XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 232 di Martedì 14 novembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Lumia Giuseppe  ... 10 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 11 
Noccelli Massimiliano , consigliere del Consiglio di Stato ... 12 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 12 
Noccelli Massimiliano , consigliere del Consiglio di Stato ... 12 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 12 
Noccelli Massimiliano , consigliere del Consiglio di Stato ... 12 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 15 
Sarti Giulia (M5S)  ... 17 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 18 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 18 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Pajno Alessandro , presidente del Consiglio di Stato ... 19 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 

Declassificazione di atti:
Bindi Rosy , Presidente ... 19  ... 20 

Sui lavori della Commissione:
Bindi Rosy , Presidente ... 20  ... 20

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROSY BINDI

  La seduta inizia alle 14.20.

(La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, che è accompagnato dal consigliere Massimiliano Noccelli.
  L'audizione odierna è dedicata alla giustizia amministrativa in materia di antimafia e, in particolare, al tema della giurisprudenza del Consiglio di Stato, sia sulle cosiddette «interdittive antimafia» sia sullo scioglimento dei consigli comunali e provinciali conseguenti a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso, ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
  Nel ringraziarlo per la presenza e per la disponibilità, do volentieri la parola al presidente Pajno.

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Ringrazio la presidente per l'opportunità che mi è stata data e che mi permette di dare qualche indicazione della giurisprudenza dei tribunali amministrativi, ma soprattutto del Consiglio di Stato, su questa importante materia e, in qualche modo, di fornire il quadro di un segmento importante di una sorta di diritto amministrativo del contrasto alla criminalità. Lo considero e definisco tale perché il contrasto alla criminalità si fa con misure di tipo repressivo, ma si fa anche con misure di tipo preventivo e con filtri opportuni. Da questo punto di vista, esiste la possibilità di utilizzare strumenti generali, come sostanzialmente previsto dalla legislazione del diritto amministrativo, ma anche di quelle di cui oggi parleremo e che sono, invece, figure speciali, che riguardano appunto la prevenzione.
  Cercherò di dedicare la prima parte del mio intervento a un breve inquadramento, in generale sulla normativa in materia di documentazione antimafia e, in particolare, sulla disciplina contenuta nel decreto legislativo n. 159 del 2011, cioè il codice antimafia, ponendo anche i criteri di distinzione tra comunicazioni antimafia e informazioni antimafia.
  Come voi sapete, queste due costituiscono le fondamentali misure di prevenzione amministrative previste dal codice e questa distinzione è tuttora vigente. Tant'è vero che tale distinzione non è stata, nelle sue linee essenziali, nemmeno posta in discussione dalla legge n. 161 dell'ottobre del 2017, che è nuovamente intervenuta sul punto.
  Queste misure nascono per fronteggiare le infiltrazioni mafiose nelle attività imprenditoriali, hanno sostanzialmente il loro fondamento legislativo nel decreto legislativo n. 490 del 1994 e corrispondono innanzitutto a una finalità di prevenzione, che è espressamente ribadita dalla giurisprudenza Pag. 4 del Consiglio di Stato, e a un'efficacia interdittiva conseguente alla prevenzione: rispetto all'esercizio di attività economica, un'efficacia interdittiva che è preclusiva dei rapporti delle imprese con le pubbliche amministrazioni, non solo di tipo contrattuale, ma anche per concessioni o misure autorizzatorie di carattere generale.
  Alla base di queste misure, come riconosce la giurisprudenza costituzionale, ci sono le questioni riguardanti la tutela dell'ordine pubblico.
  In questo caso, l'ordine pubblico ha diverse declinazioni, per cui possiamo anche parlare del fatto che queste misure tutelino un ordine pubblico economico legato sostanzialmente alla dimensione della possibilità per cui l'economia venga in qualche modo inquinata e stravolta da questo tipo di interessi. Si tratta di misure che, concernendo sostanzialmente questioni riguardanti l'ordine pubblico, sono estranee all'apparato delle sanzioni penali o parapenali, quindi si tratta di sanzioni amministrative e non di sanzioni penali. Più in generale, tali misure sono estranee all'accertamento di responsabilità personali in chiave prevalentemente sanzionatoria.
  Queste non sono neanche misure di prevenzione personali perché tali misure sono rispondenti a considerazioni di politica criminale più specifiche.
  C'è una differenza fra comunicazioni antimafia e informazioni antimafia: le comunicazioni antimafia hanno, in linea di massima, un contenuto prevalentemente vincolato perché il presupposto della loro emissione sta nella certificazione da parte del prefetto che, a carico del soggetto interessato, non siano state emesse dal giudice penale misure di prevenzione personali o definitive o anche sentenze di condanna, ancorché non definitive, per uno dei delitti previsti dall'articolo 51, comma 3, del codice di procedura penale, quindi si tratta di una misura che, sostanzialmente, accerta questa cosa.
  Anche se vedremo che c'è una tendenza alla convergenza, l'informazione antimafia si muove in uno spazio diverso perché c'è un momento di autonomia valutativa da parte del prefetto, il quale deve valutare e soppesare il rischio della permeabilità mafiosa dell'impresa. Si tratta di un provvedimento di contenuto discrezionale perché si può prescindere dagli esiti delle indagini preliminari o, addirittura, dallo stesso giudizio penale.
  Trattandosi di un provvedimento a contenuto discrezionale, come vedremo nello sviluppo della giurisprudenza, diventa importante l'esame dell'esercizio della discrezionalità, quindi l'esame della ragionevolezza della misura rispetto ai presupposti che, di fatto, la giustificano e, in genere, del percorso logico seguito per arrivare a questo tipo di indicazione.
  C'è anche una differenza con riferimento all'efficacia interdittiva: le comunicazioni antimafia hanno efficacia interdittiva rispetto a tutte le iscrizioni e a tutti i provvedimenti di autorizzazione, di concessione e di abilitazione allo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominate, anche per attività riguardanti la Segnalazione certificata di inizio attività (la cosiddetta «SCIA», che è utilizzata in materia edilizia), a differenza di quanto ordinariamente previsto per le informazioni antimafia, e comportano altresì il divieto di concludere contratti pubblici per lavori, servizi e forniture a cottimo fiduciario e subappalti ai contratti.
  Le informazioni antimafia, invece, consistono nell'attestazione della sussistenza o meno di una causa di decadenza, sospensione o divieto. Nell'attestazione si dice «eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi della società».
  In relazione al problema dell'infiltrazione mafiosa, come vediamo, subentra questo profilo di tipo discrezionale. Questa forma di documentazione antimafia ha, quindi, due versanti. C'è un versante di tipo vincolato perché sarebbe illegittima la comunicazione antimafia che non tiene conto dello status degli atti che deve certificare del precedente e, per tale motivo, esiste un'apposita banca dati, che ne consente appunto l'accesso. Poi, c'è un profilo di tipo discrezionale, nella parte in cui il prefetto ritiene sussistenti o meno i tentativi di Pag. 5infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa.
  Nel codice antimafia, esiste anche una previsione con riferimento ai cosiddetti «delitti spia», reati come l'associazione per delinquere o altri reati che, per alcuni provvedimenti giurisdizionali emessi in sede penale, consentano al prefetto di trarre elementi di valutazione circa la permeabilità o meno dell'impresa al sistema mafioso.
  Secondo le categorizzazioni generali, questi istituti devono essere indicati come istituti di diritto speciale perché questi derogano rispetto a misure legislative di carattere generale.
  Sono, infatti, previste e comunque praticate deroghe specifiche per alcune caratteristiche generali.
  Innanzitutto, vi è una deroga alla partecipazione e alle questioni riguardanti le informazioni da darsi ai sensi della legge n. 241 del 1990: i principi della legge n. 241 non si applicano in modo così pregnante come si applicano gli altri principi perché non c'è la partecipazione procedimentale e non c'è neanche l'informazione preventiva dell'inizio del procedimento, che viene chiamata «avviso di inizio del procedimento». D'altra parte, sarebbe contraddittorio che questa ci fosse perché si tratterebbe di un modo di comunicare ex ante che sia iniziando un procedimento di quel genere.
  Accanto alle deroghe riguardanti l'applicabilità dei principi generali del procedimento, c'è una deroga che riguarda la giurisdizione perché è sempre del giudice amministrativo la competenza a conoscere questi atti, anche quando questi siano connessi con provvedimenti consequenziali di tipo contrattuale.
  In questo caso, mentre la giurisprudenza del giudice amministrativo è, coerentemente con la giurisprudenza di legittimità, nei confronti della discrezionalità, quando questi atti hanno riferimento anche a contratti o convenzioni, rimane quella competenza, quindi tutto viene visto in un quadro generale.
  C'è anche una deroga, soprattutto dovuta alla giurisprudenza dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con riferimento alla competenza a conoscere questi atti.
  Si è posto il problema in giurisprudenza se, in sostanza, ci fosse competenza a conoscere le informative antimafia, le impugnazioni e le questioni consequenziali di ricaduta sui contratti, per esempio, la sede della prefettura oppure il luogo in cui il contratto è stato stipulato o il contratto viene eseguito.
