Ringrazio moltissimo per questa occasione e per aver pensato di includere nel ciclo delle vostre audizioni anche la dimensione del comparto delle informazioni per la sicurezza, che io rappresento.
  Perché il decreto-legge ? Il decreto-legge e, quindi, l'esigenza di prendere delle ulteriori misure per mettere meglio in grado di rispondere alla minaccia del terrorismo internazionale risponde – dal nostro punto di vista, ossia dal punto di vista del comparto sicurezza – a un'esigenza molto precisa, che è quella di adeguare la risposta, renderla di sistema e rispondere sotto la spinta dell'emergenza, che è addirittura cresciuta negli ultimi tempi, con un approccio integrato.
  Occorrono forme nuove che devono rispondere a modalità nuove del terrorismo internazionale, specie di natura jihadista, formazioni fino a questo punto piuttosto inedite, che hanno avuto un'evoluzione rapidissima nella loro nocività potenziale.
  Per l’intelligence si è trattato di recepire le norme che potenzino la capacità di azione e amplino il quadro degli strumenti giuridico-operativi a disposizione e che, quindi, consentano di fare meglio fronte al compito istituzionale del comparto, che è quello di raccogliere le informazioni per meglio mettere in grado il Governo, ossia l'Esecutivo, di prendere decisioni consapevoli e avvertite.Pag. 4
  Noi ci muoviamo, quindi, molto a monte rispetto a buona parte degli auditi che ho avuto modo di scorrere nelle vostre audizioni, ossia nell'ambito della prevenzione. Si tratta, però, di una prevenzione molto sott'acqua e molto a monte rispetto a ciò che comunemente si intende con questo termine.
  Spendo una parola sulla natura nuova della minaccia e dico una cosa ovvia. Del resto, l'abbiamo detto in maniera molto chiara anche con la relazione annuale che è stata pubblicata a fine febbraio: siamo di fronte a un innalzamento del livello della minaccia jihadista in Europa.
  Si tratta di una minaccia endogena, perché rappresentata anche da estremisti coltivati in casa, home grown, convertiti, immigrati di seconda o di terza generazione, che abbracciano la causa jihadista con processi di radicalizzazione individuali e invisibili, maturati individualmente, soprattutto attraverso il web, oppure – questa è una fenomenologia alla quale stare molto attenti – radicalizzatisi anche all'interno dei sistemi carcerari. Mi riferisco non solo e non necessariamente alla realtà italiana, ma anche, più in generale, ai Paesi comparabili al nostro.
  Si tratta, altresì, di una minaccia, a un tempo, globale, perché trova nel cyberspazio delle nuove forme di propaganda e di proselitismo. Peraltro, è anche una minaccia che prescinde dall'elemento della territorialità, perché noi abbiamo ricadute in termini di minaccia da situazioni di crisi che sono talvolta anche molto lontane da noi.
  Infine, si tratta di una minaccia nuova, come nuovo è questo tentativo organico di radicamento territoriale condotto soprattutto dall'ISIS, ossia dal cosiddetto Stato Islamico, o Daesh, se vogliamo usare l'acronimo arabo. Si tratta di un tentativo di dare a un'organizzazione prettamente terroristica, che si muoveva finora sul piano del conflitto asimmetrico, una base territoriale, con ciò cumulando una sfida simmetrica (quando essa finora, come dicevo, era di tipo asimmetrico) e moltiplicando anche in maniera molto rilevante la capacità di attrazione. Quando si offre in pasto alle fantasie dei potenziali terroristi l'incarnazione di uno Stato Islamico, del Califfato, un fenomeno di questa portata ha evidentemente una capacità di attrazione assai rilevante.
  Si inserisce in questo fenomeno ed è, anzi, una sua logica conseguenza, il fenomeno dei cosiddetti foreign fighters, ossia cittadini europei che partono, vanno a combattere sui vari scenari di crisi e hanno la fastidiosa tendenza – una volta che si sono ben allenati, tanto dal punto di vista degli skill professionali, quanto dal punto di vista della resistenza psicologica – di voler rientrare.
  Devo dire che, da questo punto di vista, fa obiettivamente poca differenza se il rientrante è un italiano o un cittadino di altri Paesi, se la progettualità ostile che si porta addosso la mette poi in pratica nel nostro Paese o in un altro.
