XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 17 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 3004  FONTANELLI E ABB., RECANTI DISPOSIZIONI DI ATTUAZIONE DELL'ARTICOLO 49 DELLA COSTITUZIONE

Audizione di esperti.
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 2 ,
Caravita Di Toritto Beniamino , professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 2 ,
Lipari Nicolò , professore emerito di istituzioni di diritto privato – Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 4 ,
Lippolis Vincenzo , professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 5 ,
Orsina Giovanni , professore ordinario di storia contemporanea presso l'Università «LUISS Guido Carli» di Roma ... 8 ,
Staderini Mario , avvocato ... 9 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 12 ,
Centemero Elena (FI-PdL)  ... 12 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 12 ,
Lipari Nicolò , professore emerito di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 13 ,
Lippolis Vincenzo , professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 14 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 14 ,
Piccione Teresa (PD)  ... 14 ,
Cozzolino Emanuele (M5S)  ... 14 ,
Mucci Mara (Misto)  ... 14 ,
Nuti Riccardo (M5S)  ... 15 ,
Lipari Nicolò , professore emerito di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza» ... 15 ,
Lippolis Vincenzo , professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma ... 16 ,
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 15.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame delle proposte di legge C. 3004 Fontanelli e abb., recanti disposizioni di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione, l'audizione di esperti.
  Sono presenti il professor Beniamino Caravita di Toritto, professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza», il professor Vincenzo Lippolis, professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma, il professor Nicolò Lipari, già professore di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza», il professor Giovanni Orsina, professore ordinario di storia contemporanea presso l'Università «LUISS Guido Carli» di Roma, e l'avvocato Mario Staderini.
  Il professor Tommaso Frosini ha comunicato che non potrà prendere parte all'audizione per sopravvenuti impegni.
  Ringrazio i nostri ospiti e do loro la parola affinché svolgano le rispettive relazioni.

  BENIAMINO CARAVITA DI TORITTO, professore ordinario di diritto pubblico presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Grazie, presidente. È un'occasione di riflessione su uno dei temi cruciali dell'assetto costituzionale italiano. In sede orale mi limiterò a qualche battuta generale e provvederò poi a consegnare un testo scritto.
  È inutile che sottolinei la centralità della questione di dare attuazione all'articolo 49 della Costituzione, uno dei temi che dall'entrata in vigore della Costituzione non ha mai avuto soluzione. Mi sembra giunto il momento. È sempre troppo tardi per dare attuazione all'articolo 49.
  In realtà, noi abbiamo già avuto una importante disciplina con il decreto-legge n. 149 del 2013. Mi pare però che vada mutato l'approccio perché il decreto-legge n. 149 del 2013 nasce con il preciso scopo di disciplinare l'abolizione del finanziamento pubblico e trovare una nuova disciplina del finanziamento. È vero che nel decreto-legge n. 149 ci sono anche norme sugli statuti e sull'organizzazione interna, ma a me parrebbe necessario spostare il tiro.
  Da un punto di vista della struttura normativa non vi nascondo che, se bisogna lavorare sul testo del decreto-legge n. 149 del 2013, probabilmente se ne potrebbe cambiare il titolo, chiamandolo disposizioni in tema di attuazione dell'articolo 49. La tecnica di molti testi presentati, infatti, è quella della novellazione del decreto n. 149 del 2013.
  La seconda osservazione che vorrei fare è che si tratta di un tema così delicato e degno di attenzione che lo spazio per la delega legislativa, sempre che esistente, deve essere estremamente limitato, al di sotto della delega al testo unico. Le deleghe al testo unico normalmente prevedono l'attribuzione al Governo di un potere di coordinamento Pag. 3 delle norme. Questo tema è talmente delicato che credo il Parlamento debba fare il massimo sforzo per una disciplina legislativa, attribuendo tutt'al più al Governo un potere di testo unico meramente compilativa.
  Non entro nella discussione, che pure esiste, se ci sia o meno una delega ai testi unici meramente compilativi. Tuttavia, in merito alla delega al coordinamento su questo tema mi permetterei di esprimere qualche perplessità.
  Non vi è dubbio, sotto un profilo teorico generale, che i partiti politici, così come strutturati nella nostra Costituzione, rientrino nella grande categoria delle associazioni. L'articolo 49 dice esplicitamente che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente. È quindi chiaro che ci troviamo nella logica delle associazioni. Il primo punto che va individuato è che cosa dice la Costituzione per differenziare l'associazione dal partito politico e qual è la prima regola che la Costituzione pone.
  Se rileggiamo con attenzione l'articolo 49, secondo me, ne traiamo alcune indicazioni fondamentali: «Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti politici per concorrere con metodo democratico alla determinazione della politica nazionale». Il discrimine dall'associazione al partito politico è quello della partecipazione alla determinazione della politica nazionale.
  Politica nazionale potrebbe anche essere inteso quasi in senso letterale e questo potrebbe permettere di tenere fuori da questa fase la vita delle elezioni locali perché l'inciso è importante. È poi evidente che, nel momento in cui un'associazione vuole concorrere a determinare la politica nazionale, si pone, ai sensi dell'articolo 49, un problema di metodo democratico, che è quello di cui stiamo discutendo.
  Quali sono i requisiti del metodo democratico? Mi pare che alcuni siano assolutamente evidenti e tra questi la presenza di uno statuto, l'individuazione del legale rappresentante, almeno una prima individuazione dei criteri per la selezione delle candidature. Mi sembra che alcuni requisiti costituiscano un minimo comune denominatore per rispettare il dettato costituzionale del metodo democratico al fine della concorrenza alla determinazione della politica nazionale.
  I requisiti per partecipare devono, a mio giudizio, esistere ai sensi dell'articolo 49, ma non devono essere tali da impedire o rendere difficile o problematica la partecipazione delle associazioni a questo momento di determinazione.
  Il primo step è dunque che i partiti sono associazioni, vivono come associazioni e richiedono un minimo di disciplina nel momento in cui si pongono il problema del concorrere alla determinazione della politica nazionale. Sicuramente c'è un secondo step, che può porre l'esigenza di requisiti più stringenti.
  Questo secondo step, a mio parere, scatta nel momento in cui l'associazione, presentandosi alla fase di determinazione della politica nazionale, riceve anche finanziamenti. Nel momento in cui questo soggetto riceve finanziamenti pubblici o partecipa alla raccolta di finanziamenti privati devono essere previsti anche requisiti maggiormente indicativi. Fatto sta che i requisiti devono esistere, ma devono essere generali nella prima fase.
  Mi permetto di segnalare due ultimi punti che non sono toccati nelle proposte presentate, ma su cui non sono molto convinto. Mi riferisco al decreto-legge n. 149 del 2013 laddove prevede una commissione di garanzia con una composizione chiaramente legata al tema del finanziamento. Una composizione con tre magistrati della Corte dei conti, uno della Cassazione e uno del Consiglio di Stato è legata al controllo del finanziamento. Il giorno in cui si dovesse riassestare questa disciplina forse andrebbe anche ripensata la composizione della commissione.
  Poiché il punto di partenza è che si tratta di associazioni, non mi lascia convinto nemmeno la norma sulla giurisdizione. Le controversie sull'applicazione del decreto-legge n. 149 del 2013 sono lasciate in via di giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo, fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia di sanzioni amministrative. Se partiamo dal principio Pag. 4che si rientra nella disciplina generale delle associazioni, io mi permetterei di esprimere dei dubbi sulla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
  Mi fermo qui, per poi presentare un documento scritto.