  Si tratta di una condizione che poteva essere anche problematica sotto molti aspetti. Pensate, per esempio, a una prefettura interessata nell'Italia meridionale e al fatto che, invece, molto spesso il contratto si trovi altrove.
  La questione è stata portata qualche anno fa all'attenzione dell'adunanza plenaria ed è stata risolta: la competenza viene concentrata in capo all'unico tribunale amministrativo regionale, che è competente per il luogo in cui c'è la sede della prefettura che ha emesso il provvedimento antimafia.
  In sostanza, tutto si radica sul provvedimento antimafia, anche perché, da questo provvedimento, si attua una cascata di effetti, per cui è ragionevole che, di questa vicenda, se ne occupi integralmente il tribunale amministrativo regionale competente per le prefetture che emettono il provvedimento antimafia.
  La questione non ha un valore puramente descrittivo. Basta pensare a quella che può essere la complicazione in sede di instaurazione del contraddittorio, con riferimento alle cause di appalti con molti ricorrenti, in quanto possono esserci associazioni temporanee di imprese o soggetti collettivi e soggetti delegati, con molti controinteressati, con ricorsi principali o incidentali.
  In tal senso, determinare un'unica sede per tutto il contenzioso significa semplificare in modo significativo questo tipo di approccio e consentire una valutazione d'insieme estremamente importante.
  Nel quadro del profilo discrezionale che ho poco fa ricordato, diventa fondamentale anche il sindacato sugli elementi indicativi dell'infiltrazione mafiosa. Pag. 6
  Circa il sindacato sugli elementi che possano testimoniare o provare questo tipo di infiltrazione, posso dire che si tratta di un sindacato che ha dato luogo anche a qualche oscillazione giurisprudenziale. Sul piano generale, dove non c'era un'oscillazione giurisprudenziale, bisogna ritenere che il rischio di infiltrazione non deve essere meramente astratto o cartolare, ma deve avere una sua concretezza.
  Non è necessario in questa prospettiva che si raggiunga una prova come quella richiesta nel processo penale. In questo caso, siamo al di fuori della questione riguardante la dimensione della prova in senso stretto e siamo all'interno dei profili più specificamente indiziari e questo è il lato significativo di questo dato.
  La giurisprudenza amministrativa aveva una certa diversità di approccio e di orientamenti in ordine al grado di efficacia dimostrativa che i singoli elementi potevano e dovevano avere per provare e dimostrare l'infiltrazione o il pericolo di infiltrazione mafiosa, in particolare, per esempio, con i rapporti familiari dell'imprenditore o i legami di amicizia e frequentazione o di cointeressenza economica con soggetti ritenuti contigui od organici ad associazioni di stampo mafioso.
  Soprattutto, l'oscillazione veniva evidenziata in relazione all'intensità o all'occasionalità di questi rapporti. A volte, qualche sentenza li ha ritenuti insufficienti a comprovare quel rischio. Mi riferisco a una sentenza del 2013 del Consiglio di Stato, la n. 96, e ad alcune dei tribunali amministrativi regionali, come quella del TAR Lazio, la n. 2451 del 2013.
  Altre volte, invece, la giurisprudenza riteneva sufficiente l'intreccio di tali rapporti con le vicende personali dell'imprenditore per giustificare una valutazione di permeabilità mafiosa, quindi c'era un diverso apprezzamento di queste situazioni.
  Mi riferisco alla sentenza n. 4679 del 2015 del Consiglio di Stato e a una sentenza del TAR della Calabria, la n. 360 del 2013, per questa prospettiva più restrittiva. L'incertezza si deve a una certa indeterminatezza dei criteri alla base dei quali ancorare la motivazione circa il rischio di infiltrazione mafiosa e forse anche a una certa resistenza a un sindacato più penetrante.
  In realtà, si tratta di una resistenza che è, a mio modo di vedere, non giustificata perché, anche nel vizio di eccesso di potere, che è un vizio tradizionale, l'accertamento del presupposto che sta alla base della determinazione amministrativa costituisce un fatto non eludibile. Da questo punto di vista, il giudice amministrativo conosce anche il fatto e, in tal senso, deve tenerne presente.
  Nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, si è posta l'esigenza di individuare un criterio o un parametro che fosse meno inaffidabile o, comunque, fosse univoco per le misure di prevenzione antimafia e che consentisse di fondare un giudizio probabilistico in ordine al rischio di infiltrazione mafiosa, sulla base di vari elementi fattuali potenzialmente sintomatici, e di approdare a quello che, talvolta nella giurisprudenza e talvolta in dottrina, viene chiamato «sindacato forte», in contrapposizione a un sindacato debole, che sarebbe un sindacato più estrinseco.
  Vi dico subito che, sul piano culturale, questo non c'entra con la antimafia, sono tendenzialmente contrario a queste distinzioni perché non c'è un sindacato in modica quantità: il sindacato c'è o non c'è. L'idea di un sindacato forte contrapposto a un sindacato debole è secondo me, sul piano della teoria generale, un po’ distorsivo della realtà.
  Questa terminologia fu usata soprattutto per il sindacato sugli atti delle autorità indipendenti, ma la giurisprudenza degli ultimi anni non la utilizza più, per via dell'equivocità che può essere connessa a questo tipo di prospettiva.
  I diversi orientamenti presenti in seno alla stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato, in particolare alla III Sezione, che conosce degli atti del Ministero dell'interno, hanno trovato ora un punto di equilibrio importante in una sentenza recente, la sentenza n. 1743 del 3 maggio 2016 della III sezione del Consiglio di Stato, che ha cercato di fornire indicazioni sufficientemente univoche per consentire sia alle prefetture Pag. 7 di tenerne conto sia ai tribunali amministrativi regionali, che sono tribunali di primo grado, di orientarsi alla stregua di queste cose.
  Da questo punto di vista, c'è un riferimento soprattutto a quella efficacia della sentenza del giudice amministrativo chiamata «efficacia direttiva della sentenza».
  La sentenza del giudice amministrativo ha questa caratteristica: riguarda il passato, ma si proietta sul futuro, perché riguarda un segmento dell'azione amministrativa che si è svolto, ma c'è un'attività che si continua a svolgere. Addirittura, l'annullamento dell'atto implica, a volte, la necessità di una riedizione nuova del potere amministrativo, quindi l'efficacia direttiva nei confronti dell'amministrazione è estremamente importante.
  Che cosa ha fatto la III sezione con questa sentenza? Innanzitutto, è stato chiarito che le situazioni di infiltrazione mafiosa indicate dal legislatore non costituiscono un numerus clausus, quindi non c'è, in senso tecnico, una tipizzazione, ma una indicazione di una serie di fattispecie, che possano essere integrate con altre che evidentemente l'esperienza ritenesse di dover indicare.
  Questo è importante perché, per esempio, negli illeciti amministrativi si fa una distinzione tra casi in cui ci siano illeciti tipici o casi in cui ci siano norme generiche, per cui, attraverso la norma generale, viene protetto un certo bene della vita. In questo caso, per esempio, c'è la necessità che il sistema economico non venga infiltrato eccetera.
  È importante la sottolineatura di quest'aspetto perché la circostanza che si tratti di indicazioni sintomatiche, ma non tipiche, significa che queste possono essere studiate come i sintomi di una malattia e che non sono semplicemente una fattispecie che deve essere precisa.
  Naturalmente è necessario che vi sia un quadro indiziario di questa infiltrazione mafiosa, che deve, come tutti i quadri indiziari, essere basata su indizi che siano, come si dice anche in giurisprudenza, «gravi, precisi e concordanti», quindi deve esserci questa triplice indicazione.
  Che cosa significa ciò? Tutto ciò significa che bisogna applicare la cosiddetta «teoria del più probabile che non», cioè, secondo un giudizio probabilistico di elevata attendibilità, il giudice deve ritenere sussistente la situazione, quando, da indizi, è più probabile che vi sia il pericolo di infiltrazione e meno probabile che tale pericolo non vi sia.
  Si tratta di un giudizio probabilistico, ma questo non deve meravigliare, perché la misura è preventiva. Stiamo parlando di una dimensione di probabilità in riferimento ai pericoli che si vogliono appunto evitare, per cui la misura non sarebbe preventiva, se questa non fosse legata a un giudizio probabilistico.
  Forse, bisogna ribadire che è estraneo a questo sistema delle informazioni antimafia la certezza probatoria raggiunta attraverso gli strumenti ordinari del processo penale perché quegli strumenti non sanzionano rischi o pericoli, ma sanzionano episodi già accertati ed effettuati.
  Tra i diversi elementi sintomatici, alcuni hanno un particolare interesse. Mi riferisco ai rapporti di parentela che possono talora fondare il giudizio di permeabilità mafiosa, quando, dal loro esame, si evinca, per esempio, l'esistenza di un regime familiare dell'impresa: l'elemento familistico deve avere una sua estrinsecazione e legarsi con il regime dell'azienda o dell'impresa interessata.
  Ciò consente di mettere insieme due elementi, che, se astrattamente considerati come la gestione dell'azienda, da un lato, e il regime familiare, dall'altro, potrebbero di per sé non essere tali da consentire quest'operazione.
  Ciò evidenzia anche che ci deve essere un giudizio sintetico, che non prenda le singoli ipotesi una per una, ma cerchi anche di leggerle.