  Da questo punto di vista, tra i fattori che contribuiscono a moltiplicare il rischio c’è evidentemente una strategia mediatica sempre più sofisticata da parte delle organizzazioni terroristiche. Basta scorrere settimanali e mensili, ossia le loro pubblicazioni, come Dabiq o Inspire, per vedere con quanta raffinatezza questa comunicazione, che io oserei chiamare quasi di tipo istituzionale, si muove, oltre ai loro messaggi, ai loro video e alla loro capacità di mettere il dito nelle contraddizioni dei Paesi occidentali. Questo è, di per sé, un moltiplicatore della minaccia, perché è un attrattore e un eccitatore di fantasie.
  Dall'altra parte c’è una decentralizzazione della propaganda. Assistiamo a una sorta di franchising, nel senso che il potenziale attentatore riceve direttamente su Facebook, su Twitter, sul suo portatile le istruzioni per l'uso, che non sono certo rivolte a lui individualmente e che sono, quindi, mandate come una bottiglia nel mare a tutti i potenziali attentatori o terroristi.
  Questo, evidentemente, serve a decentrare e rendere molto puntiforme e indefinita la minaccia. Si assiste a processi di radicalizzazione spesso dovuti anche a vulnerabilità psicologica o a disadattamento sociale.Pag. 5
  Infine, l'invito è quello di colpire con mezzi qualunque, mettendo sotto le persone con le macchine, oppure accoltellando il passante.
  Questo solo per darvi un'idea di come tutto sia, da un lato, inedito e, dall'altro, poco palpabile, poco identificabile e, quindi, di come anche da questo punto di vista gli strumenti giuridici a disposizione debbano evolvere per far fronte a fattispecie che sono totalmente e radicalmente inedite in buona parte rispetto al passato.
  Non mi soffermerò qui su quanto viene previsto nel decreto in materia di repressione penale o di polizia di prevenzione, perché questo è oggetto di altre audizioni. Mi basterà sottolineare come, anche dal punto di vista dell'organizzazione che io rappresento, l'idea di inserire in un unico provvedimento un insieme organico di misure che aiuti a combattere in maniera integrata e sistematica, con uno sforzo complessivo convergente, la fenomenologia con la quale abbiamo a che fare sia particolarmente apprezzabile, perché funge bene allo scopo.
  Sul piano dell’intelligence l'idea è di elevare la capacità degli organismi di informazione di operare attraverso il potenziamento degli strumenti giuridico-operativi del settore. Ricapitolo molto rapidamente di che cosa si tratta.
  In primo luogo, si pone il tema delle garanzie funzionali, sostanzialmente della licenza di poter mettere in atto comportamenti per loro natura illegali – diciamo così – onde consentire agli appartenenti ai servizi di informazione e sicurezza di muoversi in maniera fattiva in contesti criminali legati al terrorismo, consentendo di massimizzare la loro capacità di assumere informazioni.
  Di nuovo, non mi soffermo su questo. Do per scontato che il contenuto dei singoli provvedimenti sia a voi noto e, quindi, mi limito a sottolineare soltanto l’animus del perché una cosa di questo genere sia adeguata.
  Evidentemente, di fronte a una minaccia nuova e a fattispecie nuove, anche il ventaglio delle condotte cosiddette scriminate deve aumentare, altrimenti l'operatore si troverebbe nella scomoda posizione di essere autorizzato a metà a fare delle cose e, quindi, di non potervi adempiere, se non entrando in un campo di illegalità che ne scoraggerebbe l'azione e, per ciò stesso, renderebbe inutile la sua esposizione.
  Sono previste anche delle forme di tutela in sede giudiziaria degli appartenenti agli organismi informativi. L'idea di autorizzare la testimonianza con identità fittizia è essenzialmente tesa a salvaguardarne la possibilità di reimpiego, altrimenti essi sarebbero di volta in volta bruciati.
  Inoltre, e credo che questo sia particolarmente rilevante, considerato anche chi siamo e da dove veniamo, c’è l'idea di poter annoverare fra gli strumenti di acquisizione informativa anche i colloqui con detenuti, ovviamente sempre nel settore del terrorismo internazionale.
