XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Giovedì 10 dicembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI E DEI SERVIZI COMUNALI

Audizione del sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Angelo Rughetti.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 2 
Rughetti Angelo (PD) , Sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione ... 2 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 6 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 6 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 7 
Fabbri Marilena (PD)  ... 8 
Famiglietti Luigi (PD)  ... 10 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 10 
Rughetti Angelo (PD) , Sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione ... 10 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 12.50.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Angelo Rughetti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, l'audizione del sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Angelo Rughetti, a cui do subito la parola.

  ANGELO RUGHETTI, Sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Grazie, Presidente, e buongiorno a tutti. Il tema della gestione associata di funzioni e servizi è un tema centrale e rappresenta un tassello del più ampio processo di ristrutturazione istituzionale che è in corso.
  La legge n. 56 del 2014, la riforma costituzionale in corso di approvazione e la legge n. 124 del 2015 sono i contenitori normativi che ospitano le norme a cui è affidato il compito di ridefinire l'ordinamento della Repubblica per ogni singolo livello di governo del Paese contenuto nell'articolo 114 della Costituzione.
  L'obiettivo delle gestioni associate e del più ampio processo di riorganizzazione non è soltanto quello di ridurre i costi di erogazione dei servizi, ma è innanzitutto quello di migliorare la qualità dell'azione amministrativa. Detto in altri termini, serve a svolgere meglio i compiti che la legge assegna ad ogni ente.
  Il principio finanziario della riduzione dei costi è un effetto succedaneo dell'esito principale che ci si attende dall'implementazione di un nuovo modello organizzativo, che è appunto l'innalzamento della capacità delle amministrazioni di dare risposte ai cittadini. Dobbiamo infatti calare le valutazioni sulla gestione associata dentro una nuova pesatura delle priorità e degli interessi che la Costituzione promuove e tutela. In questo senso, dobbiamo riordinare i fattori che condizionano la convivenza civile, stabilire quali sono gli obiettivi che vogliamo raggiungere e su di essi modellare l'organizzazione istituzionale e amministrativa.
  In questa nuova ottica emerge con chiarezza che l'articolo 3 della nostra Costituzione impone alla Repubblica di adottare tutte le forme organizzative necessarie a soddisfare quei princìpi obiettivo indicati nell'articolo 3. Di conseguenza l'autonomia delle istituzioni, l'organizzazione delle stesse e la ripartizione delle competenze fra i livelli di governo non sono dei fini, ma degli strumenti per rendere più agevole la tutela di quegli interessi.
  Questa premessa ci aiuta ad inquadrare meglio il tema oggetto dell'indagine, perché ci rende chiaro che lo sforzo che il legislatore deve fare va oltre la ordinaria disciplina dell'ordinamento degli enti. L'obiettivo è capire come rendere più facile e più semplice alle comunità locali la possibilità Pag. 3di godere realmente e fino in fondo dei diritti riconosciuti dalla Costituzione. In questo senso non possiamo non fare un'analisi di quanto è accaduto fino ad oggi e di come la realtà istituzionale sia stata modificata e con quali esiti dalla legislazione degli ultimi venticinque anni decorsi dalla legge n. 142 del 1990.
  Il risultato evidente che abbiamo sotto gli occhi ci mostra un Paese che non ha saputo cogliere la sfida e che ha recepito le indicazioni del legislatore come mero atto formale di attuazione, mentre il processo di revisione dell'organizzazione degli enti che compongono la Repubblica è un progetto talmente importante e talmente complesso da dover essere messo addirittura al di fuori del confronto politico-elettorale.
  Sarebbe utile, opportuno, da valutare, come avviene in altri Paesi, la stesura di un programma pluriennale sostenuto da tutti i gruppi parlamentari, che si impegnano a portarlo avanti nel tempo al di fuori dello schema maggioranza-opposizione. Vanno in questo senso molti programmi di ristrutturazione istituzionale approvati negli Stati Uniti e in Inghilterra negli ultimi anni.
  Vedendo quanto è accaduto in questi anni ci accorgiamo che la qualità della legislazione può essere un fattore importante ma non esaustivo. Di sicuro la legge n. 56 del 2014 e la legge di stabilità dello scorso anno hanno cambiato il modello istituzionale e territoriale cui eravamo abituati e sul quale era stata costruita la normativa degli anni Novanta. L'avvento delle nuove province, oltre a rappresentare una semplificazione istituzionale che sarà completata con la legge di riforma costituzionale, è un fattore che a mio avviso va preso in considerazione anche rispetto alla gestione associata di funzioni e servizi. Lo stesso può dirsi per le città metropolitane.
  Le nuove province e le città metropolitane devono diventare sempre di più la casa dei comuni, in cui ogni ente si sente direttamente rappresentato grazie alla partecipazione degli organi eletti nei comuni stessi. Quindi, a mio avviso, una prima valutazione che questa Commissione deve svolgere è capire – nell'ottica delle premesse che ho fatto, cioè come possiamo dare migliori risposte ai cittadini e alle imprese – quali ulteriori compiti possono essere devoluti dai comuni, dal basso, verso le nuove province e verso le città metropolitane oltre a quelli assegnati già direttamente dalla legge.
