XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti dell'utilizzo dell'uranio impoverito

Resoconto stenografico



Seduta n. 93 di Mercoledì 13 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 3 

Audizione di persone e familiari di persone colpite da patologie connesse all'oggetto dell'inchiesta:
Scanu Gian Piero , Presidente ... 3 
Forino Maria  ... 4 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Forino Maria  ... 4 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Forino Maria  ... 4 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 4 
Forino Maria  ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Forino Maria  ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Cecchettin Walter  ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Cecchettin Walter  ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 5 
Cecchettin Walter  ... 5 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Cecchettin Walter  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Zito Francesco  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 6 
Zito Francesco  ... 6 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Zito Francesco  ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 7 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 7 
Zito Francesco  ... 7 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Forino Maria  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Pacileo Mercedes  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Pacileo Mercedes  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Pacileo Mercedes  ... 8 
Zardini Diego (PD)  ... 8 
Pacileo Mercedes  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Pacileo Mercedes  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 8 
Pacileo Mercedes  ... 8 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Pacileo Mercedes  ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Pacileo Mercedes  ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Pacileo Mercedes  ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Soria Giovanna  ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 9 
Soria Giovanna  ... 9 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 10 
Soria Giovanna  ... 10 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 10 
Parisi Gianluca  ... 10 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 12 
Parisi Gianluca  ... 12 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 12 
Soria Giovanna  ... 12 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 12 
Soria Giovanna  ... 12 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 12 
Soria Giovanna  ... 12 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 12 
Soria Giovanna  ... 12 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 13 
Soria Giovanna  ... 13 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 13 
Soria Giovanna  ... 13 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 13 
Soria Giovanna  ... 13 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 13 
Soria Giovanna  ... 13 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 13 
Soria Giovanna  ... 13 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 13 
Soria Giovanna  ... 13 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 13 
Pirosa Salvatrice  ... 13 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 15 
Chiariglione Carlo  ... 15 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 19 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 19 
Chiariglione Carlo  ... 19 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 19 
Chiariglione Carlo  ... 20 
Lacquaniti Luigi (MDP)  ... 20 
Chiariglione Carlo  ... 20 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 21 
Chiariglione Carlo  ... 21 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 21 
Bonfanti Elisabetta  ... 21 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 21 
Bonfanti Elisabetta  ... 21 
Scanu Gian Piero , Presidente ... 21

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIAN PIERO SCANU

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e diretta streaming sperimentale sulla web-tv della Camera dei deputati. Non essendovi obiezioni, ne dispongo l'attivazione.

Audizione di persone e familiari di persone colpite da patologie connesse all'oggetto dell'inchiesta.

  PRESIDENTE. Buon pomeriggio a tutti.
  Voi siete i parenti, in alcuni casi siete anche i parenti più stretti, di giovani che hanno perso la vita o che si sono gravemente ammalati per aver servito il nostro Paese, la nostra patria, con la divisa militare.
  La Commissione ha ritenuto di dover formalizzare, nell'intento di nobilitarne il significato, un rapporto dialettico il più possibile utile e costruttivo tra se stessa, medesima, Commissione e il mondo della sofferenza, al riparo da qualunque tipo di possibile tentazione populistica, al riparo da eventuali pulsioni di esibizionismo mediatico, con la piena consapevolezza, invece, che stiamo parlando di dolore, di storie di dolore, che riguardano voi che siete qui, molte persone che non ci sono, molti bambini, molte spose, molte mamme, molti padri, che, nello spirito ma anche nella lettera della Costituzione, hanno in qualche modo trovato il loro posto.
  Quando la Costituzione si è voluto che esordisse con l'articolo 1, che fa del lavoro il pilastro, il perno dell'esistenza umana, ha voluto sottolineare l'indispensabilità del lavoro come strumento di emancipazione e di liberazione dal bisogno, ma non ha per niente detto che, pur di avere lavoro, l'uomo, la donna, l'italiano, l'italiana, potesse, dovesse essere sottoposto a forme di mancata tutela, che sono all'origine di questa Commissione d'inchiesta.
  E all'articolo 3, giusto per citare soltanto questi due articoli che mi stanno particolarmente a cuore, della Costituzione, i Costituenti hanno voluto che la nostra Carta impegnasse la politica a rimuovere tutte le resistenze, le difficoltà, le diseguaglianze che impediscono a ciascuno di essere libero, libero dal bisogno, ma libero anche possibilmente dalla malattia, dalla sofferenza, dall'emarginazione.
  Con questi presupposti noi abbiamo voluto come commissari chiedervi la gentilezza di fare un passaggio che è un passaggio doloroso, perché venire qui in Parlamento a raccontare, in qualche modo pubblicamente, a ricordare ciò che peraltro avete presente ogni momento della vostra vita, ciò che rende il dolore lancinante, non è certamente una cosa che si può fare a cuor leggero e con leggerezza, appunto, quindi grazie per essere venuti qui.
  Già il fatto di avere voluto questo nostro incontro credo che sia di per se stesso un elemento importante, di grande rilievo per la nostra Commissione, però vorremmo raggiungere per così dire il miglior risultato possibile.
  Io, più che ai colleghi che sono presenti e a chi vi parla, ritengo di dover attribuire la possibilità di rendere importante il nostro Pag. 4 risultato a voi. Pertanto, quando avrete la cortesia di raggiungere qui la presidenza per rivolgervi all'intera Commissione, vi chiedo di sentirvi, se posso fare questa richiesta che magari può sembrare un po’ originale, completamente a vostro agio e completamente liberi di dire ciò che pensate, di dire ciò che provate e di dire anche che cosa vi aspettate da questa Commissione, cosa vi aspettate dal Parlamento, cosa vi aspettate dal Governo, cosa vi aspettate dall'Italia, in nome della quale i vostri congiunti si sono ammalati oppure sono morti.
  È, quindi, una cosa assolutamente seria. Facciamo in modo di renderla anche preziosa con un contributo libero, spontaneo, ma generoso da parte di ciascuno di voi.
  Non abbiamo stabilito un ordine di intervento per poter, naturalmente, consentire a ciascuno di voi di regolarsi liberamente se e quando intervenire, però saremmo felici se poteste, anche soltanto per una presentazione, prendere la parola tutti quanti e parlare liberamente.
  Adesso vorrei cercare, come succede in queste circostanze, la persona coraggiosa, il coraggioso o la coraggiosa, che voglia, come si dice in queste circostanze, rompere il famoso ghiaccio, e poi vedrete che strada facendo di ghiaccio non ce ne sarà più manco un pezzetto.
  Signora Attianese, dovrebbe venire qua. Avremmo voluto impostare diversamente il tipo di audizione, ma proprio perché siamo collegati con la web-camera – mi pare che si chiami così – c'è necessità che stiamo in questo modo.
  Grazie per essere presente. Grazie a nome dei colleghi e di tutta la Commissione.

  MARIA FORINO. Salve a tutti. Grazie a tutta la Commissione e grazie in particolare a lei, presidente.

  PRESIDENTE. Si presenti.

  MARIA FORINO. Sono Maria Forino, vedova del ragazzo Attianese Antonio, venuto a mancare il 24 giugno 2017, e non è la prima volta che sto qui in Commissione, quindi che ho questa possibilità di esternare, di portare avanti il doppio calvario che ha portato mio marito. Diciamo che oggi è un po’ più forte di prima, con due bimbi piccoli. Non rinvanghiamo di nuovo tutta la storia, tutto il calvario, perché il più forte l'ha fatto per la vita. Mio marito per la patria ha dato la vita, per il suo lavoro. L'altro calvario lo stava facendo per la legge, per questo Stato italiano, per questo Governo che non ci tutela in niente e non ci ha tutelato in niente.
  Oggi io mi ritrovo con due bimbi piccoli e, finito un calvario, quello della salute – adesso lui riposa in pace – io ancora non sto in pace finché non ottengo i nostri diritti. È un nostro diritto, e quindi è giusto che ci battiamo per questo. Abbiamo questa Commissione a disposizione, questo presidente, il signor Scanu, che ci sta dando questa possibilità, e quindi non trascuriamo la cosa.
  Quello che chiedo per l'ennesima volta è di non essere abbandonati, perché di abbandono ne abbiamo già totale, e di andare avanti, almeno se riusciamo a tirare fuori qualcosa di positivo, se c'è qualcuno che ci ascolta, se c'è qualcuno che faccia qualcosa realmente. Per me, oggi, ripeto, con due bimbi piccoli, ogni volta che sento Roma, per me è un calvario, è uno stress, non perché adesso vengo qua. Roma, in nove anni di matrimonio, l'ho fatta per otto o nove volte al mese, tutte da ricovero con mio marito al Gemelli e oggi mi ritrovo a portare avanti questo calvario. Lui lo portava per la salute, per la famiglia, e io oggi adesso lo porto avanti per i diritti. Questo è.

  PRESIDENTE. Grazie, intanto.

  MARIA FORINO. Grazie a voi.

  PRESIDENTE. Lo scopo della nostra audizione è quello di poter orientare meglio la Commissione in quelli che sono i propri lavori, pensando non soltanto a coloro che se ne sono andati, a coloro che sono ammalati, ma anche a coloro che noi vorremmo che non si ammalassero. Nel momento in cui abbiamo presentato una Pag. 5proposta di legge per governare la materia, lo abbiamo fatto anche e soprattutto pensando a chi adesso indossa la divisa e dovrebbe poterla dismettere al momento della pensione senza aver contratto nessun tipo di malattia.
  I colleghi ricorderanno che Antonio in sua compagnia è venuto invitato dalla Commissione alcuni mesi fa. È stata un'audizione molto particolare, per certi versi dolorosa. In quell'occasione, noi abbiamo liberamente detto ad Antonio e anche lei, che premurosamente l'accompagnava, che questa Commissione avrebbe fatto tutto ciò che le fosse stato possibile per rendere giustizia.
  Prima di salutarci, signora, ci dica come lei ritiene che si possa continuare il nostro lavoro affinché l'impegno assunto con suo marito, ma purtroppo anche con altre centinaia di persone, possa essere onorato da noi. Che cosa si attende lei da questa Commissione prima che si concludano i lavori della legislatura?

