XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito

Resoconto stenografico



Seduta n. 101 di Giovedì 26 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 2 

Audizione del dottor Dario Mirabelli, componente del CPO Piemonte:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 2 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 2 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 4 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 4 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Cova Paolo (PD)  ... 4 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 6 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Boldrini Paola (PD)  ... 8 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 10 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 10 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 10 
Cova Paolo (PD)  ... 10 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 10 
Cova Paolo (PD)  ... 10 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 10 
Cova Paolo (PD)  ... 11 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 11 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 11 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 11 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 11 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 12 
Mirabelli Dario , Componente del CPO Piemonte ... 12 
Carrozza Maria Chiara (PD)  ... 12 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIAN PIERO SCANU

  La seduta comincia alle 8.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale del web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del dottor Dario Mirabelli, componente del CPO Piemonte.

  PRESIDENTE. Buongiorno a tutti. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Dario Mirabelli, ricercatore presso il Centro di riferimento per l'epidemiologia e la prevenzione oncologica in Piemonte, il CPO Piemonte, che saluto e ringrazio a nome di tutti per la presenza. Il dottor Mirabelli interviene in tema di monitoraggio di patologie oncologiche connesse all'oggetto dell'inchiesta parlamentare.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Dottor Mirabelli, di nuovo buongiorno e grazie per essere presente ai nostri lavori. Noi vorremmo che lei gentilmente ci introducesse, dalla sua postazione, a una migliore comprensione delle dinamiche che governano il controllo da parte della struttura presso la quale lavora, nello specifico l'organizzazione medico-sanitaria della regione Piemonte, relativamente al problema provocato dall'amianto, al mesotelioma, all'asbestosi e a tutto ciò che costituisce per noi un importante ambito da conoscere, da scandagliare, per trovare le opportune risposte.
  Ci importa conoscere se vi siano delle zone grigie, se l'organizzazione di questo sistema sia effettivamente funzionale al perseguimento dei fini, quale tipo di relazione operativa esista con il Renam presso l'INAIL. È per noi un'importante occasione averla nostro ospite.
  Le do quindi la parola molto volentieri, pregandola di sviluppare questo discorso come lei meglio crederà.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. La ringrazio molto, presidente, dell'invito di questa mattina. Per me, è un'occasione per fare un po’ il punto quasi di una carriera lavorativa. Vorrei partire per spiegarmi e raccontarvi qual è stata l'esperienza che è stata sviluppata nell'ambito della sorveglianza sui mesoteliomi in Piemonte.
  Vorrei partire da un antefatto e premettere che a metà degli anni Settanta in Piemonte sicuramente il mesotelioma era ancora considerato qualcosa di estremamente raro e forse un oggetto di curiosità da parte del mondo accademico, in particolare del mondo della medicina del lavoro, a cui mi stavo in quegli anni avvicinando.
  In realtà, a metà degli anni Settanta era chiaro per i medici che operavano a Casale Monferrato che il mesotelioma era una realtà tutt'altro che rara. È proprio attraverso l'accuratezza della sorveglianza clinica, innanzitutto, messa in piedi dai medici dell'ospedale Santo Spirito di Casale Monferrato che emerse nella sua prima evidenza, con una tesi di laurea del 1982, il fatto che il mesotelioma a Casale era un problema particolare e si presentava in una forma diversa da quella che faceva parte Pag. 3dei presupposti un po’ riduttivi della comunità medica piemontese.
  Che cosa è successo a questo punto? È stato chiesto, da parte dei sanitari dell'ospedale di Casale, il supporto di quella che all'epoca era la cattedra di epidemiologia dei tumori dell'università di Torino, del professor Terracini. Nel corso degli anni Ottanta, il professor Terracini e i suoi allora giovani collaboratori, per esempio il professor Magnani, svilupparono una serie coordinata di studi di popolazione volti ad analizzare il fenomeno che si stava manifestando a Casale e a cercare di capire quali ne fossero le cause.
  Venne eseguita un'analisi della mortalità, prima, e poi dell'incidenza per mesotelioma nella popolazione di Casale Monferrato e dei comuni vicini a Casale Monferrato. Poi venne avviato uno studio specifico sulla mortalità dei lavoratori dello stabilimento Eternit di Casale, i cui primi risultati, pubblicati nel 1987, diedero immediata evidenza di questa fortissima concentrazione di casi di mesotelioma della pleura e del peritoneo tra questi lavoratori.
  Era anche evidente, però, dallo studio di popolazione fatto in precedenza che nella popolazione c'erano altri casi di mesotelioma, la cui occorrenza quindi non era limitata ai lavoratori dello stabilimento del cemento-amianto, ma coinvolgeva qualcun altro. Chi?
  Venne impostato uno studio sulle mogli dei lavoratori, e anche questo studio, condotto con le stesse tecniche dello studio sui lavoratori, dimostrò che anche tra queste c'era un eccesso di mesoteliomi, ma di nuovo questo non bastava a spiegare che cosa stesse succedendo nella popolazione.
  Ecco che nasce la necessità di dotarsi di strumenti di osservazione ulteriori, e siamo a questo punto tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta. Innanzitutto, nasce l'esigenza di avere uno strumento che permetta di conoscere, di identificare tutti i casi di mesotelioma che si verificavano nella popolazione studiata, ma non solo quella di Casale Monferrato e dei comuni vicini, bensì di tutto il Piemonte.
  Prima di tutto, questo avrebbe permesso di avere dei termini di paragone, di confronto; in secondo luogo, di non perdere casi o di limitare la perdita di casi. Le persone hanno una mobilità. Chi vive a Casale può vivere a Casale e subire esposizione a Casale e poi spostarsi a Torino e ammalarsi quando è a Torino. Questo rendeva necessario un bacino di osservazione molto più ampio di quello della popolazione su cui stavamo concentrando l'attenzione.
  Così, sulla base di un'esigenza di sanità pubblica, di sorveglianza di un fenomeno preoccupante in una comunità piccola, ma comunque, tra Casale e comuni circostanti, di circa 100.000 abitanti, quindi non trascurabile, nasce l'esigenza di avere a disposizione un vero e proprio registro tumori specializzato nella registrazione dei mesoteliomi. Nasce il Registro dei mesoteliomi maligni del Piemonte. Siamo nel 1990.
  Dal 1990 in poi abbiamo questo strumento, che diventa subito una piattaforma di lancio anche per studi analitici. Il primo studio di caso controllo di popolazione è nella popolazione di Casale Monferrato, che ci dà finalmente la chiave interpretativa del perché ci siano dei casi di mesotelioma nella popolazione di Casale, che non sono lavoratori dell'Eternit, che non sono mogli o parenti dei lavoratori dell'Eternit, e non hanno vissuto, quindi, o condiviso la casa con lavoratori dell'Eternit: le esposizioni ambientali.
  Non c'era, infatti, solo la fabbrica, ma anche un magazzino e uno scalo ferroviario dove veniva scaricato l'amianto grezzo, collocati esattamente al lato opposto della città rispetto a quello in cui si trovava lo stabilimento, ovviamente con i percorsi di trasporto dei materiali grezzi e dei prodotti finiti tra stabilimento e magazzino. Questa situazione complessa di molte fonti di inquinamento ha a un certo punto interessato, coinvolto l'intera popolazione, e non soltanto i lavoratori.
  Ovviamente, la popolazione è stata esposta a livello di intensità incomparabilmente più basse di quelle a cui andavano incontro i lavoratori. Se, però, da un lato, avevamo 3.000 lavoratori nello stabilimento, dall'altro lato avevamo 40.000 abitanti nella città, e quindi comunque il numero di casi che si Pag. 4sono verificati nella popolazione non professionalmente esposta era elevato. Ancora oggi, il 50 per cento dei casi che si verificano a Casale Monferrato ha avuto delle esposizioni non professionali. La nascita del registro dei mesoteliomi serviva ad avere uno strumento per investigare su quello che era, evidentemente, un problema di sanità pubblica specifico, ma grave.
  La nascita del registro nazionale dei mesoteliomi risale al 1993. Il decreto legislativo che lo istituisce è dell'agosto 1991 e recepisce una direttiva dell'Unione europea di otto anni prima, direttiva che richiedeva agli Stati membri di attuare una registrazione specifica dei mesoteliomi e dell'asbestosi in tutti i Paesi dell'Unione europea.

