XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 216 di Martedì 4 luglio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Audizione Giuseppe Scandurra e Tano Grasso, presidente e presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Scandurra Giuseppe , presidente della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 2 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 5 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Mattiello Davide (PD)  ... 6 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 6 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 7 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 7 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 7 
Nuti Riccardo (Misto)  ... 8 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 8 
Nuti Riccardo (Misto)  ... 9 
Grasso Tano , presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 9 
Nuti Riccardo (Misto)  ... 10 
Grasso Tano , presidente della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 10 
Nuti Riccardo (Misto)  ... 11 
Grasso Tano , presidente della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 

Sui lavori della Commissione:
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Giovanardi Carlo  ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Giovanardi Carlo  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 

Comunicazioni della presidente:
Bindi Rosy , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione Giuseppe Scandurra e Tano Grasso, presidente e presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente Giuseppe Scandurra e del presidente onorario Tano Grasso della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane, accompagnati dal vicepresidente Francesco Pizzuto.
  L'audizione ha ad oggetto il tema della lotta all'usura e al racket e gli strumenti per rendere il sistema di prevenzione antiracket più efficiente e trasparente, con particolare riguardo alla destinazione, all'utilizzo e al controllo dell'impiego dei fondi pubblici, oggetto di recenti articoli di stampa proprio con riferimento all'attività della FAI.
  Ricordo, peraltro, che il presidente Grasso e altri esponenti della FAI sono già stati sentiti dalla Commissione nel mese di giugno 2014 in tema di proposte per migliorare il sistema antiracket. Ricordo, inoltre, che la seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Cedo ora la parola al presidente Scandurra e al presidente onorario Grasso, che ringrazio per la loro presenza.

