XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III-IV Camera e 3a-4a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 12 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Bonino Emma , Ministro degli affari esteri ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 6 
Mauro Mario , Ministro della difesa ... 6 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12 
Garofani Francesco Saverio (PD)  ... 12 
Frusone Luca (M5S)  ... 13 
Cicu Salvatore (PdL)  ... 13 
Rossi Domenico (SCPI)  ... 14 
Scotto Arturo (SEL)  ... 15 
Pini Gianluca (LNA)  ... 16 
Cirielli Edmondo (FdI)  ... 16 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 17 
Duranti Donatella (SEL)  ... 17 
Tonini Giorgio  ... 17 
De Pietro Cristina  ... 18 
Romani Paolo  ... 19 
Duranti Donatella (SEL)  ... 20 
Sibilia Carlo (M5S)  ... 21 
Cera Angelo (SCPI)  ... 21 
Divina Sergio  ... 22 
Artini Massimo (M5S)  ... 22 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 23 
Casini Pier Ferdinando , presidente della 3 Commissione del Senato ... 23 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 23 
Bonino Emma , Ministro degli affari esteri ... 23 
Mauro Mario , Ministro della difesa ... 25 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 27

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Comunicazioni dei Ministri degli affari esteri e della difesa sullo stato delle missioni in corso e degli interventi di cooperazione allo sviluppo a sostegno dei processi di pace e di stabilizzazione.

  PRESIDENTE. Nel salutare il Ministro degli affari esteri, Emma Bonino, e il Ministro della difesa, Mario Mauro, e come ospiti il Presidente della Commissione Affari esteri e il Presidente della Commissione Difesa del Senato, colgo l'occasione per dire che probabilmente questa sarebbe stata la sede più adatta per svolgere le discussioni tenute questa mattina alla Camera in Assemblea sia per quanto riguarda il militare italiano ucciso in Afghanistan, capitano Giuseppe La Rosa, sia per quanto attiene alla vicenda della Turchia. Questa è una sede qualificata che, come vediamo dal numero dei partecipanti, avrebbe evitato qualunque risvolto polemico su presenti e assenti, ma evidentemente questo problema non riguarda i ministri.
  Ringrazio il Ministro Bonino e il Ministro Mauro, per la loro disponibilità a tenere aggiornato il Parlamento su tale materia, adempiendo all'ordine del giorno 9/5713/6 (Garofani e Boniver) accolto dall'esecutivo nella seduta del 22 gennaio 2013, nel corso della conversione in legge dell'ultimo decreto-legge che ha prorogato al 30 settembre 2013 la partecipazione italiana alle missioni internazionali in corso.
  Prima di dare la parola al Ministro Bonino, per svolgere la sua relazione, credo di interpretare il sentimento di tutti i colleghi nell'associarsi al minuto di silenzio che ieri le Assemblee della Camera e del Senato hanno reso alla memoria del capitano Giuseppe La Rosa, caduto vittima di un attentato in Afghanistan su cui questa mattina ha riferito in Aula il Ministro Mauro.

  (Le Commissioni riunite osservano un minuto di silenzio).

  EMMA BONINO, Ministro degli affari esteri. Grazie mille signori Presidenti, onorevoli deputati, deputate, senatori e senatrici. La relazione che farò, che riguarda più l'aspetto politico e il tema della cooperazione per quanto concerne le missioni internazionali, si basa però su premesse ampiamente condivise anche dal Parlamento precedente nel corso di questi anni.
  La prima è che la partecipazione italiana alle missioni internazionali riflette la consapevolezza, puntualmente affermata da Governo e Parlamento, che la sicurezza e la stabilità del nostro Paese si difendono anche lontano dalle frontiere, contribuendo a restituire sicurezza e stabilità a Paesi non solo del nostro vicinato strategico ma anche partecipando a missioni Pag. 4decise dalle Nazioni Unite o altre, così decise.
  Questi interventi seguono princìpi molto chiari. Il primo è che abbiano un'adeguata base giuridica internazionale; il secondo che ci sia un concerto anche operativo con Paesi like-minded e un approccio che sappia integrare – per quanto possibile, appena possibile, dove possibile – mezzi militari e mezzi civili, iniziative di rafforzamento delle istituzioni o di cooperazione internazionale, e continuare per quanto possibile la partnership con il Paese anche oltre l'orizzonte temporale dell'intervento militare, per contribuire a completare la sua ricostruzione istituzionale ed economica.
  Questi sono i princìpi che hanno ispirato e che ad avviso del Governo debbono ispirare questo tipo di missioni. Come i colleghi sanno (alcuni da precedenti esperienze, mentre altri sono appena arrivati), l'impegno italiano è per la cooperazione allo sviluppo, per rafforzare la capacità della politica estera e di sicurezza comune europea e per adattare la NATO e le sue missioni alle nuove sfide.
  Con questi obiettivi il Ministero degli affari esteri ha anche operato nella prima metà del 2013, puntando a massimizzare l'impatto dei contributi richiesti dalla Farnesina sul decreto-legge che ha prorogato le missioni attualmente in vigore per una cifra di 81 milioni di euro, puntando a potenziare l'incisività della nostra cooperazione allo sviluppo e sostenendo processi di rafforzamento della sicurezza in aree di crisi, tentando di tutelare anche la sicurezza di cittadini italiani e delle nostre rappresentanze diplomatiche e consolari all'estero.
  Vorrei a questo punto ricordare l'ultimo incidente di ieri a Tripoli e sottolinearvi davvero che, al di là delle polemiche che spesso si fanno, la vita del nostro diplomatico è stata salvata da un intervento dell'autista che lo aveva in carico.
  Come forse questo Parlamento sa, a partire dalle linee programmatiche del Ministero degli affari esteri che ho illustrato poche settimane fa nell'audizione svolta in occasione dell'assunzione del mio mandato, noi crediamo fermamente al ruolo dell'Unione europea nella soluzione delle crisi e nella stabilizzazione delle aree in transizione.
  Come loro sanno, ci sono attualmente 16 missioni in corso, 12 civili e 4 militari, di politica estera e di sicurezza comune, quindi in ambito europeo, e la loro efficacia dipende non soltanto dalle risorse finanziarie delle istituzioni europee e dal personale che esse assumono direttamente, ma anche dagli esperti che gli Stati membri distaccano presso le missioni.
  L'Italia ad esempio continua a fornire, sulla base del decreto «missioni internazionali», un contributo importante con 122 unità, di cui 71 civili, alla maggioranza delle missioni di politica estera e di sicurezza comune in ambito europeo, ed è nostra convinzione che sia importante continuare ad essere presenti, ad essere uno dei Paesi che più concorrono dal punto di vista degli esperti civili in queste missioni, ancor più nel momento in cui ci si sta adoperando a tutto campo per un rilancio della dimensione europea della difesa e della sicurezza.
  Da questo punto di vista è in preparazione il Consiglio europeo di dicembre, che sarà chiamato esattamente a decisioni sul rafforzamento delle politiche di difesa europea: noi stiamo contribuendo con idee e proposte concrete su come rendere più efficaci queste eventuali missioni ed attendiamo adesso che l'Alto Rappresentante, Catherine Ashton, presenti proposte concrete in modo che i Capi di Stato e di Governo possano adottare decisioni si spera lungimiranti.
  Voglio spendere qualche parola in più in questo ambito sulla missione EUBAM Libia, che ha il compito di sostenere le amministrazioni pubbliche libiche nella gestione integrata delle frontiere del Paese. Questo corrisponde evidentemente anche a un interesse nazionale dell'Italia oltre che dell'Europa intera, ed è per questo motivo che sin dall'inizio abbiamo appoggiato il lancio della missione.
  Voglio anche dire due parole sulla Libia. Ho avuto recentemente un incontro con il Primo Ministro, Ali Zeidan. In Libia Pag. 5entrerà pienamente in vigore a fine mese la legge sull'isolamento, che avrà vari tipi di ripercussioni (già in parte ne ha avute). È indubbio che la cornice di sicurezza in Libia è piuttosto precaria, e credo le cronache di ogni giorno illustrino questa situazione.
  Il Primo Ministro Zeidan è stato invitato al G8, e quindi ci sarà un punto Libia in ambito G8, in cui l'esponente libico avrà una serie di incontri bilaterali anche con il nostro Presidente del Consiglio. Abbiamo appena confermato una visita in Italia del Primo Ministro Zeidan il 4 luglio. Il Primo Ministro ha espresso anche il desiderio di incontrare il Parlamento in forma di delegazione o come il Parlamento riterrà opportuno.
  Credo che per garantire la stabilità della Libia si debba intervenire anche sulla dimensione umana, sulle cause profonde di questa insicurezza, mobilitando sia le istanze governative, sia altre istanze di società civile.
  Ci sono poi le partecipazioni dell'Italia alle missioni ONU. Lascio ovviamente al Ministro Mauro i dettagli sulle parti che riguardano la difesa. Le missioni di pace delle Nazioni Unite sono un dispositivo cui contribuiamo e il maggiore strumento multilaterale di sostegno ai processi post-conflitto. Si caratterizzano per un'ampia partecipazione da parte della comunità internazionale e l'Italia contribuisce in maniera significativa a questo impegno collettivo non solo sul piano finanziario (siamo il settimo contributore al bilancio di peacekeeping delle Nazioni Unite) ma anche come contributore di caschi blu presenti in 9 missioni.
  A questo proposito vorrei spendere una parola in più per quanto riguarda il Libano e quindi la missione UNIFIL che ha una partecipazione italiana significativa (1.100 unità) e dal gennaio 2012 è sotto il comando del generale Serra. In questi anni tale missione ha costituito un elemento fondamentale di stabilizzazione per il Libano e per l'intera regione.
  Abbiamo preso atto della decisione del Parlamento di prorogare l'attuale legislatura, cioè di rinviare le elezioni di 17 mesi, a causa dell'acuta tensione nel Paese. Segnalo peraltro che oggi in Libano c’è un milione di rifugiati provenienti dalla Siria di diversissime etnie rispetto a un Paese di 5 milioni di abitanti. I colleghi possono quindi immaginare quale ne sia il peso non solo umanitario ma anche politico rispetto a un Paese già fragile nella sua composizione.
  Noi abbiamo appoggiato la posizione di neutralità e di dissociazione dalle crisi regionali che ha sostenuto il presidente libanese, ma siamo coscienti di come gli ultimi sviluppi del conflitto siriano abbiano modificato in profondità la situazione e rendano sempre più arduo mantenere questa politica.
  L'Italia condanna le interferenze di Hezbollah nella guerra in Siria, interferenza e presenza apertamente ammesse, come sapete, dall'organizzazione stessa. Oltre a mettere in pericolo la ricomposizione del conflitto, questa interferenza espone la comunità libanese a rappresaglie, così come sono preoccupanti le infiltrazioni in Siria di estremisti salafiti, che rischiano di radicalizzare anche la comunità sunnita. In realtà si è determinata una situazione gravissima tra le due comunità e le loro articolazioni sciite e sunnite presenti. Quando si teme lo spillover del conflitto siriano mi permetto di dire che lo spillover mi sembra già del tutto evidente, non fosse altro che per il peso umanitario e la fragilizzazione politica a cui assistiamo.
  L'Italia ha queste posizioni e stiamo lavorando per dare il maggior sostegno possibile all'iniziativa russo-americana per convocare una Conferenza cosiddetta «Ginevra 2», che forse in modo troppo ottimista alcuni avevano già dato per convocata, semmai già anche tenuta possibilmente con pieno successo.
  Mi sono permessa di dire sin dall'inizio che mi pareva ancora una strada tutta in salita e che questa ipotesi ancora oggi non ha una data (presumiamo che possa essere il 6-7 luglio), essendo ancora da risolvere tutta una serie di problemi sulla partecipazione, sul formato, sul contenuto stesso della Conferenza. Vorrei ribadire però che Pag. 6io sono convinta, e il Governo è convinto, che non esista soluzione militare possibile al conflitto (abbiamo assunto questa posizione anche in ambito Unione europea al Consiglio dei Ministri degli Affari esteri) e che tutti gli sforzi debbano essere finalizzati per quanto possibile a una soluzione mediata di questo conflitto, perché riteniamo che sia l'unica opzione percorribile.
  Abbiamo infine le missioni dell'Italia in ambito NATO. Il Ministro Mauro certamente scenderà nel dettaglio più di me, ma con il vertice di Chicago di un anno fa si è entrati in un altro tipo di riflessione sugli obiettivi della NATO. Su questo non mi dilungherò, ma ovviamente voglio fare riferimento per quanto riguarda l'ambito politico alla missione in Afghanistan, in particolare nella zona di Herat, che deve avere termine per quanto riguarda l'aspetto combat entro la fine del 2014. Questo non vuol dire abbandonare il Paese: vuol dire che dal 2014 saremo più presenti in termini civili e in termini di sostegno istituzionale, oltre che con veri e propri progetti di cooperazione e di cooperazione allo sviluppo.
  Più complessivamente, riferendomi al decreto sulle missioni internazionali in corso e a quello prossimo, voglio sottolineare a tutti i colleghi l'importanza degli interventi di cooperazione e sviluppo che sono normalmente inseriti in tale contesto.
  Sono stata senatrice fino a poco tempo fa, ho condiviso una serie di obiezioni in merito all'esigenza di avere un bilancio della cooperazione più stabile dall'inizio dell'anno, che consenta interventi più programmati. Così non è, quindi spesso il decreto sulle missioni internazionali viene usato per integrare (almeno nelle zone dove siamo presenti anche militarmente) gli aspetti civili. Questo pone difficoltà di programmazione, ma almeno ci fornisce una linea di bilancio per accompagnare in termini civili le nostre presenze.
  In particolare, volevo sottolineare a voi colleghi che sarò in Giordania nei campi profughi il 25 giugno. In Giordania i profughi sono circa 600.000; anche al riguardo non approfondisco ma ognuno di voi può immaginare cosa questo significhi e quanto siano normalmente preoccupanti i campi profughi vicino alle frontiere. Abbiamo discusso di questo non so quante volte, ma questa è la situazione.
  Volevo anche sottolinearvi la parte cooperazione allo sviluppo relativa alla Somalia. Da questo punto di vista, segnalo sia la Conferenza di Londra sia la Conferenza dell'Unione europea che si terrà a Bruxelles il 16 settembre. Noi ci apprestiamo a organizzare con l'IGAD e gli Amici della Somalia, a latere dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite – dove spero che il Parlamento, come sempre fa, invii una delegazione – un evento importante proprio sulla Somalia.
  In proposito, è recente la decisione del Governo di riaprire la nostra Ambasciata in Somalia per cui è stata individuata la struttura che va messa in sicurezza e che contiamo di inaugurare agli inizi di settembre.
  Questo può permettere di seguire l'evoluzione somala che ha ancora punti di grande instabilità (vorrei che ne fossimo coscienti), e di seguirla più da vicino anche dal punto di vista politico. Attualmente abbiamo un ambasciatore che però è basato in Kenya, ma riteniamo invece che una presenza in loco possa aiutare a seguire più da vicino lo sviluppo della situazione.
  Mi fermerei qui, pronta a rispondere alle domande, ma spero di aver dato a tutti il senso politico e le componenti di queste missioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al Ministro della difesa, Mario Mauro.

