XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 3 dicembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI E DEI SERVIZI COMUNALI

Audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 3 
Bocci Gianpiero (PD) , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 3 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 5 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 5 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 7 
Fabbri Marilena (PD)  ... 8 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 9 
Bocci Gianpiero (PD) , Sottosegretario di Stato per l'interno ... 9 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni e dei servizi comunali, l'audizione del Sottosegretario di Stato per l'interno, Gianpiero Bocci, al quale do subito la parola.

  GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Naturalmente, come da buona tradizione parlamentare, lascerò un documento molto articolato sulle problematiche oggetto dell'audizione, che non solo ricostruisce quanto è successo in questi anni, ma anche le ricadute che alcune norme e alcuni provvedimenti hanno avuto sul sistema degli enti locali in riferimento ai due istituti delle unioni e della fusione.
  Inoltre, nel documento ci saranno anche alcune riflessioni su sovrapposizioni che abbiamo registrato, ad esempio, con la disciplina dei servizi. Allo stesso, modo, ci soffermiamo su alcuni tra quelli che giudichiamo punti di forza, mentre classifichiamo altri come punti di debolezza. Credo, quindi, che il documento rappresenterà sicuramente un contributo abbastanza qualificato e articolato su quanto è successo in questi anni. Lascerò anche l'elenco dei comuni che in questi anni hanno scelto di utilizzare l'istituto della fusione. Sono esperienze molto interessanti, che cambiano da regione a regione, per cui ritengo che il lavoro sarà utile alla Commissione.
  Mi soffermerò su alcune questioni a mio avviso di grande interesse, non solo perché sono le conseguenze di quanto è avvenuto in questi anni, ma soprattutto perché sono riflessioni che credo dobbiamo affrontare per rendere questi due istituti innovativi e capaci di avviare un importante processo di riforma nel Paese.
  Ricordo che, quando parliamo di processi di unione e fusione di comuni, bisogna partire addirittura dai primi anni Novanta. In particolare, faccio riferimento alla legge n. 142 del 1990, che stabiliva – proprio in previsione di una fusione dei comuni – la possibilità di due o più comuni vicini, appartenenti alla stessa provincia, con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti, di costituire un'unione. Ricordo, appunto, che la ratio di quella legge era di avviare un processo che portasse, dopo un periodo di esperienza dell'unione, alla scelta di quelle realtà dell'istituto della fusione.
  In realtà, dalla legge n. 142 del 1990 sino al 2011 si registra un sostanziale immobilismo. Lo spirito di quella legge molto importante e che ancora viene ricordata anche in diversi atti parlamentari, era di avviare un processo oggi al centro della discussione e dell'indagine conoscitiva della Commissione. Quando si ha un'accelerazione consistente in termini di quantità ? Si ha soprattutto nel 2014, Pag. 4quando c’è un segnale di inversione di tendenza molto importante – lo troverete nel documento che ho depositato – perché una serie di comuni dà vita concretamente alle fusione.
  Qual è il quadro di oggi ? Le unioni sono attualmente 450 e coinvolgono 2.401 comuni, pari al 29,83 per cento dei comuni italiani, con una popolazione residente pari a 9 milioni e 981 mila abitanti. Le regioni maggiormente interessate sono Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Sicilia. Naturalmente, questo dato del 29,83 per cento è un primo dato che deve far riflettere. Onestamente, è un istituto che fa fatica a trovare realizzazione: in alcune regioni va meglio, in alcune peggio, ma quello complessivo del Paese è il dato di un istituto che ha motivi di sofferenza nell'essere realizzato.
  Da questo punto di vista, concorrono anche le leggi regionali. Laddove ci sono state regioni, consigli regionali, assemblee legislative regionali che hanno approvato leggi regionali che favorivano le unioni e in cui gli atti di indirizzo accompagnavano questa scelta, naturalmente c’è stata una spinta maggiore, ma complessivamente il dato è sotto il 30 per cento, quindi non è particolarmente rilevante.