  È interessante anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato che riguarda il cosiddetto «fenomeno della infiltrazione per contagio», ossia l'infiltrazione dovuta a rapporti e a legami di cointeressenza economica e di compartecipazione societaria con imprese già colpite da informative antimafia secondo il fenomeno dell'infiltrazione Pag. 8per contagio, che è tale quando si rileva il fine illecito di questa collaborazione e l'appartenenza delle singole imprese a un unico gruppo di interessi criminali.
  La sentenza n. 1743 del 2016 ha avuto un'accoglienza significativa e importante in sede amministrativa perché molte prefetture hanno recepito le indicazioni principali date dal Consiglio di Stato e si sono impegnate in un suo sforzo motivazionale maggiore, nel tentativo di dare una motivazione ancora più esaustiva che rispondesse ai criteri indicati nella sentenza di cui ho già detto.
  Questo ha fatto sì che ci fosse anche un abbattimento del contenzioso: i provvedimenti risultano adesso meglio confezionati sulla base di questo tipo di indicazioni, quindi la percentuale di annullamento delle interdittive prese in sede amministrativa è molto basso ed è inferiore al 10 per cento dei provvedimenti presi in considerazione.
  Anche per i tribunali amministrativi regionali, bisogna dire che la gran parte si è adeguata o si sta adeguando a questo indirizzo.
  La finalità di evitare ogni forma di insinuazione della mafia nell'economia legale è stata ribadita con un decreto correttivo. Mi riferisco al decreto legislativo n.153 del 2014, che ha introdotto l'articolo 89-bis del decreto legislativo n. 159 del 2011.
  Tale misura prevede che, quando, in esito alle verifiche di cui all'articolo 88, cioè quelle di tipo mafioso, venga accertata la sussistenza di tentativi di infiltrazione, il prefetto adotta comunque un'informazione interdittiva antimafia e ne dà comunicazione ai soggetti richiedenti, di cui all'articolo 83, commi 1 e 2.
  Tutto ciò significa che, quando il prefetto viene adito per dare una comunicazione antimafia, se, nel corso del procedimento viene a conoscenza di fatti che possano far supporre l'esistenza di fenomeni di infiltrazione, non legati alla natura di mera comunicazione di un fatto già esistente, il prefetto adotta comunque un'informazione antimafia interdittiva e ne dà comunicazione ai soggetti che lo richiedono.
  In questo caso, c'è un soggetto che ha chiesto una comunicazione e, nel corso dell'esame che si fa per questa comunicazione, si evince che c'è anche un rischio di infiltrazione. Allora, il prefetto adotta la comunicazione e anche l'interdittiva, ossia il provvedimento relativo all'infiltrazione, in modo da avvicinare questi due procedimenti e, soprattutto, per evitare che questi camminino su binari separati.
  Lo ripeto: è la stessa legge che lo dice all'articolo 89-bis, che consente questo tipo di indicazione.
  A quali provvedimenti è rivolto l'effetto interdittivo? A differenza delle comunicazioni antimafia, il cui effetto interdittivo è esteso non solo ai contratti e alle concessioni, ma anche a tutti i provvedimenti autorizzatori, le informazioni antimafia esprimono normalmente i loro effetti soltanto in rapporto ai contratti pubblici, alle concessioni e alle sovvenzioni.
  Questa rigida ripartizione degli effetti interdittivi è stata in parte superata dallo stesso decreto correttivo che ho citato poc'anzi, il decreto n. 153 del 2014, che, per evitare il pericolo di infiltrazione mafiosa nell'economia legale, ha esteso la portata delle informative antimafia, a prescindere dall'esistenza o meno di contratti o concessioni. In effetti, dobbiamo essere realisti e dire che ci possono elementi d'infiltrazione, anche se formalmente non esiste il contratto o la concessione. Il decreto ha esteso la portata delle informative antimafia anche alle autorizzazioni e, comunque, poiché è il privato a chiedere l'autorizzazione, al rapporto con il privato.
  Questo è un elemento importante perché si completa il tipo di parafulmine preparato per questo tipo di situazioni.
  Su questa questione, vale la pena segnalare che pende una questione di costituzionalità, sollevata dal TAR della Sicilia, sezione di Catania, con l'ordinanza n. 2337 del 28 settembre 2016, che ha rimesso alla Corte costituzionale la questione di legittimità dell'articolo 89-bis rispetto a un possibile eccesso di delega legislativa. Si tratta di una questione che sarà risolta a breve perché l'udienza pubblica è fissata per il 21 Pag. 9novembre, quindi presto la Corte prenderà delle decisioni in merito.
  Vale la pena segnalare, in questo quadro, la sentenza n. 565 del 2017, che costituisce l'indirizzo e l'approdo più recente della giurisprudenza in materia del Consiglio di Stato.
  Con questa sentenza, si è affermato che lo Stato non riconosce dignità e statuto di operatori economici, non più soltanto nei rapporti con la pubblica amministrazione, a soggetti condizionati, controllati o infiltrati o eterodiretti dalle associazioni mafiose.
  Per l'attività, oltre il rapporto con la sola pubblica amministrazione, si pone il problema della qualificazione della situazione che sopravviene, per cui si potrebbe pensare che in questo caso ci sia una sorta di incapacità giuridica successiva. Ora, se si volesse sistemare dal punto di vista teorico quest'indicazione, potrebbe esserci probabilmente un caso di incapacità giuridica successiva, sopravvenuta a causa dell'infiltrazione mafiosa e del provvedimento che ne prende atto.
  In questo quadro, bisogna richiamare anche l'importanza fondamentale dell'istituzione della banca dati nazionale unica per la documentazione antimafia. L'istituzione di questa banca dati è stata prevista dall'articolo 2 della legge n. 136 del 2010 ed è stata attuata con l'articolo 98, comma 1, del decreto delegato n. 159 del 2011, che ha dato poi luogo al codice.
  Questa banca dati è importantissima perché si consente all'autorità prefettizia di avere in tempo reale una cognizione ad ampio stretto e aggiornata sulla posizione antimafia di un'impresa e poter venire a conoscenza, nella consultazione della banca dati, di elementi ulteriori che inducano ad approfondimenti più seri circa la permeabilità mafiosa dell'impresa.
  La banca dati ha, quindi, una duplice valenza: da una parte, mette in rete tutti i provvedimenti e, dall'altra, può suggerire elementi di approfondimento ulteriori di indagine.
  In sostanza, se si vogliono, alla fine di quest'esposizione, riassumere le caratteristiche fondamentali di questi provvedimenti, quali emergono dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, si possono sintetizzare in queste formulazioni: la natura formalmente e sostanzialmente preventiva delle misure antimafia finalizzate ad arginare la minaccia dell'infiltrazione mafiosa; la loro struttura derogatoria, in parte alle regole generali, come dicevo prima, del procedimento amministrativo e, in parte, a principi processuali in tema giurisdizione e competenza, ma anche di rito, in quanto, in questo caso, viene applicato un rito speciale, particolarmente sollecito; l'estraneità delle misure amministrative antimafia a logiche repressive e a logiche di stampo parapenale o panpenale; i provvedimenti fondati sull'apprezzamento discrezionale da parte dell'autorità prefettizia di un complessivo quadro indiziario, che, alla stregua di un'analisi di tipo probabilistico, che noi chiamiamo «logica del più probabile che non», lasci ritenere che sussista un pericolo concreto e attuale di infiltrazione mafiosa nell'attività imprenditoriale.
  Come tutti gli atti discrezionalità, anche questo è sottoposto al sindacato del giudice, sotto il profilo della sua correttezza e della sua ragionevolezza per l'esistenza del fondamento.
  Un terzo profilo è rappresentato dall'applicazione delle informazioni antimafia anche alle attività economiche tra privati e non solo ai rapporti contrattuali e concessori con la pubblica amministrazione, sostanzialmente per la necessità fatta propria dall'articolo 89-bis, che ho citato poc'anzi, di preservare tutto il sistema dell'economia legale (pubblico e privato) dalle infiltrazioni mafiose.
  In questo quadro, va segnalata anche una recente sentenza della Corte EDU (Corte europea dei diritti dell'uomo). Mi riferisco alla sentenza De Tommaso contro Italia, che, in sostanza, è intervenuta a proposito di una misura di prevenzione personale, quindi non per una misura antimafia in senso stretto, ma per una misura preventiva, e che ha indicato il rischio di un'insufficiente determinazione della fattispecie, come se la fattispecie non fosse particolarmente determinata. Pag. 10
  Lo segnalo perché la sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo del 23 febbraio 2017 contiene un invito al legislatore nazionale a muoversi nel campo della più specifica determinazione dei casi che possano essere presi in considerazione, ai fini della individuazione delle situazioni che danno luogo a problemi di carattere preventivo.
  In base a questa sentenza la legge deve essere sufficientemente precisa e, deve anche essere in grado di tenere il passo con il mutare delle circostanze, per via delle quali, di conseguenza, molte leggi sono inevitabilmente formulate in termini che, in misura maggiore o minore, sono vaghi e la loro interpretazione e applicazione sono questioni di pratica.
  Da questo punto di vista, c'è un invito per il Parlamento a un'ulteriore specificazione, ma c'è anche un'indicazione specifica, ossia del fatto che si deve tener conto della situazione concreta in cui ci si trova a operare, quindi del fatto che queste disposizioni non devono cadere in astratto, ma vanno guardate nelle realtà concrete, che debbono trovarle come loro destinatarie. Si tratta di un profilo che a me pare importante.
  Credo che, da questo punto di vista, molte delle esigenze poste da questa sentenza possano essere, già a livello di legislazione invariata, soddisfatte dalla motivazione. Lo dico perché, più la motivazione è puntuale e ricca, più queste esigenze, a mio modo di vedere, vengono in qualche modo soddisfatte.
  Passerei adesso a parlare delle misure di scioglimenti dei consigli comunali o provinciali per infiltrazioni della criminalità organizzata.

