XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 2 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 2352  ED ABBINATE, RECANTI MODIFICHE ALLA LEGGE ELETTORALE

Audizione di esperti.
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 3 ,
Onida Valerio , Presidente emerito della Corte Costituzionale ... 3 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 4 ,
Ceccanti Stefano , Ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 4 ,
Pertici Andrea , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Pisa ... 6 ,
Morrone Andrea , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Bologna ... 8 ,
Luciani Massimo , Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 10 ,
Guzzetta Giovanni , Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 13 ,
Caravita Di Toritto Beniamino , Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 15 ,
La Loggia Enrico , Esperto della materia ... 17 ,
Marini Francesco Saverio , Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata ... 19 ,
Villone Massimo , Emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» ... 22 ,
Besostri Felice , Esperto della materia ... 25 ,
Falcone Anna , Esperta della materia ... 26 ,
Di Gregorio Luigi , Ricercatore in scienza politica presso l'Università della Tuscia di Viterbo ... 28 ,
Tedeschini Federico , Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 31 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 33 ,
Tedeschini Federico , Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 33 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 33 ,
Violini Lorenza , Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 33 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 36 ,
Dieni Federica (M5S)  ... 36 ,
Centemero Elena (FI-PdL)  ... 36 ,
Menorello Domenico (CI)  ... 37 ,
Biancofiore Michaela (FI-PdL)  ... 37 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 37 ,
Biancofiore Michaela (FI-PdL)  ... 37 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 37 ,
Biancofiore Michaela (FI-PdL)  ... 37 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 38 ,
Besostri Felice , Esperto della materia ... 38 ,
Morrone Andrea , Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Bologna ... 39 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 40 ,
Falcone Anna , Esperta della materia ... 40 ,
Villone Massimo , Emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II» ... 40 ,
Violini Lorenza , Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano ... 41 ,
Guzzetta Giovanni , Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata» ... 42 ,
Di Gregorio Luigi , Ricercatore in scienza politica presso l'Università della Tuscia di Viterbo ... 42 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 43

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Area Popolare-NCD-Centristi per l'Europa: AP-NCD-CpE;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di esperti nell'ambito dell'esame dei progetti di legge C. 2352 ed abbinati recanti modifiche alla legge elettorale.
  Avviamo le audizioni, che si svolgeranno in ordine alfabetico, fatta eccezione per alcuni esperti che hanno manifestato delle esigenze di urgenza. Partirei, quindi, dal professor Onida.

  VALERIO ONIDA, Presidente emerito della Corte Costituzionale. Grazie, presidente. Per restare nei limiti di tempo fissati, toccherò solo due temi, scusandomi anche se le mie non saranno solo considerazioni strettamente tecnico-giuridiche.
  Il primo tema è quello del premio in rapporto all'effetto maggioritario che si vuole conseguire. Il secondo tema, invece, è più specifico e riguarda una clausola della legge elettorale attuale, tuttora in piedi e non toccata dalla pronuncia della Corte sull'individuazione del candidato premier.
  Sul primo tema, premio ed effetto maggioritario del sistema, vorrei sottolineare che c'è una differenza fondamentale fra due sistemi che passano per essere entrambi maggioritari, il sistema del collegio uninominale e il sistema proporzionale con premio di maggioranza.
  L'effetto maggioritario nel caso del collegio uninominale è insito nel fatto che, in realtà, si svolgono tante competizioni per la maggioranza quanti sono i collegi, cioè si formano tante maggioranze quanti sono i collegi. L'effetto maggioritario consiste nella somma di tanti effetti e di tante competizioni. Quindi, le forze politiche sono avvantaggiate dall'effetto maggioritario solo se sono maggioranza in un numero più o meno elevato di collegi. Se sono, invece, dappertutto minoranze, sono praticamente escluse.
  La maggioranza di tipo nazionale, ossia una maggioranza nell'intero Parlamento, è solo eventuale e si verifica solo se c'è una determinata uniformità nei risultati delle competizioni dei singoli collegi, perché in quel caso non si tratta di eleggere dei partiti o una rappresentanza parlamentare. Si tratta di eleggere il singolo deputato e il singolo senatore. Questa è la logica del sistema uninominale.
  Invece, nel sistema che prevede il premio nazionale di lista diventa persino indifferente la distribuzione delle forze nei singoli collegi, perché quello che conta è il risultato complessivo. Nei collegi si elegge uno solo e, quindi, diventa anche logico che si abbia un effetto maggioritario immediato, specialmente se, sempre valutando il collegio uninominale, si accompagnano accorgimenti come un secondo turno se nessuno raggiunge il 50 per cento dei voti, eventualmente un secondo turno aperto, alla francese, o una quota di seggi proporzionale, per non escludere tutte le forze che non siano maggioranza in alcun collegio, come era nel Mattarellum o, meglio ancora, come si ha nel sistema tedesco. Pag. 4
  Quando, invece, si adotta il sistema del voto di lista su base nazionale, l'alterazione della rappresentanza che consegue all'attribuzione di un premio non si giustifica in un sistema proporzionale a base nazionale, salvo che il premio rafforzi una lista che raggiunge già la maggioranza da sola, il 50 per cento. Quello sarebbe un vero premio di maggioranza volto a rafforzare una maggioranza che c'è, mentre i premi conseguenti a un risultato inferiore tendono a creare artificialmente una maggioranza che non c'è. Ciò vale, naturalmente, soprattutto quando il sistema politico sia, come da noi è ormai chiaro, non bipartitico e nemmeno bipolare.
  Il problema della stabilità delle maggioranze parlamentari, che si tratta di incentivare e che rientra tra gli scopi che legittimamente il legislatore si propone, in un quadro politico di questo tipo, andrebbe realizzato non attraverso l'attribuzione della maggioranza assoluta a un gruppo o a una forza che non ha la maggioranza nel Paese, ma con altri mezzi. In primo luogo, introducendo soglie di sbarramento eque e significative per evitare eccessi di frammentazione, ma sempre senza costringere a coalizioni innaturali, per così dire, e poi ancora con la formazione di coalizioni pre- o post-elettorali che avvengano su basi programmatiche precise e pubblicamente contrattate.
  Solo così avremmo una maggioranza parlamentare che corrisponde alla maggioranza del Paese e che, nello stesso tempo, può aspirare a essere una maggioranza coesa, perché ha contrattato un accordo di programma. Altrimenti, col premio conseguibile con meno del 50 per cento, si hanno due casi: o la lista, o la coalizione, che si presenta per conseguire questo premio è politicamente coesa, ma, in questo caso, in un sistema come il nostro, in un Paese diviso come il nostro, difficilmente consegue il premio, oppure consegue il premio, o tende a conseguirlo, ma lo fa a spese della propria compattezza. La maggioranza, quindi, anche se si realizza in sede elettorale, scompare dopo le elezioni.
  È più breve la mia considerazione sul secondo punto, la clausola della legge elettorale che tuttora è in vigore in cui si dice che, al momento della presentazione delle liste, le forze politiche «che si candidano a governare (quasi che potessero esistere forze politiche che non si candidano a governare nemmeno se hanno la maggioranza, cosa un po’ singolare) devono indicare il nome e il cognome del capo della forza politica». È chiaramente un modo – surrettizio, dico – per suggerire che gli elettori, in realtà, non sono chiamati a eleggere la loro rappresentanza parlamentare, ossia il Parlamento, in cui risulteranno una maggioranza e delle opposizioni, ma a designare un candidato alla Presidenza del Consiglio.
  In sostanza, si tratta di una forma surrettizia di introduzione di un'elezione diretta del premier, sistema noto, ma molto diverso dal sistema parlamentare previsto dalla nostra Costituzione. Infatti, tra parentesi, ricordo che in Gran Bretagna ci si richiama sempre al modello Westminster per dire che il capo del partito di maggioranza diventa premier, ma ricordo che in Gran Bretagna, tra le altre cose, c'è il sistema del collegio uninominale, non un sistema di elezione nazionale.
  Soprattutto in un sistema multipolare come è il nostro non è affatto detto né necessario che il candidato premier coincida col capo – il segretario – di un partito che da solo non fa maggioranza. Il premier e il Governo dovrebbero, in un sistema di questo genere, essere espressi dal partito di maggioranza, o meglio, più che dal partito di maggioranza, dal patto di maggioranza. Deve essere, quindi, non il frutto di una somma di numeri, ma la conseguenza di convergenze di programmi. Per questa ragione penso che questa clausola andrebbe comunque abolita, qualunque sia il tipo di correzione che si vuole apportare alla legge elettorale.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Sempre seguendo le richieste, do la parola al professor Ceccanti.

  STEFANO CECCANTI, Ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Seguo l'ordine dei punti che ci sono stati sottoposti. Pag. 5
  Il primo punto è se sia ritenuta legittima una soglia di voti del 40 per cento che porti al 54 per cento dei seggi e, quindi, che ci sia un limitato effetto di disproporzionalità, perché comunque in un qualsiasi sistema proporzionale chi arriva primo con un 40 per cento dei voti prende qualche punto in più nella trasformazione in seggi.
  Secondo me, appaiono legittimi anche una soglia diversa e un abbassamento del premio, per esempio 39 per cento dei voti e 53 per cento dei seggi, 38 per cento e voti e 52 per cento dei seggi, 37 per cento dei voti e 51 per cento dei seggi. Si tratta di un grado di disproporzionalità di tipo analogo.
  Passando al punto secondo), non ho certezze al riguardo, perché è vero che c'è un invito all'armonizzazione delle leggi e che, quindi, potrebbe sembrare legittimo anche che i risultati di una Camera incidano sull'altra, ma la Costituzione continua a considerare Camera e Senato due Camere autonome. Qui noi non abbiamo una risposta chiara sulla costituzionalità. Il legislatore dovrebbe comunque assumersi una responsabilità senza un esito certo.
  Qualora decidesse di assumersi questa responsabilità, appare ragionevole non far scattare il premio in nessuna delle due Camere se i vincitori alla Camera e al Senato sono diversi. Non esagererei, però, fino al punto di dire che, se una lista o coalizione vince in ambedue le Camere e da una sola parte prende il 40, in quella Camera darei il premio, perché bisognerebbe costruire la maggioranza intorno a quella forza politica anche nell'altra Camera.
  Passo al punto tre. Il caso non è stato affrontato dalla Corte e, quindi, non si può esprimere un giudizio certo sulla costituzionalità. Si può ragionare su un piano di opportunità. Su un piano di opportunità un premio che non dia una maggioranza assoluta può essere opinabile, perché può essere premiata una forza politica che arriva prima con un numero di voti non troppo più consistente della seconda e magari è meno coalizzabile delle altre. L'obiettivo di darle un premio per favorire la governabilità si trasforma, così, nel suo contrario. Bisogna ragionarci su un piano di opportunità.
  Al punto quattro, l'invito all'armonizzazione proposto alla Corte, ma anche la bocciatura dei premi regionali nella sentenza n. 1 del 2014 in quanto irragionevoli dovrebbero far ritenere pacifica la legittimità di questa soluzione, fermo restando che i seggi non possono slittare da una regione all'altra.
  Al punto cinque, per ciò che concerne le forme di ballottaggio ammissibili, la sentenza enuncia varie criticità, ma afferma, altresì, che non occorre necessariamente dare riscontro a tutte. Il problema principale mi sembra, una volta adottato un sistema sostanzialmente proporzionale, quello del bicameralismo paritario. In questo caso valgono le cose dette riguardo il punto secondo.
  La sentenza accenna poi anche alla possibilità di inserire le coalizioni, in particolare tra un turno e l'altro, che restano comunque uno dei possibili correttivi di quelle che sono state definite le stringenti condizioni del ballottaggio.
  Infine, nel paragone con quanto censurato nella sentenza n. 1 del 2014 vi è quasi una sollecitazione all'inserimento di soglie, specie al secondo turno, che però non dovrebbero essere tali da incentivare l'astensionismo degli elettori che al primo turno abbiano votato le liste escluse dal ballottaggio. Eviterei di andare al di sopra di una soglia in voti superiore a quella corrispondente al 40 per cento dei voti validi nel primo turno già svolto.
  Al punto sei, non mi sembra che la Corte abbia rilevato particolari problemi di funzionalità nell'attuale algoritmo.
  Al punto sette, le soglie ritenute ragionevoli sul livello nazionale nei sistemi proporzionali di varie democrazie consolidate per le liste che competono da sole possono oscillare tra il 3 e il 5 per cento. Per il Senato appaiono comunque opportune anche soglie regionali più elevate.
  Peraltro, è una costante dei sistemi elettorali della transizione italiana il trade-off tra il prezzo di una maggiore frammentazione all'interno delle coalizioni dovuta alle soglie basse e il beneficio di semplificazione del quadro istituzionale attorno ad alcuni Pag. 6grandi attori politici, come le coalizioni o le liste grandi.
  Al punto otto, la configurabilità è data dalla riconoscibilità delle candidature e, in questo senso, il riferimento naturale è dato dalle liste bloccate e corte della legge Mattarella per la Camera, ossia un massimo di quattro nomi da stampare sulla scheda.
  Al punto nove, il criterio forse più ragionevole sembra essere uno: il capolista scatti automaticamente dove la lista abbia preso meno voti. Infatti, posto che il risultato è dovuto sia al capolista, sia agli altri candidati, il primo si presenta come una invariante. Quindi, se la lista ha avuto un risultato minore, ciò è dovuto alla minore attrattività elettorale dei candidati con le preferenze in quel collegio rispetto ad altri.
  Al punto dieci, il tema appare affrontato nella legge Camera, ma ancora scoperto nella legge Senato, dove, seguendo anche qui il criterio di armonizzazione, il legislatore potrebbe introdurre soluzioni analoghe: doppia preferenza, meglio in collegi più ridotti, con un numero di eletti simile a quello dei collegi Camera e quote di capilista, ove bloccati.
  Al punto undici, la recente sentenza affronta esplicitamente in senso positivo la questione, anche se il rendimento di un sistema uninominale è legato a una nazionalizzazione del sistema dei partiti. Quindi, se il sistema dei partiti è già nazionalizzato e quasi ovunque ricorrono gli stessi partiti, l'effetto del voto uninominale produce anche una maggioranza di governo. Se il sistema dei partiti è molto frammentato e funziona a chiazze, questo sistema non si dà.
  Anche sul rendimento del doppio turno di collegio un conto è il rendimento del doppio turno di collegio se preceduto da un'elezione presidenziale che nazionalizza il voto, un conto è se si svolgesse da solo. Il sistema francese funziona perché abbina l'elezione presidenziale, che avviene prima e nazionalizza un sistema frammentato, e struttura poi la successiva competizione nei collegi, altrimenti non avrebbe un rendimento analogo.
  Al punto dodici, la giurisprudenza non affronta in maniera chiara e univoca questa vicenda. Tuttavia, l'eventuale innesto di un premio come clausola di salvaguardia maggioritaria, ossia come aggiunta di una quota limitata di seggi nel solo caso in cui non si sia realizzata una maggioranza assoluta e comunque non oltre il raggiungimento di tale soglia, non mi sembra che si possa considerare come irragionevolmente lesiva dell'uguaglianza del voto.
  Al punto tredici, non mi sembra che la sentenza ponga problemi in questo senso. Casomai si tratta solo di opportunità politica, dato che l'attuale sistema per la Camera era stato pensato nell'ipotesi di una sola Camera col rapporto fiduciario.
  Quanto al punto quattordici, su questo e su altri aspetti del procedimento appare opportuno consultare soprattutto i funzionari ministeriali.
  Successivamente manderò il testo scritto.

  ANDREA PERTICI, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Pisa. Buongiorno. Ringrazio il presidente e gli onorevoli deputati per l'invito e l'attenzione. Anch'io, per esigenze di brevità, mi soffermerò su alcuni punti, salvo poi inviare la memoria scritta più esaustiva.
  Rispetto alle domande che ci sono state poste credo sia necessario svolgere due brevi premesse. La prima riguarda la necessità di rimediare all'errore di due leggi elettorali non soltanto differenti, perché, naturalmente, anche fino all'approvazione della legge n. 270 del 2005 c'erano delle differenze tra le leggi delle due Camere. È da questo punto che abbiamo una divaricazione e, per alcuni versi, una contraddittorietà tra le leggi delle due Camere che è certamente da evitare e che raggiunge il massimo con l'approvazione dell'Italicum per la sola Camera dei deputati, quando ancora si eleggevano due Camere, che poi si sono continuate, come era quantomeno plausibile, ad eleggere, creandosi in questo modo anche un elemento di irrazionalità nell'attribuzione del premio alla sola Camera dei deputati.
  Questo lo dice la Corte nella sentenza n. 1 del 2014: il premio deve essere idoneo a raggiungere l'obiettivo. La mancanza di idoneità determina un'irrazionalità secondo Pag. 7le categorie della giustizia costituzionale e, quindi, un'incostituzionalità.
  La situazione nella quale ci troviamo attualmente è quella di Camere elette in base a una legge incostituzionale che hanno approvato una legge elettorale – o mezza, forse, si potrebbe dire, perché applicabile a una sola delle due Camere elettive – incostituzionale. Questo, come è già stato detto da molti, consiglia una prudenza nell'individuazione del nuovo sistema elettorale. Certamente sarebbe da evitare, anche al fine di salvaguardare la legittimazione dell'organo, una terza legge incostituzionale, che sarebbe la terza in poco più di dieci anni.
  In questo senso – è per questo che, secondo me, è utile fare una premessa – guarderei con molta resistenza di nuovo a sistemi proporzionali con premio di maggioranza, perché, seppure la Corte, nel ribadire la discrezionalità del legislatore in ordine alla scelta del sistema elettorale, non escluda questa possibilità, essa mette bene in luce la possibilità che una legge di questo tipo contenga una contraddizione interna. Rispetto a sistemi proporzionali che sono volti di per sé a garantire la rappresentatività la Corte mette in evidenza come il premio di maggioranza rischi di essere in contraddizione.
  Naturalmente, non lo è sempre. Abbiamo visto che nella legge n. 52 del 2015 quest'attribuzione era incostituzionale soltanto nei termini in cui si procedeva all'attribuzione a seguito del turno di ballottaggio, ma certamente il rischio c'è. È un rischio che sicuramente si corre meno procedendo con sistemi elettorali che hanno una loro coerenza interna, una coerenza interna che è presente sia nei sistemi elettorali proporzionali, sia nei sistemi elettorali maggioritari, naturalmente anche attraverso una combinazione dei due sistemi che è prevista sia nello spesso evocato modello tedesco, sia nel Mattarellum, l'ultima legge elettorale non incostituzionale che il Parlamento italiano abbia approvato.
  Sulla base di questo risponderò, nel tempo residuo, ad almeno alcuni dei punti che ci sono stati posti, ma nella premessa che spesso si fa riferimento a questioni che attengono alla correzione di un sistema, cioè il sistema proporzionale corretto dal premio di maggioranza, che di per sé mi suscita perplessità.
  Dal punto di vista della possibilità di prevedere una diversa soglia per l'accesso al premio, che in realtà credo voglia dire una soglia più bassa, come anche l'intervento di Stefano Ceccanti ha già evidenziato, ritengo che questo, ovviamente, non sia di per sé escluso dalla sentenza n. 35 del 2017. Non è letteralmente escluso e, tuttavia, si pone un rischio.
  Letteralmente la Corte dice: «Non appare in sé manifestamente irragionevole questa soglia del 40 per cento». Quindi, non è un'apertura di credito particolarmente ampia. Nella logica della prudenza alla quale invitavo il legislatore, che potrebbe altrimenti rischiare di dar vita alla terza legge elettorale incostituzionale consecutiva, probabilmente sarebbe questa la soglia da mantenere. Consideriamo anche che, se la soglia fosse abbassata, la distorsione, ove il premio venisse mantenuto lo stesso, sarebbe maggiore anche dal punto di vista proporzionale. Credo che questa sia un'ipotesi da evitare.
  Per quanto riguarda il secondo punto, cioè quello relativo alla possibilità che, per attribuire il premio di maggioranza, la soglia debba essere stata raggiunta dalla stessa forza politica in entrambe le Camere, questa è una questione sulla quale nutro delle perplessità, che in parte sono già state evidenziate da Stefano Ceccanti.
  Si tratta di due Camere che hanno una loro autonomia, naturalmente, sin dall'elezione. Probabilmente è lo stesso premio di maggioranza che tra le sue criticità, che sono quelle che ho già esposto, aggiunge anche il fatto di essere ancora peggio innestabile in un sistema non tanto di bicameralismo, quanto di bicameralismo perfetto, in particolare in relazione al legame di fiducia con il Governo.
  Per quanto riguarda sempre il punto secondo, effettivamente questo pone, tra l'altro, un problema ulteriore in relazione alla differenza di elettorato che c'è tra le due Camere. Sappiamo che il Senato viene eletto soltanto al compimento del venticinquesimo Pag. 8 anno di età. Si tratta, quindi, di un elettorato che, soprattutto dopo l'abbassamento della maggiore età, ha una notevole divaricazione.
  In questo senso, anche se forse è in parte ultra vires rispetto all'audizione di oggi, suggerirei una piccolissima riforma costituzionale da approvare da qui alla fine della legislatura per parificare l'elettorato attivo delle due Camere. Secondo me, sarebbe una risposta coerente anche con il referendum del 4 dicembre.
  Per quanto riguarda l'attribuzione di un premio che sia semplicemente un aiuto, senza però portare al raggiungimento della maggioranza, ho delle perplessità che si legano a quanto dicevo all'inizio in merito all'inidoneità che determina – ripeto – l'irrazionalità e che, quindi, può determinare l'incostituzionalità. Si aggiunge il fatto che, anche se in questo caso mi trovo piuttosto d'accordo con Ceccanti, e non è una cosa che accade sempre, ciò può rendere più difficile addirittura creare una maggioranza di Governo, perché questo effetto premiante potrebbe essere attribuito a una forza politica che è poi indisponibile o in generale, o magari anche semplicemente in quella situazione politica data, a coalizzarsi e che, quindi, sottraendo seggi alle altre forze politiche, rende meno agevole la formazione di un Governo da parte di queste.
  Essendo il mio tempo quasi scaduto, l'ultimo punto sul quale mi vorrei soffermare è il settimo, relativo alle soglie di sbarramento. Si tratta di una questione che è arrivata anche di fronte a giudici e organismi internazionali. Per esempio, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha messo in guardia rispetto a soglie di sbarramento troppo elevate. In particolare in una risoluzione del 2007 ci dice che nelle democrazie stabilizzate non dovrebbero esserci soglie superiori al 3 per cento nell'ambito delle elezioni parlamentari.
  Sul punto, come sappiamo, ci sono anche due sentenze del tribunale costituzionale tedesco, una del 2011 e una del 2014. La questione era giunta anche all'attenzione della Corte costituzionale, la quale, però, con la sentenza n. 110 del 2015 non ha affrontato la questione, dichiarando la questione di legittimità costituzionale inammissibile per motivi processuali.
  Vorrei aggiungere un dato politico-istituzionale, cioè il fatto che, soprattutto nell'ambito di un quadro politico in cui non ci sono partiti particolarmente storicizzati, una soglia di sbarramento alta potrebbe determinare una sua sostanziale elusione attraverso la semplice creazione di una lista di coalizione, anziché di una coalizione di liste, costituita esclusivamente per superare la soglia di sbarramento e che, naturalmente, all'indomani delle elezioni potrebbe rideterminare una divisione tra le forze politiche che si erano unite esclusivamente a questo fine.
  Da questo punto di vista non vedo particolarmente bene neanche soglie di sbarramento differenti per liste coalizzate e non coalizzate, in considerazione del fatto che questo, come abbiamo visto in un recente passato, soprattutto quando la differenza sia particolarmente ampia, può dar luogo a coalizioni infedeli, ossia a coalizioni costituite soltanto per superare la soglia di sbarramento.