  Gli incentivi erogati dal Ministero dell'interno nell'anno 2015 per le unioni sono pari a 40,3 milioni di euro. Le fusioni, invece, concluse e che hanno coinvolto ben 101 comuni d'Italia risultano pari a 41. Ripeto che se andiamo a vedere come si sono articolate, troveremo che l'anno in cui c’è stata una spinta rilevante è il 2014. Sul 2015 posso dire che una serie di azioni avviate sul territorio nazionale fanno pensare a un ulteriore consolidamento di quest'accelerazione riferita all'anno 2014. La regione col maggior numero di fusioni è la Lombardia con dodici, poi ci sono la Toscana con otto, il Trentino con cinque, l'Emilia-Romagna e il Veneto con quattro e via via le altre.
  Qual è stato l'elemento che ha condizionato positivamente di più la spinta del 2014 e, comunque, un processo di maturazione degli ultimi anni ? A nostro parere, sono stati gli incentivi che riguardano il personale previsti dalle diverse leggi di stabilità. La legge di stabilità 2015 dice che i comuni che scelgono una fusione per i primi cinque anni non avranno vincoli e limiti relativi alla facoltà di assunzione, che invece hanno tutti gli altri comuni.
  Il secondo incentivo che ha funzionato è il patto di stabilità interno: per i comuni istituiti a seguito di fusione, a decorrere dall'anno 2011, per cinque anni successivi a quello della loro istituzione c’è la deroga al patto di stabilità. Poi c’è il cosiddetto patto verticale, riconosciuto dalla legge Delrio, un altro incentivo che sta funzionando, per il quale viene data facoltà alle regioni di individuare misure di incentivazione nella definizione del patto di stabilità interno verticale per le unioni e per le fusioni.
  Per quanto concerne un accostamento tra unione e fusione come punto di forza o punto di debolezza, la nostra analisi ci porta a una considerazione. A differenza di un processo che sancisce la obbligatorietà, il fatto che la fusione sia un processo che parte dal basso, matura dal territorio – addirittura, a precedere la decisione finale c’è un referendum, quindi il coinvolgimento dei cittadini – è un elemento che dà forza all'istituto, lo fa crescere, e diventa più convincente rispetto a un processo calato dall'alto.
  Se dovessi citare tre elementi di criticità che abbiamo riscontrato nella obbligatorietà dell'associazionismo, e quindi dei punti di debolezza delle unioni, che in parte a nostro parere incidono sulla percentuale che ho ricordato sotto il 30 per cento delle unioni realizzate a oggi nel Paese, non avrei dubbi nel dire che il primo è dato dal territorio, ovvero dall'idea che le unioni siano riservate ai piccoli comuni. Il secondo elemento di criticità sono sicuramente gli aspetti organizzativi, molto più complessi di quanto fosse lecito immaginare. Il terzo, che noi definiamo interpretativo, è dato da una serie di norme tra nazionali e regionali, e a volte quelle che non ci sono a livello regionale, che appunto indeboliscono quest'istituto.
  A nostro parere, l'obbligatorietà va superata in favore di una maggiore flessibilità Pag. 5che riconosca ai comuni una maggiore autonomia quali effettivi protagonisti del percorso associativo, consentendo agli stessi di decidere tempistica e contenuti dell'associazionismo. Ricordavo prima sulla fusione che questo processo, che parte dal basso, è molto positivo. Credo che sia anche un elemento da tenere in considerazione per altre esperienze. La fusione ha anche un bel risultato di semplificazione amministrativa, altro elemento non di poco conto nella riforma che stiamo cercando di portare avanti nel Paese.
  Si concorda, ad esempio, con le riflessioni sviluppate dall'ANCI – in audizione in questa Commissione nella persona del vicepresidente dell'ANCI, se non ricordo male – quando suggerisce di superare l'elemento strutturale del modello attuale di associazionismo, cioè il criterio demografico, e di valutare la possibilità di adottare come criterio l'istituzione di ambiti omogenei a livello provinciale che coinvolgono anche i comuni con popolazione superiore ai 5.000 abitanti. Consideriamo questo del riferimento demografico, come prima ho ricordato, uno dei tre o quattro punti di criticità più rilevanti che hanno condizionato quel risultato del 29,83 per cento di realizzazione.