  GIUSEPPE SCANDURRA, presidente della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Signor presidente, onorevoli parlamentari, la FAI e l'intero movimento antiracket vivono una fase di grande difficoltà, derivante da una campagna di grave delegittimazione che, strumentalizzando l'esperienza del PON Sicurezza, tende ad annullare il valore dei risultati ottenuti con le denunce degli imprenditori, con il modello solidaristico delle associazioni, con la collaborazione con le forze dell'ordine.
  A ciò si aggiunge una insensibilità delle istituzioni che, in una prospettiva di indifferenza, non ritengono di spendersi a tutela del valore di quest'esperienza costruita nel tempo e sul campo.
  Il movimento in ventisette anni di lavoro ha subìto, come è ovvio, attacchi ormai decennali da chi ne voleva mettere in discussione l'esistenza stessa. Il riferimento corre agli attacchi del 2008, alle denunce calunniose di finte vittime e agli articoli pubblicati su L'Espresso: il racket dell'antiracket.
  La società civile si schierò con il movimento, ma ci fu anche l'immediata percezione che lo Stato in tutte le sue componenti fosse rimasto saldamente fedele al meccanismo di collaborazione instaurato. In quei momenti abbiamo avvertito il sostegno forte del Ministro dell'interno e del commissario antiracket.
  Nel 2008, quella campagna ebbe termine con un indimenticabile editoriale su Repubblica a firma del compianto Giuseppe D'Avanzo ed è stata definita con le azioni proposte Pag. 3 in sede giudiziaria, ove i calunniatori sono stati smascherati e condannati.
  Anche adesso abbiamo già avviato le azioni giudiziarie a tutela dell'onorabilità e credibilità della FAI e di Tano Grasso ma, oggi più di allora, è indispensabile il sostegno dello Stato. Di questo ringraziamo la Commissione antimafia e il suo presidente per la tempestiva sensibilità dimostrata.
  L'articolo di Bolzoni scritto il 10 maggio è il culmine di una serie di allusioni, riferimenti più o meno espliciti in una successione di articoli, a partire dall'esplosione del caso di Confindustria Sicilia. È assai rilevante che l'articolo sia stato pubblicato 48 ore prima che l'autorità giudiziaria di Lecce compisse un'operazione per vari reati, tra cui associazione a delinquere e truffa ai danni dello Stato, nei confronti degli esponenti dell'associazione antiracket del Salento, con cui la FAI non ha alcun rapporto e non ne ha avuto durante la gestione dei fondi del PON, un evento che si presta purtroppo a coinvolgere in un generalizzato giudizio critico l'intero movimento antiracket.
  Da qui la gravità dell'attacco di Bolzoni, da qui la gravità dei silenzi istituzionali. Qui non è in gioco la difesa di interessi personali, è in gioco il valore di un'esperienza che dalla sua nascita ha radicalmente cambiato la prospettiva del contrasto al racket. Solo con la nascita delle associazioni, nel confronto con l'isolamento e con la tragedia di Libero Grassi, gli imprenditori sono potuti andare in tribunale a testimoniare con la sicurezza derivante dalla protezione collettiva degli altri imprenditori.
  Mettere in discussione questa esperienza significa sopprimere un modello che in questi anni ha determinato un costante incremento nel numero delle denunce, oltre a esperienze esemplari di liberazione dei territori dalla mafia, da Capo d'Orlando ad Ercolano, da Vieste a Gela e a tanti altri luoghi.
  Probabilmente suscita antipatia il fatto che non esistano altre esperienze di volontariato nel nostro Paese che abbiano avuto una tale durata nel tempo. In questi ventisette anni abbiamo operato, a parte i tre anni del PON, senza mezzi, senza risorse, senza sostanziali sostegni politici. Questo miracolo si è potuto realizzare perché il legame che si crea tra i soci delle associazioni viene fondato sulla protezione personale ed è indissolubile.
  Si aggiunga che il movimento antiracket si è sempre fondato su base totalmente volontaristica, mai nessuno ha ricevuto un compenso dalla FAI o dalle associazioni antiracket, le risorse finanziarie (modestissime) si sono basate quasi del tutto sulle quote annuali delle associazioni aderenti e su qualche rarissimo contributo esterno.
  Esso però svolge un'attività che non può prescindere da un rapporto di assoluta fiducia con le vittime da un lato e con i soggetti istituzionali dall'altro. La delegittimazione rende problematico il rapporto su entrambi i fronti: se l'antiracket è un luogo di arricchimento e di latrocinio, viene meno la credibilità nei rapporti con le vittime e con i soggetti istituzionali.
  Il rapporto di fiducia non può che essere fondato sulla credibilità: un dirigente che accompagna presso le forze dell'ordine una vittima a denunciare deve avere la certezza che il funzionario o l'investigatore, a prescindere dalle valutazioni dell'autorità giudiziaria sulla denuncia stessa, non abbia alcuna ombra di dubbio su di lui o sul movimento, basato su criteri di trasparenza e onorabilità.
  La Commissione antimafia ha già espletato un'approfondita indagine sulla gestione dei fondi del PON Sicurezza e la presidente Bindi, come ha ricordato Tano Grasso nella lettera inviata al direttore di Repubblica, ha espresso parole di apprezzamento per il nostro lavoro.
  Con il PON Sicurezza la FAI ha accolto l'opportunità offerta dall'Unione europea, che ha stabilito di destinare risorse per combattere un fenomeno che riteneva di ostacolo alla crescita del sud del Paese ed ha operato come partner del commissario antiracket, essendo all'epoca l'unica organizzazione a base nazionale. Un'organizzazione basata da sempre ed esclusivamente sul volontariato poteva quindi sfruttare le competenze accumulate per rafforzare ed estendere la ribellione alle mafie con strumenti concreti e risorse. Pag. 4
  L'Europa ha investito su questo fronte, senza il PON a cui ha partecipato la FAI quella quota destinata a tali progetti sarebbe rimasta inutilizzata, con conseguente restituzione delle somme, che non sarebbero state impiegate in alcun altro progetto o programma.
  Chiarito l'assunto della destinazione vincolata delle somme, bisogna verificare e valutare se le stesse siano state ben impiegate e se il progetto abbia prodotto i frutti anelati. Tempestivamente la FAI ha trasmesso anche alla Commissione antimafia le tre relazioni annuali sull'attività svolta e sui risultati conseguiti, accanto a significativi successi quali l'aumento del numero delle associazioni e degli associati, ed ha segnalato anche gli aspetti critici e i limiti.
  Per quanto riguarda la legittimità degli investimenti, il progetto si è svolto con rendicontazione a costi reali. L'Unione europea ha approvato il progetto del commissario antiracket, che prevedeva specifiche azioni con i relativi costi. Il commissario per realizzare questo si è avvalso anche della FAI come partner che, come già detto e ribadito, era all'epoca l'unica organizzazione a rilevanza nazionale.
  Non solo, il commissario pro tempore, poiché il progetto coinvolgeva ed impegnava un certo numero di operatori, ad ulteriore garanzia ha indetto, attraverso un bando pubblico, un concorso per la selezione del personale, le domande sono state esaminate e valutate da una Commissione composta da funzionari pubblici e da rappresentanti di associazioni di categoria (in questa Commissione non c'era alcun rappresentante della FAI).
  È noto che in merito al PON gestito dalla FAI è stata svolta un'indagine della Corte dei conti per il tramite della Guardia di finanza, il cui esito è stato non solo favorevole, ma si è rivelato un attestato di correttezza al nostro operato. Non è quindi quello il punto della discussione, ed allora è grave non solo che qualcuno insinui e provi a diffondere l'idea che l'antiracket sia diventata ricca con il PON, considerato un albero della cuccagna, ma il fatto che lo Stato in tutte le sue componenti non senta il bisogno di spendere il proprio peso istituzionale per difendere l'operato ed i successi ottenuti.
  Ciò espone il movimento ed il meccanismo tutto ad una condizione di debolezza e di rischio, anzi ci permettiamo, nell'ambito della competenza della Commissione, di chiedere che venga inoltrata un'adeguata sollecitazione presso il Ministero dell'interno per attivare nel più breve tempo possibile le risorse già disponibili da quasi tre anni per l'attivazione del nuovo PON Legalità 2014-2020.
  Signori parlamentari, è stato con grande rammarico che abbiamo dovuto prendere atto nell'assemblea del 18 giugno delle dimissioni del nostro presidente onorario, Tano Grasso, che è stato il fondatore di questo movimento e il suo leader in tutti questi anni. È evidente che si chiude un ciclo, che oggettivamente ci espone a rischi sinora sconosciuti. Ci piace pensare, però, che l'apertura di un nuovo ciclo possa essere per tutti noi un'opportunità di crescita, perché questa esperienza possa vivere al di là dell'identificazione con una persona.
  Con l'occasione di questa audizione ci permettiamo (lo farà subito dopo di me Tano Grasso) di presentare delle proposte concrete di modifica della normativa, sulle quali abbiamo deciso di avviare la raccolta delle 50 mila firme necessarie per una proposta di legge di iniziativa popolare.
  In conclusione, vogliamo segnalare una prima, seria problematica che si avverte sui territori. Come abbiamo già detto, l'assenza di una presa di posizione del commissario antiracket è stato un fattore di grave indebolimento del movimento, laddove senza il peso dell'istituzione più importante a sostenerlo in maniera chiara e decisa, il movimento si indebolisce, non è più credibile, le vittime che vi si rivolgono vengono poste a serio rischio.
  Da Roma questa assenza si espande alla periferia, in alcune occasioni questo distacco si percepisce in modo inequivocabile, ad esempio nell'atteggiamento di prefetti che non ricevono più un dirigente, ma delegano un funzionario, in quegli uffici che non prestano più alcuna attenzione alle istanze provenienti dalle associazioni, nella spesso avvertita lentezza con cui vengono Pag. 5trattate le pratiche relative sia all'iscrizione al registro, sia all'accesso agli strumenti di tutela delle vittime.
  Ho concluso e vi ringrazio.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Il mio compito è di esporre i contenuti di questa proposta di legge di iniziativa popolare che abbiamo deciso di avviare. Il primo aspetto di proposta riguarda l'istituzione dell'Autorità nazionale antiracket e antiusura.
  Questa proposta nasce da una valutazione critica dello strumento attivo in forme diverse dal 1994 ad oggi, lo strumento del commissario antiracket, istituito come commissario straordinario per la prima volta nel 1994 dall'allora Ministro Maroni e trasformato, con l'articolo 19 della legge 44 del 1999, in figura istituzionale permanente e non più straordinaria, la cui esistenza dipende dalla valutazione discrezionale del Governo.
  Con la legge 44 è stato posto anche il termine della durata dell'incarico, quattro anni rinnovabili per una volta, e sono stati indicati i requisiti richiesti anche per soggetti esterni alla pubblica amministrazione: aver svolto attività di solidarietà nei confronti delle vittime e la documentata esperienza nel campo del contrasto ai fenomeni estorsivi.
  Del primo criterio, la solidarietà, si è tenuto conto solo una volta, mentre la previsione della durata, i quattro anni previsti dalla legge, è stata costantemente disattesa. I Governi che si sono succeduti dal 1999 ad oggi hanno sempre nominato commissario (tranne in un caso) prefetti a fine carriera (su otto nomine è accaduto in sette casi), il cui incarico a volte è durato meno di due anni.
  Le nostre proposte. Serve in primo luogo una figura istituzionale, che svolga un'effettiva funzione di coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura. Ciò significa un'attività di impulso e di sostegno delle varie realtà associazionistiche, di promozione di concrete iniziative in grado di incrementare il numero delle denunce, di raccordo con le Forze di polizia e l'autorità giudiziaria, di interlocuzione con gli enti locali.
  Serve un ufficio che svolga una concreta attività sui territori. Tale funzione non può esaurirsi con la gestione del fondo di solidarietà, che finalmente opera a regime e con tempi relativamente certi. La misura dei risultati deve essere valutata sulla base non del denaro che si eroga alle vittime, ma del numero di denunce di estorsione e di usura, deve avere una durata certa e non provvisoria, e l'incarico deve essere affidato, valutando i curricula, a chi possiede i requisiti richiesti. In analogia con l'ANAC o con l'Antitrust, la durata dell'incarico può essere di sei o sette anni non rinnovabili, durata che è garanzia di indipendenza dal potere politico.
  In secondo luogo, si individua in questo ufficio il luogo di verifica e controllo delle associazioni antiracket. Se adesso per le associazioni è prevista l'iscrizione in un elenco a cura dei prefetti, bisogna prevedere un solo albo nazionale a cura della nuova Autorità. In tal modo si riesce a garantire un'omogeneità di valutazione sul territorio nazionale e ad esercitare un effettivo controllo sulle singole associazioni.
  In terzo luogo, occorre porre termine ad un'incongruenza, che colloca ancora oggi il fondo di prevenzione antiusura presso il Ministero dell'economia, mentre logicamente va collocato presso questa nuova Autorità.
  Seconda proposta: verifiche e controlli sulle associazioni antiracket. Siamo noi come movimento antiracket a chiedere il più rigoroso esercizio di controllo sia sulle associazioni che sui soci delle associazioni, anche perché negli ultimi anni ha preso piede il fenomeno delle infiltrazioni ad opera di imprese riconducibili alle mafie. Noi abbiamo lo strumento del decreto ministeriale, il regolamento che prescrive alcuni requisiti, e le ragioni ostative vengono indicate per vari reati, per alcune si richiede il rinvio a giudizio nel caso del 416-bis, per altre una condanna in primo grado.
  Come è evidente, questo filtro attualmente è inadeguato a salvaguardare il valore esemplare delle associazioni antiracket. Un solo esempio tratto dall'esperienza concreta: un imprenditore immune da ogni Pag. 6pregiudizio e quindi compatibile con le attuali regole aderisce all'associazione antiracket e pubblicizza questa adesione, ma un esame più approfondito dell'istruttoria per l'interdittiva antimafia avrebbe dato ben altro esito, infatti poco dopo questo imprenditore si troverà indagato per reati di mafia.
  Lo strumento della verifica, così come formulato e per giunta svolto a posteriori alla costituzione delle associazioni, non può più garantire l'impermeabilità delle stesse. Per la delicatezza della funzione, l'assistenza alle vittime, il ruolo paraistituzionale e i rapporti con le Forze di polizia occorre che le associazioni assicurino standard rigorosi, al di là della buona volontà e delle capacità dei dirigenti delle associazioni.
  Per questo prevediamo un intervento legislativo che disciplini diversamente la materia. La verifica deve essere svolta al momento della richiesta di iscrizione all'associazione e solo dopo l'imprenditore può essere ammesso. È indispensabile avvalersi della certificazione antimafia e non più del semplice certificato dei carichi pendenti, in quanto questa consente una valutazione più approfondita dell'imprenditore, ben oltre i certificati penali. L'attività istruttoria viene svolta dalla nuova Autorità e solo dopo le associazioni possono essere iscritte all'albo.
  La terza proposta riguarda un'idea che già nell'audizione del giugno 2015 abbiamo avanzato in questa Commissione: estendere l'obbligo di denuncia delle estorsioni. Nel 2007 la FAI ha avanzato la proposta di rendere obbligatoria la denuncia, prevedendo sanzioni amministrative in caso contrario. Successivamente questa idea è stata fatta propria dal Governo e nel decreto sicurezza del 2009 è diventata legge dello Stato la norma che sanziona il caso di imprenditori acquiescenti impegnati nella realizzazione di opere pubbliche, prevedendo l'esclusione dalle gare d'appalto per tre anni e successivamente un anno.
  Con la nuova norma si interviene per riequilibrare la concorrenza sul mercato, colpendo chi gode di una posizione di vantaggio grazie alla connivenza e distoglie risorse della comunità a vantaggio di organizzazioni mafiose. Chi, ad esempio, si aggiudica un appalto per costruire una scuola elementare e paga il pizzo utilizza soldi della comunità per finanziare la mafia. L'acquiescenza in tale contesto acquista una gravità maggiore, perché dirotta non soldi propri, ma soldi della comunità per finanziare qualcosa che aggredisce la comunità medesima.
  È venuto il tempo di estendere l'efficacia di questa norma e di renderla più incisiva. Un esempio: i titolari dei lidi balneari pagano regolarmente il pizzo e nessuno denuncia, questi imprenditori svolgono la loro attività in forza di una concessione statale, la spiaggia non è di loro proprietà ma è nostra, dei cittadini. Se pagano il pizzo, lo pagano quindi anche per nostro conto, fanno affari perché noi gli abbiamo concesso le spiagge demaniali.
  In un caso come questo lo Stato deve revocare la concessione e, analogamente, bisogna intervenire su tutte le attività economiche che si svolgono sulla base di autorizzazioni pubbliche, quali ristoranti o bar che usufruiscono del suolo pubblico o cantieri che chiudono spazi pubblici per realizzare i lavori. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie. Lascio subito la parola a Davide Mattiello.