  ANDREA MORRONE, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Bologna. Aver consegnato un testo scritto nel quale rispondo ai quesiti e faccio anche un ragionamento di carattere generale mi consente di andare al punto che mi interessa sottoporre all'attenzione della Commissione e all'attenzione del suo presidente.
  Il punto è il seguente: io credo che nel contesto politico dato nel quale ci troviamo, che tutti hanno ben presente e che, quindi, non richiede particolari approfondimenti, e di fronte a una seconda decisione della Corte costituzionale che colpisce una legge elettorale, la più importante legge della Repubblica, non ci siano troppi discorsi strettamente tecnico-giuridici da fare, ma occorra – credo innanzitutto da parte di noi stessi come costituzionalisti – fare un discorso di politica costituzionale.
  Il tema che abbiamo sotto gli occhi oggi, secondo me, non è quello di pensare di poter riscrivere ex novo una nuova legge elettorale, ma di agire su quello che c'è, Pag. 9ossia sulla legislazione e sulle norme che sono uscite dalle due sentenze della Corte costituzionale, cercando di correggerle e di correggere, in particolare, secondo me, soltanto la legge per la Camera dei deputati, per rispondere a una vera esigenza politica innanzitutto e, quindi, anche costituzionale, che è quella di evitare, secondo me in modo assoluto, che si vada a votare con un sistema sostanzialmente proporzionale, che, nel contesto politico dato, non consegna al Paese né una maggioranza, né un Governo. C'è il rischio di far fare al nostro Paese la fine della Spagna, che è stata costretta a votare a distanza di sei mesi, o addirittura con il rischio che, con l'aggravarsi della crisi di sistema – perché siamo all'interno di una crisi di sistema nazionale ed europea – la crisi politica italiana preluda alla crisi che distrusse la Repubblica di Weimar nel 1933-34.
  Qual è la proposta? In questo testo faccio una proposta concreta, che agisce sull'Italicum, così come è uscito dalla sentenza della Corte costituzionale, creando le condizioni perché, lavorando ovviamente negli spazi lasciati ampiamente liberi dalla decisione della Corte costituzionale, si possa consentire, all'esito di due turni – questa è la proposta che faccio – la formazione di una maggioranza che possa sostenere un Governo. Lascerei intatta la legge al Senato, questo sia chiaro. Nel testo esprimo anche le ragioni costituzionali, oltre che politiche, che possono giustificare e mantenere questo sistema.
  Qual è il contenuto della proposta? Vado rapidamente al senso di questo mio suggerimento. Per la Camera dei deputati soltanto si tratta di prevedere una proporzionale con premio di maggioranza attribuito in due turni di votazioni. Attenzione, non parlerei di ballottaggio, ma di un secondo turno di votazione. Per il primo turno restano ferme le regole che sono uscite indenni dal giudizio della Corte costituzionale, ossia distribuzione proporzionale tra liste concorrenti e premio pari al 54 per cento dei seggi per la lista che superi il 40 per cento dei voti validi.
  Questo è il punto. Qualora nessuna lista raggiunga la soglia di accesso, anziché prevedere un ballottaggio, che presenta i rischi indicati dalla Corte costituzionale, si potrebbe prevedere un secondo turno, che è una nuova votazione ma non la continuazione del voto precedente, tra liste o coalizioni di liste, ovviamente formatesi tra il primo e il secondo turno, che abbiano raggiunto una determinata soglia di voti validi, alla stregua del primo turno, al fine di ottenere un premio di maggioranza, che può rimanere fermo al 54 per cento.
  Per andare incontro ai rilievi della Corte costituzionale si dovrebbe stabilire, in primo luogo, che si tratta di un secondo turno, cioè di una nuova votazione, e non di un ballottaggio; in secondo luogo, che al secondo turno possano accedere sia liste, quelle del primo turno, sia coalizioni di liste formate dopo il primo turno; in terzo luogo, che al secondo turno accedano solo due liste o coalizioni concorrenti tra quelle liste non disposte a coalizzarsi o tra le coalizioni di liste che, alla luce dei risultati del primo turno, superino una soglia di accesso determinata.
  Questo è un aspetto importante. Il secondo turno deve prevedere una soglia di accesso determinata, che, secondo me, può essere pari almeno al 30 per cento, perché la Corte costituzionale sembrerebbe dirci che premi che favoriscano una lista, nel senso che attribuiscano seggi più del doppio della percentuale di voti ottenuti, potrebbero impattare in un vizio di costituzionalità.
  L'ultimo punto è che il secondo turno non si svolga qualora non se ne verifichino i presupposti, ossia qualora non ci fossero almeno due forze politiche – liste o coalizioni – che raggiungano la soglia di accesso determinata a questo scopo. In questo caso, se non si dovesse raggiungere la soglia prevista, si applicherebbe la proporzionale, così come uscita all'esito della sentenza della Corte.
  L'applicazione di questa formula soltanto alla Camera dei deputati non risponde solo, secondo me, a un'evidente esigenza di contesto. Siamo alla fine della legislatura ed è veramente incredibile pensare che il Parlamento riesca a varare una nuova, diversa legge elettorale. Nell'ordinamento Pag. 10 costituzionale vigente, nonostante il bicameralismo paritario nelle funzioni, esiste un tendenziale primato della Camera dei deputati, non solo perché in questa sede siedono i leader delle forze politiche dominanti, ma proprio per il più ampio elettorato che contribuisce alla sua composizione, allargandone la rappresentatività, e per il carattere non territoriale della sua rappresentanza, che invece è obbligatorio per Costituzione al Senato e che produce elementi anche significativamente disproporzionali. Si tratta di una soluzione, peraltro, non nuova, perché c'è il precedente del 1953 per cui la legge col premio di maggioranza riguardava solo la Camera.
  Solo la previsione di un secondo turno elettorale, dopo l'infruttuosa celebrazione di un primo turno senza che nessun partito raggiunga il 40 per cento, può evitare la prevedibile inutilità delle prossime elezioni. Questa proposta – attenzione – potrebbe avere un pregio politico, secondo me, non secondario, che è quello di incontrare il favore sia di forze politiche che non vogliono o non possono coalizzarsi, sia di quelle che, dopo un primo turno nel quale testare il proprio consenso elettorale, siano disposte a unirsi al secondo turno con altre forze politiche.
  Questa formula elettorale, dunque, non è fatta contro questa o quella forza politica. Credo che questo sia un aspetto importante. Si tratta di fare una legge elettorale potenzialmente per tutti, ma tutto all'opposto, proprio per permettere a tutti i partiti e movimenti politici esistenti, o in corso di formazione, di porsi l'obiettivo non solo di rappresentare interessi, ma soprattutto di governare il Paese.

  MASSIMO LUCIANI, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza».
  Ho inviato un testo scritto in cui mi sono mantenuto nel solco della richiesta della Commissione e, quindi, non mi eserciterò nel gioco della proposta che maggiormente mi interesserebbe sottoporre all'esame della stessa Commissione.
  Sono state sottoposte 14 questioni. Rinvio ad altri scritti e al testo che ho depositato, ma raccomanderei, soprattutto a me stesso, come si suol dire, l'attenzione su questo punto: nessun Parlamento può reggere l'ipotesi di una terza declaratoria di illegittimità costituzionale a distanza di pochissimo tempo. Ne abbiamo avuta una nel 2014 e una nel 2017. Si deve evitare a tutti i costi, perché dal punto di vista della legittimazione del Parlamento è un rischio eccessivamente grave.
  È per questo che ritengo che sarebbe bene che nessuna proposta, per quanto brillante possa essere, o per quanto intelligente possa essere, se presenta dei dubbi di costituzionalità, debba essere coltivata, seguita e approvata. Raccomanderei, quindi, mi permetto di dire, la massima prudenza, perché – ripeto – dal punto di vista della legittimazione delle Camere un terzo infortunio non sarebbe tollerabile.
  Vengo alla risposta ai 14 quesiti. In dieci minuti è molto difficile fornirla. Avevo suggerito agli uffici di numerarli. Non so se sia stato fatto, comunque li seguo.
  Il primo quesito riguarda la soglia del 40 per cento. Penso che il 40 per cento sia una soglia prudente. È vero che la Corte non ha detto nulla sull'ipotetica legittimità costituzionale di una soglia inferiore, ma richiamerei l'attenzione su un passaggio molto importante della sentenza n. 35 del 2017, dove si dice che «la Corte ha ritenuto congrua la soglia attualmente pari al 40 per cento dei voti validi e, del resto, progressivamente innalzata nel corso dei lavori parlamentari». Secondo me, questo vuol dire una cosa molto semplice, ossia che è stato opportuno innalzare questa soglia e che abbassarla, invece, costituirebbe un rischio.
  Il secondo punto riguarda l'ipotesi di attribuire il premio di maggioranza soltanto se raggiunto sia alla Camera, sia al Senato. Ritengo che questo sia assolutamente indispensabile. Non concordo con l'opinione di altri colleghi che, invece, ritengono che il premio possa essere mantenuto in una Camera soltanto. Questo per la ragione semplicissima che la Corte ha detto testualmente più volte, sia nella sentenza n. 1 del 2014, sia nella n. 35 del 2017, che il premio è legittimo solo a condizione che abbia una ragion d'essere. Un premio sine ratione o sine titulo è un premio illegittimo. Pag. 11Un premio deve servire per dare stabilità e maggioranze al sistema. È ovvio che in un sistema perfettamente bicamerale, se c'è una maggioranza garantita alla Camera e non al Senato, o viceversa, il premio resta sine ratione e un premio sine ratione è illegittimo.
  La terza questione riguarda il dare un premio a chi abbia comunque ottenuto il maggior numero di voti anche se questo premio non serve a raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi. Questa – non vorrei usare una terminologia spregiativa – è l'ipotesi del «premietto». Questa ipotesi del «premietto», secondo me, va senz'altro scartata. Va senz'altro scartata perché la giurisprudenza costituzionale vuole che il premio sia funzionalizzato alla garanzia dell'ottenimento di una maggioranza di governo. Ci sono passaggi molto diffusi, sia nella sentenza n. 1 del 2014, sia nella sentenza n. 35 del 2017.
  Va scartato, però, anche per la sua palese irragionevolezza, perché, anche ad ammettere che un premio del genere sia giustificato, che cosa può capitare? Può capitare che si classifichi per prima una forza politica che o non vuole o non può coagulare attorno a sé una coalizione di governo. Quindi, raggiungeremo il paradosso di attribuire il premio a chi, invece, si trova in opposizione, il che, francamente, mi sembra l'esatto contrario di quello che si vuole raggiungere con il premio. Non c'è alcuna garanzia che la prima forza classificata sia poi quella che entrerà ad essere il pivot di una maggioranza di governo.
  Vengo all'elezione del Senato e alla questione della base regionale. Si può dare un premio nazionale anche se la base è regionale? Sono molto sintetico. Certamente sì. I giornali ci dissero che all'epoca il Presidente Ciampi avrebbe avuto dei dubbi sul premio nazionale al Senato. Non so se sia vero. Quand'anche fosse stato vero, penso che questi dubbi fossero infondati, perché si può avere un premio nazionale al Senato, ma distribuito e, come si dice con formula orribile, «spacchettato» regione per regione.
  Il quinto quesito riguarda i presupposti della legittimità di un eventuale turno di ballottaggio. La Corte non ha detto che il turno di ballottaggio sia incostituzionale di per sé o che un ulteriore turno di votazione sia incostituzionale di per sé. Ha detto semplicemente che è stato illegittimo, come peraltro – mi permetto di dire – era stato già agevolmente previsto prima dell'approvazione di quella legge, prevederlo in quel modo, come l'ha fatto la legge n. 52 del 2015.
  Qual era il vizio essenziale? L'assenza di una soglia. Il rimedio principale è la previsione di una soglia. Se poi alla previsione di una soglia si aggiunge anche l'introduzione della possibilità di formare coalizioni per raggiungere il premio, evidentemente gli ostacoli si appianano ulteriormente.
  Passo allo slittamento tra seggi tra circoscrizioni e circoscrizioni. È un problema che la Corte si è posta. Il problema è agevolmente risolvibile, nel senso che la Corte ha detto molto chiaramente che questo è un fenomeno eccezionale, che però si può verificare, altrimenti non si distribuiscono tutti i seggi. Se dovesse essere necessario far slittare i seggi da una circoscrizione all'altra per distribuirli tutti, questo si può fare, purché si tratti di un'ipotesi eccezionale.
  La settima domanda che ci avete posto riguarda la questione delle ragionevoli soglie di sbarramento. La Corte non ha mai detto quale sia – scusate il bisticcio – la soglia della soglia. Non ce l'ha mai detto. Non ci ha mai detto se sia giusto il 3, il 4 o il 5, ma ce l'ha fatto capire. Ce l'ha fatto capire quando nella sentenza n. 1 del 2014 ha citato la sentenza del tribunale federale tedesco, la quale sentenza del tribunale federale tedesco ha detto che il 5 va bene e sopra non andrebbe bene.
  Poiché è molto raro che la Corte costituzionale citi sentenze di altre giurisdizioni costituzionali, il fatto di aver ricordato la giurisprudenza del Bundesverfassungsgericht mi fa capire, e penso che ci faccia capire, che effettivamente 5 vada bene, ma anche che 5 sia il massimo. Sotto si può stare e sopra non si può andare, fermo restando, ovviamente, che si possono immaginare anche soglie diverse per le liste rappresentative di minoranze linguistiche o Pag. 12per le coalizioni, ma qui metto un grosso punto di domanda.
  Quanto alla questione delle candidature bloccate, anche qui le candidature bloccate non sono in sé illegittime, dice la Corte, ma, se si vogliono candidature bloccate, bisogna avere circoscrizioni piccole e liste ridotte, altrimenti non c'è la conoscenza tra il candidato e l'elettorato e questo non è tollerabile.
  Il nono quesito concerne le pluricandidature. Il sorteggio, chiaramente, la Corte lo fa capire benissimo, la Corte l'ha introdotto in mancanza di meglio. Non poteva fare diversamente, perché ha dovuto ritagliare la legge vigente e lasciare il sorteggio, ma è chiaro che il sorteggio non va bene. A parte i miei dubbi di fondo sull'ipotesi, che qualcuno caldeggia, di restituire prestigio alla tecnica del sorteggio, che ebbe un qualche successo duemila anni fa, francamente, penso che sia molto più opportuno prevedere che si assegni automaticamente il seggio nella circoscrizione nella quale il candidato plurimo – diciamo così – ha ottenuto la più alta percentuale di voti validi sul totale.
  Il decimo quesito riguarda la rappresentanza di genere. A questo sostanzialmente non posso rispondere. L'unica cosa che si può dire è che la rappresentanza di genere è assolutamente essenziale, perché l'articolo 51 della Costituzione non può essere pretermesso. Quale sia poi la tecnica per assicurare la rappresentanza di genere, o per favorire la rappresentanza di genere, per essere più precisi, non lo so, perché dipende dalla formula elettorale che si sceglierà. Allo stato attuale, si può solo dire che qualunque legge elettorale che non prevedesse un intervento per assicurare il favore per l'equilibrio tra i generi sarebbe incostituzionale.
  Da questo punto di vista mi permetto di dire che è già incostituzionale l'attuale legge elettorale per il Senato, che non prevede niente di tutto questo.
  L'undicesimo quesito riguarda la compatibilità di un sistema per collegi uninominali con le sentenze della Corte costituzionale. Sì, è compatibile. La Corte non ha detto che un sistema maggioritario uninominale sia incompatibile. Ha detto una cosa diversa. Ha detto che, se si sceglie il proporzionale, bisogna essere coerenti e che quella legge non era coerente.
  Il dodicesimo quesito – spero, presidente, di essere nei limiti di tempo, ma rispondere a 14 quesiti in dieci minuti è veramente improbo – riguarda il problema della correzione con una quota di seggi destinata a un premio di maggioranza nell'ipotesi in cui si scelga un maggioritario a turno unico (è l'ipotesi della legge Mattarella, mi pare di capire), destinando il 25 per cento non alla riproporzionalizzazione, ma a un premio.
  Trovo che questo ponga dei seri problemi di coerenza, perché i sistemi del premio sono connessi a basi proporzionali. I sistemi maggioritari sono sistemi che generano essi stessi un risultato maggioritario. Quindi, avremmo un ipermaggioritarizzazione del sistema, cioè un sistema maggioritario nella sua base che viene ulteriormente maggioritarizzato con un premio di maggioranza, il che, francamente, mi sembrerebbe rischioso. Nella logica, che accennavo prima, della prudenza sarebbe da evitare.
  Sul Trentino-Alto Adige, a questo punto, mi rendo conto che non c'è molto tempo per rispondere. Rinvio senz'altro al testo scritto.
  Come migliorare i controlli sulla regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio? Qui c'è poco da dire. Mi pare che l'unico vero problema sia il voto degli italiani all'estero. Ho sempre manifestato molte perplessità sull'opportunità del voto degli italiani all'estero, ma questo è un problema di opportunità. Dal punto di vista della legittimità mi permetto di sottolineare il fatto che il voto all'estero manifestato per corrispondenza si presta agli abusi. L'obiezione ovvia è che lo fanno anche tanti altri legislatori di tanti altri ordinamenti, ma mi sento di dire che l'esperienza italiana da questo punto di vista insegna che condizionamenti sull'elettorato sono ben possibili e, purtroppo, anche potenzialmente efficaci.
  Ci sarebbe molto altro da dire, signor presidente, perché i problemi sono innumerevoli, ma bisognerebbe esaminare in Pag. 13concreto singole proposte, se mai ci fosse un testo unitario.
  Come ultimissima osservazione, ritengo indispensabile un serio e compiuto intervento legislativo, perché non è ammissibile che un'Assemblea rappresentativa, anzi che due Assemblee rappresentative si facciano imporre un sistema elettorale da un giudice costituzionale. Il giudice costituzionale deve verificare la tenuta delle scelte legislative fatte dal Parlamento, ma il Parlamento si deve dare la sua legge elettorale nell'esercizio della sua discrezionalità.
  Questo va fatto, perché le leggi elettorali che abbiamo adesso, quelle uscite dalle due sentenze della Corte costituzionale, non possono essere utilizzate, per un verso perché la legge sul Senato è inoperativa, perché non è realmente applicabile – mancano le norme sulle preferenze e non ci sono norme sulla parità di genere – e, per altro verso, perché sono troppo differenziate. La legge per il Senato, a tacer d'altro, è una legge che prevede le coalizioni e non ha il premio. La legge per la Camera, invece, ha il premio, ma non ha le coalizioni. Se qualcuno mi spiega come sia possibile andare al voto in queste condizioni, con strategie degli attori politici totalmente differenziate, evidentemente gliene sarò grato.