  Penso, ad esempio, alla funzione della programmazione territoriale collegata a quella dell'urbanistica; penso alla programmazione in materia di attività produttive oppure alla rappresentanza negoziale per la contrattazione decentrata o alla gestione delle politiche del personale del distretto. Sarebbe molto utile, a mio avviso, cominciare ad inquadrare gli enti contenuti in un ambito territoriale come enti appartenenti a un distretto ed affidare alla città metropolitana o alla nuova provincia il compito di gestire le risorse umane come se appartenessero a un unico ente. Pensate agli effetti positivi che si potrebbero avere in un'ottica di omogeneizzazione delle retribuzioni, di gestione del turnover e la relativa gestione dei concorsi per acquisire nuove professionalità, fino alla gestione della stessa mobilità.
  Se pensate a quel territorio come a un distretto omogeneo, in cui l'istituzione è un vestito che si mette al servizio della comunità, può cambiare il rapporto che oggi invece abbiamo sempre pensato esistente fra comuni e province o città metropolitane, intesi come se fossero due enti addirittura in molti casi competitivi.
  Penso allo stesso modo che i nuovi enti di area vasta possano candidarsi a svolgere una pluralità di servizi puntuali sia di back-office che di front-office, come ad esempio la progettazione di opere pubbliche, la centrale unica di acquisto di beni e servizi o una stazione appaltante unica per opere e lavori pubblici. Aggiungo che un ruolo fondamentale potrebbe essere svolto in questo senso, in tema di semplificazione, attraverso la standardizzazione di procedure amministrative che tutti gli enti del distretto potrebbero adottare. In questo caso potrebbe essere utile che vi fosse un accordo a livello di distretto, quindi a livello di ogni provincia o di città Pag. 4metropolitana per individuare delle procedure uniche standardizzate da adottare nei regolamenti interni e poi da mettere a servizio delle comunità.
  C’è una distinzione importante, secondo me, sulla quale richiamo un attimo la vostra attenzione: non si pensi che con questo progetto che vi sto descrivendo si torni alla provincializzazione del nostro sistema o che stiamo riportando competenze sul sistema provinciale. Infatti, con questo approccio noi stiamo in verità costruendo una nuova fase che è conseguente alla legge n. 56 del 2014, che ha prodotto un primo effetto, quello della integrazione delle governance. L'integrazione delle governance fa in modo che ad un livello più alto, quello di ambito provinciale e di città metropolitana, ci possa essere il luogo in cui si condividono delle politiche la cui titolarità non appartiene più alla provincia, ma appartiene ai territori, appartiene ai comuni. Quindi, è una nuova forma di gestione associata che parte dal basso; non viene individuata dal legislatore e calata dall'alto o da una legge regionale, ma è una devoluzione verso l'alto di scelte politiche condivise dagli stessi attori che poi dovranno gestirle sui territori.
  Fatto questo primo passo, occorre a mio avviso spingere ulteriormente sul tema delle fusioni tra comuni, studiando altri modelli oltre a quelli indicati dalla legge n. 56 del 2014, legge che da questo punto di vista ha segnato comunque una svolta. Secondo me, bisogna andare verso due direzioni nette e chiare, perché diano anche un'indicazione di lungo periodo. La prima è non mettere limiti esterni alla possibilità di fare fusioni, come ad esempio il target della popolazione, e lasciare alle singole comunità il compito di analizzare costi e benefici, quindi poi scegliere.
  In molti casi può accadere che ci siano dei comuni più grandi che attraggano comuni più piccoli dell’hinterland verso forme di fusione per incorporazione, che invece, avendo dei limiti oggettivi come quello della popolazione, potrebbero essere impedite.
  La seconda direzione di marcia è quella di creare un sistema ordinario di incentivi e premi nei confronti dei comuni che si fondono. Quindi, non si tratta di prevedere solo incentivi economici, che restano indispensabili – basta vedere i risultati che sono stati raggiunti in alcune regioni che hanno investito sul tema, e cito l'esempio della Toscana – ma di individuare delle premialità fisse nell'ordinamento che riconoscono un vantaggio agli enti che sono fusi e uno svantaggio agli enti che non lo sono. Penso, ad esempio, alla partecipazione a bandi per accedere a dei finanziamenti; penso a dei criteri di riparto dei fondi nazionali (immaginiamo il fondo dei trasferimenti «erariali» del Ministero dell'interno) oppure penso a delle regole che riguardano la gestione del personale, che possono essere diversificate da ente a ente.
  Quindi, la mia valutazione, che pongo all'attenzione della Commissione, è quella di operare da un lato verso una devoluzione verso l'alto delle funzioni «di area vasta», quindi di dare un nuovo impulso a una visione più aperta delle competenze delle singoli comunità; dall'altro, invece, rafforzare molto le comunità locali attraverso le fusioni.