  DAVIDE MATTIELLO. Grazie, presidente. Nel ringraziare l'associazione e Tano Grasso in particolare per quanto ha fatto e continua a fare, volevo prendere la parola solo per segnalare che alla Camera, in Commissione giustizia, è cominciato l'iter della proposta di legge dell'onorevole Vecchio, membro anche della Commissione parlamentare antimafia, che propone alcune modifiche alla legge n. 44 del 1999.
  Esiste quindi una sede propria attraverso la quale poter acquisire e valutare le proposte di modifica che ci state portando, e rispetto a questo mi faccio parte attiva e diligente essendo relatore in Commissione proprio di questo provvedimento.
  Vi volevo solo segnalare questa situazione perché può essere opportuno.

  MARCELLO TAGLIALATELA. Ringraziando per le proposte legislative, vorrei Pag. 7porre una domanda che riguarda i tentativi di diffamazione o comunque gli attacchi che sono arrivati all'associazione. Vi siete dati delle risposte rispetto ai motivi per i quali questi attacchi sono arrivati?

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Io l'ho scritto nella lettera che ho inviato al direttore di Repubblica: ovviamente il PON non c'entra nulla, perché tutti sanno che c'è stata una sentenza della Corte dei conti, che ci sono state le audizioni pubbliche in questa Commissione, tutti gli atti si trovano qui e non a caso gli attacchi sul PON sono di natura genericissima.
  Il presidente Scandurra ha parlato di una successione di articoli, che ha una data di inizio e si protrae sino ad oggi. La data di inizio, in cui in molti articoli si faceva riferimento generico ed allusivo all'antiracket, mai con nome e cognome come è accaduto il 10 maggio, coincide con l'esplosione del caso di Confindustria Sicilia.
  In quella occasione abbiamo assunto una posizione a mio giudizio semplicissima e di grande buonsenso, che è quella di distinguere una vicenda giudiziaria, su cui è compito dell'autorità procedere e indagare, con un'esperienza, quella dei nostri colleghi di Confindustria in Sicilia, che comunque ha avuto un importante valore nella lotta al racket. Noi ci siamo rifiutati di procedere ad una criminalizzazione dell'intero mondo confindustriale e abbiamo continuato a mantenere i rapporti con quei colleghi, alcuni dei quali per aver denunciato vivono con misure di protezione.
  Dall'articolo del 10 maggio quello che emerge di fatto è questa nostra posizione. Noi siamo culturalmente contrari ad una prospettiva di antimafia segnata da fanatismo, nella quale, se non sei con me, sei contro di me. Si possono esprimere opinioni differenti e, per queste, bisogna semplicemente avere rispetto.
  Noi ci siamo rifiutati di cavalcare una campagna di criminalizzazione di Confindustria, questo a mio giudizio è il punto.

