XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 150 di Giovedì 28 settembre 2017

INDICE

Comunicazioni del presidente
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 2 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, e del procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3  ... 5 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 5 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 6 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 6 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 8 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 8 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 
Cafiero de Raho Federico  ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 9 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 9 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 10 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 10 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 11 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Lombardo Giuseppe  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 15 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 16 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 17 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 17 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 18 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 18 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 
Grassi Gero (PD)  ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 19 
Grassi Gero (PD)  ... 19 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 20 
Grassi Gero (PD)  ... 20 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 20 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20 
Grassi Gero (PD)  ... 20 
Cafiero de Raho Federico , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 20 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 20 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 20 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 20 
Lombardo Giuseppe , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria ... 20 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 14.05.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che, nella riunione odierna, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di:

   incaricare il tenente colonnello Giraudo e il luogotenente Boschieri di acquisire sommarie informazioni testimoniali da due persone al corrente dei fatti;

   incaricare il tenente colonnello Giraudo di acquisire presso l'AISE e il RIS documentazione di interesse dell'inchiesta parlamentare;

   procedere alla desecretazione di un brano della parte segreta del resoconto dell'audizione di Adriana Faranda svoltasi nella seduta del 20 settembre 2017, che – ove si concordi – verrà pertanto pubblicato nei resoconti.

  Comunico, inoltre, che:

   il 21 settembre 2017 il generale Scriccia ha trasmesso una lettera, riservata, inviatagli da Luigi Grasso e Giorgio Moroni;

   il 22 settembre 2017 il colonnello Pinnelli ha depositato una nota, riservata, con allegata documentazione fotografica predisposta dal RIS dei Carabinieri di Roma;

   il 26 settembre 2017 il tenente colonnello Giraudo ha depositato il verbale, segreto, di sommarie informazioni testimoniali rese da due persone al corrente dei fatti;

   il 27 settembre 2017 il dottor Donadio ha depositato una proposta operativa, riservata, relativa all'identificazione ed escussione del personale dell'Arma dei Carabinieri che esaminò un testimone il 16 marzo 1978 e all'acquisizione di copia integrale di tutti gli atti di indagine compiuti dalla Compagnia Trionfale in riferimento ai fatti di via Fani;

   nella stessa data il dottor Mastelloni ha depositato il verbale, segreto, di sommarie informazioni rese da una persona al corrente dei fatti;

   nella stessa data il colonnello Pinnelli ha depositato una nota, riservata, con allegata documentazione relativa agli accertamenti condotti su Giustino De Vuono;

   nella stessa data il dottor Salvini ha inviato una nota, riservata, relativa alla possibile escussione di una persona al corrente dei fatti;

   il 28 settembre 2017 il sovrintendente Marratzu e il sostituto commissario Ferrante hanno depositato atti, riservati, relativi a un procedimento civile per diffamazione riguardante la proprietà di alcuni appartamenti siti in via Gradoli, a Roma.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, e del procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo.