  PRESIDENTE. Anche se la cosiddetta messa al bando viene fatta datare dal 1992.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Questo ha proprio una fonte differente, è una decisione dell'Italia come tale di chiudere con l'esperienza dell'amianto. In questo caso, l'Unione europea viene dopo. Nel 1999, l'Unione europea decide che tutti i Paesi membri devono dismettere gli usi dell'amianto.

  PRESIDENTE. Dottore, lei ci ha detto tutte cose interessanti. Poi riprende il filo del discorso, ma non basta evidentemente lavorare in un opificio, in un'azienda, in un'industria come l'Eternit per ammalarsi, è il contesto che, addirittura per la metà dei casi, viene coinvolto, con i risultati che lei ci ha detto.
  Le è mai capitato di occuparsi di casi di militari, di persone che svolgevano la loro attività in divisa, al servizio del Paese?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Naturalmente, a questo punto abbiamo registrato, dal 1995 a oggi, circa 5.500 casi di mesotelioma maligno nella popolazione piemontese. Siamo passati da circa 100 nuovi casi all'anno, nel 1990-91, a circa 250 nuovi casi all'anno attualmente.
  Per il 70 per cento di queste persone, siamo riusciti a raccogliere informazioni sull'intera storia lavorativa, abitativa, servizio militare e altro, e quindi sì, abbiamo identificato certo, su 3.500 persone di cui conosciamo la storia dell'esposizione, persone che hanno prestato servizio nelle Forze armate.
  In realtà, il servizio nelle Forze armate è un'evenienza tra le più frequenti per gli uomini, perché ovviamente c'è stato il servizio di leva obbligatorio fino a non molti anni fa. Siccome abbiamo l'abitudine di inserire il servizio nelle Forze armate, che sia di leva o che sia professionale, come uno degli elementi della storia lavorativa delle persone, su circa 15.000 periodi lavorativi che abbiamo a calcolatore, registrati elettronicamente – prima, li avevamo solo su carta, dal 1999 in poi li abbiamo in formato elettronico ed è facile fare i conti – un buon 6 per cento sono periodi spesi nelle Forze armate, o per la maggior parte come servizio di leva e, in alcuni casi, come servizio professionale.
  Siccome, però, non in tutti i periodi lavorativi delle persone che hanno sviluppato un mesotelioma si trovano tracce di un'esposizione ad amianto, se limitiamo la nostra attenzione a quei circa 6.000 periodi lavorativi su 15.000 per i quali è stato valutato che ci fosse perlomeno la possibilità, se non la certezza, di un'esposizione ad amianto, allora il contributo dei periodi lavorativi nelle Forze armate proporzionalmente diminuisce molto, perché non è più del 6 per cento, ma del 3 per cento. In altre parole, sono circa 200 i periodi di servizio nelle Forze armate per cui siamo arrivati a concludere che vi fosse stata un'esposizione ad amianto certa, probabile o possibile.