  GIOVANNI GUZZETTA, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Molte cose sono state già state dette, ragion per cui mi concentrerò sulle poche che forse non sono state dette. Anch'io, però, vorrei fare una premessa, che mi trova del tutto d'accordo con quanto diceva il professor Luciani.
  Noi stiamo rischiando, anche noi costituzionalisti, di fare tutta un'elaborazione dottrinale sulla giustizia costituzionale della legge elettorale partendo da un episodio che riguarda una legge elettorale totalmente eccentrica rispetto a quelle che esistono sull'orbe terracqueo, decisa sulla base di valutazioni di ragionevolezza e, quindi, di logica intrinseca alla legge elettorale.
  È bene, secondo me, evitare di inseguire ricostruzioni di tipo generale troppo spinte ed è preferibile limitarci, viceversa, al fatto che, se il legislatore decide di restare su questo impianto, occorre semplicemente avere molta cautela e seguire pedissequamente le indicazioni della Corte. Se ci si allontana, cosa che mi sembra inverosimile, ma che per ragioni di completezza va detta, da quel modello, secondo me, molte delle considerazioni che la Corte fa rispetto a questo specifico tipo di legge elettorale tendono a cadere.
  La Corte l'ha detto molto chiaramente, riconoscendo al legislatore un'amplissima discrezionalità sulla scelta dei sistemi elettorali e riconoscendo, come è già stato detto, che sono compatibili con la nostra Costituzione sistemi elettorali significativamente diversi, dal proporzionale più tradizionale all'uninominale maggioritario a un turno o a due turni.
  Il mio invito, quindi, è che non si faccia una teoria generale della costituzionalità delle leggi, ma ci si limiti a considerare quello che ha detto la Corte con riferimento a questa – ripeto – estremamente eccentrica legislazione elettorale.
  Faccio solo un esempio per spiegare quello che voglio dire. La Corte insiste sul principio di rappresentatività, che deve essere compensato e bilanciato con quello di governabilità. Poi, però, quando lo declina, anche con riferimento a questa legge elettorale, ci dice delle cose che apparentemente sembrano in contraddizione. Per esempio, ci dice che le soglie di sbarramento previste anche laddove sia previsto il premio di maggioranza non ledono il principio di rappresentatività, ma anzi, riducendo la frammentazione, consentono la creazione di un'opposizione più solida e più coesa rispetto al sistema.
  Questo ci fa capire come la riflessione della Corte sia molto più complessa di quello che appare. Il principio di rappresentatività non è inteso come fotografia dell'esistente, perché altrimenti la Corte avrebbe reso ammissibile e legittima solo una legge puramente proporzionale, ma è uno degli elementi all'interno di questo bouquet assai complesso che è la legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza, all'interno della logica della quale si svolge tutto il giudizio della Corte e al di Pag. 14fuori della logica della quale, secondo me, molte delle affermazioni che la Corte fa con riferimento a questo sistema non sarebbero necessariamente generalizzabili.
  Per quanto riguarda i quesiti, sulla diversa soglia il principio di cautela mi trova d'accordo, ragion per cui accedo volentieri all'idea del professor Luciani. Tuttavia, effettivamente la Corte uno spazio anche per una riduzione della soglia lo lascia. L'affermazione pura è semplice è quella che il controllo di proporzionalità rimane nella misura in cui questa soglia non sia eccessivamente bassa. Poiché sappiamo che ci sono molti ordinamenti nei quali si raggiungono maggioranze di Governo anche con un voto elettorale che tocca percentuali più basse del 40 per cento, secondo me, escluderlo completamente non è possibile, anche se precauzionalmente condivido le conclusioni a cui giunge il professor Luciani.
  Con riguardo al secondo quesito, sono radicalmente contrario a questa ipotesi, se la capisco bene, cioè all'idea di creare un collegamento tra le leggi elettorali, in modo che l'esito di una vicenda elettorale per una Camera influenzi la vicenda elettorale dell'altra. Questo, secondo me, non è a termini di Costituzione possibile, non foss'altro che perché esiste l'articolo 88, che consente lo scioglimento di una sola Camera. Al di là dei princìpi generali di autonomia reciproca dei due rami del Parlamento, il fatto che ci possano essere elezioni in momenti distinti rende la possibilità di far operare una legge contestuale che metta in collegamento i due sistemi impossibile.
  Il terzo quesito riguarda il «premietto». Francamente, su questo non sarei così radicale. Se si vuole seguire una massima precauzione, sono sempre d'accordo con il professor Luciani, ma non dimentichiamoci che la Corte fa una distinzione molto chiara tra i sistemi che mirano ad assicurare con certezza la maggioranza, tema che è stato oggetto del suo quesito e sul quale il suo giudizio è molto, molto stringente e rigoroso, e gli altri sistemi, che tendono a favorire la formazione di una maggioranza e sui quali, invece, questa preoccupazione sembra essere meno rilevante. Sul «premietto» non mi sentirei di dire, quindi, che ci si esponga certamente alla scure dell'incostituzionalità.
  Sul premio nazionale al Senato sono anch'io d'accordo che sia ammissibile. Gli argomenti sono tanti e complessi. Leggendo la sentenza della Corte, è un po’ un esito inevitabile, perché, quando la Corte dice, da una parte, che è illegittimo un premio regionale al Senato e, dall'altra, salva il premio nazionale alla Camera e poi, obiter dictum, dice che la disomogeneità tra il fatto che ci sia il premio di maggioranza alla Camera, che però è legittimo, e il fatto che non ci sia al Senato è un elemento ben più rilevante di disomogeneità tra i due sistemi, mi pare stia indicando la strada di una possibilità di estensione del premio di maggioranza anche al Senato.
  Sul turno di ballottaggio mi pongo semplicemente il problema che, essendo un sistema bicamerale e non condividendo l'opinione di chi ha individuato una gerarchia tra le Camere, il sistema di ballottaggio per entrambe le Camere, o per una sola Camera rispetto all'altra, mi sembra possa determinare delle distorsioni che minacciano fortemente l'omogeneità.
  La Corte ha detto che l'omogeneità è tendenziale e che non ci deve essere identità, ma non mi avventurerei su una soluzione in cui ci siano o due turni di ballottaggio, uno per ciascuna Camera, oppure un secondo turno esteso a una sola Camera e all'altra no, perché rischiamo divaricazioni.
  Sullo slittamento è già stato detto tutto e non aggiungo altro. Sulle candidature bloccate mi fermo al principio che ha espresso la Corte. Il principio è che l'elettore possa conoscere i candidati e formulare un voto consapevole su di essi. Da questo poi discendono tutte le soluzioni possibili, che sono tante.
  Sui criteri per l'assegnazione dei seggi al plurieletto a me sembra che la Corte abbia fondamentalmente detto che questo criterio deve essere un criterio oggettivo e non nella disponibilità del plurieletto. Secondo me, rimane molto margine per la discrezionalità del legislatore. Personalmente non vedo il sorteggio come una cosa così vergognosa, Pag. 15 ma, secondo me, la Corte ci dice soprattutto che deve essere un criterio che non è nella disponibilità del plurieletto.
  Sui collegi uninominali maggioritari la Corte si esprime abbastanza chiaramente, tra le righe, al punto 10.1 della sentenza n. 35 del 2017 e al punto 9.1. Direi che anche qui non vedo difficoltà.
  Quanto ai collegi uninominali maggioritari corretti con una quota di seggi destinata al premio di maggioranza e governabilità, sono d'accordo con Luciani: c'è un problema di ragionevolezza, nel senso che si tratta di un premio sul premio, diciamo così, di un premio nazionale sull'effetto maggioritario del collegio uninominale. Su questo avrei delle perplessità.
  Sul Trentino è già stato detto e sull'ultimo quesito anch'io direi che ciò che è da mettere a fuoco sia il meccanismo del voto degli italiani all'estero, essenzialmente.
  In conclusione, presidente, la Corte secondo me lascia al Parlamento una grandissima discrezionalità se esce dallo schema del proporzionale con premio. Se rimane in quello schema, mi pare che molto sia già stato scritto nella sentenza e non ci siano grandissimi margini di oscillazione.

  BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Neanche io ho depositato un testo scritto, ma mi riservo di mandarlo rapidamente, anche perché la traccia è già presente. Anch'io seguirò l'ordine dei quesiti posti dalla Commissione. Anch'io ritengo che in questo momento sia molto difficile lanciarsi in proposte più o meno innovative.
  Vorrei fare una piccola premessa composta da due considerazioni. In primo luogo, è indubbio che le sentenze della Corte costituzionale lasciano un'amplissima discrezionalità al legislatore di riformulare il testo. Questo è stato detto sia nel caso dei referendum elettorali sia nel caso delle sentenze della Corte.
  Tuttavia, dall'esistenza teorica di quest'ampia discrezionalità al suo concreto esercizio è questione a cui io, come costituzionalista, non sono in grado di rispondere. È questione o della vostra attività o di un'analisi di un politologo. Non so se poi questa discrezionalità verrà esercitata. Naturalmente non posso non condividere il richiamo alla prudenza fatto da molti colleghi.
  La seconda premessa concerne il problema dell'autoapplicatività. Non c'è dubbio che la giurisprudenza della Corte in materia di referendum e in materia di illegittimità costituzionale si basa inevitabilmente sul postulato dell'autoapplicatività, per le ragioni che sappiamo.
  In primo luogo, non è possibile oltrepassare la durata costituzionalmente stabilita dalle Camere. C'è un autorevolissimo collega che addirittura ha ipotizzato che ciò potesse succedere, in un articolo che mi pare sia apparso su Repubblica. Inoltre, non è possibile incidere sui poteri del Presidente della Repubblica.
  Pertanto, l'effetto dei referendum o delle sentenze di incostituzionalità deve essere autoapplicativo. Questo è un punto da cui non si può decampare.
  Io mi sono andato a rileggere la sentenza n. 5 del 1995, in cui Carlo Mezzanotte e io, per superare il vincolo dell'esistenza di una normativa residua immediatamente applicabile, ipotizzavamo l'ultrattività della legge elettorale abrogata dal referendum, cioè dicevamo: «Guardate che, se per caso il legislatore non ce la fa a riscrivere una legge, anche se l'esito del referendum è autoapplicativo, vige il principio di ultrattività della legge abrogata».
  La Corte respinse dicendo: «Non c'è spazio per questa tesi». Tuttavia, anche ammettendo che spazio per questa tesi ci possa essere, ci potrebbe essere per il referendum, che è abrogativo, ma non certamente per la sentenza di illegittimità costituzionale, che cassa pezzi della legge. Ne deriva che necessariamente queste leggi devono essere autoapplicative.
  Vi ricorderete la sentenza n. 33 del 1993, che individua esplicitamente alcuni aspetti che non incidono sull'operatività del sistema elettorale né paralizzano la funzionalità dell'organo. Così dice la Corte nella sentenza n. 32 del 1993, anche se questa sentenza creava un guazzabuglio sulla vecchia Pag. 16 legge elettorale del Senato, che era stata peraltro in molti casi esaminata.
  A me sembra paradossale pensare che nelle sentenze di incostituzionalità la Corte, nel dichiarare l'incostituzionalità, non si sia posta anche il problema della costituzionalità della normativa residua. È un problema che ha affrontato nel rapporto fra referendum e costituzionalità. Lo fece nel lodo Alfano, in cui prima dichiarò l'incostituzionalità del lodo e poi ammise il referendum, rinviando alla Cassazione sulla valutazione dell'esito.
  A me pare non sostenibile che la Corte non si ponga il tema dell'incostituzionalità della normativa residua. Questo vale in particolare per due temi. Il primo è il problema del rimando al sistema di creazione delle liste, che rimane al Senato, ma non ci sarebbe più la norma che lo prevede, perché ben si può ritenere che il rinvio della legge del Senato alla legge Camera valga come rinvio al contenuto e non già al contenente.
  In secondo luogo, io non credo che dalla nuova versione dell'articolo 51 della Costituzione derivi un obbligo di normativa sulla parità di genere. Ne deriva la legittimazione di normativa sulla parità di genere, anche perché basta ricordarsi che il nuovo testo dell'articolo 51 nasce dopo una dichiarazione di incostituzionalità della Corte costituzionale a una legge valdostana, se non sbaglio, in cui la Corte affermava che occorreva una norma forte per ammettere normative per così dire «discriminatorie» (non vorrei urtare suscettibilità) nel rapporto fra sessi.
  Passo alle domande, partendo da quella relativa a un'eventuale soglia diversa per l'accesso al premio. Naturalmente su questo non c'è una valutazione certa. È chiaro che la prudenza ci ricorda che il 40 per cento è una soglia su cui la Corte si è espressa ritenendola congrua. Far salire questo 40 per cento è abbastanza inutile, perché, se si va oltre il 40 per cento dei voti e ci si attesta al 42, tendenzialmente qualsiasi sistema proporzionale che non sia strettamente fotografico da già la maggioranza.
  Allo stesso tempo, mi rendo conto che scendere sotto il 40 può lasciare qualche dubbio che forse va evitato. Se proprio dovessi dire una cifra (ma la direi col naso), direi che sotto il 38 sicuramente non si può scendere. Tuttavia, stiamo ragionando secondo i criteri del mitico Goria, che parlava di valutazioni di nasometria.
  Io sono molto perplesso sull'idea che il premio possa scattare solamente se viene raggiunto in tutte e due le Camere, perché – diciamoci la verità – per quanto riguarda il mantenimento del 40 per cento, la Corte avrebbe potuto dichiarare incostituzionale anche il premio di maggioranza raggiungendo il 40 per cento, ma non lo ha fatto.
  Senza voler entrare nelle arrière-pensées della Corte, in realtà il ragionamento che noi potremmo fare e che secondo me va fatto è che il mantenimento del 40 per cento come soglia per il premio costituisce l'ultima residua spinta a un mantenimento maggioritario del sistema politico. Questo 40 per cento che rimane è quello che permette ai partiti politici di poter fare una campagna elettorale dicendo: «Fammi raggiungere quella soglia, perché io ho la maggioranza».
  La contraddizione fra Camera e Senato non mi spaventa, perché i sistemi elettorali di Camera e Senato sono diversi, l'elettorato diverso e c'è una storia nel nostro testo costituzionale di diversità. Certamente non si può pensare di introdurre il premio di maggioranza al Senato, perché questo sarebbe un errore fatale. Il rischio di avere due premi di maggioranza che vadano in senso opposto è uno di quei rischi che, secondo me, non si possono correre.
  Il cosiddetto «premietto», a mio avviso, è inutilmente distorsivo. La Corte ci ha detto che i sistemi elettorali possono avere una dose di distorsività e possono superare il carattere meramente fotografico, ma solo se c'è un obiettivo da raggiungere, che è quello della governabilità.
  Il «premietto» non risponde a questi requisiti, oltre alle considerazioni che facevano altri colleghi, secondo cui c'è il rischio che il «premietto» vada a un partito che non è in grado di coalizzarsi. A me Pag. 17pare che il «premietto» violi strettamente le indicazioni della Corte costituzionale.
  Sul turno di ballottaggio la Corte non si esprime e lascia intendere che sarebbe ammissibile. Tuttavia, il problema dell'ammissibilità del turno di ballottaggio è legato al parlamento bicamerale. Costruiamo un turno di ballottaggio, ma come lo costruiamo concretamente, quando abbiamo un sistema politico che può spingere in direzioni diverse i due ballottaggi? Cosa facciamo? L'accesso al ballottaggio si ha solamente se le stesse due liste o partiti vanno al secondo turno? È un sistema in cui le casualità diventano troppe e, quindi, io lo trovo abbastanza incongruo.
  In tema di ragionevoli soglie di sbarramento, la Corte ha fatto riferimento al 5 per cento tedesco. Il 5 per cento è una soglia di sbarramento a cui tradizionalmente si fa riferimento. È chiaro che la soglia di sbarramento che è rimasta alla Camera difficilmente potrà esser toccata. La soglia è del 3 per cento e mi sembra difficile, se si rimane all'interno di quello schema, andare o troppo sotto o troppo sopra.
  Il vero problema è se ha un senso la soglia di sbarramento del 3 per cento alla Camera e la soglia di sbarramento dell'8 per cento per i partiti non coalizzati al Senato.
  Il ragionamento che qui io faccio è duplice. In primo luogo, questa soglia di sbarramento dell'8 per cento è a livello regionale, il che territorializza il sistema dei partiti secondo la logica richiesta dalla Costituzione.
  È un elemento distorsivo del proporzionale che non è incongruo, perché, così come non è incongruo il premio di maggioranza alla Camera, in quanto finalizzato alla governabilità, una soglia di sbarramento leggermente più elevata al Senato può essere egualmente ritenuta finalizzata all'aggregazione dei partiti politici.
  Per quanto concerne le candidature bloccate, richiamo la sentenza n. 35, che sul punto è estremamente chiara.
  Il sorteggio può anche essere accettabile, ma il criterio naturalmente è la disponibilità del legislatore. Dell'articolo 51 ho già parlato.
  Il sistema Mattarellum sicuramente è compatibile con la sentenza della Corte. Il problema, come è stato detto, è quello del rendimento del Mattarellum nell'attuale sistema politico.
  Anche a me pare incoerente sommare collegi maggioritari uninominali e premio di maggioranza. Mentre era coerente il Mattarellum, cioè la quota residua per riproporzionare, a me sembra incoerente, al di là degli esiti estremamente difficili da comprendere, l'idea di un premio di maggioranza nazionale che si somma all'esito maggioritario dei collegi.
  Ringrazio e chiedo scusa del piccolo sforamento.

