XVII Legislatura

Commissioni Riunite (I e XI)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Lunedì 10 aprile 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE MODIFICHE AL DECRETO LEGISLATIVO 27 OTTOBRE 2009, N. 150, IN ATTUAZIONE DELL'ARTICOLO 17, COMMA 1, LETTERA R), DELLA LEGGE 7 AGOSTO 2015, N. 124 (ATTO N. 391)
Damiano Cesare , Presidente ... 3 ,
Martini Francesco , segretario confederale della CGIL ... 3 ,
Russo Carmine , rappresentante del dipartimento pubblico impiego della CISL ... 5 ,
Fortuna Alessandro , rappresentante della UIL ... 6 ,
Curti Maria Rosaria  ... 7 8 ,
Cefalo Roberto , componente della Segreteria generale della CSE ... 9 ,
Quintiliani Massimo , rappresentante della CGS ... 11 ,
Briguori Massimo , componente coordinamento nazionale USB ... 12 ,
Calì Paolo , segretario nazionale della FIALP-CISAL ... 13 ,
Rembado Giorgio , vicepresidente della CIDA e presidente FP-CIDA ... 14 ,
Cignarelli Tiziana , rappresentante della CODIRP ... 15 ,
Spanò Alberto , Rappresentante della COSMED ... 17 ,
Biasioli Stefano , rappresentante della CONFEDIR ... 18 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 19 ,
Tinagli Irene (PD)  ... 19 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 20 ,
Martini Francesco , segretario confederale della CGIL ... 20 ,
Russo Carmine , rappresentante del dipartimento pubblico impiego della CISL ... 20 ,
Rembado Giorgio , Vicepresidente della CIDA e presidente FP-CIDA ... 20 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 20 

Audizione di rappresentanti di istituzioni, di associazioni e di esperti:
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 21 ,
Gasparrini Sergio , presidente dell'ARAN ... 21 ,
Battini Stefano , presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione ... 23 ,
Hinna Alessandro , professore associato di organizzazione aziendale presso l'Università di Tor Vergata ... 24 ,
Ruffini Renato , professore associato di Economia aziendale presso la facoltà di Economia dell'Università C. Cattaneo LIUC ... 27 ,
Marconi Pia , capo dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 29 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 32 ,
Ferrari Alan (PD)  ... 32 ,
Tinagli Irene (PD)  ... 34 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 35 ,
Marconi Pia , capo dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri ... 35 ,
Mazziotti di Celso Andrea , Presidente ... 36

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta civica-ALA per la costituente libera e popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA XI COMMISSIONE
CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di
organizzazioni sindacali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dello schema di decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell'articolo 17, comma 1, lettera r), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (atto n. 391), l'audizione di rappresentanti di organizzazioni sindacali.
  Nel ringraziare i nostri ospiti per la loro partecipazione, segnalo che sono presenti per la CGIL Francesco Martini, segretario confederale, e Alessandro Purificato, capo area funzioni locali Funzione pubblica CGIL, Giuseppe Di Lullo, segretario nazionale FLC CGIL; per la CISL Carmine Russo, Dipartimento pubblico impiego, per la UIL Marco Maldone e Alessandro Fortuna, per la Confsal la dottoressa Maria Rosaria Curti, Segreteria generale, per la CSE Roberto Cefalo, componente della Segreteria generale e responsabile dell'Ufficio politiche contrattuali, per la CGS il professor Massimo Quintiliani, per l'USB Massimo Briguori, componente coordinamento nazionale, per la FIALP-CISAL il dottor Massimo Blasi, segretario confederale, e il dottor Paolo Calì, segretario nazionale, per la FP-CIDA, Giorgio Rembado, Vicepresidente CIDA e presidente FP-CIDA, Giuseppe Beato, Vicepresidente FP-CIDA e Giorgio Germani, Vicepresidente FP-CIDA; per la CODIRP Mario Sellini, segretario generale, e Tiziana Cignarelli, per la COSMED Elisa Petrone e Alberto Spanò; per la CONFEDIR la dottoressa Maria Assunta Miele, responsabile della segreteria tecnica, e il dottor Stefano Biasioli. L'USAE ci ha comunicato che non potrà partecipare all'audizione.
  Avverto che per lo svolgimento dell'audizione la Commissione ha a disposizione complessivamente circa due ore, quindi la relazione di ciascuno dei nostri auditi potrà avere una durata orientativa di cinque minuti, in modo da lasciare spazio a eventuali quesiti dei deputati e alle repliche. Senza entrare nel merito della rappresentatività, è evidente che occorre elasticità, perché ci sono organizzazioni maggiormente rappresentative, ma comunque i cinque minuti non sono tassativi.
  Nel ringraziare ancora una volta i nostri ospiti per la loro presenza, lascio immediatamente loro la parola.

  FRANCESCO MARTINI, segretario confederale della CGIL. Grazie, presidente, oltretutto modificando l'ordine dei fattori il risultato non cambia, come sappiamo. Cerco addirittura di risparmiare qualche secondo, perché premetto anche in questa sede che, come abbiamo già comunicato in un'altra audizione sulle modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001, oltre ad avere già consegnato del materiale, lo faremo ulteriormente nei prossimi giorni anche alla luce delle stesse audizioni per ulteriori precisazioni; quindi questo mi consente di essere veramente breve e di rinviare all'esame Pag. 4 dei testi le posizioni e le proposte specifiche.
  Anche in questo caso vorremmo ribadire che il nostro approccio alle valutazioni del decreto assume come bussola, come riferimento, l'accordo del 30 novembre, quindi per quanto ci riguarda nell'operazione che stiamo conducendo nell'esame del decreto e delle valutazioni che ne debbono conseguire, tanto per le modifiche al decreto legislativo n. 165 del 2001 quanto per quelle al decreto legislativo n. 150 del 2009 si tratta di produrre il massimo di coerenza con gli obiettivi fissati nell'accordo del 30 novembre 2016.
  Credo che l'oggetto di cui stiamo discutendo sia una delle riprove del 9 più significative, perché stiamo parlando di una legge nota con il nome del ministro che la produsse a suo tempo e che noi abbiamo vissuto come una legge che ha sostanzialmente bloccato la contrattazione.
  Se tutta l'operazione che stiamo conducendo, sia sul decreto legislativo n. 165 che sul decreto legislativo n. 150 del 2009 deve avere come risultato il trasferimento di maggiori funzioni dalla legge alla contrattazione, perché è un intervento che fa il Governo per liberare la contrattazione, per restituire alla contrattazione le sue funzioni proprie, che sono ferme da otto anni circa, e contemporaneamente riesca anche a sbloccare i tavoli di rinnovo contrattuale, per i quali abbiamo già chiesto al Ministero l'adozione degli strumenti per avviarli, è chiaro che per quanto riguarda le modifiche da apportare al decreto legislativo n. 150 del 2009 riteniamo che queste debbano dimostrare la volontà effettiva di compiere questo trasferimento.
  Quando voi leggerete (in parte lo avrete già fatto) o rileggerete i contributi che in maniera estesa invieremo e già abbiamo inviato noterete che abbiamo avanzato proposte di modifica ad alcuni articoli del decreto, che hanno proprio questo scopo.
  Le modifiche che abbiamo proposto ad uno dei primi articoli, il terzo, hanno ad esempio come obiettivo quello di rafforzare i diritti di consultazione delle organizzazioni sindacali, soprattutto rispetto alla definizione degli obiettivi generali e specifici della pubblica amministrazione, che costituiscono il fondamentale punto di avvio del ciclo di gestione delle performances, laddove ci diamo degli obiettivi e stabiliamo come ci organizziamo per raggiungere le conseguenti performances.
  Così come altre modifiche che proporremo all'articolo 5, che hanno come obiettivo quello di introdurre i diritti di partecipazione, tramite l'esame congiunto, al sistema di misurazione e valutazione delle performances, in questo punto per recuperare il ruolo della contrattazione soprattutto in materia di valutazione. Se effettivamente vogliamo restituire potere alla contrattazione, questa deve potersi esercitare sia a livello di partecipazione, sia in taluni casi anche a livello negoziale rispetto alla misurazione e alla valutazione della performance.
  Terzo esempio è quello relativo alla rimodulazione delle dotazioni organiche in base ai fabbisogni di personale. Noi riteniamo che la rimodulazione delle dotazioni organiche fatta in base ai fabbisogni di personale ponga la necessità di assumere il tema del fabbisogno di personale come oggetto di confronto, di partecipazione sindacale. Anche per questo proporremo delle modifiche all'articolo 16.
  Così come (quarto esempio) stiamo conducendo un'operazione che riassume l'universo del pubblico impiego e quindi dei settori del pubblico impiego, con il Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ma anche con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sappiamo che sono mondi diversi, ma accomunati da otto anni nelle scelte legislative di blocco e di inibizione della contrattazione, quindi oggi stiamo facendo un'operazione che riguarda entrambi i comparti.
  Anche per questo le altre modifiche che proporremo all'articolo 74 del decreto legislativo n. 150 del 2009 pongono l'obiettivo di introdurre criteri omogenei di valutazione dell'intero comparto, quindi anche del comparto riferito al MIUR, per poter rappresentare l'organicità del progetto. Pag. 5
  Questi sono alcuni esempi per dire che su questo terreno forse più che su altri sapremo misurare la coerenza con i contenuti dell'accordo del 30 novembre e su questo proseguiremo il confronto oggi in sede di audizione, domani con i Ministeri relativi.

  CARMINE RUSSO, rappresentante del dipartimento pubblico impiego della CISL. Noi abbiamo accolto con molto favore il fatto che la Camera abbia organizzato le audizioni e i lavori sia sul decreto legislativo n. 165 del 2001 che sul decreto legislativo n. 150 del 2009, perché si tratta di temi fortemente connessi tra loro e avemmo modo di dire all'audizione in Commissione lavoro che per noi gli aspetti riferiti alla valutazione sono strettamente legati agli aspetti del rapporto di lavoro, oltre che ovviamente a quelli dell'organizzazione.
  Le proposte che abbiamo fatto e che faremo (il materiale che abbiamo consegnato la volta scorsa integrava anche le modifiche che intendiamo apportare al decreto legislativo n. 150 del 2001) hanno la finalità di evitare che due letture diversificate dei due decreti assolutizzino una materia rispetto all'altra. La valutazione ha effetti rilevanti e indubbi (non potrebbe essere diversamente) sul rapporto di lavoro e soprattutto sugli aspetti retributivi, quindi è evidente che, se una norma sta da una parte e una dall'altra, bisogna che nel momento in cui le Commissioni parlamentari esprimeranno il parere si tenga presente di questo dato.
  Un esempio valido per tutti è quello che nel decreto legislativo n. 150 del 2009 abbiamo gli istituti della valutazione, nel decreto legislativo n. 165 del 2001 gli istituti della retribuzione in una maniera che, se si leggono in maniera assoluta e non unificata le due norme, lo spazio delle relazioni sindacali alle quali accennava anche il collega della CGIL rischia di essere eccessivamente residuale rispetto non tanto alle aspettative delle organizzazioni sindacali, quanto agli impegni che il Governo stesso ha assunto con il ministro.
  Questo quindi come primo punto: evitare che gli istituti della valutazione siano poi di fatto un'eccessiva formalizzazione del ruolo che contrattualmente bisogna svolgere sulle materie retributive.
  Il secondo problema che a noi sta particolarmente a cuore è quello del rischio della standardizzazione. Sappiamo che le amministrazioni sono molto diverse l'una dall'altra, è inutile ribadirlo, anche se il Ministro Madia insiste molto sul fatto che si è dipendenti della Repubblica e non del singolo ente, ma questo, se può essere vero da un punto di vista simbolico ed etico del ruolo di una Repubblica complessa composta da autonomie come la nostra, è meno vero se andiamo ad esaminare le organizzazioni specifiche, che continuano a mantenere una differenziazione che in materie come la valutazione non possiamo sottacere.
  Il rischio di una legislazione tanto standardizzante l'organizzazione può quindi essere veramente alto, anche perché siamo in presenza di processi di rilegificazione, che si sono realizzati in Italia ma anche in altri Paesi e che, se non condotti oculatamente, rischiano una controindicazione, ossia di pretendere giustamente un dirigente manager, ma dall'altra parte di avere una legislazione che lo priva degli strumenti di managerialità. Il tema della valutazione è emblematico di questo rischio.
  Sono questi i motivi per cui chiediamo che ci sia un ruolo delle relazioni sindacali (come vedete, per la terza volta non ho parlato esplicitamente di contrattazione), che siano un modo di tenere insieme le esigenze dell'organizzazione, ma anche le esigenze della gestione del personale.
  È evidente che per noi la via privilegiata è quella contrattuale, ma quando parliamo di via contrattuale ci riferiamo soprattutto al livello di contrattazione nazionale, in grado di definire quali strumenti a livello integrativo verranno utilizzati nella valutazione.
  La preoccupazione è che una legislazione eccessivamente invasiva possa dimostrare di non aver fiducia neppure nelle agenzie che per conto della pubblica amministrazione si confrontano con le organizzazioni sindacali, quindi su questi temi noi crediamo che ci debba essere una maggiore apertura nei confronti delle dinamiche Pag. 6 organizzative, che sono fatte dai soggetti che si trovano dentro l'organizzazione, senza un rischio di eccessiva ingerenza da parte del legislatore.
  Ultimo punto. Come organizzazione sindacale, come CISL siamo particolarmente affezionati alla valutazione non in termini soltanto teorici, ma in termini pratici perché, come ho avuto modo di dire in audizione in Commissione lavoro la settimana scorsa, per noi la valutazione deve essere anche un meccanismo grazie al quale, nel momento in cui si raggiungano intese sul modo di apportare le innovazioni, introdurre anche nel settore pubblico strumenti di fiscalità agevolata o di welfare aziendale.
  La valutazione è quindi uno strumento che non viviamo affatto come meccanismo di controllo, ma viviamo come opportunità, se adottata con le misure giuste di cui parlavo prima, per massimizzare le opportunità di vantaggio anche retributivo per i lavoratori.

  ALESSANDRO FORTUNA, rappresentante della UIL. Grazie, presidente, per questa possibilità di essere auditi. Come già ribadito dai miei colleghi, è impossibile fare una valutazione su questo provvedimento senza collegarlo direttamente al suo decreto «gemello», quello di modifica del Testo Unico.
  Se ad una prima valutazione la nostra risulta essere positiva su come cambierebbe l'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009, laddove nell'ottica dell'accordo c'è stato il superamento di quelle gabbie che hanno imbrigliato la contrattazione in questi anni (insieme a tanti altri motivi, ma è stato uno dei principali), rinveniamo anche il superamento di quel sistema tendente all'omogeneizzazione a cui ambiva il provvedimento attualmente vigente, e si torna a respirare un nuovo ruolo della contrattazione.
  Se però da una parte i vincoli posti dalla cosiddetta «Brunetta» sembrano uscire dalla porta, in maniera meno accentuata sembrano rientrare dalla finestra, perché, se guardiamo bene il decreto legislativo n. 165 del 2001, bisogna fare degli ulteriori passi avanti, perché i vincoli nell'ambito della valutazione rimangono e sono in contraddizione sia con l'accordo del 30 novembre, sia con lo stesso articolo 19 del provvedimento.
  Se infatti l'articolo 19 stabilisce che i contratti collettivi nazionali fissano la quota di risorse da destinare alla remunerazione della performance e i criteri idonei a garantire la differenziazione, non capiamo perché nel decreto legislativo n. 165 ci siano dei vincoli di invarianza di spesa, come quello di limitare le risorse volte alla premialità per il 2017 alle stesse del 2016; non si comprende come si possano premiare dei risultati migliori con le stesse risorse.
  Si stabilisce che la voce del trattamento accessorio legata alla performance debba essere una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo. Qui, oltre ad adottare un criterio che tutto ha tranne la differenziazione, si ritorna ancora una volta a un'omogeneizzazione del sistema, si crea il paradosso che per alcuni comparti si dovrebbe necessariamente avere un arretramento di determinate indennità in godimento, con la paradossale conseguenza che dopo otto anni di blocco contrattuale determinati dipendenti si ritroverebbero a subire una decurtazione del trattamento accessorio.
  La premialità dovrebbe quindi accedere ad altre risorse e non intaccare quelle in godimento, a maggior ragione per determinati comparti dove quelle indennità costituiscono la parte fondamentale del trattamento e sono utili ai fini della stessa funzionalità dei servizi erogati da quell'ente. Ne è caso sintomatico la sanità, che si fonda sulle indennità, quindi è assolutamente impossibile prevedere ancora una volta una prevalenza della voce legata alla performance.
  Andando oltre a quello che riguarda le risorse che secondo l'accordo, stando a come si è impegnato il Governo, dovevano essere liberate, abbiamo anche la questione di legare la performance ai livelli medi di presenza nel pubblico impiego.
  Si torna a battere su questo argomento, sebbene nell'accordo si fosse stabilito che sarebbe stata la contrattazione ad interessarsi di questo punto e a cercare di disincentivare fenomeni anomali di assenteismo Pag. 7e incentivare migliori tassi di presenza, anche perché la prevista decurtazione del trattamento accessorio sulla base della rilevazione dei tassi medi di presenza confrontati al settore privato già crea un problema, perché nel pubblico si ricomprende nella categoria assenteismo anche la legge n. 104 del 1992, i distacchi, la malattia, che per lo più i dipendenti pubblici si pagano da soli, quindi non penso che abbiano interesse ad andare in malattia.
  I vincoli permangono e quindi auspichiamo che ci siano delle correzioni su entrambi i provvedimenti, per calare i contenuti dell'accordo e tradurli in norme, perché è impossibile fare una valutazione singola su questo schema di decreto, salvo determinati aspetti che richiamo brevemente.
  Noi abbiamo delle riserve sulla questione della valutazione dell'utenza; può essere un buon principio, però deve essere legato a criteri puntuali, che non ci sembra di ravvisare in quel provvedimento. Non vorremmo quindi che ci fossero ulteriori ricadute sui dipendenti pubblici dopo otto anni sulla base di valutazioni occasionali, se non emozionali.
  Nutriamo piccoli dubbi sulla definizione degli obiettivi generali che costituiscono la base della valutazione del ciclo della performance con l'inserimento della previsione della coerenza agli obiettivi del programma di Governo, perché ci sembra che ci sia un incedere in quel rapporto di separazione tra indirizzo politico e indirizzo amministrativo. Mi fermo qui.