  PRESIDENTE. Il collega Cova vorrebbe porle una prima domanda.

  PAOLO COVA. Questa riflessione mi suggerisce una domanda. Non so se poi riuscirà a darmi una risposta. Come lei ben sa, a Casale Monferrato c'è stata per anni la caserma di CAR per chi faceva il militare di leva. Quello che lei ha appena detto mi ha suggerito alcune idee e alcune domande, che adesso le rivolgo.
  Tutti quei ragazzi che hanno avuto modo di fare il CAR a Casale Monferrato sono Pag. 5stati poi monitorati? Avete un riscontro? Io arrivo da Milano e ho avuto la fortuna di essere andato al mare, perché mi hanno mandato a Savona, ma tanti miei amici hanno fatto il periodo di CAR a Casale Monferrato, con altre destinazioni. Non rientrano nel vostro sistema? Voi analizzate solo la popolazione del Piemonte o anche quelli che sono andati via? Questa è la prima domanda.
  Alcuni militari di leva poi sono venuti e si sono fermati. Per come funzionava il sistema militare, tanti sono arrivati a Casale Monferrato e qualcuno è rimasto per tutto l'anno, i sottotenenti addirittura per un anno e mezzo. Per queste persone avete fatto un monitoraggio? Chi arrivava da Milano, è venuto, ha fatto per un anno il servizio militare a Casale Monferrato, poi è tornato a Milano, Udine, Salerno: di questi si è persa l'epidemiologia? Non si sa più niente? Questo è un caso. Il Piemonte ha altre caserme, alcune abbastanza consistenti. Di questo si sa qualcosa? Noi siamo stati portati a fare il servizio militare, la leva, nella piena incognita. Si era obbligati e si andava.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. La risposta a entrambe le domande è no, per certi versi, sì per altri. Vediamo perché no, perché ho risposto prima no, e poi che cosa voglio dire quando dico che in parte la risposta è sì.
  Non abbiamo mai avuto la possibilità di costruire quella che noi chiamiamo una coorte di persone che abbiano fatto il CAR a Casale Monferrato, alla Podgora, alla Mazza o in tutte e due le caserme.

  PRESIDENTE. O anche il servizio militare, gli allievi ufficiali di complemento.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. E nemmeno di persone che abbiano fatto, invece, proprio il servizio professionale.

  PRESIDENTE. Scusi se mi inserisco. A questo proposito, giova secondo me ricordare quanto lei diceva poco fa, che cioè nella coorte complessiva il 50 per cento delle persone che si sono ammalate avrebbe contratto questa malattia non dentro l'opificio, ma a causa dell'ambiente complessivo, giusto?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Sì.