  Abbiamo delle problematiche relative al personale sulle unioni, perché l'associazionismo obbligatorio ha evidenziato appunto problematiche sotto il profilo del personale per scarsità delle unità disponibili – c’è poca disponibilità del personale – e per mancanza di adeguata preparazione tecnico-amministrativa, che invece il processo associativo rende più necessaria. Sulle fusioni, invece, c’è proprio un'ottimizzazione del personale.
  Concludo con due riflessioni e, poi, resto a disposizione per qualsiasi chiarimento. La novità che emerge dallo studio che abbiamo condotto e che ho allegato alla documentazione lasciata alla Commissione è che tutti i comuni che hanno dato vita alla fusione stringono la spesa corrente, mentre aumentano molto vistosamente la spesa per gli investimenti. Questo è un dato da prendere in considerazione, soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo vivendo di crisi in cui cerchiamo di capire come rilanciare l'economia. I comuni che scelgono la fusione per gli incentivi che prima ho ricordato, a cominciare dal patto di stabilità per i primi cinque anni, hanno una larga possibilità di tornare a investire risorse e una restrizione invece delle spese correnti, che in pratica dovrebbe essere un binomio sempre più da accentuare: meno spesa corrente e più spesa per gli investimenti.
  Vengo all'ultima considerazione. Vanno valutate attentamente, proprio in una circostanza come questa di audizione, alcune sovrapposizioni di funzioni e servizi, in particolare – mi sentirei di dire – su due fattispecie. La prima è quella della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani; la seconda attiene all'erogazione dei servizi socio-assistenziali, i cosiddetti ambiti di zona, ATO, in ragione dei differenti bacini di utenza dei territori interessati.
  Credo di poter terminare qua. Naturalmente, ripeto che il documento che lascio è molto articolato e credo sia anche una grande vetrina di ciò che è avvenuto e che c’è oggi. Resto a disposizione per qualsiasi domanda.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sottosegretario.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Il sottosegretario, illustrandoci la riflessione del suo ministero, ci dice che il fatto che alcuni elementi stanno facendo funzionare il processo indica che, ovviamente, le fusioni sono meglio delle unioni. Credo che questo fosse evidente a tutti. Se, infatti, da una parte abbiamo una fusione, in cui due diventano uno solo, e dall'altra un'unione – per cui, per esempio, a cinque se ne aggiunge un altro, che diventa il sesto – è chiaro che è molto più facile che le cose funzionino nel primo caso.
  Inoltre, ci ha detto che gli incentivi hanno funzionato. Anch'io credo che su Pag. 6questo ci sia poco da discutere. È chiaro che, se si ricevono dei soldi in più, si sta meglio di sicuro. Vale per tutti. Se vado in banca e mi regalano 500 euro, sto meglio di sicuro. Gli incentivi sicuramente funzionano.
  Venendo alle cose che, invece, secondo il suo ministero non hanno funzionato viene innanzitutto in evidenza che il sistema dell'obbligatorietà non ha dato i suoi frutti, è stato impeditivo. È anche vero però che, nonostante l'obbligatorietà fosse nella legge Delrio, nella pratica non saprei quantificare quanti effettivamente da quell'obbligo hanno creato delle unioni forzate. Sulla base dei riscontri di quest'indagine conoscitiva, mi pare che nessuno abbia dato retta a quest'obbligo e proceduto a unioni obbligatorie. Le unioni nate dal 1990 e anche oggi sono nate spontaneamente, non perché qualcuno le abbia obbligate. Non saprei quantificare, quindi, e dire che l'obbligatorietà non ha funzionato. Non ha funzionato perché nessuno l'ha rispettata o nessuno l'ha fatta rispettare.
  In merito alle sue riflessioni finali, lei dice di spingere e di indirizzarsi di più verso le fusioni, che ovviamente sono uno strumento migliore rispetto alle unioni. Tutto questo senza tuttavia prevedere un'obbligatorietà, perché è limitante, ma delle incentivazioni, che ovviamente sono vantaggiose.