  Questi colloqui e, quindi, la possibilità, in maniera del tutto aperta e trasparente per gli appartenenti agli organismi di informazione e sicurezza, di entrare nelle carceri e avere colloqui con detenuti relativamente a fatti e vicende di terrorismo internazionale è, ovviamente, da un lato, da autorizzare con una procedura precisa e, dall'altro, anche e soprattutto da garantire attraverso l'autorizzazione rilasciata dal procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma.
  Si tratta di una norma introdotta a titolo sperimentale, peraltro a tempo. Vedremo fra un anno, quando la norma scadrà, che tipo di bilancio ne potremo trarre. Sarà forse anche interessante avere un ulteriore confronto anche in sede parlamentare, a quel punto, per vedere se prorogarla e attraverso quali modalità.
  Sempre a proposito di strumenti di acquisizione informativa, vi sono anche alcune questioni specifiche, per esempio la possibilità che i questori rilascino permessi di soggiorno a fini informativi per contrastare la tratta di migranti come veicolo per l'infiltrazione in Italia di persone legate al terrorismo; l'idea di dotare il Comitato di analisi strategica antiterrorismo, ossia il CASA, di analisi e studi in Pag. 6materia di finanziamento del terrorismo a origine della Banca d'Italia; e, infine, alcune nostre normative di razionalizzazione interna. Penso, per esempio, alla possibilità di adibire a compiti di sicurezza personale militare che in questo momento è nel ruolo speciale che si chiama RUD (Raggruppamento Unità Difesa), per ciò stesso liberando personale titolare del ruolo unico dei servizi di informazione e consentendo, quindi, a quest'ultimo di essere adibito a compiti di attività informativa, liberando così risorse.
  Questo è, in estrema sintesi, il quadro. Ovviamente, mi rendo disponibile a ogni domanda che riterrete di pormi. Volevo solo fare una chiosa metodologica, se me lo consentite.
  Io credo che l'idea che con questo decreto venga per la prima volta aumentato il perimetro giuridico nel quale si muove l’intelligence italiana sia molto importante. Testimonia certamente una reazione positiva a una spinta emergenziale che viene da fuori, ma forse, mi permetto di illudermi, anche una rinnovata apertura di fiducia nei confronti del settore dell’intelligence, che è regolamentato rigidamente dal 2007 all'interno, pur nella sua natura di strumento non convenzionale, e delimitato nella sua attività in maniera piuttosto rigorosa dalla legge n. 124 del 2007.
  Sull'idea che questa perimentazione possa essere ad hoc estesa, pur conservando la molto precisa e, assai opportunamente tale, regolamentazione, credo non si possa esprimere che una valutazione positiva.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte.
  Do adesso la parola al presidente Antonello Soro.

  ANTONELLO SORO, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali. Grazie, presidente. Anch'io cercherò di riassumere alcune valutazioni sul decreto, che – anche in questa circostanza, come è accaduto in passato per analoghi di provvedimenti che avevano come obiettivo la prevenzione e il contrasto al terrorismo – presenta una parte significativa di misure che hanno effetti importanti sul diritto alla protezione dei dati personali e, in particolare, sull'esercizio di questo diritto nella rete.
  Ciò è tanto più comprensibile in un contesto, quale quello attuale, in cui le stesse organizzazioni terroristiche si avvalgono – lo richiamava adesso l'ambasciatore Massolo – per prime della rete, dei social media in particolare, per fare proselitismo e acquisire informazioni utili alla loro strategia.
  Tuttavia, in linea generale, le norme di questo decreto, per i profili di nostra competenza, sembrano ispirate a un equilibrio maggiore rispetto a quelle annunciate in altri Paesi in questa stagione o annunciate e approvate in Italia e in altri Paesi in periodi passati.
  Penso alla proposta formulata dal leader del Regno Unito Cameron di limitazione o di indebolimento della crittografia, proposta prontamente bocciata dal contesto di tutti quelli che si occupano di questi problemi.