  MARIA ROSARIA CURTI, componente della segreteria generale della Confsal. Buongiorno a tutti, onorevole presidente e onorevoli deputati. Nel ringraziare le Commissioni per l'audizione, la Confsal esprime apprezzamento per l'obiettivo generale del provvedimento oggi all'esame, volto ad ottimizzare la produttività del lavoro pubblico e a garantire efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni anche attraverso la razionalizzazione degli strumenti per la misurazione e la verifica della performance.
  L'atto di Governo n. 391 si inserisce nel più ampio processo di riforma della pubblica amministrazione, ai sensi della legge n. 124 del 2015. L'intervento normativo è volto a modificare e integrare il decreto legislativo n. 150 del 2009, con lo scopo di risolvere alcuni problemi legati alla sua applicazione pratica.
  In linea generale condividiamo il provvedimento nella parte in cui attribuisce un ruolo centrale al Dipartimento della funzione pubblica, con l'auspicio che ciò possa consentire un'applicazione uniforme e coerente della normativa sulla performance e sulla valutazione in tutte le pubbliche amministrazioni.
  Condividiamo altresì il provvedimento nella parte in cui rafforza il ruolo e le competenze degli organismi indipendenti di valutazione, nonché nella parte in cui restituisce alla contrattazione collettiva un ruolo significativo nello stabilire la quota delle risorse da destinare alla performance organizzativa e a quella individuale, alla quale viene demandata la fissazione dei criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi corrisponda una effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati.
  Sul punto della contrattazione collettiva concordiamo con le osservazioni fatte dai colleghi che mi hanno preceduto: si poteva e si può fare di più, riconoscendo alla contrattazione collettiva il ruolo centrale che le spetta. In ogni caso, per esprimere un parere compiuto e definitivo è necessario attendere le valutazioni della Conferenza Stato-regioni che, come è noto, a seguito della sentenza della Consulta, assumono valore d'intesa e quindi sono vincolanti per il Governo in sede di predisposizione definitiva del decreto, così come a tutt'oggi non risulta pervenuto il parere del Consiglio di Stato.
  Passando all'esame delle disposizioni dello schema, la modifica che prevede che ogni amministrazione pubblica nelle attività di misurazione e valutazione della performance dell'amministrazione nel suo complesso e dei singoli dipendenti è tenuta a seguire gli indirizzi impartiti non più dall'ANAC, ma dal dipartimento della Funzione pubblica, è funzionale ad adeguare e Pag. 8coordinare le disposizioni del decreto al mutato quadro normativo.
  La seconda novità consiste nel prevedere nuovi effetti conseguenti alle attività di misurazione, valutazione e trasparenza della performance, con conseguente modifica dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 150 del 2009. Si tratta di effetti di non poco rilievo, laddove è previsto che il rispetto delle disposizioni in materia non solo è condizione necessaria per l'erogazione dei premi legati alla performance, ma rileva anche ai fini delle componenti del trattamento retributivo e del riconoscimento delle progressioni economiche e dell'attribuzione di incarichi di responsabilità.
  La previsione di modifica dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 150 del 2009 sul ciclo della performance, secondo cui nella definizione degli obiettivi si debba tener conto anche dei risultati conseguiti nell'anno precedente, ci sembra adeguata a definire concretamente gli obiettivi in un'ottica complessiva, ancorata al dato storico e reale, rispondente a un'esigenza di obiettività e attualità.
  L'introduzione all'articolo 5, comma 1, del decreto legislativo n. 150 del 2009, della categoria degli obiettivi generali, che identificano le priorità strategiche delle pubbliche amministrazioni in relazione alle attività e ai servizi erogati, anche tenendo conto del comparto di contrattazione di appartenenza rispetto agli obiettivi specifici di ogni pubblica amministrazione, ci appare corretta, e presumibilmente consentirà, unitamente alla previsione di coerenza con gli obiettivi di bilancio, una maggiore uniformità applicativa, pur con le dovute differenziazioni, tra le pubbliche amministrazioni.
  Passando agli organismi indipendenti di valutazione, apprezziamo il ruolo centrale ad essi assegnato dallo schema di decreto, che prevede che la loro istituzione e composizione sia affidata al Dipartimento della funzione pubblica. Per quanto concerne la composizione degli organismi, disciplinata dall'articolo 14 del decreto legislativo n. 150 del 2009, a nostro avviso appare senza dubbio preferibile sempre la composizione in forma collegiale e non in forma monocratica. Ciò in considerazione dell'importanza e della delicatezza dei compiti ad esso affidati e dunque della necessità che determinate questioni vengano attentamente e collegialmente ponderate. La collegialità nella composizione di un organo è infatti indice di maggiori garanzie sia per i valutati che per la correttezza dell'operato della pubblica amministrazione.
  In relazione all'elenco nazionale dei componenti degli organismi indipendenti, il meccanismo è congegnato in modo che tra gli iscritti all'elenco, tenuto dal Dipartimento della funzione pubblica, l'organo di indirizzo politico-amministrativo nomini l'organismo previa procedura selettiva pubblica. A nostro avviso la procedura selettiva pubblica dovrebbe essere effettuata prima dell'iscrizione nell'elenco, ciò a dire che il superamento della procedura selettiva è condizione per l'iscrizione nell'elenco.
  Sul sistema di misurazione e valutazione della performance di cui all'articolo 7 del decreto legislativo n. 150 del 2009, la previsione del parere vincolante dell'organismo indipendente di valutazione in generale dovrebbe assicurare un controllo ex ante sulla correttezza metodologica dei contenuti di tale documento. Guardiamo quindi con favore l'assegnazione al dipartimento della funzione pubblica del compito di impartire gli indirizzi e del compito di predisporre modelli da utilizzare per la valutazione della performance organizzativa.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA I COMMISSIONE
ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  MARIA ROSARIA CURTI, componente della segreteria generale Confsal. Ciò consentirà di avere un'uniformità nell'ambito di tutte le pubbliche amministrazioni ricomprese nel campo di applicazione della norma, pur con i dovuti adattamenti. Sul punto bisognerebbe rivalutare il ruolo della contrattazione collettiva e delle organizzazioni sindacali.
  L'obbligo, di cui all'articolo 10, comma 1 del decreto legislativo n. 150 del 2009, per ogni amministrazione di pubblicare sul proprio Pag. 9 sito istituzionale annualmente il piano della performance e la relazione annuale assolve all'onere di trasparenza non più eludibile per una pubblica amministrazione moderna ed efficace.
  Un'annotazione sulla relazione annuale. La relazione annuale sulla performance è approvata dall'organo di indirizzo politico e validata dall'organismo di valutazione, secondo quanto previsto dall'articolo 14, comma 4, lettera c). Ciò a condizione che la stessa sia redatta in forma sintetica, chiara e di immediata comprensione ai cittadini e agli altri utenti.
  Al riguardo, riteniamo più corretto sotto il profilo della tecnica redazionale inserire all'articolo 10, lettera b) che la relazione sulla performance debba necessariamente essere redatta in forma sintetica, chiara e di immediata comprensione ai cittadini. Ciò soprattutto in considerazione della circostanza che la validazione della relazione sulla performance è condizione inderogabile per l'accesso agli strumenti per premiare il merito. Se l'organo di vertice redige una relazione non sintetica e poco chiara, quali sono le conseguenze? Le mancanze dell'organo politico possono mai ripercuotersi sui lavoratori? In questo senso ad avviso della Confsal andrebbero introdotti dei correttivi.
  Riteniamo corretto che il sistema di valutazione delle attività amministrative delle università e degli enti di ricerca sia svolto dall'ANVUR nel rispetto del decreto in esame.
  Un ultimo appunto sulle norme dello schema di decreto che riservano particolare attenzione al giudizio dell'utenza introdotte sulla base del principio di riservare maggiore attenzione ai cittadini utenti e alla qualità dei servizi resi dalle amministrazioni, creando alcune forme stabili di coinvolgimento dei cittadini utenti nella governance della pubblica amministrazione.
  A nostro avviso la materia è decisamente più complessa di quanto sembri ad un primo esame. Al riguardo, se da un lato riteniamo sicuramente positivo prevedere forme di coinvolgimento della cittadinanza nella valutazione generale dei servizi resi dalla pubblica amministrazione, dall'altro la partecipazione attiva nello specifico processo di misurazione della performance organizzativa, viste le implicazioni connesse, si ritiene debba trovare dei correttivi, così come ci sentiamo di sottolineare che non ci sembra corretto far riferimento ai risultati prodotti da indagini svolte dalle agenzie esterne di valutazione dei dati.
  Tutta la modifica legislativa oggi all'esame è volta a creare un valido sistema di valutazione del personale della pubblica amministrazione, sistema che deve essere autosufficiente, senza rientrare nelle logiche di affidare ad agenzie esterne i compiti che devono essere svolti dalla pubblica amministrazione nel suo complesso.
  Conclusivamente la Confsal riconosce che il provvedimento preso in esame affronta aspetti importanti, ne apprezza lo sforzo in un momento così difficile per il nostro Paese e, poiché si tratta di un provvedimento che dovrebbe colmare le mancanze e le contraddizioni rivelatesi nell'applicazione della precedente formulazione, siamo a chiedere un ulteriore impegno a considerare le nostre argomentazioni.

  ROBERTO CEFALO, componente della Segreteria generale della CSE. Grazie per questa opportunità che ci viene concessa. Ovviamente consegneremo un documento articolato sulle modifiche al testo che intendiamo proporre, ma in questa sede ci limiteremo ad una valutazione più generale e complessiva del provvedimento in esame, dicendo due cose.
  La prima è che ovviamente, come è stato già detto, questo va visto unitamente alle proposte di modifica del decreto legislativo n. 165, perché i provvedimenti sono intimamente connessi, ma qui c'è già una prima valutazione: le forze sociali, i sindacati, i rappresentanti dei lavoratori da un decennio aspettavano che si mettesse mano a questo impianto normativo, periodo che, ben lungi dall'investire e dal permettere un miglioramento della pubblica amministrazione, ha rappresentato un decennio buio per i lavoratori e per tutta la pubblica amministrazione.
  Tale decennio è stato caratterizzato non solo da un intervento a gamba tesa ad una normativa burocratico-formale, che faceva Pag. 10un passo indietro rispetto alle dinamiche di contrattualizzazione che erano state uno dei capisaldi dei primi anni ’90 per permettere una vera riforma della pubblica amministrazione, ma ha scontato anche un incredibile blocco di tutta la dinamica contrattuale, in quanto 8-9 anni di blocco contrattuale nel pubblico impiego sono una cosa straordinariamente grave, che non può essere sottaciuta nel momento in cui si valuta un impianto normativo.
  Noi siamo uno dei sindacati che ha promosso il giudizio e ha visto la sentenza della Corte Costituzionale rispetto all'incostituzionalità del reiterato blocco della contrattazione; riteniamo purtroppo di non ravvisare un'inversione di tendenza in questa legislatura e in questo Governo, che pure avrebbe dovuto rimettere in movimento la dinamica e la partecipazione non solo dei cittadini, ma anche di chi lavora all'interno della pubblica amministrazione.
  C'era una delega molto modesta e molto burocratica, molto formale, che pensava che modificando le norme si potesse dare avvio a un processo di riforma della pubblica amministrazione. Noi immaginavamo di modificare le norme per ridare fiato alla contrattazione, per rimettere in movimento la partecipazione, perché la contrattazione non è qualcosa di antipatico, brutto, antistorico, ma è uno dei momenti in cui, attraverso i sistemi di partecipazione, le grandi professionalità a tutti i livelli sono in grado di fare la propria parte per una pubblica amministrazione sempre più politicizzata e sempre meno al servizio dei cittadini.
  Una delega quindi burocratico-formale, una delega molto limitata specialmente sul decreto legislativo n. 165 del 2001. Sul decreto legislativo n. 150 del 2009 prendiamo atto di un punto fondamentale, il superamento delle fasce predeterminate della valutazione che il Ministro Brunetta aveva inteso come elemento di modifica per modernizzare la pubblica amministrazione, quindi bene il superamento delle fasce, bene la performance organizzativa che ha un peso rispetto a quella individuale; quindi su questo dobbiamo dire che c'è un segnale, ma probabilmente è l'unico.
  Riteniamo che si dovesse mettere meglio mano a questo strumento e a questa possibile modifica. Anche perché su questo non c'è stato un confronto con le parti sociali, perché i colleghi fanno riferimento a un accordo fatto a Palazzo Vidoni il 30 novembre tra Governo e una parte delle organizzazioni sindacali, che avrebbe dovuto informare poi le modifiche legislative, ma ricordiamo che questa è una delega che viene prima; riteniamo che quello (con qualche punto positivo, anche se lo riteniamo un accordo pre-elettorale che il Governo fece per arrivare al referendum in modo meno difficoltoso) non sia uno strumento, una fonte normativa per modificare tutto questo impianto normativo.
  Chiediamo quindi che il Parlamento, nel parere che deve rendere, metta mano a questa partita, non svolga una funzione unicamente notarile o di presa d'atto di quanto è avvenuto.
  Concludo con due questioni. Sulla funzione pubblica secondo noi c'è un passo indietro. Noi immaginiamo una pubblica amministrazione plurale, che abbia più voci, più capacità di rappresentanza, più livelli di governo, che sia in grado di interconnettere i livelli di autonomia del territorio, quindi riportare le competenze al dipartimento della funzione pubblica, che in questa fase non ha svolto fino in fondo il proprio ruolo di governo e di indirizzo rispetto alla modernizzazione della pubblica amministrazione, sembra veramente un passo indietro verso una vecchia burocrazia, che nulla ha a che vedere con una vera modernizzazione e che con i Governi che passano resta sempre la stessa burocrazia della funzione pubblica. Questo accentramento degli OIV, questa macchina burocratico-formale sulla valutazione effettivamente è esagerata.
  Seconda questione, la valutazione dei cittadini. Noi siamo per una pubblica amministrazione che sia al servizio dei cittadini; i lavoratori pubblici in gran parte lavorano al servizio dei cittadini; siamo costretti a svolgere politiche fiscali, politiche della giustizia e di alcune pubbliche amministrazioni cui lo Stato assegna un compito; quindi non vorremmo che chi Pag. 11deve attuare norme politiche dettate da Governo e Parlamento in qualità di servitore dello Stato venisse valutato per politiche e per indirizzi che vengono dati nel lavoro da svolgere sulla base di questi indirizzi.
  Attenzione: la politica viene valutata dai cittadini per come lavora e per gli indirizzi che dà, i lavoratori della pubblica amministrazione debbono essere valutati per come lavorano e per la qualità del loro lavoro, quindi è necessario distinguere bene (il confine è sottilissimo) fra quello che devi fare e come lo fai, e su questo chiediamo un intervento forte e chiaro, perché non vorremmo che la stagione della denigrazione e dell'attacco al lavoro pubblico, visto non come una risorsa, ma quasi come un nemico del Paese potesse trovare in questa parte della modifica del decreto legislativo nuova voce e nuova linfa.

