XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 22 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in merito alla distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali (ai sensi dell'articolo 18, comma 2, della legge 24 dicembre 2012, n. 243) :
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 9 
Prestigiacomo Stefania (FI-PdL)  ... 9 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 9 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 9 
Boccia Francesco , Presidente ... 9 
Cariello Francesco (M5S)  ... 10 
Guidesi Guido (LNA)  ... 10 
Boccia Francesco , Presidente ... 10 
Marchi Maino (PD)  ... 11 
Boccia Francesco , Presidente ... 11 
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 11 
Boccia Francesco , Presidente ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori - Energie PER l'Italia: Misto-CI-EPI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in merito alla distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 18, comma 2, della legge n. 243 del 2012, del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, in merito alla distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali.
  Ringrazio il presidente Pisauro, cui cedo subito la parola.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie, signor presidente, buongiorno a tutti. Esporrò un documento abbastanza stringato, tenuto conto anche dei tempi che abbiamo avuto per la sua elaborazione.
  Il tema dell'incontro odierno è quello della distribuzione territoriale delle risorse pubbliche per aree regionali, quindi in qualche modo ci occupiamo della redistribuzione attuata dal bilancio pubblico tra aree territoriali. Per questa redistribuzione, come vedremo, l'indicatore solitamente usato è quello dei residui fiscali, rappresentati dalla differenza tra entrate e spese riferibili ai residenti di una particolare regione. La premessa che occorre fare è che in realtà, nel bilancio pubblico italiano complessivo, di programmi il cui obiettivo sia esplicitamente quello di una redistribuzione territoriale ve ne sono pochi, giacché la finalità specificamente territoriale è presente soltanto negli interventi di spesa e di entrata rivolti esplicitamente a ridurre i divari territoriali in termini di potenzialità di sviluppo. Da questo punto di vista, gli interventi caratterizzati da questa finalità esplicita si possono ritrovare, nell'ambito della spesa pubblica, tra gli investimenti. Non tutti, ma una parte degli investimenti è infatti diretta, per esempio, alla realizzazione di opere pubbliche che consentano di produrre economie esterne e che dovrebbero pertanto costituire una precondizione affinché una determinata area venga prescelta per la localizzazione delle imprese, e quindi in questo senso riducono squilibri territoriali, oppure – tale aspetto si ritrova sia dal lato della spesa che da quello delle entrate – la predetta finalità può essere conseguita indirettamente attraverso il riconoscimento di agevolazioni agli investimenti privati.
  In tal senso, una decontribuzione rivolta specificamente a un'area particolare serve ad abbassare il costo del lavoro in essa presente, così come un credito d'imposta sugli investimenti effettuati in quella medesima area serve ad abbassare il costo del capitale in quell'area stessa, ciò sempre al fine di favorire la localizzazione di imprese in quell'area determinata. Il fine ultimo per modificare le prospettive e le potenzialità di sviluppo di un'area è dunque influire sulle scelte di localizzazione delle imprese Pag. 4private in una specifica area, incentivandole e abbassandone i costi ovvero creando un ambiente che renda più conveniente operare in quell'area.
  Questa parte del bilancio pubblico è però largamente minoritaria, e vi fornisco al riguardo un solo dato: la spesa totale in Italia di tutta la pubblica amministrazione per investimenti pubblici e contributi agli investimenti rappresenta il 7 per cento della spesa primaria complessiva. Stiamo quindi parlando di qualcosa che rientra all'interno di quel 7 per cento. Sappiamo bene che la spesa in conto capitale in Italia è poca cosa, ma su questo aspetto mi riservo di svolgere un focus specifico più avanti.
  Quello che noi registriamo quando osserviamo i residui fiscali a livello di singola area è l'effetto di altre politiche, non di queste; è cioè l'interazione tra programmi di spesa i cui beneficiari ultimi non sono i territori, ma gli individui, sulla base di caratteristiche e di requisiti individuali che prescindono dall'area di residenza – quali l'età, lo stato di salute, il reddito – e le modalità con cui vengono finanziati questi programmi, essenzialmente attraverso le imposte, che sono invece principalmente legate a presupposti quali il reddito, i consumi, la ricchezza.