  Penso all'esperienza fatta in Germania all'indomani dell'11 settembre della schedatura massiva, la quale portò la Corte tedesca a un'affermazione pesante, che, a mio parere, dobbiamo richiamare, perché serve anche nella nostra circostanza. La Costituzione, diceva la Corte tedesca – questo vale per quella tedesca e, a maggior ragione, per la nostra – esclude il perseguimento dello scopo della sicurezza assoluta a prezzo dell'annullamento della libertà.
  In quella circostanza la Corte tedesca sottolineò – vale la pena di ricordarlo – l'esigenza di tutelare la legittima aspettativa di riservatezza che si deve avere nelle proprie comunicazioni, in quanto la sola percezione di poter essere controllati è essa stessa perdita di libertà.
  Richiamo poi il decreto Pisanu, successivo agli attentati di Madrid e di Londra, in cui la previsione di una disciplina derogatoria e particolarmente restrittiva in materia di data retention fu in quell'occasione certamente sbilanciata sulle esigenze Pag. 7di accertamento e repressione dei reati, consentendo la conservazione dei dati di traffico telefonico per anni.
  Rispetto alle misure su richiamate, quelle del decreto in esame sicuramente coniugano con maggiore equilibrio libertà e sicurezza, riservatezza e prevenzione. Naturalmente, noi abbiamo alcune osservazioni da fare e pensiamo anche che la fase di conversione possa offrire l'opportunità di qualche precisazione più puntuale.
  Parto dal primo punto. Le modifiche al codice di protezione dei dati personali contenute nell'articolo 7 hanno il fine dichiarato di semplificare la disciplina del trattamento dei dati personali da parte delle Forze di polizia. Attualmente, la norma dell'articolo 53 del citato codice prevede un regime agevolato che esime da alcuni obblighi, come informativa e notificazione, per i trattamenti specificamente previsti da espressa disposizione legislativa.
  Si tratta di un meccanismo il cui rigore e la cui rigidità in alcuni casi possono aver rallentato l'esigenza di continuo adeguamento degli strumenti investigativi all'evoluzione tecnologica. La velocità con cui la tecnica, e con essa il crimine, si evolve richiede, infatti, oggi, molto più di undici anni fa, quando fu emanato il codice, altrettanta celerità nel mutamento delle tecniche investigative. Si tratta di una celerità che certamente, se riferita a un processo legislativo che ha i tempi che conoscete, rende più difficile l'esercizio di aggiornamento della strumentazione di cui la polizia ha necessità in una fase come questa.
  Consapevoli di questa esigenza, noi pensiamo che sia comprensibile la proposta di includere tra le fonti suscettibili di legittimare la raccolta dei dati, oltre alla legge ordinaria, anche le norme regolamentari e lo specifico decreto del Ministro dell'interno. In questo modo, qualora si renda necessario il ricorso a uno specifico strumento investigativo, che – beninteso – sia strettamente funzionale alle attività istituzionali della polizia normativamente previste, ma non ancora contemplato dalla legge, il Governo o lo stesso Ministro potranno, nell'esercizio della loro responsabilità, prima di tutto politica, disciplinarne le caratteristiche. In assenza di tale espressa disciplina, il trattamento non sarebbe possibile.
  Del resto, dovendo queste nuove fonti riflettere specifiche attribuzioni della Polizia legislativamente previste, l'ambito di discrezionalità entro cui potranno muoversi sarà indubbiamente limitato, come è, del resto, proprio di questo settore, in cui l'azione dell'autorità di pubblica sicurezza, proprio perché idoneo a incidere su diritti fondamentali, è rigidamente disciplinata dalla legge.
  Sicuramente condivisibile è la previsione tassativa delle attività riconducibili alle finalità di polizia: prevenzione, oltre che repressione dei reati, pubblica sicurezza in senso stretto e attività di polizia giudiziaria.
  Questo nuovo regime previsto per la Polizia è, peraltro, compatibile con il nuovo quadro giuridico europeo, che progressivamente assimila questi due settori, polizia di prevenzione inclusa. Del resto, la scelta di estendere a fonti diverse dalla legge la legittimazione a prevedere trattamenti per fini di polizia si conforma a quanto previsto dall'articolo 54 del codice di protezione dei dati personali, che già consente, per finalità di polizia, l'acquisizione di dati.