Pag. 3

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Federico Cafiero de Raho e del dottor Giuseppe Lombardo, che ringraziamo per aver accettato di intervenire in Commissione nonostante i loro molteplici impegni. Li ringraziamo inoltre per la collaborazione che si è stabilita con la Procura di Reggio Calabria grazie anche all'attività svolta dal dottor Donadio, collaboratore della Commissione, sulle tematiche della criminalità organizzata e dei suoi rapporti con il terrorismo.
  L'audizione è stata deliberata per acquisire elementi su una questione ormai antica, che fu posta sin dai primi anni Novanta (il fatto che sia stata posta allora non ha nulla a che vedere con il fatto che si sia chiarita): quella di un eventuale ruolo della ’ndrangheta nella vicenda del sequestro Moro. Nella prospettiva della stesura della relazione finale è opportuno che la Commissione faccia il punto sulla questione e, da questo punto di vista, l'audizione di oggi è particolarmente opportuna.
  Prima di lasciare la parola al dottor Cafiero de Raho e al dottor Lombardo credo sia opportuno riassumere brevemente, per noi stessi, ma anche per i nostri due auditi, le acquisizioni della Commissione e le questioni aperte ai possibili approfondimenti in questo specifico e limitato ambito.
  La Commissione ha inizialmente approfondito la vicenda di un noto ’ndranghetista, Antonio Nirta (nato nel 1946). Come si ricorderà, la tematica Nirta entrò nella vicenda Moro nei primi anni Novanta. Il collaboratore di giustizia Saverio Morabito – che consentì con le sue dichiarazioni l'operazione Nord/Sud, che portò all'arresto di 60-70 ’ndranghetisti – elemento della malavita milanese già inserito in posizione di vertice nella ’ndrangheta, escusso nel 1992 dalla Procura di Milano, aveva riferito che alcuni membri di spicco della ’ndrangheta sarebbero stati inseriti nella Massoneria ufficiale, come ad esempio la famiglia Nirta di San Luca. Di questa famiglia (sempre a dire di Morabito) faceva parte Antonio Nirta, detto «Due nasi» data la sua predilezione per la doppietta. Nirta avrebbe avuto contatti con la Polizia o con i servizi segreti e – secondo quanto Morabito avrebbe appreso da Domenico Papalia e da Paolo Sergi – avrebbe partecipato al sequestro Moro. Morabito, tuttavia, non ha mai chiarito se Nirta fosse tra quelli che avevano operato materialmente in via Fani o tra coloro che avevano sparato.
  Nirta fu indicato dai pentiti come in stretti rapporti con l'allora colonnello dell'Arma Delfino, originario di Platì, che avrebbe ricevuto da Nirta informazioni relative a sequestrati nell’hinterland milanese, che venivano liberati con operazioni di polizia dopo il pagamento del riscatto. Sempre secondo le dichiarazioni di collaboratori di giustizia acquisite dalla Commissione stragi, Nirta sarebbe stato legato al colonnello Delfino in quanto simpatizzante della destra eversiva, e, in virtù di questo legame ideologico che condivideva con la famiglia e il clan De Stefano, avrebbe tentato di stabilire legami tra la ’ndrangheta e l'eversione di destra. Le dichiarazioni di Morabito non sono state mai confermate da Sergi e Papalia, e la vicenda giudiziaria pertanto si è conclusa nel 1996 senza esiti.
  Gli elementi nuovi che hanno indotto la Commissione a esaminare questa vicenda sono numerosi. In primo luogo, gli approfondimenti sul bar Olivetti, sito in via Fani e per trentanove anni rimasto ignorato, hanno evidenziato che il titolare di quel bar, Tullio Olivetti, indicato in una documentazione di polizia e dei Servizi come partecipe di una rete di interessi criminali legati al traffico internazionale di armi, fu coinvolto in un'indagine sul traffico di armi condotta nel 1977 dal Nucleo investigativo dei Carabinieri di Roma e dal sostituto procuratore Armati. Nell'ambito dell'indagine, Olivetti, che si rese irreperibile e non fu sentito (ho sintetizzato con un eufemismo), fu descritto dal principale teste e imputato, Luigi Guardigli, come persona in contatto con un gruppo libanese che gli avrebbe richiesto armi, riciclatore del provento Pag. 4 di sequestri e in rapporto con Frank Coppola.
  Gli esiti giudiziari furono modesti, perché le armi oggetto dei traffici furono considerate armi giocattolo e Luigi Guardigli fu definito soggetto con una personalità mitomane da una perizia di Franco Ferracuti e Aldo Semerari, di cui ricorderete la fine. Peraltro Guardigli, recentemente escusso, ha riferito che la ritrattazione a cui arrivò era stata motivata dal timore per avvertimenti pervenutigli, durante la detenzione, da soggetti riconducibili al clan De Stefano.
  Nel corso delle indagini, inoltre, sono state rinvenute significative evidenze in ordine alla possibilità di rendere efficaci le cosiddette «armi giocattolo», di assemblare armi con componentistica proveniente proprio da cosiddette «pistole giocattolo» o infine di riportare all'efficienza e funzionalità armi in precedenza inertizzate. Questo elemento è stato sottolineato anche dal generale Cornacchia, che allora dirigeva il Nucleo investigativo dei Carabinieri, nelle sue audizioni presso la Commissione del 5 e del 12 ottobre 2016. In tali occasioni, Cornacchia ha anche evidenziato l'esistenza di laboratori specializzati nel rendere utilizzabili queste armi per operazioni criminali. In altri termini, si trattava di armi assemblate, nelle quali l'otturatore di plastica veniva sostituito. Questa procedura sembra che fosse attuata sia da appartenenti alla ’ndrangheta sia da appartenenti alla banda della Magliana, e tutto questo girava intorno al bar Olivetti. Credo non sfugga a nessuno che il traffico di armi era allora un business come oggi quello della droga, quindi probabilmente attorno a queste operazioni c'erano contiguità che creavano imbarazzo anche ad apparati dello Stato.
  Nel complesso, gli accertamenti compiuti dalla Procura di Roma e dalla Commissione, anche con l'audizione del dottor Armati, hanno consentito di acquisire ulteriori elementi sull'esistenza di un'associazione per delinquere, finalizzata al traffico di armi, munizioni e congegni micidiali, che avrebbe trattato con Giorgio De Stefano una partita di pistole italiane e straniere. Nell'ambito di tale associazione si collocava anche la personalità di Tullio Olivetti, che rimane sfuggente.
  Questi accertamenti sono stati riletti in relazione a un'informativa del SISMI ai Carabinieri del 30 maggio 1978, che segnalò che, secondo una fonte informativa, il fallimento del bar Olivetti nell'autunno del 1977 sarebbe stato legato a un'oscura manovra commerciale del proprietario. La nota rilevava inoltre che la preparazione e la consumazione dell'eccidio di via Fani non sarebbero state possibili se il bar avesse continuato l'attività, innanzitutto perché i terroristi tesero l'agguato spostandosi dietro la siepe di pertinenza del bar, poi perché la preparazione dell'azione sarebbe stata certamente notata dagli avventori. Anche in questo caso gli accertamenti compiuti all'epoca furono modesti, se ci furono, e si limitarono a rilevare che Olivetti era stato coinvolto in un marginale traffico di armi e si era reso irreperibile in tutte le ricerche.
  La Commissione ha approfondito il tema della chiusura del bar anche tramite l'audizione di Raimondo Etro, e tramite alcuni ulteriori accertamenti, che hanno messo in evidenza come si passò dalla scelta della chiesa di Santa Chiara come luogo del rapimento alla scelta di via Fani proprio quando, come coincidenza temporale, avvenne la chiusura di quel bar.
  La vicenda del bar Olivetti, ancora oggetto di approfondimenti; proprio questo emergere negli atti del clan De Stefano, dell'eversione di destra e di sinistra, di soggetti che sono a vario titolo intervenuti nella vicenda Moro, di intermediari tipo Buscetta e altri come Cutolo e Selis, potrebbe spiegare la presenza di Nirta. Rispetto a prima, infatti, al di là delle battute giornalistiche, c'è una foto del 16 marzo 1978 che, anche al di là della perizia del RIS, per la quale abbiamo ovviamente rispetto, credo che se ve la mostrassimo, converreste con noi che quello sembra proprio Antonio Nirta. Avrà fatto footing quella mattina a via Fani intorno alle 9, ma stava lì, molto probabilmente ci stava per motivi diversi, ma era lui, e perfino il RIS hanno rilevato una «discreta compatibilità» di Nirta con l'uomo che appare in quella foto, Pag. 5che ovviamente si inserisce nel contesto delle nostre preoccupazioni.
  Ciò peraltro collimerebbe con le dichiarazioni a suo tempo rese dall'onorevole Benito Cazora, che, oltre ad aver riferito al pubblico ministero De Ficchy di contatti con un criminale comune di origine calabrese, Varone, che avrebbe segnalato via Gradoli, nel corso del sequestro fece una telefonata a Sereno Freato segnalando la necessità di avere le foto del 16 marzo, perché dalla Calabria («da giù») gli sarebbe stato comunicato che in una foto si individuava un personaggio a loro noto.
  Anche se sono in corso ulteriori approfondimenti, da tutto ciò si può quantomeno ipotizzare una presenza di Nirta in via Fani – anche per attività magari non legata all'attacco brigatista – che fu a suo tempo scarsamente indagata forse perché proprio legata alla vicenda del traffico internazionale di armi di Guardigli e Olivetti, che si avviava a chiusura sul piano giudiziario dopo la perizia di Ferracuti e Semerari.
  Relativamente al tema della ’ndrangheta, la Commissione sta rivalutando anche le dichiarazioni di Cazora e ulteriori elementi emersi. In particolare, nell'ambito di escussioni condotte da collaboratori della Commissione, un pentito di ’ndrangheta ha richiamato l'attenzione sul cambio di turno di un agente della scorta di Moro, alludendo a una qualche forma di notizia giunta allo stesso dell'ambiente calabrese, dicendo che era stato «salvato».
  Passiamo in seduta segreta. Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (I lavori proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE Infine, la Commissione è interessata alla vicenda della circolazione di armi, eventualmente anche tra estremisti di sinistra o brigatisti e ambienti della criminalità comune.
  Come è noto, un altro collaboratore di giustizia, Antonio Sestito, ricordò di aver appreso che il mitra utilizzato per commettere l'omicidio di Francesco La Rosa era un'arma «sporca», in quanto aveva sparato durante il sequestro Moro. Sul tema non risultano alla Commissione accertamenti definitivi, ma è questione non secondaria che occorre approfondire.
  Rientra in questo quadro anche la vicenda del traffico di armi e armi giocattolo, infatti alcune attività di accertamento su armi a disposizione della ’ndrangheta hanno consentito di verificare la presenza, in un deposito nella disponibilità delle stesse organizzazioni criminali, di due mitragliette identiche tra loro a funzionamento automatico, ognuna completa di caricatore da 30 colpi, che in atti sono state generalmente indicate come tipo Skorpion. Su questo ci piacerebbe conoscere qualcosa di più.
  Fatto questo quadro generale, lascio la parola agli auditi, chiedendo loro di darci ogni indicazione, anche al di là di quanto abbiamo velocemente riassunto, che sia di particolare interesse soprattutto nella valutazione di fondo del rapporto tra criminalità organizzata, organizzazioni terroristiche, Brigate rosse, e di riferirci se nel recente passato o in tempi più remoti ulteriori fonti abbiano ribadito questo legame tra la ’ndrangheta e le Brigate rosse.
  Qualora doveste riferire cose che ritenete sottoposte al segreto, basterà chiederlo e passeremo in seduta segreta.
  Lascio la parola al procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria, dottor Cafiero de Raho.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Presidente, grazie innanzitutto a lei e alla Commissione che ci ha invitato. Peraltro, ha consentito che rinviassimo in diverse occasioni la nostra audizione per una serie di ostacoli che abbiamo avuto nel tempo.
  Credo che gli elementi acquisiti dalla Commissione siano elementi sui quali possiamo dare un contributo limitatamente al giusto inquadramento e all'esatta configurazione di determinate vicende. Partiamo innanzitutto dalle dichiarazioni di Saverio Morabito, che è appunto la fonte che fa riferimento ad Antonio Nirta «Due nasi». In queste dichiarazioni si fa riferimento alla famiglia Nirta, che è una delle famiglie tradizionalmente più significative nell'ambito della ’ndrangheta. I Nirta, insieme ai Pag. 6Piromalli e ai De Stefano, costituiscono le dinastie che sono l'ossatura fondamentale della ’ndrangheta, quindi quando Saverio Morabito fa riferimento a Nirta dobbiamo riconoscere che certamente si tratta di una famiglia di peso straordinario, storico.
  Dobbiamo, tuttavia, sgomberare innanzitutto il campo da una confusione che può esserci. In primo luogo, sono due le famiglie Nirta che assumono rilievo. Entrambe vengono da San Luca. Una è quella che si ricollega agli Strangio e che è in contrasto con Pelle-Vottari, mentre poi c'è l'altra, i Nirta «LaMaggiore» o Scalzone, che sono quelli ai quali facciamo riferimento, i Nirta più significativi, i Nirta importanti, ai quali la ’ndrangheta ha fatto riferimento anche per individuare le regole alle quali uniformarsi e per passare dalla società di «Sgarro» alla società della «Santa», che modifica anche l'orientamento della stessa ’ndrangheta. Quando parliamo di Antonio Nirta, al quale fa riferimento Saverio Morabito, facciamo riferimento al figlio di Francesco, che è a sua volta fratello di Antonio, classe 1919, e di quel Peppe Nirta che è un elemento al quale si fa riferimento anche in vari atti giudiziari.
  Da chi Saverio Morabito apprende la notizia che riferisce? Da Domenico Papalia e Paolo Sergi. Chi sono costoro? I fratelli Sergi, secondo quanto riferisce Antonino Cuzzola, sono coloro che anche da Cosa nostra in Lombardia assumono il controllo e la gestione del traffico internazionale di stupefacenti. In particolare, Antonino Cuzzola è l'esecutore materiale dell'omicidio di Umberto Mormile, omicidio deciso dai Papalia (Domenico e il fratello). Cuzzola riferisce quello che ha appreso quale elemento di fiducia dei Papalia e perché ha operato in Lombardia in quell'organizzazione. Egli ricorda che, su richiesta di Cosa nostra, dopo l'omicidio di Corollo, della gestione del traffico di stupefacenti si interessarono i fratelli Sergi, quindi parliamo di soggetti di altissimo rilievo. Chi sono i Papalia? Se per voi è tutto scontato, però, io abbrevio...

