XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 27 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI E DEI SERVIZI COMUNALI

Audizione di rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia (Upi), dell'Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia (Anpci) e dell'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM).
Invernizzi Cristian , Presidente ... 3 
Biglio Franca , Presidente Anpci ... 3 
Perosino Marco , membro del comitato direttivo nazionale Anpci ... 5 
Burgio Vito Mario , consulente nazionale Ancpi ... 6 
Rinaldi Giuseppe , presidente Upi regionale Lazio ... 6 
Mottinelli Pierluigi , consigliere nazionale Uncem ... 8 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 9 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 9 
Fabbri Marilena (PD)  ... 10 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 11 
Burgio Vito Mario , Consulente nazionale ANPCI ... 11 
Fabbri Marilena (PD)  ... 12 
Burgio Vito Mario , Consulente nazionale ANPCI ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 12 
Dadone Fabiana (M5S)  ... 12 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 13 
Burgio Vito Mario , Consulente nazionale di ANCPI ... 13 
Rinaldi Giuseppe , Presidente della provincia di Rieti e dell'UPI regionale Lazio ... 13 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 14 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 14 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 15 
Perosino Marco , Membro del comitato direttivo nazionale ANCPI e sindaco del comune di Priocca ... 15 
Rinaldi Giuseppe , Presidente della provincia di Rieti e dell'UPI regionale Lazio ... 15 
Invernizzi Cristian , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CRISTIAN INVERNIZZI

  La seduta comincia alle 11.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia (Upi), dell'Associazione Nazionale Piccoli Comuni d'Italia (Anpci) e dell'Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani (UNCEM).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni comunali, di rappresentanti dell'Unione delle province d'Italia (UPI), dell'Associazione nazionale dei piccoli comuni d'Italia (ANPCI) e dell'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani (UNCEM).
  Sono presenti, per l'Unione delle province d'Italia, Giuseppe Rinaldi, presidente dalla provincia di Rieti e dell'UPI regionale Lazio, Gaetano Palombelli, funzionario dell'UPI, Barbara Perluigi dell'ufficio stampa; per l'Associazione nazionale piccoli comuni d'Italia, Franca Biglio, presidente dell'ANPCI nazionale e sindaco del comune di Marsaglia, Marco Perosino, membro del Comitato direttivo nazionale ANPCI e sindaco del comune di Priocca, Vito Mario Burgio, consulente nazionale ANPCI; per l'Unione nazionale comuni, comunità, enti montani, Pier Luigi Mottinelli, consigliere nazionale UNCEM e Mario Battello, Direttore generale dell'Associazione di enti locali per la cooperazione territoriale.
  Ringrazio i nostri ospiti per la loro presenza e disponibilità e do loro la parola per lo svolgimento delle relazioni, a iniziare da Franca Biglio, Presidente ANPCI nazionale.

  FRANCA BIGLIO, Presidente Anpci. Buongiorno a tutti. Ringrazio per avermi dato la parola per prima perché sto facendo un giro di incontri con i sindaci dei piccoli comuni e devo rientrare velocissimamente a Milano.
  Rappresentiamo come associazione i comuni fino a 5.000 abitanti, che, detto chiaramente, sono le istituzioni più virtuose a livello nazionale. I loro conti sono in regola e si tratta di dati concreti, che possiamo consegnarvi. Sono comuni che non hanno mai dichiarato alcun dissesto. In Italia i comuni che hanno dichiarato dissesto finanziario sono 59, mentre 35 sono in pre-dissesto. Di questi neanche uno è piccolo.
  Eppure siamo i più penalizzati, in primo luogo, dalle normative che definiamo «soffoca-comuni», e la legge Del Rio, la n. 56 del 2014, è una di queste. In secondo luogo, continuiamo a subire tagli lineari. Stiamo verificando e constatando con mano che più si è virtuosi in Italia e peggio è. Non siamo premiati. Lo dice la stessa Corte dei conti: «Ai comuni è stato chiesto uno sforzo di risanamento non proporzionato all'entità delle loro risorse, a vantaggio degli altri comparti che compongono il conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche».Pag. 4
  Il Presidente Renzi, che è sicuramente consapevole di questi dati, in un tweet del 12 novembre 2013, alle ore 16.15, scriveva: «Questa storia che i piccoli comuni sono un problema dell'Italia non mi convince per niente. Non mi direte mica che lo spreco in Italia sono i piccoli comuni ? Gli sprechi sono a Roma e nelle regioni».
  Se c’è questa forte consapevolezza da parte del Governo centrale, noi ci chiediamo il perché di questo accanimento nei nostri confronti. Perché far calare dall'alto un provvedimento non solo incostituzionale e irrazionale ma inapplicabile, e cioè l'associazionismo obbligatorio per i comuni fino a 5.000 abitanti ?
  In Italia i comuni piccoli sono il 72 per cento. Gestiscono quasi tutto il territorio nazionale, per lo più collinare e montano, a forte rischio idrogeologico. Vogliamo fare prevenzione ? È sufficiente guardare la televisione per vedere cosa succede in Italia. La prima forma di prevenzione è mantenere saldo il presidio comunale, espresso soprattutto dai piccoli comuni, sul territorio. Grazie ai piccoli comuni abbiamo una manodopera a titolo gratuito, cioè i consiglieri e gli assessori, che non ritirano neppure il gettone di presenza e sono una grande risorsa su base volontaria.
  Non siamo solo noi a dire che le unioni sono matrimoni di convenienza dovuti agli incentivi che continuano a essere erogati per la creazione di queste forme associative, dichiarate fallimentari dalla stessa Corte dei conti. Non è mai stato fatto uno studio per verificare efficacia, efficienza ed economicità di questo strumento associativo, che non viene controllato. Non si sa se raggiungerà gli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità. Non si sa se darà migliori servizi né se soddisferà le esigenze di un territorio che ha bisogno di un rapporto diretto con il proprio sindaco, colui che rappresenta l'istituzione. Eppure nell'ambito delle unioni si può spendere quanto si vuole, mentre nelle convenzioni, strumento snello a costo zero, si deve dimostrare, entro tre anni, un risparmio del 5 per cento, altrimenti automaticamente diventano fusioni.
  Io chiedo, come ho già fatto in tantissime sedi, qual è la ratio di tutto questo. Dove si vuole arrivare ? In un'Italia che non ha più soldi, in cui si tagliano i fondi alla sanità e si riducono tutti i servizi minimi essenziali alla persona, come mai si trovano le risorse per incentivare strumenti associativi ? Qual è il motivo di tutto questo ? La riduzione del numero dei comuni italiani, esattamente come sta dichiarando Fassino, che si trova in difficoltà con la sua città metropolitana ? Le sue dichiarazioni, riportate da tutti i giornali, sono queste: «Un conto è gestire una città metropolitana con 315 comuni, un conto con 80 – e lo credo ! –. Un conto è gestire un'Italia con 8.000 comuni, un conto con 2.500, attraverso unioni e fusioni da 15.000 abitanti in su».
  Vogliamo la desertificazione di un territorio bellissimo, patrimonio dell'UNESCO ? Ventinove comuni dell'albese sono stati dichiarati patrimonio dell'UNESCO: sparirebbero ! Stiamo attenti a quello che stiamo facendo. Vi do atto di questa iniziativa, che è estremamente importante. Noi abbiamo sempre auspicato, per ogni normativa, un periodo di monitoraggio per verificare le effettive ricadute sul territorio. Questa Commissione lo sta facendo.
  La legge va assolutamente rivista nel suo complesso. Vediamo che cosa hanno fatto alle province per risparmiare 111 milioni di euro. Strade, scuole, personale: è il caos. Sono tutte in pre-dissesto. Tocca ai piccoli comuni ora ? Non facciamo un errore simile perché andremmo verso un territorio desertificato.
  Voi avete fatto la distinzione tra convenzione e unione e io ho già detto che le unioni sono matrimoni di convenienza. Nel documento che vi abbiamo inviato ci sono diverse richieste, che non sto a elencare perché vorrei lasciare qualche minuto al dottor Vito Burgio, che è nostro consulente tecnico.
  Chiudo lanciando l'appello finale che trovate nel nostro documento. Siamo in attesa della determinazione dei costi standard, che sono costati 15 milioni all'Istituto per la finanza e l'economia locale (IFEL) e sono chiusi in un cassetto perché Pag. 5le grandi città non sono in grado di rispettarli, al contrario dei piccoli comuni. Dobbiamo fissare dei paletti e parametrare l'associazionismo sulla base dei costi standard, così da verificare chi rispetta davvero l'efficacia, l'efficienza e l'economicità, ma in modo oggettivo, giusto, equo, equilibrato e non sperequato.
  Sulla base dei costi standard, tenendo conto dell'ormai imminente approvazione della riforma costituzionale, che riporta in capo allo Stato l'emanazione della legislazione in materia di enti locali – siamo pienamente d'accordo e lo gridiamo ! Basta delegare le regioni ! Ognuna fa quello che vuole ! C’è chi stabilisce determinati ambiti ottimali, chi non li stabilisce. Ci sono «mille Italie» anziché una sola. La materia degli enti locali deve ritornare in capo al Governo centrale e nello specifico in capo al Ministero dell'interno –, noi proponiamo la seguente modifica: «I termini per l'associazionismo previsti dall'articolo 16 della legge n. 148 del 2011 e successive modifiche e integrazioni in materia di unioni e convenzioni – unioni fallimentari, convenzioni virtuose che non costano nulla – obbligatorie per i piccoli comuni sono sospesi».
  Vi ringrazio tantissimo.