  MASSIMO QUINTILIANI, rappresentante della CGS. La Confederazione generale sindacale CGS, pur riconoscendo alcuni miglioramenti rispetto al testo previgente, ritiene necessarie ulteriori e profonde modifiche in particolare per quanto attiene la parte relativa alla incidenza e al peso della performance.
  Indubbiamente positivo è il superamento delle fasce predeterminate di distribuzione del personale, che decideva l'esclusione a priori dal salario aziendale di un 25 per cento del personale, così come la previsione di privilegiare le performance collettive di gruppo in luogo di quelle individuali meramente discrezionali, basate sui cosiddetti «comportamenti individuali».
  Rimane di difficile comprensione invece la parte relativa alla valutazione da parte dell'utenza ai fini del ciclo della performance, con particolare riferimento alle tantissime amministrazioni pubbliche deputate per missione istituzionale a compiti non propriamente connessi a un rapporto diretto con l'utenza, ma in ogni caso decisive per il funzionamento di uno Stato democratico.
  In ultimo (ma non per importanza) appare eccessivo l'accentramento di competenze in materia di coordinamento degli organismi indipendenti di valutazione da parte del dipartimento della funzione pubblica, e il ciclo della performance descritto appare eccessivamente ampolloso, ancora permeato da una forte burocratizzazione, che rende il meccanismo a nostro avviso farraginoso e appesantito. Tutto ciò in uno scenario istituzionale che non ha ancora chiarito i livelli di governo tra centro e territorio, le materie di competenza, le attività, le missioni e le organizzazioni delle attuali strutture amministrative centrali e territoriali, il tutto aggravato dalla confusione legata alla soppressione delle province.
  In relazione allo schema di decreto legislativo recante modifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009 n. 150, la CGS rileva che l'articolo 5 modifica l'articolo 7, ovvero il Sistema di misurazione e valutazione delle performances. In particolare, il comma 2 individua chi svolge la misurazione e la valutazione della performance; i punti modificati, b) e c), individuano i dirigenti di ciascuna amministrazione e i cittadini o gli utenti finali.
  Tale impianto pone due ordini di problemi. Il primo è riferito alla qualifica professionale del valutatore, che non sempre coincide con il ruolo dirigenziale. Non tutta la pubblica amministrazione è costituita da amministrativi e dirigenti amministrativi, ci sono anche settori come la sanità pubblica, dove il dirigente medico si trova a valutare altre figure non mediche, senza aver conoscenza del contenuto professionale proprio di chi è valutato. Come si può valutare senza conoscere il contenuto della professione del valutato?
  Il secondo punto apre alla valutazione dei cittadini o altri utenti, l'alternativa posta dalla disgiunzione «o» non ha la stessa valenza; alcuni uffici e settori sono a diretto contatto per tutto il tempo lavorativo con i cittadini, altri non li vedono mai, ma svolgono un'attività che li porta a relazionarsi con le stesse persone fra di loro. Ovviamente i più esposti a valutazioni negative sono i dipendenti a contatto con il pubblico, che spesso si trovano a giustificare inoltre in prima persona le inefficienze dei dirigenti che li valutano e si Pag. 12espongono direttamente alle lamentele per questioni di carattere organizzativo.
  Nella sanità pubblica tale settore è soggetto a liste e ore di attesa, sono all'ordine del giorno le aggressioni dei cittadini non verso il personale degli uffici amministrativi, bensì verso il personale infermieristico o medico che si trova a ventiquattro ore su ventiquattro a contatto con persone malate. Riteniamo che, pur condividendo l'importanza del parere dell'utente finale dei servizi, l'introduzione di un tale parametro anche per il solo livello di valutazione delle performances organizzative dell'amministrazione possa avere ricadute sui dipendenti particolarmente esposti all'utenza diretta e rivelare una conflittualità nello stabilire la imputabilità delle lamentele. Nei servizi pubblici non è vero che il cliente ha sempre ragione.
  L'articolo 12 modifica le norme per gli enti territoriali e il Servizio sanitario nazionale. In tali modifiche dovrebbe rientrare anche la possibilità di adeguare i propri ordinamenti ai principi contenuti dell'articolo 7, comma 2, b) e c), per i motivi già addotti.
  Articolo 13, partecipazione dei cittadini e degli altri utenti finali. Tale articolo risulta ancora problematico per i motivi già addotti. Si deve tener conto che l'inadempienza agli obblighi d'ufficio e in genere un comportamento non corretto verso l'utenza è sanzionato anche disciplinarmente. Si riafferma che nella pubblica amministrazione ci sono diversi uffici che espongono il dipendente a diverse relazioni e l'utenza può essere benissimo non omogenea.
  Articolo 16, modifica dell'articolo 24, progressione di carriera. Si chiede di dare la possibilità di effettuare una carriera interna all'amministrazione senza obblighi di concorso pubblico, con riserva di posti per l'accesso dall'esterno, che potrebbe prevedere incrementi di spesa e di personale. In caso di blocco del turnover non è consentito bandire concorsi per assunzioni di nuovo personale, e questo di fatto impedisce ogni progressione di carriera.
  Il giudizio complessivo su questo provvedimento non è a nostro parere positivo, non risolve i problemi di efficienza della pubblica amministrazione, estende un'ottica amministrativa ministeriale anche in altri enti, aventi un core business per nulla centrato sull'aspetto amministrativo, non dà la possibilità di aprire una carriera interna all'amministrazione, allontanandosi dalla caratteristica della privatizzazione del rapporto di lavoro, si pone la valutazione individuale e collettiva spesso indipendente dal riconoscimento delle capacità professionali proprie, se valutate da chi non esercita la stessa professione, alla base di tutti gli emolumenti, parte variabile e parte fissa della retribuzione, introducendo un elemento di forte soggettività che può condizionare non solo i premi, ma tutta la carriera del dipendente.
  In ogni caso, per esprimere un parere compiuto e definitivo è necessario anche conoscere l'entità delle modifiche apportate dalla Conferenza Stato regioni ancora non recepite, così come il parere del Consiglio di Stato. Si conferma la disponibilità della CGS ad eventuali, ulteriori approfondimenti.

  MASSIMO BRIGUORI, componente coordinamento nazionale USB. Buongiorno, ringraziamo le Commissioni riunite per l'invito; il nostro sarà un intervento di carattere generale, forse anche un po’ eccentrico rispetto all'articolato delle norme che si sta discutendo.
  Condivido in premessa quanto detto in particolare dal collega della CSE riguardo all'accordo del 30 novembre e il ragionamento sulla valutazione dell'utenza, che potrebbe riversare sui dipendenti pubblici una valutazione che non è propria dell'attività dell'amministrazione a cui si rivolge, ma è più una valutazione politica del contesto generale.
  Per quanto ci riguarda, questo decreto non innova; avremmo voluto una completa cancellazione delle cosiddette «norme Brunetta», le innovazioni che si introducono non modificano il fondo della questione. Quello che a noi sembra invece opportuno in questa fase, dopo una revisione e una forte riduzione dei comparti di contrattazione, è riaprire immediatamente la fase del rinnovo dei contratti e dare la possibilità di trovare gli strumenti di omogeneizzazione Pag. 13 di quello che sarà il futuro di questi nuovi comparti.
  Un altro argomento su cui avremmo voluto un intervento che riteniamo necessario per dare maggiore innovazione e spinta alla pubblica amministrazione è quello di rimuovere il blocco delle assunzioni ormai pluridecennale. C'è la necessità di acquisire nuove competenze e nuove conoscenze e abbassare un'età media che si aggira ormai intorno ai 54-55 anni, che significa una difficoltà nel seguire gli aggiornamenti di sviluppo tecnologico. Altro argomento su cui riteniamo necessario un intervento non è quello della valutazione, ma quello di risolvere i problemi del precariato all'interno della pubblica amministrazione.
  Solo un accenno all'articolato. È vero che si modificano le cosiddette «tre fasce», però lasciando ancora più margine per una differenziazione, visto che si conferma l'obbligatorietà per norma di legge da parte della dirigenza, che lega la sua retribuzione proprio alla capacità di differenziare, fattori che innescano meccanismi di carattere conflittuale che potrebbero rendere complicata la gestione.
  L'ultima valutazione è relativa al discorso delle risorse. Fino a quando una buona parte delle quote del rinnovo contrattuale verrà dedicata ad incentivare le risorse destinate alla valutazione e al merito c'è il rischio o meglio la certezza che quote di quello che dovrebbe essere la difesa del potere d'acquisto garantito dal rinnovo contrattuale vengano destinate ad altri scopi; quindi non ci sembra una scelta strategica indovinata e riteniamo che la cosa principale da fare sia riaprire la fase della contrattazione e fornire tutte le risorse economiche necessarie per il rinnovo dei contratti. Vi ringraziamo.

  PAOLO CALÌ, segretario nazionale della FIALP-CISAL. Buongiorno a tutti, vorremmo dire in premessa che siamo abbastanza perplessi sul fatto che il Governo abbia atteso la scadenza ultima del termine per l'esercizio di questa delega, a distanza di due anni dalla legge di riforma, la n. 124, e soprattutto dalla sentenza della Corte Costituzionale, di cui siamo stati anche noi promotori, che dichiarava l'illegittimità costituzionale delle norme che imponevano il blocco della contrattazione, perplessità che, indipendentemente dai contenuti del testo, di fatto fa slittare ancora di più una stagione di contrattazione.
  Con i tempi che ci si prende per queste rivisitazioni si va a finire a giugno, a 8 anni e mezzo dall'ultimo rinnovo contrattuale, cosa che la Corte Costituzionale ha sanzionato, ma che il Governo evidentemente ha tenuto in scarsa considerazione. Tutto questo per realizzare una manovra legislativa che è stata definita epocale, rivoluzionaria, storica.
  Al di là di queste premesse noi abbiamo preparato un lavoro sistematico sulle modifiche, sia al decreto legislativo n. 150 del 2009 sia al decreto legislativo n. 165 del 2001 in quanto strettamente correlate, alla cui lettura rimandiamo per motivi di tempo, ma non possiamo non richiamare l'attenzione su alcuni fatti preliminari: i destinatari di questa riforma sono 3,5 milioni di lavoratori, che sono stati costretti forzosamente in nuovi quattro comparti che non hanno cancellato automaticamente tutte le diversità che sono funzionali, professionali, operative e anche di legislazione interna; le pubbliche amministrazioni chiamate alla rivoluzione, quindi a recepire questo nuovo status, sono tante, molto diverse e completamente disomogenee tra loro.
  Soprattutto non vediamo ancora un passo indietro della cosiddetta «politica» nell'alta amministrazione e, se la politica non fa un passo indietro, ogni criterio reale di autonomia, responsabilità, economicità, trasparenza e legalità viene messo in discussione. D'altra parte, i lavoratori della pubblica amministrazione non vanno sempre a finire sui giornali nell'occhio del ciclone, ma ci sono tante pubbliche amministrazioni che lavorano silenziosamente e bene, e rappresentano la maggioranza del mondo della pubblica amministrazione.
  In quest'ottica, vogliamo segnalare la modifica proposta all'articolo 5 del decreto sull'individuazione degli obiettivi generali e specifici della pubblica amministrazione stessa, che dovrebbe essere a nostro avviso posta in stretta connessione con il Piano generale delle performances e calibrata in Pag. 14relazione ai vari comparti e ai vari settori della pubblica amministrazione ai quali si riferisce, come gli obiettivi pluriennali che dovrebbero essere parte di un processo di contrattazione collettiva non per dare lustro al sindacato, ma per mettere in stretta correlazione la programmazione e l'individuazione degli obiettivi, per procedere alla valutazione dei comportamenti degli enti e dei dipendenti.
  Una parola sul paradosso che si potrebbe venire a creare per quanto riguarda la valutazione dell'utenza: immaginate come un pensionato all'INPS, a seguito di una norma di legge che va a ricalcolare la pensione o una prestazione al ribasso, possa valutare serenamente la celerità e la puntualità con cui la propria prestazione è stata abbassata.
  Ovviamente, deve essere diverso il criterio. Non si può chiedere una votazione su questo aspetto, questo giusto per fare una battuta. Questa è esperienza – vi posso assicurare – di tutti i giorni. Rimando alla lettura, con la quale con molta fatica abbiamo dovuto cercare di rendere omogenei testi importanti per il nostro futuro di lavoratori. Ovviamente, ci sono alcune condizioni fondamentali.
  Anzitutto, ci deve essere un pieno recupero della contrattazione, che sia decentrata, comunque ci sia una ripresa del confronto tra parti. Inoltre, c'è la modifica non solo quantitativa. Gli stanziamenti finora annunciati ci sembrano del tutto insufficienti a garantire, dopo otto anni e mezzo, una ripresa seria di contrattazione.

  GIORGIO REMBADO, vicepresidente della CIDA e presidente FP-CIDA. Vi ringrazio dell'invito e della facoltà che mi viene data di esprimere alcune considerazioni e osservazioni sul testo dello schema di decreto. Mi limiterò a quattro o cinque sottolineature, che giudico rilevanti ai fini di una migliore disciplina del rapporto di lavoro pubblico.
  Parto dall'abrogazione del famoso schema, tanto contestato, di attribuzione dei premi, il famigerato 25-50-25, che anche a nostro avviso non si poteva condividere, perché rappresentava uno sconfinamento evidente rispetto ai canoni di astrattezza che una legge dovrebbe avere, disponendo ex ante le quote di premialità da riconoscere ai pubblici dipendenti.
  Nonostante, però, questo grosso scivolone, che ha fatto forse da freno – probabilmente non è stato l'unico elemento, ma è uno dei più rilevanti, ripetuti e contestati alla contrattazione – si sta a nostro avviso reiterando quest'errore.
  Da parte nostra, si rivolge una critica analoga al nuovo testo dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2009. La nuova previsione, nel momento in cui demanda alla contrattazione collettiva nazionale la fissazione delle quote delle risorse destinate a remunerare, rispettivamente, la performance organizzativa e quella individuale, reitera l'errore del 2009. Il difetto dello schema 25-50-25 stava nella predeterminazione, ovvero nella determinazione ex ante delle quote di premialità in modo rigido e non nella fonte regolativa. Il passaggio dalla legge al contratto modifica lo stato dell'arte, ma non elimina il difetto dal quale si era partiti.
  In secondo luogo, viene confermato il trasferimento delle funzioni di coordinamento, indirizzo e monitoraggio dei processi di valutazione condotti nelle amministrazioni pubbliche, originariamente demandate alla CiVIT, alle competenze del dipartimento della funzione pubblica.
  Il legislatore aveva già disposto sul punto con l'articolo 19, comma 10, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 214. Risulta con evidenza che il coordinamento generale della valutazione organizzativa e individuale viene rimesso a un organo amministrativo direttamente dipendente dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. Anche questo solleva delle perplessità di particolare rilevanza in termini di principio, perché si riferiscono all'indipendenza e all'autonomia di tale funzione fondamentale, la quale andrebbe meglio affidata a un'autorità indipendente, terza, per esempio sul modello dell'ANAC.
  Per quanto riguarda la valutazione delle performance dei dirigenti pubblici, l'articolo 3 del decreto legislativo n. 150, così come novellato all'articolo 1 dello schema Pag. 15di decreto, condiziona ad avvenuti processi di valutazione l'attribuzione di premi, incarichi di responsabilità personale e conferimento di incarichi dirigenziali. La valutazione negativa rileva ai fini dell'accertamento di responsabilità dirigenziali e ai fini dell'irrogazione del licenziamento.
  Su questo si esprime condivisione, soprattutto in relazione al conferimento degli incarichi, da attribuire in base a valutazioni oggettive, ovverosia non arbitrarie, e non per meriti politici o sindacali.
  Per quanto riguarda la valutazione della performance organizzativa di ciascuna amministrazione pubblica, viene stabilito un collegamento tra gli obiettivi definiti da ciascuna amministrazione e quelli di bilancio da indicare nei relativi documenti programmatici. Tale collegamento è ulteriormente specificato al successivo articolo 10. Su questa prescrizione si esprime una convinta adesione, con un'osservazione che non è, dal nostro punto di vista e secondo la nostra visione della realtà, marginale.
  Sempre sulla valutazione della performance organizzativa delle amministrazioni pubbliche, si prevede la partecipazione dei cittadini e degli altri utenti finali. Si esprime su questo convinta condivisione al principio inserito in legislazione, secondo cui deve essere il cittadino il vero titolare e beneficiario dei processi di valutazione delle amministrazioni pubbliche.
  Concludo con un'ultima osservazione.
  Si registra la previsione di un notevole rafforzamento dei poteri degli organismi indipendenti di valutazione, anche per la loro composizione, per la loro durata e così via, che verificano preventivamente i sistemi di rilevazione adottati ogni anno da ciascuna amministrazione. La mia confederazione esprime forti perplessità, in questo caso, sulla prevista tutela dell'indipendenza dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione. Pur in presenza, infatti, di passi avanti in tale direzione, costituiti dall'istituzione di un elenco nazionale dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione ai quali obbligatoriamente devono attingere gli organi di indirizzo politico-amministrativo, permane la previsione del legislatore del 2009, secondo la quale i componenti degli organismi indipendenti di valutazione sono designati e retribuiti dalle stesse amministrazioni che devono essere valutate.
  In questo modo, si verifica nei fatti la circostanza secondo cui il soggetto controllato sceglie e paga il soggetto controllore, ed è evidente che ciò costituisce un vero e proprio corto circuito, che può vanificare la qualità di un intero sistema.
  Ben diverso potrebbe essere il risultato complessivo, in termini anche di maggiore chiarezza giuridica, se si procedesse al coordinamento di tutti gli organismi indipendenti di valutazione affidato a un'autorità nazionale indipendente, il cui vertice collegiale fosse designato con prerogative bipartisan e godesse di un incarico lungo in termini di anni e non rimovibile a piacere della politica.
  È questa la realtà vigente in altri consimili ordinamenti amministrativi occidentali, ai quali non solo culturalmente vorremmo fare riferimento.