  ENRICO LA LOGGIA, Esperto della materia. Ringrazio innanzitutto per l'invito. Faccio una prima osservazione a proposito dell'ultima sentenza della Corte.
  Ovviamente la Corte si limita a esprimere princìpi. Immagino sia lungi dall'idea della Corte fare una proposta elettorale. Peraltro, se non ricordo male, è il Parlamento che ha questo potere e, quindi, è lui che lo deve esercitare in piena autonomia, anche perché la decisione della Corte Costituzionale è legata alla legge elettorale esistente.
  Io penso che qui stiamo parlando di una nuova legge elettorale e penso che questa fosse la vostra intenzione, sicché, tenendo certamente conto dei princìpi espressi dalla Corte costituzionale, come è doveroso, il Parlamento è libero di scrivere la legge elettorale che ritiene più opportuna.
  Vado avanti. Non risponderò a tutte le domande, ma solo ad alcune. Personalmente sarei più propenso per un sistema misto, 50 per cento uninominale e 50 per cento proporzionale, un po’ sul modello del sistema tedesco. Altrimenti, un altro sistema assolutamente preferibile è quello dei collegi.
  Ricordo che su questo ci fu un amplissimo dibattito nel 2001, quando il Ministro Giuliano Amato e io fummo incaricati dagli schieramenti opposti di tentare un accordo tra le diverse forze politiche. Pag. 18
  Eravamo a un passo dal raggiungere questo accordo, ma non si trovò l'intesa sul fatto che il premio di maggioranza avrebbe dovuto calcolarsi sui voti espressi nei collegi oppure sui voti espressi nella parte proporzionale. Siccome questo era un argomento di grandissimo rilievo, assolutamente determinante per un futuro risultato elettorale, purtroppo non si raggiunse questa intesa.
  Sono assolutamente d'accordo, invece, sul premio di maggioranza e sono d'accordo sulla soglia del 40 per cento, ma con un'avvertenza, che a me pare di buonsenso e di cui ancora non ho sentito parlare dai colleghi che mi hanno preceduto. Il 40 per cento andrebbe calcolato sugli aventi diritto al voto, non sui voti validi espressi, anche perché, con l'attuale disaffezione del popolo italiano a esprimersi in un'elezione, noi correremmo il rischio di assegnare il premio di maggioranza del 40 per cento a chi ha raggiunto il 20, il 22 o il 23 per cento dei voti rispetto a tutti gli aventi diritto. Non mi pare che questo corrisponda a un criterio di rappresentatività, tutt'altro.
  Non sono affatto d'accordo sul ballottaggio, ma, laddove si pensasse di introdurre una formula di ballottaggio, sarei a maggior ragione contrario al calcolo della maggioranza sui voti validi anziché sugli aventi diritto.
  Sono totalmente contrario al premio di governabilità, che non servirebbe assolutamente a nulla, non darebbe certezza di governabilità e sicuramente si presterebbe, come è già stato detto, alla possibilità che forze politiche tra di loro disomogenee si possano mettere insieme per formare una maggioranza parlamentare diversa dal partito o dalla coalizione di liste alla quale è stato assegnato il premio di governabilità. Non mi pare che questo sia ragionevole.
  Riguardo alle soglie, a me pare che quelle indicate, che ho visto in diverse proposte presentate qui alla Commissione affari costituzionali della Camera, ovvero soglia del 5 per cento se la lista è singola e del 3 per cento se sono in coalizione, siano ragionevoli. Penso che su questo si possa lavorare, mi auguro senza che si sollevino troppe obiezioni.
  Sono assolutamente contrario ai capilista bloccati. È mille volte meglio, allora, ritornare al criterio dei collegi, anche se magari con articolazioni diverse, con il collegio circoscrizionale anziché quello territoriale o entrambi, ma certamente non con i capilista bloccati.
  Peraltro, si è affermato da parte di tutti e si continua ad affermare, come è doveroso che si faccia, l'indispensabilità della parità di genere. La legge che è stata varata ultimamente dalla Camera e sulla quale si è espressa la Corte costituzionale prevede che il 60 per cento dei capilista possano essere dell'uno o dell'altro genere. La parità dov'è finita? C'è una contraddizione in termini che francamente non trova nessuna giustificazione.
  Faccio ancora un'osservazione sul premier indicato, di cui parlava il professor Onida. Vi pare possibile che, mentre si prevede che venga indicato dalla forza politica che, peraltro, si candida a governare – qui condivido l'ironia del professor Onida, che ci saranno forze politiche che non si candidano per governare e non si capisce perché si candidano, comunque, così è scritto nella legge che è stata approvata dal Parlamento – la lista o addirittura la coalizione di liste può indicare il proprio leader, però (e questa altra ironia me la dovete consentire) restano intatti i poteri del Capo dello Stato. Questa è una contraddizione talmente evidente che a me pare strano che il Parlamento su questo si sia soffermato e abbia dato una soluzione francamente «risibile» (consentite il termine).
  È come se, al termine delle prossime elezioni, il Presidente Mattarella, reduce da una giornata in libertà, in campagna, con gli amici, con radio spenta, assolutamente non collegato col Quirinale, torna a tarda sera al Quirinale, chiama il segretario generale e dice: «Senta, sa come si orientano i risultati elettorali? Chi sarà?» Il segretario gli risponde: «Probabilmente vince lo schieramento del candidato A». Mattarella dice: «Mannaggia, ma come? Io domani mattina avevo tutta l'intenzione di nominare il candidato B! E adesso come faccio?» Vi pare possibile che in una legge del Pag. 19Parlamento italiano possa essere sfuggita una cosa di questo genere?
  Faccio ancora una breve annotazione sul Trentino-Alto Adige, perché merita un'attenzione importante, anche se rapida. Innanzitutto, questo sarebbe un terzo sistema elettorale. Finora abbiamo un sistema elettorale per la Camera, uno per il Senato e uno per il Trentino-Alto Adige, in particolare per l'Alto Adige.
  Il comma 6 dell'articolo 83 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957 recita: «Essi non concorrono alla ripartizione dei seggi assegnati nella restante parte del territorio nazionale». A me non pare che questo sia un sistema che possa essere mantenuto.
  Lo spiego meglio. Con la specialità che è stata riservata al Trentino-Alto Adige, anche nel sistema elettorale per l'elezione della Camera e del Senato non vi sono affatto motivi fondanti finalizzati alla tutela delle minoranze linguistiche attraverso l'esclusivo mezzo dei collegi uninominali.
  Non è mai stato scritto da nessuna parte, neanche nella misura 111. Infatti, leggendola non si evince affatto la necessità di collegi uninominali, ma anzi si parla – ed è bene che sia stata scritta così – di proporzione in base alla consistenza dei gruppi italiani e tedeschi.
  Sul quesito se si ritenga che il sistema in vigore al Senato, che si vuole estendere anche alla Camera solo ora, certificando con ciò che la misura 111 non obbliga ai collegi uninominali, in realtà violi proprio la proporzionalità prevista dalla norma costituzionale, la mia opinione è: no.
  Rispetto all'ultimo quesito se la rappresentanza della minoranza linguistica possa essere, come è già stato fino a oggi per la Camera dei deputati e per l'elezione del Parlamento europeo, garantibile attraverso l'introduzione di soglie di sbarramento regionali o obbligo di collegamento con un partito nazionale, la mia risposta è: sì, io credo che sia assolutamente possibile.
  Concludendo, lasciatemi esprimere un auspicio, presidente. Forse non era previsto che si facessero auspici in questa sede, ma io mi sento di farlo. Unendo un po’ di esperienza a un po’ di studio, talvolta le due cose insieme portano a qualche buon risultato.
  Io auspico sul serio che si faccia una nuova legge elettorale e che si trovi un'intesa tra le forze politiche per farla. Il tempo c'è, non ci si venga a dire che il tempo non c'è. L'esperienza mi dice che, se si trova un'intesa – e in una settimana si può trovare – la legge elettorale può nascere entro marzo o, se vogliamo esagerare, entro aprile, lasciando tutto il tempo di decidere se arrivare al termine della legislatura, come è auspicabile, o meno.
  Aggiungo una piccola avvertenza: non pensate che da qui debba nascere una legge perfetta, contentiamoci del meglio possibile. Come diceva Winston Churchill – e mai affermazione fu più da condividere – non esistono leggi perfette, per la semplice ragione che occorre una maggioranza che le approvi in Parlamento. Se lo diceva Winston Churchill, penso che ne possiamo fare tesoro anche noi.

  FRANCESCO SAVERIO MARINI, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma Tor Vergata. Grazie dell'invito all'odierna audizione. Cercherò di rispondere nel modo più sintetico possibile ai quesiti e invierò un testo scritto già oggi nel pomeriggio.
  In premessa, va considerata la tendenza del giudice costituzionale a estendere le proprie materie di intervento nella materia della legge elettorale, sino ai limiti, se non oltre, del sindacato di legittimità.
  I parametri utilizzati della proporzionalità e della non manifesta irragionevolezza si presentano, infatti, fortemente generici ed elastici, riservando al giudice costituzionale margini di apprezzamento molto ampi, tendenza che ha prodotto una pericolosa delegittimazione delle Camere con la doppia pronuncia in questa legislatura e che va assolutamente scongiurata nelle prossime legislature.
  In che modo? Una strada, ovviamente politicamente impraticabile, è quella della costituzionalizzazione del sistema elettorale, almeno nei suoi congegni essenziali. La seconda strada potrebbe dirsi quella della «strategia dei piccoli passi». Rispetto a parametri generici, mi sembra opportuno Pag. 20conservare quanto più possibile intatto l'impianto consegnato al Parlamento dalla sentenza n. 35 del 2017, modificandolo solo su aspetti non tali da stravolgerne l'identità e comunque in aderenza alle linee e opzioni che ha indicato la Corte costituzionale.
  Passando rapidamente ai singoli quesiti, il primo riguarda la soglia per l'accesso al premio. Ripeterò molte cose che sono state dette, poiché in fondo sono d'accordo con quello che ho sentito. Penso che la soglia del 40 per cento sia una soglia che è già stata in qualche modo bollinata dalla Corte costituzionale e, per quanto già detto in precedenza, probabilmente non meriterebbe di essere modificata.
  Il secondo quesito, invece, riguarda la possibilità di ottenere il premio al raggiungimento della soglia nei due rami del Parlamento, soluzione che, se per un verso è apprezzabile, perché agevola senz'altro la governabilità, per altro verso solleva alcune perplessità in punto di legittimità costituzionale.
  Tali criticità si pongono in particolare rispetto al principio bicamerale e all'autonomia di cui ciascuna Camera gode nei confronti dell'altra. L'uno e l'altra risulterebbero minati laddove si faccia dipendere l'esito dei risultati elettorali e, dunque, la composizione di una Camera dai risultati elettorali e dalla composizione dell'altra, senza considerare che, come è già stato osservato, nel nostro ordinamento può essere disposto lo scioglimento anche di una sola Camera e, ove si realizzasse questa eventualità, la portata razionalizzatrice della previsione finirebbe per essere posta nel nulla.
  Il terzo quesito riguarda il tipo di premio. In proposito ritengo che il cosiddetto «premietto» o «bonus» introdurrebbe una forma di distorsione del voto popolare senza assicurare la governabilità e, quindi, sarebbe da questo punto di vista irragionevole e, dunque, da evitare.
  Il quarto quesito riguarda il premio di maggioranza al Senato e il rispetto della norma che prevede l'elezione su base regionale. In proposito va rilevato che l'articolo 57 della Costituzione è stato inteso, sia in giurisprudenza che in dottrina, in senso tendenzialmente riduttivo.
  Inoltre, nella sentenza n. 1 del 2014 la Corte ha censurato l'attribuzione del premio a livello delle singole regioni, perché ha sostenuto che il risultato aggregato dei diversi premi potrebbe ragionevolmente contraddire il risultato ottenuto dalle liste e dalle coalizioni a livello nazionale.
  Al contrario, la stessa sentenza sembra prefigurare come necessari congegni volti a raccordare la base regionale, che resta ferma, con i risultati nazionali delle elezioni. In questa prospettiva, allora, potrebbero immaginarsi delle previsioni che subordinino l'accesso al premio alla vittoria o al conseguimento di una determinata soglia elettorale in un numero minimo di regioni o in un numero di regioni che rappresenti una certa consistenza demografica della popolazione nazionale.
  Per quanto riguarda la reintroduzione del ballottaggio, è stato già ricordato che la specifica criticità che inficiava il turno di ballottaggio nell'Italicum era l'assenza di una soglia di suffragi minimi per l'accesso al secondo turno, difetto che non scongiurava il rischio che una maggioranza relativa qualunque potesse essere trasformata in maggioranza assoluta in virtù del solo premio.
  Il ballottaggio, dunque, per essere conforme alle prescrizioni della Corte, dovrà assicurare l'effettivo peso in termini rappresentativi delle liste che vi concorreranno per ottenere il premio, ad esempio assegnando il premio solo laddove partecipi al ballottaggio o esprima suffragio favorevole la maggioranza degli aventi diritto.
  Sullo slittamento dei seggi tra le circoscrizioni è già stato detto tutto. Il sistema attualmente vigente è passato indenne allo scrutinio della Corte, la quale ha salutato con favore la scelta del legislatore di configurare questa ipotesi, che non è certamente incostituzionale, come ipotesi residuale e come un'estrema ratio.
  Riguardo alla soglia di sbarramento, la Corte ha avuto modo di osservare che, non solo è costituzionalmente legittima, ma è funzionale a diversi interessi costituzionali, Pag. 21cioè a ridurre la frammentazione dell'arco parlamentare, ad agevolare la governabilità e a formare opposizioni più compatte.
  Sulla base di queste premesse, non sembra comunque potersi negare che una discrezionalità molto ampia spetta al legislatore. Va rilevato comunque che la legislazione elettorale della quasi totalità delle democrazie occidentali adotta delle clausole che sono comprese tra il 3 per cento, come in Italia e in Spagna, e il 5 per cento, come in Germania, come è già stato ricordato dalla sentenza della Corte. Tali soglie potrebbero subire ragionevoli abbattimenti per incentivare la coalizione delle liste.
  Nessun particolare vincolo discende invece dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo. Benché, infatti, nel 2007 l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa abbia auspicato la fissazione di soglie di sbarramento non superiori al 3 per cento, la Corte di Strasburgo ha ritenuto l'entità della soglia in buona sostanza una scelta discrezionale degli Stati.
  Riguardo alle candidature bloccate, la posizione della Corte è molto chiara: le liste bloccate non sono in sé vietate, divenendo costituzionalmente illegittime solo laddove precludano la libera e consapevole espressione del voto, circostanza che si verifica quando la lista venga presentata in circoscrizioni molto ampie e contenga un numero assai elevato di candidati bloccati, rendendo così impossibile per l'elettore conoscere i candidati che è chiamato a votare.
  Il nono quesito riguarda i criteri più opportuni per superare il sorteggio nel caso di pluricandidature. Anche sul punto la sentenza della Corte è chiara: la Corte non ha ritenuto incostituzionale il meccanismo della pluricandidatura, ma solo la remissione all'esclusiva e arbitraria volontà del pluricandidato della scelta del collegio in cui essere eletto.
  La stessa Corte ha individuato, sebbene esemplificativamente, alcuni criteri alternativi rispetto al sorteggio percorribili per l'individuazione del collegio. Per premiare il voto di preferenza espresso dagli elettori, potrebbe stabilirsi in particolare che il capolista candidato in più collegi debba essere proclamato eletto nel collegio in cui il candidato della medesima lista il quale sarebbe eletto nel luogo del capolista abbia riportato in percentuale meno voti di preferenza o una minor cifra elettorale individuale rispetto a quelle ottenute dai candidati in altri collegi con lo stesso capolista. Questo criterio, avendo già ottenuto l'avallo preventivo della Corte, dovrebbe essere tenuto in considerazione dal legislatore.
  Riguardo alla rappresentanza di genere, mi limito a rilevare che le previsioni contenute nella vigente legge elettorale della Camera sembrano sufficienti e vadano perciò estese anche al Senato.
  A ogni modo, vale il principio affermato dalla costante giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui non possono essere legittimamente introdotte nell'ordinamento misure che non si propongono di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle donne di raggiungere determinati risultati, bensì di attribuire loro direttamente quei risultati medesimi.
  L'undicesimo quesito riguarda la costituzionalità dei collegi uninominali maggioritari. Sulla base della sentenza n. 1 del 2014 non si può dubitare che tale sistema sia costituzionalmente legittimo.
  Il dodicesimo quesito attiene, invece, alla possibilità di correggere l'uninominale maggioritario con la previsione di un premio di maggioranza o governabilità, eventualità che, a mio avviso – sono d'accordo sia con Guzzetta che con Luciani – genererebbe probabilmente un esito incostituzionale.
  Occorre, infatti, considerare che già l'uninominale per sua natura produce un effetto distorsivo del voto popolare in senso pro-maggioritario. Se a esso si aggiungesse anche il premio di maggioranza, si avrebbe una valorizzazione eccessiva e sbilanciata della governabilità a scapito della rappresentatività.
  Non è inutile ricordare, a conferma di questa conclusione, che il Mattarellum, nell'accogliere l'uninominale, provvedeva poi a correggerlo mediante l'assegnazione proporzionale di una quota dei seggi.
  Il tredicesimo quesito è quello relativo al sistema elettorale trentino. Anche sul Pag. 22punto qualche perplessità è legittima, anzitutto in considerazione della disomogeneità del sistema. Tali previsioni con riguardo alla regione Trentino-Alto Adige non vanno in effetti esenti da dubbi di legittimità costituzionale, non solo per la disomogeneità – su questo rinvio al testo scritto – ma anche perché questo sistema non raggiunge nemmeno lo scopo per il quale è congegnato.
  Esso, infatti, comporta che una larga fetta, non solo una minoranza eccessivamente frammentata di elettori, finisca per non essere affatto rappresentata, in quanto non riesce a esprimere nessun parlamentare né nei collegi uninominali né in quelli proporzionali.
  Un possibile rimedio legislativo potrebbe scorgersi nell'omogeneizzazione del sistema trentino rispetto al modello nazionale, limitandosi a introdurre qualche meccanismo di tutela, quale ad esempio la riserva di una percentuale di seggi alle liste rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute.
  L'ultimo quesito concerne i controlli sulla regolarità del voto. Sul punto mi limito a rilevare che il voto degli italiani all'estero meriterebbe una diversa disciplina. In dottrina più voci hanno autorevolmente argomentato la difficile compatibilità, se non l'aperto contrasto, tra il voto per corrispondenza e i canoni di libertà, segretezza e personalità del voto.
  Pur volendo ammettere il voto in loco, dovrebbero essere replicate delle condizioni analoghe a quelle garantite dal seggio, consentendo e imponendo il voto presso i diversi consolati e, quindi, escludendo comunque il voto per corrispondenza, salvo in casi eccezionali, come previsto per il resto del territorio.