  Ovviamente, sarà necessario garantire l'equilibrio complessivo di questo nuovo sistema. La nostra Autorità contribuirà in questa direzione, in particolare mediante il necessario parere sui regolamenti e sul decreto istitutivi di questi nuovi eventuali trattamenti.
  Va, infatti, chiarito, anche rispetto ai dubbi espressi dal dossier del Servizio studi, che su queste fonti sarà necessaria l'acquisizione del parere del Garante. Ancorché non sia specificamente prevista, io penso che sia bene prevederla, perché in tal senso depone l'articolo 154, comma 4, dello stesso codice di protezione dei dati personali.
  Attraverso il vaglio sul rispetto dei princìpi di proporzionalità, pertinenza e Pag. 8necessità delle misure di sicurezza, che comunque si applicano anche a questi trattamenti, l'Autorità potrà non soltanto garantire un congruo bilanciamento tra privacy ed esigenze investigative, ma probabilmente anche suggerire misure di sicurezza utili e necessarie in questa fase.
  Per garantire che riservatezza ed esigenze investigative siano coniugate al punto di equilibrio più alto, io ritengo che sia necessario qualificare il parere del Garante su queste nuove fonti di disciplina come conforme e non meramente obbligatorio. Se si tiene conto che passiamo da un regime in cui il riferimento per poter attivare queste nuove iniziative di indagine è la legge, io credo che una misura di equilibrio giusta sia quella di prevedere che sul decreto, sul regolamento proposto, definito e deciso dal Ministro, occorra un parere non solo obbligatorio, ma anche conforme. In tal senso, d'altra parte, il legislatore ha già operato in passato su misure importanti, come la banca dati del DNA e i regolamenti di disciplina dei dati sensibili.
  Il secondo punto riguarda il proselitismo online, il riciclaggio e le intercettazioni preventive. Un'utile occasione di confronto potrà anche aversi nell'attuazione della disciplina di cui all'articolo 2, comma 3, dell'inibizione, su ordine dell'autorità giudiziaria, dell'accesso ai siti filoterroristi inclusi nella black list stilata dalla Polizia postale, secondo modalità e soluzioni tecniche individuate dal decreto ministeriale del 2007 sulla pedopornografia.
  La formulazione della norma lascia lo spazio a qualche dubbio sulla possibilità che possano applicarsi i sistemi di filtraggio già previsti per la pedopornografia e che, quindi, il riferimento a quel decreto sia un rinvio mobile non al suo contenuto, ma alla fonte, come indurrebbe a pensare anche la relazione che accompagna il provvedimento. Se questa fosse l'interpretazione corretta, allora il coinvolgimento del Garante diventerebbe necessario non soltanto per il profilo della protezione dei dati personali, ma anche per quello della sicurezza complessiva della rete.
  Nonostante non sia espressamente prevista, sembrerebbe però necessaria una disciplina di attuazione anche della diversa previsione di cui all'articolo 2, comma 4, della rimozione selettiva dei contenuti illeciti pubblicati su siti utilizzati dai terroristi. Essa sembrerebbe includere, con una significativa innovazione rispetto al codice del commercio elettronico, anche i social network, luoghi nei quali, del resto, sappiamo svolgersi l'azione prevalente di proselitismo – la richiamava l'ambasciatore Massolo – e di apologia.
  Necessiterà verosimilmente di qualche precisazione applicativa anche la previsione del sequestro preventivo con cui dovrebbe realizzarsi l'inibizione dell'accesso al dominio in caso di inadempimento da parte del provider all'ordine di rimozione del contenuto. L'equilibrio di questa disciplina, che va salvaguardato anche ai fini dell'articolo 21 della Costituzione, si fonda essenzialmente, a nostro parere, su due aspetti.
  In primo luogo, sulla limitazione alla rimozione dei soli contenuti accessibili al pubblico, il che esclude certamente ogni forma di monitoraggio delle comunicazioni private, che, se attuato in forme diverse da quelle disciplinate per le intercettazioni telematiche, sarebbe certamente incompatibile con il diritto alla segretezza della comunicazione di cui all'articolo 15 della Costituzione.