  MARCELLO TAGLIALATELA. Presidente, io sono fra quelli che hanno avuto la fortuna di frequentare la sua straordinaria sede, straordinaria dal punto di vista dell'attività ovviamente, non dei luoghi, però a lei non sfugge come, in talune inchieste che hanno riguardato i fenomeni della mafia e della camorra, alcuni giudici abbiano fatto riferimento al tentativo posto in essere da alcuni degli associati di far finta di essere pentiti per nascondere le proprie responsabilità.
  Faccio riferimento a inchieste e a valutazioni che non sono state ancora trasformate in sentenze, quindi mi domando se questo pregiudizio, che in alcuni casi la magistratura ha evidenziato, possa essere parte della cultura che ha portato poi agli articoli.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Su questo penso di no, anche perché questi tentativi di infiltrazione sono stati sventati grazie a noi, cioè il tentativo di infiltrazione è stato sventato grazie ai rapporti che abbiamo mantenuto con le forze dell'ordine. Che qualcuno provi a infiltrarci è ovvio, il problema è se noi abbiamo sufficienti anticorpi per tutelarci.
  Non a caso ho detto che non basta la buona volontà delle associazioni, ma occorre ridefinire anche per legge questo aspetto, e ho citato il caso concreto di un procedimento penale in cui sono stato testimone di accusa, testimone del PM, mentre in un altro procedimento ho testimoniato per quattro ore in tribunale qualche mese fa.
  Noi abbiamo gli anticorpi perché manteniamo un rapporto con le forze dell'ordine, spieghiamo agli imprenditori che non sono io a decidere se possano diventare soci, ma devono deciderlo la Polizia e i Carabinieri e, se non ci dicono di sì, loro non potranno diventare soci.
  Questo accade per noi che abbiamo una lunga esperienza, una lunga frequentazione con le forze dell'ordine, mentre un'associazione da poco costituita, che non possieda questa lunga esperienza si trova più esposta. Per questo ribadiamo che non è più sufficiente il certificato dei carichi pendenti, ma serve la certificazione antimafia, che è più incisiva e approfondisce. Un Pag. 8rischio poi purtroppo c'è sempre, perché il 100 per cento di garanzie non si può avere però, nell'insieme, rivendichiamo con orgoglio il fatto che finora siamo riusciti a contenerlo. Non sempre tutte le associazioni sono riuscite a farlo e, purtroppo, questo è un punto drammatico.
  Per fortuna nel caso di specie della procura distrettuale di Napoli ci è stato dato, sia in dibattimento che nella fase istruttoria, un ruolo importante nell'aver aiutato le indagini ad allontanare questi rischi.

  RICCARDO NUTI. Grazie, presidente, ho letto velocemente quello che ci ha fornito, però siccome non sono sicuro che ci siano i dati che volevo chiederle, approfitto per farne richiesta (se non li ha, ce li può far avere per iscritto). Vorrei sapere quanti soggetti aderiscano al FAI e alle singole associazioni che ne fanno parte, quanti abbiano fatto richiesta al fondo antiracket e antiusura presso il Ministero dell'interno e quali importi abbiano ottenuto in media o come maggiori erogazioni.
  Questo come insieme di dati che possono servire per capire il fenomeno e quello che accade come attività svolta dal FAI, perché non mi è sembrato di leggerlo qui, ma magari sono dati pubblicati nel vostro sito.
  Vorrei approfittare della presenza del presidente onorario Grasso per avere alcuni chiarimenti in merito a delle dichiarazioni da lui rilasciate in qualche intervista, in particolare un articolo del Giornale di Sicilia dell'11 maggio. In questa attività lei diceva di aver contribuito ad accreditare alcuni ragazzi, facendo riferimento ad Addiopizzo, con procuratore, prefetto, questore e generale dei Carabinieri. Volevo sapere se questo contributo sia stato dato solamente ad Addiopizzo o anche ad altre associazioni antiracket e antiusura.
  Nel corso dell'intervista, parlando della questione delle spese legali, lei giustamente dice che «l'importo lo stabilisce il giudice, transitano dalle associazioni ma finiscono nel conto dell'avvocato, è ovvio che si scelga l'avvocato di fiducia, non ci vedo nessuno scandalo, certo poi dentro questo meccanismo ci può essere l'abuso, quando vedo costituite venticinque associazioni nelle cause, ma questo è un altro paio di maniche».
  Vorrei chiederle se questo meccanismo sia corretto e se, rispetto alle venticinque associazioni che si possono costituire, si riferisse a qualche caso particolare che conosce o fosse semplicemente nella teoria di quello che può capitare come fenomeno che ha delle distorsioni.
  Sempre in questa intervista si è affrontato l'argomento di soggetti che, all'interno del comitato antiracket e antiusura, si ritrovavano a decidere l'erogazione di fondi per clienti seguiti dalla stessa associazione. Da questo punto di vista lei giustamente ha detto che è la legge che lo prevede, quindi lo riteneva normale. Sicuramente conoscendo la legge italiana non lo si può definire un conflitto d'interessi in senso proprio, ma questo fenomeno, che lei sappia, è abbastanza corposo o riguarda pochissimi casi? Ed è comunque opportuno, queste situazioni non gettano ombre, non generano dubbi nella cittadinanza nel momento in cui si vengono a sapere?
  Forse sarebbe meglio evitare queste dinamiche che non riguardano direttamente il FAI, ma sulle quali sarebbe interessante conoscere la sua opinione. Grazie.

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Lei mi ha colto in fallo, onorevole, perché per correre ho saltato la lettura di una riga della mia relazione che le leggo: «l'attività istruttoria viene svolta (a proposito delle verifiche) dalla nuova Autorità e solo dopo le associazioni possono essere iscritte all'albo nazionale, e solo quelle iscritte possono accedere ai benefici della legge 512».
  Fra l'altro, la dottoressa Sabella ha scritto un bellissimo libro, in cui ha citato il caso patologico di un processo a Palermo con più di venti costituzioni di parte civile, come capita talvolta quando si annuncia mediaticamente un processo, perché ci mettiamo tutti l'occhiello di costituirci parte civile. Trent'anni fa era problematico che qualcuno si costituisse parte civile, qualche sindaco pur di non farlo si dimetteva, oggi Pag. 9siamo in un trend di segno opposto, in cui c'è l'inflazione di questo fatto.
  Per contenere questo fenomeno dell'inflazione delle costituzioni di parte civile, che rischia di minare anche la credibilità dello strumento, abbiamo posto questo limite: solo le associazioni riconosciute in questo albo con queste rigorosi criteri possono costituirsi, non l'associazione culturale ..., anche se poi il magistrato ha libertà assoluta di accettarla, però intanto noi poniamo un elemento di controllo.
  La ringrazio quindi di questa sollecitazione, che mi ha consentito di recuperare. Andiamo con ordine alle cose che lei ha posto. Le associazioni non fanno alcuna istanza al fondo di solidarietà. Al fondo di solidarietà accedono solo le persone estorte, quindi l'associazione non è una parte legittimata ad accedere al fondo di solidarietà, quindi non ci può essere alcun numero e alcuna statistica da questo punto di vista, perché vi accedono solo le persone fisiche o le aziende che abbiano subìto un danno.
  Seconda questione, Addiopizzo.

  RICCARDO NUTI. Mi scusi, in merito a quello che ha appena detto io mi riferivo a singoli soggetti che magari fanno anche parte del FAI, che lei sappia...