  È chiaro che, qualora si accettasse questo modello, alcuni compiti che in passato sono stati individuati come punti fermi della competenza delle unioni potrebbero essere allocati in modo diverso. Potrebbero restare ai comuni che si sono fusi e sono diventati più grandi oppure potrebbero essere devoluti verso l'alto, verso le città metropolitane o le nuove province. Ciò non toglie che l'istituzione delle unioni possa avere ancora un ruolo importante, soprattutto nelle aree vaste molto ampie, che hanno al proprio interno zone omogenee. Su tali zone omogenee si potrebbe calare il vestito istituzionale nella forma dell'unione.
  Penso altresì che le unioni possano essere forme transitorie per giungere più facilmente e in modo ordinato e più consapevole alla fusione dei comuni. Un'avvertenza che, però, mi permetto di fare alla Commissione è che qualsiasi intervento Pag. 5normativo si pensi di fare in tema di unioni bisogna tenere conto della realtà effettiva delle situazioni.
  A un numero di unioni di comuni molto elevato corrispondono, infatti, situazioni molto diverse. Ci sono unioni di comuni che svolgono realmente e in modo efficiente ed efficace una funzione effettiva sul territorio, altre che sono state fatte soltanto per rispettare un indirizzo normativo. Se si fa un intervento ulteriore in questo settore bisogna stare attenti a «non gettare il bambino con l'acqua sporca» e fare in modo che i percorsi che sono già molto avanzati non vengano frenati o addirittura interrotti.
  Concludo dicendo che, quale sarà la scelta del legislatore, bisogna mettere un punto fermo su una questione alla quale tutto l'ordinamento è chiamato a dare una risposta. Mi riferisco al personale impiegato negli enti che sono oggetto di gestioni associate nelle varie forme oggi disponibili. Tutte le norme che possiamo immaginare hanno, infatti, bisogno di un capitale umano che le porti avanti e abbia le competenze per poterlo fare.
  Mettere insieme uffici e servizi vuol dire cambiare organizzazione e processi decisionali. Chi gestisce questa organizzazione e questi processi deve avere la capacità di farlo e deve disporre di norme regolamentari interne sostitutive di quelle esistenti. Non si può pensare di cambiare un modello organizzativo e lasciare nei singoli enti gli stessi uffici e gli stessi responsabili che c'erano prima. È un punto determinante, di cui è ricca la nostra organizzazione amministrativa.
  Tutte le volte che abbiamo immaginato di fare un percorso di semplificazione per dare migliori risposte abbiamo creato un nuovo ente, una nuova direzione o una nuova divisione senza mai sopprimere quelli esistenti. Chi gestisce processi decisionali nuovi e diversi ha bisogno di avere la conoscenza e la formazione per poterlo fare. Anche la richiesta delle amministrazioni al mercato deve essere una richiesta diversa. Occorre passare da soggetti tecnici, che sono esperti di settore o conoscono soltanto un pezzo del processo decisionale, a veri e propri manager del territorio. Su questo, secondo noi, una riflessione va fatta.
  Allo stesso modo, proprio perché parliamo di un nuovo sistema organizzativo, dobbiamo misurare le regole sulla spesa del personale in modo diverso rispetto al passato, cercando di andare incontro alle esigenze che emergono da questi cambiamenti organizzativi. Detto banalmente, dobbiamo costruire regole diverse per situazioni diverse.
  Un conto è fare una legislazione che riguardi una serie di enti statici, che nel tempo hanno subito processi di mutamento molto ridotti. Cosa diversa è invece costruire un nuovo ente attraverso una fusione o una devoluzione verso l'alto di nuove competenze. L'ente che noi creiamo deve avere range di spesa interna diversi da quelli del passato.
  Mi permetto di aggiungere che quest'anno, per la prima volta e in modo, secondo me, molto positivo, sono state cambiate le regole del Patto di stabilità per tutti gli enti territoriali. C’è una regola importante che esalta l'autonomia degli enti, che saranno chiamati a rispettare soltanto un vincolo di competenza pari a zero. Il comparto comuni passa, quindi, da un obiettivo positivo, sulla base del quale creare un utile da portare al bilancio della Repubblica, a un risultato pari a zero.
  Dentro quel risultato c’è anche la gestione del personale. Va quindi valutato come modificare le regole che riguardano il personale rispetto all'obiettivo più ampio che è stato assegnato all'ente. Le spese del personale diventano, infatti, una modalità per raggiungere il macro-obiettivo e non un vincolo interno.
  Infine, sono convinto che questa riorganizzazione del sistema pubblico possa avvenire soltanto se tutte le istituzioni coinvolte lavoreranno dal basso per la realizzazione di veri e propri piani industriali territoriali, in cui raccogliere le esigenze e le risposte che il sistema pubblico è in grado di dare o direttamente o come soggetto regolatore, esaltando l'articolo Pag. 6118 della Costituzione e sapendo che tutta la Repubblica è chiamata a uno sforzo complessivo.