  MARIA FORINO. Niente. Io mi aspetto realtà, chiarezza, trasparenza e giustizia. Penso di aver concluso.

  PRESIDENTE. Grazie. Grazie molte, signora. Si accomodi pure. Grazie.

  MARIA FORINO. Grazie a voi.

  PRESIDENTE. Adesso che la signora ha già parlato sarà più facile. Intanto, però, ricordo ai colleghi che naturalmente sono vivamente pregati di non lasciare a me l'onere e l'onore di porre le domande. Credo che anche i nostri ospiti sarebbero felici di poter interloquire direttamente con voi colleghi.
  Naturalmente, si accettano anche critiche. Non deve essere una manifestazione di giubilo, anche perché c'è poco da esprimere in termini di giubilo. Se ci dovete richiamare anche rimproverandoci, fatelo in libertà, perché questo deve essere il nostro compito: saper ascoltare soprattutto eventuali critiche.
  Si presenta, gentilmente?

  WALTER CECCHETTIN. Buongiorno a tutti. Mi presento: sono Cecchettin Walter, ho prestato servizio nel ’91 nella guerra del Golfo e, appena finito la missione [audio incomprensibile], ho cominciato ad avere questi problemi. Mi è stato diagnosticato un linfoma di Hodgkin ad alto grado di malignità, ho avuto sette recidive in circa quindici anni, due trapianti di midollo, sette interventi chirurgici, con annessi cicli di chemioterapia. Ultimamente, il mio cuore non ha più retto alle chemioterapie, dunque ho la parte sinistra del cuore che produce il 23 per cento di funzionalità cardiaca. Mi è stato impiantato un defibrillatore, un pacemaker, per aiutarmi. Questa è la parte della malattia.
  Io mi sono ammalato subito, nel ’92. Adesso siamo nel 2017 e non ho mai avuto né un appoggio né un sostegno di nessun tipo dalle nostre istituzioni, e quello che dà molto fastidio, perché io sono partito che ero sano, infatti ho servito nella brigata paracadutisti «Folgore», dove veniamo più o meno selezionati, e son tornato dopo pochi mesi con questo linfoma.
  Quello che cerchiamo, come tutti, è giustizia. La malattia, va bene, gli anni che ho perso della mia vita non li recupero più, però ho una famiglia, ho dei figli. Almeno, per il momento io sono qui tra voi, e vi ringrazio, a raccontarla, mentre purtroppo tante vedove hanno perso i mariti. Non so cosa aggiungere.
  Vi ripeto, vi ringrazio di quest'occasione che avete dato. Fate qualcosa. Aiutateci, perché fino adesso...

  PRESIDENTE. Lei, naturalmente, ha presentato domanda quando si è ammalato.

  WALTER CECCHETTIN. Certo, sì.

  PRESIDENTE. Ci racconti un po’ di queste cose.

  WALTER CECCHETTIN. Niente, subito dopo... Inizialmente, si sentiva appunto parlare della Guerra del Golfo, della sindrome del Golfo, di tutte queste cose, ma non pensavo. Dopo, quando è successo la Somalia, i Balcani, allora la cosa è diventata Pag. 6più concreta. Ho fatto questa domanda, riconosciuto immediatamente come causa di servizio. Questa è andata avanti... Scusatemi, ma a livello di leggi è una cosa più grossa di me, non sono competente a spiegarmi bene. Comunque, in parole povere, mi hanno rifiutato il tutto per la decorrenza dei termini. Ero oltre i cinque anni, ma io sono venuto a conoscenza dopo oltre cinque anni, perché inizialmente la nostra missione non era stata molto sentita, perché eravamo in pochi come contingente, mentre dopo c'è stata, come ripeto, la Somalia, c'è stato i Balcani, dopo c'è stato ancora l'Iraq, c'è stato... Niente, mi sfugge, scusate.
  Ho fatto più di una domanda, rifiutata, domanda, rifiutata. A Strasburgo, addirittura non mi hanno tenuto neanche in considerazione, perché hanno detto che per loro non era niente, e via dicendo. Ho fatto quattro udienze, e tutti mi dicevano della decorrenza dei termini, che i termini erano passati, i cinque anni. Appunto, noi dicevamo: cavolo, è malattia professionale, non dovrebbe avere... Io l'ho presa lì, è stato riconosciuto, perché non dovete...
  Così, mi hanno sempre detto di no. Adesso, ringraziando questa Commissione e l'onorevole Scanu... che mi ha dato l'opportunità di ripresentar la cosa, perché per il resto non sarei più niente. Tutto il mio calvario, tutta la mia fatica, ho servito la patria, e guai a chi tocca la bandiera, e così, sono stato abbandonato da tutti e da tutto.

  PRESIDENTE. I colleghi vogliono porre qualche domanda?
  Scusi, non vorrei sconfinare nel privato: lei ha figli?

  WALTER CECCHETTIN. Fortunatamente, sì: due e sani. Con quello che è successo, almeno quello.

  PRESIDENTE. Grazie a Dio.
  Lei è riuscito a lavorare in questi anni nonostante la malattia?

  WALTER CECCHETTIN. No. È già da una decina d'anni che mi hanno riconosciuto una pensione lavorativa, perché mi hanno operato agli inguini, alle ascelle, alla gola, al cavo popliteo, e anche a livello di muscolatura non è più quella di prima. Poi è subentrato il cuore col 23 per cento di funzionalità.

  PRESIDENTE. Sono indiscreto se le chiedo quanto percepisce di pensione?

  WALTER CECCHETTIN. 1.100 euro.

  PRESIDENTE. Per portare avanti la famiglia.

  WALTER CECCHETTIN. Con gli assegni familiari e tutto, sì.

  PRESIDENTE. In queste condizioni di salute.

  WALTER CECCHETTIN. Sì.

  PRESIDENTE. Quindi, per lo Stato italiano lei è sano, praticamente, al di là del riconoscimento per queste malattie, che evidentemente non vengono ricondotte in termini di causa al servizio che lei ha svolto servendo la patria.

  WALTER CECCHETTIN. A quello che sembra, sì. Sono ancora una persona come quando avevo 19 anni.

  PRESIDENTE. Grazie. Grazie molte.

  WALTER CECCHETTIN. La ringrazio. Ringrazio tutti voi.

  PRESIDENTE. Grazie a lei per essere stato qui.
  Si accomodi, prego.

  FRANCESCO ZITO. Buon pomeriggio. Sono Zito Francesco, padre di Leonardo.

  PRESIDENTE. Non si preoccupi, abbiamo tutto il tempo che vogliamo.

  FRANCESCO ZITO. Scusate, ma non sono abituato a parlare in pubblico.

Pag. 7

  PRESIDENTE. No, immagino. Vuole che sospendiamo un minuto?

  FRANCESCO ZITO. No, va bene, sennò poi devo riprendere un'altra volta le stesse cose.
  Mio figlio ha partecipato a delle missioni in Afghanistan, nel Kosovo, in Libano. Il 6 novembre del 2015, gli è stato diagnosticato un linfoma non Hodgkin. Dopo vari cicli di chemioterapia, autotrapianto di cellule staminali e radioterapia, il 6 luglio di quest'anno ci ha lasciato.
  Io ho qui dei rapporti medici, dove viene indicata come patologia aggiunta l'aver fatto missioni in Macedonia, Libano e Afghanistan, quindi questo dice molto secondo me.
  In più, il medico che coordinava la terapia ha detto che per la resistenza che ha avuto la malattia e per la velocità con cui è andata avanti – mio figlio, da quando gli è stata diagnosticata la malattia, non è mai uscito – quindi c'è stato sempre un peggioramento della malattia, un avanzamento costante nonostante tutti i trattamenti.
  Lascia due bambine, e la moglie, naturalmente.
  Non abbiamo avuto nessun contatto, se non quello di essere invitati qui e, se mi consentite, ho una mia riflessione, che l'ho scritta, sennò non sarei riuscito a parlare.
  Ci troviamo di fronte a un paradosso. Il Ministero della difesa italiano, ossia l'apparato che dovrebbe difendere la patria e tutto quello che essa rappresenta, ha mandato i suoi uomini a suicidarsi con l'uranio impoverito, perché di questo si tratta. Non lo dico io, ma le tante sentenze emesse dai giudici.
  Quanto alla Commissione, sull'argomento va bene la raccolta di tutti i dati possibili, come se non si conoscesse già la pericolosità dei danni che l'uranio impoverito provoca.
  A tale proposito, sarebbe utile anche vedere quante persone sono decedute, quanti bambini nascono malformati, che mutazioni ha avuto e continua a avere la flora e la fauna nei posti dove è stato usato. Uno Stato non può, dopo aver mandato i suoi difensori a suicidarsi con l'uranio impoverito, e forse sarebbe il caso di parlare di strage provocata per negligenza, aspettare che una vittima o i suoi familiari facciano azioni legali per essere risarciti, ma dovrebbe andare a trovare tutte le persone che sono state nei posti dove è stato usato l'uranio impoverito, verificare i danni e risarcirli. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei.
  Ci sono domande? C'è il collega Lacquaniti per una domanda.

  LUIGI LACQUANITI. Grazie, presidente.
  Ringrazio il signor Zito. Ringrazio, naturalmente, chi ha parlato nelle altre testimonianze che lo hanno preceduto.
  Comprendiamo, per quanto ci è possibile, il vostro dolore. Penso di parlare anche a nome dei colleghi. Devo dire che è estremamente faticoso per noi, che rappresentiamo qui uno dei poteri dello Stato, ascoltare tutto questo.
  Io vorrei capire da lei, signor Zito, in poche battute, ma anche con grande franchezza, sincerità, come può valutare il comportamento del Ministero della difesa nella vicenda che ha riguardato suo figlio. Io sono molto discreto con le manine che alzo, presidente, però è una domanda che avrei voluto fare anche agli altri, a chi ha parlato prima, in particolare alla vedova Attianese. Mi sarebbe piaciuto capire qual è stato il comportamento della Difesa dopo il decesso del marito. Grazie.