  PRESIDENTE. Prego, continui. L'ho interrotta.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Non abbiamo mai avuto la possibilità di fare quello che abbiamo fatto per lo stabilimento dell'Eternit, cioè di avere una lista completa delle persone che erano entrate a lavorare nello stabilimento dal Dopoguerra fino alla sua chiusura, creare quella che si chiama una coorte di persone accomunate da quest'esperienza lavorativa e seguirle attraverso un processo abbastanza tedioso, che consiste nel verificare lo stato in vita delle persone nell'ultimo comune di residenza e nel richiedere le cause di morte per i deceduti.
  Questo è uno studio longitudinale e permette di dare una risposta diretta e univoca alla domanda che lei pone: c'è un eccesso di mortalità per tumore maligno della pleura o mesotelioma della pleura tra chi ha lavorato all'Eternit?
  Un lavoro del tutto analogo può in teoria essere fatto per chi ha fatto il CAR a Casale Monferrato. Bisognerebbe avere una lista esauriente di quelle persone, costruire la coorte di coloro che hanno prestato servizio di leva o anche di coloro che hanno prestato servizio professionale a Casale Monferrato – quelle reclute dovevano essere addestrate, e quindi c'erano degli addestratori – e fare lo stesso lavoro, uno studio longitudinale che verifichi se, per esempio, c'è un eccesso di mortalità per tumore maligno della pleura tra chi è accomunato dall'aver avuto quest'esperienza. Questo lavoro non è stato fatto da noi. Non abbiamo mai avuto nessuna possibilità materiale di farlo.
  Quello che, però, siamo in grado di fare è intercettare il fenomeno a livello di popolazione. Avendo un registro che copre l'intera popolazione residente in Piemonte, Pag. 6quando ci imbattiamo in un caso che ha avuto quest'esperienza, lo intercettiamo, lo registriamo e lo intervistiamo. Quest'esperienza, quindi, ci viene raccontata.
  Quando veniamo a sapere che una persona ha prestato servizio militare anche solo per il periodo di addestramento a Casale Monferrato, per cominciare le viene attribuito un periodo di esposizione ambientale, perché ha vissuto a Casale Monferrato e, a seconda che abbia operato alla caserma Podgora o alla caserma Mazza, viene graduata l'intensità di esposizione. Le due caserme erano, infatti, a distanze differenti rispetto ai centri di diffusione dell'inquinamento da amianto di cui vi parlavo nella cittadina di Casale Monferrato. A questa persona viene assegnato un periodo di tre mesi, se sono stati tre mesi, un anno, se è stato un anno, due anni, se sono stati due, di esposizione a livelli ambientali a Casale Monferrato.
  Qualche volta dalle storie delle persone emergono delle circostanze diverse e più precise. La piazza d'armi in cui venivano fatte delle esercitazioni proprio fisiche dalle reclute, esercitazioni ovviamente guidate dal personale (ufficiali o sottufficiali di protezione in servizio permanente), era adiacente al magazzino e deposito dell'Eternit. Quando dico adiacente, dico che erano confinanti, e dico anche che ci sono fotografie di imponenti quantità di materiali e di prodotti finiti (lastre, soprattutto tubazioni) che venivano depositate all'aperto ai confini con la piazza d'armi e anche in parte sopra. Di fatto, i suoli su cui venivano fatte le esercitazioni erano contaminati.
  Abbiamo, quindi, dei casi, ovviamente tra ufficiali e sottufficiali – ne ricordo uno in particolare dell'Esercito – che secondo noi hanno come spiegazione l'aver ricevuto esposizione non soltanto per un processo di inquinamento ambientale generico, ma proprio perché si sono trovati a lavorare su suoli contaminati in modo specifico.

  PRESIDENTE. Do la parola alla collega Carrozza.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Vorrei fare una domanda relativa a come è nata quest'esperienza. Da che cosa è partita l'idea del registro tumori e l'idea di Casale Monferrato? Qual è stato l'elemento scatenante di chi ha deciso che questo processo di monitoraggio doveva partire? Non capisco se sia stata la popolazione, le strutture sanitarie, uno studioso che ha detto che lì stava succedendo qualcosa o la procura. Mi incuriosisce.
  Quello che colpisce sentendo parlare di questo registro tumori, di quest'attività, è prima di tutto sapere se ci sono collaborazioni tra varie istituzioni pubbliche, per esempio con le autorità militari, in relazione al problema che richiamava l'onorevole Cova. C'è trasferimento di dati e collaborazione in relazione al fatto che lì ci sono delle caserme dove sono transitate migliaia di persone?
  La seconda questione è relativa alle altre regioni. Ogni volta che qui sentiamo parlare di un'esperienza così positiva, pur essendo fondamentalmente nata da una tragedia, in una regione come il Piemonte, ci domandiamo se nelle altre regioni d'Italia stiamo seguendo e replicando l'esperienza o ci sono regioni dimenticate. Il nostro compito è quello di guardare a tutto il territorio nazionale e, nell'ambito dell'epidemiologia e della sanità, ci rendiamo conto che invece esistono dei grossi divari. Questo è un problema per il nostro Paese.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. La scelta di istituire questo sistema di sorveglianza sui mesoteliomi è nata per il trovarsi insieme di tre spinte, tre esigenze concomitanti.
  Una era sicuramente quella posta dai medici dell'ospedale di Santo Spirito. Tanto per essere concreti, posso ricordare proprio il nome della dottoressa De Giovanni, del dottor Botta, oncologi, e del dottor Piccolini, pneumologo, che vedevano i casi proprio fisicamente e si rendevano conto che c'era qualcosa di strano in quello che stava succedendo.
  L'altra era la spinta, più che della popolazione, allora forse non proprio consapevole di quello che stava succedendo, da parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori dell'Eternit. Si erano resi conto che questo problema era sfuggito al controllo, Pag. 7 che c'erano delle conseguenze e che queste conseguenze sembravano non arrestabili, non controllabili. C'è stata una preoccupazione forte. Queste persone hanno trovato una sponda, un interlocutore nel professor Terracini proprio materialmente e nel dottor Magnani, che hanno avuto la capacità e la volontà di impegnarsi, di spendersi in prima persona in quest'avventura, che all'inizio non sembrava semplice.
  Tra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta, quali erano i nostri riferimenti? Avevamo come riferimento l'esperienza dell'Archivio toscano dei mesoteliomi, nato due anni prima, nel 1988, che stava muovendo i primi passi. Avevamo l'esempio della regione Puglia, dei colleghi in Puglia, che a Bari stavano anche loro rendendosi conto che intorno alla città, allo stabilimento Fibronit, c'erano dei problemi molto simili a quelli di Casale Monferrato, e cominciavano anche loro a orientarsi verso l'idea di mettere in piedi un sistema di sorveglianza, un registro tumori specialistico. Anche loro, quindi, con questi riferimenti, con questa rete di esperienze che venivano scambiate da un capo all'altro del nostro Paese, si sono messi all'opera e hanno messo in piedi il registro.
  A quell'epoca, non c'era ancora una copertura normativa, che in Italia è arrivata di fatto un anno dopo. Il Renam, poi, ha cominciato a macinare, a essere presente e a rivolgersi a noi come un interlocutore che ci dava anche un ombrello istituzionale per poter operare con il 1993. I primi due o tre anni, quindi, sono stati proprio anni in cui ci si è mossi sulla spinta della necessità di dare una risposta a istanze che venivano dal territorio di Casale Monferrato, ma poi ci si è presto resi conto che purtroppo in Piemonte non c'era solo Casale Monferrato.
  Il Piemonte ha avuto l'industria estrattiva, la miniera di Balangero, moltissime industrie di trasformazione primaria dell'amianto, la SIA di Grugliasco, una tessitura d'amianto delle più importanti al mondo, che di fatto ha provocato delle conseguenze proporzionalmente persino peggiori di quello dell'Eternit.
  A Torino storicamente sono state presenti e hanno lavorato, ciascuna per decenni, almeno quindici aziende di trasformazione primaria dell'amianto. I problemi delle conseguenze che leggiamo oggi dell'amianto in Piemonte derivano da un complesso di problematiche legate ai passati usi industriali, che un po’ per volta abbiamo imparato a riconoscere. Abbiamo imparato a capire che non c'era solo la questione di Casale.