  NICOLÒ LIPARI, professore emerito di istituzioni di diritto privato – Università degli Studi di Roma «La Sapienza». Anch'io mi limiterò ad alcune notazioni, prescindendo da tutti quei profili sui quali ci possono essere tecnicalità di formulazione, ma che non toccano i principi e quindi non possono sostanzialmente determinare perplessità o contrasti da parte della dottrina. Intendo particolarmente riferirmi a una disciplina delle elezioni primarie o, per esempio, al progetto di legge che pone prevalentemente l'accento sulla identità di genere.
  Vorrei invece toccare quello che mi sembra il punto nodale, che attraversa trasversalmente tutte le proposte di legge, e cioè il riconoscimento dei partiti politici come persone giuridiche. Sappiamo tutti – è stato detto anche nelle relazioni che accompagnano le proposte – quale sia stata la storia che ha impedito, all'origine, questo riconoscimento. Laddove c'era un riconoscimento delle persone giuridiche attraverso un atto amministrativo nella forma di un decreto prefettizio, si è temuto che questo decreto, magari per incidenza dell'autorità governativa del momento, potesse incidere sulla libertà di scelta politica e quindi sull'attività del singolo partito.
  Tuttavia, questa mancata scelta non ha impedito, prima sulla spinta degli scritti di Franco Galgano, poi nella linea di una giurisprudenza assolutamente consolidata, di assegnare anche a queste associazioni non riconosciute, cioè i partiti, la disciplina propria delle persone giuridiche. Basti pensare al pacifico riconoscimento dell'applicabilità anche ai partiti dell'articolo 24 del codice civile, che riguarda i rapporti fra gli associati.
  Il nodo, a mio giudizio fondamentale, sta in questo. Nel momento in cui il Parlamento decide di attribuire la personalità giuridica al partito politico, cioè a una struttura che si autodefinisce partito politico, non è pensabile che da questo riconoscimento possa discendere, in qualunque maniera diretta e indiretta, una limitazione di attività rispetto a gruppi che questo riconoscimento non vogliono e che in questa definizione di partito politico non si riconoscono.
  Si realizza qui una situazione, se mi permettete un esempio apparentemente brutale e molto lontano da questa tematica, ampiamente assimilabile alle discussioni che ci sono state in questi tempi sul riconoscimento delle unioni coniugali di fatto. Quarant'anni fa vi fu chi sostenne – allora poteva dirsi anche a ragione – che il riconoscimento delle unioni di fatto potesse giustificarsi soltanto con riguardo alle coppie omosessuali, che non avevano nulla di analogo nel sistema normativo, e non con riguardo alle coppie eterosessuali perché queste, se volevano un riconoscimento giuridico, avevano il matrimonio.
  Oggi, la cultura giuridica e la cultura in senso ampio un'affermazione di questo genere non la condividerebbero più perché vi sono soggetti – ne conosco personalmente in coppie amiche dei miei figli – che, pur avendo un rapporto assolutamente consolidato nel tempo, con una pluralità di figli, non intendono in nessun modo passare attraverso il formale riconoscimento del matrimonio.
  Analogamente si può dire per quelle forme aggregative che sono i partiti politici. Nel momento in cui si riconosce di costituire una struttura come partito politico e a questa struttura si chiede una formale registrazione in un particolare registro, certamente si può assegnare a questa forma giuridica alcuni aspetti peculiari, per esempio il finanziamento, ma avrei qualche dubbio sulla esclusione rispetto ad altre forze.
  Tuttavia, nel momento in cui, attraverso un'elementare rilevazione sociologica, constatiamo che oggi sono presenti nella realtà politica del nostro Paese forze che si riconoscono una valenza politica, ma non si riconoscono o non ammettono la possibilità di essere qualificate come partiti politici e nel momento in cui gli stessi partiti politici tradizionali, quando arriva l'appuntamento Pag. 5 elettorale, sollecitano l'attenzione dei più lontani o comunque cercano di reclutare un consenso politico attraverso liste cosiddette «civiche» o liste non etichettate politicamente, ritengo – e lo dico in maniera brutale – che sarebbe sicuramente incostituzionale una norma che condizionasse la partecipazione al confronto politico al riconoscimento formale e quindi all'iscrizione nel registro dei partiti politici.
  Non possiamo dimenticare che, a una lettura elementare e diretta – ma su questo c'è infinita letteratura – dell'articolo 49 della Costituzione, i soggetti di quell'articolo sono i cittadini. Non sono riconosciuti i partiti come forme aggregative che assorbono i cittadini. Sono i cittadini che sollecitano la costituzione in forma di partito.
  L'espressione partito, così come è stata scritta nell'articolo 49 della Costituzione, aveva in quel determinato contesto culturale il senso della reazione al partito unico del regime fascista e a forme aggregative che non erano pensabili nel modo in cui si sono venute realizzando.
  Tuttavia, a mio personale avviso, e credo che su questo si aprirebbe sicuramente un dibattito ove approvata, una norma che escludesse la partecipazione alle elezioni politiche di forme aggregative di tipo politico che non si sono sottoposte alla procedura di riconoscimento, e quindi all'iscrizione in quel registro, sarebbe sicuramente incostituzionale.
  Su questo se volete si può benissimo avviare una discussione, ma è la mia prima osservazione, benché detta in maniera icastica e brutale.
  La seconda riguarda un altro profilo sul quale c'è ampia sensibilità e cioè l'iscrizione in una legge dello Stato della norma che disciplina la democraticità dell'organizzazione interna del partito. Qui si aprirebbe un discorso sconfinato su che cosa si intenda per democraticità dell'organizzazione interna.
  Quanto diceva prima il collega Caravita è fuori discussione, ma non è necessariamente legato al concetto di democrazia perché quelle forme organizzative potrebbero valere anche per organizzazioni di tipo economico, società o altro. Qui il discorso avrebbe una diversa natura. La mia personalissima preoccupazione è volta a ritenere che la democraticità dell'organizzazione sia esclusivamente legata al riconoscimento interno di un principio maggioritario.
  Il principio maggioritario è connotato essenziale del sistema democratico, ma non è criterio esclusivo. Basterebbe pensare che oggi, nella giurisprudenza consolidatissima della Corte costituzionale, il principio fondamentale che ne indirizza le decisioni è il principio di ragionevolezza, che fa premio sul risultato maggioritario conseguito all'esito della vicenda parlamentare.
  Il libro, scritto da un caro collega prematuramente scomparso, Franco Galgano, che citavo prima e che si intitola «La forza del numero e la legge di ragione» è un libro illuminante da questo punto di vista perché chiarisce come, nonostante l'importanza del principio maggioritario, questo non possa essere esclusivo criterio di valutazione della democraticità di un'organizzazione.
  Ciò comporta una serie di implicazioni a cascata sulle quali, se volete, possiamo ulteriormente discutere.