  PRESIDENTE. No, è estremamente utile.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Innanzitutto, Domenico Papalia viene coinvolto nell'omicidio di Antonio D'Agostino, che avviene nel 1976. Antonio D'Agostino è uno dei personaggi di vertice della ’ndrangheta e in Roma si incontra con altri elementi significativi. Domenico Papalia è quello che fa chiamare fuori Antonio D'Agostino; passano due uomini a bordo di una moto e viene eseguito l'omicidio. Domenico Papalia e – successivamente, per le indagini che vengono svolte – il fratello vengono entrambi coinvolti e condannati per quell'omicidio. Peraltro, un elemento importante è che nell'ambito dell'indagine svolta da Ferdinando Imposimato si portarono avanti anche elementi investigativi che riguardavano l'omicidio del giudice Occorsio, e si dice che alcuni elementi investigativi conducessero ad un filone investigativo non dico comune, ma comunque riconducibile alla ’ndrangheta, tanto che il giudice istruttore di Firenze che si occupò poi dell'omicidio del giudice Vittorio Occorsio ebbe a disporre una serie di perquisizioni che riguardarono anche i fratelli Paolo e Giorgio De Stefano, nonché Felice Genoese Zerbi, il famoso marchese, uomo della massoneria calabrese. La perquisizione venne eseguita perché si andò alla ricerca addirittura del mitra Ingram che era stato usato.
  Domenico Papalia, rinchiuso nel carcere di Opera, ha rapporti con i vari educatori, anche con l'educatore Umberto Mormile.
  Lasciando stare la causale che certamente potrete approfondire dalla fonte giudiziaria (sono intervenute sentenze passate in giudicato che hanno condannato Domenico Papalia per quell'omicidio), quello che mi sembra significativo è che viene utilizzata una sigla per la rivendicazione, la sigla «Falange armata carceraria», che troviamo successivamente e su cui tornerò.
  Quello che si evidenzia già negli atti dell'omicidio è che Domenico Papalia esegue l'omicidio, secondo quello che dice altro collaboratore, in quanto Antonio Nirta «Due nasi» gli rappresenta che D'Agostino vuole assumere il vertice della ’ndrangheta in Lombardia e quindi lo sta scalzando. Pag. 7Alla base, quindi, abbiamo ancora un rapporto Nirta/Papalia, e Papalia, che doveva essere il vertice della Lombardia per quanto riguarda la ’ndrangheta e la gestione di tutti i traffici, viene arrestato poco dopo l'omicidio.
  «Falange armata» è la sigla di una sedicente, ma inesistente associazione politico-sovversiva, sigla che viene utilizzata in tantissime occasioni. Perché ce ne siamo occupati? Perché in due indagini, da un lato «Mammasantissima», che è l'indagine che ricostruisce i rapporti fra ’ndrangheta e massoneria (una massoneria coperta, una massoneria in parte scoperta), i riferimenti con servizi segreti e la proiezione della ’ndrangheta in vari settori, dall'altro con un'altra ordinanza di custodia che riguarda invece gli omicidi di due carabinieri nel gennaio del 1994, si ricostruiscono i rapporti fra ’ndrangheta e Cosa nostra e la partecipazione della ’ndrangheta – almeno in un certo momento, sia pure con limiti temporali abbastanza brevi – al programma stragista continentale, quello che riguarda le stragi del 1993 e del 1994.
  Le due ordinanze di custodia che ho riportato in un CD che deposito sono particolarmente significative, perché gran parte, se non tutti gli elementi che vi evidenzierò sono stati trasfusi in queste ordinanze, che riproducono le richieste di ordinanza che la Procura della Repubblica aveva avanzato.
  Tornando alla sigla, devo anche evidenziare come, già quando la rivendicazione viene utilizzata, i collaboratori di giustizia che ne riferiscono sostengano che era stata utilizzata perché Domenico Papalia voleva confondere le ricostruzioni della causale, ma nello stesso momento con l'avallo dei servizi segreti, perché Domenico Papalia aveva rapporti con i servizi di sicurezza. Quali siano per la verità non si è in grado di specificare. Sappiamo, attraverso i collaboratori di giustizia, che i Servizi avevano autorizzato l'utilizzo di quella sigla. La sigla, peraltro, venne inviata ad un numero di telefono dell'ANSA di cui erano in possesso (così almeno si afferma nell'ambito delle indagini) soltanto gli uffici di sicurezza o gli uffici di polizia. Quella sigla, utilizzata in numerose occasioni, è stata usata anche per rivendicare numerosi fatti. In particolare, nell'ambito dell'ordinanza di custodia che riguarda l'omicidio dei carabinieri risulta che la sigla è stata utilizzata per rivendicare la strage di via Fauro in Roma del 14 maggio 1993, e in relazione ad essa le rivendicazioni sono avvenute lo stesso giorno con dei messaggi riportati nella stessa ordinanza. Il 14 maggio 1993, ad esempio, arriva questa telefonata all'ANSA: «Pronto, è la redazione? Ascolti, abbia la cortesia di scrivere queste due righe: confermiamo intanto la telefonata fatta alla sede centrale dell'ANSA Roma un'ora fa a proposito dell'azione condotta ai Parioli e la successiva telefonata fatta al quotidiano “l'Unità” che diceva Falange armata, Roma, quartiere Parioli. Questo è l'annuncio di una delle tante promesse ancora da mantenere. Vi abbiamo dato il codice, che notoriamente, almeno quello ultimo, è 201480. Tutto qui».
  Proseguono indicazioni di questo tipo, ne abbiamo altre cinque per quanto riguarda via Fauro, otto per via dei Georgofili, a Firenze, l'altra strage del 27 maggio 1993, otto per via Palestro, a Milano, del 27 luglio 1993. Se leggete i messaggi con cui vengono rivendicati i fatti specifici, tutto ciò è indicativo della volontà di attribuire gli attentati a un'organizzazione terroristica di matrice politica estremista.
  Questo è quello che avviene anche in relazione a uno degli episodi di omicidi dei carabinieri di cui ci siamo occupati, per i quali l'ordinanza di custodia è stata emessa nei confronti di Giuseppe Graviano e di un esponente della ’ndrangheta, Filippone, come mandanti di questi fatti. Gli esecutori materiali erano già stati identificati e ci riferiamo al dicembre 1993, in cui abbiamo il primo, duplice tentato omicidio, gennaio 1994, un duplice tentato omicidio, febbraio 1994, un altro duplice tentato omicidio di carabinieri. Sono fatti che avvengono a Reggio Calabria e che vengono commessi con lo stesso mitra, perché il mitra doveva essere il segnale che i fatti erano riconducibili alla stessa matrice. Come dicevo, gli esecutori materiali vennero arrestati di lì a poco, mentre il livello da cui partiva l'ordine Pag. 8 è stato oggetto della nostra indagine e ci ha consentito di ricostruire i rapporti fra ’ndrangheta e Cosa nostra. Non solo, ma nell'ambito di questa indagine abbiamo anche, ancora una volta, riferimenti a servizi di sicurezza deviati, sui quali non si riesce però a fare luce.
  Devo anche dire, per informazione alla Commissione, che lo stesso Antonino Cuzzola, al quale ho fatto riferimento poc'anzi, ricorda che Antonio Papalia aveva rapporti con il generale Delfino. Ed è lo stesso Cuzzola che parla di questo riferimento alla sigla che era stata utilizzata. Ancora, riferimenti al generale Delfino vengono fatti da Filippo Barreca, il quale precisa: «Io so che avevano dei buoni rapporti, instauratisi prima con il vecchio Nirta (inteso vecchio non di età) chiamato “Due nasi”, il quale era in buoni rapporti, da quello che si diceva in carcere, che poi è stato riconosciuto come uno dei delatori del generale Delfino, quindi è stato messo da parte, è stato poi esautorato. Veniva chiamato “dottor Nirta Due nasi”». Dice ancora: «È stato messo anche in carcere, nonostante fosse personaggio di spicco, importante nel mondo della ’ndrangheta, perché, secondo quello che mi diceva Giovanni Vottari, nel carcere di Messina, “Due nasi” era in contatto con un generale dei Carabinieri, il generale Delfino, il quale, diciamo, faceva la doppia situazione: da una parte chiudeva gli occhi nei suoi confronti e dall'altra gli dava una mano».
  Preciso fin d'ora, però, che è da escludere quella circostanza che emerge, se non ricordo male, dalla conversazione fra il generale Delfino e il tenente colonnello, nella quale si dice che avrebbe avuto come corrispettivo il duplice omicidio di due degli Strangio, perché in realtà la sua posizione...

  PRESIDENTE. Gliela leggo, così mi dice se fa riferimento a questo. La conversazione telefonica, intercettata il 21 novembre 1993 alle ore 18.44, è fra il generale Delfino e il tenente colonnello Lombardi: «Nirta sarebbe stato effettivamente nel gruppo di fuoco di via Fani, perché doveva contraccambiare il favore per l'eliminazione dei due Strangio». Questa quindi non è vera.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Non è che non sia vera, diventa difficile inserirla nell'ambito del panorama che si era all'epoca realizzato, perché Nirta «Due nasi» è un soggetto che gestisce una criminalità di altissimo livello e a quel tempo si viene fuori dalla prima guerra di ’ndrangheta. In quel periodo si crea quasi una pace nell'ambito della ’ndrangheta calabrese. Quindi, pensare che Nirta, che peraltro occupa una posizione di un livello così elevato, possa guardare agli Strangio come suoi nemici da eliminare è una circostanza per la verità di difficile riconducibilità a quella realtà criminale. Il collega tuttavia farà le sue valutazioni, io mi limito ad alcune riflessioni maturate dalla lettura degli atti.
  Devo anche ricordare, per evidenziare quanto sia importante quella sigla alla quale ho fatto riferimento, che l'ambasciatore Paolo Fulci che, dopo una lunga e brillante carriera di diplomazia, era stato segretario generale del CESIS fra il maggio 1991 e l'aprile 1993, ebbe peraltro a svolgere alcune indagini e in particolare a dare impulso ad attività su 15 funzionari del SISMI che prestavano servizio presso il nucleo OSSI, una sorta di gruppo di élite della 7a Divisione del SISMI, in quanto a suo giudizio potevano esservi degli appartenenti alla sedicente «Falange armata».