  TIZIANA CIGNARELLI, rappresentante della CODIRP. Preciso che sono componente della segreteria generale della CODIRP e che il segretario generale è Mario Sellini.
  Vorrei fare una premessa di metodo, che è stata ripresa e che ribadisco, perché la condividiamo fermamente: la necessità di un esame congiunto degli schemi di decreto di modifica del decreto legislativo n. 165 del 2001 e del decreto legislativo n. 150 del 2009.
  Infatti anche nelle note tecniche di accompagnamento allo schema di decreto viene lamentata la problematica annosa dell'attuazione delle riforme. La difficoltà di trovare operatività nell'applicazione delle norme può trovare la propria ragion d'essere, in realtà, non solo e non sempre, per quanto a volte anche a ragione, in difficoltà della cosiddetta burocrazia, ma probabilmente anche in una normazione frammentata. E un esame frammentato di interventi diversificati non può certo agevolare la verifica dell'intervento sistematico.
  Fatta questa premessa di metodo, che può agevolare senz'altro anche un apporto proficuo da parte delle Commissioni parlamentari, Pag. 16 che possono avere una visione completa degli interventi di sistema dei citati decreti legislativi n. 165 e n. 150 comprendendo una panoramica complessiva, passiamo al merito.
  Nel merito, in questo decreto – è stato detto – si valorizza molto l'intervento dell'organismo indipendente di valutazione. Ebbene, su questo noi ci limitiamo a registrare come si tratti di organismi che sono stati introdotti soltanto nel 2009 a opera del decreto legislativo n. 150. Stiamo parlando del 2009. Sono stati introdotti con molte competenze, via via nel tempo sono stati oggetto di ulteriori interventi normativi, che hanno sottratto delle competenze a questi organismi. Oggi, assistiamo a un ulteriore potenziamento delle competenze degli organismi, potenziamento che dà quasi un potere, un ruolo taumaturgico, in questo schema di decreto agli organismi indipendenti di valutazione.
  Ci chiediamo se un lasso di tempo così breve sia stato sufficiente per comprendere che cosa non ha funzionato e che cosa, invece, adesso è cambiato perché fosse attribuito nuovamente un ruolo centrale agli organismi indipendenti di valutazione, e se non sia il caso, invece, di verificare operativamente quali sono i meccanismi che hanno funzionato anche nell'ambito valutativo, non abbandonando delle dinamiche che hanno funzionato, hanno dato dei buoni effetti.
  A proposito di valutazione, ben venga, sì, senz'altro, anche il potenziamento degli organismi indipendenti, ma proponiamo anche delle visuali differenti. Nel conferimento degli incarichi dirigenziali e delle figure di coordinamento o delle figure di organizzazione, di referenti di organizzazione, perché non comprendere e non affiancare al ruolo degli organismi indipendenti di valutazione e al ruolo dell'utenza esterna anche l'apporto e il giudizio dei colleghi del candidato? Che cosa voglio dire? È molto importante verificare sul campo le attitudini relazionali, le attitudini organizzative del candidato, soprattutto quando si sta scegliendo una figura che andrà a organizzare. Visto che c'è una grande apertura alla partecipazione anche verso l'esterno, perché non sentire anche il parere di chi ha lavorato accanto a quel candidato, di chi ci ha lavorato in raccordo funzionale stretto, di chi abbia delle competenze equipollenti? Si parlava prima di difficoltà quando il valutatore non ha le competenze del valutato: perché non introdurre, per la valutazione delle dinamiche relazionali e delle capacità organizzative, anche un criterio di misurazione di questo tipo? Si deve anche poter rilevare come viene riconosciuta la leadership e come viene percepita l'autorevolezza anche nell'ambiente di lavoro del candidato.
  Altro elemento di merito su cui richiamiamo l'attenzione a proposito della necessità di raccordare i testi, che molto spesso hanno degli ambiti di sovrapposizione, è la figura del licenziamento disciplinare per insufficiente rendimento. Noi richiamiamo l'attenzione sulla delicatezza dell'argomento, perché è un istituto che viene introdotto dall'articolo 1, con modifiche all'articolo 3 del decreto legislativo n. 150, e che in realtà va letto in congiunzione con le modifiche apportate dall'articolo 14 dello schema di decreto, che incidono sull'articolo 55-quater del decreto legislativo n. 165. È molto importante richiamare l'attenzione su quest'istituto. Quello dell'insufficiente rendimento è infatti un istituto che prima degli anni Settanta era vigente nel rapporto privatistico, ma aveva anche dei contraltari in meccanismi di bilanciamento codicistico, che ne consentivano in qualche modo un equilibrio. È stato tralasciato nel privato. Solo ultimamente, si è riaffacciato nella dottrina privatistica. È molto delicata la sua introduzione nel rapporto di lavoro pubblico, perché si rischia di scaricare sul singolo delle inefficienze e delle problematiche ben più generali e di sistema.
  Soprattutto in un decreto di questo genere, che si approccia a una riforma molto ampia del pubblico impiego, ci chiediamo se possa essere la sede giusta, laddove invece non c'è l'occasione per una tipizzazione e un'esemplificazione, importantissima in una figura di licenziamento di questo tipo. Si tratta, infatti, di un licenziamento che va adattato settore per settore Pag. 17 e che, probabilmente, nel pubblico impiego rischia di non avere la possibilità di individuare delle condizioni oggettive, come avviene, sebbene con la contrattazione collettiva, e sappiamo bene con quali garanzie, nell'ambito del diritto privato. Ci chiediamo se, piuttosto, nel rapporto di lavoro pubblico, per inficiare e punire lo scarso, l'insufficiente rendimento, non sia opportuno – il decreto lo fa – ricorrere a tutti questi meccanismi premiali e disincentivanti e arrivare al licenziamento quando sono violati gli obblighi di fondo del rapporto di lavoro pubblico, come quelli di fedeltà, come ad esempio la falsa attestazione. Lì stiamo veramente andando al cuore del rapporto di lavoro pubblico e dei doveri del dipendente pubblico.
  Sempre parlando di sovrapposizione dei due provvedimenti, l'ultimo punto riguarda l'organizzazione, che è al centro anche della misurazione della performance e della valutazione. Abbiamo visto, infatti, che si tratta sempre di obiettivi programmatici, organizzativi. Il decreto legislativo n. 165 stabilisce che nei provvedimenti organizzativi l'amministrazione possa agire unilateralmente e senza il coinvolgimento della parte sindacale.
  Qui dobbiamo intenderci su che cosa si intenda per organizzazione. Non è sufficiente, non deve essere sufficiente, non può esserlo, definire un provvedimento come organizzativo e perciò stesso sottrarlo al confronto con le parti sociali. Intendiamoci, per organizzazione si deve intendere la macrorganizzazione, le scelte di fondo, le scelte di indirizzo politico, che possono sicuramente essere fatte da un'amministrazione unilateralmente. Tutti gli altri provvedimenti organizzativi, però, che a mano a mano scendono verso il basso vanno a inficiare, a incidere pesantemente e notevolmente sul rapporto di lavoro anche del singolo.
  Sottolineiamo, quindi, la necessità anche qui di trovare un chiarimento tra i due decreti, un'interlocuzione sindacale. Facciamo solo notare che in questo provvedimento, laddove si prevede una forte componente premiale della retribuzione, non c'è nessuna clausola di salvaguardia dell'adeguatezza della retribuzione che tenga anche conto delle competenze professionistiche, che pure nella pubblica amministrazione sono molteplici e vanno valutate.

  ALBERTO SPANÒ, Rappresentante della COSMED. Come è stato detto da altri, rileviamo che i due atti di modifica del decreto legislativo n. 165 del 2001 e del decreto legislativo n. 150 del 2009 sono, evidentemente, molto legati.
  Cogliamo l'occasione, in considerazione di ciò che abbiamo già detto e delle modifiche che abbiamo già proposto in sede di audizione sull'atto del Governo n. 393, «Schema di decreto legislativo recante modifiche e integrazioni al testo unico del pubblico impiego, di cui al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» , di evidenziare che purtroppo il giorno 6 aprile il Governo su quell'atto non ha recepito aspetti secondo noi estremamente importanti ed evidenziati in questa sede, in particolare relativamente alle norme dell'articolo 23, commi 1 e 2, di cui avevamo chiesto la soppressione o, in alternativa, una radicale modifica, e del comma 1 dell'articolo 20, relativo ai processi di stabilizzazione e di superamento del precariato.
  Per quanto riguarda l'articolo 23, colgo l'occasione per ricordare che i commi 1 e 2 si riferivano alla gestione delle risorse dei fondi accessori, in qualche modo riconfermando il blocco quasi decennale delle risorse di tutti i trattamenti accessori della contrattazione.
  In quella occasione, avevamo fatto rilevare come sia necessario, invece, andare a una rimessa a disposizione delle risorse, in ogni caso comprese nei contratti precedenti e bloccate da circa otto anni. Rimarchiamo, quindi, ancora la necessità che la XI Commissione valuti con grande attenzione questa posizione, a cui si è aggiunta la posizione del Governo espressa il 6 aprile.
  Per quanto riguarda l'articolo 20, altra cosa a nostro modo di vedere estremamente grave è che al comma 1, ancorché modificato in parte, relativamente al personale del Servizio sanitario nazionale, previsto al comma 10 dello stesso articolo complessivamente in una riproposizione delle modalità applicative della legge 28 Pag. 18dicembre 2015, n. 208, la legge di stabilità per il 2016, che si è rivelata assolutamente inefficace nella gestione nelle regioni – quasi nessuna regione ha avviato quei processi – il Governo ha recepito lo spostamento di una parte del personale. Ricordo che il comma 1 prevede la stabilizzazione del solo personale non dirigenziale, ma non è stato in alcun modo preso in considerazione il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale, che, come è noto, è un addensamento di oltre 130.000 addetti e con una quantità di lavoro instabile pari quasi al 10 per cento dell'intera forza lavoro della dirigenza del Servizio sanitario nazionale. Riteniamo, ancorché oggi l'argomento in discussione sia diverso, di rimarcare la necessità che vengano presi attentamente in considerazione questi aspetti relativamente all'atto n. 393.
  Per quanto attiene alla specifica materia di cui oggi si discute, rilevo in primo luogo un aspetto: i processi valutativi, per quanto attiene la dirigenza, sono certamente da porre in essere nei confronti di dirigenti effettivamente titolari dell'incarico dirigenziale.
  Mi dispiace che sia lo stesso settore, ma faccio inevitabilmente un riferimento al Servizio sanitario nazionale: in casi estremamente numerosi, il personale, soprattutto quello che possiede, oltre alla qualificazione dirigenziale, anche quella professionale, è molto spesso privo dell'incarico dirigenziale formalmente conferito, e non appare proceduralmente accettabile che personale che non abbia la titolarità effettiva dell'incarico – questo accade molto spesso per i medici – sia poi oggetto di processi valutativi nei termini quali-quantitativi espressi nell'atto che stiamo esaminando.
  Noi chiederemmo che sia postulato, in primo luogo, prima dell'innesco dei processi valutativi, che ci sia la formalità dell'incarico effettivamente conferito dal soggetto, successivamente sottoposto a valutazione.
  Questo va al di là del fatto che i processi valutativi che emergono così come disegnati dal provvedimento – lo dico in forma generica, considerando che abbiamo altresì formalmente consegnato alla Presidenza proposte di specifici emendamenti, quindi non mi dilungherò sugli aspetti specifici che sono stati oggetto della proposta che è stata consegnata – ci appaiono difficilmente applicabili al contesto della valutazione del personale, medico in particolare. Questo tipo di processo si potrebbe anche estendere al personale sanitario inteso nell'accezione più ampia, ma sicuramente al personale medico questi processi non appaiono applicabili in forma diretta e nelle modalità molto formali che il provvedimento prevede. Sotto questo profilo, questi processi andrebbero adattati a contesti così specifici.
  Condividiamo, per altro verso, quanto la Conferenza Stato-Regioni nell'intesa di qualche giorno fa ha scritto in materia di decreto legislativo n. 150 con specifiche proposte, in particolare quella relativa all'articolo 6, in cui prevede che questi meccanismi valutativi tout court siano applicabili alle amministrazioni statali e che, invece, ci sia un ruolo specifico delle regioni e degli enti locali, fermi restando i princìpi del provvedimento nell'applicarlo ai contesti degli enti locali, ivi compresi quelli sanitari.
  Per quanto attiene agli aspetti specifici, faccio un rapido accenno alle proposte che abbiamo formalizzato, in particolare relativamente ad alcuni articoli.
  Cito l'articolo 9 e l'articolo 14, comma 4, dove abbiamo formalizzato alcune proposte di modifica, in cui facciamo riferimento al concetto di significativa differenziazione, che obbligatoriamente parrebbe dover essere posta nel meccanismo valutativo, in qualche misura una modalità che, seppure formalmente non somiglia al 25-50 del testo Brunetta, forse lo richiama e, se non opportunamente chiarito, rischia di essere anche peggio.
  Allo stesso modo, abbiamo fatto una proposta di modifica sulle modalità di composizione dei nuclei all'articolo 14, comma 8, e all'articolo 19-bis, comma 1, dove si parla del giudizio dei cittadini, di inserire la possibilità dell'immediato contraddittorio del dirigente preposto nel sistema di valutazione.