  Tutte queste politiche producono effetti redistributivi tra gli individui, e ciò vale sia per le politiche esplicitamente redistributive, come può esserlo il riconoscimento di un sussidio ai poveri – che per definizione è finanziato con le imposte e produce un trasferimento di risorse dai ricchi ai poveri –, sia per politiche che non hanno una finalità redistributiva, come il finanziamento della difesa, laddove la difesa dà benefici uniformi a tutti i cittadini dal lato della spesa e pertanto, se viene finanziata semplicemente con un'imposta proporzionale sul reddito, chi ha un reddito superiore alla media paga di più, determinando in tal modo una redistribuzione tra coloro che hanno un reddito superiore alla media e coloro che hanno un reddito inferiore alla media, e questo discorso vale in generale.
  Ci sono anche altre caratteristiche individuali che determinano un residuo. Una regione in cui sono concentrati gli anziani presenterà un residuo fiscale positivo, perché la spesa per pensioni sarà tendenzialmente superiore ai contributi pagati dai lavoratori attivi, e di esempi del genere potremmo farne tanti altri.
  Riassumendo, il bilancio pubblico determina una redistribuzione tra territori che per la quasi totalità – salvo le eccezioni di cui abbiamo detto in precedenza, relative a spese o interventi rivolti esplicitamente a ridurre i divari – avviene senza che vi sia un obiettivo esplicito di redistribuzione territoriale, ma semplicemente come conseguenza della eterogeneità della distribuzione nelle varie aree degli individui secondo le caratteristiche rilevanti, da un lato, per l'erogazione della spesa – quali l'età, perché più anziani vuol dire più benefici perché ci sono più pensioni, o lo stato di salute, giacché in presenza di un maggior numero di malati in una determinata area vi sarà più spesa sanitaria, o la condizione lavorativa, ovvero il rapporto tra occupati e disoccupati, e il reddito, laddove comporta la presenza di programmi di redistribuzione esplicita – e, dall'altro, per il finanziamento della spesa stessa, quali il reddito, i consumi, la ricchezza.
  Questa è l'origine della redistribuzione territoriale e dei residui fiscali che tale redistribuzione determina per le varie regioni. Una domanda viene spontanea: si può dire qualcosa sulla equità di questa redistribuzione? Si potrebbe infatti sostenere che, in fin dei conti, tutto ciò che abbiamo visto determina un flusso che va tendenzialmente, come vedremo poi meglio esaminando i dati, dalle regioni più ricche verso le regioni più povere. C'è un modo per giudicare l'equità o l'iniquità di questi flussi?
  Apro una parentesi molto breve, ma un ragionamento di questo tipo non può che muovere da una premessa: non sono i territori in quanto tali a sopportare le imposte e a beneficiare della spesa pubblica, ma sono gli individui che vi risiedono, quindi il criterio fondamentale di equità è quello dell'equità orizzontale, nel Pag. 5senso di trattare persone uguali in modo uguale.
  La questione è: chi sono le persone uguali? Sono persone che sono uguali – la risposta è quasi tautologica – rispetto alle caratteristiche individuali che si ritengono rilevanti, ovvero rispetto al reddito, all'età, allo stato di salute.
  Le persone naturalmente sono diverse per tante altre caratteristiche, quali il sesso, la razza, la religione, ma queste caratteristiche non sono rilevanti per i criteri di equità comunemente accettati, quindi dobbiamo considerare uguali le persone che sono diverse solo perché hanno una religione diversa. La questione cruciale è se possa essere rilevante o meno la residenza, questo è il punto.
  Il criterio generale è quindi trattare allo stesso modo le persone uguali. Se applichiamo questo criterio alla situazione italiana, oggi il bilancio pubblico è il riflesso di un sistema fondato in larga misura su imposte statali, che eroga prestazioni tendenzialmente uniformi sulla base di diritti di cittadinanza nazionali.
  Bisognerebbe entrare nel dettaglio dei singoli numeri, ma in generale quello che si può affermare è che, nella misura in cui la redistribuzione territoriale è conseguenza dell'applicazione di questi princìpi generali, essa è coerente con una nozione di equità orizzontale, perché i ricchi delle regioni povere pagano, in termini di imposte, e ricevono dal bilancio pubblico, in termini di spesa pubblica, esattamente quanto i ricchi delle regioni ricche, ed analogamente i poveri delle regioni povere ricevono e pagano esattamente come i poveri delle regioni ricche.