  TANO GRASSO, presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Ora ci arrivo. Su questo punto ci arrivo perché è il punto politico più importante e pensavo di chiudere su questo.
  Per quanto concerne la questione che lei ha posto su Addiopizzo, il mio compito in questi anni, soprattutto il mio compito personale, avendo grande esperienza (ormai sono ventisette anni che mi occupo di queste cose) e, quindi, avendo anche una rete di relazione diffusa nelle nostre istituzioni, è quello di accreditare le associazioni antiracket presso i soggetti istituzionali.
  Un'associazione antiracket che non abbia un rapporto forte con il prefetto, con il questore, con il comandante provinciale dei Carabinieri non è un'associazione antiracket, perché non può fare il suo lavoro di mediazione fra le vittime e i soggetti istituzionali, e noi questo facciamo, questa è la nostra funzione e in questo svolgiamo un ruolo paraistituzionale, mettere insieme le vittime con le istituzioni, quindi per farlo dobbiamo avere questo rapporto.
  Io rivendico con orgoglio il fatto che, quando nacque l'esperienza del volantinaggio (perché Addiopizzo nasce dopo) assieme alla compianta Pina Maisano Grassi, abbiamo incontrato questi ragazzi, ci abbiamo parlato, li abbiamo incontrati più volte e ci siamo resi conto che si aveva a che fare con una delle esperienze più belle e significative che si siano svolte in Italia. Dico sempre che, dopo l'associazione antiracket, l'innovazione più importante in questo campo è quella di Addiopizzo, che ha avuto l'intelligenza di spostare il baricentro del contrasto sui cittadini consumatori, cosa che ha allargato notevolmente questa battaglia.
  Ho quindi facilitato loro il rapporto con il prefetto, che allora era Giosuè Marino, con il procuratore della Repubblica, che allora era Piero Grasso, con il questore e, grazie anche a questi rapporti, Addiopizzo è diventata un'esperienza che nella città di Palermo ha un ruolo molto importante. Faccio questo lavoro a Siracusa con i colleghi dell'associazione di Floridia, a Napoli con i colleghi dell'associazione di Ercolano, questa è la funzione principale che svolgo all'interno delle associazioni.
  La questione più politica e più rilevante che lei ha posto (la ringrazio moltissimo di averla posta) è che quando il legislatore fa la legge 44 stabilisce (poi i Governi di destra e di centrosinistra hanno disatteso questa norma) che debba essere uno strumento di autogoverno delle vittime. Questa era l'idea.
  La norma dice due cose. La prima è che il commissario deve avere esperienza di solidarietà nei confronti delle vittime e competenza tecnica. È difficile immaginare un prefetto che abbia svolto un'attività di solidarietà nei confronti delle vittime, sicuramente c'è l'aspetto della competenza tecnica, quindi questi due criteri (mi perdonerà per l'autocitazione) coincidevano solo Pag. 10quando fui nominato commissario per la prima volta, nel 1999.
  L'altra norma dice che non si può deliberare se non c'è la maggioranza delle associazioni antiracket. Quindi, se il comitato è fatto di nove, si può deliberare anche con cinque, ma ci devono essere almeno tre rappresentanti delle associazioni antiracket; se sono cinque e le associazioni antiracket sono due, non c'è la maggioranza qualificata per deliberare.
  Perché queste due innovazioni del 1999? Proprio per dare questa idea dell'autogestione di questa materia, dell'autogestione delle associazioni stesse. Perché si arrivò a questo? Perché lei deve sapere che Libero Grassi era stato ucciso il 29 agosto del 1991, ma la vecchia norma che aveva ideato il grande Giovanni Falcone, ma che poi purtroppo non aveva più potuto applicare, impediva allo Stato di risarcire la famiglia di Libero Grassi, che fu risarcita quando ero commissario solo nel 2001, quindi 10 anni dopo. Immagini quindi le tragedie prima della legge 44 di persone come Nino Miceli, un testimone di giustizia, o i familiari di Gaetano Giordano che non potevano essere risarcite perché l'istruttoria durava anni. Quindi il legislatore ha stabilito di renderlo uno strumento di autogestione.
  È chiaro che lei ha posto un problema fondamentale: uno strumento di questo tipo funziona con il rigore etico e con il buonsenso. Io, quando sono stato commissario, ho perso care amicizie con alcuni miei colleghi perché, nonostante fossi fondatore di quell'associazione e l'avessi seguita, nel momento in cui svolgevo il ruolo di commissario facevo un altro mestiere. Avevo la sensibilità per portarle avanti (perché questo il legislatore voleva sottolineare), una sensibilità che fa capire a chi è lì che non si decide un fascicolo, ma che in quelle carte c'è la sofferenza e la storia di un essere umano. Ma quando si tratta di stabilire le somme l'amicizia non c'è più, c'è il rigore delle norme che mi dicono come devo quantificarle, e purtroppo ha perso alcune amicizie in questo campo.
  Le debbo dire francamente che non mi è arrivata alcuna segnalazione di comportamenti anomali dei componenti del comitato, lo dico con molta lealtà (fra l'altro qui c'è l'avvocato Pizzuto che è componente del comitato da molti anni), non c'è mai stato questo rischio. Però accade che uno dei soci della mia associazione presenti la sua domanda e io sia in comitato, e mi permetto di dire che è giusto che accada non solo perché lo ha voluto il legislatore, ma perché è giusto che sia così.
  Sta alla mia coscienza e al mio senso di responsabilità di presidente di associazione e membro del comitato non far scattare un conflitto di interessi, che in questo caso (lei ha ragione) sarebbe devastante.

  RICCARDO NUTI. Una domanda totalmente diversa dagli argomenti trattati finora. Quando c'è stato lo scandalo riportato da varie testate, la Fucito è stata indagata, il marito è stato arrestato per associazione a delinquere e poi mi sembra che lei si sia dimessa, quindi vorrei sapere se sia rimasta componente del FAI.

  TANO GRASSO, presidente della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. La ringrazio ancora di più per quest'altra sollecitazione che mi consente di dire che questo è il metro di essere FAI.
  La signora Fucito apprende di essere indagata per un reato di falsa fatturazione alle ore 13 del 30 aprile 2014 e alle ore 14.30 dello stesso giorno noi abbiamo già eletto il nuovo coordinatore regionale in sostituzione della signora Fucito. Un'ora e mezza dopo noi, non solo abbiamo convocato tutte le 15 o 16 associazioni della Campania e accettato le dimissioni della signora Fucito, ma abbiamo immediatamente eletto il nuovo coordinatore perché, nonostante si tratti di una persona indagata per reati finanziari che non hanno nulla a che vedere con reati di mafia, proprio in quanto associazione antiracket con questo ruolo paraistituzionale, l'abbiamo ritenuta una condizione incompatibile con un incarico all'interno della FAI.
  Da allora purtroppo la signora Fucito non fa più parte della FAI e aspettiamo di capire come sarà l'indagine giudiziaria che ancora non è stata definita. Pag. 11
  Dico purtroppo perché, al di là di questa vicenda (credo che il senatore Taglialatela abbia avuto modo di conoscere la signora Fucito), parliamo di una figura che ha segnato la storia della lotta alla camorra nel territorio della Campania, e questo è un dato storico che resta. Poi l'indagine giudiziaria avrà il suo esito.

  RICCARDO NUTI. Vorrei conoscere la sua opinione sulla vicenda dell'associazione in Salento in cui ci sono stati questi arresti, mi sembra per qualcosa di legato al PON, se sia a conoscenza di eventuali legami fra i decisori e alcuni componenti dell'associazione.

  TANO GRASSO, presidente della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane. Proprio perché a me piace parlare in maniera molto chiara, noi non abbiamo mai avuto alcuna simpatia per l'associazione del Salento. Ci fu all'inizio, molti anni fa, quando l'associazione nacque, un momento di frequentazione, ma da molti anni abbiamo interrotto ogni rapporto di frequentazione, tant'è che ho ritrovato un articolo della signora (mi dispiace che sia ancora ristretta in carcere) che in un'intervista di alcuni anni fa diceva: «i problemi non li ho avuti dalla mafia, ma da Tano Grasso» e mi indicava come un avversario.

