XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 110 di Giovedì 4 maggio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato su modalità e questioni attuative relative al contributo alla finanza pubblica delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione) :
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 2 
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 2 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 
Zanoni Magda Angela  ... 13 
Paglia Giovanni (SI-SEL-POS)  ... 13 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 14 
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 14 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15 
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15 
Bilardo Salvatore , Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato ... 15 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dai rappresentanti della Ragioneria generale dello Stato ... 17

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato su modalità e questioni attuative relative al contributo alla finanza pubblica delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti della Ragioneria Generale dello Stato su modalità e questioni attuative relative al contributo alla finanza pubblica delle regioni a statuto speciale e delle province autonome.
  La delegazione della Ragioneria è composta dal dottor Salvatore Bilardo, che è già stato ospite della nostra Commissione, accompagnato dalla dottoressa Bianca Cantarella, dal dottor Marco Brozzi e dal dottor Massimo Zeppieri.
  Do subito la parola, ringraziandolo, al dottor Salvatore Bilardo.

  SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. Buongiorno. Intanto ringrazio per l'opportunità data a noi di fare il punto su un tema complesso e difficile, che rischia di avere ricadute significative sulla tenuta dei conti pubblici. Mi scuso preliminarmente per il taglio prevalentemente giuridico, ma, purtroppo, i rapporti con le autonomie speciali molto spesso sono costellati di contenziosi, quindi è inevitabile l'approfondimento prevalentemente giuridico.
  Con quest'audizione si intende effettuare una ricognizione delle situazioni in atto e delle prospettive evolutive, con riferimento a uno dei temi più complessi riguardanti il rapporto fra lo Stato e le autonomie speciali: i contributi alla finanza pubblica e il rispetto delle garanzie costituzionali riguardanti gli enti a diritto differenziato.
  Con gli statuti di autonomia e le relative norme di attuazione si sono conferite alle regioni speciali potestà legislative e funzioni amministrative, ma anche e soprattutto le risorse per il finanziamento delle spese derivanti dalle funzioni trasferite o delegate. Le fonti di finanziamento sono costituite principalmente da compartecipazione al gettito fiscale prodotto o riscosso (e la differenza non è di poco conto) nell'ambito territoriale di ciascuna Regione e sono garantite da norme costituzionali (gli statuti) o di rango costituzionale (le norme di attuazione), che hanno, di fatto, determinato condizioni di cristallizzazione della provvista finanziaria, ponendosi come parametro di legittimità dell'esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica da parte dello Stato. A tale dimensionamento rigido e differenziato delle quote di compartecipazione ai gettiti erariali, si associa anche la mancanza di criteri oggettivi di connessione tra i livelli di compartecipazione ai tributi erariali e i fabbisogni finanziari derivanti dall'esercizio Pag. 3 delle funzioni nelle materie attribuite alla competenza delle regioni e delle province autonome, proprie e trasferite dallo Stato. Ciò premesso, è opportuno spostare lo sguardo agli effetti che si sono prodotti, trascorsi 70 anni dalla nascita delle autonomie speciali, con particolare riferimento: ai livelli dei servizi erogati; alla sostanziale intangibilità delle risorse finanziarie spettanti alle autonomie speciali in base ai rispettivi ordinamenti finanziari; ai margini di manovrabilità fiscale di cui sono dotate delle autonomie speciali.
  Per quanto riguarda il primo aspetto, come si evince dalla tabella che trovate nella relazione, la spesa pubblica consolidata pro capite nelle autonomie speciali del nord è superiore alla media nazionale; risulta quasi in linea in Sardegna ed è ridotta del 16 per cento circa, rispetto a tale media, in Sicilia. Per spesa pubblica consolidata si intende la spesa che nel territorio effettuano tutti i livelli di governo (Stato, regioni, province e comuni). Tali dati andrebbero valutati anche alla luce delle diverse ricchezze dei territori e alle conseguenti diverse capacità fiscali.