  MARIO MAURO, Ministro della difesa. Grazie, Presidente, grazie anche agli altri Presidenti di queste Commissioni. Ringrazio il Parlamento per aver voluto approfondire la tematica delle missioni internazionali con un apposito momento e desidero fornire una visione d'insieme delle missioni in atto nei vari teatri di crisi, come autorizzate dal Parlamento.
  Ometterò di svolgere considerazioni di carattere politico non perché le attività esplicitamente dedicate alla difesa e alla Pag. 7parte militare delle missioni debbano essere prive di legittimità, ma al contrario perché condivido profondamente passo per passo le considerazioni di politica estera svolte dalla collega Bonino.
  Inizio dal teatro afghano, per esprimere ancora una volta a nome del Governo il più profondo cordoglio alla famiglia del maggiore Giuseppe La Rosa, tutta la vicinanza possibile ai militari feriti e alle loro famiglie. In merito alla descrizione particolareggiata dell'evento, così come in merito all'attacco registrato ieri, fortunatamente senza danni per i nostri militari, lascio agli atti il testo dell'informativa che ho svolto oggi nell'Aula della Camera, ma fornisco per le vie brevi, in modo estremamente sintetico, un minimo di ricostruzione dell'accaduto.
  Il primo episodio ha visto coinvolte una prima vettura Toyota bianca, che si è fermata dopo aver rallentato il convoglio italiano e dalla quale è sceso l'autista che si è allontanato in tutta fretta, un'altra Toyota bianca che chiudeva il convoglio impedendogli di muoversi in altre direzioni e un'autocisterna che si poneva sul fianco del convoglio stesso.
  Nel frattempo un uomo, verosimilmente sui venti anni, con una barba corta e vestito di abiti di colore marrone riconducibili agli abiti tipici di quell'area, si è portato sul mezzo VTLM Lince e ha introdotto una bomba dalla ralla, cioè dalla botola di accesso al veicolo.
  Questo ha determinato la caduta della bomba nella parte posteriore del veicolo dove c'era il capitano La Rosa, il quale ha ripetutamente urlato la parola «Granata !» avvertendo i commilitoni, e, non riuscendo nell'intento di far evacuare il mezzo, ha deliberatamente coperto con il proprio corpo quell'ordigno in modo da proteggere i commilitoni.
  L'episodio, che si è concluso con un tentato inseguimento da parte del capo pattuglia del veicolo per rintracciare l'uomo dileguatosi tra la folla, così come si era dileguato l'uomo in abiti da poliziotto afghano che era stato visto parlare precedentemente con questo giovane da testimoni sia italiani che afghani, è stato seguito nella giornata di ieri da un altro attentato, che ha visto protagonista un giovane afghano che questa volta è stato arrestato al termine di un inseguimento condotto da un poliziotto motociclista afghano.
  Le circostanze sono molto simili a quelle dell'episodio precedente, ma il secondo tentativo non è riuscito e ha provocato feriti tra i civili afghani. Arrestato e condotto dalla polizia afghana di fronte al magistrato locale, il giovane Valik Ahmad di circa venti anni abitante a Farah ha riconosciuto di essere responsabile sia di questo attentato sia del precedente. Ovviamente tutte queste informazioni devono essere verificate secondo le norme della giurisprudenza locale e come avviene in qualunque inchiesta condotta a fronte di episodi così gravi.
  In ogni caso, al momento il giovane si è assunto la responsabilità dei due episodi, dichiarando che non c'erano altri elementi coinvolti nell'organizzazione degli attentati e che le bombe in suo possesso erano giusto due.
  Fornisco queste informazioni con l'intento anche di smentire uno dei passaggi chiave della propaganda del portavoce dei talebani, che aveva voluto identificare il responsabile con un bambino di undici anni e quindi presentare con l'immagine di una lotta popolare anti-invasore quanto accaduto nei giorni precedenti.
  Ciò premesso, procedo con l'approfondimento in merito al nostro impegno in Afghanistan sulla base di elementi più generali. Confermo l'intendimento del Governo di proseguire la partecipazione alla missione ISAF, il cui obiettivo ultimo è ormai prossimo, concludendola secondo i termini stabiliti al dicembre 2014.
  Evidenzio che il processo di transizione con il progressivo passaggio di responsabilità in materia di sicurezza dalle forze militari della coalizione internazionale alle forze di sicurezza afghane procede nei tempi e nei modi previsti, ma non è stato ancora concluso: 4 delle 5 fasi di transizione sono in corso, mentre la quinta, che sarà avviata a breve, si concluderà presumibilmente entro dicembre 2013.Pag. 8
  Al momento, l'87 per cento della popolazione afghana vive ormai in aree sotto il diretto controllo delle forze di sicurezza afghane. Nella regione ovest, di responsabilità del nostro contingente, già dallo scorso luglio è iniziato il trasferimento delle responsabilità della sicurezza alle autorità locali. Si è partiti dalla provincia di Herat per poi passare alle province di Badghis, di Farah e di Ghor, per un totale di 31 distretti già sotto responsabilità afghana. Ne rimangono ancora 12 da trasferire entro la fine di quest'anno.
  Per quanto concerne il livello addestrativo delle forze afghane operanti nell'area di nostra competenza, si può certamente affermare che sono già in grado di organizzare, pianificare e condurre operazioni sul terreno in quasi totale autonomia. Anche la componente dedicata allo sviluppo e alla ricostruzione, rappresentata dai cosiddetti Provincial Reconstruction Teams (PRT), è coinvolta in tale transizione, giacché le sue funzioni sono progressivamente assegnate alle autorità provinciali afghane, secondo un programma elaborato di concerto dalle componenti civili e militari e integrato nei piani generali di transizione.
  In aderenza con i progressi compiuti dalle forze afghane, i compiti del nostro contingente si concentrano sempre più sull'addestramento e sulla supervisione, pur rimanendo ancora necessaria la presenza di componenti terrestri ed aeree capaci di intervenire in caso di necessità.
  Volendo quantificare lo sforzo compiuto nel settore dell'addestramento, ad oggi sono stati formati 4 comandi a livello di corpo d'armata e di brigata, nonché 13 battaglioni di varia specialità per un complesso di circa 10.000 militari.
  Nel settore del sostegno alla ricostruzione nel 2013 le attività della nostra componente CIMIC (Civil-Military Cooperation) hanno portato alla realizzazione di una scuola nei pressi di Herat, di un poliambulatorio tra Herat e Shindand e alla riqualificazione di aree residenziali ad uso governativo, senza tralasciare la fornitura diretta di aiuti umanitari alla popolazione.
  La consistenza del nostro contingente, che per il 2013 è scesa a un livello medio di 3.100 unità ed è in progressiva contrazione, si ridurrà significativamente nel corso del 2014. Da più parti, come è noto, si chiede un'accelerazione nel ritiro del nostro contingente. Posta la necessità di procedere coerentemente con gli impegni assunti al cospetto della comunità internazionale, evidenzio due fattori ineludibili che rendono difficoltoso procedere diversamente da quanto descritto: in primo luogo, la necessità di non mettere a rischio la sicurezza dello stesso contingente in una fase particolarmente delicata qual è sempre quella del ripiegamento, procedendo con il ritiro troppo accelerato delle componenti operative; in secondo luogo, l'indisponibilità sia di sufficienti vie di comunicazione nella regione, sia di vettori aerei, terrestri e navali per la concomitante richiesta da tutti i Paesi della coalizione internazionale.
  Parallelamente al ripiegamento del contingente, sta infatti assumendo un sempre maggiore rilievo lo sforzo di rimpatrio dei mezzi e degli equipaggiamenti. Al riguardo è in corso una fase negoziale con i Paesi interessati dal transito dei nostri vettori trasporto.
  Torno al quadro complessivo per guardare più a lungo termine. Alla Conferenza internazionale sull'Afghanistan, svoltasi a Bonn nel dicembre 2011, alla quale hanno preso parte 85 Paesi e 17 organizzazioni internazionali, la comunità internazionale si è impegnata ad aiutare l'Afghanistan nel decennio di trasformazione dopo il 2014. Come già ricordato dalla collega Bonino, Chicago ha rappresentato il momento in cui si è deciso di terminare la missione ISAF entro il 2014 e di assicurare il sostegno all'Afghanistan dopo quella data attraverso una missione di consistenza molto minore e con finalità del tutto differenti.
  Queste decisioni sono state portate a conoscenza del Parlamento tempestivamente nel corso di un'audizione analoga a quella odierna sin dal 30 maggio 2012 e poi richiamate in ogni successiva, pertinente occasione. Il nostro impegno dovrà Pag. 9proseguire pertanto oltre il 2014 in termini di assistenza e addestramento alle forze di polizia afghane per consolidarne la piena ed efficace autonomia d'azione, al fine di assicurare che i risultati finora acquisiti in termini di pace sociale, sviluppo e affermazione dei diritti fondamentali delle persone non siano vanificati.
  Lo scorso 5 giugno, al vertice dei ministri della difesa della NATO abbiamo affrontato la tematica, con il fine di avviare il vero e proprio processo di pianificazione della missione che assumerà il nome di Resolute Support. Confermo che non sono più previsti compiti di contrasto all'insorgenza né di lotta al terrorismo e al narcotraffico.
  Al momento è in corso il processo decisionale sul post ISAF, quale esito di una decisione condivisa della comunità internazionale di cui l'Italia è parte. Al vertice NATO l'Italia ha espresso la disponibilità di principio ad assumere un ruolo nella fase post 2014 coerente con il nostro ruolo di questi anni. Tale disponibilità sarà sottoposta alla valutazione del Parlamento quando si dovrà tradurre in un impegno concreto.
  Vengo adesso al teatro libanese. Nel Paese le tensioni religiose, culturali e di politica interna si legano in maniera preoccupante con gli elementi di instabilità determinati dalla crisi siriana. Esistono oggettivi rischi di estensione di tale conflitto ai territori e ai Paesi confinanti. Come è noto, si sono già registrati alcuni atti bellici che hanno visto protagoniste le Forze armate israeliane, le quali hanno condotto incursioni aeree su obiettivi posti in territorio siriano con il dichiarato intento di distruggere sistemi d'arma di particolare capacità offensiva, in procinto di essere forniti alle milizie di Hezbollah per un possibile impiego contro Israele.
  Oltre agli eventi bellici veri e propri, che fortunatamente sono ad oggi rimasti episodi puntuali, si deve registrare l'effetto destabilizzante della grande ondata di profughi che, come già citato dal Ministro Bonino, dalla Siria si stanno rifugiando all'estero. Parliamo di un milione circa di siriani in Libano, con tutte le ovvie conseguenze sulla stabilità di un Paese così piccolo.
  In questo contesto ha continuato a operare UNIFIL, svolgendo a sud del fiume Litani un ruolo determinante a supporto dell'autorità locale libanese, atto a prevenire il ritorno delle ostilità con Israele. Partecipano alla missione UNIFIL circa 11.500 unità appartenenti a 37 nazioni. Al comando della missione, nonché comandante delle forze, è il Generale Paolo Serra del nostro Esercito, il mandato del quale è stato esteso sino ai primi mesi del 2014.
  L'impegno italiano attorno a 1.100 unità continua a rimanere elevato sia in termini assoluti, sia in termini relativi rispetto a quanto fatto dagli altri Paesi. Per quanto concerne l'attività svolta, sta procedendo con ottimi risultati lo sminamento e la demarcazione della Blue Line, attività nella quale il contingente italiano ha dato e sta dando prova di elevata professionalità.
  Il monitoraggio nelle aree di possibile lancio di razzi contro il territorio israeliano ha continuato ad essere condotto anche in maniera congiunta con le forze armate libanesi e anche dopo l'innalzamento dello stato di allerta per la crisi siriana. In particolare, negli ultimi mesi il numero delle attività congiunte si è mantenuto sui livelli del periodo precedente, nonostante il rischieramento che i libanesi hanno dovuto realizzare più al nord in risposta alla crisi siriana.
  Continua anche l'attività di supporto alla società civile libanese con il sostegno al settore scolastico, la donazione di medicinali, la realizzazione di pozzi ad uso potabile e il miglioramento della rete viaria. La forza dell'ONU rimane un imprescindibile elemento di stabilità in un'area caratterizzata da fortissime tensioni e la sua postura rimane quella determinata dal mandato conferito con la risoluzione n. 1701 dell'agosto 2006.
  Il livello di allerta è ovviamente elevato, con l'adozione di innalzate misure di sicurezza per tutto il personale coinvolto. Il nostro intendimento è di proseguire nella Pag. 10missione, continuando ad assicurare il contributo attuale in aderenza con le attese della comunità internazionale, delle Nazioni Unite in particolare, nel cui ambito la leadership italiana della missione continua ad essere particolarmente apprezzata.
  Spostando ora l'attenzione sui Balcani, in Kosovo prosegue la missione KFOR sotto l'egida della NATO. L'Alleanza atlantica ha pianificato un disimpegno progressivo che, a partire da un contingente in teatro di 15.000 militari, prevede, attraverso tre passi successivi denominati gates e calendarizzati ogni 4-8 mesi, da approvare volta per volta dal Consiglio del Nord Atlantico, il passaggio alla fase di minima presenza (2.250 unità) da attuare in un arco di tempo tra 12 e 24 mesi.
  Il passaggio al gate 2 è stato attuato nel mese di marzo 2011, comportando anche per il contingente nazionale una riduzione con il passaggio da circa 1.300 a 525 unità. Un'ulteriore riduzione della partecipazione nazionale all'operazione sino a 319 unità era stata pianificata in concomitanza con la fase denominata gate 3, inizialmente prevista a partire dal mese di novembre 2011. I disordini occorsi dal mese di luglio 2011 nel nord del Kosovo e le successive tensioni hanno però evidenziato l'insussistenza delle necessarie condizioni di sicurezza, ragion per cui il Consiglio del Nord Atlantico non ha ancora deliberato il passaggio al gate 3.
  Negli ultimi mesi il contingente nazionale ha continuato ad assicurare la sorveglianza ai siti religiosi serbo-ortodossi sensibili, segnatamente a quelli di Pec – in via di transizione alla Kosovo Police – e Decani. Siamo, inoltre, nazione di riferimento per quanto attiene all'addestramento delle forze di sicurezza kosovare. Ricordo come nel corso del 2012 l'Italia abbia inviato in quel teatro per sei mesi un contingente aggiuntivo di circa 600 unità, per far fronte all'innalzato livello di tensione. Quest'anno tale reggimento è tenuto di riserva in Italia.
  Per quanto attiene alla rappresentatività nazionale in KFOR, atteso che l'Italia in ragione della sua contribuzione ricopre la terza posizione nel ranking delle nazioni partecipanti dopo Stati Uniti e Germania, durante l'ultima Flag-to-Post Conference del 9 aprile ultimo scorso è stata ufficializzata la prossima acquisizione da parte italiana della leadership della missione. Ciò comporterà un limitato incremento del nostro contingente, al fine di supportare il nostro comandante, Generale Salvatore Farina, che assumerà il comando a partire dal 2 settembre.
  Vengo ora alle operazioni internazionali per contrastare il fenomeno della pirateria, richiamando alcuni dati che ne dimostrano l'efficacia. I dati dimostrano la validità delle soluzioni adottate: ai 29 mercantili e più di 650 marittimi tenuti sotto sequestro nel gennaio 2011 si contrappongono i 2 mercantili e 60 marittimi dello scorso aprile. L'ultimo rilascio, avvenuto il 10 marzo ultimo scorso dopo una lunga trattativa per la definizione della quota del riscatto, ha interessato la motonave Smyrni (bandiera liberiana, armatore greco), con un equipaggio di 26 uomini e priva al momento del sequestro di un team di sicurezza imbarcato.
  In sintesi, l'azione coordinata delle forze navali, la maggiore conoscenza delle procedure difensive e l'impiego di team di sicurezza militari e civili stanno arginando gli effetti del fenomeno. Questi risultati, per quanto incoraggianti, non devono tuttavia indurre ad abbassare la guardia. Si dovrà continuare a operare almeno sino a quando nei Paesi in cui si origina il fenomeno della pirateria non saranno presenti autorità in grado di prevenire e controllare su base legale e sociale il fenomeno.
  Al riguardo, la comunità internazionale e in primis l'Unione europea si stanno apprestando ad avviare iniziative di lungo termine come la missione denominata EUCAP Nestor, volta a sviluppare le capacità di controllo del mare da parte degli stessi attori regionali, nonché la missione e EUTM Somalia, finalizzata a ricostituire le forze di sicurezza somale.
  A tutte queste iniziative l'Italia dà un significativo contributo sul mare con la presenza costante di navi della Marina Pag. 11nell'Oceano indiano, alternativamente sotto la bandiera europea nel contesto dell'operazione Atalanta o sotto la bandiera della NATO nell'ambito dell'Operazione Ocean Shield, di cui l'Italia ha avuto il comando fino allo scorso 7 giugno con la nave San Marco.
  Al momento, il contributo italiano è dato dalla fregata Zeffiro, che è inserita nell'Operazione Atalanta. Continuano inoltre ad operare i nuclei militari di protezione della Marina militare. Il ben noto evento che ha coinvolto i fucilieri di Marina Latorre e Girone non deve condizionare la valutazione dei risultati conseguiti in circa un anno e mezzo di attività, periodo durante il quale è stata assicurata con successo la protezione di oltre 170 mercantili battenti bandiera italiana.
  A terra, alla missione EUCAP Nestor contribuiamo con personale di staff, mentre per la missione EUTM Somalia partecipiamo sia alle attività di addestramento condotte attualmente in Uganda, sia allo staff di comando, coprendo in particolare la posizione di Comandante del team di assistenza che dall'aprile scorso è dispiegato a Mogadiscio, e la posizione di consulente strategico da affiancare alla figura del Ministro della difesa della Somalia. Abbiamo dispiegato da pochi giorni a Mogadiscio anche un nucleo personale con funzioni di supporto alla sicurezza.
  Rimanendo sul continente africano, vorrei richiamare l'attività di cooperazione in Libia, che rinsalda e rafforza rapporti storicamente intensi, mai venuti meno neppure nei momenti più critici degli ultimi anni. È nel nostro interesse che la situazione locale evolva positivamente con una riduzione dell'instabilità e l'affermazione dell'autorità centrale. In particolare, la nostra missione CIRENE vede attualmente i nostri militari impegnati in attività di addestramento e sostegno allo sviluppo delle capacità delle Forze locali.
  Stiamo fornendo addestramento specialistico in Italia presso le scuole del Genio sia per la bonifica di ordigni esplosivi, sia per la condotta e la manutenzione dei mezzi blindati che stiamo fornendo loro (20 blindati leggeri Puma). Sono in corso anche attività di addestramento sulle tecniche investigative condotte dai Carabinieri a favore di circa 20 loro agenti di polizia.
  Anche l'Unione europea è attiva in Libia con la missione EUBAM di assistenza alle autorità locali per il controllo delle frontiere. Tale missione sta muovendo i suoi primi passi e verificheremo se potrà contribuire a innalzare il livello di sicurezza e di controllo del territorio. Sempre riguardo alla Libia sappiamo come negli ultimi giorni la situazione politica stia mostrando segni di ulteriore fragilità. La Difesa è ovviamente pronta ad assicurare il suo supporto a eventuali misure di salvaguardia dell'incolumità dei nostri connazionali in loco, qualora ciò dovesse malauguratamente rendersi necessario.
  Vengo ora alla missione dell'Unione europea EUTM Mali, nella quale è impiegato un nucleo di nostri militari. È iniziato l'addestramento del primo dei quattro battaglioni dell'esercito locale su 15 complessivi. Più propriamente si tratta di un riaddestramento, perché questi reparti facevano già parte delle locali forze armate in gran parte allo sbando.
  Concludo ricordando le altre missioni internazionali in corso, di più ridotto impegno ma che mantengono il loro significato per la salvaguardia della pace e della legalità internazionale in piena coerenza con le nostre linee di politica estera. Mi riferisco alle missioni dell'Unione europea ALTHEA in Bosnia, EUBAM a Rafah, EUCAP in Niger, EUMM in Georgia, alle missioni dell'ONU UNFICYP a Cipro, UNAMID in Darfur, UNMISS in Sud Sudan, alle missioni TIPH 2 a Hebron, all'operazione NATO Active Endeavour nel Mediterraneo e ai circa 95 militari che operano negli Emirati Arabi Uniti per garantire il sostegno logistico alle nostre Forze in Afghanistan.
  Per completare il quadro, ricordo alcune altre missioni avviate da vecchia data sulla base di accordi a suo tempo approvati dal Parlamento e, quindi, non comprese nel periodico decreto di proroga. Mi riferisco alle missioni MINURSO in Marocco, Pag. 12UNMOGIP fra India e Pakistan, UNTSO in Libano e Israele, MFO in Sinai e alle nostre missioni di cooperazione a Malta e in Albania. Queste ultime impegnano complessivamente in media 300 nostri militari.
  Il quadro che ho delineato evidenzia come da molti anni si sia sviluppata l'azione internazionale per la gestione della crisi e la salvaguardia della pace, e il significativo contributo sostenuto dalle nostre Forze armate. Come è noto, il provvedimento di copertura finanziaria delle missioni internazionali attualmente in vigore terminerà i suoi effetti al 30 settembre di quest'anno. Sarà pertanto necessario provvedere al finanziamento per gli ultimi tre mesi del 2013, e il Governo non mancherà di trasmettere tempestivamente al Parlamento il provvedimento relativo.
  Signori Presidenti, onorevoli colleghi, nel rispetto dei dettati costituzionali Governo e Parlamento (quest'ultimo quasi sempre a grandissima maggioranza) hanno definito e deciso scelte fondamentali sul tema dell'impegno responsabile del nostro Paese per la stabilità e la sicurezza collettiva attraverso l'impegno nelle missioni internazionali.
  Sono state così segnate, come esposto dal Ministro Bonino, le nostre pietre miliari di politica estera e di difesa. È su questa strada che il Governo intende procedere con il consenso del Parlamento sempre a fronte del quadro sociale, economico finanziario generale, ma nella consapevolezza che la sicurezza e il ruolo internazionale dell'Italia restano priorità ineludibili.
  Mi scuso per la lunga esposizione, ma era esattamente corrispondente a quanto fatto dalle nostre Forze armate.