  MARCO PEROSINO, membro del comitato direttivo nazionale Anpci. Faccio l'appello dei sentimenti, raccontandovi la vita ordinaria dei giorni lavorativi nei nostri piccoli comuni.
  Quattro giorni su cinque, secondo la statistica degli impiegati, trascorrono a riempire moduli o a partecipare a corsi; un giorno a svolgere l'effettivo lavoro. Non so se sappiate cosa occorra fare per gestire la tesoreria unica, il patto di stabilità, il modello SIQUEL dei revisori dei conti – 120 pagine di ripetizioni di notizie che hanno tutti – le procedure ANAC e dell'antimafia – perché saremmo tutti mafiosi ! – il SOSE – quando arriva, quando c’è stato e quando è da reinvestire – il CIG, il CUP e il DUP – se va bene per il DUP abbiamo un'opera, ma dobbiamo preparare un sacco di documenti di costi e di aggiornamenti –, la fattura elettronica, che costa tra i 15 e i 25 euro, lo speedpayment, per cui non paghiamo l'IVA ai nostri fornitori piccoli o grandi, che andranno a credito e chissà quando l'incasseranno, il DURC – che serve anche per andare in bagno – e l'Anagrafe nazionale della popolazione residente, per la quale i delinquenti possono prendere la residenza entro quarantotto ore, avere la carta d'identità e girare indisturbati per dieci anni. In ultimo dobbiamo dematerializzare i documenti perché c’è un «cervellone» che ogni tanto «spara» un documento, ma nello stesso tempo faremo le copie e le fotocopie.
  Il personale è sotto stress. È in depressione. Sono dati di fatto. Non funziona e i costi sono aumentati perché i corsi costano. La ratio delle unioni e delle convenzioni è basata su una divisione sbagliata e non chiara tra funzioni e servizi. Per i servizi siamo già tutti insieme. Il ciclo dell'acqua lo gestiamo tutti insieme per forza, così come il ciclo dei rifiuti e il settore socio-assistenziale. Le funzioni essenziali, invece, devono restare in capo ai comuni.
  Si fa la guerra per un'unione e per diventarne il presidente. Poi al presidente gli altri sindaci chiedono, per favore, di avere la soluzione di un problema. Il presidente lo deve chiedere al responsabile del servizio, che abita da un'altra parte e può essere in ferie o in malattia, mentre i problemi forse si risolvono da soli. Dopodiché il responsabile del servizio, uno dei quattro, cinque o dieci comuni consorziati – gli altri sono sull'Aventino o fanno causa perché hanno perso l'indennità di funzione –, magari trova la soluzione.
  Perché il comune che ha le scuole in ordine e la mensa che funziona le deve mettere in unione con un comune in cui non funzionano ? Perché il comune che ha più mutui deve metterli insieme al comune vicino a farseli pagare dai cittadini del comune vicino, visto che il bilancio è unico ? L'unione, a mio avviso, è un'invenzione – perdonate, cari commissari – di una mente perversa o forse è copiata male dall'estero.Pag. 6
  Io penso che si debba lasciare autonomia, libertà e democrazia affinché ogni comune si gestisca a modo suo. Se potessi fare un accenno alla finanza locale, vi chiederei di non toccare niente. Abbiamo raggiunto le scadenze fiscali standard. L'IMU e la TASI il Governo le abolisce per motivare e stuzzicare il mercato immobiliare. È una scelta politica, ma gli uffici avevano trovato un equilibrio per andare avanti attraverso le scelte di ogni amministrazione. Se aumento l'addizionale IRPEF, rispondo ai miei elettori sulla base di quanto riesco a fare.
  Come appello finale, vi invito, a nome di tanti colleghi, a venire a vedere – pagandovi il viaggio – come funzionano le cose nei nostri comuni. Vi ospiteremo per un paio di giorni, così vedrete cosa succede e ci darete anche una mano, insieme ai vostri preziosi consigli. Come dice la nostra presidente, se volete fare le fusioni fatele subito, non nel 2019. Le faccia il prefetto domani mattina. Almeno non resteremo in questa agonia tremenda.
  Cari onorevoli, solo l'amore può salvare l'Italia, l'amore nell'accezione giudaico-cristiana del fare le cose gratis per gli altri, così come si fa nei piccoli comuni. In ultimo vi dico che è una scelta storica sciagurata avere abolito o cambiato le province per farle diventare un qualcosa che non si sa che cosa sia.