  A mio avviso, dobbiamo abbandonare il sistema delle competenze rigide, su cui è stato costruito l'assetto normativo che ha fatto seguito alla modifica del Titolo V, e intervenire di più sull'obiettivo finale. Dovremmo fare tutti quanti lo sforzo di derubricare la fase delle competenze legislative di Stato e regioni sulla materia dell'esercizio associato e disciplinare insieme – Stato e regioni –, attraverso un'integrazione delle politiche, i risultati che ci aspettiamo dalle gestioni associate. Dovremmo fissare livelli minimi di servizio da erogare alle comunità e tutti quanti essere chiamati a raggiungere quel risultato, azionando tutte le leve utili.
  Faccio notare che il potere sostitutivo, inserito nella legislazione sia dal decreto-legge n. 90 del 2014 sia dalla legge n. 124 del 2015, il principio di supremazia, contenuto nella riforma costituzionale, e il principio del silenzio/assenso, contenuto nella riforma della conferenza dei servizi con riguardo a tutte le amministrazioni, vanno in questa direzione. La competenza del singolo ente non può più essere un freno all'esercizio dei diritti.
  L'esercizio dei diritti da parte dei singoli cittadini, delle singole imprese e famiglie deve venire prima di tutto. Bisogna rigirare il sistema istituzionale che abbiamo creato in questi anni e considerare davvero le istituzioni come strumenti da mettere al servizio delle comunità. Per questo penso che sarebbe utile prima individuare quello che ci aspettiamo, l’outcome che vogliamo scaturisca dalla gestione associata di funzioni e servizi sui territori, e poi su questo costruire un eventuale nuovo intervento normativo.
  Raccomando soprattutto, per quella che è la mia breve esperienza, di evitare ulteriori interventi spot in questa materia. Questa materia ha bisogno, forse più di altre, di una normativa quadro di riferimento, che sia fatta di obiettivi minimi da offrire sui territori, e sulla quale ogni amministrazione competente può calare la propria competenza ed emanare i propri atti.
  Altri interventi possono aiutare a dare segnali e a raggiungere qualche micro-obiettivo nel breve periodo, ma rischiano di mettere in pericolo tutto il sistema complessivo, che, come ripeto, per dare fino in fondo i propri frutti ha bisogno di una regia.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. È una lunga indagine, che credo sia arrivata quasi a compimento. Se non sbaglio, presidente, il sottosegretario è una delle ultime persone che ascolteremo. In queste settimane abbiamo sentito le opinioni più diverse sul tema e anche tra i rappresentanti istituzionali c’è diversità di vedute.
  Lasciando da parte le associazioni e i piccoli e i grandi comuni, le istituzioni, dalla Corte dei conti ai ministeri, ci propongono spesso idee non convergenti e in alcuni casi completamente divergenti. Tutti ci dicono che qualcosa non ha funzionato e che bisogna assolutamente intervenire o attraverso una legge quadro o attraverso modifiche da una parte e dall'altra.
  Ogni volta che ascoltavo qualcuno mi dicevo che proponeva una buona idea. Ci è arrivata una serie di buone idee, che però insieme non stanno. Sarebbe molto più semplice avere un foglio bianco davanti e scrivere la storia senza sapere che cosa è stato scritto fino a oggi, perché la questione si è complicata in una maniera che credo non sia di facile soluzione.
  Francamente, benché lei abbia detto che non è così, ho inteso il suo intervento come un voler riportare alle province una serie di competenze che negli ultimi due anni abbiamo loro tolto. Noi alle province abbiamo tolto tutte le funzioni non fondamentali, facendo una baraonda con il personale e la polizia da sistemare e riallocare nei territori piuttosto che nelle regioni o negli uffici giudiziari, ma lei ci Pag. 7dice – e potrebbe essere una buona idea – di identificare nel bacino territoriale della provincia e nella conferenza dei sindaci che rappresenta la provincia il luogo in cui creare un'assemblea e degli uffici che possano agevolare i comuni nella gestione di servizi, come i piani regolatori, le attività produttive e via dicendo, da amministrare su una scala più ampia e che necessitano di personale e di competenze che non sono quelle di un piccolo comune, ma quelle di un'area vasta.
  Io non ho ben chiara la proposta complessiva del Governo e il disegno che vuole dare al territorio italiano. Il Governo ha approvato la riforma costituzionale e la legge Delrio, che però ha funzionato in parte, non è completa e viene messa in discussione. Lei ci sta dicendo che non è il momento di assumere dei provvedimenti spot per risolvere una situazione o l'altra, ma è bene assumere un provvedimento complessivo che risistemi tutto. In questo io vedo un segnale del fatto che si sta mettendo in discussione anche quello che è stato fatto di recente e che, a nostro parere, non ha funzionato o non si è voluto far funzionare.
  Ci sono state alcune difficoltà di applicazione. Le province così come sono state ridisegnate vanno bene. Va bene che non ci sia più l'elezione diretta, ma sembra che suggeriate che forse era meglio non togliere tutto quello che è stato tolto oppure era meglio prevedere che le province facessero qualcos'altro.