  Se ho un sistema che finanzia, ad esempio, la difesa, un cittadino ricco della Sicilia paga esattamente quanto un cittadino ricco della Lombardia e riceve lo stesso beneficio. Il flusso redistributivo va dalle persone con i redditi più alti di entrambe le regioni, sia di quelle ricche sia di quelle povere, alle persone con i redditi più bassi di entrambe le regioni. Perché emergono i residui a livello regionale? Per quello che dicevo prima, ossia perché la distribuzione di queste persone nei territori è eterogenea.
  Se noi ritenessimo – e chiudo la parentesi etica – che questi flussi sono eccessivi e volessimo ridurli, potremmo ad esempio ridefinire la ripartizione delle imposte tra Stato centrale e governi locali, nel senso che l'IRPEF non sarebbe più trattenuta per la gran parte presso lo Stato centrale fatta salva una piccola parte di addizionale IRPEF, bensì potrebbe essere suddivisa a metà. Ciò però significherebbe che non sarebbe più possibile garantire gli stessi standard uniformi a livello nazionale, viceversa gli standard garantiti a livello nazionale si abbasserebbero, ma questo aprirebbe lo spazio per avere standard garantiti a livello locale in maniera differenziata, dal momento che chi fosse in grado di raccogliere più risorse nel proprio territorio potrà anche garantire uno standard più elevato.
  Ciò comporterebbe una diversa nozione di equità orizzontale rispetto a quella cui abbiamo accennato in precedenza, una nozione in cui anche la residenza diventa una caratteristica rilevante. Due individui uguali sotto tutti gli aspetti, ma diversi per la residenza, sono diversi.
  Fatta questa premessa, andiamo a guardare cosa ci dicono i dati. Anche per quanto riguarda i dati e le informazioni di cui disponiamo, nonché l'immagine da essi risultante, occorre un'altra premessa, forse più noiosa. L'obiettivo è misurare in qualche modo il residuo fiscale di una data area territoriale, calcolato, come dicevo prima, in termini di differenza tra le spese effettuate e le entrate raccolte.
  Esistono, in proposito, numerose valutazioni. Nel presente documento, noi consideriamo in particolare due valutazioni diverse, e da un lato vedremo in cosa sono diverse, dall'altro daremo qualche motivazione circa tale differenza. Una prima valutazione è quella tratta dai conti pubblici territoriali, curati dall'Agenzia per la coesione territoriale, l'altra è una valutazione svolta dalla Banca d'Italia. Devo premettere che della valutazione della Banca d'Italia abbiamo solo il risultato e la spiegazione di come quel risultato sia stato raggiunto, mentre per quanto riguarda i conti pubblici territoriali disponiamo dell'intero database, quindi le analisi che svolgiamo Pag. 6nel documento consegnato sono in gran parte basate su quel database, ovvero sull'analisi risultante dai conti pubblici territoriali.
  È utile però confrontare inizialmente quest'ultima con la valutazione elaborata dalla Banca d'Italia per vedere come lo stesso obiettivo – quello cioè di misurare la differenza tra entrate e spese a livello regionale – possa condurre a risultati molto diversi.
  Se andate a pagina 12, avrete subito una visione d'insieme del quadro. Qui sono infatti indicate, da un lato, le singole regioni ed aree geografiche, dall'altro, i valori medi pro capite espressi in euro, riferiti sia alla spesa primaria complessiva che arriva a quella determinata regione in rapporto ai residenti, sia alle entrate.
  Tanto per fare un esempio, prendiamo la regione Lombardia, che ha il maggior residuo fiscale negativo, cioè che riceve molto meno di quello che paga. Nell'analisi della Banca d'Italia il residuo fiscale pro capite della Lombardia è di 5.422 euro, mentre in quella elaborata dai conti pubblici territoriali è di 3.625 euro. Si tratta quindi di un valore abbastanza diverso, e vedete che lo stesso risultato, con il segno opposto, lo ritroviamo per quella che è invece l'area maggiormente beneficiaria, ossia la regione Calabria, che presenta un residuo fiscale positivo di circa 5.500 euro nella valutazione della Banca d'Italia, mentre nella valutazione dei conti pubblici territoriali esso è di circa 3.000 euro.
  Avere davanti i numeri mi consente di spiegare meglio il discorso cui ho accennato in precedenza sul fatto che a rilevare sono gli individui e non i territori. Cosa vuol dire che la Calabria riceve 5.519 euro pro capite? Questo è il frutto di gente che paga le imposte, di gente che va alla ASL, ma non vuol dire che ogni cittadino calabrese riceve 5.500 euro, bensì vuol dire che i poveri calabresi riceveranno 15.000 euro e che i ricchi calabresi invece pagano più di quello che ricevono.