  VINCENZO LIPPOLIS, professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito all'audizione.
  Le difficoltà di una legge di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione risiedono nel trovare un punto di equilibrio fra tre esigenze diverse: la salvaguardia di una sfera di libertà organizzativa dei partiti; la tutela dei diritti di partecipazione dei singoli cittadini; la trasparenza dell'attività dei partiti, che, a mio avviso, è un valore democratico che trova conferma nell'articolo 18, del quale sono vietate le associazioni segrete. Si tratta di trovare un punto di equilibrio tra queste esigenze.
  Dall'esame delle proposte di legge assegnate in sede referente alla Commissione, individuo quattro punti problematici, sui quali vorrei brevemente soffermarmi. Il primo è la possibilità di un intervento avente ad oggetto le finalità di un partito. Il secondo è la possibilità di richiedere una Pag. 6istituzionalizzazione del partito, cioè con uno statuto che determina un'organizzazione interna a carattere democratico e trasparente. Il terzo punto è la possibilità di condizionare la partecipazione alle elezioni alla istituzionalizzazione del partito, argomento di cui ha parlato il professor Lipari. Come quarto punto, terrei separato il problema specifico delle primarie.
  Per quanto riguarda le finalità del partito, questo problema è toccato nella proposta di legge Fontanelli n. 3004, secondo cui i partiti devono rispettare, nel loro programma e nella loro attività, i valori della Costituzione, che poi sono ulteriormente specificati (articolo 1). Personalmente ritengo giustificato che una democrazia pluralista vieti che un partito si proponga come finalità il sovvertimento della democrazia pluralista stessa. Un principio di questo genere si trova anche in sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo.
  Il problema, nel nostro ordinamento, è se ciò si possa fare con legge ordinaria. Io ho qualche dubbio. Riterrei che sarebbe preferibile, se si vuole intervenire su questo aspetto, una norma costituzionale, anche perché c'è il problema della sanzione. Se un partito promuove finalità anticostituzionali, quale è la conseguenza? Nell'ordinamento tedesco si giunge allo scioglimento, ma vi è una base in una norma della Costituzione (articolo 21). Non è un caso che, il problema della sanzione nella proposta di legge dell'onorevole Fontanelli non sia affrontato.
  Parlare di valori della Costituzione mi sembra estremamente vago, anche perché i giochi di prestigio che sono in grado di fare i giuristi, quando si parla di valori, sono tali e tanti che rimarrebbe un criterio indeterminato. Riterrei quindi preferibile che le proposte di legge ordinarie non si occupino delle finalità perseguite dai partiti politici.
  Il secondo punto riguarda la istituzionalizzazione dei partiti, cioè il riconoscimento della personalità giuridica previo accertamento di un ordinamento interno a carattere democratico. Per anni in Italia si è discusso se l'espressione «con metodo democratico» dell'articolo 49 si riferisse, oltre che all'attività esterna dei partiti, anche alla loro organizzazione interna. È una vecchia questione. Già nei primi decenni del Novecento uno studioso naturalizzato italiano, Michels affermò che non vi era democrazia nelle società occidentali perché non erano democratici gli ordinamenti interni dei partiti.
  Io penso che con legge ordinaria si possano stabilire alcune regole riguardanti la vita interna dei partiti, quali quelle indicate nelle proposte di legge in esame: la individuazione degli organi di direzione del partito, la determinazione delle procedure di decisione, i diritti e i doveri degli iscritti, la tutela delle minoranze interne al partito e la partecipazione di queste ai procedimenti di decisione, le procedure per l'individuazione dei candidati. Non si deve dimenticare che la Costituzione, all'articolo 2, riconosce e garantisce i diritti individuali dell'uomo anche all'interno delle formazioni sociali di cui fa parte.
  Non ritengo, però, che possa esservi un diritto all'iscrizione ai partiti, a cui mi pare si accenni nella proposta Fontanelli. Mi permetto di citare le proposte perché penso così di dare un contributo puntuale e specifico. Non voglio fare il critico dei membri di questa Commissione. Nella proposta Fontanelli, come dicevo, è previsto un diritto a iscriversi (articolo 3, comma 1) e se il partito non risponde entro sessanta giorni addirittura la domanda di iscrizione è considerata accettata per silenzio-assenzo. Mi pare una norma eccessiva. A mio avviso, un partito ha diritto a rifiutare l'iscrizione di chiunque non ritenga in linea con le finalità stabilite nel proprio statuto.
  Altro problema è quello dell'anagrafe degli iscritti, toccato dalla proposta Fontanelli e dalla proposta D'Alia n. 3610. Il problema è se ci debba essere un'anagrafe degli iscritti e chi la possa conoscere. Le proposte all'esame di questa Commissione restringono l'accesso all'anagrafe ai soli aderenti al partito.
  Questo mi sembra il minimo, anche perché la legge n. 17 del 1982 sulle associazioni segrete qualifica come segrete quelle associazioni nelle quali «si rendono sconosciuti, in tutto o in parte e anche Pag. 7reciprocamente, i soci». Prevedere l'obbligatorietà di un'anagrafe degli iscritti che sia conoscibile quantomeno agli aderenti stessi al partito mi pare un passaggio importante per la trasparenza dell'istituzione partito. C'è da riflettere se possa avere una più larga diffusione.
  È quindi sicuramente possibile con legge ordinaria una istituzionalizzazione dei partiti più ampia di quella già prevista dall'ordinamento in relazione al loro finanziamento (decreto-legge n. 149 del 2013), con la previsione nello statuto di tutte le indicazioni dette, volte a rendere trasparente l'attività dei partiti e a garantire le minoranze interne.
  Il terzo punto è quello più delicato. Mi riferisco alla possibilità di condizionare la partecipazione alle elezioni alla istituzionalizzazione del partito, vale a dire all'iscrizione nel registro nazionale dei partiti della quale consegue l'ottenimento della personalità giuridica. La proposta di legge Guerini n. 3147 all'articolo 2, comma 1, lettera a), interviene sul testo unico per l'elezione della Camera dei deputati, prevedendo che possano presentare le liste di candidati solo partiti o gruppi politici organizzati iscritti nel registro nazionale. Se ho ben capito, si impedirebbe che associazioni e altri soggetti non registrati nell'apposito registro dei partiti politici partecipino al momento elettorale.
  Meno drasticamente del professor Lipari, anch'io ho perplessità su questo punto perché una democrazia come la nostra è in continua evoluzione. Si usa spessissimo, ad esempio, la parola «liquida» per indicare la realtà che ci circonda. Si parla anche di «partiti liquidi». Credo quindi che bloccare la partecipazione alle elezioni di liste che siano espressione di movimenti di opinione che si formano al di fuori dei partiti sia un passaggio troppo drastico. La mia idea è che si possa attenuare la distanza tra questi momenti, chiedendo a chi presenta liste alle elezioni una istituzionalizzazione «minore».
  Anziché presentare tutti i requisiti che vengono richiesti allo statuto di un partito per il riconoscimento della personalità giuridica, si dovrebbe chiedere molto più semplicemente di indicare gli organi dirigenti dell'associazione, e le loro competenze, le procedure per l'approvazione degli atti del partito, i diritti e i doveri degli iscritti e le modalità di scelta dei candidati. In definitiva uno statuto per così dire minimo che un movimento di opinione può predisporre in poco tempo, ottenendo l'approvazione senza particolari appesantimenti burocratici.
  Una volta che questa nuova formazione sia entrata in Parlamento attraverso i propri eletti, scatterebbe l'obbligo della istituzionalizzazione completa e gli si dovrebbe richiedere di darsi uno statuto più completo e dettagliato, secondo quanto ho detto prima.
  Cercherei cioè di distinguere due momenti, fissando un onere per la presentazione delle liste per l'associazione o movimento politico che non è un partito dotato di personalità giuridico evitando che questo onere sia tale da precludere completamente la possibilità di partecipare. Non deve essere necessaria la qualificazione di partito politico iscritto nel registro nazionale.
  Per quanto riguarda il riconoscimento della personalità giuridica, a me pare che alla fin fine il maggiore effetto sul partito di tale riconoscimento tocchi la sfera patrimoniale. Se il partito è una persona giuridica, ha un'autonomia amministrativa perfetta. Per eventuali debiti e qualsiasi questione di carattere pecuniario la responsabilità ricade sul patrimonio del partito e non anche, come in un'associazione non riconosciuta, sugli amministratori.
  Questa è una differenza importante. Come ripeto, altre differenze possono non essere importanti perché si può richiedere che lo statuto contenga una serie di elementi, indicati nelle proposte di legge, anche se il partito non ha la personalità giuridica.
  Infine, sintetizzo la mia opinione sulle primarie. Non ho mai visto con favore l'imitazione del modello americano. In Europa delle primarie americane si ha, secondo me, una visione romantica e romanzesca. Se però devono essere fatte, allora è opportuno che ci siano dei principi fissati Pag. 8nella legge, per evitare quel «fai da te» che diventa distruttivo per l'immagine dei partiti e della politica. Dovrebbero essere facoltative, con la possibilità per i partiti di disciplinarle. Soprattutto servono controlli del voto e registrazione dei votanti prima del voto.
  Non sono favorevole a primarie completamente aperte a partecipanti occasionali.