  Le mie perplessità su cosa voglia fare il Governo rimangono e personalmente sono in difficoltà perché, dopo aver ascoltato tutte queste persone, non mi è facile avere un'idea chiara sul da farsi. Credo che le opinioni portate in questa Commissione dai vari auditi rispecchino molto più opinioni personali che un disegno generale. L'ANCI dice una cosa, un sottosegretario ne dice un'altra e un Viceministro ne dice un'altra ancora, senza con questo eliminare le difficoltà.
  Colgo con piacere il fatto che lei identifichi la soluzione in un piano operativo che vada oltre la durata di questo Governo e di questa legislatura, un piano che probabilmente non si farà in uno o due anni, ma forse in dieci anni. Del resto, credo che spingere per una soluzione veloce del problema non farebbe altro che creare un nuovo problema per gli anni futuri.
  Più che porle una domanda, chiedo una proposta organica almeno da parte del Governo. A dire la verità, leggendo le relazioni sua, del Ministero dell'interno, del sottosegretario Bressa e degli altri interlocutori si fa fatica a trovare una linea comune e su alcune parti le idee sono completamente divergenti.
  Che ogni ministero gestisca la questione in modo differente lo capisco, ma un segno di unità almeno da parte vostra e da parte della maggioranza credo sia utile anche per i lavori futuri di questa Commissione e di questo Parlamento.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Vorrei ringraziare il sottosegretario anche perché è riuscito a presentare una relazione per un verso strategica e per un altro verso molto pragmatica, con alcune indicazioni di lavoro. Colgo la sollecitazione che è stata rivolta a noi parlamentari di essere capaci, con ruoli e responsabilità certamente diversi dal Governo, di produrre coerenze legislative.
  Questa indagine ci ha fornito alcune contraddizioni, ma ha anche fatto emergere l'esigenza di accompagnare un processo organizzativo e culturale. Colgo la sollecitazione del sottosegretario di creare una condizione di lavoro comune, a prescindere dall'appartenenza a maggioranza o minoranza, e provare a capire come giocare la partita.
  Ricordo che all'inizio della legislatura il sottosegretario aveva avviato l'associazione di sostegno agli enti locali e noi avevamo dato vita all'Intergruppo politiche urbane e città metropolitane. Poi, tutto questo è stato sospeso vista la proliferazione di leggi e cambiamenti. Forse varrebbe la pena di pensarci per dare un contributo, così come oggi si intende fare.
  Voglio evidenziare che condivido quanto è stato detto rispetto alle future aree vaste. Andranno definite e lo dovremo Pag. 8fare con puntualità una volta che sarà riformata la Costituzione, ma questa autorità provinciale sovra-comunale a servizio dei territori non è delle uguale alle vecchie province. Le vecchie province erano enti generalisti, che entravano in conflitto con la città capoluogo – credo che sia andata così in tutta Italia – perché facevano le stesse cose.
  In questo momento, occorre invece capire se siamo in grado di accompagnare un processo dal basso mediante il quale gli enti locali trasferiscono competenze di programmazione e di accompagnamento. È un modello di cooperazione nuovo tra enti che utilizzano strumenti. In questo caso l'area vasta è più uno strumento che un ente sovrapposto. Non lo vuole essere per legge.
  Credo che sia una sfida molto complicata. Lo stesso sottosegretario sottolineava con forza che questo cambiamento passa da una classe politica che esce dell'autoreferenzialità territoriale e da una classe dirigente, fatta di manager pubblici, capaci o al limite «obbligati» ad aiutare la classe politica. Avere un album unico dei dirigenti può essere l'occasione non solo per formarli, ma anche per misurarli sull'attuazione delle leggi.
  Rilevava anche l'onorevole Cecconi che in Italia si fanno leggi che non vengono applicate e nessuno paga prezzo. Credo che, nel rispetto e nella valorizzazione del ruolo della dirigenza pubblica e dei manager apicali, questo tema debba essere affrontato con puntualità dai decreti legislativi della legge Madia. Oggi come oggi possiamo già sistemare alcuni tasselli attraverso quei decreti legislativi e credo che questo sia uno dei temi, seppur con un punto di domanda.
  Abbiamo di fronte a noi tre anni di interregno perché la legge delega stabilisce che i segretari generali assumono le funzioni apicali per tre anni. Tre anni sono tanti in un processo e sarebbe molto interessante capire se nei decreti legislativi che il suo Ministero sta predisponendo si possano introdurre alcuni correttivi non tanto per modificando i tempi – non mi passa per la testa – quanto per creare da subito le condizioni perché gli attori apicali, con formazione e valutazione delle performance individuali, acquisiscano la capacità di accompagnare questo processo. Peraltro, essendo un processo in corso, non è rimandabile per tre anni. Ci vuole qualcuno in questo momento che lo guidi.