  PRESIDENTE. Ha mai avuto occasione di lavorare con l'Osservatorio epidemiologico della Difesa?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Abbiamo avuto in passato diverse richieste di fornire all'Osservatorio i casi per cui avevamo registrato un periodo di servizio (in Marina, in Aviazione, nell'Esercito). Sono state fatte tre o quattro richieste specifiche, e noi abbiamo risposto fornendo queste informazioni tutte le volte che ci sono state chieste.

  PRESIDENTE. Le do io una notizia adesso. L'Osservatorio epidemiologico della Difesa ha un modo alquanto originale, per usare un eufemismo, nello sviluppare il proprio lavoro, nel senso che indaga sulla storia clinica delle persone che hanno svolto attività militare esclusivamente per il periodo in cui hanno prestato servizio militare. Questo vuol dire che, se uno ha fatto il servizio militare per tre anni, quattro anni, cinque anni, magari poi lascia il servizio militare che è ancora giovane e, se si ammala qualche anno dopo, questo soggetto non viene censito ai fini epidemiologici.
  Lei, che di fatto maneggia la materia comunque legata a un approccio epidemiologico, come considera, per quella che è la sua esperienza professionale, un metodo di lavoro siffatto?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. È il corrispettivo esatto del tipo di sorveglianza sanitaria effettuata in azienda dai medici d'azienda. Pag. 8
  La forza lavoro dipendente di una certa attività industriale viene monitorata dal punto di vista sanitario fintanto che è in servizio. Quando poi le persone vanno in dimissione, per pensionamento o perché si trasferiscono a svolgere un'altra attività, non vengono più viste e sorvegliate dal medico d'azienda, per lo meno non dal medico d'azienda di quell'azienda, ma della nuova ditta in cui la persona eventualmente si trasferisce.
  Questo fa sì che certi fenomeni, certe conseguenze sulla salute, se ci sono delle esposizioni professionali, possano essere intercettate e certe altre no. Quali possono essere intercettate? Quali non possono essere intercettate da un sistema di questo genere?
  Le conseguenze a breve termine possono essere intercettate. Se ci sono delle sostanze che provocano asma bronchiale in alcune persone e quelle persone sviluppano asma bronchiale, questo è un fenomeno che si instaura nel giro di qualche settimana dall'inizio dell'esposizione alla sostanza asmogena. È chiaro che un fenomeno di questo genere può essere intercettato dal cosiddetto servizio del medico competente. Analogamente, può essere intercettato da un osservatorio epidemiologico delle Forze armate che funzioni con questo criterio.
  Un'ipoacusia professionale richiede un'esposizione al rumore prolungata, per esempio di due o tre anni, prima di poter iniziare a instaurarsi. Dipende da quanto è lunga la permanenza dell'esposto nel luogo di lavoro. Se è abbastanza lunga, chiaramente l'esordio dell'ipoacusia professionale può essere intercettato dal servizio del medico competente.
  Quando ci spostiamo verso malattie che hanno una «scadenza» molto più lunga rispetto all'inizio dell'esposizione – pensiamo già all'asbestosi – se non siamo di fronte a delle esposizioni ad amianto del tipo di quelle che si verificavano tra la fine del 1800 e l'inizio del 1900, che provocavano l'asbestosi massiva nel giro di quattro o cinque anni, ma di fronte a esposizioni già come quelle dell'Eternit degli anni Cinquanta, molto inferiori alle altre, che provocano sì l'asbestosi, ma dopo trenta quarant'anni, è evidente che un sistema di sorveglianza sanitaria basato sulla logica del medico competente, del medico d'azienda («guardo i lavoratori fintanto che sono dipendenti della mia azienda e poi non li sorveglio più»), non intercetterà se non una prima parte dei casi di asbestosi, quelli che si ammalano più precocemente.
  Quelli che poi hanno una fibrosi progressiva nel tempo, che continua a progredire lentamente anche dopo la cessazione dell'esposizione attiva – non dimentichiamo che l'amianto permane nei tessuti, quindi un conto è l'esposizione esterna, un conto è l'esposizione interna del nostro apparato respiratorio – per cui questa fibrosi continua a progredire, è evidente che il medico competente non intercetta quei casi che si sviluppano dopo trenta o quarant'anni, ma non li intercetta neanche l'Osservatorio se non si dota di altri strumenti.
  Ecco perché, quando facciamo uno studio di coorte – non è facile, è impegnativo, richiede davvero tanto tempo e tante risorse umane – «inseguiamo» una persona anche dopo che è uscita dallo stabilimento.
  I lavoratori Eternit sono stati monitorati per il loro stato in vita e le cause di morte anche e soprattutto dopo che erano usciti dall'Eternit. Anche quando sapevamo che il lavoratore aveva cessato di lavorare in stabilimento, per esempio, nel 1980, abbiamo continuato a chiedere ai comuni di residenza quale fosse lo stato in vita e, se deceduti, quali fossero le cause di morte, per lo meno per conoscere le cause di morte. Conoscere altri aspetti dello stato di salute delle persone è molto più difficile, praticamente impossibile.