  PRESIDENTE. Il senatore Lumia deve allontanarsi per i lavori al Senato e vorrebbe porre una domanda sulla parte che ha già esposto, prima di passare allo scioglimento dei consigli comunali o provinciali.

  GIUSEPPE LUMIA. Grazie, presidente. Tra poco, c'è una seduta in Commissione giustizia su un provvedimento importante, non posso mancare.
  Ringrazio il presidente Pajno, anche perché penso che siamo in un momento molto delicato. Mi scusi per la mia brevissima premessa. Nella Commissione antimafia, con la guida della presidente Bindi, abbiamo individuato alcune questioni molto delicate e faccio riferimento a due che sono esterne all'oggetto di questa giornata: i fine pena, da un lato, e il rapporto tra la massoneria e la politica e la pubblica amministrazione, dall'altro.
  Penso che la vicenda delle interdittive e le altre due siano tre vicende delicatissime e strategiche, che sono oggetto anche dell'attenzione da parte delle organizzazioni mafiose e del sistema collusivo che ruota intorno.
  Per questo punto molto delicato, a me fa molto piacere la giurisprudenza del Consiglio di Stato perché sta impedendo un altro tipo di giurisprudenza, che, nelle diverse realtà, si sta diffondendo, mettendo in discussione il principio probabilistico.
  Come lei oggi ci ha ricordato, si tratta di un principio legato alla natura preventiva dell'azione amministrativa, quindi alla necessità che l'azione preventiva segua questo tipo di criterio. Non si tratta di un criterio, come apparentemente potrebbe sembrare, sentendo parlare di criterio probabilistico, etereo, astratto e indeterminato, quasi come una sorta di discrezionalità arrogante da parte del prefetto e dello Stato nei confronti dell'impresa.
  Si tratta, invece, di un criterio che, nella sentenza che lei ha richiamato del Consiglio di Stato, ha determinato una serie di criteri, che danno la possibilità di far capire che stiamo parlando di un quadro indiziario molto serio, sia all'interno dei rapporti familiari di soggetti che guidano un'impresa sia all'interno dei rapporti tra imprese di origine mafiosa o caratterizzate dal condizionamento mafioso con altre imprese.
  Ci troviamo di fronte ad appuntamenti molto importanti, per cui le chiedo se ritiene che un pronunciamento del Consiglio di Stato in sezioni riunite abbia nella vostra giurisprudenza un valore ancora particolare oppure ritiene sufficiente la III sezione, Pag. 11 che si è occupata di questo procedimento, a coprire questa necessità.
  Inoltre, vorrei sapere se avete avuto modo di conoscere situazioni in cui, per esempio, nelle camere di commercio, l'articolo 89-bis venga messo in discussione, di fatto.
  Si tratta di un altro caposaldo dell'apparato di prevenzione che lo Stato si è dato per evitare le infiltrazioni perché l'89-bis, come lei ha ben spiegato, ci mette in condizioni di avere un collegamento tra la comunicazione e l'informazione e mette in condizione l'interdittiva di agire, cioè di agire – lasciatemi usare quest'espressione – in tempo reale, quindi c'è una funzione preventiva in tempo reale in grado di bloccare quel meccanismo di infiltrazione e lasciare poi al contenzioso l'ardua sentenza, quando già si è consumata l'infiltrazione. Anche su quest'aspetto, vorrei sentire la sua opinione.

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Sulla prima questione, rispondo brevemente. Come lei sa che i ricorsi al Consiglio di Stato si fanno su istanza di parte, quindi il Consiglio di Stato deve essere investito del contenzioso.
  Nel caso in cui esista un contrasto fra la giurisprudenza di diverse sezioni del Consiglio di Stato o per questioni di particolarissima importanza, ma normalmente sono legate al contrasto di giurisprudenza, queste questioni vengano rimesse all'adunanza plenaria.
  In questo caso, mi pare che i contrasti erano tutti interni alla sezione III, che era la sezione competente, quindi è stata la stessa sezione III a dirimere questi contrasti con una sentenza dichiaratamente «pilota», in modo da poter indirizzare anche la giurisprudenza successiva.
  Si tratta di sentenze che l'esperienza, non solo del giudice amministrativo, ma anche dei giudici ordinari, conosce, quando, per esempio, ci sono controversie di tipo seriale o controversie che presentano elementi comuni. In quel caso, talvolta, si dà una sentenza in modo che poi la giurisprudenza ne possa tener conto.
  Questo non esclude che, un domani, quando ci fossero altri profili di conflitto o si ponessero problemi di contrasto di giurisprudenza, l'adunanza plenaria possa esserne investita.
  Ora, non ho un ricordo preciso, ma credo che quella sentenza sia avvenuta in adunanza plenaria per una questione riguardante il rapporto tra giudicato amministrativo e la conoscenza dell'interdittiva antimafia successiva al giudicato.
  Questa questione non è ancora stata discussa, ma sarà fatto nei prossimi mesi, sicuramente entro la prima parte del nuovo anno, per cui, se ci fossero delle questioni, è chiaro che l'adunanza plenaria ne terrebbe conto. Il pronunciamento dell'adunanza plenaria obbliga le sezioni semplici a rifarsi a quella giurisprudenza, per cui le stesse sezioni, se vogliono rimettere in discussione quell'indirizzo, devono rimandarla alla plenaria.
  Allo stato, abbiamo una situazione in cui la giurisprudenza della sezione competente è chiara nella sua espressione, quindi non è stato ritenuto che ci fosse necessità di questo tipo di pronuncia.