  PRESIDENTE. Grazie. Poiché si sono iscritti già undici colleghi, darei prioritariamente la parola a un rappresentante per Gruppo raccomandando tempi abbastanza stretti, direi circa tre minuti a intervento.
  Do, quindi, la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Grazie, Presidente. Ringrazio i Ministri per la puntualità dei loro interventi e per gli elementi offerti alla nostra considerazione, delineando un quadro naturalmente complesso e che sottolinea anche il moltiplicarsi dei focolai di crisi e delle difficoltà. Ringrazio soprattutto il Ministro Bonino, che in questa sede ha voluto sottolineare – con una forza senza precedenti – anche il ruolo e il valore della componente civile nelle missioni internazionali, la parte della cooperazione troppo spesso trascurata dalla politica in senso generale.
  Questa complessità e questa difficoltà impongono l'esigenza di una riflessione profonda, nuova, anche originale su questi temi che hanno profili molto delicati. Una riflessione che deve avere un largo coinvolgimento, deve investire anche l'opinione pubblica del nostro Paese e deve avere al centro l'iniziativa del Parlamento.
  Per questo i gruppi della Camera e del Senato del Partito Democratico tornano a chiedere, così come abbiamo fatto nella scorsa legislatura, un'indagine conoscitiva sul piano di sicurezza e difesa nazionale, sulla scorta di quanto è avvenuto in altri grandi Paesi europei. Mi riferisco al Libro Bianco realizzato in Francia proprio attraverso il largo coinvolgimento dell'opinione pubblica nella discussione.
  Questa riflessione non può che partire dalla necessità di commisurare i mezzi disponibili in tempo di crisi con i fini, ovvero la tutela dell'interesse nazionale e il ruolo del nostro Paese nella costruzione della sicurezza e della pace globale. In questo tempo di crisi non è facile commisurare le risorse a queste iniziative anche per l'impopolarità, in quanto parlando di Forze armate e di investimenti in armamenti tocchiamo tasti molto scomodi, impopolari, difficili da spiegare ai nostri concittadini.
  Questo è tuttavia necessario soprattutto in questa fase di difficoltà, in cui si sono ridotte la disponibilità e anche la nostra presenza nelle missioni internazionali. Infatti negli anni 2006-2007 abbiamo avuto Pag. 13anche 10.000 uomini contemporaneamente impegnati in missioni all'estero, mentre oggi ne abbiamo 5.000-6.000.
  Appare, quindi, necessario ridefinire anche le priorità strategiche che costituiscono l'interesse nazionale. È stato fatto riferimento a missioni in cui il ruolo dell'Italia è quello di protagonista, in particolare la missione in Libano. Nella scorsa legislatura, con una delegazione parlamentare abbiamo potuto constatare il valore della presenza italiana che qualche volta è stata messa in discussione, il bilancio invisibile costituito dalle vite salvate perché da quando ci sono i nostri militari non si sono più verificati gravi incidenti. È il bilancio della pace che dobbiamo rivendicare con grande forza e grande orgoglio.
  A ciò si aggiungano le difficoltà in Libia, le notizie di cronaca degli attentati di ieri, la nostra presenza in Kosovo che continua ad essere molto importante, anche perché probabilmente il gate 3 citato dal Ministro Mauro continuerà ad essere rinviato (non abbiamo motivi di ottimismo), l'Africa e in particolare la Somalia con una fragilità che, come evidenziato dal Ministro Bonino, dobbiamo affrontare e che è collegata anche al tema della pirateria.
  Qui voglio aprire una piccola parentesi esprimendo la solidarietà di tutte le Commissioni ai due Marò, ma dobbiamo tornare ad affrontare un tema che riguarda la definizione più puntuale e precisa dell’iter normativo per evitare che casi simili possano ripetersi. C’è infatti un problema legislativo che ci interpella direttamente e che dobbiamo toccare.
  Passo velocemente al punto critico, l'Afghanistan. Il Ministro Mauro ha evidenziato come sia già stata fissata la data del ritiro, dicembre 2014, ma anche come la presenza internazionale in tale teatro continuerà. Poiché dobbiamo rimettere ordine nelle priorità relative alle nostre possibilità, probabilmente su questo aspetto il Parlamento dovrà dire una parola più chiara sul «se» e sul «come».
  A questo proposito considero necessario, per il problema che emerge sul post ISAF, individuare quale sia il ruolo del Parlamento nell'ambito del rapporto con il Governo nel processo autorizzativo delle missioni internazionali. È il tema vero che abbiamo messo al centro dell'iniziativa legislativa quando nelle due legislature precedenti i diversi Gruppi hanno presentato le proposte di legge sulla legge quadro sulle missioni, ed è il tema su cui si è regolarmente arenato lo sforzo del Parlamento.
  Credo che in questa legislatura dovremo tornare a lavorare per dare finalmente una soluzione positiva a questo tema, varando la legge quadro sulle missioni e rispondendo a questo punto.
  Per quanto riguarda infine la durata del finanziamento, è stato già ricordato che attualmente è di 9 mesi, per cui a settembre dovremo affrontare un altro passaggio. Auspico che si torni alla durata annuale perché, come giustamente affermato dal Ministro Bonino, è necessario avere certezze per poter pianificare in maniera più efficace e più efficiente la nostra presenza internazionale. Grazie.