  STEFANO BIASIOLI, rappresentante della CONFEDIR. Ringrazio dell'invito. Noi abbiamo Pag. 19 già consegnato un documento analitico di critica e di proposta, quindi mi limiterò ad elencare alcuni aspetti.
  Abbiamo sicuramente apprezzato il superamento delle fasce di valutazione introdotte dal decreto legislativo Brunetta, ma lo schema di decreto legislativo presenta alcune criticità.
  L'hanno già ricordato i colleghi: il punto fondamentale, secondo noi, nasce dal fatto che non è stata fatta una bozza di testo unico tra il decreto legislativo n. 165 e il decreto legislativo n. 150. Tutto questo, evidentemente, fa correre il rischio di effettuare modifiche che potrebbero completamente disattivare sia l'uno sia l'altro e creare ulteriori problemi.
  Noi proponiamo l'abrogazione di alcuni princìpi generali contenuti nell'articolo 1 dello schema di decreto, e in particolare quelli esplicitati dal comma 5 dell'articolo 3, in quanto dispongono genericamente il rispetto delle disposizioni del Titolo II del decreto legislativo n. 150, che prevede svariati adempimenti in carico agli organi di indirizzo politico-amministrativo quale condizione per l'erogazione di premi e componenti del trattamento retributivo legate alla performance di tutto il personale. La conseguenza paradossale è che, in caso di inadempienza di questi organi, il personale verrebbe privato di parte del salario accessorio, che ricordiamo ha anche una valenza per quanto riguarda poi il problema pensionistico. Occorre precisare che negli enti locali appare quantomeno difficoltoso, nel caso di gestione associata di funzioni da parte di più enti, stabilire unitariamente gli obiettivi specifici dell'espletamento di queste funzioni. La peculiare caratteristica degli enti stessi (Stato, province e regioni) mal si concilia, poi, con quanto stabilito dall'articolo 6, in cui la valutazione della performance organizzativa dovrebbe essere predisposta sulla base di modelli centrali definiti dal dipartimento della funzione pubblica. Invero, nel passato le linee guida per la performance predisposte soltanto per i dirigenti delle amministrazioni statali a cura della Presidenza del Consiglio sono state di aiuto anche in ambito regionale, come le linee guida per gli organismi di valutazione regionali, provinciali e comunali.
  D'altra parte, gli obiettivi specifici definiti da contratto individuale avrebbero già essi stessi una valenza per individuare una performance definitiva specifica. Il loro collegamento al piano generale delle performance appare, quindi, di difficile utilizzazione (articolo 7). Creare poi una sovrastruttura, come quella prevista dall'articolo 10, con il compito di indirizzare, coordinare e sopraintendere, struttura cui sarebbe delegata l'Autorità nazionale anticorruzione, è evidentemente un'ulteriore forma di burocratizzazione per una funzione che dovrebbe, invece, essere ispirata a criteri di snellimento e di decentramento.
  Chiediamo, inoltre, l'abrogazione dell'articolo 13 nella parte in cui si vuole delegare, con criterio quasi autoreferenziale, il processo di misurazione delle performance e solo nel settore pubblico. Quanto precede sarebbe in netto contrasto con l'indipendenza e la libertà dirigenziale.
  Perplessità emergono anche in ordine alla clausola finanziaria relativa all'invarianza della spesa, laddove una semplice e sintetica analisi dei costi smentisce quest'assunto. Le riforme, a nostro parere, non si possono fare a invarianza di spesa perché destinate al fallimento, specialmente in tempi di ripetuto e pluriennale blocco contrattuale.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  IRENE TINAGLI. Cercherò di essere molto breve e mirata, visti i tempi, mirando le domande alle persone che sono intervenute.
  Il dottor Martini chiedeva di introdurre i diritti di partecipazione al sistema di valutazione della performance, se non ho capito male: può essere un po’ più specifico? Questo mi ha un po’ sorpreso. Il sistema della valutazione deve essere di un organo terzo e nel provvedimento si specifica, anzi, che i membri dell'organo di valutazione non devono essere dipendenti. Cerco di capire in che modo possa essere Pag. 20coinvolta la rappresentanza dei dipendenti: che cosa avevate in mente?
  La seconda domanda è per il dottor Russo, che ha toccato un tema che a me interessa in modo particolare, ma che ha citato solo lui: il fatto che la valutazione è uno strumento anche di valorizzazione, non solo di controllo o di punizione. Proprio in virtù del fatto che, però, vengono abrogati alcuni aspetti di legge sul collegamento tra valutazione e progressioni economiche e di carriera – ha già fatto un cenno ad alcuni aspetti, welfare aziendale, fiscalità agevolata ma non ho capito bene, – chiederei qualche esempio un po’ più concreto.
  Il dottor Rembado dice una cosa che non ho capito, e chiederei una delucidazione. Relativamente al demandare della questione della differenziazione delle fasce mi sembrava di aver colto una perplessità, ma non ho capito: la perplessità è proprio nel principio di differenziazione?
  Se non era questo che lei, dottor Rembado, metteva in discussione chiederei un chiarimento.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  FRANCESCO MARTINI, segretario confederale della CGIL. Premesso che consegneremo del materiale, e in parte lo abbiamo già fatto, lo schema è semplice.
  La valutazione, ovviamente, deve avvenire attraverso una terzietà. Come diceva anche il collega Russo, non tutto il mondo è uguale, e quindi è ovvio che ci sia un'articolazione, ma la valutazione arriva dopo alcune fasi precedenti, e cioè la definizione degli obiettivi e la messa a punto di un piano della performance, che ovviamente incrocia il processo organizzativo. Era questo il senso.

  CARMINE RUSSO, rappresentante del dipartimento pubblico impiego della CISL. L'impostazione che cercavo di dare era questa. Proprio perché della valutazione nel momento organico dell'organizzazione non si può fare a meno, c'è anche bisogno però che si definiscano delle condizioni: messo a punto tutto il processo valutativo e raggiunto, auspicabilmente, un risultato di tipo positivo dell'organizzazione, visto che gli effetti sulla retribuzione in parte ci sono – ho anche cercato di accennare che un'ingerenza eccessiva della legge rischia di togliere strumenti gestionali, ma tralasciamo un attimo quest'aspetto – perché non ipotizzare anche effetti positivi che massimizzino le poche risorse disponibili?
  Si potrebbe, per esempio, consentire che, nel momento in cui a determinate condizioni c'è una modifica organizzativa di senso positivo, come avviene nel settore privato, anche nel settore pubblico quelle quote di retribuzione possano essere sottoposte a una fiscalità agevolata o possono essere sottoposte a una possibilità di trasformazione in welfare aziendale.
  Nel settore pubblico ora non è consentito. Nel settore privato viene previsto che gli obiettivi di produttività raggiunti consentano una fiscalità agevolata. Rischiamo, nel settore pubblico, che la valutazione abbia effetti sulla retribuzione solo in senso negativo: perché non ipotizzare anche possibilità che lo abbiano in senso positivo?

  GIORGIO REMBADO, Vicepresidente della CIDA e presidente FP-CIDA. Se si è capito così, mi sono espresso decisamente molto male.
  La mia presa di posizione non era per contrastare il principio di differenziazione, ma il principio della predeterminazione. Forse è stato questo termine che ha messo un po’ fuori strada.
  Il problema di fondo, nell'attribuzione dei premi, secondo il decreto Brunetta, era quello della rigidità e della predeterminazione, che non può essere demandata a una norma legislativa. Io aggiungo che, però, non può essere demandata a nessuna norma regolamentare, né legislativa, né di carattere contrattuale. Il difetto sta nella predeterminazione in termini astratti e non nella fonte della normazione. L'attuale schema di decreto passa la competenza dalla legge al contratto, ma lascia intatto il vizio di fondo, il difetto che non è stato modificato o corretto in nulla.

  PRESIDENTE. Ringraziamo tutti gli auditi. Pag. 21
  Prima ho omesso di dire una cosa. C'è stata una serie di richiami allo schema di decreto legislativo sul pubblico impiego. Li richiamo solo per rassicurare che il lavoro è in corso e coordinato. La relatrice, l'onorevole Paris, è qui. Non si stanno svolgendo i due lavori in maniera asettica e separata. Sono due procedimenti diversi, ma ovviamente chi li segue e chi partecipa è sostanzialmente coincidente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di esperti.

  PRESIDENTE. Le Commissioni riunite I e XI sono convocate per lo svolgimento di audizioni nel quadro dell'indagine conoscitiva sullo schema di decreto legislativo che reca modifiche al decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, in attuazione dell'articolo 17, comma 1, lettera r), della legge 7 agosto 2015, n. 124 (atto n. 391), in materia di valutazione dei dipendenti pubblici.
  L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti di istituzioni, di associazioni e di esperti.
  Avverto che per lo svolgimento dell'audizione la Commissione ha a disposizione circa due ore. La relazione di ciascuno dei nostri auditi potrà, quindi, avere una durata orientativa di cinque o sei minuti, per lasciare poi lo spazio a eventuali domande e repliche.
  Ringrazio gli ospiti per la presenza e do subito la parola al presidente dell'ARAN Sergio Gasparrini.

  SERGIO GASPARRINI, presidente dell'ARAN. Innanzitutto, desidero ringraziare lei, presidente, e i componenti delle Commissioni per l'invito.
  Come è noto, il provvedimento in esame opera un'attenta e precisa revisione del quadro regolativo in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico dettato dal vigente decreto legislativo n. 150 del 2009. Si tratta di un intervento che ha come scopo di rendere più efficace l'esercizio di misurazione e di valutazione delle performance nelle amministrazioni pubbliche. Nel mio breve tempo a disposizione, vorrei focalizzarmi su due o tre aspetti.
  Il primo ha a che vedere con il rafforzamento della funzione di valutazione indipendente all'interno delle pubbliche amministrazioni, affidata agli organismi appunto denominati indipendenti di valutazione. Questo si colloca in continuità con le misure che già sono state adottate dal Governo con un recente regolamento, emanato ai sensi dell'articolo 19, comma 10, del decreto-legge n. 90 del 2014.
  L'obiettivo di maggiore indipendenza si persegue attraverso il sistema che prevede che i soggetti chiamati a verificare l'operato delle amministrazioni siano scelti con una procedura selettiva pubblica, ma esclusivamente tra coloro che sono iscritti in un apposito elenco nazionale, tenuto dal dipartimento della funzione pubblica.
  Sulla linea del rafforzamento della funzione di valutazione si pongono altre norme, che ampliano e focalizzano le attività valutative e gli altri compiti affidati all'organismo indipendente di valutazione. È, infatti, previsto che l'organismo indipendente di valutazione renda un parere vincolante sui sistemi di valutazione adottati dalle amministrazioni e che formuli anche proposte o raccomandazioni ai vertici delle amministrazioni per potenziare il sistema di valutazione stesso.
  Inoltre, svolge un'attività di monitoraggio sui risultati che sta conseguendo l'amministrazione, quindi in corso, e verifica che i sistemi di valutazione utilizzati dalle amministrazioni abbiano anche come capacità quella di differenziare i giudizi valutativi del personale.
  Da ultimo, l'importante novità valutativa è che presiedono anche ai canali di ascolto e comunicazione con utenti esterni e cittadini nonché – lo sottolineo – con agenzie di valutazione esterna, i cui giudizi sono rilevanti per apprezzare la qualità dei servizi erogati dalle amministrazioni.
  Un altro aspetto di interesse su cui ritengo sia utile soffermarsi, anche se velocemente, si collega alle problematiche emerse in fase di applicazione dell'attuale disciplina con riguardo al raccordo tra il cosiddetto ciclo della performance e la pianificazione finanziaria e di bilancio. Pag. 22
  È del tutto evidente la necessità di mettere in stretta relazione i due momenti pianificatori, peraltro regolati da normative differenti e non sempre adeguatamente coordinate tra loro. In questa prospettiva, lo schema di decreto stabilisce un obbligo di coerenza tra il piano della performance e i documenti di bilancio.
  Un altro importante aspetto dello schema riguarda l'allineamento tra gli obiettivi delle amministrazioni e gli obiettivi di policy.
  Spesso, le amministrazioni definiscono obiettivi propri quelli solo in parte allineati con obiettivi di più ampia portata, che quindi non sono riferiti alla singola amministrazione, ma a politiche pubbliche in generale, sulle quali insiste quindi l'azione di un numero maggiore di amministrazioni.
  Per cercare questo raccordo, lo schema di decreto stabilisce che siano definiti obiettivi generali mediante linee guida triennali adottate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri e coerenti con le priorità delle politiche pubbliche nazionali nel quadro del programma di Governo con i livelli di qualità dei servizi da garantire.
  Anche il terzo punto di novità si colloca nella prospettiva di limitare, o superare comunque, l'autoreferenzialità dei sistemi di valutazione, che, come ho già detto, ha rappresentato una delle criticità maggiori rilevate nell'esperienza applicativa. Attiene, quindi, alla previsione di forme stabili e strutturate di ascolto e di comunicazione nei confronti dei destinatari diretti delle politiche e dei servizi pubblici.
  In questa prospettiva si colloca l'obbligo specifico posto in capo agli organismi indipendenti di valutazione di stabilire modalità concrete per rendere possibile ed effettiva la partecipazione di utenti e cittadini, anche al fine di evitare che si realizzi in forme poco efficaci e incisive.
  Sempre in quest'ottica, è apprezzabile la previsione di promuovere – l'avevo già accennato – attività valutative svolte da agenzie di valutazione esterna, alcune delle quali già attive in settori quali l'università, la ricerca, la scuola e, in parte, anche nel mondo della sanità. Questa previsione, peraltro, è coerente con quanto è già stato disciplinato attraverso il regolamento emanato in attuazione del decreto-legge n. 90 del 2014.
  Tra l'altro, segnalo che attualmente abbiamo un contesto in cui le amministrazioni hanno l'obbligo di rendere disponibili e accessibili un'enorme quantità di dati e informazioni, e quindi questo sicuramente favorirà questo genere di attività.
  L'ultimo punto, che investe in modo più diretto l'attività dell'agenzia che ho l'onore di presiedere, riguarda la materia dei premi monetari corrisposti al personale in correlazione agli esiti della valutazione. Si tratta, in quest'ambito, di un tema tipicamente regolato dai contratti collettivi di lavoro e sul quale prima del 2009 la legislazione si era limitata a fissare princìpi e coordinate di carattere generale.
  La legislazione attualmente vigente, emanata nel 2009, ha invece spostato l'asse della regolazione decisamente a favore della fonte legale, la quale è intervenuta con una norma specifica, che ha imposto predefiniti livelli di differenziazione valutativa attraverso il cosiddetto sistema delle quote con l'obiettivo di spingere le amministrazioni a un'effettiva e marcata differenziazione dei premi monetari.
  Va ricordato che l'applicazione della norma sui premi avrebbe comunque interessato solo una parte del personale della pubblica amministrazione e, successivamente, è stata rinviata in attesa della ripresa della contrattazione collettiva nazionale. Lo schema di decreto restituisce, invece, alla fonte contrattuale il compito di definire nello specifico i criteri di distribuzione dei premi monetari, senza tuttavia abdicare al corretto principio meritocratico, ma richiedendo che siano le parti negoziali a individuare criteri idonei a garantire che alla significativa differenziazione dei giudizi valutativi corrisponda un'effettiva diversificazione dei trattamenti economici correlati.
  L'attuazione di questo criterio guida spetterà, dunque, alle parti negoziali nell'ambito del prossimo e auspicato avvio del negoziato in sede ARAN sui rinnovi contrattuali del pubblico impiego.