  Nell'esperienza avuta nel mio territorio o parlando anche con segretari generali di piccoli o grandi comuni – anche interfacciandomi con gli uffici del Ministero dell'interno per pareri, opinioni o sostegno ai comuni – ho notato che il Ministero dell'interno è sempre stato carente nel dare il giusto supporto ai comuni, soprattutto quelli piccoli, che forse avevano necessità di un supporto maggiore nella stesura degli statuti, nella scelta dei servizi da mettere nell'unione. Sono, infatti, scelte delicate.
  All'inizio, quando si è tutti d'accordo, uno statuto anche se scritto male funziona, ma poi magari cambiano le giunte, le amministrazioni, e comincia a diventare problematico. Si scrivono statuti all'inizio in cui si dice di mettere insieme dieci servizi e quando si tenta di metterli insieme si rendono conto che non sono in grado o lo sono per alcuni servizi sì e per altri no.
  Nel contempo, però, tutti hanno preso gli incentivi e non c’è stata da parte del Ministero dell'interno la verifica che il denaro dato per gli incentivi per un'unione o una fusione (anche se il problema è più nell'unione) siano stati dati dallo Stato, e quindi dai contribuenti, in maniera congrua. Purtroppo, infatti, ho verificato che molto spesso delle unioni sono nate soltanto per mettere le mani sul vantaggio economico, mettendo all'interno dello statuto due o tre funzioni anche piuttosto sciocche, e non per creare il meccanismo dei comuni che mettono insieme dei servizi. È chiaro che hanno fatto investimenti, ma la funzione, che doveva avere la legge, non è stata quella di dare dei servizi ulteriori ai cittadini, ma soltanto uno strumento per avere più liquidità.
  Non sono né fermamente contrario né a favore. Credo ci sia un grosso problema che non riusciremo a risolvere, anche se si vorrebbe farlo nel giro di poco tempo. Non credo, però, che sarà in poco tempo che la soluzione verrà trovata. Mi rendo conto che c’è un abbandono territoriale da parte dello Stato centrale che ovviamente impedisce fortemente il cambiamento. Trovo che a norma attuale, giusta o meno – io non la ritengo giusta – se ci fosse stato un Governo che avesse obbligato, e quindi avesse fatto rispettare la legge, e avesse guidato, avremmo sicuramente ottenuto qualcosa.
  Magari non sarebbe stata una soluzione perfettamente giusta e corretta, e oggi ci saremmo trovati qui a parlare di come limare o modificare il percorso. Al contrario, noi non abbiamo avviato nessun percorso da quindici anni a questa parte, ci diciamo che quello avviato non ha funzionato o non è giusto, ma in altri Stati ha funzionato mentre da noi non ci abbiamo neanche provato, e stiamo decidendo di fare qualcosa di diverso ancora, guardando fuori di noi (alla Francia o ad Pag. 7altri Paesi) che però hanno fatto questo percorso in dieci, venti o trent'anni. Noi, invece, vogliamo farlo in tre mesi.
  Se veramente si vuole cambiare, deve esserci in questo caso un Governo, un ministero o più ministeri che vogliano farlo veramente. Diversamente, ci lavoriamo qui in Commissione da mesi, ci lavoreremo in Parlamento, Camera e Senato, per altri mesi, finché non riusciremo a «trovare la quadra», perché l'argomento è delicato, e poi col foglio di carta in mano ci rivediamo nella prossima legislatura a ridiscutere del fatto che il sistema non ha funzionato.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Vorrei riprendere anch'io i temi richiamati dal collega Cecconi.
  In quest'indagine conoscitiva, nonostante io sia un amministratore da molto tempo, ho scoperto la quantità di attori che determinano le decisioni, anche di competenze. Abbiamo ascoltato veramente moltissimi soggetti, dall'Osservatorio sui servizi pubblici locali a tutti gli istituti sugli ambiti territoriali, alle associazioni delle province, città metropolitane e regioni, tutti coloro che oggi rappresentano comunque il mondo degli enti locali.