  MASSIMO VILLONE, Emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II».
  Anch'io risponderò ad alcune domande, rinviando, per la brevità del tempo, al testo scritto. Vorrei innanzitutto dire che, in termini filosofici, penso che noi dovremmo smetterla di fare gli apprendisti stregoni con la legge elettorale e dovremmo tornare a una formulazione antica, che io ricordo di aver studiato quando ero ai miei primi libri, per cui la legge elettorale serve a tradurre i voti in seggi e non a coprire i seggi a prescindere dai voti, come invece alcuni sembrano oggi pensare.
  Rispondo alle domande nell'ordine. Io ritengo che non ci sia nessuna ipotesi di premio con soglia fino in fondo compatibile con la Costituzione. Credo che l'unico incentivo di tipo maggioritario che abbia una sua compatibilità con la Costituzione sia il maggioritario di collegio.
  La differenza fondamentale fra questi due sistemi è che un maggioritario di collegio dà l'incentivo di governabilità intrinsecamente, com'è stato detto dai colleghi, senza manipolazione legislativa dell'esito del voto. Ci si conta, l'esito è quello e nessuno ci mette mano.
  Invece, il premio di maggioranza fa esattamente una manipolazione legislativa del voto. Il risultato esce dall'algoritmo, come potremmo dire con una formula che oggi piace molto, e c'è una distorsione della rappresentatività. Si dice che ce l'ha anche il collegio uninominale. Questo è vero, ma lì non c'è la manipolazione legislativa. Inoltre, c'è una forte distorsione dell'eguaglianza di voto, come testimoniato dalla previsione di un quoziente elettorale di maggioranza e uno di minoranza.
  Perché la Corte sbaglia? Io penso che sbagli perché non considera il sistema elettorale nel sistema, ma ne considera singoli elementi come se fossero parte di una logica chiusa in se stessa. Invece, la legge elettorale deve essere vista anche nell'ambito del sistema politico. Pertanto, un sistema di soglia e premio può essere ragionevole in un contesto effettivamente bipolare, ma è, invece, irrazionale in un contesto multipolare come quello che noi oggi abbiamo e che per qualche tempo sicuramente avremo. Io credo, quindi, che questa scelta andrebbe abbandonata.
  Detto questo in premessa, più si alza la soglia, meno il sistema è lontano dalla compatibilità costituzionale e viceversa. Ovviamente noi non possiamo dire il contrario di quello che la Corte ha disposto, però, come è stato già ricordato, possiamo dire cose diverse e, quindi, certamente possiamo Pag. 23 abbandonare, volendo, questo sistema di soglie e premio.
  Il secondo quesito concerne il parallelismo tra Camera e Senato. Non è mai possibile garantire con certezza la stessa maggioranza tra le due Camere, però c'è una diversità significativa che impatta in modo potenzialmente negativo sulla governabilità, che si considera come un bene costituzionalmente rilevante.
  Sottolineo un punto che a quanto pare nessuno ha colto e che va rivisto assolutamente rispetto al Senato: i collegi. Noi allo stato avremmo una campagna di liste e preferenze in collegi di milioni di elettori. Io sfido chiunque a fare una campagna in queste condizioni. Questo farebbe implodere qualunque forza politica e qualunque solidarietà territoriale. Questa è una cosa che bisogna assolutamente rivedere, perché da sola è un elemento di grandissimo impatto sul sistema politico-istituzionale, a prescindere dalle maggioranze.
  Il terzo punto concerne il «premietto». Come hanno detto i colleghi, questa è una distorsione sine causa e, quindi, come tale, certamente incostituzionale. Io penso che siamo nella manifesta irrazionalità.
  Il quarto punto riguarda l'attribuzione del premio su base nazionale. Concordo con l'opinione dei colleghi che ritengono che la base regionale non escluda che ci siano poi meccanismi su base nazionale, siano essi di recupero proporzionale dei resti, se il sistema fosse proporzionale, o di distribuzione del premio di maggioranza su base nazionale, se fosse un impianto maggioritario.
  Riguardo al ballottaggio, a prescindere da quello che dice la Corte, io credo che vada respinto, per la considerazione che facevo prima, ovvero che bisogna considerare il sistema elettorale nel sistema politico nel suo complesso. In un sistema multipolare come quello che noi abbiamo, il ballottaggio è una finzione politica e istituzionale.
  Non può di per sé assicurare né il radicamento né una maggiore partecipazione né, soprattutto, una maggiore aderenza della Camera elettiva al Paese reale, che è la cosa che veramente conta e che non si risolve semplicemente nei numeri.
  Questa è la grande illusione: basta avere i numeri in Parlamento e tutto va bene. Non è così. La legislatura che stiamo vivendo è la dimostrazione del contrario e da quando abbiamo avuto il Porcellum è andata sempre così, perché questa aderenza non c'è e i numeri non la danno. La Camera elettiva serve se in qualche modo riflette il Paese reale, altrimenti non serve, anzi è un luogo di pericolo istituzionale. Dunque, niente ballottaggio.
  Potrebbe andare bene, anche in questo caso, se il sistema fosse effettivamente bipolare, in una ratio complessiva. Non si può dire: «Va bene così». Va bene se nel contesto dà un esito razionale nell'insieme.
  Tralascio il sesto punto sullo slittamento, di cui si è parlato, e passo al settimo, relativo alle ragionevoli soglie di sbarramento. Anche su questo va fatto un ragionamento di sistema. In un sistema proporzionale nell'esito la soglia di sbarramento ha un senso, ma in un sistema maggioritario che assicuri la governabilità aliunde la soglia di sbarramento non si giustifica.
  Tanto è vero che la Corte, in realtà, quando passa su questo terreno, opera un sottile cambio di terreno di gioco, perché passa dalla governabilità alla necessità di semplificare il sistema politico. È un cambio di carte. Io direi «il gioco delle tre carte», con ogni rispetto per la Corte, perché uno che legge nota che si sta cambiando il terreno di gioco.
  Non è il valore della governabilità e della maggioranza, che c'è aliunde, ma è un'altra cosa, che, però, forse non ha lo stesso valore di bene costituzionalmente protetto, perché magari l'articolo 49 vuole un esito diverso. Io credo, quindi, che anche su questo il ragionamento debba essere un ragionamento d'insieme.
  Su questa premessa, una soglia del 3 per cento allineata a quella della Camera potrebbe andare, a mio modo di vedere. Anche in questo caso, un allineamento tra Camera e Senato, se noi abbiamo il minus rispetto alla governabilità, come si diceva prima, è una distorsione sine causa.Pag. 24
  Per ciò che concerne le candidature bloccate, io sono assolutamente contrario. Ripeto ancora una volta che bisogna vedere gli elementi nel contesto. Se io ho un listino bloccato, tipo il modello tedesco, come era il vecchio Mattarellum, io ho una definizione dell'offerta politica di un partito e questo è certamente un obiettivo costituzionalmente apprezzabile, che si rifà all'articolo 49 della Costituzione.
  Se, invece, io ho soltanto il capolista bloccato, do il potere al segretario di mettersi i pretoriani in Parlamento, che non è un obiettivo costituzionalmente apprezzabile. Non è la stessa cosa; non si può dire «se io posso mettere le liste corte, allora ne posso mettere almeno uno», perché cambia il senso, la ratio, il significato e l'obiettivo. Uno è costituzionale e l'altro no. È per questo che il singolo capolista bloccato non va bene.
  Se si vuole fare un sistema misto tipo il tedesco, con collegi uninominali e liste bloccate o il vecchio Mattarellum proporzionale con listino, va bene, perché quello ha il senso di una definizione dell'offerta politica del partito. Dunque, no al voto bloccato sul singolo capolista.
  Sulle pluricandidature, come si è detto, ci sono diversi sistemi. Io sarei certamente per la più alta votazione proporzionale nei collegi, ma ho sentito che un altro collega propone la più bassa. Comunque, è una scelta da fare.
  Rispetto al quesito numero undici, relativo alla compatibilità del Mattarellum con la giurisprudenza della Corte costituzionale, la risposta è: certamente sì. Io sono dell'idea che un Mattarellum con proporzionale al 50 per cento, abbastanza simile al sistema tedesco, sarebbe utile a radicare la politica e a legittimarla e potrebbe essere anche uno strumento per il consolidamento di soggetti politici su base nazionale.
  Sul quesito numero dodici concordo con l'opinione dei colleghi: non credo che la giurisprudenza della Corte costituzionale consenta di correggere l'impianto maggioritario con un ulteriore strumento maggioritario, per l'eccesso di distorsione che questo ovviamente procurerebbe.
  Tralascio la penultima domanda. Sull'ultima vorrei dire che sono assolutamente d'accordo riguardo al voto degli italiani all'estero. Il collega La Loggia certamente ricorda quante sofferenze ci ha dato il voto agli italiani all'estero, sul quale molti di noi avevano fortissime perplessità e che si è dimostrato essere a rischio.
  Io sono per il voto presso una sede ufficiale, sia essa un'ambasciata, un consolato o comunque una sede che richieda di andare di persona a votare, perché questo è il punto dolente che noi riscontriamo: la raccolta di consenso che viene poi portato dal raccoglitore laddove si fa la conta.
  Faccio alcune considerazioni per chiudere rapidamente, rimandando per il resto al testo scritto. Sarebbe tollerabile l'inerzia, che nessuno facesse nulla. Io vedo anche questa possibilità, ma auspico che non accada, perché, come è stato detto, la disciplina del Senato non è veramente autoapplicativa e ci sono differenze pronunciate fra due le Assemblee, forse più di quello che normalmente si dice, e ci sono elementi di impraticabilità. Come ho detto, il punto dei collegi a me pare addirittura pericoloso.
  In secondo luogo, io credo che bisogni tener conto della natura multipolare del sistema. Non si può fare una legge a prescindere dalla connotazione attuale nel sistema, che sembra destinata a durare, e ragionare come se noi fossimo a dieci anni fa, quando tutti dicevano: «Questo è un sistema bipolare, quindi impiantiamo meccanismi coerenti».
  Io credo che si debba puntare a una rappresentatività senza manipolazioni legislative, perché abbiamo bisogno, proprio per la difficoltà dei tempi, di un'assemblea che sia davvero rappresentativa e abbiamo bisogno di sistemi elettorali che favoriscano il consolidamento del sistema politico e dei partiti nazionali.
  Uno dei colleghi – mi dispiace, ma non ricordo quale – ha citato questo punto, che io credo sia cruciale. Quei sistemi che in passato hanno avuto l'onore di essere valutati come strumenti primari di governabilità e di stabilità, come quello spagnolo, alla fine hanno dimostrato come, non solo Pag. 25non si sia raggiunto il risultato, ma si siano messi in campo strumenti di frantumazione del Paese. Io considererei, quindi, anche questo valore di consolidamento di soggetti politici nazionali.

  FELICE BESOSTRI, Esperto della materia. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito, come già si era verificato con la precedente legge, l’Italicum.
  Sono convinto, in accordo con la professoressa Nadia Urbinati, che l'ampiezza e la profondità della discussione che precede le decisioni siano più importanti dello stesso sistema elettorale e che, perciò, queste audizioni servano effettivamente al formarsi di una convinzione da parte prima della Commissione e poi dell'Aula.
  Ai quesiti preferisco rispondere per iscritto. Vorrei fare alcune puntualizzazioni, invece, su una questione di carattere generale.
  In primo luogo, ritengo che sia illegittimo un premio di maggioranza, comunque congegnato, sul piano nazionale che spalmi i suoi effetti sulle circoscrizioni o collegi elettorali. C'è una puntuale sentenza del tribunale costituzionale tedesco, il Bundesverfassungsgericht, sui cosiddetti «mandati aggiuntivi», decisione del secondo Senato del 3 luglio 2008, per la quale nessun candidato può essere danneggiato o favorito dal comportamento elettorale di elettori di altre circoscrizioni, come invece si verifica nell'Italicum.
  Quella giurisprudenza non può essere ignorata, perché proprio nella sentenza n. 1 del 2014 per motivare, in assenza di suoi precedenti, la Corte costituzionale ha dovuto far riferimento a quella giurisprudenza. Infatti, l'ordinamento costituzionale tedesco federale è omogeneo a quello italiano e non ha costituzionalizzato il sistema elettorale. Aggiungo che l'articolo 38 della Grundgesetz, la legge fondamentale, in materia di votazioni, è sovrapponibile al nostro articolo 48, secondo comma. Il passo che in quella giurisprudenza è citato è quello del considerato in diritto, punto 3.1, paragrafo undicesimo. Di questo va tenuto conto, perché, anche quando la Corte costituzionale argomenta e sembra dare dei suggerimenti, questi non sono dei suggerimenti svincolati che riflettono opinioni personali della Corte, ma sono sempre princìpi costituzionali che andrebbero considerati.
  Ricordiamo che alla sentenza sul Porcellum si è arrivati dopo che con ben tre sentenze, la n. 15 e la n. 16 del 2008 e la n. 13 del 2012, era stato fatto un ammonimento al Parlamento, il quale non ne ha tenuto conto, sul fatto che c'erano dei problemi di costituzionalità di un premio di maggioranza dato senza soglia.
  Queste stesse cose erano state dette in sede di audizione sulla legge elettorale in questa Commissione, quando ancora non c'era l’Italicum, ma si parlava di Hispanicum o di Mattarellum con premio di maggioranza. Nello stesso senso si era espresso il professor Zanon, che sarebbe poi diventato il relatore della sentenza n. 35 del 2017 della Corte costituzionale. Lo stesso professor Zanon, commentando la sentenza n. 1 del 2014, ebbe a scrivere che il Parlamento, dopo quella sentenza, avrebbe dovuto agire come un sorvegliato speciale e fare la legge elettorale, mutuando un'espressione carlschmittiana, sous l'œil des russes.
  La conseguenza è la prudenza, come molti hanno già detto, che è necessaria anche considerando che per la tenuta delle istituzioni sarebbe estremamente negativo che ci fosse una terza legge elettorale incostituzionale, particolarmente nel caso in cui questa fosse dichiarata tale dopo la celebrazione delle elezioni, perché questo riprodurrebbe la situazione del parlamento eletto nel 2013 dopo la sentenza n. 1 del 2014.
  Occorre, quindi, prestare attenzione alle questioni di costituzionalità presenti nei ricorsi pendenti. Dei 22 ricorsi, infatti, soltanto tre sono stati decisi in primo grado e sono già in appello, mentre cinque sono sospesi per effetto dell'articolo 23 della legge n. 87 del 1953 e uno è stato deciso, dopo la sentenza della Corte costituzionale, con un'ordinanza di non luogo a provvedere «per aver pronunciato sentenza la Corte costituzionale su tutte le domande dei ricorrenti».
  È una cosa un po’ stupefacente, anche perché non è vero, in quanto le eccezioni di incostituzionalità nei ricorsi sono ben quattordici: Pag. 26 tredici sull’Italicum e una residuata, invece, della legge n. 270 del 2005. Perciò, tredici devono essere ancora decisi, quindi non sono da escludere sorprese, specialmente se non si vota a breve. Farò pervenire la risposta ai quesiti per iscritto.

  ANNA FALCONE, Esperta della materia. Ringrazio per l'invito. Visto il numero dei quesiti, risponderò per gruppi di domande e soltanto ad alcune singolarmente.
  Innanzitutto, ci sono due premesse che credo vadano tenute sempre in considerazione quando ci si accinge a modificare la legge elettorale. La prima concerne l'articolo 1 della Costituzione. Se è infatti vero che la Costituzione non prevedeva espressamente un modello di legge elettorale, il fatto di iniziare con «la sovranità appartiene al popolo» ci ricorda costantemente che qualsiasi sistema noi adottiamo deve garantire che questa sovranità venga esercitata nella maniera più piena e anche più adeguata ai tempi e al contesto politico.
  La seconda premessa riguarda proprio il contesto politico, come già ricordava il professor Villone. L'esperienza dell'adozione in questi anni dei sistemi con correttivi maggioritari ci ha dimostrato che il nostro sistema, essendo un sistema plurale e articolato, non si presta a essere ridotto a contesti bipolari stabili e men che meno a contesti bipartitici tali da tollerare dei sistemi maggioritari che possano veramente garantire quell'esigenza di governabilità che ci si prefigge con questi sistemi.
  Del resto, noi sappiamo che la Costituzione era pensata per un sistema proporzionale. Ne è testimonianza l'articolo 138 della Costituzione, che, laddove richiede delle maggioranze qualificate, almeno in prima battuta, per modificare la Costituzione, lo fa proprio per garantire che almeno una minoranza del Parlamento, un Parlamento eletto con legge proporzionale, sia d'accordo nella modifica della Costituzione che non debba passare dal voto referendario.
  Credo che sia importante ribadire questo concetto, perché abbiamo visto come nei decenni scorsi il passaggio da un sistema proporzionale a un sistema con premio di maggioranza, non solo non abbia semplificato il quadro politico, ma non ha neanche garantito un'effettiva stabilità degli esecutivi, men che meno una stabilità degli esecutivi pari alla durata delle legislature, come ci si prefigurava. Si è semplicemente passati da crisi di Governo che dipendevano da fattori esterni ai partiti della coalizione a crisi di Governo causate per lo più da discrasie interne ai partiti o alle coalizioni che facevano parte delle maggioranze di Governo.
  Il ritorno a un concetto democratico di governabilità, quindi, credo vada ribadito nel momento in cui, dopo due sentenze della Corte costituzionale sulle leggi elettorali vigenti, ci si appresta a modificare ulteriormente la legge elettorale, ancora una volta – mi pare di capire leggendo la maggior parte delle proposte di legge – per assicurare un'esigenza di governabilità, che ha più a che fare con la stabilità della maggioranza, e quindi con la stabilità del potere anche di una minoranza, che non con l'esigenza di garantire la stabilità dell'ordinamento, e quindi la condivisione, la condivisibilità delle scelte politiche e legislative da parte sia di maggioranze realmente rappresentate nel Parlamento sia della maggioranza rappresentata nel Paese.
  Credo che valga la pena ricordare come anche l'ultima consultazione referendaria ci abbia ricordato quanto i cittadini italiani ci tengano al rispetto della Costituzione e dei princìpi che si esprimono e che hanno valore anche in riferimento alla legge elettorale, e che quindi l'Italia, anche e soprattutto in materia elettorale, ha bisogno di leggi stabili e certe, non di poteri inamovibili e di dubbia legittimazione costituzionale e politica.
  Con questo penso di aver risposto all'impostazione che si evince dalle prime tre domande e che insiste ancora su un premio di maggioranza al 40 per cento, che non rappresenta la maggioranza effettiva del Paese.
  Io sono convinta che le prossime legislature dovranno impegnarsi non solo a governare questo Paese, ma anche ad attuare la Costituzione. È per questo che insisto sull'esigenza di ripensare un sistema proporzionale che garantisca una maggiore Pag. 27stabilità con altri correttivi, di cui i colleghi sono ben a conoscenza, e che prescindono da un premio di maggioranza che arrivi al 40, ma anche a soglie superiori.
  Per quanto riguarda il quarto quesito, il sistema per l'elezione del Senato, le mie considerazioni seguono da quelle precedenti. Ovviamente, un sistema proporzionale non creerebbe discrasie di sensibili distorsioni al sistema tra l'una e l'altra Camera. Va da sé che, nel caso in cui si decidesse comunque di adottare un premio di maggioranza, bisognerebbe pensare a una distribuzione nazionale e a un eventuale coordinamento nazionale del premio al Senato.
  Per quanto riguarda il quinto quesito, il ballottaggio, dobbiamo ricordare che era un istituto pensato per la scelta di cariche individuali a carattere amministrativo, per lo più, non per l'elezione di un organo rappresentativo di opzioni politiche contrapposte. Il ballottaggio sarebbe ammissibile soltanto per la scelta dei candidati in collegi uninominali. Anche qui, però, se volessimo rispettare alla lettera il dettato costituzionale e lo spirito della Costituzione, il ballottaggio non fa altro che costringere in due opzioni blindate un voto che a quel punto non dovremmo considerare rappresentativo, ma per la scelta del candidato migliore.
  Sull'analisi del fenomeno dello slittamento dei seggi si sono già pronunciati i colleghi. Ribadisco che questa è una vera e propria violazione del voto diretto, ed è stato uno dei motivi di ricorso contro la legge elettorale per le europee, che abbiamo presentato insieme al collega Besostri ad altri colleghi.
  Sul settimo punto, l'esigenza di garantire quest'equilibrio tra governabilità e rappresentanza e quindi le ragionevoli soglie di sbarramento, ho un'opinione parzialmente possibilista. Credo che le soglie di sbarramento, e si parla di soglie di sbarramento che non superino il 3 o il 4 per cento, potrebbero non tanto e non solo semplificare il quadro partitico senza modificare in maniera significativa la rappresentanza, ma garantire la concentrazione di forze politiche più o meno con identità assimilabili e programmi omogenei intorno a dei gruppi più consistenti e, probabilmente, anche più forti in Parlamento, evitando quella frammentazione alla quale assistiamo nel nostro Paese tra partiti e movimenti che non divergono tra loro per significativi contenuti e programmi, ma per questioni più di conflittualità interne e personalistiche.
  Le candidature bloccate così come pensate anche nell'attuale legge elettorale, con il capolista bloccato, non credo siano compatibili con l'articolo 48 della Costituzione. Potrebbero diventarlo soltanto se frutto di un'indicazione popolare diretta e proporzionale al risultato di primarie regolate per legge, che garantiscano l'esercizio aperto anche del diritto di elettorato passivo. Quello dell'elettorato passivo è uno dei diritti e delle prospettive che ancora adesso meno vengono affrontati quando si parla di legge elettorale, e credo debbano invece essere oggetto di un'ulteriore riflessione. Sicuramente, la garanzia dell'elettorato passivo non può essere affermata solo con una legge elettorale, ma andrebbe garantita tramite una disciplina dei partiti effettivamente attuativa del metodo democratico all'interno dei partiti stessi e che non è ravvisabile, secondo tutte le dottrine, dalla Costituzione, ma diventa quanto mai auspicabile in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui assistiamo a una fortissima disgregazione sociale e a una scarsissima identificazione tra i cittadini e i partiti politici.
  Sul nono punto, relativo alle pluricandidature e ai criteri più opportuni, anche qui compatibili sulla premessa che il candidato sia stato vincitore delle competizioni primarie in più collegi, dovrebbe essere assegnato il seggio dove ha registrato maggiori consensi, in modo da valorizzare il voto dell'elettore invece che la sorte e le scelte del candidato eletto, ovviamente sempre a condizione che ci fosse una legge, che ancora al momento non c'è, che preveda delle primarie regolamentate in maniera uguale su tutto il territorio nazionale.
  Sul decimo punto, l'estensione delle tutele per la rappresentanza di genere, se dovesse rimanere questo modello per lo più Pag. 28vigente, sarebbe il caso di estendere al Senato le previsioni già considerate per l'elezione alla Camera dei deputati. Nel caso in cui, invece, si passasse a un sistema a liste bloccate, sarebbe necessario garantire non solo l'alternanza uomo-donna nelle liste bloccate, ma anche l'alternanza tra i capolista uomini e donne, ovviamente facendo un riequilibrio di genere non solo a livello nazionale, ma anche a livello regionale. Nel caso in cui si dovessero mantenere i capolista bloccati, altrettanto bisognerebbe pensare a un riequilibrio di questo tipo. La stessa cosa varrebbe nel caso della previsione di collegi uninominali, in cui sarebbe necessario che non solo a livello nazionale si fosse in presenza di un'equilibrata rappresentanza, possibilmente il 50 per cento, di uomini e donne candidati nei diversi collegi, ma che ci fosse anche una redistribuzione a livello regionale delle candidature su collegi uninominali.
  I collegi uninominali, tra l'altro, non si possono ritenere incompatibili con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che non ha mai offerto censure di questo tipo, ma sicuramente, alla luce di una lettura attenta della Costituzione, sono meno vicini all'idea proporzionale che supportava il legislatore costituente. Ovviamente, non sarebbero compatibili qualora fosse previsto contemporaneamente un premio di maggioranza. A quel punto, l'effetto distorsivo sarebbe veramente troppo forte.
  Salto al quattordicesimo punto per proporre una riflessione in merito alle possibili soluzioni per migliorare i controlli sulla regolarità delle operazioni di voto e di scrutinio. Già in altri Paesi sono in corso delle sperimentazioni sul voto elettronico, che credo potrebbe essere uno strumento molto utile non solo per migliorare la velocità delle operazioni di scrutinio e la semplificazione delle operazioni di voto, ma soprattutto per evitare, nel caso dell'adozione di sistemi proporzionali, il fenomeno del voto clientelare e del voto di scambio.
  Grazie al voto elettronico, infatti, e quindi alla maggiore velocizzazione soprattutto delle operazioni di scrutinio, si potrebbero immaginare delle sezioni elettorali con molti più iscritti. Ovviamente, all'aumentare del numero di iscritti, diventa molto più difficile verificare, all'atto dello scrutinio, che il voto clientelare promesso venga effettivamente poi dato.
  Mi permetto, in conclusione, di sollecitare una riflessione sull'esigenza e l'opportunità di introdurre nel nostro ordinamento la categoria delle leggi rafforzate, ovvero di quelle leggi che, riguardando la regolamentazione e la tutela dei diritti fondamentali, di cui i diritti politici sono una parte importante, o materie di rilievo costituzionale, come la legge elettorale, vengano approvate a maggioranza qualificata.
  Questo garantisce che queste leggi, richiedendo di essere approvate a maggioranza qualificata, garantiscono non che non siano soltanto delle maggioranze reali o gonfiate ad approvare la legge elettorale, ma che una parte delle minoranze si esprima favorevolmente, e quindi si possa garantire la stabilità nel tempo di meccanismi elettorali veramente rispettosi dello spirito e delle norme della Costituzione piuttosto che dell'opportunità politica della maggioranza del momento che vota quella legge.