  VITO MARIO BURGIO, consulente nazionale Ancpi. Sarò brevissimo. Con le unioni i servizi si trasferiscono nel capoluogo dell'unione; con le convenzioni restano sul territorio. È dal 1990 che facciamo convenzioni, da quando c’è la legge n. 142 del 1990. Il 70 per cento dei comuni sotto i 5.000 abitanti si trova in tre regioni: Piemonte, Lombardia e Veneto. Sono tutti comuni convenzionati che rispettano i dieci parametri della Corte dei conti relativi alla normativa sul dissesto. I comuni che offrono i migliori servizi in base al Sole 24 Ore sono quelli sotto i 5.000 abitanti.
  Se questi comuni funzionano bene, perché volete unirli obbligatoriamente ? Lasciate la scelta ai singoli comuni. Faccio un esempio. Il Sottosegretario Bressa ha detto che vuole dare ai nostri cittadini gli stessi servizi delle città. Ma è meglio dare un servizio a un anziano a casa propria o portarlo in casa di riposo a dieci chilometri di distanza ? Questo è quello che succederà ai comuni. Si svuoteranno perché tutti si trasferiranno nel capoluogo. Se la scuola non sta più nel mio Paese, io mi trasferisco, non viaggio tutte le mattine o faccio alzare mio figlio alle 5 del mattino perché prenda lo scuolabus per fare 20 chilometri.
  Pochi conoscono le valli cuneesi o le valli della Lombardia. Questo è il problema. Sono provvedimenti calati dall'alto. Con la legge n. 557 del 1993 facciamo convenzioni snelle. Prendiamo il dipendente di un altro comune quando ci serve e per il tempo che ci serve, dopodiché quel dipendente torna nel suo comune. Il costo è inferiore. I dati ci danno tutti ragione: il «rapporto Giarda», il rapporto della Corte dei conti, i rapporti privati dimostrano tutti che le unioni costano di più.
  Cito solo un dato. Le unioni che si sono costituite adesso hanno aumentato il personale del 26 per cento. Il personale in quei comuni doveva contestualmente diminuire del 26 per cento e invece si è ridotto solo del 4 per cento. Sono un costo enorme. Le unioni fino adesso sono costate 450 milioni di euro. Sono un sacco di soldi, tolti ai comuni per darli alle unioni.
  Chiudo dicendo che il territorio coltivato in montagna trattiene più del 20 per cento dell'acqua. Non coltivato, non la trattiene. Non ci lamentiamo se poi arriva in pianura.