  Quello che è emerso da tutti, sostanzialmente, è che le unioni e dei comuni, specialmente le unioni, sono comunque in situazioni fragili, perché è vero che si sono create attraverso gli incentivi, ma in realtà non hanno colto fino in fondo che cosa volesse dire essere unione e semplificare veramente il sistema, specialmente per le funzioni che riguardano materie come il bilancio o la gestione del personale, quindi le funzioni principali degli enti locali.
  Detto questo, sono stati depositati alcuni emendamenti che colgono quello che riprendeva, che è quanto ANCI, ma anche il Sottosegretario Bressa non più tardi di ieri, ci ha illustrato come nuovo possibile modello per raggiungere il risultato di aiutare i comuni a fare sistema. C’è il tema delle aree omogenee e anche un altro tema interessante dal mio punto di vista.
  Una delle discussioni è e sarà quella su che cosa siano le aree vaste e quella relativa alla situazione del post-province. Aver individuato che siano i sindaci che fanno capo alle province a definire le aree vaste in un tempo sufficientemente breve, e comunque a definire nel corso del 2016 tra queste aree omogenee unioni e fusioni, accompagnandole, a me sembra particolarmente interessante. Vedremo poi quali saranno gli sviluppi nella discussione della legge di stabilità, ma il tema è stato comunque condiviso da alcuni parlamentari. Si tratta di capire, relativamente a quella proposta di emendamento, che si intreccia anche col lavoro che stiamo facendo in queste settimane, se lasciare libertà alle aree omogenee di definire le funzioni che gestiscono insieme o se inserire delle funzioni obbligatorie. Mi piacerebbe conoscere su questo una sua opinione.
  Vorrei porre una questione, che in parte dovrei formulare al Presidente del Consiglio dei ministri. A me sembra molto difficile, in una stagione in cui si chiede ai comuni di cambiare radicalmente e si dice alle province di non esserci più, affrontare una riforma costituzionale e non avere un ministro che segue gli enti locali. In pratica, i cittadini riconoscono principalmente i propri sindaci, e di fatto abbiamo costruito una Costituzione che fa riferimento ai sindaci come ai soggetti di rappresentanza vera dei cittadini.
  Siccome l'altro tema emerso è che questa molteplicità di attori non ha portato a un accompagnamento vero alla rimozione degli ostacoli, alla manutenzione precisa delle norme, la domanda è questa: esiste un coordinamento tra Ministero dell'interno, Ministero per gli affari regionali e soggetti che, da questo punto di vista, dovrebbero garantire l'accompagnamento e ricercare soluzioni ulteriori, sostitutive e/o aggiuntive di quelle prese per raggiungere il risultato ?
  Non è detto che, se quest'anno pensiamo una moratoria sulle unioni/fusioni per il 2016 e individuiamo un nuovo modello, lasciata la spontaneità – è obbligatorio farlo, ma potrebbe essere soltanto un fatto formale, non sostanziale – questo nuovo processo porti a un risultato Pag. 8che credo sia essenziale. Sono stata d'accordo con chi in questi giorni ha detto che gli enti locali sono sempre più in crisi e sempre meno riferimento, o comunque soggetto in crisi: se non aiutiamo a fare sistema e a fare politiche, credo che sarà un problema per l'intero sistema Paese.

  MARILENA FABBRI. Anch'io ho alcune considerazioni e delle domande.
  Innanzitutto, condivido le considerazioni appena espresse dalla collega Gasperini sia sulla questione del coordinamento sia dei ministeri, e quindi anche di una maggiore definizione delle responsabilità in un settore così strategico come quello degli enti locali, che comunque rimangono l'effettivo punto di riferimento sul territorio per i cittadini nella raccolta dei bisogni, ma anche nella richiesta di capacità e di risposta. Dovrebbero essere, quindi, il principale alleato e partner nella risposta ai bisogni dei cittadini da parte dello Stato. Ci sono delle previsioni anche in legge di stabilità. Superata la fase di criticità della spesa, dovremo anche rivedere come si gestiscono le risorse.