  LUCA FRUSONE. Ringrazio i Ministri per la loro presenza. Sarò breve anche perché mi riallaccerò alle considerazioni dell'onorevole Garofani.
  Mi preme focalizzare l'attenzione non sulle singole missioni, ma su tutte le missioni italiane all'estero. Riteniamo, infatti, che la prassi di varare un decreto di proroga delle missioni internazionali vada a soffocare il dialogo su argomenti molto importanti. Pertanto, se a breve saremo costretti di nuovo a votare per tutto e niente, la nostra posizione è già ben chiara. Grazie.

  SALVATORE CICU. Signori Ministri, credo che l'attenzione data alle vostre argomentazioni debba poi servire ad aprire una riflessione per capire in che modo riarticolare tutto il sistema.
  C’è stata un'importante e qualificata esposizione in linea di continuità con quanto abbiamo realizzato in quest'ultimo decennio in termini di interventi di pace con riguardo sia alla presenza militare sia alla cooperazione, ma oggi siamo in una Pag. 14fase in cui occorre voltare pagina dando una dimensione diversa agli eventi, cercando di gestirli preventivamente e di individuare gli obiettivi e gli strumenti e i mezzi con cui perseguirli.
  L'esempio dell'Afghanistan evidenzia come quanto ho richiamato debba vedere la centralità dell'intervento che riguarda lo sviluppo dei Paesi in cui la nostra presenza è così importante, un progetto di sviluppo che deve tenere conto dei risultati conseguiti e degli obiettivi colti. Oggi, in Afghanistan una parte prevalente della popolazione può andare al voto e contribuire a creare istituzioni democratiche. Guardare alla costruzione di una nazione con istituzioni democratiche diventa un obiettivo serio, credibile, autorevole e forte anche accanto a quello che la nostra opinione pubblica potrebbe recepire meglio e che riguarda il concetto di sicurezza nazionale, che condivido e sostengo.
  La nostra opinione pubblica, infatti, capisce poco cosa significhi questo concetto e ritiene che l'Italia si rechi in teatri lontani ad affrontare guerre non comprese, che non riguardano la sicurezza dei nostri confini. Forse lavorare meglio e di più su tale concetto di sicurezza nazionale potrebbe fornire un contributo diverso anche per la valutazione delle risorse da stanziare in sede di copertura finanziaria, basti pensare a quelle che riguardano la proroga delle nostre missioni internazionali e alla disponibilità in termini di cooperazione e di partecipazione per i progetti civili.
  Non dimentichiamoci che a fronte di 500 milioni di euro da una parte, 135 milioni dall'altra, 400 milioni dall'altra ancora, oggi – dalla disamina dei nostri Ministri – non ho colto in maniera realistica quali siano i risultati ottenuti, mentre sarebbe un passaggio fondamentale anche per il Parlamento capire meglio quali obiettivi e quale significato assuma la nostra partecipazione.
  Se infatti ci soffermiamo su un'elencazione di missioni in parte conosciute e sul loro stato «temporaneo» senza avere uno sguardo che va oltre, allora il contributo che possiamo dare nell'ambito del rapporto Parlamento-Governo si esaurisce in una nostra partecipazione minima.
  Considero, quindi, auspicabile un momento di approfondimento che cerchi di riassestare, riarticolare e rivedere il sistema anche sulla base del modello italo-libanese, che riesce a contemperare, a capire, ad avere rispetto delle culture esistenti, a rendersi vero mediatore e a rapportarsi nella costruzione di un processo di vero equilibrio e di partecipazione democratica.
  Su questi aspetti non possiamo disattendere un'altra centralità, ossia quella della riforma dello strumento militare, pur cui dovremo passare da 190.000 unità a 150.000, Peraltro, alcuni decreti attuativi stanno per essere portati all'attenzione del Parlamento.
  Abbiamo urgenza di capire come procedere sia perché è stata trasmessa una relazione relativa a una programmazione realizzata dal precedente Ministro e non sappiamo se e in quali termini l'attuale ministro la confermi, sia perché oggi c’è urgenza che le forze politiche di questo Parlamento possano dare il loro contributo per chiarire la funzione della nostra partecipazione di pace nel mondo e soprattutto la nostra visione di politica estera, necessaria soprattutto all'interno dell'Europa.
  Vorrei infatti che non ci sfuggisse che l'Inghilterra quando è il momento di lasciare i teatri lo fa senza alcun problema, che la Francia l'ha già fatto e che in tal modo si guarda più a situazioni che interessano aspetti nazionali che alla generosità e disponibilità in termini di visione complessiva.

  DOMENICO ROSSI. Presidente, vorrei innanzitutto ringraziare i due Ministri perché dal combinato disposto delle due relazioni è emerso un dato a mio avviso inconfutabile. Mi riferisco al fatto che la cornice di sicurezza realizzata dalle Forze armate italiane nei vari contesti è stata la conditio sine qua non o una condizione preminente per poter realizzare obiettivi di cooperazione di carattere civile, di assistenza Pag. 15alla popolazione, in particolare alle donne in determinati contesti.
  Credo che questa sia la pietra miliare della relazione di oggi: dobbiamo riconoscere che nei vari teatri operativi in cui siamo intervenuti, pur con tutte le difficoltà, i limiti o i vincoli, non solo si è prodotto qualcosa ma si sono conseguiti risultati assoluti.
  Questa mattina, durante la commemorazione del maggiore La Rosa, ho colto alcuni dati, uno dei quali avrebbe già da solo ragione di giustificare il nostro percorso in Afghanistan. Mi risulta che oggi siano circa 7 milioni i ragazzi che vanno a scuola e che il 35 per cento di questi è costituito da donne, a fronte dei 900.000, solo maschi, di quando vi era il regime talebano. Basterebbe questo per poter affermare in termini assoluti che l'Italia ha portato quello che è il valore fondamentale dell'evoluzione di un Paese, la cultura e il futuro, che può costruirsi unicamente attraverso l'istruzione e il progresso culturale.
  Non mi soffermo su altri aspetti perché questo era quello essenziale. Ne ho citato uno che per me è fondamentale, ma è la prova di come la cooperazione militare e civile possa creare le basi in Paesi in cui la democrazia è assente o esiste solo un parziale sviluppo dei princìpi e dei valori cui ci ispiriamo per consentire a queste popolazioni una libera autodeterminazione del proprio futuro.
  Mi associo pertanto non solo alle conclusioni di condivisione delle nostre missioni, ma anche a quanto i colleghi hanno evidenziato nel ruolo propositivo, di suggerimento e di controllo del Parlamento su quello che devono essere le missioni nel contesto delle possibilità del nostro Paese, per riaffermare che queste sono un punto cardine non solo per la sicurezza del nostro Paese ma anche perché il ruolo internazionale dell'Italia possa essere quello che ci compete. Grazie.