  GIOVANNI ORSINA, professore ordinario di storia contemporanea presso l'Università «LUISS Guido Carli» di Roma. Io porto il punto di vista di un non giurista. Sarò, quindi, meno tecnico e cercherò di fare un ragionamento più generale.
  La mia premessa è che ritengo sia illusorio pensare che la reale e profonda crisi che caratterizza i partiti italiani possa essere risolta per via di legge. Non è una crisi soltanto italiana. Non è una crisi di pochi giorni, ma ha origini molto profonde. È una crisi di modelli organizzativi e riguarda anche il cosiddetto «partito personale», sul quale c'è ormai molta letteratura. Anche i modelli alternativi di organizzazione non mi sembra stiano decollando in maniera particolarmente felice.
  Non credo che disciplinare i partiti o rafforzare la disciplina dei partiti possa essere decisivo. Potrebbero essere decisivi il nuovo sistema elettorale e, se passerà, la riforma costituzionale, ammesso che sortiscano gli effetti promessi dai loro promotori. Io francamente me lo auguro, ma qualche dubbio ce l'ho anch'io. Sarà decisiva, fondamentalmente, la competizione politica. Potrebbe riuscire a riportare un po’ di ordine nel sistema partitico italiano. Se non ci riuscirà la competizione politica, non ci riuscirà nulla, a mio avviso.
  Ho anche qualche perplessità sulla normazione eccessiva dei partiti – chiedo aiuto ai molti giuristi presenti – perché ho l'impressione che questo possa aprire la porta a un'ulteriore supplenza del potere giudiziario rispetto al potere politico, e non credo che ne sentiamo il bisogno. Un corretto rapporto è quello che ci auguriamo tutti, ma, come sappiamo, questa supplenza si svolge già da molti anni e non ha fatto bene alla politica italiana.
  Detto questo, se vogliamo irrobustire la normativa sui partiti nella speranza che questo possa dare ai partiti più struttura e al loro funzionamento interno più ordine e trasparenza, possiamo farlo. Non sono contrario. Non credo che sia un toccasana e che risolva tutti i problemi, ma potrebbe aiutare. Quanto meno, è quello che possiamo fare. Per il resto dobbiamo affidarci ai processi politici spontanei, che per definizione non possiamo governare.
  Ritengo comunque che il quadro normativo debba restare molto elastico, un quadro nel quale varie forme organizzative possano svilupparsi. Faccio soltanto un esempio per spiegarmi meglio. Nella proposta dell'onorevole Fontanelli e altri C. 3004, l'articolo 3, comma 1, lettera g) mi sembra vada un po’ troppo nel dettaglio. Ne capisco la logica, se ho compreso da quale parte politica viene, ma mi sembra troppo stringente laddove si legge: «le garanzie per rendere effettivo il pluralismo interno e il riconoscimento formale di minoranze alle quali è assicurata, ove richiesta, la rappresentanza proporzionale in tutti gli organi collegiali [...]». Obbligare un partito ad avere una rappresentanza proporzionale mi sembra troppo stringente. Obbligare il partito a garantire le minoranze è tutt'altra cosa ed è ovviamente essenziale.
  Vengo alle primarie, sulle quali sono completamente d'accordo con quanto ha appena detto il collega Lippolis. Ritengo, per quello che ho appena detto, che le primarie non debbano essere obbligatorie, ma, se si fanno, ritengo debbano essere fatte all'interno di una cornice normativa che dia qualche regola e magari anche qualche finanziamento. Anche questo mi sembra corretto, come prevede la proposta C. 3494 dell'onorevole Zampa, con la quale concordo.
  La mia impressione, in due battute, è che le primarie siano un grande strumento di legittimazione che i partiti utilizzano, appunto, per legittimarsi. L'elettorato vede, in definitiva, un processo elettorale, perché questo sono le primarie. Nel momento in cui le primarie dovessero svolgersi in maniera non corretta o dovesse essercene anche Pag. 9 solo il sospetto, il meccanismo di legittimazione si trasformerebbe in uno di delegittimazione, che colpisce le primarie in quanto elezione e, per un meccanismo di spillover, finirebbe per delegittimare i processi elettorali nel loro complesso. Mi pare che di tutto abbiamo bisogno oggi in Italia, tranne che di questo.
  Se il meccanismo delle primarie acquista di per sé una valenza simbolicamente istituzionale, cioè ha un potere di colpire i meccanismi di legittimazione e delegittimazione del meccanismo istituzionale elettorale, allora è bene che le istituzioni se ne facciano carico, e che il sistema istituzionale in qualche modo ci metta le mani. Se le cose vanno male, il sistema istituzionale potrebbe dire che il prezzo lo paga lui. È bene, appunto, un po’ di controllo.
  Con l'ultimo passaggio sarò politicamente scorretto, consapevole di esserlo, ma mi avete chiesto che cosa penso, quindi vi dico che cosa penso. Sono molto perplesso sulle norme tese a incentivare la partecipazione femminile in politica e anche quella dei giovani. La proposta D'Alia prevede un'incentivazione della presenza dei giovani. Vi dico esattamente quel che penso, naturalmente poi potremo discuterne all'infinito.
  Nella relazione che accompagna la proposta di legge C. 3438, quella appunto sulla partecipazione femminile, è scritto che in Parlamento nella XVII legislatura è stata sfiorata la soglia del 30 per cento, mentre nelle legislature precedenti i livelli erano intorno al 15 per cento. Per quel che riguarda il Parlamento europeo, si è arrivati alle ultime elezioni quasi al 40 per cento, e prima, di nuovo, era il 15 per cento. Poi si dice «a fronte di questi dati non certo rassicuranti».
  Io ho il vizio, la deformazione professionale di essere uno storico, e quindi tendo a vedere i processi sul lungo periodo, e a me questi dati sembrano rassicuranti. Non è certo, naturalmente, come ho detto. Io li vedo come un processo di accelerazione importante, ma appunto in questo ragiono da storico, e quindi ho la pazienza di uno storico. Siccome ritengo che i meccanismi di incentivazione e disincentivazione abbiano anch'essi degli effetti negativi, sarei più propenso a lasciare che le cose vadano, naturalmente riservandomi, nel caso in cui i processi dovessero arrestarsi o invertirsi, di ricorrere a una forzatura normativa.