  PRESIDENTE. Quella sezione non è meno autorevole delle sezioni unite, in questo caso...

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. No, anzi una giurisprudenza conforme della sezione indica non solo l'autorevolezza, ma anche che si tratta di una giurisprudenza che noi definiamo consolidata.
  Vi ho ricordato all'inizio una vicenda riguardante la competenza a conoscere impugnazioni, interdittive antimafia e atti contrattuali o il tipo di aggiudicazioni connesse.
  In quel caso, la questione fu rimessa alla plenaria perché era capitato un contrasto fra giurisprudenza di diverse sezioni. Per esempio, la III sezione era competente per i provvedimenti delle prefetture e, sui contratti, era competente la quinta sezione, quindi, da questo punto di vista, si è posto un possibile, o almeno potenziale, contrasto fra la giurisprudenza di queste due sezioni.
  Allora, la questione è stata rimessa la plenaria, che l'ha risolta nel senso di cui ho Pag. 12detto, cioè privilegiando, come giudice competente, il giudice del luogo in cui ha sede la prefettura che ha emesso il provvedimento.
  Sulla seconda questione, posso dire che non mi risulta ci sia il contenzioso su questa materia, è vero?

  MASSIMILIANO NOCCELLI, consigliere del Consiglio di Stato. Pochissimo...

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. E sulle camere di commercio?

  MASSIMILIANO NOCCELLI, consigliere del Consiglio di Stato. Sulle camere di commercio, non c'è contenzioso...

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Quindi non c'è contenzioso sulle camere di commercio...

  MASSIMILIANO NOCCELLI, consigliere del Consiglio di Stato. Non mi risulta, allo stato, che in III sezione a cui appartengo, sia giunto un contenzioso di questo genere.
  Abbiamo avuto pochissimi casi in cui si è posto il problema dell'applicabilità dell'articolo 89-bis e, in uno di questi casi, ci siamo pronunciati con la sentenza n. 565, che ha già richiamato il presidente Pajno.