  Per tornare al punto, non condivido pienamente l'analisi sull'insuccesso dell'obbligatorietà rispetto al raggiungimento di unioni o fusioni. Se ci guardiamo indietro, proprio prima del 2010-2014, in realtà c’è il deserto. Il numero di unioni e di fusioni che si sono verificate dal 1990 al 2010 sono praticamente quasi inesistenti, mentre il boom c’è stato proprio a partire dal 2011, cioè dopo l'obbligo di legge e una serie di norme legate a incentivi di carattere normativo ed economico.
  Credo che, se un punto di criticità va evidenziato, non sia tanto nell'obbligatorietà, ma nel fatto che si sia legato solo all'obbligatorietà e agli incentivi il successo o meno di questa previsione di riordino istituzionale. Credo che quello che è mancato sia, invece, un accompagnamento politico e tecnico. Infatti, ci riproponevamo, come istituzioni, di rafforzare il soggetto più debole del tessuto istituzionale, cioè i comuni piccoli, ma non abbiamo tenuto conto che quella debolezza andava supportata se si voleva superarla. Abbiamo, invece, caricato su soggetti deboli – perché piccoli, con poco personale, con poca suddivisione delle competenze e delle professionalità, con amministratori che sono tali a tempo perso e non a tempo pieno, perché nel frattempo lavorano – il massimo dell'onere della riorganizzazione.
  Credo, quindi, che non sia sufficiente spostare il baricentro dall'obbligo alla volontarietà, quanto piuttosto prevedere degli strumenti di accompagnamento, di condivisione degli obiettivi e delle opportunità, anche economiche, nonché strumenti riorganizzativi del supporto agli studi di fattibilità perché fare questi studi significa dare degli incarichi e doverli pagare. Ma poiché i comuni hanno scarse risorse economiche e umane, difficilmente possono fare investimenti negli studi di che gli consentirebbero di fare il passo in avanti. Penso, dunque, che quello che sia mancato sia proprio un accompagnamento.
  Ben venga il fatto che negli emendamenti inseriti nella legge di stabilità 2016 si preveda un percorso parallelo e una maggiore responsabilità delle province e delle città metropolitane nel ridefinire l'organizzazione interna subprovinciale finalizzati alla migliore gestione dei servizi.
  Io non credo che si possa esautorare completamente il livello regionale, in quanto si tratta di un altro ente ordinatore che comunque va a ridefinire le funzioni fra il livello regionale, quello delle aree vaste, delle province laddove rimangono, delle città metropolitane e eventualmente delle unioni.
  Quindi, riterrei che sarebbe davvero auspicabile che nei prossimi mesi si realizzi questo accompagnamento, anche in ragione di quanto emerso nell'indagine conoscitiva e di un rapporto più stretto e condiviso maturato all'interno dell'ANCI e della Conferenza Stato Regioni, perché quello che abbiamo registrato nelle audizioni è stato proprio un cambio di passo da parte di soggetti che erano già tenuti a dare attuazione alla legge Delrio e che non l'hanno fatto, così che l'accompagnamento si è realizzato a macchia di leopardo e non con un atteggiamento omogeneo sull'intero territorio nazionale. Credo, dunque, che Pag. 9sia particolarmente importante questo cambio di consapevolezza da parte delle regioni e dei comuni sull'opportunità che ha un riordino istituzionale verso le unioni o le fusioni.
  Pertanto, la mia prima domanda è se sia già pensato a quali strumenti di accompagnamento di una maggiore maturazione politica e tecnica di questo processo mettere in campo, anche come regia nazionale, e se ci sia l'idea di rafforzare questa regia nazionale al di là delle previsioni normative, proprio per fare in modo che il processo sia sì volontario, ma basato anche su strumenti che consentono la maturazione di una volontarietà.
  Le fusioni hanno infatti avuto dei tempi più lunghi per maturare e sicuramente anche delle ponderazioni politiche più alte.