  LUIGI DI GREGORIO, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della Tuscia di Viterbo. Farò anch'io alcune considerazioni generali, poi mi concentrerò sui punti che ci avete inviato via e-mail.
  Parto da una considerazione rassicurante: dicevamo prima che non esiste un sistema elettorale perfetto. Questo ci dovrebbe rasserenare. D'altronde, Kenneth Arrow ha vinto un Nobel dimostrando che le scelte individuali non si possono trasformare in scelte collettive.
  Detto questo, non vi invidio per niente. Ritengo che questa fase di riforma elettorale possa essere una grande opportunità, ma che vive anche in un momento pieno di vincoli, che non sono solo quelli costituzionali, di cui abbiamo già parlato ampiamente oggi e continueremo a parlare. Di fatto, la maggior parte delle possibili questioni elencate riguarda le sentenze della Corte costituzionale. Abbiamo detto e ripetuto che c'è un'ampia discrezionalità lasciata al legislatore, ma non casualmente stiamo girando invece proprio intorno ai Pag. 29paletti posti dalle sentenze della Corte costituzionale. È vero, ma è vero fino a un certo punto.
  Io credo che la discrezionalità del legislatore sia molto ampia se usciamo dallo scenario delle ultime due leggi elettorali e delle sentenze della Corte costituzionale sulle ultime due leggi elettorali e guardiamo al di fuori di quel panorama. Allora, sì, la vostra discrezionalità a mio avviso è davvero ampia.
  In questa fase, secondo me, avete due strade davanti. Una è una riforma, e a quel punto mi ricollego a quanto è stato detto prima, eviterei gli apprendisti stregoni, che non è semplicemente una battuta. Anni fa, uscì un libro di politica comparata che provava a fare la mappatura di tutti i sistemi elettorali del mondo. Mancava quello italiano: gli autori in nota dissero che non erano riusciti a capirlo. Era il Mattarellum, per noi abbastanza semplice, nel senso che quelli venuti dopo sono stati per loro, all'estero, ancora più complicati da comprendere.
  Perché siete davanti a un bivio? In un caso, continuiamo su questa strada e, a giudicare dalle questioni che ci avete mandato, la strada tendenzialmente è quella, cioè legge Calderoli, poi Italicum, con in mezzo due sentenze della Corte costituzionale, che hanno detto molte cose. Io sono convinto che voi abbiate una certa discrezionalità, ma non è così enorme se, ad esempio, abbiamo 14 punti su cui discutere.
  Nell'altro caso, cogliete la palla al balzo e cambiate strada. In tutto l'Occidente, non solo in Italia, c'è un calo tendenziale della fiducia, e lo sappiamo, nei politici, nei partiti, nelle istituzioni rappresentative; cala tendenzialmente la partecipazione elettorale; aumenta tendenzialmente la volatilità elettorale, quindi aumenta il numero dei partiti. Tutto questo non è solo italiano. Avviene in tutte le democrazie consolidate. Se, però, c'è una variabile istituzionale che regge in tutte le democrazie consolidate, è il sistema elettorale. Noi siamo l'unico Paese che continua a interrogarsi, in continuazione, sul suo sistema elettorale, sulla sua riforma elettorale, almeno da 25 anni a questa parte.
  Abbiamo citato la Spagna. Il sistema è quello da decenni. Abbiamo citato la Germania. Non ne parliamo. Della Gran Bretagna non parliamo. Certo, spesso sono messi in discussione, ma reggono. Perché reggono? Perché sono stati decisi in un'ottica sistemica e di lungo periodo. Ovviamente, in una fase di fluidità come questa traballano, ma hanno radici solide.
  Il problema delle nostre leggi elettorali – torno all'apprendista stregone – è che sono state fatte con un'ottica tattica e non strategica, cioè non si è pensato a dove vogliamo andare come Paese, ma di solito a come aggiustare la variabile elettorale sulla variabile partiti e sistema partitico.
  Mi rendo conto che ragionare oggi di lungo periodo fa quasi ridere in uno scenario di fluidità totale dei sistemi, ma è vero pure che ragionare sempre e solo in ottica tattica vi condiziona ulteriormente, perché vi tarpa ulteriormente le ali, premessa che apre i due binari.
  Io non do opzioni mie, perché sono tendenzialmente favorevole al maggioritario a turno unico, se devo dire la mia, ma se uscite dal terreno Calderoli-Italicum e sentenze annesse, avete carta bianca. A quel punto, decide la politica.
  Vado rapidamente ai punti. Sono state dette molte cose che condivido.
  Quanto alla questione soglie per il premio, io non mi allontanerei dal 40 per cento se ritenete quella la strada. Abbiamo una specie di validazione della Corte costituzionale. Scendere anche solo di due punti, anche se noi non siamo nella testa dei giudici della Consulta, potrebbe far sì che la sovrarappresentazione dal 38 al 54 per cento diventi incostituzionale. Se dovessi scegliere, io non metterei mano a quel 40 per cento.
  Al limite, si potrebbero ipotizzare premi fissi con soglie più basse, ma ovviamente premi più bassi a loro volta, col massimo di un premio al 14 per cento fisso, che resta, ma a quel punto entriamo nella logica del «premietto», sulla pericolosità del quale – io sono un politologo, non un costituzionalista – ho sentito l'unanimità dei costituzionalisti. Pag. 30 Da politologo, posso anche dire che ha una sua funzione, perché può essere un aggregatore, perché può avvicinare alla formazione di un Governo di coalizione, ma se tutti i costituzionalisti in questa sala mi dicono che il «premietto» è pericoloso, mi fido dei costituzionalisti e, per evitare una terza sentenza di bocciatura della Corte costituzionale, a questo punto il «premietto» non mi sento, pur da politologo, di suggerirlo.
  Anche sul secondo punto ho sentito unanimità, cioè sull'incrociare il 40 per cento del Senato e della Camera. Condivido quanto è stato detto, quindi non dico altro.
  Sul Senato, però, una cosa va detta, a mio avviso. Con tutti i sistemi elettorali, tutti (proporzionale «Prima Repubblica», Mattarellum, Calderoli), il Senato, a causa dell'elezione su base regionale prevista dall'articolo 57 della Costituzione, ha sempre prodotto maggioranze più ballerine, più risicate e più complicate.
  Potete porvi una volta per tutte la questione: rischiare col premio, o comunque con la ripartizione dei seggi nazionali anche al Senato? Sì o no. Certo, il fatto è che questa è una legislatura che non ha davanti molti mesi. Se, però, ci fosse la volontà politica, quanto ci si mette a fare una legge di revisione costituzionale che cancelli cinque parole, «è eletto su base regionale»? Non credo tantissimo. Se siete tutti d'accordo, quello toglie un bel problemino. In realtà, ci giriamo sempre attorno, ma il vero problema di governabilità o della creazione di maggioranza al Senato è proprio l'elezione su base regionale, prima di tutto il resto. Ogni regione, infatti, dà un esito. Non è come alla Camera, con esito nazionale, che appunto poi si cala sui territori.
  Sul Senato ho da suggerirvi solo questo. Tenete presente che, se la ripartizione diventa su base nazionale, tutto si «semplifica».
  Sullo slittamento dei seggi credo che la Consulta dica tutto: dice perché non vanno bene e dà anche tre opzioni per superarlo, precisando che quella del sorteggio ovviamente è la meno gradita. Ci sono due criteri oggettivi. A mio avviso, vanno bene entrambi: o si sceglie il collegio in cui il pluricandidato ha il massimo dei voti rispetto agli altri collegi o quello in cui quello dietro di lui ha una maggior parte decimale non utilizzata.
  Sulle soglie di sbarramento, da politologo vado random: a livello di politica comparata, mediamente si oscilla intorno al 4-5 per cento. Il 5 utilizzato in Germania è, secondo me, una soglia rassicurante. Se si ponesse una soglia del 10 per cento, la Consulta potrebbe ritenerla eccessiva, quindi mi attesterei intorno al 5 per cento.
  Quanto alla rappresentanza di genere, credo che l’Italicum garantisse abbastanza. Al Senato, invece, quel problema c'è, e chiaramente va rivisto.
  Ovviamente, a mio avviso la Corte costituzionale non è contraria ai collegi uninominali, altrimenti avremmo un problema serio, nel senso che boccerebbe un sistema utilizzato in mezzo mondo. Mi sembra una mossa un po’ azzardata.
  È sicuramente azzardato, dal mio punto di vista, assegnare premi di maggioranza ulteriori in sistemi maggioritari con collegi uninominali. Quello sarebbe assolutamente un unicum. Pur non essendo costituzionalista, sono sicuro che la Corte costituzionale non lo giudicherebbe un'opzione costituzionalmente valida. Il sistema maggioritario in collegi uninominali sovrarappresenta i partiti più forti già di suo, quindi rafforzare ulteriormente quella sovrarappresentazione con un premio credo sia assolutamente complicato.
  Vengo all'ultimo punto, sul miglioramento dei controlli di regolarità delle operazioni di voto: anch'io credo che il problema, più che in Italia, sia all'estero, anch'io credo che sugli elettori all'estero si potrebbe ragionare addirittura proprio a monte. Io ritengo che con quella legge abbiamo ribaltato il principio della rappresentanza no taxation without representation. L'abbiamo preso e l'abbiamo rigirato, ma questo ormai è un problema extra.
  Sui controlli in Italia, però, se non sbaglio al momento c'è una proposta di legge, che prevede urne in plexiglas, sorteggio degli scrutatori. Credo che siano tutte opzioni utili per aumentare trasparenza e controllo. Che io sappia, al comune di Pag. 31Roma il sorteggio per gli scrutatori è già in essere da tempo. Per evitare il pericolo del «doppio voto» – presidenti, segretari e rappresentanti di lista in linea teorica potrebbero votare due volte nel seggio dove operano, fatto ovviamente penalmente punibile – che io sappia, a Roma Capitale hanno sorteggiato gli scrutatori addirittura all'interno della lista degli elettori della singola sezione, quindi io sono scrutatore nella sezione dove eventualmente voterei e questo indubbiamente riduce i rischi di doppio voto, aumenta la trasparenza del voto e il controllo sul voto.

  FEDERICO TEDESCHINI, Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Ho preventivamente inviato un documento alla vostra attenzione, per cui cercherò di essere brevissimo, riassumendolo e soffermandomi solo su alcuni punti di partenza.
  Il primo punto di partenza è sicuramente banale quanto necessario. Noi ci troviamo a discutere del nuovo sistema elettorale perché nel giro di un paio d'anni la Corte costituzionale per due volte si è occupata della questione e ci ha detto, innanzitutto, che nessun Paese democratico può stare anche una sola ora senza un sistema elettorale.
  Purtroppo, diverso è stato il clima nel quale le sentenze sulla legge del 2005 e su quella del 2015 sono state emanate, per cui la seconda sentenza è particolarmente timida, e lo è perché la Corte si è resa conto che questa non è materia da giudice costituzionale, ma da Parlamento.
  Certamente, il primo obiettivo a cui un qualunque Parlamento deve tendere è quello di evitare che la Corte si ripronunzi sulla legge elettorale, perché questo ci darebbe anche un triste primato in Europa.
  Venendo ai diversi punti indicati dalla Commissione nel documento inviato agli esperti, cominciando dal discorso delle soglie per il premio di maggioranza, direi che il bilanciamento dei due princìpi (rappresentatività ed eguaglianza del voto e obiettivi di stabilità del Governo e rapidità dei processi decisionali) può realizzarsi prevedendo che quel premio non si attribuisca, come è attualmente, a una lista, bensì a una coalizione.
  Attraverso l'attribuzione del premio a una coalizione, si affronta anche la questione della soglia di sbarramento: se è vero che non dovrebbe superare il 3 per cento dei voti validi al fine di consentire anche ai partiti minori di esprimere un proprio gruppo in ciascun ramo, dobbiamo dire che questo sbarramento dovrebbe essere identico sia per la Camera sia per il Senato.
  Tenete, però, conto che di fronte al giudice costituzionale pende un ricorso per quello che riguarda lo sbarramento con la soglia del 4 per cento, se non ricordo male, per le elezioni al Parlamento europeo. Vedremo che cosa la Corte dirà. Il 3 per cento è uno sbarramento molto vicino. Quello che, comunque, è indispensabile è il superamento del voto di lista in favore del voto a una coalizione.
  Quanto all'elezione del Senato su base regionale, qui abbiamo la Costituzione che ci lega un po’ le mani. Mi pare insuperabile il principio per cui a ogni regione debba essere attribuito un certo numero di seggi, da assegnare in proporzione alla densità della popolazione che lo abita e della percentuale di voti che ciascun partito o coalizione riceve in quella regione cui dovranno essere assegnati i relativi seggi. Soglia di sbarramento e premio di maggioranza dovrebbero, però, anche in questo caso essere il più possibile identici a quelli previsti per la Camera dei deputati.
  Sul turno di ballottaggio c'è poco da dire. Credo che la Corte abbia messo definitivamente una pietra sopra l'ipotesi di utilizzare legittimamente un simile istituto. Opportunamente calibrando la soglia di sbarramento con il premio di maggioranza e rendendoli omogenei per entrambi i rami, l'esigenza della governabilità infatti sembrerebbe comunque assicurata senza necessità di ricorrere a questo strumento, che dal punto di vista politico è abbastanza fuori dalla nostra tradizione elettorale.
  Quanto allo slittamento dei seggi rispetto all'articolo 56 della Costituzione, la questione è stata già affrontata dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 41 del 2014 e riguarda il fenomeno che si verifica, come Pag. 32ben sapete, allorché il sistema di ripartizione dei seggi presuppone che nelle circoscrizioni possa risultare eletto un numero di parlamentari diverso rispetto a quello a esse spettanti in base alla popolazione residente, considerando soprattutto che la garanzia dell'attribuzione integrale dei relativi seggi può essere assicurata solo nei casi in cui venga previsto per legge un metodo di attribuzione dei mandati che presupponga l'autosufficienza nell'ambito delle singole circoscrizioni.
  Il problema nasce, però, più sulla base di considerazioni di carattere meramente aritmetico, secondo le quali nessun sistema elettorale può riuscire a garantire simultaneamente l'obiettivo della ripartizione nazionale dei seggi con quello dell'assegnazione alle circoscrizioni del numero dei parlamentari a esse spettanti. Quella quota dipende, infatti, da una serie di variabili che rendono il problema stesso praticamente insolubile. Il legislatore può soltanto scegliere quale tra le diverse variabili intenda privilegiare, se il numero dei seggi di spettanza di ciascuna regione, se il numero delle circoscrizioni provinciali e le loro differenze, se il tasso di partecipazione al voto e via dicendo.
  Si tratta di una questione, quindi, eminentemente politica, la soluzione della quale può essere almeno avviata cancellando le conseguenze perverse che possono verificarsi nei casi più eclatanti, come quello di cui parlerò più avanti.
  Quanto a candidature bloccate, pluricandidature e sorteggio, tralasciando qualunque giudizio sulla scelta effettuata dal giudice costituzionale a proposito della legittimità delle pluricandidature, temperata però dal sorteggio in caso di vittoria multipla, sarei portato a ritenere che la questione sollevata imponga al Parlamento di riconfigurare gli stessi limiti del diritto di elettorato passivo, individuando un criterio meno rozzo del sorteggio, quale potrebbe essere, a titolo di esempio, quello di imporre preventivamente al candidato di indicare l'ordine di preferenza che seguirebbe nella scelta di un seggio anziché di un altro. Così gli elettori lo sanno prima e si regolano.
  In alternativa, potrebbe esserci l'individuazione del candidato del seggio da occupare dove il numero delle preferenze sia stato minore o dove il numero delle preferenze sia stato maggiore. Si può fare qualunque scelta, ma direi che il sistema del sorteggio è troppo rozzo e va obiettivamente a mortificare la volontà dell'elettore.
  Credo che uno dei cuori del problema della riforma elettorale sia di assicurare effettivamente che il voto sia eguale, oltre che libero e segreto, e ci sono le due eccezioni che troviamo nel decreto del Presidente della Repubblica n. 361, del 1957, che ha previsto solo per due regioni (Trentino-Alto Adige e Valle d'Aosta) un meccanismo elettorale disomogeneo rispetto al resto dell'Italia. Vuol dire che in queste due regioni, anche a prescindere dalla specialità dello statuto, il voto non è uguale. Di questo bisogna tener conto.
  Si può anche fare la scelta politica di interpretare la normativa costituzionale sul voto eguale come temperata da altre esigenze, ma si deve sapere che, se su questo punto non si mette l'accento, la questione rischia, come vedremo più avanti, di tornare almeno di fronte alla Corte costituzionale.
  Si tratta di un meccanismo elettorale disomogeneo rispetto al resto dell'Italia, dicevo, stabilendo, a tutela delle minoranze linguistiche ivi presenti, che i seggi in ciascuna di quelle regioni vengano assegnati oggi con un metodo uninominale, salvo nel Trentino, dove è prevista una quota proporzionale.
  In particolare, per il Trentino è previsto che 8 seggi vengono assegnati con il sistema uninominale e 3 con quello proporzionale. Ricordo anche che nella norma si parla di eventuale ballottaggio. Non so quanto questo mantenimento dell'eventuale ballottaggio sia compatibile con quello che ci ha appena detto la Corte costituzionale.
  L'articolo 83, comma 6, della legge n. 52 del 2015 ha inoltre stabilito che i voti espressi in tali regioni non concorrano alla ripartizione dei seggi assegnati nella restante parte del territorio nazionale, creando così una disparità di trattamento tra Pag. 33i cittadini del Trentino e quelli delle altre regioni.
  Il dubbio di costituzionalità nasce proprio dalla disomogeneità del sistema elettorale rispetto al sistema nazionale, e infatti la ratio di tutelare le minoranze linguistiche o etniche non implica né impone la scelta di un sistema tendenzialmente uninominale. Ho visto nella letteratura che viene indicata come base di radicamento di questo principio la cosiddetta misura 111 delle misure che appunto vengono date a tutela delle minoranze. Se, però, leggete la misura 111, noterete che si vuole attribuire tutela sia ai cittadini di lingua italiana sia a quelli di lingua tedesca, o di lingua francese per quel che riguarda la Val d'Aosta.
  Quello che è certo è che il sistema attualmente in vigore comporta che una larga fetta, e non solo una minoranza eccessivamente frammentata, di elettori finisca per non essere affatto rappresentata, in quanto non riesce a esprimere nessun parlamentare né in collegi uninominali né in collegi proporzionali.
  Il numero esiguo di seggi attribuiti col metodo proporzionale, e senza nemmeno un meccanismo di recupero, produce così l'effetto che il partito di maggioranza relativa della regione riesca a ottenere tutti i seggi assegnati. I voti espressi a favore dei partiti di minoranza non concorrono nemmeno alla ripartizione in sede nazionale. Non c'è dubbio che, di fronte a una situazione di questo genere, o arriva un rimedio legislativo o arrivano rimedi come l'incidente di costituzionalità, sulla base di un'azione di accertamento proposta dagli elettori che si sentano lesi, o addirittura un eventuale ricorso alla Corte di Strasburgo per violazione del principio di libere elezioni.
  Quanto al rimedio legislativo, si potrebbe omogeneizzare il sistema trentino rispetto al modello nazionale limitandosi a introdurre qualche meccanismo di tutela delle minoranze linguistiche. In altri termini, i due princìpi (tutela delle minoranze e di omogeneità intrinseca della legge elettorale) dovrebbero essere bilanciati con l'introduzione di un idoneo correttivo al fine di evitare il pronunziamento negativo di un qualche giudice, quello costituzionale o quello sovranazionale.
  Quanto ai collegi uninominali maggioritari e al premio di maggioranza, un'altra delle vostre domande...