  PRESIDENTE. Perché, evidentemente, l'attività di tipo epidemiologico si fa senza soluzione di continuità.
  Do la parola alla collega Boldrini.

  PAOLA BOLDRINI. Ringrazio il dottor Mirabelli per questa delucidazione su come è avvenuto il monitoraggio nella regione Piemonte e sul fatto che c'è – in effetti, io pensavo solo a Eternit, e invece ci ha spiegato che ci sono altre aziende – una situazione molto particolare. Pag. 9
  Proprio per quello che diceva, avete seguìto quindi anche gli spostamenti, il flusso migratorio delle persone. Le faccio un esempio.
  Io vengo da Ferrara. Noi abbiamo avuto una fortissima immigrazione di persone venute dalle Marche, che andavano in miniera. Quando si sono chiuse le miniere, dove appunto andavano gli operai, anche per motivi di lavoro sono stati spostati da noi, nella Montedison.
  Queste persone hanno cominciato ad ammalarsi molto lontano nel tempo – il registro tumori di Ferrara, uno di quelli nati per tumori al polmone – e purtroppo si sono portate dietro la loro malattia, c'è stata un'esplosione. Si cercava, come avete fatto voi, localmente che cosa fosse successo, ma molti di questi purtroppo si sono portati il problema con loro.
  Le ho citato solo quest'esempio per far capire la difficoltà. Noi abbiamo fatto questa ricerca perché c'erano degli altri impianti che impattavano sul territorio, inceneritore, Montedison stessa, quindi c'è stato un problema grossissimo. Capisco, quindi, che non è una cosa semplice seguire le migrazioni, le persone dove abitano, sapere quello che fanno e quello che purtroppo si portano appresso.
  Torniamo al problema del monitoraggio nel tempo. Noi abbiamo già adottato dei provvedimenti in tal senso, ma abbiamo visto che l'Osservatorio epidemiologico non lo sta facendo, lascia il percorso del monitoraggio una volta che il personale militare viene congedato o smette, appunto, il servizio.
  Si era pensato di far confluire i dati rilevati durante il periodo in quello che potrebbe essere il fascicolo sanitario o la raccolta dati del medico di base, il medico di medicina generale, per far sì che almeno non vengano persi. Come dice lei, è un pezzetto di vita di una persona, che sembra essere staccato dall’unicum della persona, dall'inizio fino alla fine. Noi pensiamo che sia giusto che questi dati vengano forniti al paziente, che a sua volta li fornisca al suo medico, perché questo pezzo è importante. Voi non avete rilevato dall'inizio i ragazzi che sono venuti in leva perché non lo sapevate, ma secondo me è importante una raccolta retrospettiva su quello che può essere successo nella loro vita da militare.
  Io sono dell'idea, e penso che si dovrebbe fare anche nell'ambito lavorativo, a parte l'ambito militare, di consegnare al medico competente di base, il medico di medicina generale, tutto il percorso della vita della persona, altrimenti perdiamo dei pezzi e l'indicazione importante di quello che può aver fatto la persona nell'ambito lavorativo.
  Ora, sono tutti pezzi diversi, perché la normativa prevede che il medico competente sia di competenza dell'azienda e non della struttura pubblica. Noi pensiamo che sia corretto, e abbiamo assunto dei provvedimenti, soprattutto nella Commissione difesa – avevo preso il dato, perché abbiamo dato una parte di una quota – perché ci sia un'osservazione lungo la vita della persona.
  Vorrei sapere se, secondo lei, può essere corretto far confluire, se troviamo provvedimenti per farlo, tutti i dati della vita dei militari oltre il percorso militare. L'Osservatorio epidemiologico della Difesa si dovrebbe occupare anche del percorso successivo. Vorrei avere questo tipo di...