  GIUSEPPE RINALDI, presidente Upi regionale Lazio. Abbiamo letto con attenzione i dati che ci sono stati trasmessi sia attraverso l'indagine che state svolgendo sia al attraverso il resoconto del Ministero dell'interno sul lavoro fatto dalle prefetture. Siamo davanti – e noi ne siamo la testimonianza vivente – a un momento complesso di riordino delle funzioni e dell'assetto istituzionale dei nostri territori. Cercheremo di portare un contributo in linea con la fase che noi territori di Pag. 7area vasta stiamo attraversando, al netto di ciò che il Parlamento deciderà con la legge di stabilità. È chiaro che, se non ci saranno interventi nella legge di stabilità, sarà difficile attuare la riforma Delrio, anche nell'ottica delle gestioni associate.
  Dico subito per chiarezza, anche rispetto agli interventi che mi hanno preceduto, che l'Unione delle province italiane è flessibile sul tema delle unioni e delle convenzioni. Lo strumento della convenzione può andare benissimo perché è il più snello e non crea sovra-ordinazione con nuovi consigli, presidenti e nuove strutture stabili. Su questo siamo per lasciare massima flessibilità ai territori. L'importante è che, nell'ottica dell'applicazione della legge Delrio, si dia alle assemblee dei sindaci delle aree vaste la possibilità di costruire questo processo dal basso.
  Siamo in prossimità ormai della scadenza del 31 dicembre. Anche nel programma dell'indagine conoscitiva che ci è stata trasmessa si dice chiaramente che andiamo verso una proroga. Noi siamo per non prorogare più, ma per eliminare l'obbligatorietà. Facciamo, cioè, in modo che siano i territori a costruire, all'interno delle assemblee dei sindaci delle aree vaste, gli assetti che si intendono dare.
  Compatibilmente con la normativa che abbiamo davanti, è chiaro che un ruolo – forse dovrei dire ahimè ! – lo debbono svolgere anche le regioni. Lo scrivete anche voi nell'indagine conoscitiva: «un ruolo importante per l'attuazione di quanto disposto dal decreto-legge n. 95 del 2012 in materia di comuni era riconosciuto alle regioni». Se ne parla dalla legge n. 142 del 1990.
  Le regioni dovevano definire gli ambiti ottimali e cercare di fare chiarezza in un sistema che, come ricordavano anche coloro che mi hanno preceduto, vede già tantissimi ambiti che si sovrappongono: distretti sociosanitari, ATO dell'acqua, ATO dei rifiuti, ATO del gas. C’è confusione e tenete presente che in tutti questi organismi vanno sempre i sindaci e i loro delegati. Alla fine si crea un meccanismo che, anche fisicamente, diventa impossibile da gestire.
  Cercando di dare un senso al ruolo delle aree vaste, chiediamo che alla Conferenza dei sindaci e alle aree vaste sia dato un ruolo vero ed effettivo, facendo in modo che i territori costruiscano dal basso queste forme di gestione associata nella maniera che i territori stessi decideranno. Se lo riterranno, potranno usare le formule più snelle oppure potranno utilizzare enti che già esistono sui territori e attribuire loro ulteriori funzioni. Cerchiamo di far sì che anche le aree vaste svolgano qualche funzione.
  Nel programma dell'indagine si parla di stazione unica appaltante e di una serie di ulteriori servizi nei quali potrebbero essere coinvolte le strutture tecniche delle province, che sono, o almeno erano, più attrezzate dei piccoli comuni, per fornire loro un supporto e cercare di gestire questa delicata fase. Penso, per esempio, agli uffici tecnici delle province, agli uffici del personale e agli uffici legali, tutte strutture che potrebbero essere messe a disposizione dei comuni più piccoli e strutturalmente più deboli. Questo permetterebbe alle aree vaste di avere un ruolo, così come prevede la riforma Delrio, e allo stesso tempo di supportare i comuni, senza prevedere obbligatorietà.
  Non va dimenticato che l'obiettivo finale è fornire un servizio migliore ai cittadini che noi amministriamo. Su un'unica cosa forse non sono d'accordo con i colleghi che mi hanno preceduto. Piccolo è bello e siamo tutti consapevoli che la ricchezza dell'Italia sta anche in questa grande diversità, ma ciò che paventano i colleghi dell'ANPCI sta già avvenendo. Si sta creando l'Italia di serie A delle aree metropolitane, oggettivamente più forti e attrezzate, e l'Italia di serie B, e forse C, delle aree interne, a prescindere dalla collocazione geografica a nord, centro o sud, che sono sempre più deboli e dove i comuni si spopolano perché chiudono le scuole e gli uffici postali e si smantella un sistema istituzionale. A questo dobbiamo cercare di dare risposte.Pag. 8
  Noi crediamo che le nuove aree vaste insieme ai comuni, che in queste aree vaste hanno un ruolo fondamentale, possano svolgere, attraverso l'assemblea dei sindaci, un ruolo anche in questo delicato settore. Lo dico anche alla luce delle mie esperienze personali di sindaco, prima, e di presidente di provincia ora. Considerando le statistiche e i dati, senza fermarci solo al numero di gestioni associate o di unioni di comuni, ci accorgiamo che le unioni di comuni erogano principalmente tre servizi: i servizi sociali, la polizia locale e la raccolta dei rifiuti. Questo rischia di trasformare le unioni di comuni in società di servizi e si riapre la questione dei servizi pubblici locali e degli altri temi che ho solo velocemente citato con riferimento agli ATO. C’è una confusione che avrebbe bisogno di un legislatore regionale più attento e di un legislatore nazionale che supportasse questi processi.
  Come dite anche voi, c’è bisogno sicuramente di capacità, competenze e risorse per piani di fattibilità e supporto a strutture, come i comuni italiani, che sono oggettivamente in difficoltà a seguito di tutti i tagli che subiscono. Noi crediamo però che all'interno di questo sistema complessivo di riordino del governo locale tale funzione si possa svolgere attraverso la nostra proposta, che vi lasceremo in forma scritta, perché ci sono le condizioni.
  Avrebbe altrimenti avuto poco senso mettere in campo una riforma così complessa e difficile come quella che stiamo cercando di attuare con la legge n. 56 del 2014. Oggi la maggior parte delle province o meglio, vista la riforma costituzionale in itinere, delle aree vaste è rappresentata da sindaci e nel 2016 tutte le aree vaste saranno presiedute da sindaci o da consiglieri comunali. Una parte deve fare un lavoro e l'altra, cioè i comuni, devono farne un altro. Crediamo che sia un non senso e che questo lavoro si possa fare insieme.
  Mi fermo qui. Il dottor Gaetano Palombelli, che è il funzionario che segue la materia per conto dell'UPI, e io restiamo a disposizione per eventuali domande e per fornire elementi che nel corso del mio intervento potrei aver tralasciato.