  ARTURO SCOTTO. Signor presidente, signori Ministri, purtroppo in tre minuti si rischia di pronunciare esclusivamente degli slogan e non di fare una riflessione articolata come meriterebbero la discussione di oggi e le relazioni molto ricche e interessanti.
  È chiaro che siamo arrivati al tempo del bilancio, non possiamo immaginare di passare questo anno senza fare una riflessione autentica sul destino e sulla natura delle missioni, su cosa è accaduto in alcuni teatri. Se posso dirlo in maniera sommessa ma determinata, ho l'impressione che manchino gli elementi di svolta nella politica estera del nostro Paese e nella scelta di operazioni più coraggiose in alcuni teatri.
  Lo abbiamo detto questa mattina al Ministro Mauro: sull'Afghanistan, dopo dodici anni, non si può non riflettere attentamente su quale è stato lo sbocco della lunga fase delle missioni e su come anticipare l'uscita dalla missione ISAF potrebbe favorire, anziché far arretrare, un processo di pacificazione in quel teatro di guerra.
  Contemporaneamente siamo molto convinti della posizione dell'Italia sulla Siria e siamo convinti che stiamo facendo bene a non accompagnare i rischi che alcuni Paesi dell'Unione europea, nostri alleati storici, stanno correndo con le loro aperture sul terreno dell'embargo. Adesso occorre intervenire in maniera molto più forte sulla cornice e sulla natura del processo di Ginevra, perché lì c’è la possibilità di spegnere gli incendi appiccati a livello regionale nell'area del Medio Oriente.
  In Medio Oriente si sta infatti giocando una guerra asimmetrica: varie potenze regionali ed extraregionali hanno l'interesse a giocare in quel teatro, mentre noi abbiamo una funzione fondamentale se siamo in grado di far funzionare la diplomazia, l'intelligenza e l'equilibrio.
  Dobbiamo andare rapidamente a una riforma dello strumento delle missioni. Con l'onorevole Duranti che interverrà dopo di me, la nostra capogruppo alla Commissione difesa, abbiamo presentato una proposta di legge: chiediamo lo spacchettamento delle missioni.
  Siamo d'accordo con la proposta avanzata dal Partito Democratico, perché bisogna Pag. 16avviare una riflessione sulle strategie di sicurezza nazionale come in altri Paesi.
  In terzo luogo, abbiamo chiesto ai Presidenti delle Commissioni esteri e difesa lo svolgimento di un'indagine conoscitiva sulle missioni, che è fondamentale per arrivare a quella misura che prima auspicavo.
  In quarto luogo, ha ragione il Ministro Bonino: la cooperazione è centrale e va rilanciata, per questo dobbiamo con urgenza avviare l’iter legislativo per una nuova legge sulla cooperazione.

  GIANLUCA PINI. Cercherò di essere brevissimo. Premesso che le audizioni dovrebbero servire a darci non solo dei numeri sullo stato attuale ma anche delle prospettive, credo che nelle relazioni di entrambi i ministri manchino le prospettive su tre principali scenari. Il primo è quello del Libano, per cui sarebbe opportuno fare un ragionamento sulla prospettiva della missione qualora il Libano dovesse essere risucchiato nella guerra civile siriana (il Ministro Bonino ha parlato dello spillover che potrebbe verificarsi da un momento all'altro).
  È necessario, quindi, capire le prospettive della missione attuale, perché voi avete parlato della missione così com’è adesso, senza un eventuale coinvolgimento del Libano nello scenario siriano in maniera drammatica.
  In secondo luogo, per quanto concerne la questione afghana, alcuni colleghi hanno già richiamato il ruolo del Parlamento che deve essere per forza autorizzativo, e qui viene una domanda abbastanza delicata e cruda. Il passaggio del Ministro Mauro sul post ISAF 2014 è stato molto fumoso, in quanto ha affermato che cercheremo di rimanere per formare le forze militari e le forze di polizia afghane affinché controllino il territorio in maniera efficace.
  Da come è stato posto, quindi, si tratterebbe di qualcosa ancora da decidere, mentre tutta la stampa internazionale e i siti web che si occupano di difesa e di sicurezza delineano una situazione già decisa a Bruxelles nei giorni scorsi, durante la riunione dei Ministri della difesa della NATO, che prevederebbe una separazione in cinque blocchi dell'Afghanistan e il mantenimento dell'impegno già assunto dall'Italia nella parte occidentale, senza definire il numero delle persone che saranno impiegate.
  Vorremmo capire, quindi, se sia vero quanto la stampa internazionale riporta in merito a un impegno già assunto dall'Italia, laddove sarebbe gravissimo aver assunto un impegno per il 2015 senza arrivare in Parlamento a discutere prima di chiudere la partita ISAF 2014.
  Ultima cosa: la questione della rappresentanza diplomatica in Somalia. Riteniamo che senza un supporto militare adeguato, esista un rischio che non possiamo far correre ai nostri rappresentanti diplomatici.
  Vorrei chiedere ai Ministri di chiarire questo aspetto, perché sarebbe un azzardo che potrebbe portare a conseguenze letali.

  EDMONDO CIRIELLI. Signori Ministri, questa mattina ho apprezzato la relazione sulla vicenda della Turchia, che ha evidenziato una posizione molto coraggiosa, così come anche la difesa della missione ISAF, e dei risultato conseguiti in Afghanistan.
  Desidero tuttavia sottolineare con la stessa franchezza di essere dispiaciuto che ancora una volta la vicenda dei due Marò venga affrontata in maniera del tutto incidentale, se non per caso solo dal Ministro Mauro. Lo dico non perché voglio sollevare una questione formale, ma perché la questione dei Marò rappresenta una questione di politica estera e di sicurezza delle nostre missioni internazionali.
  Non riusciamo infatti a garantire un quadro di sicurezza giuridica a militari che impegniamo nelle missioni internazionali, militari che hanno uno status quasi diplomatico, che agiscono nell'ambito di alleanze o di organizzazioni di cui facciamo parte e nel caso specifico addirittura dell'ONU. Si tratta di situazioni che si traducono in un mancato rispetto della nostra sovranità, nella scarsa solidarietà Pag. 17(per colpa nostra soprattutto) dei nostri alleati della NATO e dell'Unione europea, mentre le Nazioni Unite non sono state sufficientemente coinvolte.
  La vicenda, che tanti definiscono un atto di pirateria internazionale da parte dell'India nei confronti dell'Italia, poteva infatti essere affrontata anche in tema di diritto internazionale come controversia tra Stati.
  È quindi necessario intervenire con forza. Lo dico perché le nostre missioni devono svolgersi in una cornice di sicurezza dei nostri militari, fatto molto importante perché posso garantire al Ministro Bonino che c’è malumore nelle Forze armate e tra i molti giovani precari che in Afghanistan rischiano la vita.
  Questo è un problema, signor Ministro, che lei deve affrontare con decisione, meglio di quanto sia stato fatto dai governi precedenti a prescindere dal colore politico. Sul resto sostanzialmente condivido le relazioni che mi sembrano in continuità con le politiche estere e di difesa che i governi di centrodestra e di centrosinistra hanno svolto, compreso l'ultimo governo tecnico.
  Desidero soltanto sottolineare due aspetti da focalizzare. Sull'Afghanistan non mi soffermo perché ne ho parlato questa mattina, ne hanno parlato l'ex Ministro La Russa e tanti colleghi, ci muoviamo in un quadro definito in via internazionale e abbiamo raggiunto l'importante obiettivo di sconfiggere una base del terrorismo internazionale, quindi lo Stato talebano è stato abbattuto.
  Abbiamo partecipato a un'importante missione di pace che ha dato risultati rilevanti, a cui ha accennato l'onorevole Rossi, quindi i nostri soldati hanno fatto bene il loro dovere e non sono caduti invano né si potrebbe sostenere che vi sia stato uno spreco di denaro pubblico. Ne abbiamo impegnato molto, ma l'abbiamo fatto per difendere la sicurezza internazionale e la pace nel mondo.
  Due segnalazioni. Vicenda Libano: quello che dice il collega Pini è importante, perché bisogna essere pronti anche a scenari più drammatici, che nessuno di noi auspica, come un coinvolgimento diretto non soltanto nella crisi siriana, tenendo conto del partito filosiriano degli Hezbollah in Libano, attesa la posizione di precario equilibrio con Israele. I nostri militari impegnati nella missione UNIFIL potrebbero quindi trovarsi coinvolti in una situazione difficile.
  Rispetto alla vicenda del nord Kosovo siamo molto felici che il Governo serbo abbia raggiunto con una grande cessione di sovranità e una grande disponibilità questo accordo internazionale con il Kosovo, probabilmente andando oltre quello che si poteva pretendere dalla Serbia, ma a maggior ragione gli abitanti serbi del nord Kosovo non possono essere abbandonati a loro stessi.
  L'Italia, che ha una tradizionale influenza nel territorio, deve assumersi le sue responsabilità e io che, nella precedente legislatura, ho personalmente guidato in Kosovo una delegazione della Commissione difesa posso garantire che i kosovari e i serbi del Kosovo sono concordi sull'importante ruolo di equilibrio svolto degli italiani. Da questo punto di vista dobbiamo marcare una maggiore presenza anche per un interesse strategico nell'area.

  PRESIDENTE. Abbiamo terminato gli interventi dei Gruppi, ma ne abbiamo numerosi altri per cui dovremo passare tragicamente da tre minuti a un minuto. Do quindi la parola al senatore Tonini.

  DONATELLA DURANTI. Mi scusi, Presidente, però non è possibile: in un minuto non riesco neanche a dire buongiorno, anche perché pensavamo potessero intervenire almeno i capigruppo in Commissione difesa e Commissione esteri. Credo che questa sia un'audizione di una tale importanza che un minuto è mortificante !

  GIORGIO TONINI. Proverò in un minuto a dire tre cose. La prima è chiedere al Ministro Bonino una valutazione dei risultati della nostra presenza in Afghanistan. Stiamo andando verso la fase conclusiva, per cui vorrei sapere quale sia il Pag. 18bilancio perché ci arrivano notizie e opinioni molto contrastanti e mi interessa una valutazione sintetica del Governo per capire se abbiamo fatto qualcosa di buono e di durevole in vista della scadenza del 2014.
  In secondo luogo vorrei chiedere una valutazione del teatro libanese. Quella missione era stata pensata per «comprare tempo» in vista di un possibile accordo politico tra Israele e Libano e soprattutto tra israeliani e palestinesi. Abbiamo comprato diversi anni ma forse siamo a uno stadio più arretrato rispetto a otto anni fa. Credo che anche su questo il Ministro Bonino abbia notizie interessanti sul lavoro che sta facendo.
  La terza e ultima questione è quella dell'Europa. Il Consiglio europeo di dicembre mi sembra un appuntamento cruciale e credo che sia una passaggio strategico per capire come ridisegnare le nostre missioni alla luce di un più diretto, auspicabile coinvolgimento di responsabilità europea.

  CRISTINA DE PIETRO. Signor presidente, chiedo più tempo visto che il mio collega di gruppo si è limitato nel suo intervento. Ringrazio i Ministri per averci riferito. Tenderei a parlare della missione in Afghanistan che è di gran lunga la più importante e crea maggiori problemi al nostro Paese.
  La situazione, ora come in passato, non è sotto controllo e dubitiamo che potrà esserlo fra poco più di un anno, quando il contingente internazionale si ritirerà. È una missione che ci è costata molto in termini di perdite umane e di investimento economico.
  Facciamo una riflessione su episodi particolari di cui abbiamo avuto notizia, che sono i cosiddetti attacchi green on blue, che ci risulta siano classificati dalle forze ISAF, quindi chiederemmo al Governo di fornirci notizie su questo. Ci induce a una riflessione proprio il fatto che questi attacchi siano perpetrati da forze militari afghane, che sono le stesse che i nostri contingenti dovrebbero formare, preparare e assistere nella fase di transizione per poter poi prendere il controllo della sicurezza del Paese.
  Poiché già in questa situazione non riusciamo a garantire la sicurezza delle nostre stesse forze ISAF, ci chiediamo come si possa pensare di lasciare un Paese in una condizione di relativa sicurezza. Ci chiediamo inoltre se alla luce di questo non sia valutabile un ritiro anticipato delle nostre forze e come possa avere ancora un senso una missione che spesso non può garantire la sicurezza delle forze che devono intervenire.
  Non mi è parso molto chiaro quali siano le tappe di ritiro, se i nostri alleati, in particolare gli Stati Uniti, abbiano fornito dettagli in merito a queste, alle quali anche noi dovremmo attenerci, e quanto sarà possibile ridurre la nostra partecipazione di qui alla fine del 2014. Vorremmo inoltre sapere quali risultati stia ottenendo lo sforzo compiuto per accompagnare le prossime consultazioni elettorali e creare condizioni per un'elezione che coinvolga il maggior numero di soggetti possibile, quali garanzie si possano avere sul fatto che le nostre forze in Afghanistan siano effettivamente efficaci a questo scopo e come il Governo pensi di continuare a supportare anche con stanziamenti maggiori la cooperazione allo sviluppo in Afghanistan se oggi con la presenza militare non riesce a garantire neppure la sicurezza dei funzionari delle Nazioni Unite presenti nella cosiddetta «zona rossa» di Kabul.
  A proposito della Siria, poi, come Movimento 5 Stelle abbiamo presentato una mozione affinché il Ministro possa avere un mandato forte dal Parlamento per sostenere ogni sforzo che restituisca significato alla prevista e purtroppo rimandata Conferenza di pace di Ginevra 2 e prospettive reali di una soluzione diplomatica alla crisi siriana.
  In questo contesto chiediamo al Ministro se intenda sostenere ancora quanto ha dichiarato in precedenza alla stampa, cioè che l'Italia non consentirà la fornitura di armi. Speriamo di poter ricevere risposte chiare e semplici a questi quesiti che molti italiani si pongono.