  FRANCESCO ZITO. Guardi, io non posso esprimere niente, in pratica, perché non c'è stato niente, cioè il Ministero della difesa non lo conosciamo, una completa assenza, tranne la rappresentanza ai funerali. Quello c'è stato. Come il mio, come sicuramente tanti altri casi, come tutti gli altri casi, se non si fa un'azione legale, c'è la completa assenza.
  Per questo dicevo anche nella mia riflessione che lo Stato dovrebbe andare a trovare queste persone che o sono ammalate o i parenti delle vittime di chi ci ha lasciato, verificare i danni e risarcirli, perché se c'è un'assenza e si aspetta che ci siano azioni legali, poi potrebbe anche sembrare una strategia quella di aspettare le azioni legali, perché magari non tutti fanno Pag. 8azione legale, non tutti se la sentono anche economicamente di portare avanti una battaglia legale, perché chiaramente costa. Cosa dire?

  PRESIDENTE. Ci sono altre domande? Dopo facciamo venire la signora Attianese per rispondere.
  Grazie. Noi la ringraziamo molto.
  Signora, vuol venire intanto lei, così, se deve rispondere al collega Lacquaniti...

  MARIA FORINO. Eccomi qua.
  Rispondo alla sua domanda. Lo Stato per tredici anni è stato in totale silenzio. Dopo tredici anni, il giorno 24 giugno, giorno del decesso di mio marito, è stato presente lo Stato, con una corona di fiori, alla quale ho risposto con un manifesto di rinuncia. Dopo tredici anni di silenzio, questi fiori a me non servivano a niente, neanche le presenze fisiche.
  Quello che volevamo e che lui meritava, i colleghi volevano fare per lui era un picchetto d'onore ai suoi funerali, e ci è stato proibito. Tutti i colleghi sono stati... hanno avuto ordine di non presentarsi ai funerali in divisa, in uniforme. Dopo tanto silenzio, ancora una volta ci hanno risposto così. Questo è lo Stato. Questa è la legge. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, signora.

  MERCEDES PACILEO. Buonasera. Sono Pacileo Mercedes, la vedova del sergente maggiore capo Liguori Enzo, che è venuto a mancare il 4 novembre del 2015, giorno della commemorazione delle Forze armate, anche lui con un tumore, un adenocarcinoma polmonare, con metastasi un po’ diffuse ovunque, soprattutto ai linfonodi.
  Niente, che dire? Mio marito non voleva iniziare una causa di servizio, perché secondo lui riusciva a ritornare al lavoro, quindi non voleva fare questo torto al ministero, e invece no, una quindicina di giorni prima che finisse, vennero a casa per fargli firmare le carte in pratica di questa causa di servizio.
  Dopodiché ho dovuto cominciare io tutto daccapo, anche non conoscendo totalmente tutti i fatti che accadevano, perché mio marito non raccontava tanto, però comunque ha fatto svariate missioni, è stato in Somalia, in Afghanistan, in Iraq. Proprio a dicembre del 2014 è tornato dall'Afghanistan, dove poi a maggio abbiamo avuto la diagnosi di questo adenocarcinoma già di otto centimetri non operabile, diffuso già nella maggior parte del corpo. Niente, sette mesi ed è finito.
  Io sono la moglie. Abbiamo tre figli. Questo è. Lo Stato non si è visto assolutamente, tranne per la corona dei fiori al giorno del funerale. Il picchetto a noi ci è stato fatto. Niente, questo è quanto. Abbiamo avuto anche la diagnosi dell'analisi nanodiagnostiche, e praticamente è pieno di metalli, pieno di metalli pesanti, oro, argento, rame, di tutto, di tutto, cosa che comunque c'era proprio scritto che non si possono trovare in area urbanistica, ma si trovano solo in area bellica. Questo è quanto.

  PRESIDENTE. Quindi, lei, signora, non ha nessun tipo di assistenza, vero?

  MERCEDES PACILEO. No, assolutamente.

  PRESIDENTE. Non le è stato riconosciuto assolutamente niente.

  MERCEDES PACILEO. Niente. Niente. Niente.

  DIEGO ZARDINI. (fuori microfono) La causa è ancora in corso...

  MERCEDES PACILEO. Sì, sì, sì. No, no, causa in corso, però mi è stata respinta la causa di servizio.

  PRESIDENTE. Ci diceva che suo marito è mancato nel 2015.

  MERCEDES PACILEO. Sì, il 4 novembre.

  PRESIDENTE. Quindi, sono quasi due anni che è mancato.

  MERCEDES PACILEO. Sì.

Pag. 9

  PRESIDENTE. Lei, naturalmente, in questi due anni...

  MERCEDES PACILEO. Niente, vado avanti con una minima pensione. Dopo ventuno anni di lavoro, minima, mille euro al mese, e non si può andare avanti. Questo è. Quindi, chiedo i miei diritti, soprattutto per i miei figli, che sono piccoli.

  PRESIDENTE. Grazie, signora.

  MERCEDES PACILEO. Grazie a voi.

  PRESIDENTE. In qualche modo, mi dispiace questo rosario di...

  MERCEDES PACILEO. Purtroppo, è la realtà dei fatti. Grazie a tutti.

  PRESIDENTE. Grazie.
  Se la sente, signora?

  GIOVANNA SORIA. Buon pomeriggio a tutti.
  Intanto, ringrazio lei, onorevole, di averci dato la possibilità di poter dire un po’ la nostra.
  Io sono Giovanna Soria e sono la vedova del maresciallo Masups dei Carabinieri paracadutisti Cinelli Pasquale, deceduto il 19 novembre 2000.
  Io, come penso tutti gli altri che sono qui a essere ascoltati da tutti voi, chiediamo soprattutto il rispetto per i nostri cari e la giustizia che venga riconosciuta a noi familiari, perché loro è vero che non ci sono più, hanno servito la loro patria, la nostra, dando purtroppo la vita. Se vado a ritroso dei miei ricordi, che sono diciassette anni – possono sembrare pochi, ma sono tanti – io avevo trentuno anni e lui solo quarantuno anni e mia figlia ne aveva nove e, se devo raccontare un inizio di calvario da quando si è iniziata questa battaglia che tutti stiamo un po’ rincorrendo, visto che lei mi ha detto di essere tranquilla e di dire quello che penso, trovo veramente vergognoso, ma vergognoso davvero, che debbano passare questi lunghissimi anni prima che una famiglia, strascicando veramente le proprie forze o svendendo le proprie proprietà oppure quello che comunque chiede di aiuto ai familiari per poter tirare avanti, di ottenere una giustizia e un riconoscimento purtroppo per la perdita del loro caro.
  È bruttissimo dire questa cosa qui, però quando la persona cara che sosteneva la famiglia viene a mancare e ti mancano tutte le forze, la principale è la persona che non c'è più, ti ritrovi a dover tirare la cinghia e dire «speriamo che lo Stato riconosca il danno che ha fatto», però ce lo sta ostacolando.
  Io sono, penso, quella un po’ più anziana, si può dire, se me lo passate. Diciassette anni sono tanti. E mia figlia, che tutte le volte dice: «Mamma, ancora...»? Lei non viene qui, non è mai venuta, non perché odia la gente, però, come sente parlare del padre... Io mi commuovo e cerco di farmi forza perché lo devo fare soprattutto anche per lei, però è bruttissimo trovarsi da questa parte, è bruttissimo. Io non lo auguro a nessuno e sfiderei chiunque, specialmente i signori che ci ostacolano, se magari fossero stati al nostro posto, se non avessero accelerato i tempi.
  È vero che io ora con gli anni – sono passati poi diversi anni prima che accettassero la causa di servizio e il riconoscimento come vittima del dovere, mia figlia ha dovuto compiere diciotto anni, dai nove anni che perse il padre – poi ci hanno riconosciuto che eravamo i superstiti di una vittima del dovere. Ne sono passati altri, fino a che ci era stata riconosciuta la vincita, comunque, che il ministero era stato comunque...

  PRESIDENTE. Condannato.

  GIOVANNA SORIA. Condannato. Grazie, mi scusi, ma perdonatemi la... Era stato condannato. Pensavamo di aver chiuso e concluso il capitolo. Non è stato così, perché poi ci hanno subito fatto ricorso l'Avvocatura di Stato, quindi siamo ancora a dover concludere questa situazione.
  È vero che questa non è materia mia, perché io faccio tutt'altro lavoro. Speriamo che non allunghino altrettanto i tempi e che perlomeno mia figlia veda conclusa Pag. 10questa cosa lei in vita, perché io penso che, se andiamo di questi tempi, la vedo veramente grigia.
  L'unica cosa che chiedo, visto che questa Commissione ci sta ascoltando, e io vi ringrazio veramente di cuore che ci date questa possibilità, anche per chi attualmente è ancora malato e sta combattendo non è giusto che i militari che servono la patria prestando giuramento debbano poi patire, essere abbandonati e non avere riconosciuti i diritti ai propri familiari. Questo veramente è una cosa che io la ritengo veramente vergognosa, perché i nostri militari devono essere onorati. Noi li onoriamo sicuramente.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ci sono domande? Grazie, signora. Grazie molte.

  GIOVANNA SORIA. La ringrazio ancora.

  PRESIDENTE. Coraggio. Prego.