  Il problema è che la distribuzione ricchi/poveri tra Calabria e Lombardia è molto diversa, quindi sommando i residui fiscali individuali con il segno più e con il segno meno si ottiene il risultato in media che vedete qui. Forse ciò aiuta a capire meglio quello che dicevo prima, ossia che il riferimento sono gli individui che pagano le imposte e ricevono i benefici, giacché i territori di per sé sono un luogo dove la gente risiede.
  C'è quindi molta differenza. Ma come mai esistono queste differenze? Tutte le valutazioni di questo tipo sono naturalmente soggette a differenze, però tra questi due gruppi di valutazioni una prima differenza consiste nella natura contabile dei dati, perché la Banca d'Italia parte dal conto della pubblica amministrazione, da dati di contabilità economica, costruiti secondo un criterio di contabilità economica, e quindi parte dai dati già riordinati dall'ISTAT, che è l'organismo che pubblica questi dati, invece i conti pubblici territoriali considerano i dati dei bilanci finanziari, quindi dati essenzialmente di cassa.
  Già questa è una differenza, ma le differenze più importanti sono due. Una consiste nel trattamento della spesa per interessi, perché nei conti pubblici territoriali la spesa per interessi c'è ed è attribuita secondo il criterio del luogo in cui risiede chi possiede quei titoli. Tale criterio ha una certa ovvietà, però oggi la quota dei titoli pubblici detenuti dalle famiglie sul totale del debito pubblico è molto bassa – se non ricordo male, è pari a circa il 15 per cento. Quindi per le famiglie è ovvio che il criterio sia quello, ma la gran parte dei titoli sono detenuti dalle banche e, in questo caso, i conti pubblici territoriali li attribuiscono sulla base della residenza legale delle banche stesse, che sono essenzialmente localizzate in Lombardia e Lazio. La Banca d'Italia risolve invece il problema non considerando affatto la spesa per interessi, cioè le sue valutazioni sono effettuate al netto della spesa per interessi, quindi non includono neanche le famiglie beneficiarie della spesa per interessi.
  Questa è la prima differenza importante, poi ce n'è un'altra. La differenza più importante concerne il modo in cui vengono trattate le spese che riguardano i cosiddetti servizi collettivi, vale a dire le spese a domanda collettiva, come ad esempio Pag. 7 quelle nel settore della difesa. Nella teoria economica di cui siamo in qualche misura portatori, per quanto concerne le spese per la difesa, essendo la difesa un bene pubblico – nel senso che tutti beneficiano nella stessa misura delle spese effettuate nel campo della difesa, perché il beneficio della difesa è che il Paese sia difeso –, ciascuno di noi trae lo stesso beneficio dalle spese per la difesa: nessuno può essere escluso dal ricevere quel beneficio, e se nasce un bambino o arriva un immigrato, automaticamente anche lui trae lo stesso beneficio e non toglie nulla a chi già c'è, perché il sistema di difesa è quello, difende tutti quelli che stanno in quel territorio, secondo la definizione di bene pubblico puro.
  Un criterio di ripartizione, che è quello utilizzato dalla Banca d'Italia, è prendere le spese per la difesa e ripartirle proporzionalmente alla popolazione, per cui ognuno riceve lo stesso beneficio dalle spese per la difesa. Il criterio adottato dai conti pubblici territoriali invece è quello della localizzazione delle attività che compongono il sistema di difesa, quindi, se c'è una base militare nella regione «x», con il criterio della Banca d'Italia io prendo il costo di quella base militare e lo divido per tutto il territorio nazionale, mentre con il criterio dei conti pubblici territoriali io prendo il costo di quella base e lo attribuisco alla regione in cui essa è situata.
  Sono due criteri diversi, ma dal punto di vista logico entrambi hanno una qualche base di ragionevolezza e rispondono ad obiettivi diversi: se infatti mi chiedo quali siano i benefici della difesa, per ciascuno di noi il fatto che quella base militare sia localizzata in un'area piuttosto che in un'altra non fa alcuna differenza, se però voglio misurare i benefici del territorio, ciò fa una certa differenza, anche in termini di indotto. Adesso mi viene una battuta: perché siamo tutti dispiaciuti della vicenda EMA? Con questo ragionamento, che l'EMA abbia sede ad Amsterdam o a Milano è del tutto irrilevante, perché comunque quella è una sorta di bene pubblico, i cui benefici si distribuirebbero uniformemente su tutta la popolazione europea, ma ci dispiace perché quella localizzazione produce un indotto, quindi la valutazione dipende sempre da cosa stiamo misurando.