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Allo stato, non c'è contenzioso su questa materia. Naturalmente, se il Governo avesse dei dubbi in merito, il Ministro dell'interno può chiedere il parere del Consiglio di Stato su questo e altri problemi, quindi eventualmente la Commissione può sollecitare il Governo a operazioni di questo genere oppure può vedere che cosa si possa fare.
  Adesso, se posso, vorrei parlare del secondo capitolo: lo scioglimento dei consigli comunali e provinciali per infiltrazioni mafiose, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico sugli enti locali, il decreto legislativo n. 267 del 2000.
  Anche questa è una misura di carattere cautelare ed eccezionale ed è prevista per situazioni straordinarie che si hanno nelle ipotesi di collusione, anche indiretta, o di interferenza, non solo voluta, ma anche subita, degli organi elettivi e burocratici di comuni e province con la criminalità organizzata di stampo mafioso.
  La previsione dell'articolo 143 integra quella dell'articolo 141, che si riferisce a tutti i fenomeni di scioglimento dei comuni, per mancanza di funzionamento, per mancata approvazione del bilancio e per gli aspetti che riguardano una mancanza di funzionalità fisiologica dell'ente, mentre questo caso riguarda una mancanza di funzionalità legata a un fenomeno che pone in discussione valori fondamentali, come quelli dell'ordine pubblico e della sicurezza.
  Con ciò, si spiega perché, in sostanza, da questo punto di vista ci sia addirittura la possibilità della rottura di un profilo legato all'elezione di questi soggetti: questo provvedimento interviene commissariando o il sindaco che viene eletto o i consiglieri comunali o anche i dipendenti pubblici a essi connessi.
  Questo istituto è nato al principio degli anni Novanta e si è subito posto al centro di questioni dibattute rispetto alla sua compatibilità con l'assetto costituzionale. Il dubbio sulla compatibilità è stato, però, fugato già da tempo dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 103 del 19 marzo 1993.
  In questo caso, stiamo parlando di una sentenza ormai risalente, che ha ricordato che questo potere straordinario di scioglimento opera solo in presenza di situazioni fattuali evidenti, suffragate da risultanze obiettive che rendano attendibili ipotesi di collusione, anche indiretta, degli organi elettivi con la criminalità organizzata.
  In queste parole, potete cogliere la vicinanza alla tematica delle informazioni antimafia. Come vedete, si tratta un potere di scioglimento eccezionale in presenza di situazioni fattuali evidenti – quindi di un collegamento al fatto, suffragato da risultanza obiettiva, perché, anche in questo caso, c'è l'obiettività del fatto e a questa obiettività, non è connessa una prova, ma un giudizio di attendibilità – che rendono attendibili le collusioni (anche indirette) degli organi elettivi. Pag. 13
  La Corte costituzionale ha parlato in particolare di una misura di carattere sanzionatorio, avente, come destinatari, gli organi elettivi e, tuttavia, di una misura caratterizzata da rilevanti aspetti di prevenzione sociale per la ricaduta sulle comunità locali che la legge intende sottrarre alle infiltrazioni.
  Secondo la Corte costituzionale, c'è una duplice natura (sanzionatoria, da una parte, e preventiva, dall'altra) a tutela delle comunità locali.
  La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è mossa sulla scia della sentenza della Corte costituzionale, ma ha privilegiato soprattutto una lettura di questo istituto incentrata sulla sua finalità cautelare piuttosto che sull'aspetto sanzionatorio, cioè sulla sua finalità di prevenzione, in una logica simile a quella che abbiamo esaminato poc'anzi.
  Tra l'altro, si tratta di una finalità che non è stata solo indicata, ma anche espressamente riconosciuta dalla Corte costituzionale. Tale finalità serve a soddisfare la ratio preventiva di contrasto all'infiltrazione della criminalità nella vita politica e amministrativa degli enti locali.
  Vi cito due pronunce, la n. 2054 del 2015 e la n. 196 del 2016 della III sezione del Consiglio di Stato. Questo orientamento interpretativo si è consolidato nel privilegiare questa finalità preventiva e cautelare dell'istituto, anche se ne sottolinea la straordinarietà, e qualcuno parla di natura o di atto di alta amministrazione, definizione che sarei restìo a utilizzare, perché ritengo che non esistano atti di alta, media o bassa amministrazione, ma esistano atti amministrativi o non amministrativi, e tutti siano impugnabili, come dice l'articolo 113 della Costituzione.
  Si tratta comunque di un provvedimento che costituisce un’extrema ratio dell'ordinamento, il dramma è quando questa extrema ratio per la situazione del Paese è estesa a parti significative di esso.
  Lo scioglimento dell'ente può essere determinato non solo dal collegamento di politici e burocrati locali alla criminalità organizzata, ma anche dal condizionamento, che è una cosa diversa dal collegamento. Queste situazioni possono anche convivere quotidianamente nella vita amministrativa degli enti locali influenzati dalle cosche mafiose, e anzi l'esperienza dice che normalmente queste due cose vanno insieme.
  Anche questo è stato oggetto di un'esplicita pronuncia, la n. 727 del 2014, con cui sono stati dichiarati assolutamente compatibili sul piano logico e compresenti nelle realtà locali ad alta densità criminale collegamento e condizionamento, espressioni entrambi di uno stesso clima fatto di connivenze e intimidazioni.
  Nel 2009 vi è stata una riforma dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali, che ha condotto a una più rigorosa identificazione degli elementi della fattispecie, con la previsione da un lato di elementi più specifici, concreti, univoci e rilevanti, sulla base dei quali evincere il condizionamento e il collegamento con le associazioni criminali di stampo mafioso, dall'altro è introdotta una sorta di analisi della disfunzionalità dell'ente, completando in sostanza l'esame dei princìpi che vengono in discussione in questo senso.
  Detto in maniera più semplice, è risultato rilevante anche il profilo legato alla qualità dell'amministrazione, al principio di buon andamento della pubblica amministrazione, con il presupposto quindi che la violazione del principio di buon andamento, secondo questa modifica del testo unico degli enti locali, è una questione che può e deve essere presa in considerazione ai fini degli eventuali scioglimenti, ovviamente quando la violazione del buon andamento sia collegata ad altri elementi che fanno presumere o rendere assai probabile una infiltrazione mafiosa.
  D'altra parte, è esperienza della cronaca che queste infiltrazioni non riguardano solo l'ambito del consiglio comunale, ma possono riguardare anche gli ambiti della burocrazia, della struttura burocratica del comune, quindi quelle strutture a cui si applica più di ogni altra il principio di buon andamento.
  La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è esercitata nell'indicare gli elementi sintomatici del condizionamento criminale Pag. 14e ha detto che questi elementi sono sintomatici, ma devono essere concreti, univoci e rilevanti. Concreti significa essere assunti ed essere accertati nella loro realtà storica, univoci che devono essere univocamente diretti allo scopo che la misura di rigore è destinata a prevenire, rilevanti che devono essere caratterizzati per l'idoneità che l'effetto deve avere di compromettere il regolare svolgimento della vita dell'ente locale.
  Queste vicende, sintomatiche del legame che condiziona il funzionamento dell'ente locale, devono essere considerate non singolarmente, ma nel loro insieme, in modo da poter delineare un quadro che possa essere complessivamente apprezzato e da cui possa venir fuori la valutazione sull'esistenza del condizionamento mafioso.
  Questo è importante perché costituisce un profilo ancora più penetrante del sindacato. Il sindacato del giudice amministrativo non si può arrestare infatti a una riduttiva analisi dei singoli elementi, senza tener conto del contesto locale, del rapporto con questo contesto locale, dei rapporti con l'amministrazione del territorio, ma bisogna valutare in concreto la permeabilità degli organi elettivi e burocratici a condizionamenti mafiosi, sulla base di una valutazione che deve essere bilanciata e sintetica, e non mera somma dei singoli elementi stessi, cioè la somma dà più dei singoli elementi, perché consente un quadro complessivo.
  Anche questo è stato oggetto di una pronunzia, la n. 3340 del 2014, relativa alla vicenda dello scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria.
  Assumono rilievo pertanto situazioni che non sono traducibili in addebiti personali, quindi frequentazioni, rapporti di amicizia o di affari, legami familiari o anche vincoli sentimentali, accordi preelettorali, cointeressenze economiche e vicende in genere, da rendere plausibili nel loro insieme nella realtà concreta, in base ai dati dell'esperienza, l'ipotesi di una soggezione o di una contiguità degli amministratori locali alla criminalità organizzata.
  Questa procedura ha anch'essa delle deviazioni rispetto all'ordinario procedere nell'attività amministrativa, e si caratterizza per il connotato della speditezza e della riservatezza. È chiaro che tutta la disciplina di accesso che è prevista dal codice degli enti locali non può essere oggetto di accesso preventivo, perché questo accesso frustrerebbe la stessa natura, semmai l'accesso può essere successivo. Del resto, esiste anche una giurisprudenza di carattere generale, secondo cui, quando il procedimento è in corso, l'accesso viene normalmente posposto a quella che è la conclusione del procedimento. Qui addirittura siamo nella fase successiva, quella della impugnazione.
  Questi provvedimenti si caratterizzano anche per un contenzioso particolarmente rapido, perché è previsto un rito abbreviato che ha un valore eminentemente acceleratorio, tutti i termini sono dimezzati, si va avanti con sentenze in forma semplificata, e questo aumenta la garanzia della visura. Quando infatti valutiamo la conformità al quadro costituzionale di una garanzia, dobbiamo anche vedere se questa misura sia giustiziabile o meno, e una più veloce giustiziabilità aumenta la quota di garanzia che viene data a queste misure.
  Per queste misure è competente funzionalmente il tribunale amministrativo regionale del Lazio con sede in Roma, tribunale che può avere una visione d'insieme di questi profili.
  Dobbiamo, secondo la nostra esperienza, registrare che questi provvedimenti vanno moltiplicandosi nel sud del Paese e anche nel nord del Paese. Dal 1991, anno di introduzione dell'istituto, al 2014, quindi fino a tre anni fa, sono stati sciolti per mafia quasi trecento comuni, con un aumento degli scioglimenti nel 2012 pari al 380 per cento, nel 2013 pari al 220 per cento.
  Questo indica la preoccupazione del fenomeno, perché l'infiltrazione si fa più pervasiva, con fenomeni diffusi di illegalità, anche probabilmente per il radicamento e l'espansione di alcune consorterie criminali in molte regioni settentrionali. L'esperienza della ’ndrangheta è quella che rende più evidente questa indicazione.
  Anche qui la percentuale di annullamento da parte del giudice amministrativo Pag. 15è abbastanza bassa, inferiore al 10 per cento, poiché i provvedimenti di scioglimento sono normalmente assistiti da una motivazione ragionevole, sulla base di accertamenti autonomi e delle risultanze investigative delle indagini penali.
  Il Consiglio di Stato ha quindi ribadito questo carattere preventivo e cautelare dell'istituto, carattere che lo avvicina alle misure preventive antimafia e in particolare alle interdittive. La compatibilità con i princìpi costituzionali a nostro avviso è giustificata, come la Corte Costituzionale ha detto, proprio dalla necessità di garantire questo bene fondamentale, la qualità della vita politica e amministrativa dell'ente locale, interesse che è tutelato con l'attribuzione di un potere eccezionale e tutorio al Governo.
  Anche di recente, nel 2014, con la sentenza n. 182, la Corte Costituzionale ha qualificato questi provvedimenti come «atti dell'amministrazione centrale dello Stato», perché emessi dalle prefetture che sono organi che operano come longa manus del Governo (il prefetto è rappresentante del Governo) «finalizzati a soddisfare interessi che trascendono quelli della comunità locale». Questa motivazione è particolarmente importante, perché evidenzia che l'interesse non è solo locale, ma è un interesse nazionale generale, che giustifica sia l'intervento statale che la competenza statale a provvedere su questo, e dà una chiave di lettura del giudizio che deve essere emesso quando si valuta complessivamente la legittimità di questi provvedimenti in relazione all'interesse protetto che viene messo in gioco dall'eventuale infiltrazione mafiosa.

  PRESIDENTE. Grazie presidente. Non so se i colleghi vogliano rivolgere domande. Io ne ho due. Una è relativa (vi ha fatto già riferimento in parte, però ci interessava su tutte e due gli aspetti, a informazioni, comunicazioni, interdittive e scioglimento dei comuni), se anche in virtù della giurisprudenza del Consiglio di Stato siano sufficienti motivazioni più accurate, più documentate o se invece ci sia la necessità, per l'efficacia dell'applicazione di queste misure, anche di un'eventuale, ulteriore intervento del legislatore.
  Avevamo già posto questo problema soprattutto per le interdittive al Ministro dell'interno pro tempore, in particolare attraverso il capo dell'ufficio legislativo, che in quel momento era il dottor Frattasi, e ci parlarono di linee guida più dettagliate e più puntuali che il Ministero avrebbe emesso. Sono sufficienti provvedimenti di tipo amministrativo come le linee guida, come motivazioni più documentate o forse appunto è necessario anche l'intervento del legislatore?
  La seconda, invece, è relativa alla percentuale di annullamento alla quale ha fatto riferimento. Si riferisce naturalmente al Consiglio di Stato, quindi alla decisione definitiva. Avete anche il prodotto «semilavorato», nel senso che forse le percentuali dei TAR sono un po'più alte.
  Qui c'è un'altra domanda che è di sistema, ossia come la sentenza del 2016 ha in qualche modo visto una sorta di uniformità da parte dei TAR. A noi sembrerebbe che di questi strumenti ci sia maggior bisogno. Perché sottoporci a un sindacato di appello, quando una sorta di uniformità di giudizio da parte dei TAR potrebbe in qualche modo... cioè quel 10 per cento si potrebbe raggiungere in prima istanza e alleggerire anche il vostro lavoro, oltre che quello dei ricorrenti.