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  PAOLO ROMANI. Parto dalla considerazione del Ministro Bonino che ha condannato lo schieramento di Hezbollah a favore di Assad in Siria, ma nel contempo anche le infiltrazioni sunnite da parte di coloro che combattono l'esercito lealista di Assad.
  Parto da una considerazione che nasce da una visione della carta geografica da est verso ovest. Partendo dall'Afghanistan, noi combattiamo i talebani che sono di obbedienza sunnita, sorvoliamo l'Iran che è di obbedienza sciita, passiamo sopra l'Iraq dove abbiamo un governo sciita del quale fa parte il partito di Muqtada al-Sadr, famoso sciita fondamentalista anzi radicale (forse anche ex terrorista), dove la minoranza sunnita è stata cacciata ed è scappata a nord chiedendo asilo ai curdi, per arrivare in Siria dove ci troviamo gli Alawiti sciiti che combattono insieme a Hezbollah sciita contro i sunniti infiltrati anche dall'Iraq insieme ai quaedisti e jihadisti.
  Piccolo particolare: Hezbollah è un partito dell'attuale governo libanese, quindi non è che gli sciiti siano cattivi, i sunniti siano buoni o viceversa, ma la confusione in tutta l'area è tale che alle cancellerie occidentali risulta difficile prendere parte per l'uno o per l'altro schieramento in base a motivi di carattere storico.
  Se è vero, come è vero, che tutti questi Paesi (tranne forse l'Iran) sono disegnati sulla cartina dalle vecchie cancellerie occidentali, che nulla hanno a che fare con i Paesi che esistevano allora, e vi sono processi identitari in termini di nazione che devono ancora nascere o non si sono ancora conclusi, è immaginabile oggi che per qualsiasi cancelleria occidentale sia difficile capire da quale parte stare.
  L'impressione che noi abbiamo dai media e dalla miopia della politica estera americana (non avrebbero invaso l'Iraq o preso altri abbagli se non fossero stati miopi) e che mi preoccupa molto è la mancanza di equidistanza rispetto alle parti in gioco ad esempio in Siria, dove si gioca la partita più importante di tutto il Medio Oriente, con Assad, gli Alawiti, la minoranza cristiana ed Hezbollah che non hanno nessuna voglia di recedere rispetto alle posizioni, e che anzi sembra che militarmente possano prevalere contro un esercito regolare o irregolare fatto da minoranze sunnite o minoranze di altri Paesi a cui si sono aggiunti personaggi provenienti da tutto il mondo, che poco hanno a che fare con un regime democratico.
  Mi preoccupa che ancora una volta potremmo inseguire velleità di cancellerie occidentali che poco e male conoscono queste aree, come ad esempio in parte è accaduto in Libia. Su questo mi piacerebbe avere maggiore chiarezza, perché penso che sia il punto centrale della politica estera italiana.
  Seconda domanda: il Regional Command West in cui siamo stati presenti come forze. Laddove gli americani stanno facendo una gigantesca base aerea a Shindand, a metà strada fra Farah e Herat, noi dovremmo occuparci della parte settentrionale dove siamo stati più presenti con Camp Arena. Ci sono alcune stranezze che vorrei capire sia dal Ministro Mauro che dal Ministro Bonino. A parte la straordinaria collaborazione di italiani con la Cooperazione civile-militare che ha dato a circa 800 villaggi afghani la possibilità di avere luce e acqua, dobbiamo realizzare alcune grandi opere sulle quali ho l'impressione che non ci sia chiarezza in termini di priorità.
  Pare che prioritaria sia la strada che da Herat va verso Chishti Sharif, della quale a livello afghano nessuno sente il bisogno, mentre invece viene sottovalutato il bypass di Herat come anche l'aeroporto. È ovvio che le cifre sono diverse, laddove il bypass costa 25 milioni, la strada costa 100 milioni, l'aeroporto con il cargo system potrebbe costare 150 milioni, ma con il soft loan lei mi insegna, ministro Bonino, che i costi vengono spalmati nell'arco di trenta anni, quindi sarebbero anche compatibili con le scarse risorse che il Ministero degli esteri a livello di cooperazione può avere.
  Ho però potuto verificare di persona la mancanza di una chiara definizione di priorità rispetto a queste tre opere, che potrebbero coronare una straordinaria Pag. 20presenza militare in termini di sicurezza da parte dell'Italia e garantire a quel Paese in cui siamo benvoluti qualcosa anche in termini di sviluppo e di benessere.

  DONATELLA DURANTI. Ringrazio i Ministri Mauro e Bonino per essere qui oggi. Ero rimasta male pensando di potere intervenire un solo minuto, perché credo che questo momento di riflessione comune del Governo e del Parlamento sia importantissimo su un tema fondamentale di discussione. Mi dispiace ovviamente che avvenga nella circostanza in cui il Ministro Mauro ha oggi riferito alla Camera sulla perdita del nostro militare e di molti civili afghani, cosa che ci deve indurre a interrogarci sul senso delle nostre missioni militari e su quello che sta accadendo ancora oggi dopo dodici anni.
  Desidero infatti ricordare che la missione in Afghanistan dura da dodici anni e non sono d'accordo con i colleghi che hanno evidenziato i grandi risultati ottenuti, perché la morte del nostro militare due giorni fa e dei civili ieri dimostra che quella è ancora un'area di grande instabilità e insicurezza e che purtroppo continuiamo a contare i morti.
  Credo che sia solo nella testa (lo dico così) del Segretario generale della NATO l'idea che l'87 per cento della popolazione viva in una situazione di sicurezza e di stabilità. Noi pensiamo che non sia così e che la fase di transizione – se sarà l'ultima fase, quella definita «di rischieramento dei contingenti» e che vorremmo capire meglio come sarà attuata – con una presenza massiccia della NATO e degli Stati Uniti d'America non potrà che determinare invece nuovi schieramenti militari e addirittura nuovi interventi sul campo. Quella è un'area che ha ancora grossi problemi di sicurezza e di stabilità.
  Rispetto al ruolo che l'Italia sta ricoprendo ho le cifre, come tutti voi, del decreto di proroga delle missioni internazionali che scadrà a settembre 2013. Sono stati impegnati 900 milioni di euro, 426 dei quali per l'Afghanistan, e complessivamente solo 35 milioni per la cooperazione internazionale (sull'Afghanistan 15 milioni).
  Ribadiamo quindi che non è possibile che lo strumento militare sia diventato, nel nostro Paese, quasi l'unico strumento di politica estera. La politica estera deve essere fatta in un altro modo e noi pensiamo, ad esempio, che i fondi e i progetti per la cooperazione internazionale non vadano inseriti nei decreti delle missioni internazionali e che i fondi per la cooperazione internazionale vadano massicciamente rimpinguati.
  Sull'Afghanistan vorrei rivolgere una domanda al Ministro Mauro. Come Parlamento abbiamo chiesto un'indagine conoscitiva perché abbiamo l'esigenza di capire cosa sia successo in questi anni in Afghanistan ma anche negli altri teatri di guerra. Vogliamo sapere se questo Governo condivida le considerazioni dell'allora Ministro Di Paola, che aveva dichiarato di volere libertà massima rispetto agli assetti militari sul nostro territorio e aveva detto che l'Italia avrebbe potuto partecipare a quel teatro di guerra anche con aerei in grado di bombardare.
  Spero che un decreto sulle missioni non venga più presentato al Parlamento a Camera già sciolte. Su questo chiedo dove potranno essere reperiti i 300 milioni di euro che bisognerà trovare a settembre 2013, in quanto temiamo che vengano cercati sempre dalla stessa parte, quindi anche su questo dobbiamo fare una riflessione importante.
  Chiudo sulla Libia. Anche qui il Governo precedente, con il Ministro Cancellieri ad aprile 2012, aveva siglato un accordo bilaterale con la Libia, accordo che prevedeva la cooperazione nell'ambito dell'immigrazione. Riteniamo che quell'accordo debba essere cancellato, perché non è possibile che un Paese come il nostro, che rispetta i diritti umani universali, mantenga ancora questo accordo con un Paese dove non ci sono centri di accoglienza per i migranti e per i profughi in fuga dalla guerra, ma ci sono i lager. Credo quindi che anche questo accordo dell'aprile 2012 debba essere ripensato.
  Speriamo che sulle missioni internazionali si possa fare un ragionamento più Pag. 21dettagliato per capire cosa succeda e ribadiamo la richiesta dello spacchettamento di due iniziative legislative: una per l'Afghanistan e una per le altre missioni internazionali. Quella sull'Afghanistan per programmare l'uscita immediata del nostro Paese da quel teatro di guerra, con la possibilità di investire nella cooperazione internazionale il 30 per cento di ogni euro risparmiato.
  Solo così pensiamo di poter dare una risposta che finalmente dia la possibilità al Parlamento di decidere sulle missioni internazionali, perché, come qualcuno ha già evidenziato, abbiamo bisogno di un nuovo Libro Bianco dopo quello di Spadolini e di Rognoni e quello del 2002, per capire in quale idea di politica di difesa e politica estera debbano essere collocati le missioni internazionali e lo strumento militare.

  CARLO SIBILIA. Cercherò di essere molto sintetico, ringraziando innanzitutto i Ministri per la loro relazione e associandomi alle parole del collega Pini soprattutto in merito alla questione Afghanistan, che ci sembra fumosa quantomeno per quanto riguarda l’exit strategy. Come Movimento 5 Stelle alla Camera abbiamo tra l'altro presentato una mozione molto chiara al riguardo, che chiederei ai Ministri di visionare, se possibile.
  La stessa cosa diciamo per il Libano, che porta al focus principale, al quale tengo molto, della questione siriana. Desidero esprimere soddisfazione e contentezza per le dichiarazioni del Ministro Bonino che ci sembrano in linea con quanto pensiamo. Vorremmo che si ribadisse in tutte le sedi opportune, e a maggior ragione qui, che l'intenzione del Governo è che nessuna tuta mimetica italiana e nessun militare italiano varchino i confini nazionali siriani, assumendoci da adesso un impegno per il futuro.
  Vorremmo anche andare oltre l'articolo 11 della Costituzione che sancisce il ripudio della guerra da parte dell'Italia, perché onestamente il dossier delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia sembra quantomeno anacronistico, laddove siamo molto impegnati a livello bellico, forse troppo.
  Vogliamo scongiurare l'entrata in Siria perché – diciamoci la verità – la Siria è l'ultimo baluardo di controllo satellitare da parte di Russia e Cina, che garantisce questo fragile equilibrio geopolitico in una guerra fredda che in realtà non è mai terminata. Questo è il focus centrale: entrare in Siria significa non soltanto rischiare un nuovo Afghanistan (affermare oggi una cosa del genere potrebbe sembrare propagandistico e facile, perché abbiamo avuto questa tragedia), ma dare un boosting incredibile al possibile scoppio di una terza guerra mondiale.
  Non lo affermo per fare allarmismo, ma purtroppo questo deve essere valutato con molta serietà anche perché la Russia in quella zona ha un grosso interesse, basti considerare come dopo la visita del Segretario di Stato statunitense John Kerry la Russia abbia continuato a rimpinguare l'armamento bellico siriano con i missili antinave e S-300.
  Si rileva quindi un grosso interesse e mi auguro che si assumano impegni chiari in questa circostanza, cioè che non ci sia alcun intervento militare da parte dell'Italia in Siria e che si rinnovi l'embargo delle armi nei confronti della Siria posto nel 2011, a differenza di quello che stanno facendo Francia e Gran Bretagna.
  Sembra infatti che l'ONU abbia attivato a scopo investigativo l'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Questa è una situazione analoga a quella verificatasi in Iraq, dove alla fine le armi chimiche non c'erano. Non vorrei quindi che questo teatrino internazionale ci portasse allo scontro finale e vorrei che queste priorità del Governo venissero ulteriormente ribadite.
  Un appunto finale in prospettiva futura: so che Norvegia e Svezia si stanno interrogando sulla loro posizione rispetto alla NATO e vorrei conoscere la posizione italiana al riguardo.