  Ho detto al sottosegretario Bocci e dico anche a lei, ribadendo che dovrei dirlo al premier Matteo Renzi, che non credo si possa accompagnare un processo così rivoluzionario, che cambia tutte le regole del gioco e delle relazioni, senza avere un ministro che segua gli enti locali. La sensazione che ho avuto nel corso di queste audizioni, espressa anche dall'onorevole Cecconi, è che, nonostante il coordinamento del Consiglio dei ministri e dei sottosegretari, l'autorevolezza di un ministro sia essenziale.
  In questa fase sarebbe indispensabile capire come creare una migliore collaborazione tra Parlamento e Governo, che si sta impegnando in questa partita, ma anche sollecitare maggiori riferimenti sulle attività che vanno in direzione della chiarezza, della trasparenza e dell'efficacia.
  A me colpisce, com’è stato detto, che si stia rimettendo mano al testo unico per gli enti locali – giustamente perché la legge n. 267 è stravolta – e che lo stia facendo il Ministero dell'interno. Ci sono contraddizioni che, in questo momento, sarebbe opportuno superare per creare le condizioni che consentano di accompagnare un processo necessario oggi più che mai.
  In ultimo, sarebbe molto utile, sottosegretario, se ci raccontasse tempi e modalità dei decreti legislativi della riforma che lei sta seguendo insieme al Ministro Madia. Questa riforma si inserisce nelle discussioni che stiamo facendo relativamente a unioni, città metropolitane e riorganizzazione territoriale e potrebbe anticipare la definizione di ambiti territoriali ottimali nei modelli di gestione dei servizi pubblici locali e quant'altro, tutte questioni che lei conosce perfettamente e che fanno parte della delega.

  MARILENA FABBRI. Vorrei fare solo alcune considerazioni perché condivido Pag. 9appieno l'intervento della collega Gasperini. Io ritengo assolutamente interessante questa fase, anche se ovviamente è complicata non solo per noi che dobbiamo legiferare, ma soprattutto per i territori e per i comuni, che devono sia rincorre le norme sia ripensarsi come soggetti sul territorio.
  Come veniva sottolineato, credo che le leggi Delrio e Madia abbiano aperto un nuovo scenario per la riorganizzazione del territorio. Ci sono nuovi soggetti e sono in evoluzione. Per quanto mi è dato capire, non è detto che questi acquisiranno la stessa forma sull'intero territorio nazionale.
  Eravamo abituati ad avere enti ben definiti, con funzioni e competenze chiare, in un rapporto gerarchico tra loro: i comuni, le comunità montane, laddove c'erano, le unioni montane, le province, le regioni e lo Stato. Anche i territori erano ben definiti e li avevamo ereditati dall'epoca napoleonica, che è stata la prima vera organizzazione amministrativa del nostro Paese.
  Oggi invece abbiamo qualcosa che è in evoluzione, con soggetti che possono essere anche in competizione l'uno con l'altro o alternativi. Prima si parlava di unioni. Le unioni possono essere enti che anticipano e accompagnano il processo di fusione. Unioni di comuni che complessivamente raggiungono i 5.000 o i 10.000 abitanti non sono destinate a rimanere unioni, almeno nella mia ottica, per lungo periodo perché sono diseconomiche. Sono in realtà l'accompagnamento verso un processo di fusione, che si porta dietro la semplificazione dell'organizzazione e della gestione nonché un'economia di scala. Diversa è l'unione di 50.000 o 100.000 abitanti, che non necessariamente deve costituire un comune fuso, ma diventa invece una cooperazione nella gestione.
  Potremmo avere territori dove le unioni diventano la base della riorganizzazione e della capacità di cooperare e cogestire nell'ambito di una provincia o di un'area vasta, che a quel punto potrebbe essere la somma di più province, venendo a coincidere con i vecchi distretti socio-assistenziali, che sono gli ambiti nei quali i comuni hanno esercitato di fatto la cooperazione e la gestione associata, e territori che invece non si articolano semplicemente in unioni e aree vaste, ma ad esempio vedono al proprio interno aree omogenee che possono comprendere unioni e comuni.
  Avere un'articolazione diversa può servire a tenere conto delle specificità territoriali e delle dimensioni dei soggetti. Penso all'area omogenea della città metropolitana di Milano. L'unione è un soggetto troppo statico e rigido rispetto a una realtà disomogenea come quella milanese, che conta comuni piccoli, ma anche comuni grandi e città con un territorio più vasto.
  Io vedo una situazione sicuramente confusa perché in evoluzione e particolarmente complessa, ma interessante. Soggetti che prima erano abituati a subire le scelte dall'altro e si limitavano alla gestione del territorio avranno maggiore responsabilità e consapevolezza. Il dialogo tra i diversi territori è più complesso e dovrà assestarsi in un disegno maggiormente definito.
  Le nuove province hanno mantenuto il nome, ma hanno una nuova struttura. Mentre prima erano gli eletti nel contesto provinciale a definire una serie di competenze e funzioni, a partire dalla pianificazione, e a calarle verso i comuni, adesso i comuni hanno una responsabilità diretta nell'autogestione. È una forma di autogoverno, di responsabilità diretta e di cooperazione. Avevo pensato a questa parola nel momento esatto in cui l'ha usata la collega Gasperini.