  PRESIDENTE. Gli interlocutori che cercavamo prima.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. E lui stesso riceve minacce con questa sigla. Questo, ancora una volta, ci ricollega... la ’ndrangheta a un panorama che è sicuramente di Servizi deviati. Nell'ambito dell'altra ordinanza che è stata emessa...

  PRESIDENTE. Posso farle una domanda per interloquire? Siccome Morabito era collegato a un vertice abbastanza alto, le Pag. 9sue fonti – Papalia e Sergi – mi sembrano soggetti di primo piano. Quindi – solo per una nostra riflessione – il fatto che Morabito potesse aver acquisito da Papalia e Sergi un'eventuale battuta sulla vicenda delle armi di Moro o della presenza di Nirta potrebbe essere credibile. Perlomeno Morabito, Papalia e Sergi si conoscevano. Il fatto che questi due soggetti neghino rientra...

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO. Questo rientra nella regola dell'omertà.

  PRESIDENTE. Esatto. Volevo solo avere... Però poi tutto questo è stato archiviato.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Certo. Non solo regola di omertà, direi, ma corrisponde esattamente all'importanza di soggetti come Papalia e Sergi la capacità di conoscere fatti di questo tipo, perché è evidente che una notizia del genere è una notizia riservatissima, che solo un livello altissimo può avere, e diciamo che il livello altissimo sono proprio Nirta, De Stefano, Piromalli.
  Quando parliamo dei De Stefano, parliamo del «Gotha», e l'ordinanza «Mammasantissima» è quella che evidenzia quale sia la forza di questa famiglia. Peraltro, ricordiamo anche i rapporti che c'erano stati fra Barreca e Freda: nel 1978 Franco Freda è ospitato nel periodo della sua latitanza a Reggio Calabria, e gli uomini dei De Stefano, Paolo Romeo e altri, lo sostengono. Peraltro, le indagini che vennero sviluppate evidenziarono come alcuni uomini inseriti nei Servizi lo avessero aiutato, e queste sono indagini svolte a Roma.
  Ancora, il processo per la strage di piazza Fontana, che era stato portato a Catanzaro e che vide Franco Freda fra gli imputati, fece sì che Freda proseguisse i rapporti con la ’ndrangheta che contava a Reggio Calabria. Non solo, ma quella ’ndrangheta aveva rapporti con l'estrema destra terroristica e con Concutelli, tanto che Paolo De Stefano era stato anche ospitato a Milano da uomini insieme a Concutelli.
  I rapporti evidenziati dagli accertamenti svolti nel tempo però legano la ’ndrangheta soprattutto alla destra eversiva, che sostiene Reggio nel periodo della rivolta, quando i De Stefano, insieme agli altri della ’ndrangheta che contava, si unirono alla destra eversiva e dettero luogo al periodo di rivolta del «Boia chi molla!».
  Devo quindi dire che quando parliamo dei Nirta, dei De Stefano, dei Piromalli, parliamo di famiglie che sono al vertice della ’ndrangheta della Calabria, ma soprattutto che c'è un passaggio dalla ’ndrangheta da «Sgarro» alla ’ndrangheta da «Santa», passaggio che determina soprattutto un modo diverso di pensare; ossia la ’ndrangheta non è più solo crimine, ma deve entrare in rapporti con le istituzioni, con la massoneria e con tutti coloro che contano, perché non sono solo gli affari, ma è tutto il panorama delle istituzioni che è importante perché la ’ndrangheta possa avere un salto di qualità.
  Intorno alla fine degli anni Settanta abbiamo questo passaggio da una ’ndrangheta inizialmente finalizzata solo al crimine (quindi alla gestione dei sequestri di persona ed eventualmente al reinvestimento, ma soprattutto al crimine), una ’ndrangheta operativa sotto il profilo criminale, che si contrapponeva allo Stato, mentre la nuova ’ndrangheta supera il modo di pensare tradizionale e vuole allearsi agli uomini dello Stato, vuole utilizzare le istituzioni per avere quella supremazia che le avrebbe consentito di conseguire qualunque obiettivo.
  «Mammasantissima» vede la ricostruzione dei rapporti della ’ndrangheta con la politica, con uomini delle istituzioni, con l'impresa, quindi con l'economia, con la massoneria. È l'esistenza di una massoneria coperta che consente alla ’ndrangheta di raggiungere un livello ancora superiore, laddove i vertici della ’ndrangheta, unitamente ai vertici di questa massoneria segreta, che costituiscono un'unica cappa e un unico gruppo direttivo, prendono il totale controllo della città, ed è quello il momento in cui la ’ndrangheta cambia pelle, diventa una parte della città e del tessuto Pag. 10sociale ed economico e si confonde nella società.
  Per tornare a Nirta, questi è elemento certamente di vertice, in quanto appartenente a una delle famiglie più significative, una di quelle famiglie che hanno rapporti con le varie istituzioni, con i Servizi, anche con i Servizi deviati. Il racconto di Morabito non è quindi privo di fondamento, anche se certo dal punto di vista giudiziario è tutto da verificare e da supportare con elementi significativi; il quadro generale che è stato ricostruito ci dice che Morabito, almeno per quanto riguarda gli uomini e i riferimenti, è sostenuto da una ricostruzione molto capillare, da una capacità della ’ndrangheta di avere rapporti con uomini delle istituzioni.
  Diciamo anche che quando la ’ndrangheta partecipa al piano stragista esegue il primo, duplice tentato omicidio, poi un secondo duplice omicidio e un terzo duplice, tentato omicidio sempre di carabinieri, perché il programma doveva integrare il programma delle stragi continentali, ma la ’ndrangheta si tira dietro perché sta bene con le istituzioni, quindi non vuole modificare il rapporto. Ancora una volta si torna a quello che è il modo di agire e di pensare della ’ndrangheta, al livello della ’ndrangheta.
  Un altro aspetto che è importante sottolineare è che Antonino Fiume parla delle due mitragliette...

  PRESIDENTE. Può approfondire? Chi è questo Antonino Fiume?

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Antonino Fiume è un collaboratore sul quale, per non togliere tutto al collega che se ne è occupato personalmente...

  PRESIDENTE. Va bene, allora ce lo facciamo raccontare da lui.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Antonino Fiume, quando parla delle due mitragliette, dice di aver appreso che sono due mitragliette simili a quelle utilizzate nell'omicidio di via Fani, non dice mai che sono le mitragliette utilizzate nell'omicidio, e questo sia nelle dichiarazioni sia in una sorta di memoriale di cui...

  PRESIDENTE. E non dice da chi apprende questo?

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sì, lo dice.

  PRESIDENTE. Per capire se è la stessa fonte di Morabito.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Da Orazio De Stefano.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Quindi, Orazio De Stefano, che era il vertice della ’ndrangheta, della famiglia De Stefano, quando parla di quelle mitragliette dice che gli erano state date e gli era stato anche detto di conservarle con molta cura. Le sue parole da un lato ci spingono a considerare che è certamente da verificare se siano utilizzate, dall'altro il fatto che dica «con molta cura» ci fa comprendere che sono sicuramente armi importanti. Erano armi che egli deteneva presso la ditta di cui era titolare, la ditta Fiume, insieme a tantissime altre armi. Quando Fiume comincia a collaborare, il 28 febbraio 2002, dà indicazioni delle armi di cui dispone e insieme alle forze di polizia si reca nei vari siti. È un vero arsenale, con bombe, con vari mitra, numerose pistole, fucili ed altro (se non li avete acquisiti, vi daremo i decreti di sequestro fatti all'epoca).