Pag. 23

  STEFANO BATTINI, presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione. Ringrazio il presidente e i componenti della Commissioni per avermi invitato.
  Parto da una premessa. Le aziende private si dotano di efficaci meccanismi di valutazione della performance non perché vi sia un obbligo legislativo, ma perché esiste una pressione esterna all'organizzazione, che proviene da una valutazione appunto esterna compiuta dal mercato.
  Se vogliamo evitare che nelle pubbliche amministrazioni la valutazione venga vissuta come un mero adempimento burocratico di una prescrizione normativa, bisogna ricreare artificialmente una pressione esterna che possa essere sostitutiva di quella del mercato.
  In questa prospettiva, a me pare che lo schema di decreto legislativo di cui discutiamo, senza stravolgere l'impianto normativo vigente, compia alcuni passi nella direzione giusta. Vorrei segnalare soltanto tre di questi passi, se mi è permesso. Il primo, peraltro, è stato già ben evidenziato dall'intervento del presidente Gasparrini, che mi ha preceduto, e riguarda la disciplina degli organismi indipendenti di valutazione.
  Questi, per verità, sono e devono restare degli organi di controllo interno alla singola amministrazione, e tuttavia la riforma a mio giudizio opportunamente introduce per questi elementi di maggiore indipendenza rispetto agli organi di indirizzo e di gestione dell'amministrazione a cui si riferisce l'attività di valutazione. In una piccola misura, quindi, potremmo dire che li esternalizza.
  Gli strumenti per raggiungere quest'obiettivo sono stati in parte già ricordati e riguardano soprattutto i limiti posti all'organo che sceglie i soggetti, i componenti degli organismi indipendenti di valutazione. La scelta deve essere preceduta da una procedura selettiva pubblica in sede sia di prima nomina sia di rinnovo. Alla procedura possono partecipare soltanto soggetti iscritti in un apposito elenco, tenuto e aggiornato dal dipartimento della funzione pubblica, ma a quest'elenco sono ammessi soltanto soggetti in possesso di specifici requisiti di competenza e di esperienza, definiti poi con un decreto ministeriale del 2016 sulla base della normativa che veniva ricordata, il regolamento emanato con il decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 2016, n. 105.
  Viene, quindi, articolata una sorta di carriera dei componenti degli organismi indipendenti di valutazione, che quindi non sono più soggetti nominati liberamente, in qualche misura fiduciariamente, dall'organo politico o dalla stessa amministrazione interessata, ma sono inseriti in un sistema nazionale sottoposto all'indirizzo e al coordinamento del dipartimento della funzione pubblica. Soprattutto, è una figura che viene a connotarsi per una propria specifica e infungibile esperienza professionale.
  Da questo punto di vista, ritengo essenziale, per quello che riguarda più specificamente i compiti dell'istituzione che rappresento, la Scuola nazionale dell'amministrazione, l'attuazione di previsioni normative, peraltro già contenute nel citato decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, che prevedano un'attività di aggiornamento e di formazione continua per i componenti degli organismi indipendenti di valutazione in collaborazione tra il dipartimento della funzione pubblica e, appunto, la Scuola nazionale dell'amministrazione.
  Un secondo elemento che vorrei sottolineare, sempre in questa prospettiva di una pressione esterna che induca le amministrazioni a rendere più efficaci i propri meccanismi di valutazione, è rappresentato da disposizioni innovative sulla partecipazione dei cittadini e degli utenti finali al processo di misurazione della performance.
  Credo che l'idea di attribuire al sistema degli organismi indipendenti di valutazione anche la funzione di raccogliere l'opinione degli utenti, coinvolgendoli nell'attività di valutazione della performance, potrebbe dare frutti buoni, forse anche migliori di quelli che si sperava sarebbero stati introdotti dalla class action prevista dalla riforma Brunetta.
  L'ultimo elemento su cui vorrei richiamare l'attenzione riguarda invece la valutazione Pag. 24 esterna in senso proprio. Forse si potrebbero sviluppare ulteriormente degli elementi già apprezzabili contenuti nello schema di decreto.
  Lo schema di decreto, per la verità, su questo punto, per quanto io abbia potuto verificare, contiene solo una disposizione, che stabilisce che gli organismi indipendenti di valutazione procedono alla validazione della relazione sulla performance tenendo conto anche dei risultati prodotti dalle indagini svolte dalle agenzie esterne di valutazione. Quello delle agenzie esterne di valutazione è un elemento che peraltro è sviluppato meglio nel decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, all'articolo 7, che prevede la costituzione di una rete nazionale per la valutazione delle amministrazioni pubbliche, che è promossa dal dipartimento della funzione pubblica e che ha la finalità «di valorizzare le esperienze di valutazione esterna delle pubbliche amministrazioni [...] condotte in specifici ambiti e settori, favorire la condivisione di tali esperienze e definire metodologie di valutazione comuni».
  Queste, secondo me, sono previsioni molto importanti, che forse potrebbero essere promosse al rango di norma legislativa e comunque ulteriormente sviluppate, perché solo agenzie esterne di valutazione, se possibile competenti per settore, potrebbero, oltre che affinare metodologie comuni di valutazione, anche utilizzare queste metodologie allo scopo di svolgere analisi comparative delle performance di amministrazioni diverse, in particolare di amministrazioni magari dello stesso tipo che svolgono medesime funzioni in ambiti territoriali diversi.
  Proprio da questo tipo di analisi comparativa svolta da soggetti esterni con competenze settoriali, a mio giudizio, potrebbe nascere quella pressione esterna a cui alludevo, anche di tipo competitivo, che sarebbe in grado di indurre le amministrazioni a prendere veramente sul serio la sfida del miglioramento delle proprie competenze e della valutazione delle proprie performance, non vivendolo soltanto come un adempimento di un obbligo legislativo.

  ALESSANDRO HINNA, professore associato di organizzazione aziendale presso l'Università di Tor Vergata. Ringrazio per questa occasione di riflettere sullo schema di decreto.
  Dico da subito che lo schema di decreto, tanto più se visto a sistema con il decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016 che veniva poc'anzi richiamato, a mio modo di vedere, riesce oggettivamente a sanare alcune delle criticità più importanti che nella prassi erano state rilevate in applicazione del decreto legislativo n. 150 del 2009.
  Il secondo dato a mio avviso abbastanza importante da rilevare è il come lo fa, cioè l'idea di non andare a sanare attraverso una norma o uno schema di decreto particolarmente prescrittivo e eccessivamente puntuale, che va a standardizzare ciò che spesso non è standardizzabile, dati il dinamismo della realtà e la differenziazione delle amministrazioni a cui il decreto si rivolge.
  Trovo che questo modo di lavorare sul doppio livello, con lo schema di decreto che punta a dei princìpi fondamentali, ma poi delega alle linee guida gli indirizzi, per esempio alla funzione effettiva del dipartimento della funzione pubblica, sia un punto chiave. Infatti, a me sembra abbastanza evidente che il problema del decreto n. 150 fosse un'incapacità di osservare, guidare e vedere i comportamenti reali delle amministrazioni. Questo è il primo dato.
  I punti che porterei alla vostra riflessione sono pochi, solo in parte di natura emendativa, seguiti da qualche osservazione di chiusura.
  Il primo dato da valorizzare ulteriormente è in riferimento alla modifica dell'articolo 5 e all'inserimento degli obiettivi generali in sede di programmazione in coerenza con le politiche nazionali. Questo era uno dei grandi temi.
  Sostanzialmente il decreto n. 150 vedeva ciascuna amministrazione, in una logica fortemente economico-aziendale, come una singola amministrazione. C'era qualche oggettivo problema in fase discensionale sul come integrare priorità strategiche nazionali e policy nazionali all'interno del Pag. 25sistema di programmazione della singola amministrazione.
  A mio modo di vedere, questo è piuttosto importante e sposa molto bene il principio della delega. Secondo me, su questo c'è un punto chiave. Veniva prima richiamata la delega, che parla di «potenziamento dei processi di valutazione dei livelli di efficienza e qualità dei servizi delle amministrazioni e degli impatti da queste prodotte».
  Secondo me, la delega puntava sul fatto di non consolidare una prassi che vede il ciclo di programmazione dell'amministrazione strettamente correlato alla performance solamente organizzativa, ma che prima di tutto giustamente cerca di valutare la capacità di raggiungere gli scopi per cui istituzionalmente è preposta. Questo passaggio è sicuramente importante.
  Credo che potrebbe essere ulteriormente valorizzato. In che maniera? Faccio due o tre osservazioni rispetto alle caratteristiche del sistema, alle caratteristiche del ciclo e agli ambiti di performance. Faccio riferimento all’ex articolo 8, che rimane invariato. Io credo che quando si fa riferimento agli ambiti di misurazione e valutazione della performance organizzativa forse, proprio per dare un invito vero alle amministrazioni a tener conto di questa modifica, andrebbe inserito un richiamo. Quando si dice «il sistema di misurazione e valutazione della performance organizzativa concerne», forse richiamerei il contributo dato alle politiche pubbliche di rilievo nazionale e forse richiamerei anche il conseguimento di obiettivi di soddisfacimento dei bisogni e delle esigenze.
  Infatti, l’ex articolo 8, quando parla di performance organizzativa, è vero che richiama l'attuazione delle politiche attivate alla soddisfazione, però di fatto nella prassi delle amministrazioni, se si guardano i piani performance e gli indicatori che usano, si vede che sono indicatori a tutti gli effetti di organizzazione o di processo, che non tentano di osservare anche in logica pluriennale gli impatti e, quindi, quali sono effettivamente i risultati raggiunti.
  Simmetricamente, all'articolo 4, quando si parla di ciclo di gestione, vale a dire l'attuale articolo 2, comma 1, lettera a), si dice: «il ciclo di gestione performance si articola nelle fasi [...] definizione e assegnazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, dei valori attesi di risultato». Forse si dovrebbe aggiungere «di impatto». Io inizierei a tenere la parola impatto, che rimane all'interno del concetto di performance organizzativa, però rispetto alla delega coglie appieno quell'idea di rinforzare anche gli impatti prodotti dalle amministrazioni.
  La stessa cosa vale anche per l'articolo 7, quando si parla delle caratteristiche del sistema. Si dice: «Le amministrazioni pubbliche valutano annualmente la performance organizzativa e individuale». Lì, forse, ancora una volta, aggiungerei «su base pluriennale», ovviamente non solo annuale, «gli eventuali impatti prodotti».
  Lo dicevo per coerenza, da una parte rispetto a un'innovazione importante, che è quella degli obiettivi generali, e dall'altra rispetto alla delega.
  Il secondo punto è con riferimento al sistema di valutazione del personale e in generale al tema della performance individuale.
  In primo luogo, credo sia molto importante e di valore l'introduzione all'articolo 1, laddove chiaramente si dice che «il rispetto delle disposizioni del presente titolo è condizione necessaria per l'erogazione dei premi». Si aggiunge: «e componenti del trattamento retributivo legati alla performance e rileva ai fini del riconoscimento delle progressioni economiche, dell'attribuzione di incarichi di responsabilità al personale, nonché del conferimento degli incarichi dirigenziali».
  Questo è un punto qualitativamente interessante, perché spiega definitivamente come il sistema di valutazione della performance individuale non alimenta esclusivamente il sistema di retribuzione, ma alimenta anche le politiche di sviluppo del personale.
  Questo è un tema importante, perché altrimenti schiacceremmo l'esercizio valutativo, in una logica biunivoca, con l'elemento retributivo, che ovviamente ha una sua consistenza e una sua sostanza, ma al Pag. 26fine della valutazione deve essere anche altro, anche per regalargli delle opzioni importanti di crescita e di sviluppo dell'organizzazione.
  Se così è, credo che potrebbe essere utile una modifica all'articolo 5, quando si parla degli obiettivi. C'è il comma 2 dell’ex articolo 5 che è rimasto invariato. L'osservazione empirica è la seguente: per il problema di non aver legato la performance organizzativa alle politiche, spesso e volentieri troviamo indicatori di performance strettamente organizzativa che però di fatto coincidono con gli indicatori di performance individuale.
  Nella prassi, quello che noi stiamo osservando è che, nonostante la norma la preveda, la differenza tra gli obiettivi di natura organizzativa riferiti alla struttura che il dirigente governa e gli obiettivi individuali del dirigente sfuma. Mi riferisco alla prassi, mentre la norma lo indicava chiaramente.
  Nella prassi, quindi, ritroviamo di fatto una somma di schede di obiettivi individuali che non sono valutazioni della performance organizzativa delle singole strutture, dell'ente e tantomeno ovviamente di quelli che possono essere i contributi alle politiche.
  Capisco che sembra superfluo, ma se l'osservazione empirica è questa si potrebbe precisare che gli obiettivi sono pertinenti rispetto ai bisogni e a tutto quello che già c'è, ma anche pertinenti in riferimento all'amministrazione nel suo complesso e alle sue articolazioni organizzative, in modo tale da dare un'indicazione, che poi attraverso le linee guida sarà più facile esplodere, che il momento della programmazione degli obiettivi attende anche a obiettivi organizzativi che si riferiscono alle strutture organizzative, non solo agli individui.
  Chiudo con un po’ di glossario. Osservando la prassi, quando si parla di valutazione della performance individuale all'articolo 9 si lascia quella che c'era già prima. Tuttavia, alla lettera c) dell'articolo 1 e dell'articolo 2, che si riferiscono rispettivamente alla performance individuale dei dirigenti e del personale responsabile dell'unità organizzativa e poi degli altri, il legislatore del decreto n. 150 dice che alla qualità del contributo alla performance individuale si lega «la qualità del contributo assicurato alla performance generale della struttura, alle competenze professionali e manageriali dimostrate». Quando parla degli altri non dirigenti si riferisce invece alla «qualità del contributo assicurata alla performance dell'unità organizzativa di appartenenza, alle competenze dimostrate e ai comportamenti professionali e organizzativi».
  Secondo me, nello schema del legislatore del decreto n. 150 da un punto di vista del glossario c'è qualche difficoltà. Diventa un business della formazione spiegare queste cose. Voglio dire che molto banalmente di fatto qui ci sono una valutazione di risultato e una valutazione di comportamenti organizzativi. Adesso non entrerei nella tecnica emendativa, però credo che ci sia l'occasione per chiarire una volta per tutte che cosa si intende e perché si usano parole diverse tra la lettera c) e la lettera b).
  Un'ultima osservazione è di natura generale. È fondamentale quello che dicevano poc'anzi i colleghi rispetto all'indipendenza agli organismi indipendenti di valutazione e alle funzioni che questi vanno a svolgere. Il loro ruolo è a questo punto finalmente chiarito e l'indipendenza formale è gestita attraverso il combinato con il decreto del Presidente della Repubblica. Certamente c'è un tema di formazione di competenze dei soggetti, come richiamava il presidente della Scuola nazionale.
  Alla fine, dalla lettura complessiva del decreto, noi notiamo che questi organismi indipendenti di valutazione di fatto svolgono tre mestieri tra loro un po’ diversi dal punto di vista delle competenze professionali. Infatti, da una parte esercitano un'attività di monitoraggio rispetto ai temi delle politiche e dei programmi, dall'altra si rendono garanti rispetto alla performance organizzativa e inoltre si rendono garanti, giustamente, e danno indicazioni rispetto alla performance individuale. Questi tre livelli di performance e questi tre oggetti sono cose tecnicamente molto diverse tra Pag. 27loro, il che non significa che non vada fatto e che non sia stata opportuna la scelta, anzi è molto opportuna a mio modo di vedere.
  Certamente ci sarà un grande tema, che è l'altro pezzo dell'indipendenza, non quella formale ma quella sostanziale, che attiene alle competenze professionali dei soggetti che andranno inseriti all'interno. A questo proposito, io credo sinceramente che con l'apertura del decreto del Presidente della Repubblica il tema della Scuola nazionale possa essere in questo senso particolarmente valorizzato.