  MARIO STADERINI, avvocato. Faccio anche tesoro degli interventi degli autorevoli professori che mi hanno preceduto per offrire, credo, il contributo migliore, per onorare l'invito della Commissione, che parte ovviamente anche da un'esperienza personale, di chi, oltre ad aver coltivato la materia per anni, ha anche vissuto in un'area politico-culturale, quella del Partito radicale di Marco Pannella in particolare, che sulla libertà di associazione, sul ruolo dei partiti, sull'articolo 49 della Costituzione, ha fatto una pratica artigiana accanto all'elaborazione teorica.
  Questa è una giusta premessa per farvi capire il punto di vista con cui ho letto questi progetti di legge, credo tutti caratterizzati dal fatto di avere in comune una tendenza, una spinta, non so quanto consapevole, verso l'istituzionalizzazione dei partiti, istituzionalizzazione che è tornata a privilegiare, rispetto agli ultimi vent'anni, in cui si era ribaltato l'ordine, i partiti rispetto agli elettori e ai cittadini.
  Al centro del sistema delle leggi che si sono stratificate negli ultimi anni, a partire dal 2013, con la nuova legge sul finanziamento dei partiti, che contiene anche elementi sull'articolo 49 per quanto riguarda il registro dei partiti, con la legge elettorale «Italicum» e adesso con questa legge sull'articolo 49, ci ritroviamo ad aver rimesso al centro i partiti piuttosto che gli elettori e i cittadini, peraltro in maniera un po’ paradossale visto che in Costituzione i partiti vengono citati forse uno o due volte. Parto anche da quello che ha detto il professor Lipari. La norma costituzionale è per un diritto di libertà, un diritto individuale dei cittadini. A essere tutelati sono i cittadini e non i partiti.
  Su questo invito la Commissione, e proverò a tracciare due linee, a una riflessione ulteriore: da una parte, l'occasione attraverso questi progetti di legge di fare una scelta di sistema vera ed esplicita rispetto a Pag. 10quella latente degli ultimi due anni è arrivata; dall'altra, di poter ridare coerenza al modello.
  Nell'Italia repubblicana abbiamo avuto la contrapposizione tra due modelli, tra due concezioni della funzione di partito. Quella che ha prevalso a lungo, direi fino al 1993, ha visto il partito come momento delle istituzioni, cioè come istituzione. In quanto tale, è stato così possibile immaginare anche che avesse un ruolo diretto esplicito, per cui si poteva passare da un ruolo nelle nomine ad altro, ma fino ad arrivare a una cosa piccola, vale a dire il fatto che sono stati a lungo i partiti a indicare quali persone avrebbero fatto gli scrutatori nel momento elettorale, che rende concreta l'idea che il partito è un'istituzione e che in quanto tale contribuisce con lo Stato.
  La seconda concezione, rimasta a lungo minoritaria, alla quale appartengo come area culturale, vede come funzione del partito non quella di essere istituzione, ma di essere un tramite dei cittadini verso l'istituzione, cioè di essere uno strumento attraverso il quale si dà espressione collettiva alla volontà dei cittadini. Ma quando? E quando ha una rilevanza pubblica, e quindi nelle leggi, il partito? Nel momento in cui si incrocia con la vita delle istituzioni, cioè i momenti elettorali e referendari, i due momenti attraverso cui i cittadini possono partecipare e concorrere alla vita politica.
  Dal primo modello – per questo vorrei porre all'attenzione della Commissione la questione della coerenza – discende che l'organizzazione interna dei partiti non è lasciata, se sono istituzioni, all'autonomia totale dei partiti stessi. Allora sì che sorge l'esigenza, con questi progetti di legge, di una regolamentazione ferrea delle candidature, delle iscrizioni e di altri aspetti simili. Un sistema di finanziamento pubblico consente addirittura che i soldi vengano dati alle strutture e non per la questione delle elezioni che vengono partecipate.
  Il secondo modello, quello più anglosassone, prevede che solamente nel momento elettorale il partito, essendo una libera associazione appartenente alla società civile e non pezzo dello Stato, debba avere una sua regolamentazione. Anche i finanziamenti pubblici sono collegati solo al momento elettorale.
  Abbiamo, allora, in questi progetti di legge un'incoerenza, proprio nel sistema che ne deriverebbe. Da una parte, con la legge sul finanziamento ai partiti si lega all'iscrizione a un registro un partito politico, legato alla partecipazione alle elezioni, ma i soldi vengono dati agli apparati e alle strutture. Quando poi in queste leggi si parla di metodo democratico – che in alcuni dei progetti di legge si vuole attuare – si dà poco valore al metodo democratico, e citerò degli esempi concreti in modo da essere diretto.
  Ho fatto questa premessa storica per dire che fino al 1993 è prevalso il primo modello, il partito-istituzione, ma con un difetto: tutte le regole interne che era necessario fare a garanzia dei cittadini non sono mai state fatte, per cui poi c'è stata la valanga, testimoniata dal 1993. I due referendum, finanziamento ai partiti e «maggioritario», in opposizione al proporzionale, hanno prodotto una riforma che era l'opposto, sull'altro modello, quello per cui al centro c'era la persona. Non era, infatti, più il partito a poter essere finanziato come apparato e non era più il partito a poter essere votato nella legge proporzionale elettorale, ma si votava il candidato, l'eletto. Ora, dopo vent'anni, anche un po’ spuri – c'era poi la legge con una quota proporzionale e altro – c'è stata questa non controriforma, ma ritorno un po’ silente al sistema in cui sono i partiti al centro.
  Non potrò, ovviamente, dire in questa quale è il mio modello preferito: lo avete capito, più un modello anglosassone, in cui il partito non è un'istituzione. State andando, però, in questa ultima direzione, e allora vi chiedo in questo caso di avere attenzione su alcuni elementi di coerenza. Il vero giudizio che si potrà dare è se il sistema che produrrà il Parlamento sarà chiuso o aperto.
  Sia nella legge sul finanziamento ai partiti, ma anche in questa legge, non si considera per nulla l'altro elemento con cui gli italiani possono concorrere alla vita politica Pag. 11 del Paese, e cioè le iniziative popolari e i referendum. Secondo quello che già oggi dicono i progetti di legge, quello che c'è scritto, non possono esistere dei cittadini che scelgano di associarsi in partito non per partecipare alle elezioni, cosa che ormai è esclusivamente vincolante per potersi definire partito, ma per poter magari concorrere alla vita politica con iniziative popolari e referendum. Per questo parlo anche della mia esperienza. Questo è un limite molto grosso, che incide poi anche sulla possibilità di finanziamento.
  La seconda questione è che, se si sceglie quel modello, la coerenza richiede anzitutto che metodologicamente sarebbe un errore mischiare le regole dei partiti e condizionarle alle leggi elettorali, come si farebbe nel caso in cui in questa legge si parlasse di primarie. Per quale motivo? Perché un partito non può cambiare a seconda di come cambiano le leggi elettorali. Se nelle leggi elettorali saranno disciplinate le primarie come sistema di selezione dei candidati dei partiti, allora bene, ma non potrà essere questo lo strumento. Tutto quello che riguarda le liste e la presentazione delle elezioni va inserita nella legge elettorale. In questa legge sui partiti si deve parlare solo dei partiti.
  Allora – qui faccio uno specifico radicale – sono rimasto sorpreso già nella precedente legge sul registro sia in questa che si codificano, proprio parlando di metodo democratico, alcune cose contrarie al metodo democratico. Se il metodo è democratico, se davvero vogliamo farli diventare istituzioni, allora ci sia democrazia pura, a livello proprio - consentitemelo - dell'uno vale uno, ma dell'uno vale uno anche come l'abbiamo vissuto e praticato in Italia da Radicali.
  È stato già codificato dal Parlamento che c'è la possibilità che ci siano dei probi viri: se il metodo è democratico – non condivido, infatti, la posizione del professore – e il partito è legato alle istituzioni, dove sta scritto che un cittadino può essere giudicato dal partito se può iscriversi o meno a quel partito? In questa maniera si rimette davanti il partito, mentre sappiamo che la Costituzione tutela i cittadini. Se codificate i probi viri, ammettete la possibilità che uno possa essere espulso. Lo dico semplicemente perché io ho vissuto, credo bene, in un partito in cui nessuno può dirmi se posso iscrivermi o meno, basta che paghi in relazione allo statuto, e nessuno può espellermi qualsiasi cosa dica.
  Inoltre, non dite nulla sulla doppia tessera, altra questione radicale storica. Io non sono stato ammesso in alcuni partiti perché avevo la tessera radicale. Mi si limita la possibilità di associarmi. Su questo ci vorrebbe un minimo di coerenza.
  Concludo davvero, presidente, e ringrazio per il tempo concessomi – delle primarie ho detto che, appunto, finché non ci sono le leggi, non possono starci – insistendo relativamente al sistema delle elezioni, cioè sulla proposta di legge Guerini che vuole vincolare la partecipazione alle elezioni all'iscrizione nel registro dei partiti politici, quindi al rispetto di quei requisiti che abbiamo detto stringenti perché danno diritto a prendere i soldi.
  Attenzione, a parte le ragioni costituzionali, se ci fossero venti scienziati, ricordando che in Italia la ricerca scientifica va male, che venti giorni prima della scadenza del termine volessero presentarsi con una lista sulla scienza, non potrebbero farlo. Dirò di più: non avrebbe potuto farlo in questi vent'anni la Lista Pannella, perché non rientra in questi requisiti. Non potrebbe farlo il Movimento 5 Stelle.
  Ma vi dirò di più. Pochi sanno che alle prossime elezioni amministrative a Ortisei si voterà con un sistema nuovo. Erano anni che non si riusciva più a votare, perché i cittadini non andavano più a votare, si erano scocciati. È tutto vero: hanno creato una lista unica che si presenta alle elezioni sopra i partiti, con nessun partito. I cittadini mandano le loro candidature e poi si autoselezionano i candidati. Ha funzionato, e finalmente ci saranno le elezioni a Ortisei, che altrimenti non ci sarebbero state.
  Non dico che voglio questi sistemi, ma se il sistema si chiude risulta secondo me perdente. L'unica questione che volevo porre era appunto di fare attenzione al quadro di sistema e a chiudere troppo il sistema medesimo.