  ANGELO CERA. Desidero ringraziare i Ministri delle esaustive relazioni e riportare la discussione su temi più vicini a noi.Pag. 22
  A luci spente ho sentito parlare dei Marò, ma non so se debba interpretarlo come un fatto positivo o negativo. Ferma restando la normativa del diritto internazionale per la restituzione dei nostri due Marò, mi pare che l'accordo sia che verranno somministrate loro in Italia le pene stabilite. Se però non ci preoccupiamo di creare da subito una normativa adeguata, corriamo il rischio di vedere i nostri due Marò degradati, addirittura con lo stipendio decurtato, senza sapere nemmeno dove far loro scontare la pena. Sarebbe quindi opportuno affrontare anche questo aspetto.

  SERGIO DIVINA. Ringrazio i Ministri. Parliamo di Afghanistan: ritiro vuol dire che la missione si reputa realizzata, ma ci chiediamo se abbiamo raggiunto gli obiettivi. Dovendo fare dei bilanci, infatti, abbiamo detto di aver fatto un intervento per stabilizzare quel Paese per il pudore di dire le cose come stanno: siamo intervenuti per evitare che un Paese cadesse in mano a organizzazioni che sostengono il terrorismo internazionale. L'unico nostro interesse è fermare il nemico in loco piuttosto che trovarlo in casa e non riconoscerlo.
  L’exit strategy: sappiamo cosa stiamo rischiando in quanto gli ultimi saranno i più esposti, laddove la recrudescenza sarà inevitabile nel momento in cui i rapporti numerici cambieranno, per cui, non potendo uscire in blocco, dobbiamo sapere cosa rischieremo, e qui vengo al ministro della difesa.
  Stiamo parlando della razionalizzazione dei programmi d'armamento e delle Forze armate e stiamo chiedendo l'impossibile ai militari: migliorare l'efficienza dello strumento militare sapendo che daremo minori risorse. Prego il Ministro di fare questo tipo di ragionamento: limitiamo numericamente i nostri programmi d'armamento, ma non facciamo mancare le dotazioni e i mezzi necessari a garantire la sicurezza, perché abbiamo mezzi vetusti e dotazioni forse da rivedere. Chiediamo sicurezza in primis.
  Ai due Ministri insieme rivolgo un'altra domanda provocatoria, per sapere come stia lavorando il nostro sistema di intelligence. Ci è stato detto che dovevamo aiutare il nord Africa in una lotta di liberazione da sistemi poco democratici anzi da dittature, ma ci chiediamo cosa abbiamo ottenuto con i nostri interventi visto che abbiamo ridato il Paese in mano a dittature fondamentaliste meno stabili rispetto ai precedenti Governi.
  La domanda è pertanto se tutto ciò non fosse previsto o prevedibile, ovvero se il nostro sistema di intelligence avesse formulato precedentemente queste obiezioni.

  MASSIMO ARTINI. Ringrazio entrambi i Ministri e cerco di essere veloce. Vorrei rivolgere una domanda al Ministro della difesa. Negli ultimi anni è stata volontariamente incrementata la militarizzazione dei nostri territori da parte soprattutto di Forze alleate come gli Stati Uniti, in particolare in Sicilia con l'installazione per esempio del MUOS, in merito alla parte di comunicazioni che rivoluzionerebbe le trasmissioni per quanto riguarda la NATO in tutta l'Asia e il Medio Oriente. La base di Sigonella ultimamente è il punto logistico più avanzato per attaccare o comunque per rifornire le zone di missioni o eventualmente quelle future in Siria, come evidenziato dall'onorevole Sibilia.
  Giacché gli americani non hanno intenzione di fornire adeguata difesa a queste zone, vorrei sapere se il Ministero abbia effettuato una valutazione dei rischi maggiori che si potrebbero correre con l'insediamento di queste installazioni nel nostro territorio. Vorrei chiedere a entrambi ma in particolare al Ministro degli esteri se, visto che finora non è successo, questo ci garantisca un maggiore potere decisionale anche nelle tipologie di azione delle missioni all'estero.
  Fino ad oggi, infatti, gli Stati Uniti ci hanno escluso da informazioni che possono essere vitali e dal ruolo decisionale sulle missioni, mentre la missione in Libano che è comandata da noi italiani ha riscosso un discreto successo. Sarebbe quindi opportuno capire se questa nostra Pag. 23cessione nei confronti degli Stati Uniti possa essere equilibrata sul piano politico.
  Vorrei chiedere infine al Ministro della difesa se in merito ai fucilieri di Marina, al fine di non ritrovarsi in una situazione analoga, ci sia l'intenzione di aggiornare la normativa che è ormai evidentemente lacunosa.

  PRESIDENTE. Prima di lasciare la parola ai Ministri, il Presidente Casini desidera intervenire brevemente e anche il sottoscritto vorrebbe fare una precisazione di dieci secondi.

  PIER FERDINANDO CASINI, presidente della 3 Commissione del Senato. Non è per formalismo istituzionale o giuridico ma io non intervengo nel merito politico. Diversi colleghi hanno chiesto una riflessione profonda anche della logica e dei risultati delle missioni, io che pure sono stato e sono ancora un sostenitore di questo impegno francamente penso che sia giunto il momento di fare una riflessione del genere e di farla «senza freni inibitori».
  Mi interessava però sottolineare due punti che sono stati sollevati dai colleghi più come Presidente della Commissione esteri che come parlamentare. Primo: il tema del futuro della nostra presenza militare in Afghanistan dopo il 2014. È giusto interrogarsi e aprire un dibattito, cosa di cui si discute in tutte le sedi. Il 23 aprile 2013 c’è stata una riunione del Segretario generale e dei Ministri degli esteri della NATO e in quell'occasione il Ministro degli esteri pro tempore che era Mario Monti disse che non si poteva definire la futura presenza italiana in Afghanistan, affermando sostanzialmente che non erano state assunte decisioni.
  È ovvio che, anche in mutate forme, l'eventuale presenza militare italiana in Afghanistan in quel momento dovrà essere sottoposta a un processo autorizzativo del Parlamento. Questo è un punto fondamentale: anche se, invece di essere una missione militare come è oggi, ci saranno consiglieri di strategia militare o addestratori, è chiaro che il Parlamento non sarà espropriato. Voglio sottolinearlo perché una presenza diminuita non diminuisce la nostra responsabilità.
  L'altro punto è sulla Somalia. Scusate, colleghi, anche qui – lo dico soprattutto ai più giovani, essendo io, come voi sapete, una sorta di reperto archeologico – cerchiamo di tenere i puntini sulle «i»: se il Ministro Bonino intende riaprire l'Ambasciata in Somalia, si assume la responsabilità di una decisione politica come Ministro degli esteri in carica, non è che il Parlamento deve intervenire in ordine alle decisioni di aperture o di chiusure di ambasciate.
  Naturalmente noi parlamentari possiamo sempre con un atto di sindacato ispettivo rivolgerci al ministro e chiedere se lo ritenga opportuno ma desidero evidenziarlo perché non mi sembra banale dato che un collega ha obiettato chiedendo come si possa riaprire l'ambasciata senza copertura, è chiaro che il ministro avrà fatto questa valutazione per conto suo e non avrà bisogno in questo della nostra assistenza spirituale. Se poi qualcuno vuole sollevare il problema in termini di sindacato ispettivo, lo può fare.

  PRESIDENTE. Vorrei solo dire una cosa che emerge dalle relazioni dei Ministri e dalla discussione che abbiamo fatto. Con tutti i tempi e i modi non accelerati e con le riflessioni indispensabili, considero necessario svolgere come Camera dei deputati, non come Commissioni, un dibattito di politica estera complessivo, in modo tale che il Governo ci fornisca tutta la sua impostazione a trecentosessanta gradi e altrettanto a trecentosessanta gradi i parlamentari e i singoli gruppi esprimano le loro posizioni.
  Do quindi la parola al Ministro degli affari esteri, Emma Bonino.

  EMMA BONINO, Ministro degli affari esteri. Ho preso una serie di appunti, i colleghi mi scuseranno se procederò per punti.
  Credo che sarebbe molto utile aprire e anche chiudere un dibattito sulla sicurezza nazionale e cosa si intenda per sicurezza Pag. 24nazionale. Credo che questo sia un dato molto importante perché da una definizione di cosa si intende per sicurezza nazionale si deduce una serie di politiche o di altre politiche, a seconda di quello che riteniamo.
  Da questo punto di vista penso (mi riferisco al collega Tonini) che il punto del vertice di dicembre sulla politica di sicurezza e di difesa comune sia evidentemente un punto essenziale, perché la definizione dell'interesse nazionale ed europeo deve venire a monte rispetto a quello che poi si intende fare. Quindi mi auguro che, con urgenza ma senza fretta, questo dibattito avvenga anche prima della scadenza del vertice e che ci consenta quindi di mettere insieme varie cose.
  Il senatore Tonini mi ha chiesto tre cose, ma assicuro che, per chiunque conoscesse l'Afghanistan nel 1997, 1998, 1999, 2000 e 2001, non c’è paragone rispetto alla situazione attuale. Noi siamo intervenuti dopo l'attacco alle Torri gemelle, ma spesso vorrei dire ai colleghi che la storia ha tempi lunghi e noi rischiamo di avere la memoria corta.
  Per chi nel 2005 lo conosceva o vi ha vissuto, oggi questo è un Paese instabile, che ha regioni molto difficili, in particolare tutta la parte che confina con il Pakistan dove, anche solo dal punto di vista morfologico, è difficile garantire la sicurezza. Oggi è un Paese sicuramente fragile, sicuramente difficile, con mille problemi aperti; però vi assicuro che io credo che l'impegno svolto non solo dai nostri militari ma anche dalla nostra cooperazione sia una cosa importante e sia importante considerarlo sul piano positivo, così come essere stati presenti in Kosovo e in Bosnia.
  Kosovo 1999: siamo nel 2013, il processo di adesione del Kosovo inizia forse con la data di questo giugno. Questo solo per dire che la storia ha tempi lunghi e noi rischiamo di guardare oggi e di non ricordare molto bene da dove veniamo.
  Tre questioni puntuali. Il Governo, in particolare il Viceministro Pistelli, sta lavorando a un disegno di legge sulla cooperazione in modo da riprendere il lavoro fatto al Senato nell'ultima parte della scorsa legislatura, perché, posto che siamo nel 2013, non ci vuole molto a capire che una legge del 1987 necessita di una qualche messa a punto.
  Sulle opere civili, vorrei che fosse anche una scelta afghana, che se ne sentisse la responsabilità. È chiaro che, se dovessi scegliere, al di là dei costi, vista anche la situazione, forse l'aeroporto è quello che può garantire a noi e a loro una serie di connessioni, però credo sia giusto fare un processo in cui siano decisori anche gli afghani e che se ne assumano quindi la responsabilità. Gli afghani però sono molti e la controparte dell'assunzione di qualche responsabilità specifica sarebbe altrettanto utile.
  Voglio dire due cose sui Marò per rassicurare tutti: la nostra attenzione, il nostro lavoro è costante. Abbiamo avuto riunioni con il gruppo degli avvocati italiani che segue la vicenda e con il pool degli avvocati indiani che evidentemente la segue in loco.
  Questo non significa che si debba fare un'intervista al giorno. Vi voglio solo rassicurare che, così come abbiamo ereditato un dossier, stiamo cercando di fare del nostro meglio, essendo inteso che ci sono due strade: una è quella del ricorso e della giurisdizione internazionale che però ci avrebbe portato avanti non dico per decenni ma all'incirca, l'altra è quella di trovare una soluzione giusta, equilibrata e rapida che ci consenta, anche con l'accordo avviato di sconto della pena nel Paese d'origine, di arrivare a una soluzione rapida, giusta e accettabile per entrambe le parti.
  Su questo voglio davvero rassicurarvi, siamo in contatto costante con i familiari, il Ministro Mauro è in rapporto costante con i militari e i Marò in loco. A volte un po’ di compostezza dei rapporti anche con il mio collega indiano, il Ministro Kushid, credo che aiuti, ma vi assicuro che il lavoro è costante.
  Kosovo e Belgrado: spero che l'Europa non faccia l'ennesimo errore perché adesso viene ventilato che forse la data dell'inizio dei negoziati non sarà decisa il Pag. 2530 giugno ma dopo. Stiamo lavorando perché pacta sunt servanda. Quando uno assume degli impegni, faccia il piacere di mantenerli, perché altrimenti la nostra credibilità va a zero.
  La parte cooperazione dell'attuale decreto è come di solito circa il 10 per cento, cioè sono 81 milioni di euro su 945. Lo dico per dare a tutti il senso della consistenza, cioè di quanto sia importante la parte cooperazione inserita nelle missioni, che porterà a una programmazione forse un po’ disordinata ma è importante che ci sia.
  Spero di avere risposto un po’ a tutti, essendo inteso che è benvenuta una discussione complessiva anche sulle priorità che ci vogliamo dare sulle missioni e su a cosa debbano servire, però – ripeto – a volte ci vogliono tempi lunghi per avere dei risultati. Grazie.