  GIANLUCA PARISI. Salve a tutti. Io mi chiamo Gianluca Parisi, e penso che pure io sono un poco di vecchio stampo su queste cose, perché è dal 2004 che ho una causa in corso contro lo Stato, da quando un colonnello medico dell'ospedale militare di Caserta decise di non farmi più idoneo al servizio militare permanente, cioè per meglio dire nemmeno in caso l'Italia venga attaccata direttamente, sarei più richiamato alle armi.
  Nulla. Io a ventuno anni partii per l'Afghanistan, fui uno dei primi a mettere piede in terra afghana, perché l'11 settembre 2001 successe quello che è successo in America, e io il 19 gennaio 2002 già stavo in Afghanistan con gli sminatori. Giusto un anno dopo... Oltre che fui quattro mesi impegnato là per un semplice motivo... Non so se voi ne siete a conoscenza, se c'è qualche medico dell'Esercito, però a noi ci facevano prendere un farmaco che era contro la malaria, quindi dovevamo fare un mese prima di partire i quattro mesi che stavamo in Afghanistan e un mese dopo, quando rientravamo in Italia, però di questo fatto poche persone sanno di questo farmaco, anche se ho saputo che faceva malissimo. Va bene, lasciamo stare.
  Io rispetto agli altri sono stato un po’ più fortunato. Non ho avuto malattie tumorali, però ho avuto una bruttissima malattia di stomaco, che mi ha provocato addirittura un’angina pectoris, cioè io ho avuto in caserma totalmente i sintomi di un infarto a ventidue anni. Entrando in ospedale a Cremona d'urgenza, mi hanno riconosciuto un infarto in corso, però soltanto sei mesi dopo abbiamo capito che quell'infarto non era dovuto a mal di cuore o a qualche malattia coronarica, ma era semplicemente dovuto a una patologia a livello gastrico, tra cui io tengo tutto il duodeno che non esiste più, non si riformerà più.
  Dai primi sei mesi ai due anni ho dovuto fare attenzione totalmente all'alimentazione che facevo, oltre che adesso ho un rischio latente di cancro e tumore allo stomaco. Va bene, lasciamo perdere.
  In tutto questo, nel 2004 incominciai la causa di servizio contro lo Stato, richiedendo soltanto la causa di servizio. In un primo incontro al CMO di Napoli, essendo io un ex militare, andai al CMO di Napoli, senza nemmeno conoscere nessuno, andai proprio così, fui richiamato, e mi diedero la 7ª categoria, tabella massima, pensionabile, rivedibile dopo quattro anni, però pensionabile.
  Dopo giusto tre anni – sono questi i tempi dello Stato, non si viaggia a parlare di due o tre mesi, si va a parlare di anni – il comitato di verifica me la tolse per un semplice motivo: mi diede del neurodistonico. Perfetto. Io voglio pure essere neurodistonico, però tu, per dirmi che sono neurodistonico, mi devi fare almeno una visita, giusto? Visita che a me non mi è mai stata fatta, mai.
  Nel frattempo, arriva pure il rapportino informativo del mio capitano in Afghanistan. In pratica, lui dice che io avrei soltanto accompagnato le persone sopra i cantieri a lavorare, «cantieri», non esprime quali. Io stavo nella caserma genio guastatori, quindi il cantiere poteva essere l'orfanotrofio in ricostruzione. Cantieri, punto. Non esprime altro. Pag. 11
  Chiaramente, il ricorso che io vado a fare è stato fatto direttamente alla Corte dei conti di Napoli. Presentato nel 2009, ho avuto la risposta nel 2017. Giusto qualche anno hanno perso, tra cui fui chiamato al CTU a Roma, al Ministero della salute. Chiaramente, sapendo che era una cosa abbastanza importante, quando arrivi a Roma al CTU al Ministero della salute trovi molto corretto che là non hanno nemmeno il tuo fascicolo in mano, cioè arrivi là dici «Io sono Tizio e Caio», «Raccontaci la tua storia, perché il fascicolo ancora ci deve arrivare». E tu dici: «Sì, perfetto, io ti racconto la mia storia, ma se non tieni altre cose in mano per dedurre se io ti sto dicendo la verità o no, che te ne fai della mia storia? Perché mi hai fatto venire a Roma? Perché mi hai fatto perdere tempo?»
  Tanto io già sapevo che questa lettera dal capitano di compagnia a me mi uccideva, perché lui disse che io in Afghanistan non avevo fatto nulla di che.
  Fortunatamente, dopo che è uscita la sentenza, anzi prima di uscire la sentenza, tra prima di uscire la sentenza e dopo essere stato a Roma, ho trovato le foto e i filmini di quello che io avevo fatto in Afghanistan, e chiaramente li ho portati.
  Secondo lei, questa è una persona che accompagna le persone sui cantieri a lavorare? Può essere mai una persona che accompagna le persone a lavorare sui cantieri? Oppure quello che scriveva il mio maresciallo, mai sentito: ma per chiedere una causa di servizio per l'uranio impoverito, bisognerebbe almeno averlo toccato, tipo andarci a toccare i carri armati che sono stati colpiti con queste armi. Un maresciallo [audio incomprensibile], sminatore... Lo so, ma anche quello inalato, come quando ci ritrovammo vicino a quel cimitero di carri armati presente anche nei video. Vi ricordate? Sì. La distanza dei carri armati era poco lontano dalla base. Ci andammo per accompagnare qualcuno che voleva ispezionarla.
  E che vuol dire, questo? Che un capitano dell'Esercito, ora colonnello della NATO, non so per quale motivo – può essere pure ordini superiori – ha taciuto su quello che io ho fatto in Afghanistan, perché nel 2004 non si poteva sapere o perché un ragazzo di ventuno anni l'autista [audio incomprensibile] non lo poteva fare? Per quali ragioni?
  E soprattutto, visto che stiamo qua, cioè visto che voi siete onorevoli – sono arrivato in ritardo, quindi non conosco bene i vostri nomi – perché non la risolvete, ’sta situazione? Cioè, questo è emblematico. Voi tenete un servitore dello Stato all'estero che dice bugie. E non vi sembra strano tutto ciò?
  Tra l'altro, io ho pure fatto domanda delle vittime del dovere: bocciata, senza nemmeno... Perché non tengo la causa di servizio. E perché non c'ho la causa di servizio? Perché un colonnello dell'Esercito ha mentito. E io? La mia vita?
  Cioè, io ogni giorno, quando io tornavo da Caserta, dall'ospedale militare, io dovevo guardare in faccia a mio padre e gli dovevo dare delle spiegazioni. Io sono stato cacciato fuori dall'Esercito senza nemmeno un soldo, perché io non ho avuto niente, un calcio in culo, ciao («Ma io sono stato in Afghanistan», «Ciao»), malato, perché ero malato, a ventidue anni. Io spero che mai nessun ragazzo possa ricevere questo trattamento a quell'età, perché una cosa se ti succede a trent'anni tieni una maturità tale di pensarci, combattere e rialzarti, ma quando ti succede a ventidue anni una cosa del genere, ti spezza le gambe. Questo è quanto è successo.
  Io non so nemmeno se a ’sto capitano lo devo denunciare, perché obiettivamente sono passati dodici anni, non so nemmeno cosa fare, tra l'altro, se iniziare una causa contro di lui di falso. Perché poi ’sto capitano venne a sapere questa cosa e mi chiamò, dopo quattordici anni. Tengo ancora la chiamata, lo screen shot della chiamata dall'Olanda, dai Paesi Bassi, come mi usciva sul telefonino. L'unica cosa che mi chiese è se si doveva trovare un legale. Dopo quattordici anni? «Sì, guardate, colonnello, forse avreste fatto meglio che negli anni m'avreste chiamato a chiedermi come stavo», proprio perché l'amministrazione militare o lo Stato da me è stato totalmente assente. Pag. 12
  Soltanto uno stupido dottore del CMO di Napoli che me la diede la causa di servizio, che disse: «Dopo quello che hai passato tu, chi sono io per non dartela, anzi?». Poi tutto il resto... Con sotterfugi strani me l'hanno tolta. Va bene. Questo ve lo potete tenere, pure queste qua, perché ci sono le cose che racconta il maresciallo Giannicola, perché il maresciallo Giannicola era quello con cui io stavo, a cui facevo l'autista in Afghanistan, ed era il maresciallo [audio incomprensibile], che adesso è responsabile alla Cecchignola per gli armamenti bellici. Va bene, è un responsabile della Cecchignola, quindi potere telefonarlo quando volete.

  PRESIDENTE. Grazie. Grazie molte per essere venuto.

  GIANLUCA PARISI. Va bene.

  PRESIDENTE. Voleva chiedere qualcosa, signora?

  GIOVANNA SORIA. Se era possibile, dopo che magari hanno finito di parlare tutti...

  PRESIDENTE. Sì.

  GIOVANNA SORIA. Prima, proprio presa dall'emozione, come vi ho detto, anche se cercavo di essere abbastanza spigliata, ma volevo dire...

  PRESIDENTE. Si accomodi pure adesso, venga.

  GIOVANNA SORIA. Mi dovete perdonare.

  PRESIDENTE. Non c'è niente da perdonare.

  GIOVANNA SORIA. La cosa importante, presa anche dall'emozione che prima all'inizio nel parlare avevo, è soprattutto il sopraggiungersi della malattia di mio marito. Mio marito, praticamente, dal momento che rientrò dall'ultima missione che fece nei Balcani, il 14 novembre del 2000, rientrò dalla Bosnia-Erzegovina.
  Premetto che già negli anni precedenti quasi tutti gli anni è stato impegnato sempre nei Balcani, nelle varie stazioni che comunque veniva impiegato. Quando rientrò, appunto, dalla missione, dopo pochi mesi che lui rientrò, cominciò ad avvertire i primi dolori della malattia. Mio marito, dal momento che poi fu ricoverato in ospedale, passarono solo quaranta giorni ed è deceduto.
  Il 14 novembre è rientrato dalla missione, i primi malesseri lui ha iniziato ad avvisare verso il mese di maggio-giugno. Quando abbiamo iniziato gli accertamenti con il nostro medico di famiglia, diciamo che all'inizio erano dolori addominali, pensando che magari fossero dovuti anche a un cambiamento di alimentazione – era stato diversi mesi fuori – abbiamo iniziato una prassi che normalmente qualsiasi medico fa fare.
  Invece, con il passare dei mesi, io vedevo che mio marito, nonostante continuasse ad andare a lavorare sentendosi male, perdeva del peso. Questo calo ponderale del peso fu troppo evidente in poco tempo, tant'è vero che poi con il medico di famiglia, che comunque insisteva con accertamenti più mirati, lo fece poi ricoverare all'ospedale Santa Chiara di Pisa.
  Quando siamo andati all'ospedale Santa Chiara di Pisa il 2 di ottobre, i medici appena iniziarono le prime diagnosi su di lui, nonostante esteticamente presentava un aspetto bello massiccio, robusto, quindi sembrava di ottimo stato di salute, si videro un bruttissimo quadro clinico, brutto, brutto, che dissero: «Signora, a noi non ci lascia precludere niente di buono. Dovunque noi lo tocchiamo alla parte dell'addome, lui avverte dolore».
  Al che iniziarono gli accertamenti. Poi gli fu riscontrata una linite neoplastica, carcinosi peritoneale, con metastasi epatiche bilaterali ossee. Praticamente, lui tutti i punti vitali, tranne il cervello – era lucido fino all'ultimo giorno – furono toccati. E me l'ha portato via in quaranta giorni. Lo ha consumato in solo quaranta giorni. Pag. 13
  Anche i medici veramente rimasero scioccati di questa cosa, che un ragazzone ben prestante fisicamente avesse questa patologia, tant'è vero che tutti mi chiedevano: «Ma, signora, ma questo ragazzo dove lavora?». Quando poi gli ho detto dove lavorava, loro gli venne il dubbio che qualcosa avesse contratto nei posti dove lui aveva lavorato. Questo è quanto, però vi dico che veramente il tormento di quei giorni è stato veramente bruttissimo. La parte che si vive con la malattia è bruttissima.
  La ringrazio. Era una cosa importantissima che per l'emozione non avevo...