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. È difficile rispondere in maniera esaustiva alla prima domanda. Quello che certamente si può dire è che più aumentano i criteri preventivi, quindi in questo caso le linee guida, più è accurata la motivazione, c'è più capacità di resistenza nel provvedimento al sindacato giurisdizionale e in generale a una prova di resistenza sulla sua legittimità. Che quindi ci siano delle ulteriori specificazioni in via amministrativa e che esista una particolare attenzione alla motivazione è sicuramente importante.
  Da questo punto di vista le cose che ho detto in qualche modo dimostrano che, dopo quella sentenza del 2016, le prefetture si stanno muovendo in questo senso, adesso non so, ma è possibile che ci siano Pag. 16state delle circolari del Ministero che abbiano diffuso quella pronuncia (bisognerebbe chiederlo al Ministero dell'interno), però in punto di fatto, per quello che noi registriamo, dopo quella sentenza si sono fatte più chiare alcune cose e quindi una certa uniformità...
  Il secondo problema, se il legislatore debba intervenire in questo senso o no, anche questa è una domanda a cui è difficile rispondere. Da una parte un'ulteriore messa a punto del legislatore potrebbe probabilmente essere utile per evitare difficoltà, perché la qualità di queste misure è sempre legata alla precisione non delle fattispecie, ma quantomeno degli indici che sono rilevanti. Bisogna tuttavia tener presente che esiste anche un pericolo di inflazione legislativa, cioè un eccesso di legislazione talvolta rende più oscuro e meno comprensibile il quadro generale.
  Al legislatore, quindi al Governo e al Parlamento, sarà dato di valutare questi aspetti. Quella sentenza della Corte dei diritti dell'uomo che ricordavo poc'anzi sembra muoversi nell'ottica di rivolgere un sommesso invito al Parlamento a esaminare questo tema, però è una sentenza – ribadisco – che riguarda una misura di carattere personale e non riguarda una misura antimafia, semmai la dottrina ha già cominciato a parlare della circolarità di questi princìpi. Conviene quindi che il Parlamento tenga presente queste indicazioni, per trarne le necessarie conseguenze.
  Nel frattempo è sicuramente utile che ci sia una maggior coerenza amministrativa, quindi ove ci fossero delle linee guida ovviamente questo potrebbe aiutare. Naturalmente le linee guida porteranno un'altra questione, bisognerà vedere come sono fatte e si potrà porre un problema di coerenza con la singola questione.
  La verità è che per tutti questi elementi – questo vale non solo per le comunicazioni antimafia, ma in generale per tutti i provvedimenti – il sindacato vero è quello sulla ragionevolezza della misura, e la qualità della ragionevolezza si misura sul suo ancorarsi a elementi storicamente accertati e probabilistici sotto il profilo dell'effetto. Questo (adesso dico una cosa che forse può essere fraintesa) non accade soltanto con riferimento ai provvedimenti antimafia, accade anche per provvedimenti più consueti, più rilevanti, ad esempio quei provvedimenti che dichiarano uno stato di particolare attenzione o di preoccupazione per la diffusione di una possibile malattia. In quel caso si adottano misure preventive.
  Ricorderete quando alcuni anni fa furono adottate misure preventive che riguardavano l'infezione cosiddetta «aviaria» in relazione alla possibilità di contagio da uova e uccelli, per cui si adottarono misure che riguardavano l'accesso agli aeroporti da alcuni Paesi. L'infezione aviaria poi non ci fu o, se ci fu, fu limitata, ma è quindi come una classica misura preventiva di tipo sanitario, perché in tutta la disciplina preventiva c'è questa valutazione probabilistica, quindi non bisogna meravigliarsi che ci sia anche in una materia come questa.
  Sul secondo tema noi abbiamo il doppio grado di giurisdizione, che è una regola costituzionale per quanto riguarda la giustizia amministrativa per le sentenze di primo grado, cioè è una regola che vale per tutte le sentenze dei tribunali amministrativi regionali. Questo principio è dato dall'articolo 125 della Costituzione, che sancisce che nelle regioni siano istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado. Si deduce che qui c'è un primo grado e quindi anche poi un secondo.
  Naturalmente ci sono casi di competenza di un unico grado del Consiglio di Stato, ma ne ricordo uno soltanto in questo momento e francamente penso che una materia di questo genere abbia bisogno del doppio grado di giurisdizione. È necessario che ci sia una conformazione maggiore della giurisprudenza e questo si può fare con un'opera paziente. D'altra parte, credo che le sezioni del Consiglio di Stato possano eventualmente ribadire, ove fossero convinte, la giurisprudenza necessaria e i tempi delle nostre sentenze, come ho avuto modo di dire anche per altre materie come i contratti pubblici, sono in questo caso tempi molto brevi, perché, siccome si gode di un rito speciale, i termini sono abbreviati della metà e quindi nel giro di un Pag. 17anno e mezzo o un anno e otto mesi si riescono ad avere due gradi di giudizio.
  Ovviamente non è possibile per tutto, ma dà un elemento di ragionevole certezza.

  GIULIA SARTI. In realtà mi ha già risposto. Il mio era un dubbio sulle tempistiche e quindi volevo capire, a fronte dei numerosissimi ricorsi che abbiamo visto esserci sia con riferimento alle interdittive, sia con riferimento allo scioglimento di comuni e successive impugnazioni, quante pendenze abbia attualmente il Consiglio di Stato, quindi se possiate fornirci una statistica delle attuali pendenze con riferimento sia alle interdittive, sia allo scioglimento dei consigli comunali o delle ASL, perché abbiamo visto che purtroppo anche in questo c'è stata una bella giurisprudenza.
  Una domanda in particolare su Ostia. Non so se sarà in grado di rispondere ora o se potrà essere oggetto di interlocuzioni future, però ad Ostia si era creata una situazione complicata con riferimento alle concessioni delle spiagge, ai concessionari balneari, ricordo numerosi ricorsi al TAR dei concessionari e una situazione tale per cui, prima della stagione estiva, sarebbe stato necessario avere delle risposte per non dare modo ai concessionari balneari colpiti da interdittive di continuare a operare, quindi, essendoci state impugnazioni di fronte al Consiglio di Stato, tutti i giudizi erano pendenti. Come si è risolta la situazione ad Ostia, c'è ancora una situazione complessa da dirimere?
  Se non può rispondermi ora, magari in futuro avremo piacere di parlare di questo, perché ci siamo occupati tanto della situazione di Ostia con riferimento soprattutto ai lidi e agli interventi della magistratura amministrativa e della procura stessa. Per noi, è importante capire come stanno le cose. Grazie.

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Quando volete, noi siamo a disposizione sia per le audizioni, sia per fornire elementi informativi.
  Sulla prima questione possiamo fornire le statistiche delle interdittive antimafia e credo che siamo in condizioni di fornirle con riferimento anche ai singoli tribunali amministrativi regionali, perché possiamo espungere dal nostro sistema informatico questo tipo di indicazione.
  Devo dire che, mentre gli scioglimenti dei consigli comunali sono soggetti a quel rito accelerato, le interdittive hanno un rito diverso, perché sono soggette al rito ordinario. È una scelta del legislatore che il legislatore può modificare, però devo dire che quando le interdittive si manifestano collegate a questioni riguardanti l'aggiudicazione di contratti o di appalti pubblici, la finalità acceleratoria viene utilizzata attraverso il rito speciale per gli appalti.
  In linea teorica comunque questo è il quadro, le une seguono un rito speciale, le altre invece seguono un rito ordinario, e le nostre sezioni ovviamente fissano questi provvedimenti in modo molto veloce, ancorché seguano il rito ordinario, proprio perché ci si rende conto che si tratta di questioni che interpellano la società in modo importante e quindi vanno trattate con tranquillità e anche però con velocità.
  Su Ostia posso farvi avere dei dati, ma in questo momento non sono in condizioni di dirvi quanti siano i ricorsi, anche perché bisognerebbe capire su queste concessioni balneari quante pronunce cautelari siano state dettate, quante pronunce di merito siano state dettate e quante delle une e delle altre siano state impugnate, in modo da avere un quadro di tendenza generale.
  Non so a quando risalgano questi ricorsi sulle concessioni balneari, però, se sono abbastanza recenti, si tratterà di ricorsi che hanno certamente fatto la fase cautelare, ma alcuni di questi almeno non avranno ancora conosciuto la fase di merito
  Anche questi sono elementi che possiamo farvi avere in un tempo ragionevole, ci collegheremo con la segreteria della Commissione e potremo fornirveli.