  In secondo luogo, si fonda sui sistemi di segnalazione e rimozione, i soli compatibili con la disciplina europea, che escludono cioè ogni preventiva chiusura da parte del provider dei contenuti diffusi in rete, ammettendone la rimozione selettiva solo su specifico ordine dell'autorità giudiziaria.
  Noi potremmo, anche in questo caso, fornire un contributo in fase di attuazione al fine di garantire che queste misure di contrasto rispettino sempre il diritto alla protezione dei dati personali in rete.
  Si potrebbe forse riflettere sulla congruità – poniamo il punto alla vostra attenzione – del termine di quarantott'ore per l'adempimento da parte del provider all'ordine di rimozione di contenuti illeciti pubblicati, pena l'inibizione mediante sequestro Pag. 9preventivo dall'accesso al dominio. Quarantott'ore sono poche e, quindi, probabilmente questo termine potrebbe essere modificato.
  Un impatto minore – lo dico solo per concludere – sulla protezione dei dati è rappresentato dalla modifica alla disciplina dell'antiriciclaggio, di cui all'articolo 5, che legittima il Comitato di analisi strategica antiterrorismo presso il Ministero dell'interno (il cosiddetto CASA) a ricevere dall'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia gli esiti delle analisi e degli studi effettuati su specifiche anomalie da cui emergano fenomeni di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.
  L'esigenza che noi rappresentiamo in questo caso attiene essenzialmente alla sicurezza di questi flussi informativi, che devono essere adeguatamente protetti, oltretutto per non compromettere eventuali indagini in corso.
  Allo stesso modo, rafforza le esigenze di sicurezza la previsione, all'articolo 4, del raddoppio, da cinque a dieci giorni, del termine per il deposito presso la procura generale di Roma del verbale sintetico delle intercettazioni preventive, ove siano necessarie traduzioni.
  Come abbiamo sottolineato nel nostro provvedimento generale sulle misure di sicurezza nell'ambito delle attività di intercettazione giudiziale preventiva, una più forte protezione dei dati personali così acquisiti migliora anche le garanzie di segretezza delle indagini.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente.
  Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO DAMBRUOSO. Senza rubare molto tempo sia ai relatori, sia agli altri membri delle due Commissioni qui riunite, io ho colto con interesse il riferimento che fatto a un intervento di tipo organico. Questo non è il primo, ma è un raro intervento organico per manifestare la sensibilità delle Istituzioni nei confronti di un tema che è diventato emergenziale.
  Da questo punto di vista volevo chiedere al dottor Massolo – considerato anche il riferimento che ha fatto velocemente rispetto all'apparente dimostrazione, grazie a questo provvedimento legislativo, ossia a questo decreto, di una rinnovata fiducia nei confronti dell'operato dell'attività dell’intelligence italiana, che lei oggi sta qui rappresentando – se anche l'estensione alla Direzione nazionale antimafia di poteri di coordinamento, anche in questo caso per la prima volta, centralizzati rappresenti un elemento che possa avvicinare i tre grandi player del contrasto al terrorismo, tra cui l’intelligence, e, senz'altro, la Polizia giudiziaria.
  Inoltre, le volevo chiedere se anche questo strumento rappresenti una risposta integrata, con l'istituzione di un ufficio centralizzato anche per quanto riguarda la magistratura.

  MARIA EDERA SPADONI. Ringrazio il dottor Massolo per l'audizione. Io faccio parte della Commissione affari esteri. Noi, proprio in ragione dell'accorpamento delle disposizioni di contrasto al terrorismo anche internazionale e di proroga delle missioni internazionali, ci siamo trovati per la prima volta a essere esclusi dalla discussione del provvedimento, tradizionalmente assegnato alla Commissione affari esteri.
  Lei prima ha parlato, giustamente, delle crisi internazionali e delle misure per affrontare Daesh, ossia del modo in cui poterlo affrontare, nonché della questione dei foreign fighters e quindi, della questione di italiani o cittadini di altri Paesi europei che decidono di andare nei campi di addestramento.
  Queste sono tutte tematiche che riguardano anche le competenze della Commissione affari esteri, che purtroppo, ripeto, proprio a causa dell'accorpamento con le disposizioni in materia di contrasto al terrorismo, ne è stata esclusa. La Presidenza della Camera, a un certo punto, si è ritrovata, infatti, a dover decidere a quali Commissioni assegnare in sede referente questo decreto.