  Lo stesso ragionamento la Banca d'Italia e i conti pubblici territoriali lo fanno per altre spese, quali ad esempio tutte le spese dell'amministrazione generale o tutte le spese per la cultura. Delle spese per Pompei beneficiano solo i residenti di Pompei? Certamente no, mentre i conti pubblici territoriali attribuiscono le spese per Pompei alla regione Campania, quindi questo è l'altro grande motivo, visto che la somma di queste spese non è poca cosa, considerando che esse includono le spese per la difesa, l'ordine pubblico, la sicurezza, la giustizia, le attività ricreative e culturali. Si tratta quindi di spese importanti che la Banca d'Italia ripartisce proporzionalmente alla popolazione, mentre i conti pubblici territoriali le ripartiscono sulla base di dove avviene l'erogazione delle spese stesse.
  Poi ci sono altre complicazioni, però non vi annoio, perché chi fosse interessato al tema può consultare il documento che abbiamo depositato agli atti.
  Concentrandoci sui conti pubblici territoriali, si potrebbe ritenere che questa è la visione d'insieme, ma in totale questo flusso di risorse da Nord a Sud, dalle regioni ricche a quelle povere, a quanto ammonta? Secondo i conti pubblici territoriali siamo a 54 miliardi di euro, la somma dei residui con il segno meno, di quelli che ricevono, mentre la somma dei residui con il segno più è più alta, perché la somma di tutti questi residui, poiché ho escluso la spesa per interessi, riflette un avanzo del bilancio pubblico, comunque la dimensione complessiva è in questo ordine di grandezza.
  Accanto alla tabella 2.2, a pagina 13 trovate gli stessi numeri che prima erano espressi in termini pro capite, sempre per la Banca d'Italia e i conti pubblici territoriali, in termini di rapporto al PIL di ciascuna area. Le differenze tra le due serie sono ovvie, ma abbiamo detto che il criterio della Banca d'Italia amplifica, mentre il criterio dei conti pubblici territoriali tende ad attenuare la dimensione di questi residui. Pag. 8
  Tuttavia – sempre per avere una visione d'insieme – se osservate i dati dei conti pubblici territoriali nella tabella a pagina 12, vedete che le differenze inerenti la spesa primaria per area territoriale sono abbastanza contenute: l'area che ha una spesa primaria pro capite più bassa è la Sicilia (10.967 euro), quella che ha la spesa primaria più alta è la provincia di Bolzano, ma i livelli di spesa sono abbastanza vicini, infatti, tralasciando gli estremi – la provincia di Bolzano e la Val d'Aosta – sono tutti tra i 10 e i 13 mila euro.
  Se invece osserviamo le entrate pro capite, le differenze sono molto più importanti, perché in Lombardia sono pari a 16.800 euro, mentre in Calabria – che presenta il valore più basso – sono pari a 8.500 euro, con un rapporto di circa 1 a 2; tuttavia, i valori della spesa primaria di queste due regioni sono molto più vicini.
  Questo è il riflesso di quanto dicevamo prima: la spesa non viene erogata sulla base del reddito dei riceventi, perché gran parte dei programmi di spesa è destinata a persone che si trovano in determinate condizioni (anziani, giovani, malati, sani). Poi, c'è la spesa per l'amministrazione generale e quella va indistintamente a tutti oppure secondo la localizzazione, che di nuovo non segue criteri distributivi, mentre le entrate risentono ovviamente dei fattori che le determinano, che sono le basi imponibili, quindi è chiaro che, dove ci sono persone che hanno redditi o ricchezze superiori alla media, l'entrata pro capite è maggiore, e viceversa dove invece hanno redditi inferiori alla media.
  Sul versante dei conti pubblici territoriali, a pagina 17 c'è la linea che mette in relazione il reddito regionale pro capite con le entrate pro capite per ciascuna regione: qui osserviamo un quasi perfetto allineamento delle entrate rispetto al reddito, quindi nell'insieme tutto il sistema produce lo stesso andamento che produrrebbe un'imposta proporzionale, perché l'imposta è proporzionale al reddito.