  In merito al secondo punto, ovvero alla sostanziale intangibilità delle risorse finanziarie spettanti alle autonomie speciali, va evidenziato come i rimedi giurisdizionali siano stati prontamente attivati da tali enti anche nei casi in cui la gravissima crisi finanziaria internazionale ha portato il Paese a una situazione di disequilibrio dei conti pubblici, cui si poteva porre rimedio solo mediante manovre finanziarie di grande impatto che coinvolgessero tutti i livelli di governo.
  Con riferimento al terzo punto, ovvero alla manovrabilità fiscale di cui sono dotate le autonomie speciali, si rileva come le peculiari potestà in materia tributaria consentano alle autonomie medesime di attrarre nel proprio territorio nuovi contribuenti attraverso incentivi fiscali ed aliquote agevolate, permettendo che determinate imprese possano trarre vantaggi fiscali dall'utilizzo di strumenti idonei a ottenere un risparmio fiscale, con conseguente perdita di gettito per il bilancio dello Stato o di altre regioni o province e città metropolitane.
  In allegato, trovate un box con il caso specifico dell'IPT che ha sottratto notevoli risorse alle province delle regioni a statuto ordinario, a vantaggio delle province autonome di Trento e Bolzano.
  A corollario della precedente analisi, è utile osservare come il paradigma dell'autonomia finanziaria riservata alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione ponga un problema, in ambito costituzionale, che attiene al bilanciamento di principi e di valori contenuti nella Carta costituzionale. A titolo esemplificativo: i vincoli dettati dagli articoli 117 e 119 della Costituzione, che obbligano gli enti territoriali, comprese le autonomie speciali, ad assicurare la sostenibilità della finanza pubblica, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea; i principi di solidarietà e uguaglianza previsti dagli articoli 2 e 3 della Costituzione, che accomunano le regioni a statuto ordinario e speciale nello sforzo di stabilità finanziaria in cui è coinvolto lo Stato, teso a garantire parità di condizioni a tutti i cittadini; il coordinamento della finanza pubblica, che riserva allo Stato la predisposizione degli strumenti e delle azioni funzionali alle manovre di stabilizzazione dei conti pubblici, disciplinato dall'articolo 117 della Costituzione; il principio di unità e indivisibilità della Repubblica, di cui all'articolo 5 della Costituzione, che considera il decentramento funzionale e non antagonista al valore della coesione; il principio di sostenibilità del debito pubblico e dell'equilibrio dei bilanci, di cui all'articolo 97 della Costituzione, che determina la necessità che tutti i cittadini, a prescindere dal luogo di residenza, si facciano carico del concorso alla stabilizzazione secondo le rispettive capacità; i vincoli dettati dalla lettera r) dell'articolo 117 della Costituzione, che pongono in capo allo Stato il coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale. Su questo punto, è bene segnalare che ci sono alcuni territori del Paese in cui la Ragioneria Generale Pag. 4dello Stato non sa cosa avvenga sotto il profilo finanziario e contabile, quindi occorre, come dirò più avanti, una decisa azione in questa direzione, anche a beneficio del Parlamento. In tal senso, i contributi alla finanza pubblica posti a carico delle autonomie speciali in termini di indebitamento netto (compressione della capacità di spesa mediante il regime vincolistico del patto di stabilità interno e, da ultimo, del pareggio di bilancio) e in termini di saldo netto da finanziare (riduzione di entrate mediante le riserve all'erario e gli accantonamenti) sono connessi anche all'assolvimento di un'obbligazione solidale e all'esigenza di garantire parità di trattamento tra tutti i cittadini. Non va, poi, trascurato che – specie negli ultimi anni e in particolare di fronte ai rinnovati vincoli posti dal diritto dell'Unione europea, anche in relazione alla crisi economico-finanziaria – mediante l'esercizio della funzione di coordinamento della finanza pubblica, il legislatore statale ha dovuto garantire, sul piano interno, la traslazione dei vincoli europei sul governo dei conti pubblici, rendendoli pienamente operanti per la finanza del sistema delle autonomie territoriali. Tale approccio è stato ampiamente validato dalla giurisprudenza costituzionale, sulla base degli articoli 11 e 117 della Costituzione, ed espressamente previsto dalla legge costituzionale n. 1 del 2012, mediante la revisione non soltanto dell'articolo 81 della Costituzione, ma anche