  PRESIDENTE. Grazie. Ha fatto molto bene a integrare. Grazie, signora.

  GIOVANNA SORIA. Mi dispiace. Grazie.

  LUIGI LACQUANITI. A quali missioni aveva partecipato suo marito e dove ritenete che possa essersi creata questa...?

  GIOVANNA SORIA. Come tutti i ragazzi che vedo qui, lui, facente parte del reggimento dei Carabinieri paracadutisti – come sapete bene, sono quelli che si spostano per primi quando ci sono bisogni all'estero – fece anche la Somalia e dalla Somalia in poi, dal ’93 in poi, fino al 2000, ha fatto tutti i Balcani.

  LUIGI LACQUANITI. Balcani, esattamente dove?

  GIOVANNA SORIA. Ha fatto la Bosnia-Erzegovina, ha fatto la Sarajevo, ha fatto Mostar, ha fatto Kosovo.

  LUIGI LACQUANITI. Lei ha parlato, naturalmente, con suo marito di tutto. È stato lucido fino all'ultimo.

  GIOVANNA SORIA. Sì.

  LUIGI LACQUANITI. Suo marito dove riteneva di aver contratto...?

  GIOVANNA SORIA. No, lui parlava con me, ma che lui si stava spegnendo non me lo diceva. Non avevamo il minimo dubbio che potesse essere... perché in quaranta giorni mi creda... Ora, io ho sbagliato prima, presa dall'emozione, di non dirvi che si è consumato in quaranta giorni. In quaranta giorni, si è presi dal panico e dalla paura di perdere la persona che hai accanto, e lui stesso delegò... Ai medici disse: «A me non dite nulla. Dite a mia moglie» o, se chiamava, al colonnello della caserma.
  Altre notizie lui non le voleva ricevere, anche se si era reso conto bene che il suo fisico non rispondeva più. Si era reso conto, però, di morire, questo sì, perché lo confidò al suo migliore amico: «Io lo so che sto morendo» e cercava in tutti i modi secondo lui di nascondere a me, quando alla fine a me i medici dicevano tutto. Sono stati quaranta giorni d'inferno, ma la cosa più brutta è stata quando l'ho dovuto comunicare a mia figlia.

  PRESIDENTE. Grazie, signora. Grazie molte.

  GIOVANNA SORIA. Grazie a voi.

  PRESIDENTE. Si accomodi, signora, prego. Buonasera.

  SALVATRICE PIROSA. Buonasera a tutti. Sono la signora Pirosa, la vedova dell'appuntato Bongiovanni, Carabiniere naturalmente, della missione del 2000, Bosnia. Nove mesi di missione, nove mesi fatti malissimo naturalmente, perché dopo tre mesi essendo lì, ha cominciato a sentire, a fare, a preoccuparsi, senza sapere che lui ci sarebbe già andato dentro fino alla morte in questa missione lui.
  Mio marito era lì nel 2000. Scusate, metto gli occhiali. Parlare sempre ormai di questa storia, mi sta prendendo l'emozione, mi prende alla gola e stai male.
  Mio marito è partito nel 2000 mentre svolgeva una missione all'estero per conto della NATO SFOR in Bosnia-Erzegovina quale autista del III plotone e interprete. Dormiva in vecchi magazzini abbandonati o vecchie caserme che erano state bombardate durante la guerra. È lì che ha cominciato ad accusare i primi dolori alla schiena, Pag. 14al fianco sinistro, agli arti inferiori, iniziando addirittura a zoppicare, e ha sostenuto questo stato fisico fino al suo rientro alla patria.
  Nel settembre 2000, è iniziato il calvario di mio marito, a cui dopo una serie di accertamenti medici è stato diagnosticato un cordoma vertebrale, un raro tumore osseo resistente alla radioterapia, che all'ultimo gli è stato esportato chirurgicamente. Infatti, mio marito è stato sottoposto a ben cinque interventi, e voglio specificare anche l'ultimo è durato ben diciotto ore.
  Dall'esame istologico del cordoma è risultato un elevato livello di ferro, materiale pesante, che nemmeno un minatore presenta dopo anni di lavoro in miniera. Nonostante le cure mediche, mio marito è venuto a mancare nell'ottobre del 2007.
  Un'altra cosa, siamo stati anche a fare radioterapia ai protoni, anzi è stato, perché io lo accompagnavo solamente, a Boston, in America, due mesi di radioterapia ai protoni, ma non è servito a niente, naturalmente.
  Comunque, nonostante tutte le cure mediche, mio marito è venuto a mancare nel 2007, tra l'altro lasciandomi da sola, diciamo da sola, anche se c'ho tre figli meravigliosi, da crescere da sola naturalmente.
  Fin dall'inizio della malattia, mio marito ha iniziato una battaglia legale, sostenuta naturalmente con l'avvocato, naturalmente sempre uscendo fuori dalle righe, ma farti sempre forza, forza, forza, perché quando tu intraprende una battaglia legale, non è una cosa bella, credetemi, per il riconoscimento di una causa di servizio a mio marito, tutt'oggi negata, e non solo a me, ma soprattutto ai miei figli, ma a tutte le famiglie in cui, come avete già ben capito, naturalmente è stata negata, io soprattutto.
  Sono passati ben diciassette, ho affrontato numerosi sacrifici per crescere da sola quei tre figli, sostituendomi anche alla sua figura paterna, cercando di colmare il suo voto lasciato intorno a noi, veramente. In particolare, problemi ho avuto con il figlio piccolo, che ha un'ipoacusia, che non ci è stata riconosciuta nemmeno un'invalidità civile, purtroppo, a quest'ipoacusia bilaterale, ovvero la perdita dell'udito ad entrambe le orecchie, a cui non viene riconosciuta, ripeto, nessuna cosa.
  Vorrei che lo Stato si rendesse conto che mio marito si è ammalato ed è morto solo per aver fatto il proprio lavoro, dovere e dedizione. E noi come siamo già stati ripagati? Con il silenzio da parte dell'istituzione. Ebbene, sì. Fino adesso, non ho mai avuto o ricevuto niente, niente di nessuno.
  Come dicono a volte, il picchetto è stato fatto per la sua morte, ma vi dico solamente una cosa. Io ho dovuto fare un prestito per fare il funerale a mio marito, perché i soldi che abbiamo speso nell'arco della malattia in sette anni sono stati tanti, tanti, tanti, tantissimi.
  Comunque, con il silenzio da parte delle istituzioni non so più quali documenti esibire, perché allo Stato sembrano sempre pochi, ma io non mi fermo, veramente. Lotterò fino quando venga riconosciuta al più presto possibile la causa di servizio a mio marito e chiedo semplicemente che venga riconosciuta anche una parte per i miei figli, soprattutto per loro. Sono stati privi della loro dignità di esseri umani. Non chiedo compassione. Questo è quello che voglio proprio dirlo a cuore aperto. Non voglio compassione di nessuno. Desidero solamente che sia riconosciuta, perché mio marito è morto per uranio, e questo è uranio, non è ben altro.
  Comunque, spero che altri servitori dello Stato siano finiti di morire in questi casi. Spero veramente. Glielo auguro con tutto il cuore, o forse devo ancora aspettare altri diciassette anni affinché si concluda tutto questo iter burocratico. Si parla che vogliono riesumare la salma di mio marito, ma non sarà fatto. Per avere ancora quali prove? Dopo tutti questi faldoni, dopo che ho esibito faldoni colmi di prove proprio attestanti la malattia contratta a causa dell'uranio e per finire hanno fissato un'udienza al Tribunale del lavoro – sentite – il 18 ottobre, ma del 2018 ancora, però.
  Basta. Ai miei figli è stato strappato un padre. Vi chiedo: lo Stato che cosa fa per loro? Niente, a quanto vedo. Ancora non si Pag. 15decidono, naturalmente. Continuerà a ignorare le mie e le loro richieste. Mio marito continua a morire ogni giorno se continuate a negare che è morto per servire lo Stato, perché mio marito è morto per servire lo Stato.
  Mio marito stava benissimo. Mio marito ha fatto un mese di addestramento a Gorizia. Mio marito giocava a calcetto, a tennis, tutti gli sport di questo mondo. Io non penso che lui, facendo questo tipo di sport, stava male. Mio marito non passava per andare a fare questa missione in questi Balcani. Non credo proprio. Perché dite ancora, dicono – scusate la mia espressione – perché ancora negano ancora?
  Io spero che prima che muoio, almeno vedo i miei figli che stiano bene e hanno avuto giustizia per il loro padre. A mio figlio non è stato riconosciuto niente, ai miei figli, il piccolo. Tra l'altro, il grande... Io... Non lavorano. Sì, adesso lavorano un po’, però... Ma sono tre maschi. Il grande ha fatto due anni nell'Esercito, ma è partito nella fase più brutta quando è morto suo padre. Io capivo mio figlio che stava male. Ha fatto due anni a Torino. Io gli ho detto: «Ritorna a casa. Non stare lì. Per favore te lo chiedo».
  È ritornato a casa e adesso è andato a fare il giardiniere, con tanto di cappello per tutti i tipi di lavoro, quando potendo poteva anche rimanere lì. Hanno il rifiuto ormai di queste cose, perché non credono a niente, non credono allo Stato, non vogliono credere perché hanno dimenticato a papà, per quale motivo. Papà stava bene. È partito che stava bene, e quindi cos'è che vogliono ancora? Per quanto ci devono torturare? Grazie.