  PIERLUIGI MOTTINELLI, consigliere nazionale Uncem. Sono amministratore di un comune della Valle Camonica. Dal 1998 nella nostra area abbiamo costituito un'unione di comuni. Come sindaco, presidente di comunità montana e di unione e oggi presidente di provincia, mi ritrovo in molte parti della relazione del collega Rinaldi.
  Ringrazio il presidente, l'Ufficio di presidenza e i deputati per l'opportunità di oggi. Nella discussione parlamentare sulla legge di stabilità abbiamo l'occasione di ritornare su una riforma, quella della legge n. 56 «Delrio», che io reputo innovativa e che dovrebbe essere portata avanti. La legge Delrio, che dovrà essere rivista dopo la riforma costituzionale, disciplina infatti il tema delle fusioni, delle unioni, delle forme associative e delle aree vaste, che io chiamo «case dei comuni».
  Data l'esperienza di cui sono portatore dal 1998, con la costituzione di un'unione di comuni prima del Testo Unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000) e ancora con l'obbligatorietà della legge n. 142 del 1990, io credo che le forme associative siano la risposta sia ai piccoli comuni sia ai territori delle aree interne e di montagna. Il mio comune ha 1.300 abitanti. Possiamo reclamare la virtuosità e l'abnegazione volontaristica dei nostri amministratori, ma alla fine abbiamo l'obbligo di dare ai cittadini le stesse condizioni di quelli delle città capoluogo, come diceva Gianclaudio Bressa. È chiaro che non possiamo fare da soli, ma abbiamo bisogno di forme associative.
  Le convenzioni sono più snelle, ma le unioni sono un patto costitutivo dal basso, come diceva prima Rinaldi, che deve avere un quid di politica in più e non solamente la convenienza. Io credo che la strada sia quella, tanto è vero che la legge n. 142 del 1990 parlava della possibilità di procedere alla fusione dopo dieci anni. Il Testo Unico l'ha eliminata e si parla di aree omogenee. Pag. 9Io credo che la scommessa, e in questo c’è una mancanza importante da parte delle regioni, sia costituire ambiti ottimali in cui formare un'aggregazione forte, ma chiaramente non obbligatoria.
  Ho ascoltato e condiviso tutte le critiche mosse all'esperienza fino qui delle gestioni associate obbligatorie (GAO), ma credo che la risposta non sia liberare i comuni e permettere loro di fare per conto proprio. L'esperienza di un territorio importante come la Valle Camonica e della provincia di Brescia penso dimostri che occorre dare l'opportunità ai comuni di mettersi insieme, trovando premialità e consentendo geometrie variabili.
  Le unioni possono mettere in condivisione la polizia locale e l'ufficio tecnico. Noi siamo costituiti dal 1998 e dal 2000 tutti i dipendenti delle cinque amministrazioni comunali che costituiscono l'unione sono dipendenti dell'unione, con un segretario unico che gestisce le ragionerie e l'ufficio tributi in maniera simile. Quando si passa a servizi più grandi, occorre avere dimensioni di area vasta e io credo che questo sia compatibile con province che diventano aree vaste e casa dei comuni.
  Quello che manca oggi e che rende opportuna la vostra riflessione e indagine credo sia la possibilità per i comuni di sperimentare un percorso politico di convinzione. Ritengo che la strada non sia l'obbligatorietà, come diceva Rinaldi e credo che abbia ragione quando dice che non possiamo prorogare e prorogare perché dà l'idea di mancanza di serietà. C’è stato un periodo in cui i piccoli comuni sotto i 1.000 abitanti venivano quasi espropriati della potestà di approvare i bilanci. Arrivare alla fusione dei comuni in maniera surrettizia sarebbe un errore, dal mio punto di vista.
  Bisogna mettere a disposizione di sindaci e amministratori un percorso che preveda aiuti. In passato si era parlato di premialità, ma anche di formazione degli amministratori locali. Credo che questa sia la strada. Se il Parlamento, tramite l'indagine conoscitiva di questa Commissione, vorrà dare un contributo, domani forse non avremo più 8.000 comuni. Nella regione Lombardia i percorsi di fusione presentano luci e ombre, ma io non sono contrario di per sé. Basta che la fusione sia volontaria e che il percorso parta, con convinzione, dal basso e porti ai cittadini non tanto il vantaggio di incentivi economici, ma risultati migliori.
  Detto questo, le posizioni sono diverse, come nel caso dei territori montani all'interno dell'assemblea dei piccoli comuni. Il protocollo tra ANCI e UNCEM porta chi vi parla a presiedere la Commissione montagna dell'ANCI, che sarà audita dopo l'assemblea di Torino. Non è un caso che chi è portatore, venendo dalle comunità montane, di un'esperienza di gestione associata di piccoli comuni nei territori montani – anche Rinaldi proviene da quella esperienza – abbia un attaccamento maggiore per le forme associate.
  A noi le forme associate vengono meglio e chiediamo che questa sperimentazione possa essere portata avanti.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Vorrei fare solo una considerazione. I motivi di questa indagine, che sono stati colti dagli interventi, rientrano nella necessità di capire, dentro un quadro di riordino, come riorganizzare lo Stato. Infatti, quello della cooperazione è il tema centrale anche della riforma costituzionale. Nel momento in cui si dice che i comuni sono i capisaldi della gestione delle politiche territoriali, credo che si tratti di capire come farlo nel 2016.
  Il 2016, infatti, sarà l'anno in cui concluderemo il percorso costituzionale e inizieremo l'attuazione della cosiddetta legge Madia. La riforma della pubblica amministrazione avrà certamente una ricaduta su questi temi. Inoltre, abbiamo le code delle decisioni prese precedentemente. In questo momento è dunque necessario capire come riordinare il sistema, rimettendo al centro la politica.
  In questa indagine conoscitiva che stiamo conducendo emerge il tema della Pag. 10gestione. Io ho fatto il sindaco in un comune di 80.000 abitanti e il tema di fondo che sempre pongo in questo periodo è che per gestire ordinariamente un comune non serve un politico: può bastare un direttore generale. Sarò brutale: quello che oggi serve a questo Paese è capire come i sindaci e le amministrazioni comunali, con tutti i livelli di responsabilità, possano farsi garanti di una politica che parta dal territorio.
  Da questo punto di vista, le piccole dimensioni di per sé non sono sufficienti. Sono ottimali per alcune piccole gestioni, ma non garantiscono politiche di sviluppo. Occorre ridefinire le aree vaste con vocazioni precise e, quindi, riordinando il sistema che oggi fa riferimento alle province. Mi piace l'idea, sottolineata nel corso dell'audizione, dei sindaci e dell'assemblea dei sindaci come soggetti che vengono accompagnati in un processo di cooperazione. L'accompagnamento è ciò che manca. Si è delegata la regione, ma le regioni non hanno fatto quanto è stato loro devoluto.
  Siccome in Costituzione si dice che sarà il Parlamento a dettare criteri per le aree vaste e siccome a ottobre finirà, come io auspico, il processo che condurrà all'approvazione della riforma della Costituzione, vale la pena capire, a partire da questi incontri, come ripensare le aree vaste e con quali indirizzi orientare le regioni a fare la propria parte per raggiungere l'obiettivo di un nuovo livello di cooperazione.
  Abbiamo chiesto di audire il Sottosegretario Bressa per conoscere lo stato d'attuazione della legge n. 56 del 2014. È un problema aperto e ci piacerebbe capire, come Commissione, in che modo possiamo dare un contributo all'attuazione delle leggi in corso. Sono talmente tante che in questo momento c’è un problema di riordino e di coerenza per evitare che il discorso diventi cacofonico.
  Ai rappresentanti di ANPCI dico che credo sia sbagliato rivendicare il fatto di restare da soli. Penso, invece, che sia utile sottolineare il fatto che occorre cooperare in maniera diversa. Si risponde ai comuni piccoli e, soprattutto ai loro cittadini, dando non solo servizi in gestione associata, come fate già, ma anche politiche che servano a quei cittadini. Le regioni non fanno politiche per i territori. Se non le fanno più neppure le province, allora chi farà le politiche di sistema ?
  Ho un'esperienza di piccoli comuni come persona che conosce benissimo tutte le problematiche della Valtellina. La politica sulle acque e sul recupero del territorio va fatta dentro un sistema. L'unione aveva questo scopo perché avrebbe dovuto funzionare come soggetto politico prima che come soggetto gestionale.
  I problemi posti sono reali. Si tratta di capire in questa fase come collaborare tutti insieme per riuscire a riordinare e dare coerenza al sistema.