  RENATO RUFFINI, professore associato di Economia aziendale presso la facoltà di Economia dell'Università C. Cattaneo LIUC. Anche in relazione agli interventi che sono già stati sviluppati, credo che il punto da sottolineare inizialmente sia il seguente. Il presente atto di modifica legislativa e di esercizio della delega di cui stiamo discutendo, in realtà, si pone come ultimo tassello di un percorso già attivato negli ultimi due anni, non solo con la legge delegata, ma anche con il già ricordato decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, riguardante l'attività del dipartimento della funzione pubblica.
  Credo sia da ricordare anche il recente accordo siglato nel novembre 2016 con i sindacati. Anche in quella sede ci sono richiami alla valutazione. In questo senso il provvedimento si inserisce all'interno di una cornice predefinita. Gli spazi di modifica inevitabilmente, per una scelta politica e per modalità tecniche da adottare necessariamente, sono stati parziali. In altre parole, per le modifiche su determinati temi si è creato un equilibrio specifico abbastanza delicato e sostanzialmente, date le condizioni di riferimento, necessario.
  Tutti gli interventi che sono stati adottati, quindi, sono interventi equilibrati, necessitati dalla storia recente in questo settore.
  La legge delegata non sembra presentare problematiche particolari dal punto di vista tecnico né nell'esercizio della delega né in termini di questioni applicative.
  Ribadisco che andare avanti in continuità, tutto sommato, era necessario, anche in relazione al fatto che le prassi operative dei processi di sperimentazione dell'attività di valutazione e misurazione della performance datano solo a cinque o sei anni fa al massimo. Quindi questa continuità è, già di per sé, una semplificazione richiesta dalla delega.
  In questo senso, tutta una serie di interventi, anche quelli ricordati dai colleghi precedentemente, ha trovato equilibri necessari e importanti, oltre i quali, in questo contesto, non si poteva andare.
  Faccio alcuni esempi per chiarire, sottolineandoli anche in termini positivi. Un primo aspetto che non è ancora stato richiamato è il rapporto tra questa norma, che si applica a livello centrale, e le autonomie locali (regioni, autonomie locali e sanità).
  In questo quadro, l'articolo 12, che modifica il 16, sostanzialmente richiama la stessa tecnica che era stata utilizzata precedentemente: è una norma di principio per quanto riguarda alcune funzioni tecniche, ma non è di diretta applicazione.
  Precedentemente questo implicava l'eventuale applicazione delle norme generali sul sistema delle autonomie locali, attraverso una convenzione con l'allora CIVIT (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche).
  Oggi, anche in relazione agli orientamenti della Corte costituzionale, è necessario un accordo in sede di Conferenza Stato-regioni. Questo accordo diventa fondamentale e l'auspicio è che venga utilizzato in modo corretto, affinché non ci sia, come è stato fino a oggi, un doppio binario, a causa del quale le autonomie locali non sempre avevano chiarissimi i riferimenti tecnici e giuridici attraverso i quali operare rispetto a questo tema.
  Allo stesso modo, questa differenziazione non è in grado di dare vita a un sistema unitario, ancorché differenziato, come previsto nel decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, che è comunque necessario e importante da sviluppare, costituendo una missione della funzione pubblica.
  Un secondo aspetto su cui si è fatto molto rispetto allo spazio a disposizione è Pag. 28quello che riguarda le due innovazioni che sono state già accennate: quella degli obiettivi generali e quella del coinvolgimento dei cittadini nelle attività di valutazione.
  Sono attività molto complesse da porre in essere, quindi non ci si può fare grosse illusioni sull'applicabilità della norma nel breve periodo, ma sono attività comunque rilevanti.
  Senza entrare nel merito degli aspetti tecnici, già citati dal collega, secondo me, l'aspetto importante degli obiettivi generali è che possono essere uno strumento del Governo per l'esercizio di un effettivo coordinamento delle politiche nei diversi ambiti di intervento ministeriale.
  Per esempio, pur nel rispetto dell'autonomia, alcune regioni effettuano un forte coordinamento delle politiche – la regione Lombardia lo fa attraverso quello che chiamano «Piano delle regole» – per raccordare tutti gli enti sanitari in modo specifico sui propri obiettivi precedentemente definiti, esercitando controlli molto stringenti sul bilancio e sull'erogazione dei servizi.
  Questo è sicuramente un elemento importante. Oltre non si poteva andare, perché esistono problematiche connesse all'autonomia delle varie amministrazioni e agli equilibri, anche pratici e operativi, da gestire.
  La seconda osservazione riguarda il coinvolgimento dei cittadini nei sistemi di valutazione. Questo elemento gioca su due versanti, in primo luogo su quello della responsabilità dei dirigenti. Dal combinato disposto con il decreto legislativo n. 165 del 2001, cioè il testo unico, peraltro anch'esso in discussione, è ormai noto che risulta che la responsabilità dei dirigenti fa riferimento alle funzioni che si esercitano direttamente. Valutare l’outcome, quindi, e imputarlo alla dirigenza dal punto di vista giuridico è stato riconosciuto non possibile.
  In questo senso la norma prevede la possibilità di valutare i risultati, anche in relazione ai cittadini, solamente con riferimento agli organi di coordinamento generale dell'amministrazione, non con riferimento a tutti i dirigenti.
  Ovviamente questo aspetto, però, con l'evoluzione normativa possibile, potrebbe essere ulteriormente sviluppato, perché, alla fine, ai cittadini interessa che ci sia il servizio più che chi l'abbia erogato. Una valutazione dell’outcome che sia, in qualche modo, correlata anche al riconoscimento dei meriti di chi opera dentro l'amministrazione sarebbe a mio avviso auspicabile, però occorrerebbe valutare questo elemento tecnico-giuridico molto importante.
  Questo aspetto si ricollega, inoltre, a un elemento citato dai colleghi dell'ARAN e anche dal presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione: da questa normativa non emerge la valutazione di organismi esterni che consentano di avere giudizi omogenei per comparto o per tipologie di enti.
  Questo è un punto su cui si è ragionato, ma anche su questo c'erano dei limiti specifici. La scelta che è stata fatta è stata quella di rafforzare gli organismi indipendenti di valutazione, come si è già detto, e di prevedere la possibilità di valutazione degli outcome. Nel decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016 c'è solo qualche riferimento possibile.
  Credo che la proposta del presidente della Scuola nazionale dell'amministrazione (SNA) sia una via utile, già sperimentata in molti contesti. Pensiamo alle università, in relazione al cui funzionamento sono utilizzati indicatori standard, e all'esperienza degli enti sanitari, rispetto ai quali almeno sette o otto regioni hanno adottato standard comuni di performance su cui si confrontano. Credo che siano esperienze utili da osservare e da sviluppare in prospettiva futura.
  In questo senso, non so se tecnicamente è possibile, però potrebbe essere opportuno inserire una norma di natura programmatica che consenta, almeno, di condurre sperimentazioni su questo tipo di questione.
  Questi sono gli aspetti di maggiore innovazione, secondo me molto importanti, che possono dare buoni frutti. Credo che, in prospettiva, possano essere molto utili e molto importanti.
  Gli altri elementi significativi della normativa in discussione sono le misure di semplificazione e integrazione, richieste dalla Pag. 29delega, come quella che prevede l'integrazione del ciclo del bilancio con il ciclo della performance, e altre specifiche previsioni, che adesso, per motivi di tempo, non richiamo.
  Certamente rilevo il fatto che la miglior forma di semplificazione è stata quella di non cambiare in maniera radicale la normativa, in modo da poter continuare l'esercizio delle funzionalità, per quanto complesse, oggetto di sviluppo.
  Sugli organismi indipendenti di valutazione i colleghi hanno già detto. Ne è un rafforzamento, con una serie di interventi specifici.
  Sui criteri di differenziazione, che sono stati oggetto di profonde discussioni nel corso della approvazione della riforma Brunetta, si è deciso, coerentemente con l'accordo di novembre, di rinviare alla norma negoziata questo tipo di tematica.
  Sempre dal punto di vista dei criteri di differenziazione, potrebbe essere utile, sulla base dell'esperienza, un piccolo accorgimento specifico da inserire nella normativa. Nella sostanza, una corretta valutazione, sia dal punto di vista giuridico che dal punto di vista organizzativo, ha come fondamento una motivazione specifica e dettagliata, che dà ragione della motivazione adottata, qualsiasi siano le metriche utilizzate.
  Nella prassi spesso, data una metrica, si tende ad applicarla in maniera diretta, senza specificare nella fattispecie concreta le motivazioni alla base della valutazione, che sia degli obiettivi oppure dei comportamenti.
  Se, quindi, si vuole evitare che ci sia, come peraltro spesso è accaduto, una valutazione diffusamente orientata ai livelli più alti e non si vuole, nel contempo, adottare strumenti troppo rigidi di taglio delle valutazioni alte, credo sia opportuno inserire nella norma un comma che specifichi che le valutazioni di eccellenza, quelle di più alto livello, debbano essere specificamente motivate, richiamando i fatti concreti per i quali quella valutazione viene data, in base all'adozione della metodologia. Eventualmente, in conformità con il rafforzamento degli organismi indipendenti di valutazione (OIV), queste valutazioni, con riferimento alle sole eccellenze, potrebbero anche essere verificate dal medesimo organismo indipendente di valutazione.
  Spesso, infatti, quando vengono fatte queste valutazioni, le motivazioni sono generiche e mai adeguatamente circostanziate. Il chiederle potrebbe aiutare.
  Queste, sostanzialmente, sono le due questioni. Concludo con un auspicio, che non riguarda questa norma, ma credo sia opportuno farlo. Ritengo che con queste riforme, ovvero con la delega che è stata adottata, col testo unico e con la modifica dei sistemi di valutazione, si porti a compimento un ciclo legislativo molto orientato alle questioni che riguardano il merito, la valutazione e i sistemi incentivanti.
  È da sottolineare, tuttavia, che queste politiche, intese in maniera unitaria, cioè usate come politiche esclusivamente tese al rafforzamento dell'efficienza del sistema pubblico attraverso gli incentivi, non sempre hanno portato a risultati corretti in termini motivazionali nell'ambito delle singole amministrazioni, anche perché, spesso, la finalità sottesa a queste normative non era a favore del lavoro pubblico, ma a suo sfavore. Mi riferisco ai fannulloni e a tutti i discorsi fatti in termini punitivi piuttosto che premianti.
  Ritengo, quindi, che sia necessario introdurre una normativa che tenda a un'adeguata valorizzazione del lavoro pubblico, perché l'indebolimento del lavoro pubblico indebolisce anche lo Stato. Occorre introdurre forme di riconoscimento, non solo monetario, ma anche di altro genere, sia in termini di welfare aziendale sia in termini di elementi di motivazione intrinseca, che a oggi non sono adeguatamente previsti.