  La mia domanda è la seguente: non ritiene che la Commissione affari esteri Pag. 10sarebbe dovuta essere coinvolta nell'esame in sede referente, proprio in base anche ai contenuti dell'audizione che lei ha fatto, in cui ha parlato di temi che sono prevalentemente di politica estera, soprattutto per quanto riguarda i conflitti a livello internazionale e le disposizioni politiche su tematiche estere ?
  Grazie.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  GIAMPIERO MASSOLO, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Grazie. Intanto vorrei farvi rilevare una questione che mi pare interessante e che era già emersa ieri in un'altra sede non parlamentare. Mi riferisco all'idea di svolgere un'audizione parallela del responsabile della privacy e del responsabile dei servizi segreti. Da un lato, questa scelta può sembrare paradossale e forse casuale, ma invece ha una logica precisa, perché i servizi italiani hanno una convenzione con il Garante della privacy. Io credo che il nostro sia l'unico servizio segreto ad avere una convenzione con il Garante della privacy, la cui motivazione è proprio quella che l'attività di intelligence è un'attività normale in un Paese evoluto.
  Questa considerazione fa da corollario a quanto dicevo prima nel compiacermi di una tappa importante per la promozione della cultura della sicurezza in Italia, che questo decreto, a mio parere, rappresenta.
  Ringrazio l'onorevole Dambruoso, perché mi consente di toccare un tema rilevante, che è quello del rapporto tra intelligence e magistratura. Evidentemente noi perseguiamo un obiettivo comune per quanto riguarda il terrorismo. Lo perseguiamo anche in molti altri campi, ma lo facciamo soprattutto nell'obiettivo di cui stiamo parlando oggi, che è quello di tagliare via questo fenomeno.
  Ovviamente, noi perseguiamo l'obiettivo con compiti e regole di ingaggio diversi. L’intelligence raccoglie informazioni e fa, nella misura del possibile, prevenzione, mentre la magistratura accerta e reprime. Sono evidentemente due compiti diversi.
  Occorre sicuramente assicurare una separatezza, ma, nel momento stesso in cui noi assicuriamo la separatezza, dobbiamo anche assicurare la cooperazione, per via della necessità di procedere in modo integrato, come si diceva prima.
  Bisogna, quindi, ricercare dei raccordi. Una parte di questi raccordi ci è già offerta ed è già presente con le leggi esistenti. Mi riferisco, in modo particolare, anche se l’intelligence non svolge funzioni di Polizia giudiziaria, all'obbligo di investire la Polizia giudiziaria e, quindi, la magistratura quando ci si imbatte in reati, o comunque quando si ha a che fare con informazioni o con elementi di prova su fatti configurabili come reato.
  Mi riferisco alla possibilità che ha il Presidente del Consiglio di chiedere alle procure di fornire elementi relativi alla sicurezza della Repubblica anche di procedure in corso. Sono momenti di raccordo e di collaborazione molto trasparenti, sanciti da leggi.
  Infine, c’è tutto il meccanismo che consente all’intelligence di svolgere intercettazioni preventive attraverso un regime autorizzativo che fa capo al procuratore generale presso la Corte d'appello di Roma.
  Si tratta di un fenomeno nuovo, di una struttura nuova, o, meglio, dell'integrazione nuova di una struttura esistente, come diceva l'onorevole Dambruoso e, quindi, della nascita di una sezione sul terrorismo nella procura nazionale antimafia. Io credo che sia non solo possibile, ma anche doveroso ricercare raccordi anche da questo punto di vista, intanto nel fornire da parte dell’intelligence a quel procuratore nazionale informazioni di quadro generale. Come dicevo prima, l'obiettivo comune è quello di eradicare la fenomenologia terroristica.
  In secondo luogo, si tratta di prevedere, e io credo che sia possibile farlo, una sorta di ufficiale di collegamento tra l'organismo di coordinamento dei servizi, che è quello che io presiedo, ossia il DIS, e la procura nazionale.