  MARILENA FABBRI. Ci riserviamo di leggere i documenti che sono stati predisposti perché l'indagine conoscitiva ha proprio l'obiettivo di raccogliere dati oggettivi di valutazione e non solo considerazioni politiche. Ci sono dati economici secondo i quali il rapporto tra i costi dei servizi e i benefici per i cittadini sarebbe ottimale quando si è in una dimensione tra i 10.000 e i 25.000 abitanti, mentre il rapporto entrate-costi sotto i 10.000 abitanti sarebbe diseconomico e i cittadini pagherebbero di più per avere gli stessi servizi. L'elemento da indagare sulle grandi città e i comuni capoluogo è invece il fatto che questi offrono servizi a un ambito ottimale molto più grande.
  Io sinceramente, ma mi riservo di leggere i documenti, mi aspettavo dai piccoli comuni elementi che dimostrino i servizi che vengono erogati. Se i conti sono in regola, ma il numero dei servizi che vengono erogati è inferiore a quello di comuni più grandi e occorre, quindi, usufruire di servizi erogati in altri territori, non credo che l'obiettivo sia stato raggiunto.
  Anche io ho fatto il sindaco in un comune montano intorno ai 14.000 abitanti. Vengo da un'esperienza di comunità montana, in un territorio che ha fatto una scelta di azienda consortile speciale per gestire servizi sociali con un bacino di Pag. 11100.000 abitanti e 17 milioni di euro di budget, e che oggi ha costituito una fusione di comuni di 30.000 abitanti e un'unione di 120.000.
  Io credo che, nel ragionamento complessivo sul riordino, vada valutato anche ciò che sta avvenendo attorno a noi. Se è vero l'assunto «piccolo è bello» è anche vero che i piccoli comuni rischiano di rimanere isolati e indietro rispetto a opportunità che altri territori stanno invece offrendo ai propri cittadini. Lo spopolamento rischia di essere determinato dal fatto che altri territori diventano maggiormente attrattivi per i servizi e le opportunità di lavoro che si creano.
  Uno degli elementi dell'indagine riguarda l'obbligatorietà e la volontarietà, cioè quanto il processo debba nascere dal basso e quanto invece vada accompagnato e incentivato. Io sono dell'idea che vada accompagnato e incentivato perché è dal 1990 che questa opportunità esiste, ma i dati ci dicono che fino a pochi anni fa erano circa nove le fusioni in corso. Occorre un accompagnamento politico e non solo tecnico-amministrativo.
  Evidenzio che nella legge Madia è stata inserita la formazione. Insieme ad ANCI è stata, infatti, prevista la possibilità di creare momenti di formazione per il personale amministrativo proprio perché, come prima si sottolineava, i piccoli comuni fanno tutto quello che fanno i grandi ma con personale che fa tutto e non si può specializzare. È uno dei motivi alla base delle unioni e delle convenzioni.
  Privilegiamo unioni e fusioni in un ragionamento di razionalizzazione del sistema, il che non vuol dire perdere le identità comunali, ma darsi strumenti diversi per garantire l'erogazione dei servizi. È un aspetto interessante. Da un lato, si rivendica l'autonomia e la decisione dal basso; dall'altro, si chiede allo Stato di rendere obbligatori determinati processi.
  Io sono dell'idea che l'unione debba rimanere un percorso obbligatorio perché, è vero che si tratta di una convivenza in parte forzata, ma è anche una conoscenza finalizzata a una eventuale fusione, che invece deve rimanere su base volontaria perché rappresenta un salto e una scelta molto più drastica da condividere con i propri cittadini, visto che è previsto il percorso referendario anche nella nostra Costituzione.
  Non so se i piccoli comuni abbiano fatto i conti in una prospettiva futura, visto che siamo in una situazione di riduzione delle entrate. Giusto o sbagliato che sia, c’è un lavoro di razionalizzazione della spesa pubblica e delle tasse per i cittadini. La domanda, quindi, è se la riorganizzazione dell'architettura istituzionale dei nostri comuni e complessivamente quella dello Stato, possa determinare razionalizzazioni di spesa tali per cui con gli stessi soldi o con meno si riesca comunque a garantire quanto si garantiva prima o qualcosa di più.
  Ci sono esperienze di unioni fallimentari, ma ci sono esperienze di unioni molto virtuose. Un conto sono le unioni di 10.000 o 15.000 abitanti, dove la burocrazia e la fatica dello stare insieme sono maggiori di quanto si riesca a condividere in termini di benefici. Altro conto sono le unioni molto più grandi e, infatti, io sono dell'idea che unioni di 10.000 abitanti dovrebbero forse essere finalizzata alle fusioni e unioni più grandi, invece, a un'effettiva gestione associata e strategica. Non ci sono solo i servizi: c’è il piano urbanistico, ci sono i trasporti, il trasporto scolastico, la gestione della neve, la gestione delle strade ed eventualmente la gestione delle scuole distrettuali.
  Anche la mia, presidente, più che una domanda è una considerazione. Leggeremo i documenti che ci sono stati consegnati perché uno degli obiettivi è comprendere le fatiche e le difficoltà che si stanno incontrando sui territori rispetto a questo tema.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  VITO MARIO BURGIO, Consulente nazionale ANPCI. Forse c’è un malinteso. Noi siamo per l'associazionismo, ma dobbiamo essere liberi di farlo con gli strumenti che vogliamo noi, con le convenzioni Pag. 12o con le unioni a seconda della convenienza in base ai piani finanziari.
  La legge n. 56 del 2014 (cosiddetta legge Delrio), onorevole Fabbri, obbliga ad associarsi fino a 10.000 abitanti per servizi per i quali questo non serve. Parlo del servizio di ragioneria o altri servizi semplici. Sulla politica sociale, sull'acqua o sui rifiuti abbiamo grandi convenzioni. Abbiamo anche 70 comuni che hanno fatto gli ATO e funzionano, ma dovete darci l'autonomia. Noi non diciamo di voler stare soli. Siamo per le convenzioni perché sono più snelle per i servizi. La legge Delrio parla di fusioni, ma non può obbligarci ad arrivare a 10.000 abitanti entro un certo tempo.
  Non è detto poi che con le unioni si risparmi. Il dato oltre i 25.000 abitanti che è stato riferito non tiene conto del fatto che il 70 per cento dei piccoli comuni si trova nei territori montani. Al netto della spesa dello sgombero neve, i costi dei piccoli comuni sono più bassi di quelli medi. Verificatelo con i dati dell'Istituto per la Finanza e l'Economia Locale (IFEL). Uno studio privato di Nicola Melideo evidenzia che le migliori performance, anche a livello di residui attivi e passivi di spesa, sono quelle dei piccoli comuni in convenzione. Per quanto riguarda i servizi, onorevole, sono i cittadini a dire se vanno bene o male. Pensate che con le unioni miglioriamo i servizi ? Li trasferiamo nel capoluogo.
  Un'ultima cosa. Posso sapere se l'unione di 120.000 abitanti a cui si riferiva è quella di Ferrara ?

  MARILENA FABBRI. No, è il distretto di Casalecchio di Reno, in provincia di Bologna.