  PRESIDENTE. Siamo noi a ringraziarla, signora, per questa testimonianza. Grazie.
  Signora, se la sente, lei, di venire accanto a me? No. Se non se la sente, non venga.
  Ci sono altre persone?
  Prego, si accomodi.

  CARLO CHIARIGLIONE. Buongiorno. Sono Carlo Chiariglione e vengo in qualità di rappresentante di Antonio Attianese.
  Antonio, prima di andarsene, mi ha nominato suo portavoce e sono stato ben contento di poterlo assistere sia in vita e sia adesso, in questo frangente.
  Sono appartenente alle Forze armate, quindi Antonio e io eravamo colleghi sia di reparto che di grado. Sono un caporal maggiore capo scelto dell'Esercito. In questo momento, ho problemi perché vorrei dire tanto e in molti modi, ma ho giustamente delle restrizioni date dal ruolo che ricopro. Quindi, se su alcuni argomenti non mi dilungo in particolare, è solamente per questo motivo, perché credo ancora nella divisa che indosso, nella bandiera che tutti quanti portiamo ancora nel cuore, se non addosso.
  Questa passione mi ha convinto a venire qui, ma in favore delle persone che hanno perso un caro. Perché? Io sono indegno di parlare qui perché, per fortuna, se mi consentite di dire, personalmente non ho avuto questo dramma. L'ho vissuto per interposta persona e per tutti quanti i colleghi che in 23 anni ho visto andar via. Ho visto andar via colleghi morti in missione, morti per incidenti, morti per cause dovute al servizio, quindi una parte di conoscenza, anche se minima, ritengo di averla.
  Sono qui per dire da privato cittadino – sono qui in veste di privato cittadino, ma con 23 anni di esperienza nell'Esercito – per dare per quanto possibile il mio supporto a queste famiglie. Se i loro cari sono morti è perché, come tutti quanti avete in un modo o nell'altro ricordato, i vostri cari erano legati all'istituzione, alla divisa che portavano. Questo legame continua ancora adesso per chi è nelle Forze armate a dimenticare, a superare eventuali problemi e pericoli, pensando a oltre, pensando al collega che c'abbiamo affianco.
  Questo pensare costantemente al collega certe volte ci espone a problemi e pericoli che poi vediamo che portano dei risultati negativi, ma questo stare accanto ai colleghi, come dicevo prima, mi ha convinto, anche esponendomi a sicuri attacchi futuri, a essere qui e a rappresentare quanto dovuto.
  Non mi metterò, quindi, a ricordare quanto dolore tutti quanti avete vissuto e Pag. 16continuate a vivere, perché il dolore che vivete non è terminato perché siete costretti a rivederlo, costretti a riviverlo quotidianamente. È questa costrizione che distrugge ancor più della mancanza avvenuta, perché la mancanza gli si dà un fine, umanamente riusciamo a compensare, riusciamo col passare dei giorni a dare una spiegazione, anche a deviare l'attenzione.
  Tutti voi avete dei bambini, quindi superato il primo tragico momento, indubbiamente avete deviato l'attenzione e la passione per chi è rimasto, giustamente, ma l'essere costretti, come avete ripetuto... Non riesco neanche a capacitarmi dopo 17 anni della vostra forza di venire qui con calma e pacatezza a ripetere le stesse cose, non per mancanza nei confronti del presidente della Commissione, ma perché ci sono dei limiti, che forse sono voluti e per i quali le Commissioni che si sono succedute non riescono a dare una soluzione, perché 17 anni è un qualcosa di inimmaginabile, è indegno. In questo mi vergogno perché è anche colpa mia in quanto io sono lo Stato.
  Per questi motivi, non entro nel merito dei dolori familiari, entro nel merito però delle mancanze istituzionali, quindi anche mia. Mi prendo le mie colpe.
  Io ho avuto non so se dire il piacere di leggere la vostra relazione dettagliata, assolutamente dettagliata. Avete toccato tutti i punti principali che dovevano essere e potevano essere toccati; avete evidenziato le mancanze, e spesso e volentieri queste mancanze non erano colpose, bensì dolose, di molti esponenti dello Stato; avete evidenziato delle mancanze per quanto riguarda il controllo della sicurezza; avete evidenziato delle mancanze per quanto riguarda dei comportamenti che molte persone, più che altro appartenenti alle Forze armate purtroppo, hanno perpetrato negli anni. Attraverso queste mancanze, le persone si sono ammalate più o meno. Alcuni, purtroppo, sono mancati, altri sono ammalati e ancora in servizio.
  Leggendo quanto da voi scritto, non cadevo da un pero, perché come vi ho detto in 23 anni di carriera ho esperienza e documenti da fornire che sono infiniti a conferma di queste mancanze. Leggendo, ci stavo male, perché dico io nel mio piccolo giornalmente combatto per queste mancanze, mi espongo, certe volte anche troppo, come forse adesso, ma dico: se a una Commissione parlamentare, quindi voluta dall'istituzione non gli viene permesso di lavorare serenamente – qui dentro, e poi ho visto molti dei vostri interventi on line o in televisione, in cui denunciavate l'ostruzionismo perpetrato dalle Forze armate, da alcuni vertici, a ogni livello, dalla stessa parte politica, lo stesso mondo che voi rappresentate degnamente – allora non c'è più nulla da fare.
  Se l'istituzione va contro l'istituzione voluta per cercare delle mancanze e dei colpevoli, allora non c'è più nulla da fare, però poi rivedo queste persone che dopo 17 anni ancora hanno voglia di combattere e dico: allora, non è perduto.
  Quello che vorrei adesso evidenziare sono alcuni aspetti per quanto riguarda proprio queste mancanze.
  Se sono stati evidenziati in maniera limpida e cristallina dei personaggi che hanno mentito, hanno omesso, hanno creato ostruzionismo sia all'interno delle Forze armate sia per quanto riguarda il lavoro di questa Commissione, ci sono stati dei riscontri nei loro confronti? È stata presa qualche iniziativa? Il ministero, e mi ricollego ad alcuni argomenti già esposti, quando viene evidenziato un comportamento colpevole volontario e razionale, studiato, c'è stato un qualcuno che è intervenuto e ha sanzionato queste persone?
  Dico questo non perché io vada a cercare, a inventare le cose, ma perché la stessa istituzione lo prescrive. Faccio alcuni esempi. Non vorrei entrare nel polemico, quindi se lo sono ditemelo, perché non è mia volontà, convinzione.
  Se il Ministero della difesa, per far arruolare una persona e farla arruolare in una ferma triennale gli chiede dei paletti, tra questi paletti c'è non aver tenuto nei confronti delle istituzioni democratiche comportamenti che non diano sicuro affidamento di scrupolosa fedeltà alla Costituzione repubblicana e alle ragioni di sicurezza dello Stato. Questo è uno di vincoli Pag. 17per poter accedere in un servizio triennale, quindi un ragazzo di 18 anni, 17, che vuole arruolarsi e vuole rimanere in ferma triennale, quindi la base proprio delle Forze armate, deve rispettare questo vincolo.
  Allora, mi chiedo, se leggendo la vostra relazione ci sono alti ufficiali, personale militare di ogni grado e ruolo che invece ha avuto dei comportamenti che sono obiettivamente volontari e contrari alle istituzioni e non solamente nel senso umano, verso queste persone questa stessa direttiva non conta nulla? Il ministero, quando c'è una mancanza che porta alla morte di un nostro collega, amico, a un cittadino, non interviene attivamente?
  Di questi esempi ne possiamo trovare infiniti su documentazione formale emanata dallo stesso ministero che adesso, leggendo qui, non tutto per fortuna, ma in alcune parti del ministero ha avuto dei comportamenti che sono tutt'altro che leali e morali. Lascio il lato legale, che non è mia competenza, ma moralmente e umanamente sì.
  Dico questo perché qualcuno prima parlava dell'unione che c'è all'interno delle Forze armate e di chi porta la divisa, ed è la stessa forza che porta una persona a morire cosciente di farlo per fare il proprio dovere o per salvare il proprio compagno che sotto il fuoco si sposta. Quindi, questa volontà e questa forza che chi ha una divisa vede in maniera più spiccata, viene un attimino lesa da questi comportamenti.
  Questi comportamenti, come è avvenuto per voi per la Commissione, sono volontari, sono costruiti, e anche qui non ho portato l'infinito pacchetto di documenti, qui porto solamente per esempio questo discorso.
  Se nell'ambito della struttura militare io ho una pendenza nei confronti della stessa struttura, ovvero ritengo che mi sia stato fatto un torto, faccio ricorso: da quel momento, mi viene vincolata ogni libertà di presentare ulteriori domande per concorsi, per trasferimenti. Questo discorso non è un po’ limitante? Cioè, non è che si cerca di dire alla persona «Occhio, fatti gli affari tuoi, stai buono, stai al tuo posto, non ti lamentare, perché altrimenti non riesci più a far nulla»? E non dico questo tanto per.
  Anche qui c'è una persona, per esempio, che ha fatto domanda di riavvicinamento, ha fatto la prima domanda, è stata risposta dal ministero: «No, guarda, mi dispiace, ma tu non hai diritto a tale vicinanza». Ha fatto ricorso al TAR, ha vinto ricorso al TAR con sentenza, quindi ha ripresentato per un riavvicinamento per la nascita di un figlio, che per tre anni noi militari possiamo essere riavvicinati per ricongiungimento familiare.
  Sono passati tre anni tra ricorsi ed altro. A questa persona gli è nato un secondo figlio. Nel momento in cui nasce il secondo figlio, forte della sentenza del TAR che diceva che lui poteva chiedere il trasferimento, ha fatto domanda di trasferimento per il secondo figlio. La stessa amministrazione ha detto: «No, non ti posso confermare il trasferimento, perché hai un giudizio in atto. Dobbiamo aspettare che prima quel giudizio vada a compimento».
  E allora c'è un problema. Secondo il mio punto di vista, dovrebbero essere dei pacchetti ermetici: un giudizio è una cosa, il secondo figlio con tanto di sentenza in mano mi dà diritto a quella domanda, e quindi ad avere ciò che richiedo. Invece, la risposta è stata: «No, dobbiamo aspettare», ma aspettare vuol dire 12 anni, 17 anni.
  Qui entro un'altra volta nel discorso: forse c'è una volontà a far sì che una persona nel suo dolore vada avanti per 17 anni? Forse c'è una volontà per far sì che la gente venga stremata, e quindi che non si azzardi più ad alzare il dito, «Io ho questo diritto», «Ho perso un caro, dovreste riconoscermi qualcosa»? Vedo che ogni volta, e ripeto ce ne sono infiniti di dati oggettivi che confermano quanto dico, che qualcuno chiede un qualcosa e magari vince anche in un tribunale, la risposta è: «Facciamo ricorso».
  Quello che chiedo a voi della Commissione è: come si può fare per superare questo stallo? È un muro contro muro, e secondo me le forze sono impari per quanto vi riguarda. Voi, sì, siete forti, siete una Commissione parlamentare d'inchiesta, quindi un'istituzione, però se davanti a voi tutto il resto vi rema contro, io non so voi Pag. 18come facciate ancora ad avere la volontà di andare avanti. Umanamente è distruttivo e vuol dire che tutto il lavoro che viene fatto viene accantonato, distrutto, omesso, cancellato.
  Quindi, quello che vi chiedo è: c'è un modo per eliminare questa problematica, ovvero che ci sia quest'assenza di risposta immediata? Cerco di andare subito alla fine del discorso, così non vi rubo altro.
  Io ho letto anche la vostra proposta di legge. La proposta di legge in un certo senso risponde alla mia domanda, ovvero: si può terminare quest'aberrazione dello Stato presente, ovvero che una parte di Stato più forte vada contro, in maniera – lasciatemi dire – anche mafiosa nei confronti del più debole, di quell'altra parte di Stato più debole, o dei rappresentanti dello Stato che non hanno facoltà economiche, intellettive o la forza di volontà per dire «Il mio diritto è un altro»?
  Ho letto anche la vostra proposta. La vostra proposta, a mio avviso, va a scardinare questa problematica, ovvero se c'è un ente che deve giudicare un atto illegale e il giudicante è facente parte dello stesso ente, indubbiamente non può esserci una visione esterna asettica e leale, perché il giudicante poi deve rispondere a chi ha giudicato, perché quando finisce quell'azione il giudicante deve tornare a casa.
  Allora, con che intelligenza speriamo che allo stato attuale le cose si possano risolvere? E questo voi lo avete espresso perfettamente nella relazione e nella proposta di legge che avete fatto, che confermo essere eccellente. Indubbiamente, è tutto perfettibile, ma il concetto di base è eccellente, cioè togliere la possibilità a chi va a fare un controllo di essere parte di chi deve essere giudicato. Almeno in questo piccolo, nel nostro apparato, che ben venga.
  Il discorso di giudizio... Andrei e spazierei a 360 gradi, ma sarebbe lungo e ci vorrebbero pasti serali. Voi avete evidenziato e illuminato una fetta del problema. Il problema che voi avete evidenziato è a 360 gradi su vari aspetti. Credo che altre Commissioni, o comunque altre personalità, con le vostre prospettive di miglioramento abbiano visionato anche queste altre realtà, e continuiamo però a vedere che non si riesce ad andare avanti.
  Voi avete evidenziato proprio il discorso di giurisdizione domestica. La giurisdizione domestica è proprio che io in casa mia devo decidere chi sbaglia, ma noi questo qui lo potremmo fare in un mondo ideale, non reale. In un mondo ideale siamo tutti quanti leali, corretti, nel momento in cui uno sbaglia, indifferentemente dall'errore o di chi ha compiuto quest'errore, vado, sanziono, faccio in modo che questo errore non venga reiterato, e quindi vado a controllare anche dopo, non solamente nella sanzione. Vado a controllare se la sanzione viene rispettata e, successivamente, se quell'errore viene compensato, cosa che non avviene mai, tanto più nella nostra struttura, mai. «Non devi farlo!», questo succede. «Mi giro dall'altra parte», «Va be’, ma dai, lascia stare».
  Questo discorso di giurisdizione domestica, cioè che tutti quanti siamo una famiglia, non va bene. Deve esserci un qualcosa di esterno che va a giudicare, un qualcosa di asettico, che non abbia legami, che non abbia alcun tipo di legame. Questo è quello che manca, è quello che spero in un modo o nell'altro... che magari non possa essere la vostra, di soluzione, un'altra, ma che sia quella stessa finalità.
  Ripeto, nulla è perfetto, tutto però si può discutere, e il problema è che qui non vedo neanche la volontà di discutere. Vi seguo sempre on line sui video che postate o quando fate gli interventi, e la percezione è completamente contraria. Il presidente, l'ho visto più volte agguerrito, ma con dignitosa fermezza affermare che lui e tutta la Commissione ha dovuto scontrarsi costantemente errore per questo motivo, cioè la non volontà neanche di discutere se questa legge possa essere un miglioramento oppure no. A prescindere, la affossiamo. Perché?
  Perché forse dà fastidio, perché togliere il potere a chi il potere lo mantiene in maniera irregolare e che lo mantiene con la forza che non è dovuta, quindi amorale, allora è più facile governare. Non va bene. Poi a rimetterci sono le persone, che quando Pag. 19succede un qualcosa o serve un qualcosa non hanno a chi rivolgersi.
  Voi siete una mosca bianca. Non è retorica, non è non è neanche ruffianeria quello che dico. Voi siete una mosca bianca per il comportamento umano ed empatico che ogni volta vedo nei confronti delle persone. Quello che voi dite e quello che lei rappresenta, presidente, lo fate non perché bisogna farlo, perché è un momento che bisogna dare, perché almeno vediamo che tutte le istituzioni sono brave, sono buone, «Vi stiamo accanto». Per fortuna, non è così, altrimenti ve le avrei detto apertamente, tanto più sfruttando il microfono.
  Voi dimostrate che non è tutto marcio. Dovremmo solamente riuscire a capire dov'è il marcio, ma intervenite, quindi vi ripeto la mia domanda: c'è un modo per eliminare il marcio? Il marcio per me eliminabile vuol dire prenderlo, evidenziarlo davanti a tutti per far sì che tutti lo conoscano e sanzionarlo, andando poi a vedere la sanzione.
  Quello che raccontavi prima, nel senso di qualcuno che dichiara il falso, ve ne potrei portare tanti esempi. Posso portare esempi di persone che hanno preso denunce penali perché hanno evidenziato nei confronti dei superiori delle mancanze a vari livelli, tra cui anche legali, e la risposta è stata: «Okay, presentiamo e costruiamo, costruiamo, delle denunce, inviamo via queste persone», per poi negare quanto fatto.
  Il problema è proprio questo, nel momento in cui qualcuno evidenzia o dovesse cercare di costruire un qualcosa che vada a tutelare quelle persone. Adesso, non c'è nessuna tutela per chi evidenzia. Loro, se non avessero avuto voi, non avrebbero avuto modo di parlare, quindi già voi siete una nota positiva, però dobbiamo fare in modo che la loro forza e le parole dette rimangano e che gli altri che hanno gli stessi problemi possano tranquillamente andare a parlare.
  Molti dei miei colleghi, molte persone non parlano per paura, ma hanno le stesse problematiche. Non hanno parlato e si tengono i problemi. Perché? Perché hanno paura delle conseguenze, paura delle conseguenze.
  Le persone che tornano dalle missioni... Io mi spiego come mai in tutto il mondo, gran parte del mondo intelligente dà un supporto psicologico a chi torna dalle missioni, perché dopo sei mesi, otto mesi, quattro mesi di missione, per chi magari ha diciott'anni e si vede buttato in un ambiente in cui salta la gente da un momento all'altro a fianco... Quando torna, noi ci rendiamo conto che pensiamo che non gli serva un supporto psicologico?
  Questa è un'altra mancanza. Perché? Perché verrebbero evidenziate le problematiche. Stesso concetto qui: non si vogliono evidenziare le problematiche. Di problematiche ce ne sarebbero a iosa. Se volete, possiamo parlare quando volete, dove volete e vi porto anche carte e documentazioni attestanti.
  Qui concludo. Mi dispiace di avervi ammorbato. Se avete domande, ben volentieri. Anche da parte vostra, ben volentieri.