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  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ELENA CENTEMERO. Vi parlo in qualità di presidente della Commissione Equality and non Discrimination del Consiglio d'Europa, dove stiamo ultimando un lavoro sulla partecipazione paritaria alla vita politica.
  Si è fatto accenno alla situazione italiana. La situazione non è così lineare come è stata prospettata. Mi farà molto piacere inviare il materiale che stiamo elaborando e confrontarmi su questo. All'interno dei 47 Paesi del Consiglio d'Europa, nello studio che abbiamo effettuato si è messo in luce come nelle diverse realtà ci sono risultati molto diversi nel bilanciamento della partecipazione – io parlo sempre di bilanciamento della partecipazione alla vita politica di donne e uomini – a seconda se si usino o meno degli strumenti come quelli delle quote, che possono elettorali o interne ai partiti a seconda se sono volontarie o non volontarie.
  Si è, però, rilevato che questi processi avanzano nel momento in cui ci sono delle misure non esclusivamente di carattere politico o elettorale, ma che riguardano il welfare, i media, altri settori della società, ma comunque strumenti necessari perché questo processo continui. Abbiamo visto che in alcuni casi questo processo si è arrestato, si è fermato. In Italia, la legge n. 215 del 2012, che ha inserito la doppia preferenza di genere nelle elezioni per i consigli degli enti locali, la proporzione di un terzo nelle liste elettorali, è un sistema che ha consentito di bilanciare maggiormente la partecipazione.
  Concludo con quanto dice la Commissione di Venezia, che si occupa di processi di democratizzazione: se non c'è in modo equo un bilanciamento, cioè una rappresentazione di donne e uomini nella vita politica, è in discussione la stessa democrazia di un Paese, gli stessi processi democratici. Parliamo con grande attenzione di questa tematica. L'Italia è sicuramente un Paese, rispetto al quadro europeo, estremamente arretrato. La Spagna, nelle ultime elezioni, quelle recenti del dicembre 2015, ha il 42 per cento di presenza delle donne, quindi ha una presenza bilanciata di donne e uomini, ma raggiunta attraverso degli strumenti.
  Uno dei temi fondamentali è che la presenza bilanciata di donne e uomini negli organi di decision making è fondamentale, ma a tutti i livelli, politico e sociale. In Svezia non hanno un sistema di quote legate alle legge elettorale, ma uno volontario, legato ai partiti: questo è un obiettivo da raggiungere.