  VITO MARIO BURGIO, Consulente nazionale ANPCI. Io ho studiato l'unione di Ferrara e posso dire che funziona, ma la vostra regione ha più dipendenti di quelli del Piemonte, che però ha il triplo dei comuni. Nella vostra realtà c’è un esubero di personale che conviene spalmare nelle unioni.
  L'unione di Ferrara fa 120.000 abitanti e funziona benissimo. I dipendenti sono ottocento. Io ho provato a creare un'unione analoga in Piemonte e ho dovuto unire sessanta comuni, tra cui Mondovì e altri grandi comuni, per arrivare a seicento unità di personale. Il problema grosso dei piccoli comuni non è il disservizio. Abbiamo pochissimo personale perché siamo sempre stati virtuosi. Abbiamo un rapporto dipendenti per abitante di 1 a 120, quando dovrebbe essere 1 a 98.
  Noi siamo per l'associazionismo, ma libero e autonomo in base all'economia.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Dadone, che ha chiesto di svolgere un ulteriore intervento.

  FABIANA DADONE. Grazie presidente. Mi limiterò a fare tre domande dirette all'Associazione piccoli comuni italiani, ma se vorranno intervenire anche gli altri, nel caso abbiano qualcosa da dire in merito, sarò contenta perché in questa maniera si crea un dibattito più costruttivo. Pongo questa domanda perché tempo fa noi parlamentari abbiamo ricevuto del materiale e vorrei capire meglio il vostro punto di vista dei piccoli comuni, come associazione.
  Sono tre i punti dei documenti che ci avete mandato su cui vorrei porvi le mie domande. Il primo riguarda la revisione generale e la semplificazione delle norme sugli appalti. Quali sarebbero gli aspetti più interessanti per i piccoli comuni che riterreste di proporre nello specifico per riuscire a rendere la normativa più aderente alle esigenze della realtà che vivete tutti i giorni ?
  Il secondo punto è la deroga al patto di stabilità per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti. Quali sono i punti qualificanti per riuscire a porre la richiesta di un patto di stabilità ad hoc per i piccoli comuni: deroghe ai vincoli se sono collegati a obiettivi specifici, al blocco di avanzi dell'amministrazione ?
  L'ultimo punto è l'abolizione del comma 8, dell'articolo 7, della legge n. 131 del 2003 sul parere delle Sezioni regionali della Corte dei conti, che voi chiedete sia affidato di nuovo al Ministero dell'interno. Pag. 13Come mai fate questa richiesta ? Non ritenete che in materia di conti l'organo più idoneo a esprimere pareri sia appunto la Corte dei conti ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per una breve replica.

  VITO MARIO BURGIO, Consulente nazionale di ANCPI. Parto dall'ultima domanda.
  C’è una contraddizione. Se la Corte dei conti è un organo di controllo, non potrebbe emanare pareri. Il problema è quello di una vacatio del Parlamento: ormai non legiferate più voi parlamentari, ma la Corte dei conti. I pareri della Corte dei conti ci stanno massacrando. Io invito tutti i comuni a non chiedere più nulla alla Corte perché stravolge le leggi e le interpreta in maniera completamente diversa. Vi potrei fare un elenco.
  Noi ogni giorno andiamo in comune e non sappiamo che legge applicare sul personale. Ci sono tre limiti di spesa per il personale. Per le assunzioni ce ne sono quattro. La produttività rientra tutta o in parte ? Con i loro pareri le sezioni riunite della Corte in sostanza legiferano e dicono cose contrarie a quello che è scritto nella legge.
  Una volta solo il Ministero degli interni dava pareri sul personale. Oggi lo fa il Ministero degli interni, l'ARAN, il MEF e la Corte dei conti. Mi dite come si fa a lavorare con quattro enti che danno pareri diversi sulla stessa materia ? Prendete la produttività. C’è una lite tra MEF e Corte dei conti e noi stiamo in mezzo.
  Per quanto riguarda il patto di stabilità, sotto i 1.000 abitanti vogliamo abolirlo. È una camicia di forza per i comuni. Noi siamo virtuosi e abbiamo avanzi di amministrazione da spendere per far ripartire l'economia, ma non riusciamo a farlo. Per costruire una scuola in un comune ho impiegato cinque anni perché mentre la stavo facendo siamo entrati nel patto di stabilità e ho dovuto cambiare tutte le norme. Sembrava il gioco dell'oca: vai avanti e poi torna indietro.
  La legge sugli appalti dal 1996 a oggi ha subito una modifica ogni trentasei giorni. Gli appalti non funzionano non perché non sappiamo farli, ma perché c’è una continua modifica legislativa, che si accompagna a una miriade di sentenze dei TAR. Noi sugli appalti non capiamo più niente. Dirò una cosa controtendenza, ma la formula migliore oggi, se fatta bene, è la trattativa privata. Le ditte sanno fare le cordate e, quindi, riescono a prendere gli appalti. Dobbiamo semplificare tutto e infatti tra le nostre proposte vi è propri questa.
  Chiediamo semplificazione per i servizi. Sulle grandi funzioni siamo d'accordo a fare insieme i piani regolatori, gli ATO acqua e rifiuti. Già lo facciamo e ci sono anche gli accordi di programma. Facciamo gli accordi di programma previsti dalla legge n. 267 del 2000, che prevedono che dieci o quindici comuni si accordino e facciano un programma di sviluppo insieme, come con i fondi europei.
  Gli strumenti li abbiamo. Non dovete obbligarci a stare per forza nelle unioni, che non funzionano nemmeno politicamente. Chiediamo di applicare la legge n. 557 del 1993. Per esempio, il ragioniere si può collegare via internet da un altro comune. Non c’è neanche bisogno che venga di persona. Si collega al sito, fa la ragioneria da un altro comune e viene pagato per le ore che svolge il servizio. Nelle unioni va pagato in quota parte sempre, mi serva o non mi serva. Altro esempio è il vigile. Il comune di Marsaglia è tutto controllato da telecamere e non ha problemi di sicurezza. Il vigile serve una volta all'anno: lo si chiama e lo si paga per quelle ore. Nell'unione va pagato tutto l'anno anche se non serve o bisogna inventarsi qualcosa per farlo lavorare. Sono cose pratiche.
  Noi vogliamo l'associazionismo, ci mancherebbe ! Lo facciamo anche.