  PRESIDENTE. Vista la disponibilità avrei un'altra richiesta. Nel momento in cui ci sono interdittive collegate, ad esempio, agli appalti, siete in grado in qualche modo di valutare la fragilità della legislazione sugli appalti?

Pag. 18

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Questa è una bella domanda.

  PRESIDENTE. I varchi, anche in materia sanitaria ad esempio...

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Questo ovviamente non riguarda l'attività giurisdizionale, perché l'attività giurisdizionale si occupa del caso concreto. Può essere oggetto di una valutazione più complessiva che si può fare con riferimento magari a iniziative normative del Governo.
  Io ho posto molto spesso il problema della qualità della legislazione non solo sotto il profilo della sua confezione, ma anche in diverse audizioni parlamentari, sia nella Commissione per la semplificazione amministrativa che in altre commissioni, e si può cercare di fare un'analisi anche con riferimento alle questioni riguardanti gli appalti.
  Dobbiamo pensare però due cose: la legislazione sugli appalti è abbastanza nuova, perché è frutto del recepimento delle tre direttive comunitarie che voi conoscete, quindi è ancora in fase di assestamento, e buona parte del contenzioso che arriva (almeno di quello arrivato fino adesso) spesso riguarda appalti precedenti, poi c'è una parte che riguarda il nuovo e, più tempo passa, più riguarderà il nuovo; in secondo luogo che la questione delle fonti è particolarmente ricca e complicata, perché nel regime degli appalti noi applichiamo ovviamente fonti nazionali e fonti dell'Unione europea, e teniamo conto della giurisprudenza del diritto europeo.
  Il quadro generale quindi è complesso e questa complessità è resa ulteriormente tale dalla presenza di queste linee guida sugli appalti, date dall'Autorità nazionale anticorruzione, che cerca di fare del suo meglio, ma sono ulteriori discipline prive di una base normativa che abbiamo considerato atti di regolazione.
  Bisogna dare atto al presidente Cantone che su ciascuno di questi chiede il parere del Consiglio di Stato, in modo da avere un conforto anche dal punto di vista della sua legittimità. Forse fra un po'di tempo si potrà fare una valutazione di sintesi e quindi vedere per grandi linee quali possano essere i buchi.
  Ci sono delle questioni che riguardano le politiche pubbliche in materia di appalti. È mia opinione che la questione della qualità del progetto sia una questione fondamentale, perché la qualità del progetto fa sì che il problema delle varianti o non ci sia o sia limitato il più possibile. Poiché l'esperienza ci dice che la questione delle varianti è una di quelle che consente una crescita del profilo legato alla dimensione patologica, è su questo che bisognerebbe insistere.
  Il codice aveva fatto delle scelte importanti ed è importante che queste scelte siano mantenute e che si superino alcune questioni. Talvolta esiste la tendenza a dire che dobbiamo appaltare perché il Paese ha difficoltà economiche, però secondo me il valore di certezza che è dato da un progetto pronto per essere eseguito, il famoso progetto esecutivo, è una certezza in termini di contenzioso e in termini di chiarezza assolutamente maggiore.
  Noi stiamo cercando di ridurre i tempi del contenzioso, e anche questo è un elemento che può aiutare a formare una maggiore certezza. Domenica scorsa Il Sole 24 ore ha dedicato una pagina alla riduzione dei tempi del contenzioso in materia di appalti, che è il segnale utile quantomeno dell'attenzione che stiamo cercando di dedicare a questo tema.

  PRESIDENTE. Un'ultima domanda che è una curiosità: il rapporto tra decisioni in via cautelare, sospensive, e altre di merito, si è ridimensionato in questi anni, è superata la fase nella quale ormai si consideravano le sospensive come un modo per anticipare il giudizio?

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Mi permetto di rispondere in un modo più ampio. Chi fa un ricorso in materia di appalti normalmente fa una domanda di annullamento della gara e una domanda di sospensiva legata alla decisione, una delle strategie per limitare Pag. 19 le sospensive è renderle non appetibili, e questo si fa applicando in maniera sufficientemente chiara la disciplina del decreto-legge n. 90 del 2014, che impone di fissare l'udienza di decisione della causa entro un periodo di circa 70-72 giorni dal deposito del ricorso.
  Se fisso contemporaneamente sospensiva e merito, le parti che hanno chiesto la sospensiva possono trovarsi di fronte a un possibile rigetto e poi tre mesi dopo a una decisione di merito che può essere indirizzata da questo rigetto. Noi sperimentiamo che spesso le parti fanno la domanda di sospensiva e poi chiedono invece che venga abbinata al merito, perché preferiscono avere questo tipo di anticipazione.
  Questo sistema tende quindi a ridurle, ma secondo me non va troppo valorizzato il discorso delle sospensive, perché in realtà la giurisprudenza prevalente, anche se non esclusiva, tiene molto conto del bilanciamento degli interessi pubblici e privati nel provvedere alle sospensioni. Per esempio – lo ricordo anche perché era la sezione che presiedevo prima di diventare presidente del Consiglio di Stato – spesso si teneva conto anche dei tempi del finanziamento, se per esempio la questione riguardante la sospensione poteva mettere in discussione.
  Certo, poi ci sono dei casi macroscopici, nei quali si ha una certezza non dico assoluta, ma abbastanza ragionevole che la misura successiva sarà probabilmente una misura di annullamento. Comunque il rito degli appalti oggi è un rito che tutto sommato non ha problemi eccessivi, anzi vorrei dire che si sono fatti passi da gigante. Il problema è la fase precedente, è il numero dei ricorsi che arriva, il problema è a monte e sta non nel processo, ma nelle ragioni che portano le parti a ricorrere al processo.
  Queste ragioni sono di tipo diverso e talvolta mi sono occupato di questo in sede di inaugurazione dell'anno giudiziario o scientifica. Secondo me ci sono quattro profili. Uno step riguarda la qualità della legislazione, perché più la legislazione è confusa e maggiore è il rischio della controversia, e qui lo strumento fondamentale è la codificazione. Adesso abbiamo avuto un nuovo codice, quindi vediamo come va. Il secondo step è la qualificazione dell'amministrazione, in particolare la qualificazione delle stazioni appaltanti. Se le stazioni appaltanti sono qualificate e sanno fare bene il loro mestiere, tendenzialmente il numero di contenzioso dovrebbe diminuire.
  Il terzo problema riguarda i profili legati al sistema delle imprese, si è sempre in due, chi si aggiudica la gara e chi rimane soccombente nella gara. Qui occorrerebbe prendere conoscenza del fatto che un eccesso di contenzioso provoca un problema che riguarda l'intero Paese, e in questo senso, nel rispetto ovviamente dei valori costituzionali e anche delle norme che ci vengono dall'Unione europea, dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, porsi il problema. Mi pare che nel dibattito pubblico sia stata posta la questione dell'eccessivo ricorso agli strumenti giurisdizionali.
  La quarta questione attiene al giudice. Sul giudice si è lavorato con i vari provvedimenti, con un nuovo codice del processo amministrativo, con il decreto-legge n. 90 del 2014, quindi forse è tempo di lavorare più sugli altri versanti, ma questa è un'opinione personale che rassegno alla Commissione. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie per questa relazione, aspettiamo integrazioni e nel caso sorgessero altre questioni, approfitteremo della vostra disponibilità.

  ALESSANDRO PAJNO, presidente del Consiglio di Stato. Il collega si incaricherà di preparare i documenti, che invieremo alla Commissione.

  PRESIDENTE. Grazie. Pregherei i commissari di fermarsi per il proseguimento dei nostri lavori.

Declassificazione di atti.

  PRESIDENTE. Comunico che è pervenuta una richiesta di declassifica da segreto a libero della parte segretata del resoconto stenografico dell'audizione del procuratore Pag. 20federale Giuseppe Pecoraro, svoltasi in Commissione il 7 marzo 2017. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. La Commissione ha deliberato che il resoconto del 7 marzo 2017 sia declassificato da segreto a libero nei termini testé concordati.

Sui lavori della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che la prevista seduta convocata per domani, mercoledì 15 novembre, alle ore 14, per le comunicazioni della presidente è rinviata ad altra data. Nel medesimo orario avrà altresì luogo l'ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi. Propongo di passare nuovamente in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 15.50.