  Questa diversità in alcuni territori potrebbe ancora non emergere. Poiché si tratta, a mio parere, di un cambiamento nel modo di fare politica e di amministrare, in questa fase potrebbe essere inficiato dal fatto che chi c’è si porta dietro la propria esperienza e tende a replicare ciò che ha vissuto e a resistere all'innovazione. Ribadisco che non parliamo semplicemente di competenze e funzioni perché l'obiettivo principale è la semplificazione del sistema a servizio del cittadino.Pag. 10
  Il sottosegretario citava come suggestione la pianificazione pluriennale. Io ritengo che sia un tema importante quello di riuscire a definire un disegno pluriennale con la cooperazione di tutti. Il lavoro che abbiamo iniziato con l'indagine conoscitiva potrebbe servire a legiferare in modo diverso da come abbiamo fatto fino adesso e a costruire direttamente come Commissione direttamente qualcosa di condiviso, per quanto possibile.
  È un tema nel quale non è opportuno, a ogni cambio di legislatura, buttare all'aria tutto e ricominciare. Occorrerebbe una condivisione ampia affinché il testimone, come in un work in progress, passi da un Governo all'altro in nome dell'adesione all'obiettivo di semplificare il sistema e renderlo più funzionale e rispondente alle esigenze organizzative e di esercizio dei diritti dei cittadini.
  Dovrebbe essere l'obiettivo di tutti.

  LUIGI FAMIGLIETTI. Condivido in pieno quello che ha detto il sottosegretario. C’è sicuramente bisogno di una normativa che faccia chiarezza su questa materia e l'appuntamento potrebbe essere quello della riforma del Testo unico degli enti locali.
  Si è fatta molta confusione in questi anni e soprattutto non sono stati dati termini perentori, mentre in questa materia i comuni devono avere termini entro i quali associarsi oppure unirsi. Purtroppo le continue proroghe non hanno fatto altro che aumentare la confusione. Non è invece una materia che possa essere affrontata nella legge di stabilità, come ha detto anche il sottosegretario Rughetti.
  L'altro punto, oltre all'importanza di dare una tempistica certa, è far scattare il principio di sussidiarietà. Laddove, come per esempio la mia regione, la Campania, non ha mai legiferato né in materia di decentramento amministrativo né, tanto meno, in materia di riordino degli enti locali, allora c’è bisogno che intervenga lo Stato in via sussidiaria. Anche la legge Delrio prevedeva un osservatorio centrale e degli osservatori regionali che monitorassero l'applicazione della legge, ma purtroppo devo dire che sino ad oggi non ci sono stati effetti da questo punto di vista.
  Non abbiamo forse bisogno di tante ulteriori nuove norme, quanto di far funzionare le norme che già esistono.

  PRESIDENTE. Grazie anche per la rapidità.
  Do la parola al sottosegretario Rughetti per la replica.

  ANGELO RUGHETTI, Sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione. Grazie a tutti i colleghi che sono intervenuti. Comincio rispondendo all'onorevole Cecconi. Capisco che questo è un tema molto complesso, sia per le norme che si sono susseguite nel tempo, sia per la complessità del nostro sistema istituzionale, che è piuttosto complicato: 10.200 enti, oltre 33.000 centri di costo. Quando parliamo di pubblica amministrazione a volte pensiamo che ci sia un quadrato dentro il quale si parla tutti in modo ordinato, mentre è una questione molto complessa.
  Tengo però a precisare due cose rispetto al suo intervento. In primo luogo, la proposta complessiva del Governo, anche se capisco la difficoltà e la complessità del sistema, è già in essere. Se si mettono insieme gli effetti della legge n. 56 del 2014, gli effetti della riforma costituzionale, gli effetti della legge di riforma della pubblica amministrazione, quello che sta avvenendo – lo dico in termini molto semplici, in modo che ci capiamo più facilmente – è una ristrutturazione della pianta organica della Repubblica.
  In altre parole, noi abbiamo disseminato sul territorio, in questi anni, una pianta organica che è composta da tutti gli enti che compongono la Repubblica. Questa pianta organica è nata in vari modi, ma oggi questo è, e stiamo cercando di riadattarla ai bisogni e alle necessità, valutando dove ci sono ridondanze, cercando di avvicinare il più possibile la casa legislativa e istituzionale alla situazione reale dei territori.
  Da questo punto di vista, il lavoro sulle province, città metropolitane o area vasta, Pag. 11è un lavoro totalmente diverso rispetto al passato, come l'onorevole Fabbri ha già detto. Mentre prima avevamo degli enti che avevano delle competenze amministrative attribuite direttamente dalla legge, in molti casi, come diceva l'onorevole Gasparini, utilizzate ed esercitate anche in contrasto e in conflitto con gli altri enti istituzionali, con le città metropolitane e con la nuova area vasta – che non è detto che coincida con i territori della provincia – noi stiamo dicendo che i comuni che sono titolari di funzioni proprie, fondamentali e non, possono esercitare queste funzioni non più direttamente in casa loro, ma spostandole a un livello più alto.