  PRESIDENTE. Era per approfondire questo e sapere se in quell'arsenale le armi assemblate ci fossero o no. Tutto si vanifica su via Fani e sul bar Olivetti perché le armi assemblate o assemblabili vengono declassate Pag. 11 ad armi giocattolo e Semerari dice che Guardigli era un mitomane.
  Prosegue lei, dottor Lombardo?
  Grazie, procuratore Cafiero de Raho.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Mi interrompa presidente, se ci sono passaggi in questo momento non prioritari.
  Parto da Fiume. Fiume è il perno delle ricostruzioni processuali che riguardano la cosca De Stefano degli ultimi dieci anni. Inizia a collaborare con la giustizia il 27 febbraio 2002, e tra il 27 e il 28 febbraio consegna o fa ritrovare l'arsenale di cui parlavamo prima. Perché per noi Antonino Fiume è un collaboratore di particolare rilievo? Perché è l'unico collaboratore che ha avuto accesso alle notizie riservatissime della famiglia De Stefano, in quanto per molti anni è stato fidanzato con la figlia di Paolo De Stefano, Giorgia, e ovviamente ha ascoltato tutti quei riferimenti che i De Stefano non hanno mai fatto neanche ai loro più fidati alleati, quindi confidenze veramente familiari.
  Nino Fiume ha un percorso collaborativo che, a mio modo di vedere, la Commissione deve conoscere, perché è il perno della verifica di compatibilità che siamo chiamati a fare e sulla quale siamo invitati a fornire un contributo, in quanto il suo primo periodo di collaborazione, quello che inizia il 27 febbraio 2002, è brevissimo. Viene valorizzato soltanto il contributo che riguarda i fatti più evidenti, ovviamente viene sviluppato il materiale sequestrato, viene sottoposto a una serie di consulenze balistiche, ma il grande bagaglio di conoscenze che Nino Fiume ha, soprattutto in relazione a quelle confidenze di cui parlavo prima, rimane confinato in un ambito investigativo che in quegli anni non ha nessuno sviluppo processuale. Nel 2008, la Procura di Reggio Calabria decide di esplorare nuovamente i principali collaboratori di giustizia degli anni 2000, perché ci si rende conto, in quel progetto investigativo che poi porterà alla dimostrazione della ’ndrangheta unitaria, che il contributo di molti collaboratori di giustizia è stato valorizzato solo in parte, una parte molto limitata.
  Inizio a risentire Fiume insieme ad altri collaboratori di giustizia, se non erro il 20 novembre 2008, ripercorrendo l'elenco delle armi, perché avevamo interesse a capire come mai in una famiglia così importante tutte le armi fossero custodite da una persona, cosa che non è proprio prudente, e non è prudente alla luce del fatto che con la collaborazione di Fiume la famiglia De Stefano entra in un periodo di fibrillazione molto evidente, perché Fiume è uno che sa e che può far male seriamente.
  Con il catalogo delle armi sequestrate a Fiume tra il 27 e il 28 febbraio 2002, iniziamo a ripercorrere tutta una serie di accadimenti, intanto per sapere se sono armi «pulite» o «sporche» e, soprattutto, se Fiume è in grado di ricollegare quelle armi a determinati accadimenti. Il 20 novembre 2008 arriviamo alle due pistole mitragliatrici (mi pare siano così catalogate nel verbale di sequestro) «tipo Skorpion».
  Apro una parentesi e la chiudo subito: Fiume è un collaboratore di giustizia che spesso opera non solo riferimenti a fatti storici, ma condisce questi riferimenti anche con tutta una serie di valutazioni personali; è uno che non si sofferma soltanto sull'informazione fredda che è in grado di dare.
  Arrivati a queste armi noto che l'atteggiamento di Fiume cambia: è come se su quell'argomento provasse una sorta di imbarazzo. Invitato a riferire perché su quelle armi sembri imbarazzato, mi dice: «Perché, dottore, non so se questa è una cosa di cui io posso parlare, perché non ne ho mai parlato, proprio perché è una cosa che mi intimorisce. Le devo dire che queste armi in particolare mi furono raccomandate da Orazio De Stefano, che all'epoca era latitante (all'epoca intendo febbraio 2002) e che era il vertice della famiglia De Stefano accanto al nipote Giuseppe De Stefano, il quale mi disse più volte: “Nino, guarda, tutte le armi nostre le devi custodire con particolare cura, ma stai attento ai due fucili mitragliatori tipo Skorpion perché sono simili a quelle usate per l'omicidio Moro”». Dice «simili», come notava prima Pag. 12il procuratore, e su questo vorrei soffermarmi.
  Fiume, come capita per i collaboratori di giustizia, da allora, quindi da circa dieci anni, è uno dei soggetti con cui ho avuto più contatti per motivi d'ufficio, e vi invito a considerare che quel «simile» di Fiume è un atteggiamento prudenziale di un collaboratore che normalmente non parla a vanvera. Fiume, per la sua capacità di valutare oltre che di riferire sa che, se viene smentito su un fronte così delicato, come magari accade a collaboratori di giustizia che fanno affermazioni nette senza avere però grandi elementi di conferma, subisce un danno molto serio in punto di credibilità soggettiva e di attendibilità dichiarativa. Il suo «simile» lo dobbiamo quindi valutare certamente come un passaggio da approfondire.
  Lo invito ovviamente ad aggiungere dei particolari, ma non ha particolari specifici sulle armi. Dice però che erano delle armi su cui c'era un'attenzione molto alta, che erano nascoste in una particolare situazione e condizione, con misure particolarmente elevate di protezione.
  Perché è importante e interessante quello che dice Fiume, non solo in relazione alla mera indicazione? Perché Fiume nella custodia delle armi non è uno qualsiasi, cioè non è uno che ha soltanto idea o conoscenza del solito fusto all'interno del quale le armi si tengono sottoterra: Fiume è un tecnico, perché l'officina Fiume (sono due fratelli) era quella in cui per conto della ’ndrangheta reggina, capeggiata dai De Stefano già successivamente alla prima guerra di mafia che si conclude nel 1977, le armi vengono modificate, in cui si modificano anche armi giocattolo, in cui si costruiscono silenziatori artigianali, in cui, con un riferimento onnicomprensivo, si assemblano le armi.
  Fiume riferisce questo nel momento in cui viene invitato a chiarire la sua particolare abilità e dice di essere stato il tecnico più bravo...

  PRESIDENTE. L'armiere.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sì, in quello specifico settore. Ecco perché quello che dice Fiume è particolarmente importante. È particolarmente importante anche per un altro dato, perché, come spiegavo prima...

  PRESIDENTE. Mi scusi se la interrompo. Forse prima non mi sono spiegato bene: quello che dice Morabito, anch'egli sicuramente attendibile...

  GIUSEPPE LOMBARDO. Sì, certo.

  PRESIDENTE. ...perché fa arrestare circa 70 persone e uno che fa arrestare 70 persone non dice una sciocchezza basata su cose riferite. Può magari aver raccontato una cosa scema che gli hanno detto, però così perde ogni credibilità.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. È un suicidio.

  PRESIDENTE. Va su Papalia e Sergi, che poi in ultima analisi vanno a finire su De Stefano, e riferisce quanto ha detto De Stefano, quindi la fonte...

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. La fonte di conoscenza è alta.