  In terzo luogo, occorre riflettere sulla possibilità, quando si tratta di colloqui in Pag. 11carcere autorizzati dal procuratore nazionale, di non tenere all'oscuro il procuratore nazionale, per evitare che vi siano duplicazioni di attività. È chiaro che se poi, all'esito di questi colloqui, nel sistema carcerario dovessero emergere dei reati, scatterà, oltre che l'evidente disposizione personale, l'obbligo di legge di informare le autorità giudiziarie.
  Io credo che esistano già alcuni raccordi. Esiste certamente la separatezza, esiste la necessità di cooperare, esistono alcuni raccordi e altri se ne potrebbero introdurre.
  Onorevole Spadoni, accanto agli strumenti che citava l'onorevole Dambruoso è, ovviamente, molto utile anche lo strumento diplomatico, per quanto riguarda la lotta al terrorismo internazionale, strumento che è sicuramente una dimensione propria della Commissione affari esteri.
  Non entro – non mi spetta – nella valutazione di come vengono organizzati i lavori parlamentari, ma non posso esimermi dal sottolineare l'importanza dello strumento che fino a un paio d'anni fa rappresentavo.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Volevo fare un'ultima domanda all'ambasciatore. Il decreto-legge, per i colloqui, fa riferimento all'obbligo di informativa alla procura generale della Corte d'appello. Nell'audizione che noi abbiamo avuto con la procura nazionale antimafia, che adesso diventerà anche procura nazionale antiterrorismo, il procuratore nazionale antimafia, da un lato, suggeriva come opportuna un'informativa alla procura nazionale antiterrorismo, anche per non far sì che questo organismo di nuova istituzione sia soltanto di apparato; dall'altro, ha criticato la formulazione che vi è stata nel decreto-legge, per cui sostanzialmente non si mettono i servizi di Polizia giudiziaria a disposizione del procuratore nazionale antimafia per l'antiterrorismo.
  Vorrei capire se lei ritiene opportuno dire qualcosa al proposito.

  GIAMPIERO MASSOLO, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Il secondo aspetto non compete all’intelligence, che non fa parte degli organi di Polizia giudiziaria. Dal punto di vista generale, in ogni caso, la nostra opinione, per quanto conti, non essendo questa materia di nostra competenza, è comunque positiva, perché si tratterebbe di rafforzare la coerenza del sistema e il coordinamento generale.
  Per quanto riguarda, invece, l'altro aspetto, di cui sono, peraltro, a conoscenza, come dicevo prima, io ritengo che fra gli strumenti di raccordo che potrebbero venire introdotti – sempre con l'idea di fare un'operazione di sistema – potrebbe riflettersi anche sull'opportunità che il procuratore nazionale presso la Corte d'appello di Roma, a cui spetta autorizzare quei colloqui, non solo ne sia informato, ma li autorizzi anche e magari ne possa dare notizia anche al procuratore generale, nella sua veste di procuratore generale antiterrorismo, e su che cosa succede agli esiti di questi colloqui.
  Ci sono, dunque, due momenti. C’è un momento di coordinamento delle indagini e poi c’è un momento di utilizzo delle informazioni. Chiaramente, se vi sono elementi di reato, scatta l'obbligo di legge di denunciarli alla Polizia giudiziaria e, dunque, alla magistratura.
  Grazie.

  STEFANO DAMBRUOSO. Vorrei solo sintetizzare quando detto da ultimo, che riguarda uno degli aspetti più delicati trattato nell'audizione del procuratore Roberti. A me sembra che da parte dell'apparato dei servizi sia valutabile positivamente un'autorizzazione che rimanga in capo al procuratore generale di Roma, sentito il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

  GIAMPIERO MASSOLO, Direttore generale del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (DIS). Non vorrei qui entrare nella formulazione, ma l'obiettivo Pag. 12dell'esercizio dovrebbe essere quello di non duplicare indagini e di non creare situazioni di confusione.

  ANDREA MANCIULLI. Io sono molto d'accordo con il rilievo che veniva fatto. Mi sembra che questa possa essere una soluzione che accomuni il parere di tutti e due i relatori.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio per il contributo e la disponibilità e mi scuso ancora per l'attesa iniziale.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.15.