  PRESIDENTE. Professore, adesso dovrebbe concludere.

  FEDERICO TEDESCHINI, Associato di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Mi fermo qui.

  PRESIDENTE. Faccio soltanto una precisazione sulla organizzazione dei lavori. I quesiti sono stati presi sulla base delle proposte di legge depositate. Chiaramente, i dubbi di costituzionalità e i punti costituzionali sollevati non erano un'indicazione della scelta fatta da qualcuno, dalla maggioranza o da chiunque. Semplicemente, sono stati presi tutti i testi e si sono visti i temi, che andavano appunto dal maggioritario al ripristino, al tema del ballottaggio.
  Abbiamo proposte con il doppio turno di collegio. Ne sono arrivate altre sei o sette, che non abbiamo fatto ancora in tempo a esaminare, ma il criterio era veramente di cercare di prendere tutte le proposte avanzate e vedere quali dei problemi che potevano venire alla mente dei commissari non fossero risolti direttamente dalla Corte, ma ci fosse la necessità di sentire gli esperti su quel punto piuttosto che fare un'analisi generale e poi trovarci a fare noi discussioni di costituzionalità con un livello di competenza molto più basso di quello delle persone che abbiamo audito oggi.
  Diversamente, tutti quei temi sarebbero diventati, magari lo diventeranno lo stesso, dei temi di dibattito non solo nel merito, ma anche sui profili di costituzionalità.
  Do ora la parola alla professoressa Violini.

  LORENZA VIOLINI, Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Ho preso in considerazione le domande poste dalla Commissione e spero Pag. 34di dare delle risposte utili al processo in atto.
  Per prima cosa, vorrei dire che la sentenza della Corte costituzionale, su cui si baseranno principalmente le mie osservazioni, tiene in grande rispetto la discrezionalità del legislatore e ha un grande equilibrio in relazione a tale aspetto. Quest'atteggiamento pervade tutta la sentenza e mi sembra importante riprenderla in quest'autorevole sede, proprio perché mi pare che sia un modo corretto e anche molto valorizzante di far presente il compito del Parlamento.
  Sia la Corte sia noi tecnici, noi attenti lettori delle sentenze della Consulta, dobbiamo tener presente come prima questione che molte delle scelte che verranno fatte non hanno un vincolo costituzionale, ma dipendono totalmente da quelle che il Parlamento vorrà fare con riguardo al sistema elettorale. Il sistema elettorale, come tutti sappiamo, è la più politica delle leggi e bisogna che questa politicità venga rispettata. Sono particolarmente contenta che la Corte costituzionale, nella sentenza n. 35 del 2017, abbia rispettato e tenuto presente quest'elemento.
  Quanto alle questioni che mi sono state poste, inizierei a ragionare sulla questione del ballottaggio, sulla questione del secondo turno.
  È stato chiesto a che condizioni si può pensare a un reinserimento del secondo turno e se questo sia compatibile con la giurisprudenza costituzionale. Su questo punto mi sembra importante sottolineare il seguente aspetto.
  La Corte non censura radicalmente l'esistenza, la possibilità di inserire nella legge elettorale un secondo turno. Si nota nella sentenza una grande cautela, cautela che credo anche il legislatore condividerà. Tuttavia, l'elemento che porta alla dichiarazione di incostituzionalità della legge n. 52 del 2015 in relazione allo specifico aspetto del secondo turno è ancora più specifico, perché chiarisce che non è tanto il secondo turno in sé che deve essere censurato per incostituzionalità, quanto le modalità con cui è stato costruito e, in particolare, il fatto che il secondo turno non viene concepito come una nuova tornata elettorale, ma ha strettissime connessioni con il primo turno, con la tornata elettorale iniziale, che ha evidenti caratteristiche proporzionali.
  È un sistema proporzionale che nello sviluppo del procedimento si trasforma, muta di segno e diventa un sistema che vuole mirare ad assicurare la governabilità, non a favorire la governabilità, come espressione della Corte dice, ma proprio ad assicurarla. Potremmo dire che è il combinato disposto di questi due turni che fa della legge n. 52 una normativa costituzionalmente illegittima.
  Pertanto, benché qui qualche considerazione di opportunità vada pure fatta e benché un secondo turno alle attuali condizioni, sia politiche che legislative, sia piuttosto difficile da individuare, possiamo ricordare che esso non è completamente bandito. Peraltro, dalla sentenza stessa non è molto chiaro a quali condizioni potrebbe essere inserito un secondo turno. Ci si preoccupa solo di dire che non è bandito, ma quanto alla modalità di costruire correttamente un secondo turno ci sono veramente molti spazi aperti. Ripeto che la Corte non entra nel merito.
  È molto importante anche ricordare che uno dei motivi per cui il secondo turno non può essere completamente bandito è che il nostro ordinamento, ma anche altri ordinamenti, ha varie modalità di ballottaggio, prima tra tutte le elezioni dei sindaci.
  L'aspetto interessante di questa sentenza è che essa sottolinea con particolare chiarezza che un conto è pensare a un ballottaggio quando si tratta di un organo monocratico, come il sindaco, o come in Francia il Presidente della Repubblica; altro è costruire adeguatamente un'assemblea legislativa sulla base dei due turni. Il secondo turno comprime in modo molto molto importante il risultato proporzionale della prima.
  Tutto ciò posto, passerei alla seconda questione, quella della soglia che potrebbe essere ragionevole per accedere al premio di maggioranza.
  Penso che la considerazione più importante da fare sia a monte della vicenda del premio di maggioranza. Obiettivamente, Pag. 35siamo di fronte a un trend del nostro ordinamento, sia legislativo ma anche costituzionale, forse soprattutto costituzionale, che ricostruisce i sistemi elettorali sia alla Camera sia al Senato come essenzialmente proporzionali. Credo che sia giusto sottolineare quest'elemento, non per pronunciarsi senza condizioni a favore del sistema proporzionale, ma perché evidentemente la storia del nostro Paese e forse anche le condizioni politiche attuali, è come se spingessero quasi naturalmente verso la scelta per un sistema elettorale di tipo proporzionale.
  La sentenza in materia mi sembra molto equilibrata. Il premio di maggioranza, che al primo turno sussiste, continua a sussistere anche oggi, una volta che la lista, in questo caso, arrivi al 40 per cento, è un premio che viene riconosciuto come ragionevole.
  Diversa è la questione lista-coalizione. Anche su questo mi sembra di poter dire che la scelta spetta al legislatore. Non mi sembra che vi siano nella sentenza tracce che fanno pensare a una preferenza costituzionale per l'una o per l'altra scelta. Evidentemente, sarà il sistema politico che dovrà orientarsi e andare nella direzione che ritiene più opportuna in questo momento per il Paese.
  Tuttavia, mi sembra giusto osservare che aprire la possibilità di liste di coalizione che possano poi aspirare a giungere a una determinata soglia di consensi, cui può conseguire il premio di maggioranza, nell'ambito delle opzioni che la legge potrebbe prevedere, è certamente non nell'ambito degli obblighi, e quindi lasciare la possibilità di orientare anche il sistema politico verso coalizioni potrebbe essere una scelta non irragionevole.
  Come poi tutti sappiamo, la seconda censura di incostituzionalità compiuta dalla sentenza in esame è relativa alla composizione delle liste. Anche qui si nota un notevole equilibrio. La Corte non si esprime con radicalità, proponendo obblighi o divieti. Semplicemente, fa presente che vi è un'intrinseca alterazione della volontà degli elettori quando si consente a capolista bloccati di presentarsi in più collegi e poi di scegliere il collegio in cui risultare eletti.
  È proprio questa catena di previsioni che la Corte censura, non il fatto che vi siano dei capolista stabiliti dai partiti, anzi espressamente la Corte lo riconosce come espressione dell'articolo 49 della Costituzione. È proprio la questione della possibilità di optare che viene considerata incoerente con l'impianto costituzionale del nostro ordinamento.
  Dal punto di vista dell'opportunità, evidentemente, se il sistema dei partiti opterà per avere dei capolista bloccati, non sarà facile pensare a considerarlo un percorso costituzionalmente illegittimo, o forse anche solo inopportuno.
  Tuttavia, bisogna ribadire che questa scelta deve essere fatta in limiti molto stretti, perché poi si innesta il problema di quale sia il parametro che consente di fare delle scelte nel caso che alle candidature bloccate faccia seguito anche la possibilità di presentarsi in più collegi. Questa concatenazione è, evidentemente, molto problematica. Forse sarebbe opportuno che si andasse o verso l'abolizione – questa è una considerazione di opportunità – delle candidature bloccate o quantomeno verso il divieto delle pluricandidature.
  Ancora brevemente sulle soglie di sbarramento, possono essere differenziate se si sceglie di introdurre anche la possibilità di una coalizione. Bisogna essere molto prudenti su questo, non eccedere, perché la soglia di sbarramento è un fattore osservato con particolare attenzione dalla giurisprudenza costituzionale, specialmente se in connessione con il premio di maggioranza. È abbastanza ragionevole, quindi, che ci si orienti nell'ottica delle soglie di sbarramento attualmente presenti; al più, se si vogliono favorire le coalizioni alla Camera, abbassare leggermente la soglia di sbarramento per le coalizioni, ovviamente tranne che per le minoranze linguistiche, che godono di un regime speciale.
  Tra le domande poste, vi è anche quella dell'opportunità, della possibilità di configurare collegi uninominali maggioritari.
  Nella sentenza della Corte si nota un certo sfavore per un tentativo di incanalare Pag. 36troppo il sistema partitico verso scelte predeterminate in forza dei premi di maggioranza. In verità, un'analisi anche solo superficiale della sentenza in esame non pare evidenziare elementi di disfavore nei confronti del collegio uninominale maggioritario. In questo caso – torna in parte l'argomentazione detta in precedenza – si tratta sempre di individuare un singolo individuo e non la composizione dell'Assemblea.
  Sono proprio le scelte fatte relativamente alla composizione dell'Assemblea a essere particolarmente problematiche nella visione della Corte. Quando si tratta di eleggere un singolo elemento o un singolo organo, la giurisprudenza si fa più soft e lascia spazi ampi alla discrezionalità del legislatore.
  Certo, poi bisognerà molto ragionare sulla configurazione dei collegi uninominali, che dovrebbero essere relativamente piccoli, come tutti sappiamo, e disegnati da una commissione imparziale. Evidentemente, il rischio di quello che gli americani chiamano gerrymandering è sempre dietro l'angolo quando si disegnano i collegi.
  È noto che vi sono anche delle tendenze nel sistema politico a riguardare con simpatia al primo sistema maggioritario, entrato in vigore dopo il referendum del 1992, il cosiddetto Mattarellum, termine oggi considerato un po’ irriverente nei confronti del nostro Presidente della Repubblica, ma questa è sicuramente una strada che dal punto di vista costituzionale può essere percorsa.
  Mi avvio alla conclusione. Le domande che sono state fatte sono molte e molto ampie. Non a tutte mi sento di rispondere. So che ci saranno altri esperti, specialmente sulle preferenze di genere, anche più qualificati di quanto non lo sia la sottoscritta, nella giornata di domani.
  Mi limito a ricordare che la questione della doppia preferenza di genere, per esempio, nei comuni non ha sempre dato buona prova di sé. In alcuni casi, abbiamo visto la preferenza femminile che si insedia a fronte di preferenze maschili plurime, riuscendo ad avere un vantaggio elettorale agli occhi degli elettori non particolarmente corretto. Bisognerebbe evitare che, se preferenza di genere dovrà essere – sarà bene che sia così – si faccia in modo di non stravolgere, di non usare al contrario quest'importante tipo di meccanismo, che pure è uno dei più importanti valori costituzionali.
  Con questo concludo e ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti, con la richiesta, volendo dare spazio agli auditi per la loro replica, di limitarsi alle domande e non fare interventi.

  FEDERICA DIENI. La Corte costituzionale non ha giudicato illegittimi gli slittamenti dei seggi che si hanno con l’Italicum per le varie circoscrizioni per via della residualità, ma non si è espressa sulla questione di compatibilità con l'articolo 56, comma quarto, della Costituzione, in materia di slittamenti tra collegi. Il giudice di merito, infatti, afferma che lo slittamento tra circoscrizioni esista, ma non si interroga sull'eventualità che l'articolo 56, comma quarto, esprima un principio vincolante anche per l'attribuzione di seggi nei collegi.
  Questi slittamenti tra collegi non producono, però, degli effetti marginali, come appunto risulta dalla simulazione della Camera, fatta proprio sulle risultanze delle elezioni nel Parlamento europeo del 2014, perché 45 collegi su 100 sono appunto coinvolti con degli slittamenti.
  In alcuni casi, ci sono dei collegi che guadagnano 3 seggi. Un deputato risulta eletto con 60.000 voti. In altri casi, ci sono deputati invece eletti con 170.000 voti. Questo non viola, secondo voi, il principio di uguaglianza del voto? Non viola anche l'equilibrio di rappresentanza dei territori? Qualora venisse avanzata una questione di legittimità costituzionale dei collegi, non delle circoscrizioni, questo non rischia di sottoporre l’Italicum a una nuova bocciatura della Corte?

  ELENA CENTEMERO. Voglio ringraziare sia la professoressa Violini, sia il professor Tedeschini per avere, unici, posto il tema delle pluricandidature. Tutto sommato, ci si è soffermati sui capolista bloccati, meno sulle pluricandidature. Ringrazio l'avvocato Falcone per aver messo in Pag. 37luce il tema dell'equilibrio di genere, della parità di genere, che in realtà sono due cose diverse, anche all'interno di altri sistemi elettorali.
  La domanda che pongo a chi, appunto, ha posto il tema delle pluricandidature è: come le pluricandidature possono conciliarsi con la parità di genere? Credo che sia impossibile.

  DOMENICO MENORELLO. Ringrazio anch'io tutti gli esperti intervenuti, perché ci hanno dato – credo – dei paletti che saranno estremamente utili per la nostra successiva discussione. Vorrei fare due domande, una circa i premi di maggioranza.
  Ho colto diversi accenti problematici circa i fattori di non rischio, Addirittura, mi pare che il professor Onida parlasse di premi solo in caso che la maggioranza sia già raggiunta. Mi spiace che non sia al momento presente, ma quello espresso è stato un concetto abbastanza puntuale. L'avvocato Besostri ha addirittura detto, e gli chiederei magari di tornare sul punto, che in nuce su alcuni passaggi della sentenza, per i «precedenti» che possiamo rinvenire nella giurisprudenza costituzionale tedesca e le similitudini del sistema elettorale, lo stesso premio di maggioranza potrebbe essere passibile di censure di costituzionalità, pur con una soglia alta.
  In ogni caso, vorrei attirare l'attenzione degli esperti presenti, che tutti hanno sostanzialmente suggerito di restare al 40 per cento, semmai, per attribuire questa soglia di maggioranza. È molto probabile che questa soglia comunque non si raggiunga, e quindi si stia su un sistema proporzionale sostanzialmente tout court. La domanda è: quali accorgimenti tecnici, sotto il profilo istituzionale e/o costituzionale, vi sono perché un sistema proporzionale possa essere abbinato a maggiori garanzie sulla stabilità dei Governi?
  In secondo luogo, ho apprezzato, anche nell'ultimo intervento della professoressa Violini, tra i vari passaggi nuovi che abbiamo sentito, la sottolineatura sul tema delle preferenze di genere. Da un lato, evidentemente, vanno assolutamente salvaguardate, ma è stato detto che rischiano qualche volta, se utilizzate in modo non adeguato, di stravolgere altri princìpi costituzionali.
  Le chiederei se può tornare su questo concetto: quali accorgimenti tecnici possono essere presi in considerazione al fine di evitare aberrazioni nel sistema di rappresentanza a proposito delle preferenze di genere?

  MICHAELA BIANCOFIORE. I costituzionalisti che hanno affrontato in particolar modo l'argomento sono, purtroppo, dovuti andare via, ma vorrei ringraziarli per aver affrontato il grave problema, dal mio punto di vista, del sistema diversificato sul Trentino-Alto Adige, della legge elettorale per il Trentino-Alto Adige.
  Più che una domanda – qualunque costituzionalista voglia rispondere, ne sarei felice – vorrei fare sostanzialmente delle affermazioni.

  PRESIDENTE. Mi scusi, onorevole Biancofiore, la premessa degli interventi è che si fanno solo domande. Per le affermazioni c'è la discussione.

  MICHAELA BIANCOFIORE. Sì, ma è una domanda generalizzata, perché i costituzionalisti che hanno affrontato il problema non sono al momento presenti. È rimasto l'avvocato Besostri, mi posso riferire a lui.

  PRESIDENTE. La domanda generalizzata va benissimo. Basta che non sia un intervento, perché tutti i colleghi si sono attenuti a questo, parlando per un minuto e ponendo delle domande. Per altro, c'è la discussione, che sarà la prossima settimana.