  PRESIDENTE. Grazie. Non ci ha ammorbato, anche se avremmo preferito sentire cose più belle.
  Collega Lacquaniti, prego.

  LUIGI LACQUANITI. Grazie, presidente.
  Ringrazio il caporalmaggiore, perché è un caporalmaggiore in servizio e ha detto le cose con estrema franchezza ed estremo coraggio. Non è scontato.

  CARLO CHIARIGLIONE. L'avevo promesso ad Antonio prima che mancasse.

  LUIGI LACQUANITI. La domanda che vorrei farle... In questi mesi di lavoro in Commissione, abbiamo ascoltato i vertici militari, la ministra, i militari colpiti dalle varie patologie, familiari, consulenti, tecnici. Ci siamo – penso – fatti un quadro abbastanza ampio, completo. Del resto, la relazione che è nelle sue mani, ma anche la proposta di legge che abbiamo depositato, credo che lo dimostrino ampiamente.
  C'è una cosa che non mi è ancora chiara e su cui lei si è soffermato proprio verso la fine del suo intervento. I suoi colleghi, quelli che sono andati in missione e che ne sono tornati, ma anche quelli che non sono Pag. 20andati in missione, siccome questi problemi sono balzati all'onore della cronaca, sono stati presenti sui giornali, sui quotidiani, in televisione da vent'anni ormai – non stiamo parlando di cose per pochi – come vivono queste notizie? Cosa pensano di tutto questo? Prevale semplicemente la paura di non poter parlare?