  PRESIDENTE. La fonte di conoscenza è alta e comunque torna a dirci che quella presenza di venditori o allestitori di armi al bar Olivetti che stavano lì, con Nirta nelle vicinanze, era una cosa che ci può stare, ma è anche vero che sono loro che parlano di quest'arma sporca.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sì, certo. Perché è significativo il dato che vi segnalavo prima? Fiume, nella prima parte della sua collaborazione, di queste armi non dice nulla, le consegna, subisce il processo, viene condannato e non aggiunge alcun particolare. Invitato a riferire, invece, aggiunge questi particolari, ma in quale fase della sua collaborazione Pag. 13? È pacifico che siamo fuori dal limite dei 180 giorni, quindi siamo in presenza di dichiarazioni tardive; sono ormai superate anche da questo punto di vista tutte le obiezioni, ci sono sentenze definitive, da quanto Fiume inizia a riferire dal 2008 che parte il percorso investigativo che porta non solo alle ricostruzioni che citava prima il procuratore, quindi «Mammasantissima» e «’Ndrangheta stragista», ma anche a quei processi su cui queste ricostruzioni si fondano, che sono «Meta» per quanto riguarda la ’ndrangheta reggina, e «Crimine – Infinito» per quanto riguarda la ’ndrangheta unitaria.
  Perché diventa particolarmente importante e perché, secondo me, va valorizzato il dato che Fiume parla di questo collegamento tra le mitragliette tipo Skorpion e l'omicidio Moro in una determinata fase? Perché viene invitato a spiegare quelli che sono i legami alti della cosca De Stefano e i suoi riferimenti, da cui poi si sviluppa una serie di ulteriori passaggi, a mio modo di vedere sono importanti per la Commissione, perché ad esempio (cerco di non ripetere quanto già emerso) Fiume conosce l'estrema vicinanza dei De Stefano a determinati ambienti non solo politici, continua a riferire che nelle confidenze familiari si faceva costante riferimento al fatto che i De Stefano godevano di protezioni superiori. Queste protezioni superiori erano garantite dai loro legami con appartenenti a servizi di sicurezza che aprivano determinate porte, e riferisce che tutto questo mondo ruotava, nella famiglia De Stefano, attorno alla figura dell'avvocato Giorgio De Stefano, uno dei protagonisti principali della ricostruzione «Mammasantissima». Dice anche tutta una serie di cose che riguardano i rapporti tra i De Stefano e le grandi famiglie ioniche, e torniamo al discorso Nirta (questo è un quadro ricostruito poi, in maniera molto ampia, nei provvedimenti cautelari che abbiamo citato prima), perché spiega che la famiglia De Stefano, legatissima ai Piromalli, aveva un rapporto privilegiato anche con i Nirta «La Maggiore», rapporto privilegiato (attenzione, è importante sottolineare questo passaggio) che non riguardava solo la famiglia Nirta.
  La famiglia Nirta «La Maggiore» si chiama così perché è un'aggregazione di grandi famiglie, che in gergo ’ndranghetistico sono definite «la mamma». Quando noi sentiamo parlare del ruolo di San Luca nel mondo, parliamo di queste famiglie. Questo è un dato importante che si ricollega a quanto spiegava il procuratore in relazione al duplice omicidio di appartenenti agli Strangio.
  I Nirta «La Maggiore» – i cui capi storici sono Giuseppe Nirta, Antonio Nirta e Ciccio Nirta – aggregano attorno a loro i Pelle-«Gambazza», capo crimine per moltissimi anni prima dei Mico Oppedisano dell'operazione «Crimine», i Romeo cosiddetti «Staccu», i Mammoliti «Fischiante», che sono il «Gotha» criminale di quegli anni, cioè le famiglie che insieme ai Papalia per prime delocalizzano le loro operazioni criminali dal territorio calabrese ai territori che contano, Roma e Milano.
  Cosa dice Fiume su questo passaggio? Dice: attenzione, per capire i veri rapporti di forza e chi comanda davvero, dovete tornare al progetto, iniziato a seguito del summit di Montalto dell'ottobre 1969, in cui si crea una componente più elevata, segreta, all'interno del sistema criminale calabrese che in origine si chiama «Santa», voluta proprio da questi storici capi.
  Per rafforzare il ruolo dei De Stefano nel momento in cui erano stati uccisi sia Giorgio De Stefano nel 1977 (non è l'avvocato Giorgio di cui parlavo prima, ma è il vecchio capo), sia il fratello Paolo nel 1985, si pensa di far fidanzare e sposare Giuseppe De Stefano, figlio di Paolo, proprio con un'appartenente alla «Maggiore». Questo è un legame che secondo me rende compatibile il fatto che Antonio Nirta, figlio di Ciccio, «Due nasi», ovviamente se questo viene accertato, possa essere stato presente in via Fani, e, se quella presenza non era una presenza passiva, come diceva lei, presidente, od occasionale, le armi possano essere arrivate ai De Stefano.
  Questo è compatibile, ed ecco perché è importante quello che sottolineava il procuratore alla luce di un dato di fondo che non deve essere confuso, perché non bisogna confondere i Nirta Strangio, che, per Pag. 14distinguerli dalla «Maggiore» sono soprannominati «Nirtini» o «Versu» (avversari) con i Nirta «La Maggiore», che sono una delle famiglie su cui tutta la ’ndrangheta trova fondamento.
  Questo è un dato di particolare rilievo, perché non solo ci porta a determinati ambienti, ma ci porta a quella componente riservata di ’ndrangheta ricostruita in «Mammasantissima». Noi qui possiamo decidere di ascoltare insieme centinaia di collaboratori di giustizia, che ci diranno che siamo totalmente fuori strada e stiamo inventando qualcosa che non esiste perché, come avviene per Cosa nostra, solo pochissimi collaboratori di giustizia (tra questi può rientrare Saverio Morabito) erano potenzialmente in grado di conoscere strategie superiori, che ovviamente non sono condivise con la ’ndrangheta di base. Fiume è uno di questi e quindi va tenuto in considerazione; Saverio Morabito (poi dirò perché) è anch'egli uno di questi; Cuzzola diventa uno di questi nel momento in cui entra nel circuito ristretto Papalia per determinate azioni di fuoco, quelle indicate dal procuratore prima; Filippo Barreca nelle sue dichiarazioni originarie è un soggetto a conoscenza di determinate situazioni; Giacomo Lauro potenzialmente è uno che può sapere (mi riferisco al primo Giacomo Lauro). Perché è importante sottolineare questo dato? Perché, per arrivare a capire chi possa fornire elementi su cui lavorare, dobbiamo partire da una serie di considerazioni di fondo. Perché Saverio Morabito può sapere, perché è coerente il riferimento di Saverio Morabito quando dice: «Ho saputo da Domenico Papalia e da Paolo Sergi»? Intanto su Paolo Sergi vi rassegno subito un dato: nel 2004, nell'operazione «Zappa», Paolo Sergi ha rapporti con Elfino Mortati di Prima linea (scambio droga/armi), Reggio Calabria esegue l'ordinanza, poi l'operazione si smembra e la parte che riguarda Paolo Sergi va a Firenze; dal certificato penale non ci risulta che sia stato condannato per l'episodio specifico, però viene condannato per droga. Questo è un dato importante perché ci conferma determinati legami e soprattutto rafforza le situazioni che hanno portato Saverio Morabito a sapere determinate cose.
  Non è Paolo Sergi, però, il perno di questo sistema, il perno di questo sistema sono i De Stefano-Barbaro-Papalia, cioè l'asse reggino collegato a Platì che si sposta su Milano, perché, per quanto abbiamo ricostruito nell'operazione «’Ndrangheta stragista», Domenico Papalia non è uno qualsiasi, non è soltanto quello che in relazione all'omicidio Mormile per primo utilizza la sigla «Falange armata», ma è un soggetto collegato ad una serie di ambienti che ricavate anche dalle dichiarazioni di Saverio Morabito.
  Perché a questo mondo è direttamente collegato anche Antonio Nirta «Due nasi»? Perché Antonio Nirta è figlio di Ciccio Nirta. C'è un'operazione della DDA di Roma di molti anni fa, l'operazione «Highlander» – di cui abbiamo traccia ma della quale non ci siamo mai occupati in maniera specifica e che, se non ricordo male, ruota intorno alla famiglia Femia, che è la promanazione romana proprio dei Nirta «La Maggiore» – e i Carabinieri di Roma, per sintetizzare una serie di situazioni che servivano all'autorità giudiziaria, ricostruiscono i vari passaggi che riguardano i Nirta «La Maggiore».
  In quella ricostruzione trovate una serie di dati che spiegano in maniera chiara quali sono le varie proiezioni dei Nirta non solo nel loro territorio di origine, ma soprattutto trovate conferma di una serie di situazioni che, a ritroso, si collegano anche con dichiarazioni rese da collaboratori di giustizia siciliani, secondo me importanti e che io segnalo alla Commissione, perché il padre di Antonio Nirta «Due nasi», Ciccio, classe 1921, già negli anni Settanta partecipava a incontri romani con i vertici di Cosa nostra. Questo è un collaboratore di giustizia che poi ha avuto una sorte... Ovviamente noi non conosciamo il dettaglio, perché si tratta di Vincenzo Calcara, un collaboratore di giustizia su cui lavorava Paolo Borsellino proprio nel periodo in cui stava raccogliendo informazioni nella fase successiva all'omicidio Falcone. Io ritengo che anche questo sia un dato importante e coerente, perché il ruolo dei tre fratelli Pag. 15Nirta (Peppe, Antonio e Ciccio) non è mai stato un ruolo parificabile a tutti gli altri. Oggi non abbiamo elementi per dire che fossero i capo crimine dell'epoca, nell'accezione che viene fuori dalla ricostruzione dell'operazione «Crimine – Infinito», ma sostanzialmente è questo, ed è questo perché (poi vi darò un elemento di valutazione importante) quando nel maggio 1993 viene consumata la cosiddetta «strage del 1° maggio», che è la prima, vera contrapposizione armata tra i Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio, chi interviene, chi viene invitato ad assumere il ruolo di pacificatore? Antonio Nirta (classe 1919), fratello di Ciccio e quindi zio di Antonio Nirta «Due nasi» (classe 1946). Chi viene invitato a intervenire nel 1991 a Reggio Calabria, quando è necessario mettere pace tra lo schieramento destefaniano e lo schieramento condelliano? Antonio Nirta (classe 1919), il quale assume – guarda caso – le difese dei De Stefano. Ecco il rapporto fortissimo tra le due famiglie, mentre i Condello sono rappresentati da Domenico Alvaro di Sinopoli.
  Questo dato è particolarmente significativo perché quando, nel 1993, a seguito della strage del 1° maggio, è necessario mettere pace a San Luca (nel 1991 Antonio Nirta si sposta su Reggio e pacifica gli schieramenti in lotta in città, nel 1993 invece il problema è nel territorio di San Luca, nella Locride), Antonio Nirta (classe 1919) si reca a casa dei figli di Paolo De Stefano. Sapete quanti anni hanno i figli di Paolo De Stefano nel 1993? Ne hanno 24-25. In quella intercettazione, che è importantissima e che abbiamo più volte richiamato e utilizzato, c'è la vera natura dei rapporti tra i Nirta e i De Stefano. Ecco perché è credibile che, se è Antonio Nirta, nipote di Antonio (classe 1919), a via Fani, l'arma possa essere dai De Stefano. È credibile, è una strada esplorabile, perché Antonio Nirta (classe 1919), il patriarca della ’ndrangheta, quando è chiamato a risolvere il problema che ricade nel suo territorio va a casa De Stefano e a due ragazzi dice: «Dovete intervenire voi, perché per mettere pace nel mio territorio ho bisogno di gente alla mia altezza elevatissima, anche se giovani».
  Quello che diceva il procuratore, quindi, non è un'intuizione: quando parliamo di «Gotha» criminale non solo in Italia, parliamo necessariamente di queste tre famiglie, e per porci il problema di una compatibilità tra quello che dice Saverio Morabito, quello che dice Nino Fiume e quello che accade in via Fani nel 1978, dobbiamo fare riferimento solo a questo livello.