  PRESIDENTE. Colleghi, se non ci sono altre domande, devo precisare che Tano Grasso e il presidente Scandurra mi avevano chiesto questa audizione e io l'ho concessa volentieri per due motivi. Il primo è che rientra nella nostra inchiesta sull'antimafia che, come sapete, è finalizzata ad accertare eventuali deviazioni sul movimento antimafia, ma anche a rimotivare l'importanza del movimento antimafia, quindi credo che fosse doveroso da parte nostra accogliere questa richiesta.
  Il secondo motivo è che penso che sia per noi un'occasione per ringraziare Tano Grasso per il lavoro che ha fatto in questi anni, per essere stato un pioniere in questo settore così delicato e così importante e per fare gli auguri al presidente Scandurra, persona che ho avuto modo di apprezzare nei miei viaggi messinesi.
  Voglio sperare che le dimissioni di Tano Grasso e il passaggio di consegne siano stati determinati da una vicenda che lo ha interpellato, ma che siano state soltanto un pretesto, sapendo che il suo lavoro non termina qui, anzi proseguirà. Siamo comunque in un Paese libero, dove c'è la libertà di stampa, c'è la libertà di opinione, c'è anche la libertà di tutelare la propria persona, la propria storia e soprattutto quella delle realtà alle quali si è dato vita e che si è contribuito a far crescere.
  È con questo spirito che faremo tesoro delle proposte avanzate, che credo siano importanti, penso che il FAI tenga molto a raccogliere le firme ma se, come ha sottolineato l'onorevole Mattiello, fosse possibile farne tesoro nell'iter legislativo iniziato alla Camera, penso che le due cose possano procedere contestualmente.
  Mi sembrano proposte importanti, che è giusto che noi prendiamo in considerazione, quindi grazie e buon lavoro.

Sui lavori della Commissione.

  PRESIDENTE. Il senatore Giovanardi ha chiesto di intervenire e l'Ufficio di Presidenza aveva deliberato che questo potesse avvenire nella successiva riunione nella quale avessimo noi il tempo e il senatore Giovanardi fosse pronto.