  PRESIDENTE. Visto che non ci sono altre richieste di intervento, vorrei fare una rapida considerazione e porre una domanda.
  Da parte di tutti i relatori si è fatto riferimento al fatto che l'articolo 49 della Costituzione parte dalla posizione del diritto dei cittadini per arrivare al partito come strumento di concorso alla vita democratica. Partendo da quello che diceva il professor Lipari, la mia domanda è questa: davvero il partito o la definizione di partito viaggia insieme alla definizione di associazione fin dall'inizio?
  Quando una lista elettorale si presenta, e parlo ad esempio della presentazione sotto forma di liste civiche, si può decidere di costituire un'associazione soggetta a tutte le norme del codice civile. Astrattamente, è anche possibile una coincidenza di soggetti che decidono semplicemente di raccogliere le firme e presentare una lista. Dai miei studi civilistici, fatti peraltro con il professor Lipari alla LUISS, non mi pare rappresenti di per sé una struttura associativa il solo fatto di decidere di presentare una lista insieme.
  Il punto che porrei è il seguente. Assumendo che si voglia introdurre dei princìpi di base, che io credo siano utili alla vita politica in relazione a trasparenza e altri aspetti della vita politica dei partiti, mi domando quando si possa dire che esiste una struttura associativa, sia prima sia dopo. Quali sono gli elementi dai quali traggo l'applicabilità della normativa sui partiti?
  Se un gruppo di persone inizia a comunicare ogni riferimento intenzionale perché Pag. 13è un tema politico importante su una piattaforma informatica, quand'è che quella struttura diventa partito, e quindi devo trattarlo come un partito? Credo che questo sia il punto fondamentale.
  O si dice che i cittadini sono obbligati a formare un'associazione per partecipare alle elezioni, ed è un primo tema; se non si dice quello, si dice che comincio a regolamentare il partito quando si forma, immagino, una struttura associativa, e non prima di allora, altrimenti non si capisce bene che cosa sia il partito. Credo che sia fondamentale proprio da un punto di vista di nostra analisi giuridica capire quand'è che esiste una struttura associativa che posso regolamentare come partito. Non so se la domanda è chiara.
  Nel contesto attuale, questo è il dibattito che abbiamo. Abbiamo una forza politica che rappresenta una grande quantità di elettori, che si definisce non un partito, ma un insieme di persone che si relazionano, fondamentalmente, attraverso il Web e poi anche in altro modo, ma che non ha una struttura di partito. Questo è discutibile e dibattibile.
  Dal mio punto di vista, possiamo discuterne, ma in generale credo che sia importante per regolamentare stabilire quand'è che ad esempio il famoso gruppo di 50 persone che si presenta all'elezione, o un po’ di più, su tutto il territorio diventa partito soggetto a quella regolamentazione. Noi potremo in una stanza dire che firmiamo delle liste, raccogliamo delle firme, andiamo alle elezioni, dopodiché ognun per sé. È perfettamente legittimo ai sensi della Costituzione.
  Una volta entrati in Parlamento, facciamo un gruppo parlamentare, poi siamo soggetti a regolamentazione di partito? Questa è la domanda. Soprattutto, possiamo esserlo? Noi stiamo facendo delle leggi che presuppongono che chi si presenta alle elezioni il giorno dopo si presenta con l'idea di stare insieme.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  NICOLÒ LIPARI, professore emerito di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza». La domanda è molto interessante.
  Il passaggio ulteriore che ha fatto alla fine forse non può trovare risposta in questa sede. Certamente, il regolamento parlamentare può condizionare certi risultati, l'applicazione di certe norme e via discorrendo, al fatto che tutti quei soggetti risultano eletti sotto la medesima etichetta, e quindi sono giunti al Parlamento sotto uno stesso coagulo.
  Quello che a me interessa è porre l'accento su quel «liberamente» scritto nell'articolo 49 della Costituzione. Quel «possono associarsi liberamente» significa che non necessariamente debbono, nella loro organizzazione, creare una struttura che esiga un riconoscimento come struttura. Questo non è richiesto dalla Costituzione. Se, ripeto, passasse questa legge, che condizionasse al riconoscimento formale, e quindi all'inserzione nel registro dei partiti politici, la partecipazione alle elezioni, do per scontato che sarebbe sanzionata dalla Corte costituzionale. Lo do proprio per scontato.
  La Corte costituzionale, che pure non ha riconosciuto la funzione costituzionale del partito, e che quindi si è collocata in un'ottica che guarda dalla parte del cittadino, pur non negando il ruolo del partito politico per una serie di altri effetti, non riconosce che il partito sia l'esclusivo veicolo. Lì il termine partito non significa che offre al legislatore la possibilità di definire il partito e, definendo il partito, di condizionare il modo libero di aggregazione ai sensi dell'articolo 49 della Costituzione. Questo è il nodo del problema, fondamentale a mio giudizio, il più importante di tutti quelli discussi, che voi dovete affrontare e risolvere.
  Ripeto che tocca non solo alcune forze politiche già rappresentate in Parlamento, ma una sensibilità diffusa dei cittadini. Oggi il modo di sollecitare un ampliamento della partecipazione dei cittadini alla vita politica è dare forme di aggregazione politica che non si qualifichino come partiti. Questo è un fatto sociologicamente rilevato, e quindi constatato, e del quale il Parlamento deve farsi carico.

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  VINCENZO LIPPOLIS, professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. Io ho una posizione intermedia tra quella che condiziona la partecipazione alle elezioni al riconoscimento della personalità giuridica e la registrazione nel registro dei partiti. Ritengo, però, che assumi valore costituzionale la trasparenza, vale a dire il sapere chi c'è dietro una lista, chi finanzia quella lista, come sono organizzate le persone che presentano quella lista.
  Non richiedo che debba essere un partito con la personalità giuridica iscritto nel registro dei partiti. Questo vale magari dopo, se elegge dei rappresentanti. Un minimo, però, di struttura associativa, uno statuto, sapere chi sono gli organi dirigenti di questo gruppo di persone che si presenta alle elezioni, avere un minimo di notizie, di trasparenza su questa lista, non lo ritengo contrario ai princìpi costituzionali, perché l'articolo 49 dice che tutti i cittadini hanno diritto di associarsi in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Non dice che tutti i cittadini possono liberamente determinare la politica nazionale. C'è un passaggio, di associarsi liberamente in partiti. Secondo me, ha anche un significato.
  Ho iniziato il mio intervento prima dicendo che ci sono tre esigenze: la libertà dei partiti, la libertà dei singoli, dei cittadini, e la trasparenza. Questo è importante. Nella società attuale c'è il rischio che si presentino liste dietro le quali il sistema democratico può non sapere nulla di che cosa c'è dietro.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che hanno chiesto di intervenire per porre ulteriori quesiti.

  TERESA PICCIONE. Nella sua relazione il professor Lippolis ha fatto un riferimento all'anagrafe degli iscritti, e sulla sua conoscibilità facendo un richiamo alla legge sull'individuazione delle società segrete. Sono stata tesoriere del Partito Democratico, e questo per noi è un nodo. C'è un tema di privacy. Noi nominiamo un responsabile di questi dati come dati sensibili. In che senso quest'anagrafe deve essere conoscibile?

  EMANUELE COZZOLINO. La questione che è stata toccata è tra i temi principali, si parla di trasparenza, di conoscibilità dei finanziatori, di chi c'è dietro un partito. Tante volte abbiamo sollevato in Commissione anche il tema di come la maggioranza dei partiti o anche degli esponenti politici abbia alle spalle una fondazione, spesso politica. Come legislazione italiana non abbiamo ancora una regolamentazione di trasparenza. Se mai verrà approvata questa legge di regolamentazione dei partiti legati a fondazioni direttamente o indirettamente collegate alla politica, credete che possa esserci una regolamentazione anche per le fondazioni? Si parla di trasparenza, si chiede trasparenza ai partiti, ma non alle fondazioni che comunque li finanziano.