  L'inclinazione di questa retta esprime la misura della pressione delle entrate sul reddito, con un'inclinazione del 44 per cento: chi sta sopra la linea, ad esempio la Val d'Aosta e il Lazio, presenta – sulla base di tali dati e con tutti i limiti che abbiamo detto – una pressione più alta; chi sta sotto, una pressione più bassa rispetto alla media. Tuttavia, sono tutte molto vicine. Per chi ha qualche ricordo di statistica, l'R2 è il 95 per cento, è molto alto; sarebbe pari all'1 per cento se fossero tutte esattamente sulla linea, quindi sono tutte molto vicine.
  Se osservate il grafico successivo, sempre rispetto al reddito pro capite regionale, sono evidenziate le spese primarie al netto degli interessi pro capite. Qui vedete che la relazione con il reddito c'è ancora, mentre, in linea teorica, se si osservano le caratteristiche dei programmi, non è detto che tale relazione ci sia, cioè potrebbe esserci o meno. Qui c'è ancora, ma c'è una dispersione molto maggiore.
  Per capire meglio cosa c'è dietro questo grafico delle spese, alla pagina successiva c'è una tabellina riassuntiva, che evidenzia la spesa primaria pro capite nelle varie macro aree italiane. Se la spesa pro capite in Italia è 100, fatto 100 l'Italia, dice quant'è il livello di spesa pro capite nelle varie aree.
  Nelle regioni a statuto speciale del Nord, fatto 100 l'Italia, è 126, cioè è del 26 per cento superiore alla media; nelle regioni a statuto ordinario del Nord è 99, cioè è dell'1 per cento inferiore alla media; il Lazio (questo ha a che fare con i criteri di attribuzione della spesa, naturalmente, perché tra tutte le cose che stanno nel Lazio c'è Roma) è 134, quindi la spesa pro capite attribuita al Lazio è il 34 per cento maggiore della media nazionale. Chiaramente il Lazio è un caso che va trattato a parte in questo contesto.
  Il Centro (escluso il Lazio) è allo stesso livello delle regioni a statuto ordinario del Nord, 99; nel Sud, il complesso fa 89, con una spesa più alta, pari a 91, nelle due regioni a statuto speciale del Sud, Sicilia e Sardegna, e 88 nelle regioni a statuto ordinario. Questo spiega in parte perché c'è un'inclinazione leggermente positiva della linea spesa/reddito, perché è un po’ più nelle regioni a statuto speciale e comunque le regioni del Sud hanno una spesa un po’ più bassa della media nazionale, un 10-12 Pag. 9per cento in meno della media nazionale, e poi l'altro motivo è il primo che viene in mente perché, se osserviamo ad esempio la Liguria, spende più della media nazionale in generale, perché presenta una popolazione molto anziana.
  Purtroppo non c'è tempo, tuttavia, se avete voglia, c'è una successione di grafici che riguardano singole categorie di spesa, distinte nello stesso modo. L'ultimo grafico a pagina 18 mostra le due cose messe insieme, quindi la differenza tra le due misure e i residui fiscali.
  In conclusione, trovate anche un'analisi delle politiche di coesione, quelle specificamente dirette a ridurre gli squilibri territoriali. Questa spesa rappresenta circa un quarto della spesa in conto capitale italiana. Il risultato principale (guardato a posteriori, quindi non come risultato voluto) è che ovviamente la spesa associata alle politiche di coesione è maggiormente concentrata al Sud, è circa l'80 per cento del totale, ma la spesa derivante da risorse ordinarie in conto capitale ha una ripartizione esattamente opposta di fatto, e il risultato finale è, almeno in termini pro capite, un allineamento, una sostanziale coincidenza della spesa complessiva in conto capitale, come si evince dal grafico a pagina 23.
  Il totale è la linea grigia, la linea invece più scura tratteggiata è il Mezzogiorno, questa è la spesa in conto capitale complessiva pro capite, quindi di fatto la spesa per la coesione viene compensata dalla spesa ordinaria.