  CARLO GIOVANARDI. Grazie, presidente. Ho ritenuto doveroso mettere al corrente la Commissione, intervenendo proprio in Commissione antimafia, di una situazione che mi riguarda personalmente, sulla quale l'Ufficio di Presidenza ha anche assunto un'iniziativa, per cui credo che, anche in ragione di questo, abbisogni di una conoscenza da parte dei colleghi di una situazione che vi spiegherò, perché secondo me riguarda più il Parlamento, i colleghi e le loro prerogative che la questione del collegamento con la criminalità organizzata.
  La mia attività parlamentare relativa alle modalità con le quali le prefetture applicano le interdittive antimafia e, di Pag. 12conseguenza, le modalità di rifiuto di iscrizione nelle white list, si è sviluppata a partire dal 16 gennaio 2013 (eravamo ancora nella precedente legislatura) in dodici atti di sindacato ispettivo piuttosto corposi. Alcuni sono pagine e pagine, con richiesta di risposta in Aula, e tre con risposta in Commissione ambiente.
  Sullo stesso argomento sono intervenuto ripetutamente in Aula al Senato nella discussione della relazione della Commissione antimafia, in Commissione giustizia e poi nelle udienze conoscitive della Commissione antimafia a Bologna e a Reggio Emilia.
  La prima interpellanza, il 16 gennaio 2013, riguardava l'impresa Fratelli Baraldi di Modena, la seconda la Coopsette, la terza le ditte Baraldi, la quarta sempre l'azienda Baraldi. A tale interpellanza sui fratelli Baraldi il Governo fornì risposte articolate il 6 giugno del 2013, convenendo che erano necessari nuovi strumenti legislativi, atti a salvaguardare le aziende colpite da interdittiva.
  Solo in data 26 febbraio 2014 mi sono interessato, per le medesime ragioni per le quali mi ero interessato delle aziende sopracitate, dell'impresa Bianchini, con un'interpellanza al Ministero dell'interno. Premetto che Il Sole 24 Ore, in data 1° febbraio 2014, in un articolo a firma di Lionello Mancini, si era interessato della questione criticando aspramente la normativa vigente. Scriveva Il Sole 24 ore: «dopo decenni di sottovalutazioni o peggio di intrecci affari/criminalità, si è scatenata fra diversi comparti dello Stato una disordinata rincorsa al merito antimafioso che, tradotto in norme di ogni ordine e grado sfornate con la nota incultura legislativa, ha prodotto una strumentalizzazione grossolana dagli effetti spesso letali per l'anello debole della catena, cioè l'impresa».
  Sullo stesso argomento ho presentato un'interpellanza in data 22 luglio e 21 ottobre 2014. In data 29 ottobre 2014 mi sono intrattenuto a lungo in Aula sempre sulla questione relativa alle interdittive nell'ambito della discussione della relazione della Commissione parlamentare antimafia.
  Nel frattempo, in data 25 settembre 2014 avevo presentato un'altra interpellanza su quanto scritto dal consigliere Roberto Pennisi nella relazione annuale da Procuratore generale antimafia del gennaio 2014. Pennisi aveva sostenuto testualmente che «le infiltrazioni mafiose in Emilia-Romagna hanno riguardato, più che il territorio in quanto tale con un'occupazione militare, i cittadini e le loro menti, con un condizionamento quindi ancora più grave».
  Nei primi mesi dell'anno 2015 la DIA di Bologna procedeva all'arresto della famiglia Bianchini (padre, madre e i tre figli). Faccio presente che, fino ad allora, gli stessi soggetti sottoposti alla misura dell'arresto erano stati descritti in tutte le relazioni accompagnatorie delle interdittive come persone perbene e incensurate, dunque sino al momento dell'arresto le stesse autorità preposte alle interdittive definivano la famiglia Bianchini come composta da soggetti onesti.
  Successivamente ho presentato altre interpellanze, in data 14 luglio 2015 e 12 gennaio 2016, relative alle imprese Vincenzo Lo Bello, e tre interpellanze in Commissione ambiente.
  Salvo il caso della società Bianchini Costruzioni, tutte le altre imprese citate, delle quali mi sono interessato a livello politico, comprese la ditta Battaglia di Bologna (altra interpellanza) e la CPL di Concordia, sono state tutte riammesse in white list.
  Per l'attività parlamentare svolta a favore delle imprese e dei lavoratori del territorio è chiaro che non ho mai ricevuto alcun compenso, perché io non faccio l'avvocato, faccio il parlamentare, e non ho mai avuto, come è agli atti, alcun contatto né diretto, né indiretto con nessuno dei soggetti presunti ’ndranghetisti arrestati nell'ambito dell'operazione Aemilia. Come ho detto anche in udienza a Reggio, Iaquinta padre in quanto padre del calciatore era persona famosa ma, per mia fortuna, con nessuno dei 13 mila cutresi che stanno a Reggio Emilia e di tutti quelli arrestati né direttamente, né indirettamente sono accusato di aver preso neppure un caffè.
  I miei interlocutori in tutta questa vicenda sono stati il capo legislativo del Viminale, Pag. 13 il prefetto Frattasi, il dottor Gratteri, che ho incontrato più volte anche all'inizio di questa storia, con cui mi sono consultato fin dal 2013, il dottor Cantone, che dopo un incontro con me in un'intervista sul quotidiano nazionale ha convenuto con molte delle mie posizioni, e poi prefetti, questori, carabinieri coinvolti nelle procedure di interdizione, in una dialettica molte volte accesa e polemica, ma sempre nel circuito della legalità.
  Le tre fattispecie per cui sono indagato sono le presunte minacce a un colonnello e a un maggiore dei Carabinieri che si sarebbero sentiti minacciati perché in un incontro pubblico con loro in divisa parlavo forte e gesticolavo. Come si potrà vedere dagli atti, ho detto esattamente le cose che avevo detto in Commissione antimafia, le stesse cose che ho detto là ho ridetto a loro, l'intralcio all'attività di un corpo politico amministrativo che sarebbe la prefettura, e la violazione di presunti segreti d'ufficio della prefettura, il tutto con l'evidente, paradossale e per me incredibile contestazione dell'aggravante di cui all'articolo 7 della legge 203 del 1991, agevolazione indiretta ad associazioni mafiose.
  La tesi della DIA e della procura antimafia si sostanzierebbe nella – a dir poco forzata – idea del ragionamento per cui, essendosi il senatore Giovanardi speso per la riammissione della società Bianchini nella white list ed essendo la famiglia accusata (è in corso il processo di primo grado) di aver avuto rapporti con la ’ndrangheta nella gestione di operai all'interno dei cantieri, il senatore avrebbe indirettamente agevolato la ’ndrangheta.
  Ricordo, per inciso, che la prefettura di Modena (è tutto agli atti della Commissione antimafia) aveva chiesto con un voto unanime della commissione provinciale per l'ordine pubblico il commissariamento del comune di Finale Emilia, dove operava l'impresa Bianchini, per infiltrazione mafiosa. Richiesta non accolta dal Ministro dell'interno, come è agli atti di questa Commissione, perché non ha trovato alcuna traccia di infiltrazione mafiosa (poi non so se debbano incriminare anche il Ministro dell'interno, perché ha cestinato l'indicazione della prefettura).
  Nel corso delle indagini, ragione per la quale ho saputo di questa cosa, i pubblici ministeri hanno dovuto chiedere l'autorizzazione al GIP al fine di utilizzare intercettazioni telefoniche indirette e tabulati telefonici acquisiti nel corso delle indagini. Il GIP competente alla decisione non ha optato né per la distruzione di questo materiale, né per la trasmissione della stessa alla Giunta per le immunità del Senato, per l'autorizzazione all'utilizzo dello stesso ai sensi della legge 140 del 2003, ma ha sollevato dubbi di costituzionalità relativi a un articolo di questa legge, quindi ha mandato tutto alla Corte costituzionale e, solo all'esito della decisione della Corte costituzionale, si potrà valutare l'utilizzabilità dei tabulati e delle intercettazioni.
  Non conosco le procedure ma, se qualcuno dei colleghi (se è possibile, perché non so se ci sia il segreto istruttorio o no) vuole una copia delle intercettazioni, sarò ben lieto di dargliele, perché mi dovrebbero dare la medaglia d'oro alla correttezza, da quello che emerge dalle intercettazioni.
  Ciò che la procura di Bologna ha evitato di inserire nella richiesta al GIP è tutta una serie di atti di indagine, già utilizzati in procedimenti paralleli o acquisiti per mezzo delle informative del procedimento che mi vede coinvolto, ottenuti in evidente violazione dei dispositivi dell'articolo 68 della Costituzione e della legge 140 del 2003.
  Ci si riferisce, ad esempio, oltre ai già citati tabulati e intercettazioni che vedono come oggetto l'utenza personale di un parlamentare, all'utilizzo di filmati e registrazioni effettuate da terzi poi indagati all'insaputa, naturalmente, di chi parla all'interno della sua abitazione e del suo ufficio privato, al contenuto di detti filmati in cui vengono indirettamente intercettate telefonate del senatore con colleghi parlamentari, prefetti, questori e massime autorità dello Stato, e ai pedinamenti dei collaboratori del senatore sotto lo studio privato dello stesso, un vero e proprio accerchiamento indiretto con richiesta di intercettazione di tutti i soggetti che direttamente o indirettamente avevano contatti con il senatore Pag. 14 in via istituzionale per la questione relativa alle interdittive antimafia.
  Tali atti, in violazione evidente delle prerogative di un parlamentare in carica e della Costituzione, sono stati utilizzati illegittimamente. Però il problema è che, trattandosi di fase di indagine senza formulazione di capi di imputazione ex articolo 415-bis, è evidente come tutti i fatti descritti dovranno successivamente essere vagliati dalla Giunta per le autorizzazioni che, alla luce di una giurisprudenza costante, non potrà che dichiararne la inutilizzabilità.
  Nelle informative di quei fascicoli d'indagine si arriva addirittura a sostenere come l'attività di parlamentare del senatore Giovanardi sia di per sé non giustificabile, poiché la critica alla normativa delle interdittive si risolverebbe in agevolazioni alle mafie. Questo scrivono le informative: Giovanardi vuole cambiare le leggi.
  La procura in sostanza critica l'attività politica del senatore, pretendendo di indicare quali battaglie politiche siano legittime e quali no. Sono riuscito, ad esempio, a far passare per legge il commissariamento delle aziende interdette, cosa che ha salvato la CPL Concordia, perché nel frattempo che uno chiarisca se c'è o non c'è questo pericolo l'azienda non fallisca, come stanno fallendo la Baraldi e altre che, purtroppo, hanno riammesso in white list quando ormai era troppo tardi.
  Dulcis in fundo si precisa come tutti gli atti di indagine, in violazione palese del segreto istruttorio, siano giunti nelle mani dei giornalisti del Gruppo Espresso e Giovanni Tizian de La Gazzetta di Modena, che hanno pubblicato interi stralci del fascicolo d'indagine come megafono della procura, con il solo, evidente scopo di ledere l'immagine del sottoscritto, esempio tipico di processo mediatico imbastito sulla base di violazioni palesi di segreti istruttori. Quando ho potuto visionare gli atti, ho infatti letto queste cose che erano già state pubblicate da L'Espresso.
  Se la Giunta del Senato avesse potuto discutere il caso, come è avvenuto per quello dei colleghi Esposito e Mirabelli, che sono venuti in Giunta in quanto indagati anche loro per una questione non archiviata ma mandata alla Giunta, si sarebbe potuto facilmente accertare come tutte le iniziative pubbliche, le conferenze stampa, le conversazioni telefoniche, pur illegittimamente acquisite agli atti dalla procura, siano la ripetizione pressoché testuale delle opinioni espresse dal sottoscritto negli atti del sindacato ispettivo e negli interventi al Senato, iniziative parlamentari prerogative di un senatore della Repubblica che hanno consentito di modificare la normativa sulle interdittive. A titolo di esempio, la proposta (poi divenuta norma) di creare un commissario per le aziende colpite da interdittiva, per evitare il loro fallimento prima della riammissione in white list.
  Mi dispiace che al Senato non siano state introdotte altre iniziative, come quelle proposte da Cantone, di un controllo giurisdizionale sulle prefetture o di tre prefetti anziani che a Roma siano a stabilire omogeneità sul territorio, in maniera tale che un prefetto non adotti una linea diversa da un altro prefetto a seconda delle circostanze locali, ma ci sia un'omogeneità nell'affrontare questo tema, iniziative evidentemente non gradite dalla procura.
  Prima che succedessero tutte queste cose e prima della vicenda Bianchini, infatti, cosa c'era scritto nel rapporto scritto da Pennisi (con cui io ho polemizzato a Bologna)? «Sicché non inutile sarebbe una maggiore cautela nel disapprovare provvedimenti di organi amministrativi dello Stato, peraltro sottoposti ai controlli giurisdizionali previsti dalla legge, con censure che creano disorientamento nella collettività e che certo non concorrono alla formazione di un sentimento dei cittadini in termini di repulsione delle infiltrazioni mafiose, anche quando queste appaiano dotate di appeal, in altre parole concorrendo a determinare l'erosione della legalità a tutto favore della logica del profitto. Il che, specie in un periodo di crisi economica di fatto favorisce organizzazioni criminali di tipo mafioso, è un imperdonabile errore (quando di errore si tratti), che rischia altresì di rafforzare il convincimento dei soggetti che operano nell'ambito del crimine di poter godere di protezione e coperture tali da Pag. 15indurli a considerarsi forze vive della società civile e, quindi, godere e fruire delle opportunità offerte dalla moderna economia globalizzata e dai suoi strumenti come se stessero operando nella legalità».
  Questo lo metto insieme a quanto detto all'inizio, ossia che le mafie avrebbero conquistato tutte le menti degli emiliano-romagnoli, cosa che io respingo con forza e indignazione, anzi sono stato io a chiedere perché non li abbiano arrestati e non siano intervenuti con decisione anche negli anni passati contro queste azioni criminali, perché io ho parlato sempre di atti amministrativi (che, come voi sapete, sono un meccanismo di prima difesa, in maniera tale che se c'è il sintomo o non si può escludere una possibile, futura infiltrazione, si arrivi all'interdittiva). Ma non stiamo parlando di reati (c'è scritto in tutte le interdittive), le persone possono essere assolutamente perbene, ma possono essere oggetto di ...
  Siamo in presenza di un'indagine unicamente orientata a colpire un'attività parlamentare, che ho sempre fatto e svolto nel pieno delle mie prerogative costituzionali, in quanto le mie non erano tese a criticare la lotta alla mafia, anzi ho votato dal 1992 in avanti tutti i provvedimenti di contrasto alla mafia, li ho votati tutti con convinzione intervenendo in Aula e non ho alcun problema a riconfermare questa mia posizione. Però ho detto in Commissione antimafia che i cittadini devono aver paura della mafia, della ’ndrangheta e della camorra, non devono avere paura delle autorità, le autorità devono essere amiche dei cittadini e delle imprese, non devono aver paura di chi li aiuta.
  Certo, quando ci sono casi di centinaia di persone fallite sulla base di rapporti che poi appaiono fallaci... la prima cosa di cui mi sono interessato è stato il caso di un tale a cui era stata data l'interdittiva sostenendo che un suo dipendente avesse una condanna, ma poi è stato assolto. Ho dovuto sudare sette camicie per convincere il prefetto di Ferrara a riceverlo, perché non voleva riceverlo, ma io ho insistito che avevano scritto una cosa sbagliata e ho chiesto che ricevessero l'imprenditore e verificassero, e alla fine l'hanno rimesso in white list. Certo che ho discusso con il prefetto, ma era mio dovere discutere con il prefetto, perché è il Parlamento che controlla le prefetture, non sono le prefetture che controllano il Parlamento, come mi sembra che mi abbiano insegnato a suo tempo.
  Volevo solo illustrarvi questa situazione e spiegarvi anche perché, quando è venuto il dottor Gratteri e abbiamo ascoltato le questioni relative a Capo Rizzuto, sono venuto in Commissione, come faccio quando posso, perché ho la Commissione giustizia che, fra le altre cose, si è interessata delle interdittive con udienze conoscitive più volte. Quindi vengo quando posso e non coincide con l'intervento in Commissione giustizia, ma quando vengo in Commissione antimafia mi sento pienamente legittimato a farlo.
  In più dico anche ai colleghi: attenzione, non è un problema del senatore Giovanardi che è qui dal 1992 (e probabilmente, come il presidente, non si ripresenterà), ma diventa un problema serio per tutti i colleghi che si interessano di questioni che sono prerogativa dei parlamentari, perché qui viene sindacato l'orientamento, le iniziative, le interpellanze che i parlamentari fanno e anche le loro modifiche legislative, che possono essere giuste o sbagliate, ma è il Parlamento che decide quello che è giusto o sbagliato, non può essere deciso dalle informative di un poliziotto o di un carabiniere o dalle idee politiche.
  Questo è un altro problema che dirò nella sede opportuna, perché uno dei due pubblici ministeri è stato per due anni capo di gabinetto di un Ministero di un Governo che ho fatto cadere. Capisco che avendo organizzato la sua vita, avendo preso l'aspettativa da magistrato ed essendo andato a fare il capo della segreteria, essendo dopo due anni caduto il Governo ed essendo io uno di quelli che lo ha fatto cadere, magari un grande trasporto nei miei confronti non ci può essere.
  Questo però è un altro argomento, è un altro problema della legislazione italiana, che esula dal merito della questione di cui ho ritenuto doveroso informare i colleghi.