  MARIO MAURO, Ministro della difesa. Cerco anch'io di procedere in modo rapido raggruppando le tante domande che ci sono state intorno a cinque principali cespiti, vale a dire i tre teatri principali, il nostro rapporto all'interno delle istituzioni internazionali (segnatamente le domande che hanno fatto capo al tema NATO) e un ultimo accenno anche da parte mia alla questione Marò.
  Per i teatri è stata condotta in modo mirabile dalla collega Bonino l'esposizione della situazione dello scenario siriano e onestamente, se posso affermarlo anche riprendendo la riflessione dell'onorevole Romani, in questo momento dal punto di vista geopolitico e storico-politico che rimane quello più complesso. Potremmo considerarlo quasi una sorta di guerra di Spagna rivisitata, nel senso che è coinvolta un'infinità di nazioni.
  Pensiamo al ruolo che esercitano nell'area l'Iran, l'Arabia Saudita, il Qatar, al problema sullo sfondo della sicurezza di Israele, al destino, legato al tema Siria, di Giordania e Turchia e quindi poi alla ricaduta sul Libano e, se il Libano collassasse, ovviamente alla ricaduta in tutta l'area euromediterranea prospiciente ed al coinvolgimento ancor più evidente delle potenze occidentali.
  Questo significa che giustamente il Parlamento, l'Italia tutta, l'Europa intera devono interrogarsi su UNIFIL, cioè sul fatto che UNIFIL, che assolve perfettamente la sua missione, possa conservare le condizioni di sicurezza generale per poter continuare in quel compito, o se di altro ci sia bisogno per garantire la sicurezza a quella latitudine.
  Su questo la collega Bonino è stata chiarissima: noi non siamo per un’escalation di tipo militare in Siria, noi siamo perché la priorità sia la ricerca di un'intesa diplomatica relativa non solo al teatro siriano tout court ma a un'area che, se destabilizzata, comincerebbe sulle coste del Libano e finirebbe sulle coste del Mar Rosso ed al confine tra l'Iraq e l'Iran. Un'area così grande avrebbe un profilo di ingestibilità tale da lasciarci sostanzialmente impotenti rispetto alla possibilità di costituire un argine.
  All'interno di questo, il conflitto cui faceva cenno l'onorevole Romani, cioè il dilemma sunniti/sciiti, con la possibilità reale che l'intervento in guerra di Hezbollah porti alla costituzione di uno «stato sciita» prospiciente il lato ovest del Paese, comporta un livello di analisi e di conferimento di responsabilità da parte della comunità internazionale che può essere interpretato solo da una conferenza come quella che si ha in animo di realizzare e alla quale devono essere dedicati particolarmente gli sforzi dell'Unione europea e quindi anche del nostro Paese, perché sul teatro della pace e della guerra l'opzione pace prevalga.
  Detto questo, c’è invece il tema dell'Afghanistan. Anche su questo il Ministro Bonino è stato chiarissimo, mi permetto solo di aggiungere, a beneficio dei tanti che facevano domande, alcuni numeri che si aggiungono a quelli già citati dall'onorevole Rossi, che si riferiva alle 6.500 scuole costruite da quando c’è ISAF, che hanno permesso di ridurre del 20 per cento l'analfabetismo, portandolo a un tasso del 55 per cento dalla popolazione.Pag. 26
  Dico anche che da quando c’è ISAF il 60 per cento della popolazione afghana ha avuto accesso a strutture sanitarie, a differenza del 37 per cento di dieci anni fa. Questo perché con ISAF sono stati costruiti 120 ospedali. L'economia afghana ha avuto un incremento del prodotto interno lordo del 9 per cento e l'inflazione annua è stata contenuta al 10 per cento; è in via di sviluppo il settore minerario, ancorché richieda tempi mediamente lunghi; il fatturato del settore dell’information technology è salito a 1,54 miliardi, impiegando 110.000 addetti con la nascita di sei operatori di telefonia mobile.
  Numerosi investimenti sono stati utilizzati per la realizzazione di grandi infrastrutture come la diga di Kajaki e per il miglioramento della rete elettrica, che saranno completate per il 2014. Sono stati realizzati 6.000 chilometri di strada asfaltata e 3.000 chilometri sono in via di completamento; la rete ferroviaria che collega il nord del Paese con l'Uzbekistan è già operativa.
  Tutto questo senza dimenticare che ci sono istituzioni con elezioni ragionevolmente accettabili per quelli che sono stati i tempi e senz'altro migliorabili come performances di vita democratica, ma soprattutto che c’è una Costituzione che riconosce parità tra uomo e donna e nel Parlamento siedono 69 donne.
  Questi possono essere alcuni elementi che si aggiungono agli altri già citati, ma per comprendere che cosa ? Qui credo di poter affrontare in pochi secondi il cuore della domanda posta dall'onorevole Cicu e cioè cosa vuol dire salvaguardia del territorio nazionale. Scusatemi, noi ci interroghiamo dopo dieci anni se sia valsa la pena di stare in Afghanistan, ma siamo in Bosnia da venti, nel Kosovo da quindici.
  Mentre per fare la guerra basta un attimo, per fare la pace ci vuole molto tempo, e garantire condizioni di pace e di coesistenza civile impiega la responsabilità e il sacrificio di moltissimi.
  Siccome non possiamo pensare che, come sento spesso dire, in Bosnia e in Kosovo c’è una concezione di democrazia non troppo lontana dal nostro vivere comune come invece sarebbe in Afghanistan, io mi fermo a constatare che oggi un conflitto a 10.000 chilometri di distanza può cambiare la nostra vita di tutti i giorni, se noi non ci adoperiamo perché questo conflitto sia contenuto.
  Ricordo a me e ad ognuno di voi che laddove non abbiamo intrapreso questa posizione abbiamo avuto l'orrore del Ruanda, 800.000 morti a colpi di machete, figli non della deterrenza delle armi ma dell'ignavia della politica. Questo è anche il monito di Srebrenica e credo che tutto questo debba far parte del bagaglio dell'esperienza di una democrazia.
  L'ultima questione riguarda l'Afghanistan nel rapporto con quello che è successo invece alla NATO, perché ovviamente un passaggio che non mi può essere sfuggito è quello che mi tramuterebbe, dopo che la stampa italiana ha già provveduto a fare di me il Ministro della difesa che ha rifiutato la divisa, anche in quello che avrebbe dichiarato una guerra per suo conto assumendomi responsabilità in Afghanistan che non mi competono.
  È vero invece da un lato che ho fatto il militare come molti ragazzi della mia età all'epoca in cui è stato giusto che lo facessi, senza per questo ritenere che vi sia disdoro nella scelta di chi ha utilmente impiegato la propria vita facendo servizio civile. Nello stesso tempo rifletto sul fatto che, come ho detto nella mia esposizione, il Parlamento sull'approssimarsi di Resolute support, è stato più volte informato a partire dalla primavera del 2012 e successivamente in ripetute audizioni del ministro che mi ha preceduto ha avuto modo di avere documentazione nel merito.
  Lo scorso 5 giugno abbiamo affrontato la materia con decine di altri Paesi, tra cui – mi preme dirlo – anche Svezia e Norvegia che hanno già confermato il loro impegno in quel contesto e quindi sono lungi dal prendere le distanze dalla NATO. In buona sostanza ci siamo detti che vogliamo continuare ad aiutare l'Afghanistan, che vogliamo continuare ad aiutarlo in modo noncombat, che ISAF è finita e che, durante l'anno in cui ISAF terminerà, saranno da decidersi il modo, i tempi, il Pag. 27dettaglio sul campo di come sarà prevista la nostra presenza che partirà come base da dove sono dislocate le unità che sono già sul terreno. Credo che sarebbe alquanto suggestivo pensare di spostare i tedeschi dal nord al sud semplicemente perché inizia un'operazione nuova !
  In aggiunta a questo, dico anche che in quella circostanza ho fatto una riflessione sul tema burden sharing all'interno della NATO in cui noi condividiamo responsabilità e impegni. La NATO ha scelto un criterio per cui il 2 per cento del bilancio del prodotto interno lordo di un Paese deve essere dedicato alla difesa. L'Italia non lo fa, l'Italia non ha questa misura.
  In quella sede ho detto che questo criterio è importante perché condiviso, ma molti Paesi come l'Italia non sono in queste condizioni, però posso dire che nel 1989 due terzi delle nostre Forze armate erano schierati nel quadrante di nord-est perché, fedeli all'appartenenza all'Alleanza, fronteggiavano il nemico di quel tempo.
  Oggi quelle realtà sono state trasferite a sud ed è giusta la riflessione sulla militarizzazione del territorio. Questa, tuttavia, in concreto significa non che gli USA ci subornano e ci strumentalizzano, ma più semplicemente che c’è un problema di fondo: città magari di 30.000 abitanti in Friuli sono oggi di 20.000 e città di 15-20.000 abitanti in Puglia o in Sicilia stanno per raddoppiare i loro abitanti, e questo comporta costi di infrastrutturazione, costi sociali, costi d'integrazione anche sul piano dell'aggiunta alle servitù militari, che rappresentano il modo con cui il nostro Paese contribuisce alla stabilità degli interessi dell'Alleanza e al conseguimento dei suoi obiettivi.
  Nel dibattito alla NATO il Ministro della difesa italiano ha detto quindi burden sharing ma tenendo conto di tutti i fattori, cioè ritrovandoci intorno a ciò che responsabilmente faremo all'interno dei nostri territori, sapendo che l'area di stabilizzazione per prospettiva futura è quella dell'Euromediterraneo e sapendo però che la salute della gente viene prima di tutto.
  Il tema MUOS è un tema sul quale aspettiamo decisioni non dalla NATO ma dall'Istituto superiore di sanità, che ci deve far sapere se alcune osservazioni fatte in sede hanno una conseguenza oppure ne hanno un'altra, perché dobbiamo ascoltare tutte le campane.
  La conclusione è sui Marò. Il Ministro Bonino ha detto tutto, ma voglio solo sottolineare l'unità profonda del Governo su questa questione e il Presidente del Consiglio nell'unico atto ad oggi votato con la fiducia delle Camere, il suo discorso introduttivo, l'ha indicato come priorità. Tutti i Ministeri sono raccordati in una formula che ha messo al centro l'inviato speciale, che ha una ragion d'essere semplicissima: no ai personalismi.
  È l'inviato speciale nel rapporto con le autorità indiane e con il nostro Governo che detta una scaletta di presenza o di disponibilità dei Ministeri, che sono il Ministero degli esteri che è il negoziatore naturale, il Ministero della difesa a cui appartengono le due persone in oggetto, il Ministero degli interni e il Ministero della giustizia, perché tutto questo si traduca con la capacità della politica di mettere tutta la forza di cui siamo capaci sulla stessa mattonella nell'interesse di Latorre, di Girone e delle loro famiglie. Grazie.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare i Ministri, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16,20.