  L'altra domanda è quella sugli equilibri di bilancio. Prima è stato detto che tra gli elementi che hanno inciso positivamente sul processo di unione e di fusioni vi è anche l'assenza di limiti in materia di personale nel patto di stabilità che, invece, venivano previsti a favore dei comuni che non facevano questa scelta. Io credo che la previsione che c’è nella legge di stabilità di trasformare il patto in equilibri di bilancio è sicuramente un elemento positivo per tutti i comuni assoggettati al patto, ma è un elemento di criticità per i comuni fusi che non erano assoggettati al patto e che vanno a ridurre la capacità di investimento in conto capitale. Questo potrebbe dunque essere un elemento che va incidere negativamente sul processo che si era avviato dal 2014 in poi.
  Dunque è sicuramente importante un riordino delle norme. Credo che nel medio periodo dovremo porci il problema di semplificare le norme vigenti in questa materia e di meglio coordinarle rispetto alle sovrapposizioni che si sono create in questi anni e che creano un elemento di incertezza e di difficoltà a chi deve approcciarsi a questo tema con scarse risorse umane, affinché possano gestire al meglio questo tipo di complessità e di innovazione.

  PRESIDENTE. Do la parola al sottosegretario per la replica.

  GIANPIERO BOCCI, Sottosegretario di Stato per l'interno. Credo che la prima cosa che dobbiamo fare, anche quando si parla di enti locali, sia quella di capire ciò che serve ai cittadini. La centralità è garantita dalle cose utili che migliorano la qualità della vita dei cittadini.
  Quando si affronta, ad esempio, il modello organizzativo della gestione associata delle funzioni, credo che l'obiettivo principale sia quello di semplificare il quadro e non di aumentare i soggetti in campo. Più soggetti ci sono in campo, e più è difficile avere un modello che si avvicini ai bisogni dei cittadini.
  Da questo punto di vista, mi permetto di ricordare che, quando si parla di ambiti e di dimensioni, bisogna tener conto anche che oggi c’è un nuovo ente di area vasta. Senza entrare nel merito se sia una riforma condivisibile o meno, se sia stata positiva o meno – naturalmente, il Governo dà un giudizio positivo, ma questo è un parere del Governo – è chiaro che oggi c’è un soggetto di area vasta.
  L'obiettivo è quello di diminuire i centri di costo – o, se così li vogliamo chiamare – i centri decisionali, e provare a creare un quadro che, ad esempio, sul versante delle responsabilità dia la possibilità al cittadino di sapere meglio rispetto a oggi di chi è la responsabilità di una inadempienza. Oggi spesso è difficile, perché uno dice che è del comune, un altro che è della provincia, la provincia che è della regione. L'obiettivo che dobbiamo cercare di raggiungere è quello di metterci dalla parte del cittadino. Bisogna provare a capire quali siano le cose che occorrono, soprattutto per i tempi che viviamo.
  Non è che qualcuno abbia detto se c’è l'obbligatorietà le cose non funzionano. Ripeto quello che ho detto, perché è anche un aspetto naturale di democrazia: la storia ci insegna che tutti i processi che crescono e maturano dal basso si concludono molto meglio rispetto a quelli imposti dall'alto. È incontestabile questo. Voglio poi ricordare ai membri di questa Commissione Pag. 10che il più delle volte siamo costretti a fare norme in cui i termini sono posticipati. Quando si prevede un'obbligatorietà, infatti, bisogna poi rispettarla. Non si può stabilire un'obbligatorietà che diventa ogni anno motivo per prorogare i termini. Non è una pagina bella di questo Paese. Dobbiamo tornare a sapere che, quando c’è una previsione di legge, si deve rispettarla. In un Paese civile dovrebbe essere così.
  Nessuno mette in discussione il concetto di obbligatorietà. Si può anche dire che il 29 per cento sia un risultato straordinario. Se dopo quindici anni è un risultato straordinario, diciamo tutti che lo è, e siamo tutti più felici, ma non è così, come sanno soprattutto gli amministratori. Tanto è vero che c’è un problema. A proposito del sistema degli incentivi, giustamente chi è intervenuto all'inizio ha detto che è chiaro che funziona, perché aumenta la capacità di spesa sul versante degli investimenti.