  CARLO CHIARIGLIONE. Ineluttabilità.

  LUIGI LACQUANITI. Mi perdoni, prevale una certa noncuranza, l'idea, magari inculcata da qualche superiore, che farebbe bene a fare altro nella vita e non rappresentare lo Stato vestendo quella divisa, che di queste cose non si deve parlare? Cosa prevale – uso un'espressione inappropriata – nella truppa?

  CARLO CHIARIGLIONE. Le ripeto, ineluttabilità, nella maggior parte delle volte, ovvero non si può far nulla, quindi uno dei pensieri principali che ferma le persone per quanto riguarda eventuali denunce di qualsiasi tipo, senza andare all'esagerazione... Moltissimi, con la scusa della denuncia, hanno stravolto, e quindi mi permetto di dirlo, completamente l'ambiente militare in negativo, l'hanno distrutto, ma questa era una parentesi.
  Il discorso del non denunciare o di non fare vincere delle problematiche è un discorso dovuto sia, come dicevo, al «non ci posso far nulla; cosa faccio?», sia a «quello ci ha provato: hai visto che fine ha fatto?».
  Le faccio un esempio. Se io dopo un tot di anni posso chiedere il trasferimento perché ho passato un tot di anni in servizio, se ho però certi canoni, che sono anche le note caratteristiche, se io mi permetto durante l'anno di evidenziare una mancanza piuttosto che un comportamento scorretto, piuttosto che una problematica, e quindi divento scomodo al comando, quelle note caratteristiche potrebbero essere ridotte. In tal caso, quella persona sarebbe esclusa automaticamente da ogni possibile trasferimento voluto.
  Quello che voglio dire è che questo non evidenziare le problematiche è forse anche indotto e forse anche voluto? Forse è retorica come domanda, però credo di sì, cioè non viene dato alle persone il modo di parlare. Le faccio un esempio.
  Tempo fa, mi ero interfacciato con un altro rappresentante della Commissione difesa e gli avevo presentato una problematica, ovvero se qui c'è una caserma e qui c'è un ispettore e l'ispettore deve andare a controllare la caserma, ma se un mese prima dice «io tra trenta giorni vengo a controllare la caserma», è ovvio che questa caserma dopo trenta giorni non avrà neanche un problema e le persone saranno state indottrinate, perché trenta giorni...
  Altra cosa, ma quando viene un'ispezione, perché parla solamente con i vertici? Cosa stranissima. Io che governo, anzi io che ho un ristorante e viene un ispettore, non dico «scusa, ieri c'era uno scarafaggio, stiamo risolvendo», non lo dico, non dico le mancanze. Dico che va tutto bene, e così facendo non diamo neanche modo di risolvere le problematiche, che possono essere strutturali, di gestione del personale, di quantità del personale, degli armamenti, perché va sempre tutto bene, però se io dico da comando «va tutto bene», chi viene a fare le ispezioni dice «il comandante è perfetto, il comando della caserma è ineccepibile, mandiamola avanti».
  Quindi, le problematiche per le quali un militare x solitamente non si permette di individuare o di additare o di mettere per iscritto le problematiche è questo, perché l'ambiente non glielo consente. Vi ho fatto l'esempio prima. E questi sono documenti emanati dal ministero stesso, dall'istituzione. C'è qualcosa che non va.
  In alcuni casi, senza entrare nel merito, vengono fatte delle richieste, viene espressa un'obiezione da parte dell'amministrazione, che la stessa obiezione è conferma delle mancanze anche a livello legale, quindi siamo all'assurdo. Per non permettere un qualcosa, mi giustifico ammettendo delle mancanze.
  Quindi, un militare di 18 anni, di 20 anni, con poca esperienza – io ne ho 43 di anni, 44 adesso, quindi credo di aver visto gran parte delle cose visibili dalle persone e in ogni modo e maniera, quindi non ho mire di carriera, sono arrivato all'apice... Pag. 21Altra aberrazione, nei prossimi 15 anni – adesso, è cambiata forse la legge e c'è stata una rivoluzione, ma c'era stata una mancanza, perché i prossimi 17 anni, 15 anni, io sarei stato fermo nel mio grado.
  Questo qui mi permette anche di poter parlare liberamente, perché non vado, tranne una sanzione possibile, non è che rischi più di tanto e poi non mi cambia la vita, ho altro a cui pensare, ma un giovane inesperto con che grinta o con che coraggio può andare da un superiore a dirgli «scusa questo non va bene» se ogni volta che ha visto altri farlo li ha visti anche puniti, li ha visti di servizio, li ha visti togliere la licenza nei casi in cui era fattibile tecnicamente, li ha visti escludersi dalle varie possibilità di trasferimento? Non so se ho risposto. Mi sono un attimo dilungato. Non so se ho risposto.

  PRESIDENTE. Grazie.

  CARLO CHIARIGLIONE. Grazie a tutti. Scusate.

  PRESIDENTE. Signora, io non vorrei forzarla, però forse se viene a dirci anche brevissimamente la ragione della sua presenza per ricordare una persona...

  ELISABETTA BONFANTI. Buongiorno a tutti. Io sono la moglie di Cecchettin Walter, che grazie a Dio è qua con me. Abbiamo due meravigliose figlie. È da quando ho 18 anni – adesso ne ho 45 – che combatto con lui e spero per lui, per i miei figli e per tutti quelli come lui di avere giustizia. Basta. Solo questo.

  PRESIDENTE. Grazie molte.

  ELISABETTA BONFANTI. Grazie a lei.

  PRESIDENTE. Mi pare che non ci siano altri interventi, se non comprendo male. I colleghi hanno piacere di intervenire prima che io faccia qualche considerazione finale?
  Come era giusto che fosse, non è stata una passeggiata, questa riunione. Non è stata neanche una sfilata. Pur non essendo particolarmente vecchio, non sono così giovane da poter confidare nella comprensione generalizzata.
  Ci diranno che abbiamo usato la strada delle lacrime e del cuore per raggiungere un obiettivo. Ci diranno che abbiamo strumentalizzato il dolore magari anche per rafforzare le nostre carriere politiche. Care signore e cari signori, purtroppo succede così. Purtroppo, il livello di intossicazione non solo della politica, ma della società in generale, è tale per cui sembra non ci sia più posto, non ci debba essere più posto per un'iniziativa fatta con onestà intellettuale, con gratuità sotto tutti i punti di vista.
  Oggi – è una confidenza che vi faccio, la faccio con consapevolezza pubblicamente – ho saputo da una fonte vicina al Ministero della difesa che qualcuno ha detto, e mi rivolgo in particolare al collega Pili, che mi conosce in quanto sardo, che dietro le nostre battaglie per la tutela della salute dei militari nei poligoni sardi ci sarebbero volontà e intenzioni di sfruttamento di tipo economico di quelle aree, perché bisogna calunniare, bisogna calunniare.
  Perché vi dico queste cose? Perché temo che anche questa Commissione passerà come una stazione qualunque. L'opposizione della politica nei confronti della nostra proposta di legge continua, e indiscutibilmente, proprio per essere coerente in maniera drastica, come mi è dovuto, la maggiore responsabilità ce l'hanno quei gruppi politici che hanno la maggioranza in Parlamento. Hanno una responsabilità anche coloro che, pur non avendo la maggioranza, comunque siedono in Parlamento, ma il livello di responsabilità è questo.
  Voi sapete che questa nostra proposta di legge giace da un anno. Con l'approvazione di questa proposta di legge non ritorna suo figlio e non ritornano i vostri mariti e non guariscono i militari che si sono ammalati, però l'approvazione di questa proposta di legge costituirebbe inequivocabilmente un cambio di passo, l'accettazione di uno stato di cose che in un Paese civile non è tollerabile.
  Io ho visto con quale mi verrebbe da dire religiosità i militari ammalati e i parenti Pag. 22 di quelli che non ci sono più parlano della bandiera. Quando sono stato a salutare Antonio Attianese, l'ho trovato che indossava la mimetica e ai suoi piedi c'era un tricolore fatto di fiori. Questo è per dire con quanta visceralità vengono servite le istituzioni.
  Questa Commissione passa per essere antimilitarista. Noi commissari saremmo antimilitaristi per il fatto che vorremmo, così come la Camera ha voluto, occuparci della salute dei militari. Saremmo antimilitaristi perché non bisogna disturbare il conducente, perché non bisogna dar fastidio a chi governa le cose.
  Ecco, io voglio sperare che questa vostra ulteriore e dolorosa presenza qui non sia inutile. Siccome credo che le cose buone, qualunque sia il risultato concreto, comunque facciano del bene, io voglio sperare che questa non sia stata, e sono convinto, una cosa inutile, però disponetevi a far valere le vostre buone ragioni con orgogliosa determinazione.
  Noi cercheremo fino all'ultimo giorno di farlo, il nostro dovere, ma le resistenze, che considero un'espressione di abuso di potere, un'espressione di inciviltà politica, una manifestazione inqualificabile di cinismo... Mi chiedo come si faccia ad avere la faccia tosta a sviluppare discorsi politici pensando di rivolgersi alla comunità quando si ha il gelo dentro il cuore e quando questo gelo permette scientemente di continuare ad andare avanti pur sapendo che tante persone sono morte o forse moriranno o comunque soffrono per le inadempienze della politica.
  Questa Commissione, grazie a Dio – è una cosa che vorrei poter condividere con tutti – non fa parte della greppia, non è iscritta alla carovana dei farisei che purtroppo sfila quotidianamente ahimè tra gli applausi.
  Grazie, quindi, per essere stati qui con noi per le testimonianze che avete fatto. Finisco, giusto perché vorrei che ci rimanesse una percezione come retrogusto di ottimismo: questo nostro incontro ci dà più forza e più determinazione. Da stasera siamo ancora più convinti, siamo ancora più determinati, siamo ancora più pronti a qualunque tipo di confronto e, se necessario, di scontro anche con le istituzioni per cercare di fare giustizia, e non perché siamo speciali, perché vorremmo poter essere almeno normali.
  Grazie ancora.
  La seduta è tolta.

  La seduta termina alle 16.