  Sicuramente arriverà qualche domanda sull'effetto di eventuali applicazioni dell'articolo 116 della Costituzione, quello che riguarda il federalismo differenziato, e mi riservo di fornire le risposte ai quesiti che verranno posti al riguardo.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANIA PRESTIGIACOMO. Grazie, presidente. Ringraziamo il professor Pisauro per questa spiegazione. Poiché il nostro gruppo ha fatto richiesta di poter avere questi dati ufficiali – avevamo addirittura chiesto una Commissione d'inchiesta sul tema – e poiché per noi è molto importante avere dei chiarimenti su tutta una serie di punti e ci dispiacerebbe trattare in dieci minuti un tema così importante, le chiediamo, se il professore è disponibile, di aggiornarci ad altra seduta, magari anche dopo l'Aula, la sera, per chi è interessato, chiaramente a breve, entro la prossima settimana.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Sarebbe utile a tal fine, se ci sono richieste di approfondimento, riceverle prima della convocazione.

  ROCCO PALESE. Condivido totalmente, però il primo spaccato è devastante rispetto alla spesa pubblica per investimenti, perché va tutto al Nord, se non ho capito male.
  Dal punto di vista delle considerazioni di carattere generale per l'erogazione uguale in distribuzione di prelievo e in termini di servizi di carattere generale, sociali e civile, a cui faceva riferimento il professore (difesa, sanità), è fin troppo evidente il quadro della situazione: ci sono delle regioni a bassissima capacità fiscale, che determinano una diversa distribuzione del flusso delle entrate, così come anche quelle di piccola dimensione geografica (si faceva riferimento alla Liguria).
  Per quanto riguarda invece la spesa per investimenti, è sorprendente la netta disparità, perché sembra un Robin Hood al quadrato all'inverso, va tutto al Nord praticamente.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Palese. Prima di lasciare la parola all'onorevole Cariello, poiché il rapporto stimola molti quesiti e molte riflessioni e ci sono valutazioni interessanti e inedite che meritano approfondimenti, se i rappresentanti dei gruppi sono d'accordo, dopo questo giro velocissimo di valutazioni potremmo raccogliere le domande da parte dei gruppi, trasmetterle all'Ufficio parlamentare di bilancio entro venerdì e poi aggiornarci a mercoledì della prossima settimana, se il Pag. 10presidente Pisauro è d'accordo, giorno in cui avremo probabilmente una giornata con maggior disponibilità a causa del possibile voto di fiducia sul decreto fiscale. Vedremo in Ufficio di presidenza l'orario migliore.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio per la relazione l'Ufficio parlamentare di bilancio e mi soffermo su uno dei grafici, sul quale lo stesso professor Pisauro ha richiamato la nostra attenzione: il grafico nella figura 2.2 a pagina 18, quello in cui viene messo in relazione sia l'andamento delle entrate rispetto ai redditi, sia la spesa.
  Io l'ho interpretato in questa maniera: ipotizzando un reddito intorno ai 30.000 euro, questo grafico ci dice che lo Stato, seguendo la linea caratterizzata dai dati, otterrebbe 15.000 euro di entrate e, in regioni come la Lombardia, una persona che ha uno stipendio di 35.000 euro pagherebbe 17.000 euro di imposte allo Stato e lo Stato spenderebbe nello stesso territorio circa 12.000 euro. È questa l'interpretazione che va data a questo grafico? No? Allora non l'abbiamo capito, perché, se così fosse, la percezione che il grafico dà è che il cittadino lombardo, come magari all'opposto un cittadino pugliese o calabrese, di quello che versa allo Stato non riceve una pari spesa primaria, quindi la percezione della spesa in base alla contribuzione in termini di entrate non è allineata.
  Le chiederei quindi di spiegarci meglio questo grafico nella sessione di approfondimento, perché vorremmo capirlo.

  GUIDO GUIDESI. Presidente, provo ad essere breve. Posto che questi dati sono essenzialmente noti grazie al lavoro che viene svolto dalla Commissione sul federalismo fiscale, detto questo, però, la discussione è utile se la si fa sul complesso, cioè quando il collega Palese parla degli investimenti dobbiamo parlare di tutto quello che c'è, non solo di alcuni dati, o altrimenti la discussione diventa strumentale.
  È giusto e comprensibile che il dato sul residuo fiscale, privo della spesa degli interessi, sia differente, per cui parlo della tabella che cita i dati della Banca d'Italia e i conti pubblici territoriali, cioè quelli per cassa, e questo ci sta.