  Voglio ricordare, però, che quello degli incentivi non è il tradizionale sistema del dare più soldi, un concetto abbastanza spesso discutibile anche sotto il profilo culturale. È un sistema che fa leva sulla capacità dell'amministrazione, e quindi credo che sia un sistema moderno rispetto al quale dovremo investire, come ci dicono gli studi e gli stessi amministratori locali. Ce lo dicono i sindaci. Ce l'ha detto l'Assemblea nazionale dell'ANCI a Torino poche settimane fa. Non è un'affermazione del Ministero dell'interno, ma delle esperienze dei sindaci.
  Credo, quindi, che occorra continuare a lavorare su un sistema che favorisca i processi di aggregazione che – ripeto, come certificato e consolidato da tutti gli studi – favoriscono a loro volta gli investimenti e aggrediscono la spesa corrente. Credo che l'obiettivo di un'amministrazione, di qualsiasi cittadino, sia di vedere più spesa per gli investimenti, per i servizi, per i lavori pubblici che spesa corrente. Uno dei problemi che in questi anni più volte abbiamo affrontato è esattamente questo, come far crescere gli investimenti e aggredire la spesa corrente.
  Voglio ricordare, e concludo, che nonostante l'idea che ci sia una specie di caos governativo, le competenze sono abbastanza chiare. Un ministero si occupa degli affari regionali, il Ministero dell'economia ormai da anni si occupa molto di leggi che prima si chiamavano finanziarie ed oggi, invece, di leggi di stabilità. Semmai, è questo un altro tema sul quale bisognerebbe discutere. Condivido quanto prima è stato detto in relazione all'esistenza di un problema di cultura degli enti locali, che non può essere solo un problema di risorse.
  Onestamente, negli ultimi quindici anni il rapporto degli enti locali si è molto indirizzato sul versante del Ministero dell'economia e delle finanze, e lo comprendo, ma la politica e la cultura degli enti locali non è solo un problema di risorse, ma ordinamentale, che sta dentro una serie di dinamiche che ho ascoltato anche oggi.
  In secondo luogo, abbiamo una conferenza ormai consolidata, che è quella tra Stato e regioni, e c’è quella dello Stato con le città. Sono due conferenze con responsabilità ben precise. Non sono indefinite, per cui una fa una cosa che fa anche l'altra. Non è così. Alcune competenze sono della prima, altre della seconda. A me sembra veramente che sia giunto il momento di mettere mano, ad esempio, alla riforma del TUEL, una delle sfide che bisogna portare avanti.
  Da questo punto di vista, se nell'indagine conoscitiva che state svolgendo troveranno uno spazio di non poco conto delle conclusioni su questo versante, credo che noi renderemo al Paese un servizio molto importante. Se anzi ci fossero delle indicazioni in questa direzione – o una griglia dal Parlamento attraverso la I Commissione della Camera dei deputati, dopo che ha svolto audizioni articolate come quelli che state svolgendo, credo che possiamo anche mettere mano a un'idea di legge delega. Il Parlamento potrebbe dare indicazioni abbastanza articolate e precise, non generiche, e Parlamento e Governo insieme potranno veramente mettere mano alla parte ordinamentale, che, se Pag. 11non importante quanto quella delle risorse, è sicuramente una parte decisiva per il futuro del sistema degli enti locali.
  Concludo con un contributo: noi possiamo fare tutto quello che vogliamo, ma a una cosa non possiamo scappare. Possiamo avere interlocuzioni con il Ministero dell'interno, con l'ANCI, tutte interlocuzioni importanti, ma questo tema non può essere riservato solo agli amministratori o ai parlamentari. Qui principalmente in mezzo c’è il cittadino. Se è così, dobbiamo avviare, come processo di innovazione vero, una riflessione su come semplificare il quadro complessivo dei soggetti in campo in questo Paese. Questa è l'altra sfida veramente importante.
  Dobbiamo farlo, perché dobbiamo avere con chiarezza dinanzi il quadro dei soggetti di riferimento, ma è l'esigenza che hanno anche i cittadini sapere a capo di chi e quali sono le responsabilità di questo o di quel soggetto, come oggi onestamente non è sempre semplice individuare.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Bocci.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.