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Sì, penso che sia fondamentale, per un'osservazione epidemiologica completa, non limitarsi al periodo in cui le persone sono in servizio attivo.
  È un fatto talmente conosciuto in epidemiologia che quando si è in servizio attivo c'è un profilo di salute, e quando si va via ce n'è un altro, che si parla di effetto lavoratore sano. Ovviamente, potete immaginare quanto possa essere spiccato un effetto lavoratore sano se interessa delle persone in servizio nelle Forze armate, dove la selezione per la prestanza fisica è un po’ più spinta di quella di chi deve entrare in un'azienda privata. C'è comunque anche per chi si dedica al lavoro manuale in un'azienda privata, ma la selezione fisica per chi presta servizio nelle Forze armate è importante.
  L'effetto lavoratore sano non è soltanto dovuto, inoltre, a una selezione iniziale delle persone fisicamente idonee a prestare Pag. 10un certo tipo di attività, ma anche a una permanenza in servizio delle persone sane, quindi a una componente non solo di effetto lavoratore sano per selezione, ma anche di effetto lavoratore sano per sopravvivenza. È qualcosa di estremamente complesso.
  È ovvio che, se vogliamo intercettare tutte le conseguenze che può avere un'esposizione, dobbiamo dotarci di strumenti per il monitoraggio a lunga scadenza e dopo la dimissione delle persone.
  È anche ovvio che, siccome questi strumenti sono piuttosto impegnativi, onerosi dal punto di vista proprio materiale, queste non sono cose che si possono fare in modo generalizzato. Vanno definite delle priorità, e su quelle vanno messi in piedi gli strumenti di sorveglianza.

  PRESIDENTE. E quando non vengono realizzate, non debbono essere definite attività epidemiologiche.
  Do la parola alla collega Carrozza.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Io ho solo una domanda. Questi studi longitudinali sono onerosi, come ha detto lei, ma dovrebbero servire a inferire anche delle potenziali misure di monitoraggio e di assistenza per tutti quelli che vengono in contatto con una situazione simile.
  Se si fa uno studio longitudinale e si scopre che ci sono questi effetti, è giusto pensare che dobbiamo monitorare sempre più con gli stessi studi longitudinalmente un numero maggiore della popolazione. Non potendolo fare, però, in maniera così estesa, si dovrebbe decidere che chi è esposto o è passato, per esempio, dalla caserma di Casale Monferrato, ha un rischio maggiore di contrarre certe malattie, e quindi ha diritto a più monitoraggio, più sostegno per la propria salute. Ha un rischio maggiore di contrarre certe malattie.
  Secondo me, dovrebbero essere presi dei provvedimenti, quelli, sì, estesi a un maggior numero di persone in termini di monitoraggio della loro salute e di rischio per loro, e di sostegno da parte delle strutture pubbliche a chi si è esposto di più, non per scelta ma perché si è trovato a lavorare.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Posso solo sottoscrivere.

  PAOLO COVA. La ringrazio per la risposta precedente, ma questo mi sollecita un'altra domanda.

  PRESIDENTE. Non ha bisogno di giustificarsi.

  PAOLO COVA. È venuto a parlare il responsabile del Renam. Ora, io militare, l'esempio più classico, che posso essere stato nelle Forze armate per motivi professionali o di leva, mi ammalo di mesotelioma o asbestosi. L'esempio più semplice è di chi ha fatto il militare di leva, e non viene considerato.
  Automaticamente, se viene fatto il militare di leva, verrà chiesto se a Milano, in Puglia. Dove è stato? Quando ci è stato? È stato a Casale Monferrato un anno? Ci è stato un mese?
  In secondo luogo, facile, a volte chiedono se si è fatto il militare in Marina, sui carri. Si può rispondere che si è stati in fureria in Piemonte, a Casale Monferrato, e si chiude. Avviene così o no?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. No. Non ho avuto modo di narrarvi come operiamo, non solo in Piemonte, ma anche in Lombardia, in Puglia, in Emilia-Romagna e in generale, per ricostruire e documentare la storia di esposizione di un caso di mesotelioma.
  Innanzitutto, il caso di mesotelioma, dobbiamo intercettarlo. Ci deve essere segnalato o dobbiamo andarcelo a trovare noi, più frequentemente la seconda che non la prima. Una volta, però, che abbiamo identificato un caso, cerchiamo di ottenere un'intervista personale con il diretto interessato.
  Non è sempre possibile, perché la sopravvivenza è breve, perché le persone stanno male, perché a volte la rete familiare tende a essere protettiva intorno al paziente, a schermarlo anche dal contatto con noi, e diverrà chiaro tra un attimo perché.
  In questo caso, non otterremo un'intervista diretta, ma un'intervista indiretta, per Pag. 11esempio intervisteremo il coniuge o un figlio, una figlia. Attraverso un rispondente cercheremo di sapere che cosa? Cercheremo di conoscere, ricostruire, innanzitutto, l'intera storia lavorativa di una persona e, all'interno della quale collochiamo sempre il servizio nelle Forze armate, anche se è un servizio di leva e non è un servizio professionale.
  Ricostruiamo poi l'intera storia abitativa per capire se la persona, per esempio, ha vissuto in prossimità di una fonte antropico-ambientale di inquinamento da amianto. Ricostruiamo anche la storia dei lavori svolti dalle persone con cui la persona ha convissuto, perché ci sono appunto casi in cui chi si è ammalato di mesotelioma non è l'esposto, ma un convivente della persona. Si ricostruiscono altri aspetti ancora dell'ambiente di vita e domestico. Ci sono casi dovuti al fatto che nell'ambiente di casa erano presenti o utilizzati materiali contenenti amianto particolari.
  Si tratta, quindi, di un'intervista complessa, onerosa, che dura, quando va bene, un'ora, ma possono anche essere due. Tra l'altro, se è un'intervista fatta a un rispondente, non sempre si riescono a ottenere tutti quei dettagli e tutte quelle informazioni che potrebbero essere utili.
  Per focalizzare l'attenzione sul periodo nelle Forze armate, certo, chiediamo esattamente dove è stato prestato servizio, anche di leva, dove è stato fatto il CAR, dove è stato prestato servizio successivamente.