  PRESIDENTE. Che è quello che può sapere.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Che è quello che può sapere.

  PRESIDENTE. Mi aggiunge solo una cosa? Delfino con questi che aveva a che fare?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Delfino nasce a Platì.

  PRESIDENTE. Questo l'abbiamo appreso, e quell'uomo della scorta di Moro nasce in quell'altro paese...

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. A Sant'Eufemia, che non è un paesino qualsiasi.

  PRESIDENTE. Per questo l'ho sollecitata, così ci fa una...

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Non è un paesino qualsiasi, perché Sant'Eufemia d'Aspromonte insieme a Santo Stefano d'Aspromonte, paesini vicinissimi, cioè il cuore dell'Aspromonte...

  PRESIDENTE. Devo dire un altro nome: a un certo punto noi scopriamo che Moretti va in Calabria e incontra un pregiudicato Pag. 16calabrese di nome Aurelio Aquino. Se annota questo nome e se le viene in mente di dirci qualcosa in merito...

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sono gli Aquino della Locride, anche questa una famiglia di primissimo piano, certamente legatissimi ai vertici della Locride di quegli anni e che ancora oggi mantengono un ruolo di primissimo piano.

  PRESIDENTE. Che hanno rapporto con i De Stefano?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Hanno rapporto proprio con quella parte di San Luca che ha rapporti con De Stefano.
  Perché Sant'Eufemia e Santo Stefano non sono luoghi qualsiasi? Perché nella ricostruzione che facciamo nell'ultima ordinanza, quella del luglio 2017, «’Ndrangheta stragista», individuiamo una serie di passaggi, anche alla luce di dichiarazioni di collaboratori di giustizia di primissima fascia, collaboratori palermitani tra cui Gioacchino Pennino, parte anch'egli della componente riservata di Cosa nostra... Perché questo è un dato acquisito, presidente: le due grandi mafie per gestire gli affari di un certo livello... Lo dicono anche loro in numerose intercettazioni che sintetizzo con una frase storica, registrata in concomitanza con l'omicidio di Franco Fortugno: «Se no il mondo finiva»; ciò per dire: «Forse tu pensi che la struttura, anche se unitaria, sia formata da soggetti a vari livelli che sanno tutto? Assolutamente no». Anzi, in quegli anni poi si stringe ancora di più il circuito di chi sa davvero.
  Ci imbattiamo quindi in un soggetto di grandissimo rilievo criminale, che è morto qualche anno fa da incensurato, Rocco Musolino, il «re della montagna», al quale siamo riusciti a fare solo una misura di prevenzione, perché è sempre sfuggito a qualsiasi tipo di investigazione: o lo sapeva prima che noi pensassimo l'investigazione o lo sapeva comunque in tempo per evitare di acquisire qualunque risultato! Chi è Rocco Musolino e perché faccio questo riferimento? Intanto è un soggetto che vive e opera in quei territori che indicava lei e che a uno come Gioacchino Pennino, che è il nipote dell'omonimo zio, che è il braccio destro di Stefano Bontade e che, quando noi lo interroghiamo nel 2014, ci dice: «Dovete sapere una cosa: io ho un ricordo particolare di Reggio Calabria, perché a Reggio Calabria per la prima volta mi tagliarono i capelli». Allora chiedo a Pennino (che è un medico): «Ma lei a Reggio Calabria che ci faceva?». E lui: «A Reggio Calabria mi portava ogni quindici giorni mio zio Gioacchino e mi lasciava in un albergo alle spalle del museo, di fronte al quale c'era un barbiere, con il suo guardaspalle, e veniva portato da emissari delle cosche reggine in Aspromonte, nel poligono di tiro dei Musolino». Chiedo a Pennino: «A fare che? A portare ordini?». Mi risponde: «No, dottore, a prenderli», perché in quegli anni (sono gli anni Settanta, forse anche prima) si stava costituendo quello che oggi chiamiamo «circuito riservato» e che Pennino chiama «comitato d'affari permanente», in cui i vertici assoluti delle mafie, all'epoca Stefano Bontade (perché siamo ante Corleonesi), in Calabria i Musolino, Serraino, De Stefano, Piromalli, Alvaro, Nirta si riunivano in Aspromonte e creavano la struttura che poi è diventata la «Santa», che poi è diventata la componente massonica delle mafie.

  PRESIDENTE. E, stando a questo quadro, in quel periodo contava più la ’ndrangheta della mafia?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. In realtà non dice questo, le colloca sullo stesso livello, ma dice una cosa: mentre questo sistema, questo comitato d'affari... Me lo riferisce perché gli chiedo: «Ma poi che è successo?», e mi risponde: «Poi mio zio è morto e dopo qualche tempo mi ha chiamato Stefano Bontade e mi ha detto (io ero molto giovane): “Ma perché, Gioacchino, non prosegui il lavoro che aveva avviato tuo zio? Pag. 17Perché devi sapere che il nostro progetto, in Calabria operativo da anni, in Sicilia non è partito ancora e lo dobbiamo far partire, questo insieme di componenti...”».
  Certo, dobbiamo sempre tenere in considerazione che può essere frutto del caso, però ci sono delle situazioni tipo questa di Sant'Eufemia, Santo Stefano e, quindi, Musolino, e quella di Delfino di cui mi chiedeva... Ecco perché all'inizio parlavo di compatibilità; in questa fase, secondo me, non possiamo avere certezze, dobbiamo soltanto verificare se sia il caso di approfondire oppure no.

  PRESIDENTE. Il motivo della vostra audizione è questo, cioè se sia una cosa di cui vale la pena lasciare memoria oppure espungerla dalla prossima relazione.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Ora, anche per sintetizzare quello che è il nostro interesse su questo fronte (mi interrompa quando ritiene), qual è il dato interessante? Delfino. Delfino nasce a Platì, abbiamo tracce costanti che accostano Delfino da una parte ai Papalia, dall'altra ai Nirta. Le ho detto tutto. Siamo quindi all'interno di quel circuito riservatissimo che ora stiamo ricostruendo nel processo che deriva dall'operazione «Mammasantissima», in cui si assumevano decisioni che la ’ndrangheta di base non ha mai neanche lontanamente immaginato e – guarda caso – le coincidenze anche nominative sono di grandissimo spessore. La storia di Delfino, il fatto che fosse particolarmente brillante nel risolvere i sequestri di persona, che sono un laboratorio criminale nella Locride, non una condotta criminosa qualsiasi... Sono lo stesso laboratorio criminale che venne utilizzato negli anni Settanta, come diceva lei prima, a cavallo dei moti di Reggio, per sperimentare la reazione che deriva dal contatto di certi mondi: «Cosa fai, mi chiudi la porta in faccia e mi contrasti, oppure dialoghi?». Questo è.
  In tutta questa ricostruzione che riguarda i sequestri di persona, ovviamente Delfino non ha avuto un ruolo normale. Continueremo a cercare, ma di questo non abbiamo traccia, cioè il riferimento al duplice omicidio degli Strangio... Anche qui una compatibilità, come spiegava il procuratore prima, si deve trovare...

  PRESIDENTE. L'ambiente di Delfino era abbastanza compartimentato, quindi può darsi semplicemente che non abbiate trovato il giro di livello che lo sapeva....

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. No, non l'abbiamo trovato, presidente, per una ragione molto semplice: intanto questi sono accadimenti avvenuti a fine anni Settanta, e allora non esistevano le DDA, quindi c'è un'altissima dispersione di informazioni, e poi il numero degli omicidi che anche allora – non soltanto ora – si ricostruivano in sede processuale era basso rispetto a tutti gli omicidi consumati.
  Perché le dico che c'è un'astratta compatibilità, collocando bene quelli che sono i contesti familiari dei Nirta i «grandi» e dei Nirta i «piccoli»? Perché, sulla base dell'intercettazione che lei richiamava, ci sarebbe la possibilità che Antonio Nirta possa aver partecipato con un ruolo tutto da ricostruire al sequestro Moro e quindi possa essere stato presente in via Fani quel giorno, perché doveva ricambiare un qualcosa che era connesso all'uccisione di questi Strangio. Astrattamente ci potrebbe stare, perché, andando a rileggere a ritroso i nostri atti, gli Strangio non facevano parte del gruppo della «Maggiore».

  PRESIDENTE. E quindi potevano anche aver rotto le scatole.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Potevano aver rotto le scatole nella misura in cui... Però gli Strangio sono certamente una famiglia di prima fascia e in quegli anni, che caratterizzano l'inizio e la fine della prima guerra di mafia – che, come diceva il procuratore, trasforma radicalmente e per sempre la ’ndrangheta – c'erano vecchie famiglie importantissime Pag. 18 (ad esempio sulla Ionica la famiglia Macrì di ’Ntoni Macrì, detto «il re dei re» perché già all'epoca era un tutt'uno con il Canada, con il Nord America, e su Reggio c'era l'antesignano dei De Stefano, il cui scontro armato porta alla prima guerra di mafia, Mico Tripodo) che non volevano questo tipo di livello superiore, cioè il modello «santista».
  Ragioniamo in questi termini: mettiamo il caso che, come segnalava lei in relazione al bar Olivetti, per rendere possibile il sequestro Moro bisognasse ovviamente lavorare in anticipo, e il crimine dell'epoca, inteso però come crimine ristrettissimo di queste grandi famiglie, iniziasse a discutere di determinati argomenti e all'interno di quel circuito altissimo qualcuno dicesse: «Ma voi siete pazzi!»... Perché questo avveniva in quegli anni ed era avvenuto anche prima: quando muore Macrì, che si contrappone a questa opera di modernizzazione e di ulteriore compartimentazione, e quando muore Mico Tripodo? Muoiono proprio uno nel 1975 e uno nel 1976.