  PIA MARCONI, capo dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Buongiorno. Unisco i miei ringraziamenti a quelli degli altri colleghi presenti per aver avuto la possibilità di esporre il punto di vista del dipartimento della funzione pubblica su questo provvedimento, sul quale è atteso il parere delle Commissioni parlamentari.
  Sono contenta di poter anche tener conto di quanto le persone che mi hanno preceduta Pag. 30 hanno già detto. Questo mi consente, da un lato, di selezionare gli elementi su cui concentrare l'attenzione per rispettare i tempi e, dall'altro, di approfondire un po’ di più alcuni punti.
  Vorrei iniziare con tre considerazioni di carattere generale. La prima è che l'impianto complessivo del decreto legislativo n. 150 del 2009, con lo schema di decreto legislativo che stiamo esaminando, viene salvaguardato.
  Questo, come è stato sottolineato dagli interventi che mi hanno preceduto, in particolare da quello del professor Ruffini, è un valore in sé, perché, in una materia che richiede un forte aggiustamento e adattamento nelle pubbliche amministrazioni, introdurre cambi rilevanti di legislazione rischia di non consentire mai la capitalizzazione di quello che si è appreso, dovendo ogni volta iniziare daccapo. Questo è il primo elemento.
  Il secondo elemento è che, pur nel salvaguardare l'impianto complessivo, sono state introdotte delle importanti innovazioni volte a migliorare l'efficacia del sistema disciplinato dal decreto legislativo n. 150 del 2009, superando alcune delle debolezze che nella fase applicativa di quel decreto si sono manifestate. Questo è il secondo elemento: innovazioni che rafforzano l'efficacia dei sistemi di performance management.
  Il terzo punto è che queste innovazioni si pongono in linea di continuità con gli interventi legislativi che, sempre in questa legislatura, sono stati adottati in quest'ambito. Mi riferisco in particolare al decreto-legge n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 114 del 2014, che poi ha trovato attuazione nel decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, più volte citato, il quale non si è limitato a trasferire le competenze dalla CIVIT, poi ANAC, al dipartimento della funzione pubblica, ma ha individuato specifici ambiti e indirizzi ai quali informare l'azione del dipartimento stesso nello svolgimento del suo ruolo.
  Questi indirizzi sono, in estrema sintesi: riduzione degli oneri informativi, quindi semplificazione dei sistemi, integrazione del ciclo della performance con quello della programmazione di bilancio, rafforzamento dell'indipendenza della valutazione e integrazione nel ciclo della performance dei sistemi di controllo interno.
  Queste sono le tre considerazioni di carattere generale. Vorrei poi soffermarmi in particolare su tre degli elementi che sono stati introdotti con le modifiche al decreto legislativo n. 150 del 2009, previste dallo schema di decreto legislativo in esame nell'ottica di rafforzare la disciplina superandone i limiti.
  Il primo – è già stato richiamato, ma è inevitabile che sia così – è da riferirsi alla maggiore attenzione che è stata attribuita al livello alto della programmazione, con la previsione degli obiettivi generali, elemento che mancava nella disciplina precedente e che ha una portata rilevante, che è quella di indicare chiaramente qual è il fine della programmazione e della valutazione delle pubbliche amministrazioni.
  Il fine della programmazione e della valutazione delle pubbliche amministrazioni è proprio quello di programmare e di valutare il contributo che le singole amministrazioni danno, in ragione della propria missione istituzionale, al perseguimento delle finalità pubbliche, degli obiettivi di policy che la normativa richiama, rinviando chiaramente alle priorità di policy, che devono essere coerenti e comunque individuate nell'ambito del programma di governo.
  L'articolo 5, comma 01, reca questo riferimento alto, ma contemporaneamente stabilisce anche la relazione che deve esserci tra gli obiettivi specifici, cioè quelli delle amministrazioni, e gli obiettivi generali.
  Da questo punto di vista, la preoccupazione che segnalava il professor Hinna può essere, a mio giudizio, attenuata e il dubbio sicuramente può essere chiarito, anche in assenza di modifiche legislative al testo che attualmente è all'esame delle Camere, attraverso gli indirizzi che il Dipartimento della funzione pubblica potrà dare.
  Questi indirizzi serviranno anche a fugare il timore che il professor Ruffini segnalava poco fa. Peraltro, nello schema di decreto legislativo in esame il rapporto tra Pag. 31performance organizzativa e valutazione dei dirigenti viene evidentemente, non solo confermato, ma anche rafforzato.
  Le linee guida si incaricheranno di fugare la preoccupazione che i dirigenti siano valutati in relazione agli outcome. Infatti, è evidente che gli obiettivi generali, che sono gli obiettivi nazionali e, quindi, le priorità di policy, debbono essere misurati con gli outcome, però questo non significa che, automaticamente e meccanicamente, i dirigenti saranno valutati sugli outcome e non sul contributo che le loro strutture saranno state in grado di dare al conseguimento degli outcome stessi. Questo era il primo elemento.
  Il secondo elemento, che pure è stato citato ma che vorrei richiamare, è proprio quello dell'integrazione tra il ciclo della performance e il ciclo di bilancio, cioè il ciclo della programmazione finanziaria.
  Questo elemento esisteva già come riferimento di principio nel decreto legislativo n. 150 del 2009, prima della modifica. Era uno dei criteri direttivi contenuti anche nel decreto-legge n. 90 del 2014. Con lo schema di decreto legislativo di cui si parla oggi questo elemento viene rafforzato attraverso l'individuazione precisa di un allineamento temporale tra i due cicli. Nello schema di decreto legislativo viene stabilito, infatti, che il ciclo della performance, così come il ciclo di bilancio, prende avvio in seguito alla presentazione del Documento di economia e finanze da parte del Governo alle Camere.
  Questo, tra l'altro, dovrebbe portare a superare un dato di fatto che noi abbiamo osservato in questi anni, ovvero che le amministrazioni adottano i piani delle performance con ritardo.
  Voi sapete che la disciplina precedente, come peraltro anche quella attuale, prevede che il piano della performance venga adottato ogni anno entro il 31 gennaio. Questo ovviamente rimane stabilito anche con la nuova disciplina, perché è necessario che il bilancio venga approvato prima, quindi non è possibile anticipare oltre questa scadenza, ma sicuramente è possibile anticipare la preparazione del piano della performance e fare in modo che la sua predisposizione segua passo passo quella del bilancio di previsione.
  Su questo fronte noi abbiamo già iniziato a collaborare con il Ministero dell'economia e delle finanze e con la Ragioneria generale dello Stato, grazie anche a un accordo che abbiamo siglato lo scorso anno, da cui è scaturito un percorso di lavoro comune, in base al quale stiamo allineando gli indirizzi che noi daremo come Dipartimento della funzione pubblica a quelli che il Ministero dell'economia e delle finanze darà alle amministrazioni per la predisposizione del bilancio di previsione, in modo che ci sia la massima coerenza possibile.
  Non siamo qui di nuovo di fronte a un'enunciazione di principio, ma siamo a un qualcosa in più, a un riferimento temporale preciso che, supportato da idonei indirizzi, dovrebbe consentire di organizzare meglio e con maggior rispetto dei tempi le attività relative alla predisposizione del piano della performance.
  L'ultimo punto, che è stato anch'esso già sottolineato, è il rafforzamento dell'indipendenza nella valutazione, che passa per due elementi, entrambi contenuti nello schema di nuovo decreto legislativo, anche se, almeno in parte, sono stati anticipati dal decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016.
  Questi due elementi sono il rafforzamento dell'indipendenza e del ruolo degli organismi indipendenti di valutazione (OIV). Vorrei dire, anzi, che, proprio perché vengono introdotte misure per rafforzare l'indipendenza degli OIV, può essere anche accresciuto il loro ruolo.
  Non ripeto le cose che sono già state dette. La scelta, che è stata fatta già con il decreto-legge n. 90 del 2014 e con il decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016 e ribadita dallo schema di decreto legislativo, del rafforzamento dell'indipendenza degli OIV passa per un rafforzamento dei requisiti professionali che vengono richiesti a coloro che saranno chiamati a svolgere questo ruolo.
  Questi ultimi potranno essere selezionati solo tra chi sarà stato iscritto all'elenco gestito dal dipartimento della funzione pubblica, al quale si può essere iscritti soltanto Pag. 32avendo dimostrato il possesso di un'idonea esperienza professionale negli ambiti nei quali l'organismo indipendente di valutazione dovrà operare, che, per brevità, non ricordo in questa sede.
  Posso aggiungere che l'albo è già operativo, proprio perché previsto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, e disciplinato da un decreto ministeriale del dicembre scorso. Da dicembre a oggi il dipartimento ha gestito, se non erro, circa 1.800 richieste di iscrizione, 1.350 delle quali sono state accolte. Su quelle accolte verranno poi effettuate le verifiche a campione, sulla base di un piano di campionamento al quale il dipartimento sta già lavorando.
  È stato sottolineato dagli altri interventi che il ruolo degli OIV è stato accresciuto con la nuova disciplina.
  Io vorrei soffermarmi in particolare sull'attribuzione all'OIV del potere di verificare l'andamento delle performance, che, in precedenza, era attribuito al vertice politico-amministrativo. La nuova attribuzione all'OIV dipende dalla constatazione di una difficoltà dell'organo di vertice politico-amministrativo a svolgere un monitoraggio e una verifica dell'andamento della performance su base tecnica, cosa che, invece, l'OIV è in grado di assicurare.
  Il fatto che questa verifica da parte dell'OIV debba essere svolta anche sulla base dei risultati – la legge parla di risultanze – del controllo strategico e del controllo di gestione significa che, di fatto, l'OIV diventa il riferimento per il sistema dei controlli interni nelle pubbliche amministrazioni, perché ad esso comunque fanno capo gli esiti del controllo di gestione, gli esiti del controllo strategico e la valutazione dei dirigenti, che, in base al decreto legislativo n. 286 del 1999, costituiscono il quadro dei sistemi di controllo interno.
  Questo elemento di rafforzamento del ruolo degli OIV, di integrazione tra i sistemi di controllo interno e il ciclo della performance è un elemento estremamente importante.
  Chiudo semplicemente ricordando quanto ho già lasciato intendere: questo impianto, così come peraltro il precedente, richiede che vi sia un'azione di indirizzo da parte del dipartimento della funzione pubblica adeguata, in quanto basata sulle evidenze. Deve essere un'attività di indirizzo che tenga conto di come le amministrazioni si comportano o si sono comportate e che aiuti, quindi, a rimuovere le difficoltà che si sono incontrate.
  Inoltre, richiede anche un'azione costante di collegamento tra il Dipartimento della funzione pubblica e le amministrazioni, che noi abbiamo già iniziato a svolgere, con l'ausilio della commissione tecnica prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, a cominciare, per ora, dai ministeri.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALAN FERRARI. Quelle che abbiamo ascoltato e che ringrazio per essere state qui con noi oggi sono persone con cui ho condiviso un pezzo di strada in questi anni, partendo dall'assunto che anche questa legislatura dovesse occuparsi del tema della pubblica amministrazione, per migliorarne l'efficienza, per renderla davvero democratica e più giusta.
  Io penso, quindi, che sia utile oggi, continuando eventualmente ancora per qualche minuto questa interlocuzione con gli esperti e con i rappresentanti dei singoli dipartimenti e istituzioni presenti, riflettere su qual è lo stadio a cui siamo arrivati, prima di elaborare un parere.
  Rispetto al parere, insieme all'onorevole Tinagli ragioneremo meglio. Io vorrei semplicemente dire che mi pare fondamentale e scontata la necessità di aspettare i pareri del Consiglio di Stato e della Conferenza unificata.
  Vorrei aggiungere che è nostro interesse tentare di recuperare alcune delle finalità del decreto sulla dirigenza, legandole ad alcune osservazioni relative all'interpretazione della funzione della valutazione contenuta in questo schema di decreto: legare i motivi alla base del decreto sulla dirigenza con alcune modalità di interpretare il significato della valutazione nel processo Pag. 33produttivo all'interno della pubblica amministrazione, che vede ovviamente dirigenza e valutazione in due ruoli chiave.
  Detto questo, qual è il punto? Io penso che abbiamo fatto bene a smontare, come ha ricordato Renato Ruffini, l'approccio vessatorio e a partire dandoci l'obiettivo di creare le condizioni perché la pubblica amministrazione, al proprio interno, sviluppasse una capacità di autovalutarsi, di evolversi sul piano organizzativo, di assumere maggior competenza. È una scelta volta a un potenziamento interno e non al fatto di acquisire, a volte con fortuna, a volte con meno fortuna, un contributo esterno, perché dall'interno non eravamo in grado di raggiungere gli obiettivi che ci eravamo dati.
  Con questo approccio abbiamo raggiunto già una serie di risultati secondo me importanti. Abbiamo eliminato alcune rigidità della «legge Brunetta», su cui non torno. Abbiamo evidenziato il ruolo della valutazione come strumento e come una delle leve principali per far evolvere la capacità organizzativa e di sviluppo di tutte le organizzazioni e le persone che compongono la galassia complessa della pubblica amministrazione.
  Abbiamo introdotto il terzo livello (o il primo, a seconda di come lo si prenda), che è quello della valutazione delle politiche, già in altri provvedimenti, compresi la legge delega e il decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016. Abbiamo compreso che lo sforzo fatto fino a qui di mettere in moto un'amministrazione pubblica diversa mancava di un tassello: come ci si concepiva e si concepiva il proprio impegno e lo si valutava in funzione dei risultati che gli enti o un complesso di politiche evidenziavano rispetto ai cittadini e alle finalità complessive della pubblica amministrazione.
  Introducendo la valutazione delle politiche, abbiamo anche chiarito meglio – anche se secondo me è corretto prendere in considerazione lo spunto del professor Ruffini – la differenza tra una valutazione interna e una valutazione esterna, ovvero una valutazione degli outcome.
  Una volta introdotte le valutazioni delle politiche, probabilmente, per discesa, potremmo meglio definire, una volta per tutte, fino a dove i processi di valutazione devono essere parte integrante dello sviluppo interno e da quale momento in poi è corretto che, invece, siano agenzie o competenze esterne a dire se la pubblica amministrazione ha fatto bene o meno.
  Abbiamo introdotto – secondo me questo è il punto principale – il tema della governance, nel senso che non abbiamo solo trasferito dalla CIVIT, prima, e dall'ANAC, poi, la competenza di coordinamento sul tema della valutazione al Dipartimento della funzione pubblica, ma abbiamo anche immaginato un modo di esercitare questa funzione diverso dal passato, proprio perché abbiamo ritenuto che ci fosse necessariamente bisogno di introdurre un legame tra i vari livelli istituzionali.
  È ovvio, anche sentendo i sindacati nel corso dell'audizione precedente, che il dipartimento della funzione pubblica ha un ruolo molto delicato, anche perché sconta, a differenza di un'agenzia, la non terzietà e il fatto di essere, in qualche modo, una delle parti in causa a cui è stato affidato un compito che potrebbe anche essere esercitato nei confronti di tutte le parti in causa.
  Questo richiede ovviamente una grande attenzione. Io penso che, però, sia un ruolo chiave. Se abbiamo scelto di attenuare la rigidità della «riforma Brunetta», non possiamo non cogliere fino in fondo che cosa questo significhi. Mi riferisco al fatto che noi, da quel punto di osservazione centrale, dobbiamo sviluppare una capacità di capire come i tre punti di equilibrio da cui siamo partiti con la delega, ovvero tra centro e periferia, tra omogeneità e differenziazione, tra vigilanza e responsabilizzazione, come più volte ha ricordato il professor Hinna anche in precedenti audizioni, siano i punti su cui calibrare quotidianamente lo sforzo di coordinamento del dipartimento, con al proprio interno, in particolare, la nuova funzione che gli è stata affidata.
  Noi non possiamo perdere di vista il fatto che, forse, è proprio da come interpretiamo un coordinamento e una relazione Pag. 34 tra i diversi livelli istituzionali e anche tra i diversi comparti che ci giochiamo molte delle scelte che abbiamo fatto e della capacità di queste scelte di raggiungere l'obiettivo.
  Chiudo sul ruolo degli organismi indipendenti di valutazione (OIV) e della Scuola nazionale dell'amministrazione (SNA). Io mi riserverei ancora la possibilità di valutare se il meccanismo di nomina degli OIV sia corretto oppure no o, quanto meno, se possa essere disciplinato meglio oppure no.
  Credo, anche in questo caso, che sia corretto ricordare che due anni fa eravamo molto più indietro. Io penso che aver costituito un elenco nazionale e aver legato la formazione più professionalizzante possibile delle figure che si iscriveranno a questo elenco a una funzione che può essere svolta dalla Scuola nazionale dell'amministrazione sia un passo avanti enorme.
  Siccome siamo partiti – lo ribadisco – da un approccio non vessatorio, riconoscendo, cioè, che all'interno della pubblica amministrazione c'erano certamente le competenze per migliorarla, non potevamo non riconoscere altrettanta importanza a un compito delicato come quello di chi valuta i comportamenti e l'efficacia delle azioni della pubblica amministrazione.
  Il fatto che queste persone siano competenti, quindi, è indispensabile per il funzionamento di tutto il sistema di valutazione, che – non dimentichiamolo – noi abbiamo affidato concettualmente anche al sistema di conferimento degli incarichi, a cui abbiamo, più in generale, attribuito un compito enorme. Mi riferisco alla delega della dirigenza. Molto passa attraverso il fatto che coloro che andranno a fare parte degli organismi indipendenti di valutazione siano persone capaci di svolgere una funzione così complessa.
  Da questo punto di vista, essendo i componenti degli OIV figure che vivono, lavorano ed esercitano una funzione in diverse parti d'Italia e provengono da culture professionali differenti, oltre che da luoghi dove i funzionamenti delle pubbliche amministrazioni viaggiano a velocità diverse, io penso che abbinare questa funzione alla SNA sia stato corretto. Su questo tema magari potremo articolare meglio un'osservazione anche con la collaborazione dei presidenti.
  A mio avviso, per la SNA si deve proseguire in un percorso di ripensamento che avevamo iniziato a configurare, che era quello che la rendeva, non semplicemente un certificatore di competenze o di corsi che vengono svolti dai tanti centri di competenza in Italia, ma un hub che, in qualche modo, tenga conto, oltre che delle esigenze di programmazione e di pianificazione del personale, anche delle specificità di managerialità, che sono molto diverse e diffuse con velocità differenti in Italia.
  Se noi teniamo conto del fatto che i manager pubblici nel medesimo settore non sono tutti allo stesso livello in tutte le regioni d'Italia – peraltro, il sistema complesso dei servizi non è uguale, ma è regolato in modo differente da regione a regione – allo stesso modo, io penso che il ruolo dei valutatori, che sono quelli che si affiancano a queste organizzazioni, che sono dirette dai manager, debba essere necessariamente altrettanto articolato.

  IRENE TINAGLI. Io ho solo una domanda piuttosto specifica per la dottoressa Marconi. Quando ho iniziato a esaminare questo decreto, la prima domanda che mi sono posta, vedendo le modifiche rispetto alla normativa esistente, è come questa abbia funzionato su alcuni aspetti specifici su cui noi ora interveniamo.
  Per esempio, fino a oggi quanti licenziamenti ci sono stati legati all'insufficiente rendimento? Io non ho trovato questi dati. Vorrei capire se c'è stato un monitoraggio di questo effetto, se ci sono dati, se si possono avere oppure no.
  Mi chiedo anche, al di là dei licenziamenti, come ha funzionato il collegamento tra la valutazione degli effetti positivi e le progressioni economiche e di carriera, perché anche su questo noi interveniamo, trasferendo la previsione da una norma di legge alla contrattazione.
  Mi piacerebbe anche capire come ha funzionato il sistema fino a oggi, se c'è stato un monitoraggio di questi aspetti e, in caso contrario, se, in prospettiva, ritiene fattibile Pag. 35e auspicabile un'attività di monitoraggio, non sulla valutazione delle performance, ma sull'applicazione della norma che noi stiamo per correggere.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Marconi per la replica.

  PIA MARCONI, capo dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri. Rispondo alla domanda: non c'è stato finora un monitoraggio del fenomeno che lei indica, ma ritengo che, in ogni caso, non si sia verificato questo fenomeno, nel senso che non mi risulta che vi siano stati licenziamenti per scarso rendimento. La fattispecie del licenziamento è una fattispecie rara nella pubblica amministrazione.
  D'altra parte, in relazione al decreto legislativo n. 150, nella sua versione approvata nel 2009, la parte relativa alla valutazione della performance individuale è quella che è rimasta più disattesa, perché, a un certo punto, è stata strettamente collegata al rinnovo della contrattazione. La contrattazione non c'è stata e, quindi, si è tutto bloccato.
  Con l'approvazione del nuovo decreto legislativo, in ragione delle modifiche che esso introduce e che sono state richiamate sia da Gasparrini che da Ruffini, questa parte dovrà invece essere applicata, perché saranno venuti meno tutti gli impedimenti (se così si può dire). Di conseguenza, potrà essere sicuramente oggetto di monitoraggio da parte del Dipartimento della funzione pubblica, così come sarà oggetto di monitoraggio l'implementazione del complesso delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 150 del 1999, così come novellato dallo schema di decreto legislativo di cui stiamo discutendo oggi.
  Non so se l'onorevole Ferrari si aspetta una risposta ai suoi commenti, però, già che ho la parola, magari posso dire qualcosa. Comincio dall'ultimo elemento su cui si è soffermato. Condivido la valutazione che ha fatto sugli OIV. Penso anch'io che la situazione nella quale siamo adesso è molto diversa da quella dalla quale eravamo partiti.
  Bisogna verificare – ma lo potremo fare soltanto dopo un po’ di esperienza applicativa – se le nuove previsioni saranno più efficaci per assicurare un'effettiva indipendenza agli OIV, che, come dicevo nella mia introduzione, si presuppone possa essere basata sulla loro forza professionale. Da questo punto di vista, il ruolo della Scuola nazionale dell'amministrazione è sicuramente importante.
  Per quanto riguarda gli altri riferimenti fatti al sistema che fa capo al dipartimento della funzione pubblica, osservo che adesso, con tutte le implicazioni che non ripeto, non si può non guardare al complesso del sistema amministrativo a cui si rivolge la disciplina e che, quindi, non ci può limitare ai soli ministeri, anche se sappiamo tutti che la realtà dei ministeri, per certi versi, è quella sulla quale è necessario fare un'azione più marcata, perché, sotto il profilo della gestione del ciclo della performance, è l'attività che è sempre stata più restia ad adottare in modo pieno questo tipo di innovazioni normative.
  Mi richiamo alla premessa del professor Martini sul fatto che sistemi di questo tipo per funzionare devono poter essere sospinti da pressioni esterne. Nel caso dei ministeri, essendo questi ultimi amministrazioni che non erogano servizi ai cittadini ed essendo i loro vertici scelti in modo diverso rispetto a quelli degli enti locali, è evidente che questo li ha messi in una situazione più protetta.
  A mio giudizio, quindi, in questa fase è richiesta un'attenzione particolare ai ministeri, che sono l'ambito amministrativo dal quale siamo partiti. Come ricordavo prima, abbiamo avviato dei laboratori con i ministeri, proprio per assicurarci che i processi di pianificazione e valutazione diventino sempre più sostanziali e non si limitino all'adempimento formale.
  Certamente la nostra attenzione non potrà non rivolgersi anche agli altri livelli di governo, tenendo conto delle differenze che è necessario considerare, sia con riferimento alle diverse categorie di amministrazione sia con riferimento alle dimensioni delle diverse amministrazioni. Pag. 36
  Questo è un lavoro che stiamo cominciando a fare e che sicuramente avrà un ruolo importante, soprattutto con un quadro normativo definitivamente assestato. Infatti, quando si è trattato di acquisire il parere della Conferenza unificata sul decreto del Presidente della Repubblica n. 105 del 2016, le regioni hanno chiesto di essere escluse dall'applicazione del decreto stesso, in attesa che venissero adottate le misure previste dalla legge n. 124 del 2015 di riforma del sistema.
  A questo punto, una volta che sarà definito il processo legislativo di approvazione del decreto legislativo di modifica del decreto legislativo n. 150 del 1999, il quadro normativo si sarà assestato e, quindi, anche le regioni e gli enti locali saranno rasserenati dal punto di vista dei cambiamenti di natura regolatoria. Di conseguenza, potremo sicuramente avviare con loro un lavoro che abbia quantomeno la stessa finalità: quella di migliorare la gestione delle amministrazioni rispetto ai servizi che rendono e rispetto ai contributi di ciascuna al conseguimento degli obiettivi delle politiche nazionali.
  Mi limito a richiamare che la commissione tecnica che è stata costituita nel novembre dello scorso anno, non a caso, oltre ad avere al suo interno esponenti del mondo dell'accademia, annovera anche esponenti del mondo delle autonomie locali, in particolare un membro che ricopre una posizione manageriale rilevante in una regione italiana e un altro membro che rappresenta un'importante realtà comunale.
  Pertanto, non solo è chiara al dipartimento della funzione pubblica l'importanza di operare in relazione all'intera gamma delle amministrazioni, ma ci sono già alcuni presupposti perché ciò avvenga.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termine alle 13.10.