  PAOLO COVA. Lo chiedono in tutta Italia?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Sì, certamente.
  Poi può essere che quello addetto alle interviste in un certo COR, che fa 250, 300, 400 interviste all'anno, come nel caso della Lombardia, sia personale molto addestrato. In un COR molto più piccolo, con una popolazione più piccola, un'incidenza più bassa, in cui si fanno 20 interviste all'anno, è chiaro che ci sarà personale con minore addestramento per forza. Può essere, in quanto meno addestrato, magari anche meno pronto a sollecitare un'informazione. Se questa non viene fornita spontaneamente, si rischia di perderla.
  Non sto dicendo che tutto va ben, madama la marchesa, che è tutto perfetto ovunque. Ci sono certamente delle situazioni in cui c'è un'esperienza molto maggiore e altre in cui ce n'è una minore. Inoltre, l'esperienza non è la stessa nei confronti di tutti i settori in cui vi può essere stata esposizione all'amianto.
  Noi abbiamo la capacità di fare buone domande se qualcuno ha lavorato nel cemento-amianto, nell'edilizia o nel settore tessile, ma se ci capita qualcuno che ha lavorato nelle attività portuali o nella cantieristica navale, esperienza non ne abbiamo. Notoriamente, in Piemonte non ci sono queste realtà. Relativamente al periodo lavorativo di quella persona, l'intervistatore si trova in difficoltà e, o le cose gli vengono dette spontaneamente, o non è in grado di fare delle domande pertinenti.

  PRESIDENTE. C'è un'altra domanda della collega Carrozza, poi concludiamo, avendo esaurito il tempo.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Al di là di queste analisi epidemiologiche, vorrei sapere dello stato dell'arte della modellazione dell'interazione tra la fibra e il tessuto della pleura. Immagino che per tutti questi dati ci siano dei modelli che spiegano, a partire dalla natura e dalla particolare morfologia delle fibre di amianto, come si scatena il processo che porta alla malattia. Ci sono?

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. No.
  Noi abbiamo dei modelli fisici che ci descrivono la distribuzione delle particelle, in questo caso delle fibre, all'interno delle vie aeree e che ci descrivono la deposizione delle particelle nei tessuti polmonari. Non ci sono, invece, le conoscenze, per capire e descrivere le vie di trasporto delle fibre dal tessuto polmonare in cui si depositano allo spazio pleurico all'interno del quale esercitano la loro azione per il mesotelioma. Parliamo, in questo caso, del mesotelioma, non del cancro del polmone. È estremamente Pag. 12 difficile averle, altrimenti ci sarebbero.
  Balzando all'estremo opposto della scala, abbiamo dei modelli matematici che descrivono la relazione tra alcune caratteristiche dell'esposizione (intensità, durata, tipo di fibre a cui c'è esposizione) e il tempo trascorso dalla somministrazione di quell'intensità e di quella durata e l'andamento del rischio di mesotelioma.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Sono modelli basati sulle statistiche epidemiologiche, non sull'interazione fisica.

  DARIO MIRABELLI, Componente del CPO Piemonte. Esattamente. No.

  MARIA CHIARA CARROZZA. Okay, grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, dottore, per quest'interessante relazione che ha voluto svolgere e per come ha risposto alle domande che le abbiamo posto.
  Avrà capito quanto questa Commissione sia interessata a entrare anche nel meccanismo che governa l'aspetto epidemiologico, quello della cura, della terapia che ne discende.
  Se posso azzardare una considerazione finale, benché molto sia stato fatto, rimangono ancora delle zone «d'ombra», delle forme di relativa attenzione, alle quali complessivamente – non mi riferisco alla realtà piemontese – il nostro Paese dovrà lavorare, e questo in considerazione del fatto che, per ovvie ragioni, anche se ne avremmo voluto fare a meno, i COR delle varie regioni funzionano nella misura in cui le persone che vi lavorano riescono a farli funzionare.
  Per parte nostra, nello specifico, relativamente al discorso dei militari, è fondamentale che il nuovo, direi, vero Osservatorio epidemiologico della Difesa dismetta questi abiti che tuttora indossa, che di scientifico non hanno niente, e si organizzi, similmente a quanto fate voi, in quelle regioni virtuose. Grazie molte.
  Ringrazio tutti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.40.