  PRESIDENTE. Erano il freno al cambiamento.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sì. Quando muore Giorgio De Stefano, che dopo il cambiamento doveva diventare il capo dei capi ed era il capo dei capi? Nel novembre 1977. Siamo quindi in una fase in cui la ’ndrangheta si trasforma profondamente, ancor più di quanto avesse iniziato a fare nell'ottobre del 1969, e crea le condizioni per interloquire con... Se gli Strangio, che erano una famiglia di grande peso, in quell'ambito dicono no, verosimilmente...

  PRESIDENTE. Verosimilmente non avvenne.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sì.

  PRESIDENTE. Oppure hanno trovato un modo paralegale per farlo accadere.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Non è semplicissimo, come lei vede, perché ovviamente bisogna trovare delle tracce a ritroso.

  PRESIDENTE. Mentre lei parlava mi veniva in mente un'altra cosa. Se era tale il rapporto (noi questo non l'avevamo compreso) tra i Nirta e i De Stefano, ed era un progetto... Quello che noi comprendiamo dal documento del SISMI del giugno 1978 è che la cosa più importante per il rapimento di Moro era far chiudere il bar Olivetti. Sarebbe stata sufficiente l'utile parola di Nirta a far chiudere il bar Olivetti.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Mi pare che la traccia che voi date sui due omicidi Strangio sono 1977-1978...

  PRESIDENTE. Sì.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Quindi, se letti in questo modo, alla luce di un inquadramento molto ampio e in quel percorso evolutivo...

  PRESIDENTE. Quella frase può essere stata detta, bisogna solo cercare di capire come.
  Se lei non ha altro, ho tre rapide domande aggiuntive. Visto il legame dei De Stefano con la destra, questo provocava una preclusione totale verso un terrorismo di sinistra oppure le armi si vendevano a chiunque e gli affari si facevano con chiunque?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. No, assolutamente nessuna preclusione, per quanto siamo in grado di dire, e questa è una di quelle verità processuali che viene ancora oggi resa in maniera distorta, perché la ’ndrangheta in genere e soprattutto l'alta ’ndrangheta non ha colore politico. Pag. 19
  È chiaro che, se nel luglio del 1970 (io sono nato a Reggio Calabria con i carri armati, quindi è qualcosa che ho chiesto crescendo e che mi spinge a fare una serie di riflessioni) capisci che cavalcare i moti di Reggio, che nascono per un motivo ben chiaro, è qualcosa di destra, in quel momento cavalchi quello che vuole la destra e crei una serie di rapporti che poi, ovviamente, ti trascini.

  PRESIDENTE. Se ti serve la sinistra eversiva, la cavalchi. È chiaro.
  Passiamo a Palmi: ha avuto mai sentore di rapporti tra brigatisti e criminalità comune in quel carcere?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Su questo certamente c'è tutta una serie di informazioni, perché il carcere di Palmi, come supercarcere in cui per anni vennero ristretti anche brigatisti di primissima fascia, certamente creò l'occasione di incontro. Se alla Commissione interessa questo dato...

  PRESIDENTE. È sufficiente che ci dia dei flash, poi vedremo noi.
  Ultimo punto: l'Università della Calabria, Piperno, Mancini; dentro questo mondo ne avete trovato traccia?

  GERO GRASSI. Anche Pirri Ardizzone.

  PRESIDENTE. Anche Pirri Ardizzone.
  Se c'è qualcosa, dottor Lombardo, magari ce lo invia.

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Anche questo lo possiamo approfondire. Le posso già rassegnare un dato, soprattutto per rispondere alla sua prima domanda, cioè il colore politico e la tendenza: l'uomo su cui la Commissione deve appuntare la sua attenzione proprio per capire che non c'è colore politico è l'avvocato Paolo Romeo. L'avvocato Paolo Romeo nasce soggetto di destra estrema e con un certo ruolo (questo viene ricostruito in «Mammasantissima» ed è molto più dettagliato) già ai tempi dei moti di Reggio e nella fase immediatamente successiva, ma poi diventa parlamentare socialdemocratico, mantenendo esattamente lo stesso tipo di rapporti e di funzione (mi passi questo termine). È uno dei soggetti che abbiamo a processo, e secondo me è quello il modello su cui poi si possono innestare determinate situazioni. Questo non significa... Ci sono tanti passaggi di dichiarazioni che riguardano Romeo e altri che noi ovviamente valorizziamo fino a un certo punto, perché non è che possiamo portare a giudizio le persone su elementi non riscontrati. Però Romeo è quello della vicenda Freda, quindi ha tutto un percorso particolare che attualizziamo fino ai nostri giorni, per dire che insieme ad altri rimane la testa pensante di determinate situazioni; e, se quella componente riservata, quella componente superiore, ha questa funzione, io ritengo che se la stessa componente, che non ha a che fare con Romeo all'epoca, ma che all'epoca esisteva, aveva la stessa funzione, è la componente che può aver gestito la presenza di Antonio Nirta «Due nasi» in via Fani.

  PRESIDENTE. Io ho esaurito le mie domande...

  GERO GRASSI. Non sono certo che la competenza sia sua, procuratore, ma mi è stato detto. Io questa cosa che sto per dire l'ho sottolineata e detta molte volte, ma nessuno mi ha risposto. Mi auguro che lei mi dia una risposta, anche perché non c'è un mio interesse diretto.
  Il fatto qual è? La macchina della Polizia di scorta in via Fani, l'Alfetta depositata a Roma presso un deposito della Questura, mi dicono che è stata da lei posta sotto sequestro. Quindi, siccome la Camera ha approvato un ordine del giorno che invita il Ministero dell'interno a recuperare quest'auto che cade a pezzi (è tutta arrugginita, non ha più vetri, non ha più niente), però ha un alto valore simbolico perché lì dentro sono morte tre persone, le chiedo se risponda a verità che lei l'abbia posta sotto sequestro e, in caso positivo, se voglia dissequestrarla.
  In questa sede l'ho ribadito tantissime volte, fuori nessuno ci dà riscontro, tutti Pag. 20dicono che la Procura di Reggio Calabria l'ha posta sotto sequestro e che la macchina non si aggiusta perché lei l'ha messa sotto sequestro.
  Dalla sua espressione, però, sembra che non sia così.

  PRESIDENTE. Integro per maggiore chiarezza. Ritengo che, per fare le perizie sulle armi, e riscontrare se quelle armi avevano a che vedere o no con Moro, la macchina sia stata posta sotto sequestro.

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Noi non abbiamo emesso alcun decreto di sequestro, è da escludere nel modo più assoluto. D'altro canto, non saremmo stati competenti. Anche per le armi noi abbiamo chiesto alla Commissione di averle per fare una comparazione; da Roma ci hanno detto che, essendo competente Roma, noi non dovevamo procedere alla comparazione, quindi ci siamo fermati e abbiamo rispettato la competenza, così come è giusto che sia.
  Al momento, quindi, siamo spettatori di quel risultato che attendiamo tutti, prima o poi, perché si deve comunque procedere alla comparazione, anche in considerazione di quella che era stata la valutazione: sette o sei anni fa, quindi l'esigenza c'è.
  Sull'autovettura, non mi risulta assolutamente. Chi gliel'ha detto, scusi, onorevole, se posso permettermi di farle la domanda?

  GERO GRASSI. Il Ministero dell'interno. Io avevo chiesto ad autorevoli rappresentanti di intervenire presso la Procura perché, dicevo, se continuate a tenerla sotto sequestro, fra poco non la troverete più!

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. A parte il fatto che, se anche fosse vero, noi avremmo potuto cominciare a porla sotto sequestro nel momento in cui abbiamo avuto le armi da voi, il che è da escludere, perché il procuratore aggiunto Lombardo non l'ha fatto, io non l'ho fatto, quindi...

  PRESIDENTE. Noi adesso le trasmettiamo la lettera del Ministero.

  GERO GRASSI. A lei non sfugge che io non ho alcun interesse particolare, sono solo interessato alla conservazione dell'auto, che non è di mia proprietà!

  FEDERICO CAFIERO DE RAHO, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria. Ma certo.

  PAOLO BOLOGNESI. Quelle due armi sospette (diciamo così) dove sono adesso?

  PRESIDENTE. Dobbiamo passare in seduta segreta?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. No.
  Sono adeguatamente custodite, in attesa...

  PAOLO BOLOGNESI. Ma da voi?

  GIUSEPPE LOMBARDO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Reggio Calabria. Sì, certo.

  PRESIDENTE. Ci aggiorniamo alla settimana prossima. Ringrazio il dottor Cafiero de Raho e il dottor Lombardo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.