  È una forma di autogoverno, l'ha detto benissimo l'onorevole Fabbri. La differenza non è soltanto stilistica o esegetica, è una differenza fondamentale. Se infatti questo disegno viene condiviso e portato avanti dai singoli territori, vuol dire avere una forma di gestione associata di funzioni e servizi che è totalmente innovativa rispetto al passato e che ha bisogno di due cose: la prima, una maturità politica e culturale degli amministratori locali, come diceva l'onorevole Gasparini; la seconda, la capacità di fare in modo che questa intuizione di questa visione abbia la possibilità di essere scaricata a terra con mezzi, a cominciare dai manager che verranno messi a disposizione di questi territori.
  Tenete conto che tutto questo è molto compatibile ed è addirittura auspicato dalla riforma della pubblica amministrazione, che in alcuni suoi aspetti – la nuova mobilità, la nuova dirigenza – va in questa direzione. È chiaro – passo all'onorevole Gasparini – che tutto ha bisogno di un periodo transitorio. Ricordo che la norma sul periodo transitorio dell'entrata in vigore del nuovo ordinamento della dirigenza è stata proprio voluta dal Parlamento (sia Commissione Camera sia Commissione Senato). Secondo me, ci sono le condizioni perché quel termine sia rispettato. Non solo, possono esserci anche dei territori che si prestano a voler sperimentare prima delle forme avanzate di applicazione di quell'opportunità, quindi il decreto legislativo, anche su suggerimento e suggestione delle Commissioni di merito, potrà magari dare delle risposte anche in termini diversi, quindi da territorio a territorio.
  Mi collego ora a una cosa che diceva prima l'onorevole Fabbri. Dobbiamo cominciare a pensare a una diversità da territorio a territorio, ossia le famose geometrie variabili. Abbiamo smontato un sistema rigido che, dal punto di vista amministrativo, ci consegnava un vestito fatto su misura per tutti. Faccio notare che nel nostro Paese attualmente ci sono 108 cerchietti organizzati nello stesso modo, come se quei 108 territori avessero gli stessi bisogni e le stesse necessità; cioè si ha lo stesso modello organizzativo, che si ripete 108 volte, ad Aosta e a Palermo, come se Aosta e Palermo avessero bisogno di una stessa risposta da parte del sistema pubblico.
  Questo è stato un errore fondamentale perché ha portato a non essere sufficienti in alcuni territori e ad essere ridondanti in altri territori. Quindi, le geometrie variabili, ovviamente mettendo davanti non gli interessi del sistema pubblico, ma gli interessi della comunità, sono secondo me una opportunità che va colta.
  Per far questo bisogna passare – lo dico in modo semplice – dal sistema della concertazione istituzionale, che è il sistema figlio della rigidità del Titolo V della Costituzione, alla integrazione istituzionale. Noi dobbiamo fare in modo che tra i soggetti che sono titolari di una responsabilità vi siano quelle che gli americani chiamano «spinte intelligenti», ma noi possiamo anche prevedere che diventino degli obblighi, per fare in modo che ci sia questa integrazione tra di loro, che sia improntata al risultato finale.
  Quello che diceva l'onorevole Famiglietti non può più accadere: non è che un sistema o una comunità si deve fermare o deve restare più indietro perché c’è un'istituzione che non fa il suo mestiere. L'ordinamento si deve dare delle risposte al suo interno che consentono, anche quando c’è quell'istituzione che non fa il suo mestiere, di garantire un risultato finale. Il potere sostitutivo va in questa Pag. 12direzione. L'esercizio del potere sostitutivo, non più come eccezione ma come risposta ordinata quando c’è qualcuno che non fa il suo mestiere, secondo me è una cosa che noi dobbiamo cominciare a valutare in termini normali.
  Questa è un'applicazione reale e concreta, secondo me, del principio di sussidiarietà.
  Concludo con due temi. Circa il nuovo piano, dal punto di vista metodologico, serve a mio modesto avviso un luogo nel quale, se ci sono degli interventi normativi ulteriori che accompagnano questo processo, li si trovi in modo organico e pulito, senza cercare di dare risposte affrettate. Il nuovo testo unico degli enti locali può contenere realmente un programma nuovo da cui ripartire, accompagnandolo con i decreti legislativi che il nostro ministero sta predisponendo. Ovviamente sarà il Consiglio dei ministri a stabilire il momento nel quale verranno approvati.
  Il lavoro fatto è a buon punto e prima della pausa delle prossime settimane penso che il Consiglio dei ministri approverà già una buona parte dei decreti legislativi. Alcuni meritano un'attenzione maggiore perché è più complesso l'oggetto della disciplina, però i tempi che la legge delega ci ha affidato saranno ampiamente rispettati. Quindi, voglio rassicurare anche la Commissione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario Rughetti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.35.