  GIUSEPPE RINALDI, Presidente della provincia di Rieti e dell'UPI regionale Lazio. Più che rispondere alle domande dell'onorevole Dadone, vorrei ricollegarmi agli interventi precedenti. Vorrei fare un appello. Si capisce chiaramente che questo è un Paese in cui ci sono tantissime Pag. 14differenze. L'onorevole Fabbri parlava di un'unione di 120.000 abitanti. Ebbene, tutta la mia provincia fa quasi 160.000 abitanti. Vi pregherei, quindi, di parlare di questo tutti insieme. La legge n. 56 del 2014, le unioni di comuni, la legge Madia devono essere parte di un ragionamento unico, anche perché all'interno delle assemblee dei sindaci, come chiediamo noi, si possa disegnare dal basso qualcosa che regga da un punto di vista organizzativo, gestionale ed economico e abbia un senso politico perché lo costruisce il territorio.
  Forse la mia è una provocazione, che voglio dire anche se in questa sede rappresento l'Upi. Probabilmente, prima di costituire in un territorio, ad esempio, tre unioni di comuni da 100.000 abitanti o da 80.000 o da 50.000, ci dovremmo interrogare se in quel territorio un'area vasta serva oppure no ! Nel territorio regionale probabilmente anche l'area vasta va ridisegnata e credo che l'Emilia-Romagna stia pensando di farlo. Se si crea un'unione di comuni da 120.000 abitanti, probabilmente quella provincia non ha più senso, anche perché magari le rimangono da gestire le scuole superiori e le strade, che possono essere affidate a un'agenzia o a una società, senza bisogno di un altro luogo istituzionale di confronto.
  L'appello è a ragionare tenendo conto di tutto perché stiamo parlando del complesso riassetto istituzionale del sistema Paese. Rischiamo che una parte se ne vada per conto suo e sarebbe estremamente sbagliato. Temo, scusandomi perché siete tutti parlamentari, che se non si interviene in legge di stabilità una parte di questo processo di riordino andrà comunque a farsi benedire perché le province o aree vaste del Paese, che io oggi rappresento, rischiano il dissesto totale.

  PRESIDENTE. Do la parola al deputato Cecconi che ha chiesto di intervenire.

  ANDREA CECCONI. Grazie presidente. Ho una domanda. Io vengo da un'esperienza territoriale che non è florida come quella descritta dai colleghi del Partito democratico. Come è già stato detto, il Paese è molto diverso. Un conto è parlare della Pianura Padana e un altro è parlare di una regione estremamente montuosa, con numerose valli e linee di contatto tra una valle e l'altra che non esistono. Lì una grande unione di comuni non è funzionale.
  La mia domanda riguarda quanto hanno affermato i rappresentanti dei piccoli comuni, ma la allargherei anche agli altri auditi. È stato detto che le unioni di comuni – e credo sia vero – sarebbero dettate dalla convenienza puramente economica legata agli sgravi che il Governo dà ai comuni che si uniscono. Lo stesso vale per alcune fusioni, che sono a volte frettolose e decise solo per sbloccare il patto di stabilità. In Italia succedono cose imprevedibili. Qualcuno si è dimenticato il referendum per chiedere la fusione e lo ha indetto dopo. Cose dell'altro mondo !
  Poiché credo che molte unioni non siano funzionali all'erogazione di servizi migliori, ma solo alla possibilità di respirare per qualche anno o qualche decennio e spendere i soldi che si hanno in cassa – ovviamente i numerosi tagli hanno messo tutti in difficoltà –, vi chiedo se, secondo quanto ritenete, il sistema incentivante che è stato studiato dal Governo debba essere abolito del tutto o se eventualmente debba prevedere un meccanismo coercitivo, che imponga di fare alcune cose per ottenere tutti i fondi.
  Io capisco la posizione dei piccoli comuni, che non vogliono l'unione obbligatoria, ma condivido la visione generale per cui è necessario che i piccoli comuni si uniscano. Pretendere che tutti i piccoli comuni lo facciano in maniera volontaria è una chimera. Penso invece che sarebbe fattibile mantenere un obbligo per lo meno per le convenzioni. Io non credo che le unioni siano una buona scelta per questo Paese perché sono politiche e creano un ente dove gli equilibri politici a volte schiacciano il piccolo comune a favore di quello grande. La convenzione, invece, è un contratto tra le parti con cui si chiede un servizio a pagamento e, se non si ottiene il servizio, si ha un risarcimento.Pag. 15
  Io credo che queste dovrebbero essere obbligatorie. Vorrei però conoscere il vostro punto di vista.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per una breve ultima replica.

  MARCO PEROSINO, Membro del comitato direttivo nazionale ANCPI e sindaco del comune di Priocca. Concordo al cento per cento con quanto ha detto perché le unioni spesso sono fatte per convenienza o per avere un controllo politico, più facile da ottenere su una popolazione più numerosa facendo liste politiche e partitiche anziché civiche. Si ha questa tentazione. Teniamo conto che le tendenze politiche cambiano nel corso degli anni. Ritengo anche che le unioni si facciano per avere gli aiuti economici, che sono in contraddizione con le finalità dell'unione di comuni. Se l'unione risparmia, non ha bisogno di contributi, che sono stati tolti al Fondo di solidarietà e cioè a tutti gli altri comuni nel loro insieme.
  A mio avviso, come è stato detto anche in altri interventi, c’è ancora una grossa incomprensione e difficoltà a parlare lo stesso linguaggio. Ci sono realtà diverse e non tutti abbiamo bene in mente che cosa vogliamo mettere in unione. Quando parliamo dei servizi, siamo tutti d'accordo e in larga parte d'Italia è già stato fatto perché i rifiuti o il comparto socio-assistenziale, ad esempio, non li puoi gestire da solo. Se, invece, vengono messe in unione le funzioni essenziali dell'amministrazione generale – cioè ragioneria, lavori pubblici, urbanistica ed edilizia – allora cessa la ragione di esistere del singolo comune. È inutile dire che il comune è una risorsa e che piccolo è bello se il sindaco diventa una figura di pura immagine, che rimane lì ma ha delegato tutto a qualcun altro.
  In ogni processo di questo tipo noi chiediamo che sia fatto riferimento ai costi standard, che mettono di fronte all'evidenza di ciò che è stato fatto fino a ieri e di ciò che si dovrà fare da oggi o da domani.
  Concordo con quanto lei ha detto e apprezzo l'attenzione con cui ha esaminato l'esperienza sul campo rispetto a idee preconcette.

  GIUSEPPE RINALDI, Presidente della provincia di Rieti e dell'UPI regionale Lazio. Non confondiamo le patologie con l'associazionismo, nelle forme che i comuni riterranno. È un discorso politico di sviluppo dei territori e di programmazione urbanistica. Non ci limitiamo solo al tema ragionieristico dei servizi e dei costi perché potrebbe essere un limite.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.20.