  MARA MUCCI. Il dibattito è molto interessante. Penso che il nodo centrale sia veramente che cosa vogliamo che siano i partiti, che cosa consentiranno i partiti di fare per loro tramite ai cittadini. Proprio nel momento in cui parliamo di queste cose, secondo me la parte fondamentale è la trasparenza, che per me non è solo nell'ottica del finanziamento. Per me la trasparenza è anche in quest'ottica: io mi organizzo in un certo modo, chiedo il mio voto in base a come mi organizzo e a come voglio che la politica venga determinata.
  Vorrei, però, anche da cittadina che ci fosse una coerenza negli statuti e nell'organizzazione che a priori e a monte si dice di voler portare avanti. Per me la grande crisi dei partiti è determinata proprio dal fatto che i cittadini prima di tutto hanno smesso di crederci, perché si sono trovati davanti a organizzazioni che a parole dicevano alcune cose, mettendole anche per iscritto, e poi nei fatti cambiavano totalmente le attitudini.
  Per me la trasparenza significa: mi dici nel tuo statuto come ti organizzi? Dovrà, però, anche esserci qualcuno che controlli che avvenga esattamente come è scritto negli statuti, altrimenti avremo un'altra Pag. 15volta delle organizzazioni che tradiscono il mandato o il concetto di partecipazione che nasce attorno ai cittadini stessi.
  Detto questo, secondo me si pone il tema della coerenza dello statuto da una parte, ma anche del non incidere troppo con queste proposte di legge sulla libertà del partito di organizzarsi e di come organizzarsi. Penso che questo non sia un nodo semplice da sciogliere, come quello della garanzia delle minoranze.
  È molto bello mettere all'interno delle proposte di legge questa tutela, la garanzia delle minoranze, ma fino a che punto non incido nella libertà di organizzazione di un partito? Che cosa significa la garanzia della minoranza? Per me, questi sono nodi importanti, ma non devono neanche incidere troppo sulla libertà del partito. È ovvio che, quando si creano troppi paletti, si crea dall'altra parte una rigidità che non fa bene al sistema.

  RICCARDO NUTI. Vorrei fare una riflessione e una domanda insieme. Faccio parte anche della Commissione antimafia, e ci sono delle dinamiche che spesso si intrecciano tra questi temi e quelli che indaghiamo con la Commissione antimafia.
  La politica non solo in Italia, ma limitiamoci al caso italiano, è spesso investita da fenomeni corruttivi mafiosi e di illegalità diffusa e notevole, quindi non reati di poco conto. Faccio questa riflessione, che ovviamente può essere esagerata nei termini, ma secondo me merita una vostra considerazione, comunque una vostra opinione.
  Se i partiti diventano nel tempo, nei loro comportamenti e nei reati che i soggetti eletti compiono, delle simil-associazioni a delinquere, cioè un insieme di persone che compiono costantemente e reiteratamente una serie di reati, magari cambiando gli eletti – una volta il reato lo compie Tizio e una volta Caio – questi soggetti all'interno per esempio del Parlamento hanno ovviamente l'immunità, e quindi godono di un procedimento che offre delle garanzie in tal senso.
  Se, però, questi soggetti politici, questi gruppi parlamentari si proteggono, evitano il procedimento della magistratura, come spesso è capitato con tanti soggetti che magari erano sottoposti a indagini per mafia o per altri reati gravi, questo teoricamente potrebbe essere contrastato dalla dinamica dell'opinione pubblica. Nel momento in cui ti autoassolvi e impedisci alla magistratura di andare in questa direzione, l'opinione pubblica dovrebbe reagire anche con il voto alla successiva tornata elettorale.
  Se gli stessi soggetti politici dell'esempio citato decidono anche l'aspetto basilare dell'informazione, quindi scelgono i responsabili della TV pubblica, che ha l'obbligo di fare informazione nei confronti della cittadinanza, e quindi di una serie di informazioni la cittadinanza non viene a conoscenza perché appunto l'informazione è pilotata da questi soggetti, a quel punto si crea un cortocircuito democratico? Si crea una situazione paradossale, dalla quale non so come si possa uscire. Non con lo strumento legislativo. Sicuramente, sono d'accordo che non è possibile con lo strumento legislativo, ma è chiaro che è un problema eventualmente molto rilevante. Non è una cosa che si può risolvere in poche mosse.
  Se è necessario un procedimento culturale e una rivoluzione culturale, come spesso si dice, è facile comprendere che l'evoluzione culturale senza l'informazione è ben difficile da attuare.

  NICOLÒ LIPARI, professore emerito di istituzioni di diritto privato presso l'Università degli Studi di Roma «La Sapienza».
  Si potrebbe articolatamente rispondere a tutte le osservazioni che sono state fatte, ma sintetizzerei il discorso in un punto nodale. Non diamo l'impressione che, nel momento in cui si dovesse regolamentare il sistema dei partiti, si debba rimpiangere la mancata regolamentazione. Non è pensabile che, una volta che sia arrivata la regolamentazione, chicchessia, organizzazione strutturata politicamente o giudice, valuti la rispondenza del comportamento alla previsione statutaria.
  Questo è un discorso che ha dietro di sé un'infinita letteratura. Pensate alla letteratura che si è fatta a suo tempo sui cosiddetti atti ultra vires delle persone giuridiche. Pag. 16 Si è addirittura ipotizzato che, se compio un atto estraneo allo statuto, si assumeva che fosse nullo, dopodiché si è riconosciuto che è un'ipotesi non sostenibile. È soltanto attraverso strumenti di esperienza, di socialità, di valutazione, di sanzione sociale che si può realizzare la sanzione di questo.
  Non pensiamo che lo strumento legislativo possa indirizzare la società. La società ha certamente dinamiche che lo strumento legislativo non può indirizzare, salvo gli atti di segno veramente regolamentare. Ringraziando ancora una volta per l'attenzione e l'interesse con cui vedo che questo dibattito viene seguìto, continuo a essere dell'opinione che i due punti nodali sui quali è opportuno che affrontiate il vostro dibattito siano quelli, se sia costituzionalmente legittima una norma che impedisca la partecipazione all'attività politica, e segnatamente alla vicenda elettorale, di soggetti organizzati come che sia, ma che non passano attraverso le forche caudine di questo riconoscimento; e quali possano essere i criteri indirizzanti in una normativa scritta della cosiddetta democrazia interna del partito.

  VINCENZO LIPPOLIS, professore ordinario di diritto pubblico comparato presso l'Università degli Studi Internazionali (UNINT) di Roma. Il tema dell'anagrafe degli aderenti ai partiti è affrontato dalle proposte di legge a prima firma D'Alia e Fontanelli. In esse vi sono delle norme che, salvaguardando le disposizioni in materia di privacy, in sostanza dicono che gli iscritti hanno diritto a conoscere chi sono gli altri iscritti al partito cui aderiscono. Una forma di pubblicità degli iscritti ai partiti, anche più estesa, non mi trova contrario, anzi.
  L'accenno – forse non sono stato chiaro – alla legge n. 17 del 1982 sulle associazioni segrete: l'ho fatto per rilevare che questa legge fissa una serie di elementi per determinare il carattere segreto di un'associazione. Dice che le associazioni segrete sono quelle che svolgono un'attività diretta ad interferire con le funzioni di organi costituzionali o di altri soggetti pubblici, e che operano occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità ed attività sociali ovvero rendendo sconosciuti in tutto o in parte e anche reciprocamente i soci. La previsione di un'anagrafe del partito politico che sia conoscibile mi pare perfettamente in linea con la legge n. 17 del 1982.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.25.