Pag. 16

  PRESIDENTE. C'è qualcuno che vuole intervenire? Come sapete, l'Ufficio di Presidenza all'unanimità aveva indirizzato una lettera al senatore Giovanardi e all'onorevole Nuti perché, a partire dalla loro posizione giudiziaria, valutassero se era ancora opportuna la loro attiva partecipazione alla Commissione, fermo restando che non è la Commissione che decide i suoi componenti, né i due si trovano in una situazione di incompatibilità con le regole del Codice.
  Siccome entrambi hanno deciso di continuare a partecipare, ne hanno piena facoltà, la loro partecipazione è assolutamente legittima. Il senatore Giovanardi aveva chiesto di poter spiegare la sua posizione e l'Ufficio di Presidenza ha ritenuto giusto che gli fosse concesso.
  Questo è avvenuto e resterà nel resoconto della Camera. Prego, senatore.

  CARLO GIOVANARDI. Alla luce anche del fatto che, essendo stata data alla Corte costituzionale, questa vicenda si perderà negli anni, io chiedo solo al presidente se posso ritenere superato l'invito dell'Ufficio di Presidenza.

  PRESIDENTE. Senatore, come le ho già spiegato in Ufficio di Presidenza, gli inviti non sono superati, sono superati dalla sua decisione e dalla spiegazione che lei ha dato della sua decisione. Per quanto ci riguarda lei è a pieno titolo componente di questa Commissione e le auguriamo buon lavoro.

Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Io avrei qualche comunicazione del presidente, quindi tolgo il circuito. Alla luce di quanto convenuto in precedenti riunioni dell'Ufficio di Presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, con riferimento ai consulenti, comunico che l'incarico di collaborazione a tempo pieno della dottoressa Marzia Sabella, magistrato, alla luce della sua recente nomina a procuratore aggiunto presso il tribunale di Palermo, è trasformato in tempo parziale. L'incarico di collaborazione a tempo pieno del signor Riccardo Guido, alla luce degli accordi intercorsi con la Commissione uranio impoverito e del nulla osta pervenuto dall'amministrazione di appartenenza, è trasformato anch'esso in tempo parziale.
  Comunico, inoltre, che la Commissione si avvarrà della collaborazione a tempo parziale a titolo gratuito dell'ufficiale della Guardia di finanza, tenente colonnello Francesco Mazzotta, per il quale è pervenuta la prescritta autorizzazione ai sensi dell'articolo 7 della legge istitutiva.
  Alla luce della conclusione di talune attività dei Comitati della Commissione, sono infine da ritenersi conclusi gli incarichi di collaborazione a tempo parziale dei consulenti Federica Cucco, Pierluigi Piselli, Daniele Razzanti, Andrea Scuderi e Giulio Vasaturo.
  Colgo l'occasione di rinnovare insieme a voi il dolore per il compianto Stefano Fumarulo, il quale ci ha lasciato la settimana di Pasqua, quindi è un atto dovuto per tutti gli aspetti che riguardano il lavoro della Commissione e il nostro regolamento, ma è un'occasione per rinnovare il dolore che credo ci accomuni tutti. Grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.