  Non ci sta il fatto che la questione della produttività e della base imponibile non c'entra niente con questo, cioè la questione della produttività e della base imponibile fa parte di una questione produttiva del Paese. La differenziazione che c'è all'interno di singoli territori e di regioni tra persone con una base imponibile elevata, cosiddette ricche, e persone con una base imponibile limitata, cosiddette povere, c'è in tutte le regioni, e non possiamo confondere questo con i dati generali del bilancio regionalizzato dello Stato, perché non hanno influenza sul bilancio regionalizzato dello Stato, perché un conto sono i bilanci delle regioni, un conto sono le capacità produttive dei singoli individui e delle famiglie, altrimenti, oltre a confonderci, strumentalizziamo abbastanza la questione.
  I dati rispetto al sistema sociosanitario riportati qui, che sono assolutamente veritieri, nel momento in cui si confondono con le richieste di autonomia o con le autonomie dei territori, strumentalizzano la questione, perché quella spesa, nel momento in cui una regione venisse considerata autonoma, andrebbe a finire sui bilanci delle regioni.
  O facciamo un discorso serio in tutto e per tutto, e allora ci confrontiamo prendendo tutto ciò che è stato prodotto anche dalla Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, alla quale tutti i gruppi hanno contribuito, o altrimenti messa così è alquanto strumentale, permettetemi. Facciamo molta fatica ad analizzare ogni singolo dato, perché oltre ai dati sulla ricchezza sociale di ogni singola regione dovremmo prendere i dati sulla ricchezza sociale delle aree montane e pedemontane e delle aree di pianura. Ne stiamo facendo una questione nel dettaglio per raggiungere un obiettivo che secondo me è alquanto strumentale.

  PRESIDENTE. Grazie, onorevole Guidesi, ma l'Ufficio parlamentare di bilancio non è coinvolto negli obiettivi. Noi abbiamo chiesto un servizio, che è arrivato, e faremo le valutazioni nella prossima seduta, quando Pag. 11capiremo fino in fondo le analisi che sono state consegnate.

  MAINO MARCHI. Molto brevemente, solo sulla questione investimenti: leggo le tre tabelle 3.2, 3.1, 3.4 in termini un po’ diversi da quelli dell'onorevole Palese, nel senso che sulla 3.2 si prende la spesa in conto capitale nel suo complesso e la massa complessiva è certamente maggiore nel Centro-Nord che nel Mezzogiorno; se la vogliamo valutare invece dal punto di vista pro capite, succede sempre il contrario, tranne in due anni, il 2008 e il 2010, forse perché governava il centrodestra.

  PRESIDENTE. Faremo queste valutazioni in un'altra sede. Vuole aggiungere qualcosa, presidente Pisauro?

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Molto velocemente, sul grafico a pagina 18, siamo partiti dal dire che questi individui non esistono, cioè l'Abruzzo non è fatto di persone che guadagnano tutte quante 24.000 euro. Qui c'è il reddito medio degli abruzzesi da un lato e poi la spesa media e le entrate medie, quindi non possiamo da questo trarre conclusioni su quanto paga un cittadino con un reddito pari a 24.000 euro.
  Se fosse così, prima di tutto questo grafico dovrebbe arrivare fino a zero, ma quando la linea delle entrate sta sopra la linea delle spese questo indica un avanzo, viceversa è un disavanzo. A occhio qui l'avanzo è maggiore del disavanzo: le risulta che in Italia abbiamo un avanzo di bilancio? No.
  Qual è l'altro elemento? Che il dato in oggetto include gli interessi, perché questi sono i dati dei conti pubblici territoriali, quindi li include. Ma qual è l'elemento che impedisce di trarre quella conclusione? È che ciascuno di quei punti non ha la stessa densità, il punto dell'Abruzzo e il punto della Lombardia sono pesati con gli abitanti, quindi la Val d'Aosta di per sé nel quadro medio nazionale non rappresenta nulla.
  Questo è il grande problema quando si usa questo tipo di indicatore, perciò mi sono sforzato di spiegare cosa significa.

  PRESIDENTE. Presidente Pisauro, rinvierei a mercoledì prossimo le valutazioni di merito, ricordando ai colleghi che questo contributo dell'Ufficio parlamentare di bilancio arriva su nostra richiesta, per un approfondimento che abbiamo voluto all'unanimità in Ufficio di presidenza, quindi eviterei di utilizzare strumentalmente i dati.
  Ognuno poi tirerà le somme e farà le valutazioni che riterrà opportune, ma solo dopo i chiarimenti che saranno forniti ai quesiti posti dai gruppi parlamentari.
  Nel ringraziare il nostro ospite, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.15.