  MICHAELA BIANCOFIORE. Perfetto. Intanto, li ringrazio. Rispetto anche a quanto detto dal professor Luciani, c'è un problema di omogeneizzazione dei sistemi posti in evidenza dalla Corte costituzionale. Avere tre sistemi elettorali completamente diversi all'interno di una legge elettorale per l'elezione della Camera e del Senato, credo che sia estremamente stridente. Peraltro, è un sistema, quello del Trentino-Alto Adige, che non è il Mattarellum, ma è un Mattarellum ulteriormente diversificato. Pag. 38
  Mi rivolgo al professor Besostri per chiedergli, in particolar modo, come vede la decisione dell'allora Commissione europea dei diritti dell'uomo – non è stata citata, perché purtroppo non si sa mai molto della mia regione – del 15 aprile 1996, richiamata dalla rivista dell'Associazione italiana costituzionalisti, con cui è stato rigettato il ricorso n. 25035/94 del padre della cosiddetta «autonomia» del Trentino-Alto Adige, Silvius Magnago, e della Südtiroler Volkspartei (il partito che rappresenta, attenzione, non la minoranza, ma un partito della minoranza tedesca), verso l'Italia, decisione che metteva in evidenza proprio il fatto che rimane esclusa qualunque obbligatorietà di previsione di forme di cosiddetta discriminazione positiva a favore delle minoranze.
  La decisione diceva, sostanzialmente, che non si può far soggiacere un sistema elettorale a un problema relativo alle minoranze. Come è stato fatto nel Porcellum, in altri sistemi elettorali, anche prima del 1994, si deve trovare un modo per garantire – per carità – l'elezione di rappresentanti della minoranza linguistica. Attenzione a distinguere la minoranza linguistica dal Südtiroler Volkspartei, che è il partito che invece fa bottino di tutti gli eletti che riguardano la minoranza linguistica tedesca in Alto Adige.
  Mi rivolgo all'avvocato Besostri, che mi sembra, dei vari che hanno affrontato l'argomento, l'unico rimasto: ritiene che ci siano ancora di più le premesse, a questo punto, non solo per incorrere in un nuovo giudizio di fronte alla Corte costituzionale – c'è anche la violazione dell'articolo 3 dell'uguaglianza di tutti gli italiani della Costituzione – ma anche, eventualmente, per formulare un ricorso alla CEDU qualora questa Camera e il Senato della Repubblica non modificassero questo obbrobrio, dal mio punto di vista, costituzionale?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  FELICE BESOSTRI, Esperto della materia. Alcune domande sono state poste in maniera diretta.
  Il regime speciale del Trentino-Alto Adige è da non confondere con quello della Valle d'Aosta, dove, avendo un solo deputato e 126.000 abitanti residenti, qualunque sia il sistema elettorale (proporzionale, ballottaggio), c'è solo uno da eleggere, perciò non c'è altra soluzione che quella che è stata presa.
  La questione del Trentino-Alto Adige è uno dei 13 motivi di incostituzionalità dell’Italicum posti nei ricorsi, tranne che davanti al tribunale di Trento e di Bolzano, perché nessun avvocato è stato disposto a metterlo nei ricorsi. A Bolzano, non si è trovato nessuno che ponesse il problema. A Trento, questo motivo è stato espressamente escluso, perché dicono che diventerebbe difficile per un avvocato continuare a esercitare in maniera tranquilla se ponesse questo tipo di problema.
  Comunque, la questione del Trentino-Alto Adige non ha nulla a che vedere con quella di un trattamento delle minoranze linguistiche. Uno dei motivi del ricorso è proprio questo: nel Trentino-Alto Adige, viene dato un regime speciale ai trentini e ai tedeschi della provincia di Bolzano, e i trentini non fanno parte di nessuna minoranza linguistica.
  Al contrario, la cosa strana è che c'è una norma sulle minoranze linguistiche e ci sono problemi di costituzionalità presenti soltanto in regioni a statuto autonomo dove è prevista una tutela della minoranza linguistica. Abbiamo il problema della Sardegna, che ha la più grossa minoranza linguistica riconosciuta dalla legge n. 482 del 1999, di cui per caso sono stato relatore, ma che non ha nessuna norma di tutela.
  In compenso, ci sono minoranze linguistiche, più consistenti della minoranza slovena in Friuli-Venezia Giulia, che però stando in regioni a Statuto ordinario non hanno nessun regime speciale. Perciò è doppia la questione che si pone: da un lato, non è una norma speciale dettata per una minoranza linguistica; dall'altro, è diversa dal resto d'Italia.
  Quanto alla domanda che riguardava i collegi, la questione è di carattere generale. La sentenza che ho citato, che troverete nel documento scritto, dice – l'articolo 38 della Grundgesetz è uguale al nostro, anzi più attenuato, perché parla di voto diretto e non di voto personale – che nessun candidato può Pag. 39essere favorito o sfavorito dal comportamento elettorale di cittadini non della circoscrizione in cui lui è eletto. Perciò, in base alla giurisprudenza della Corte costituzionale tedesca, non è ammissibile il trasferimento di eletti neppure tra collegio, men che meno al di fuori di una circoscrizione.
  C'è anche un problema che riguarda, per esempio, le soglie di accesso. In un collegio di soli tre, il numero minimo, un partito che localmente prendesse la maggioranza assoluta dei seggi, ma appartenendo a una formazione che non raggiunge il 3 per cento sul piano nazionale, ha come conseguenza che i suoi competitori, che anche rispetto alle loro liste hanno ricevuto meno voti di tutti, sono poi favoriti nell'elezione. Questa è, chiaramente, una violazione dell'articolo 48 della Costituzione.

  ANDREA MORRONE, Ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Bologna. Vorrei fare poche puntualizzazioni veramente molto brevi. La prima è sulla mia proposta del doppio turno.
  Partivo dal presupposto che non si toccasse la soglia d'accesso al 40 per cento, proprio per evitare di mettere in discussione il punto di equilibrio che c'è nella sentenza della Corte costituzionale. Ferma al primo turno la soglia al 40, se scatta il premio, bene; se non scatta, si va a un secondo turno. Lì, essendo il secondo turno una nuova elezione, la soglia di accesso per l'assegnazione del premio può essere abbassata.
  Quanto al «premietto», sono l'unico dei costituzionalisti – convengo con il politologo – che ritiene che non sia incostituzionale. Non esageriamo, non eccediamo col costruttivismo interpretativo nel leggere nella Costituzione cose che nella Costituzione proprio non ci sono. È un premio di governabilità – si direbbe – cioè un aiutino a coloro che hanno vinto il consenso degli elettori, ma non hanno la maggioranza, per poter creare le condizioni di avere un Governo.
  La terza considerazione, importante, è sul recupero del Mattarellum, che c'è come ipotesi, con la possibilità di utilizzare il 25 per cento come premio. Attenzione, anche qui, esistono diverse chiavi interpretative.
  Mi rifarei all'autorevolissima proposta del professor Augusto Barbera di qualche tempo fa: il premio non deve essere obbligatorio, altrimenti porrebbe quel problema di premio del premio. La possibilità, cioè, è questa: se nessuno, attraverso l'uninominale, raggiunge la maggioranza assoluta per poter governare, si attinge in via eventuale dal 25 per cento un numero di seggi sufficiente per creare una maggioranza di Governo. L'eventualità dell'utilizzo dal 25 per cento dei seggi aggiuntivi pone al riparo questo schema – l'uovo di Barbera, come fu detto su la Repubblica, che commentò questa proposta di Augusto Barbera – da dubbi di costituzionalità.
  L'ultima considerazione riguarda il discorso sulla disomogeneità tra Camera e Senato. Attenzione, la Corte costituzionale ha detto due cose: non deriva, e sottolineo il non, dalla Costituzione nessun obbligo costituzionale di omogeneità, altrimenti la Corte avrebbe dovuto dichiarare incostituzionale la sentenza n. 1 del 2014, quella con cui lei stessa ha determinato la disomogeneità dopo l'incostituzionalità dichiarata della legge n. 270 del 2005.
  Vi dico che ci sono dati testuali della Costituzione vigente che giustificano proprio la disomogeneità, la possibilità di mantenere distanti e differenti, dal punto di vista delle regole elettorali, Camera e Senato.
  Anzitutto, non c'è bisogno di essere originalisti, di scomodare Scalia, per ricordare che fin dalla Costituente la durata delle due Camere era diversa, 5 e 6 anni, proprio a testimonianza che le due Camere non dovevano essere identiche. In secondo luogo, oggi – questo è il testo vigente – l'elettorato è diverso: 4 milioni di elettori non votano per il Senato. Terzo elemento, il Senato è eletto costituzionalmente «a base regionale», è una rappresentanza necessariamente territoriale, con effetto disproporzionale, ed è scritto in Costituzione che il Senato deve avere, perché eletto a base regionale, una rappresentanza disproporzionale. Infine, articolo 64 della Costituzione, c'è l'autonomia regolamentare.
  Se manteniamo l'autonomia regolamentare, per cui ciascuna Camera scrive le proprie regole su come esercitare le proprie funzioni Pag. 40 in modo totalmente indipendente rispetto all'altro ramo del Parlamento, come possiamo giustificare tutto questo, che è scritto in Costituzione, con una pretesa necessità di rendere esattamente collimanti i due rami del Parlamento?

  PRESIDENTE. La domanda rimasta senza risposta è, al momento, soltanto quella sul tema della compatibilità tra pluricandidature e rappresentanza di genere.

  ANNA FALCONE, Esperta della materia. Rispondendo a questa questione, è evidente che le pluricandidature, in particolare paradossalmente femminili, quindi le donne che fossero candidate in diversi collegi, in diverse circoscrizioni, rischierebbero addirittura di boicottare il rispetto della quota di genere, che nel sistema vigente si affianca alla doppia preferenza di genere. Questo vale a livello sia nazionale sia locale.
  Per questo, ribadisco sicuramente un'indicazione di sfavore per le pluricandidature, perché allontanano non soltanto l'applicazione di un principio ormai chiaro sia in dottrina sia in giurisprudenza, ma ancora di più la fiducia degli elettori nella possibilità di scegliere in maniera chiara e diretta il proprio candidato.
  Aggiungo, sulla domanda dell'onorevole Dieni, che è evidente che lo slittamento tra collegi viola il principio del voto uguale, in particolare del voto diretto. È evidente che il voto espresso in un collegio o in una circoscrizione condiziona il voto di altri elettori estranei a quel collegio, a quella circoscrizione.
  È molto interessante, e bisognerebbe effettivamente dedicarci forse una sessione apposita, la proposizione di eventuali soluzioni per garantire la coesistenza di sistemi proporzionali e stabilità delle maggioranze di Governo espresse. Non è un binomio impossibile. Io azzardo una possibile soluzione, che potrebbe sembrare quasi una provocazione, ma si potrebbe legare la maggioranza al Governo estendendo quella famosa clausola simul stabunt simul cadent, ovvero con le maggioranze di Governo espresse da una maggioranza parlamentare, qualora la maggioranza parlamentare non voti la fiducia a quel Governo, si dimette e si scioglie il Parlamento.
  È una misura forte, ma probabilmente, in costanza di sistemi elettorali proporzionali, avrebbe evitato delle sfiducie votate più per questioni personalistiche e di potere di piccoli gruppi o singoli parlamentari chiamati a votare la fiducia che non dei voti dovuti a ragioni politiche.
  Per fare questo, però, ovviamente bisogna toccare la Costituzione, non basterebbe modificare la legge elettorale.

  MASSIMO VILLONE, Emerito di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Napoli «Federico II». Darò qualche risposta in ordine sparso.
  Sulle pluricandidature e la parità di genere, di per sé non c'è un problema. Può nascere un problema se viene gestito in un certo modo dal partito politico nella formazione delle candidature, non c'è dubbio alcuno. Tra l'altro, devo dire che questo è uno degli argomenti che oggi mi inducono a preferire comunque sistemi di collegio a sistemi di lista. Il sistema di collegio sicuramente consente di governare meglio il profilo della parità di genere.
  Sul punto del premio di maggioranza, se rimane il 40 per cento, se sì, se rimane sotto, se si va sul proporzionale, come si fa, si fa come nel bel tempo antico, si torna a fare politica, come usava un tempo. Bisogna anche imparare che qualche volta la politica bisogna farla davvero. È successo così in Gran Bretagna, Paese stabilissimo: a un certo punto, dopo settant'anni, si sono trovati all'improvviso a dover fare una coalizione, e l'hanno fatta. Tra l'altro, la Brexit è venuta adesso, non è venuta nemmeno allora, e non è successo nulla di sconvolgente al momento in Gran Bretagna.
  Ovviamente, bisognerebbe avere un diverso approccio – qualcuno lo ha anche detto – alle campagne elettorali, avere una definizione molto più chiara di proposta politica, in modo da anticipare la possibilità del formarsi di coalizioni nel momento elettorale, per poi farle in Parlamento. Certo, se vogliamo continuare a fare la politica con i tweet, è evidente che non ne usciamo, ma forse è questo profilo che bisogna correggere piuttosto che cercare di girarci attorno con il sistema elettorale. Pag. 41
  La preferenza di genere ha compatibilità, incompatibilità con altri princìpi costituzionali? Mi pare che fosse una domanda diversa. Io credo, guardando la giurisprudenza della Corte, che ci sia un solo vero argine da questo punto di vista. La Corte dice che si può incidere sulle candidature, non si può incidere sul risultato elettorale. La Corte dice questo con molta chiarezza. Si può governare il profilo dell'offerta, ma non si può predeterminare l'esito. Francamente, concordo con questa giurisprudenza della Corte, che mi pare assolutamente giusta. Al di qua di questo principio, non credo che ci siano problemi costituzionalistici di nessun genere.
  Quanto al Trentino-Alto Adige, non penso che ci sia un problema nell'esistenza di un terzo sistema elettorale. Il problema non è il terzo sistema del Trentino, sono gli altri due. Da questo punto di vista, non mi sento di assegnare a quella regione una particolare responsabilità. Credo, però, che ci sia certamente un problema di sovrarappresentanza territoriale, un problema reale. Attraverso la via della garanzia etnico-linguistica, in realtà il Trentino ha un vantaggio notevole in termini di rappresentanza.
  Qui forse abbiamo proprio quella che veniva definita una sorta di discriminazione positiva, come ho sentito. Qui mi pare che ci sia, effettivamente, un buon argomento. È chiaro che non si può prescindere dalla garanzia del profilo etnico-linguistico, per le ragioni che tutti sappiamo e sulle quali non è il caso di ritornarci, ma che poi questo determini non tanto una tecnicalità del sistema elettorale, ma un rapporto diverso con il restante territorio del Paese, e quindi anche con gli elettori che in quel territorio esprimono il voto, è un problema serio che credo dovrebbe essere corretto.
  Quello dell'omogeneità di Camera e Senato – il collega Morrone lo riprendeva adesso – effettivamente è un tema che è risuonato. Morrone ha ragione quando dice che non c'è una prescrizione costituzionale di uguaglianza. È chiaro che non c'è, siamo assolutamente d'accordo su questo punto, ma credo che ci sia una forte opportunità di allineare i due sistemi se si vuole effettivamente puntare all'obiettivo della governabilità, che è un bene costituzionalmente rilevante. Su questo non c'è dubbio alcuno. Più sono distanti i due sistemi, meno quell'obiettivo, per chi lo vuole perseguire, si può conseguire.
  Io continuo a pensare che tutti questi problemi si risolverebbero molto bene con un modello di tipo tedesco e un ritorno al proporzionale. Penso assolutamente che, se insistiamo su questa via di distorsione del maggioritario, ci facciamo solamente male.

  LORENZA VIOLINI, Ordinaria di diritto costituzionale presso l'Università degli Studi di Milano. Faccio solo alcune considerazioni.
  Mi riallaccio a quello che ha detto or ora il collega Villone. Il sistema tedesco, ma questo esula un po’ dal nostro discorrere oggi, ha un elemento costituzionale molto forte per garantire la governabilità, o perlomeno la persistenza del Governo che esce dalle elezioni. C'è la sfiducia costruttiva. Questo mi sembra che sia noto a tutti, ma forse in questo momento è importante ribadirlo, anche in connessione con la discussione sul sistema elettorale.
  Effettivamente, se pensiamo di confidare al solo sistema elettorale di risolvere il problema della governabilità, c'è una discrasia tra lo scopo e il mezzo. Evidentemente, il mezzo costituzionale, il mezzo istituzionale «fa quello che può», ma in realtà va tutto sulle spalle del sistema politico. Il sistema della sfiducia costruttiva, invece, prende atto di scelte fatte dal sistema politico e cerca di dare stabilità, di farlo durare nel tempo. Questo è un modo abbastanza equilibrato per mettere insieme responsabilità politica e struttura istituzionale.
  Quanto alle pluricandidature, ho detto questa cosa dandola un po’ per scontata. A me sembra davvero qualcosa su cui bisognerebbe ragionare molto attentamente, sia che siano capolista bloccati, sia che sia il resto dei componenti della lista. Noi sappiamo che quello elettorale è un sistema a base nazionale. La Camera rappresenta la Nazione, ma un certo radicamento degli eletti o dei candidati nel territorio è un bene che fa da base a molti altri beni costituzionali, alla responsabilità politica, alla vicinanza tra gli elettori e gli eletti, quindi al principio di democrazia, anche alla libertà del voto. Pag. 42
  Sono tutti elementi che costruiscono un sistema istituzionale positivo, che ha elementi di positività, non che continua a porre problemi e poi a cercare di risolverli con una logica da gatto che si morde la coda. Se consentiamo le pluricandidature, abbiamo poi l'obbligo di capire come si fa a fare l'opzione e via discorrendo. Secondo me, una logica molto precisa e molto secca, che consideri le pluricandidature non accettabili, potrebbe essere una buona soluzione.
  Mi è stata poi posta la questione della differenza di genere. Quando ho parlato dell'uso scorretto della differenza di genere, non ne ho parlato sul piano istituzionale, sul piano legislativo, ma semplicemente sul piano dei fatti. A Milano, durante la campagna elettorale per il sindaco, abbiamo assistito ad esempio a delle scelte fatte da singoli candidati, anzi candidate, che poi si sono rivelate francamente abbastanza sbagliate, proprio perché gli accordi stretti hanno fatto sì che il risultato andasse a scapito del non preferito di genere, dell'altro genere, quello non preferito. È chiaro, però, che i comportamenti scorretti non possono essere sempre evitati dalla norma e forse è solo una cautela da tener presente.

  GIOVANNI GUZZETTA, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Come studioso delle istituzioni, ho un'ultimissima considerazione, peraltro sulla scorta di quello che è stato già anticipato dalla collega Violini, da consegnare all'organo della rappresentanza popolare e alla Commissione affari costituzionali.
  Alla luce di questa discussione, mi sono convinto ancora di più che quello della legge elettorale non è un tema solo di costituzionalità, ma di scelte politiche. Mi sono anche convinto, però, che rischiamo di ritrovarci, nel dibattito di questi vent'anni, ad attribuire al sistema elettorale o a suscitare nei confronti del sistema elettorale delle aspettative che il sistema elettorale non è in grado di soddisfare.
  Quale che sia il sistema che sceglierete, verosimilmente i problemi della stabilità e della governabilità si riproporranno. Oltretutto, rispetto al momento genetico della nostra Repubblica, la crisi profonda del tipo di partiti che all'epoca funzionavano ci riconsegna dei Parlamenti in cui il problema non è solo formare maggioranze, ma che queste maggioranze resistano e che non esploda o continui a esplodere il fenomeno del trasformismo parlamentare.
  Visto che mi pare di capire che manchi un certo numero di mesi alla fine della legislatura, accanto a questo dibattito sulla legge elettorale, che ripeto rischia di suscitare nei cittadini delle altissime aspettative – quando le aspettative sono deluse, poi i cittadini restituiscono, non se lo tengono – quella di considerare l'ipotesi di immaginare delle piccole, non enormi, riforme a livello regolamentare e qualche piccola correzione a livello costituzionale, che consentano di far sì che, quale che sia la legge elettorale, il risultato che si determina in Parlamento goda di una qualche stabilità, e quindi i fenomeni patologici vengano contenuti, secondo me è una cosa che il Parlamento dovrebbe prendere in considerazione.
  Ci sarà comunque un dopo a questa legge elettorale, e il dopo sarà anche gestibile in relazione alle aspettative che avremo soddisfatto nel corpo elettorale, nei cittadini.

  LUIGI DI GREGORIO, Ricercatore in scienza politica presso l'Università della Tuscia di Viterbo. Mi riaggancio a quello che ha detto il professor Guzzetta. L'Austria ha avuto un sistema perfettamente bipartitico con un sistema proporzionale per decenni. Oggi, se anche applicassimo un maggioritario a turno unico, non sarebbe bipartitica. Che cosa ci dimostra questo? Che il sistema partitico è la vera variabile indipendente e il sistema elettorale può agire fino a un certo punto. In continuità con quello che è stato appena detto, occhio a caricare di aspettative la riforma elettorale, altrimenti facciamo un altro buco nell'acqua, più dei precedenti. Mai come questa volta, infatti, il sistema partitico è fluido, frammentato, esploso e forse esplosivo, nel senso che di giorno in giorno produce novità.
  Tornando alle domande, vorrei solo far notare che è normale, matematicamente, che l’Italicum, o quel che ne resta, produca tante traslazioni o slittamenti di seggi, perché ha tanti collegi piccoli. Se non sbaglio, Pag. 43la legge Calderoli ha comportato, in tre tornate elettorali, cinque slittamenti, perché aveva 27 circoscrizioni. Qual è il trade off?
  O accorciamo di nuovo il numero delle circoscrizioni, ma allunghiamo le liste, col rischio famoso di cui sopra, o ce le teniamo piccole, ma aumenta la traslazione, o si cerca una via di mezzo tra i 100 e i 27 e si lavora, altrimenti non se ne esce per una ragione proprio aritmetica.
  Il resto è stato già detto. Volevo solo segnalare questo collegamento.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per le esaurienti risposte. Abbiamo toccato tutti i temi che avevamo indicato e molti altri, quindi direi che è stata sicuramente una giornata utile.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.40.

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