dell'articolo 119, e – soprattutto – per effetto del comma premesso all'articolo 97 della Costituzione, il quale prevede che tutte le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurino l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. Nei territori delle autonomie speciali, tuttavia, l'applicazione concreta di tali principi, nonché dei relativi meccanismi redistributivi e di tenuta dei conti pubblici incontra due limiti: uno di ordine sostanziale e uno di ordine procedurale. Il primo argine alla possibilità per lo Stato di applicare misure di concorso alla finanza pubblica è dato dal grado di tutela dell'autonomia finanziaria garantita agli enti a diritto differenziato dagli statuti di autonomia e dalle norme di attuazione, fonti di rango costituzionale, la cui supremazia nell'ambito delle fonti normative, rispetto alla legge ordinaria, tende a garantire, come già affermato sopra, una sostanziale indisponibilità delle risorse derivanti dai rispettivi ordinamenti finanziari a divenire oggetto di manovre di finanza pubblica. Sul piano procedurale poi, come si evince anche dalla recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, nuove manovre di finanza pubblica applicate alle autonomie speciali non sarebbero attuabili, se non mediante l'attivazione di percorsi negoziali, che, pur non includendo l’an della partecipazione agli obiettivi di finanza pubblica (sul punto le autonomie speciali non sono dello stesso avviso), dovrebbero riguardare almeno il quantum e il quomodo della partecipazione medesima. Nella richiamata giurisprudenza costituzionale, il metodo pattizio, declinato non solo attraverso la speciale procedura che conduce all'emanazione delle norme di attuazione statutarie, ma anche attraverso la conclusione di atti negoziali di natura politica fra lo Stato e ciascuna autonomia speciale, da trasfondere in norme di legge ove necessario, che ha preso l'avvio dall'anno 2009, appare essere la soluzione ottimale – anche se non l'unica possibile – per definire, come dice la Corte costituzionale, le «diverse componenti delle relazioni finanziarie che, nel loro complesso, comprendono e trascendono la misura del concorso regionale».
  Alla luce della legislazione e della recente giurisprudenza in materia di rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie speciali si ricava, dunque, che il concorso agli obiettivi di finanza pubblica degli enti ad autonomia differenziata è ottenibile prevalentemente mediante due modalità: gli accordi bilaterali e l'applicazione delle riserve erariali. Tuttavia, la Corte costituzionale ritiene che tale metodo non rappresenti l'unica modalità di determinazione del concorso delle autonomie speciali agli obiettivi di finanza pubblica: sebbene esso costituisca la regola, sono possibili delle eccezioni compatibili con l'ordinamento costituzionale vigente. Infatti, la giurisprudenza costituzionale, richiamando anche Pag. 5obblighi di solidarietà interregionale, nel corso del 2015 ha progressivamente consolidato il principio di diritto in base al quale la determinazione del contributo delle autonomie speciali alla manovra di finanza pubblica rientra nelle attribuzioni dello Stato e non è sempre soggetto all'obbligo di trattativa con le autonomie speciali. In particolare, il Giudice costituzionale, con sentenze n. 238 e n. 239 del 2015, ha chiarito che il legislatore statale «specie in un contesto di grave crisi economica, può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012)». Pertanto, laddove situazioni eccezionali lo consentano, lo Stato appare legittimato a provvedere anche in via unilaterale all'adozione di norme che prevedano ulteriori modalità di concorso a carico delle autonomie speciali. Diversamente, secondo la Corte costituzionale si determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento tra i cittadini delle autonomie speciali e quelli delle altre regioni. Al riguardo, in maniera significativa, la giurisprudenza costituzionale ha, altresì, sottolineato la necessità che «in un momento difficile per la finanza pubblica, l'attenzione sia rivolta, oltre che alla quantità, alla qualità della spesa»; sicché «non si vede perché solo i cittadini delle regioni a statuto speciale dovrebbero sottrarsi a una responsabilità che incombe su tutti gli italiani, a prescindere dalle istituzioni che li rappresentano, nel rispetto delle previste garanzie e forme costituzionali» (sentenza n. 141 del 2015).
  La mancanza di criteri condivisi con i quali pesare le manovre finanziarie, sia all'interno del comparto regioni che fra le autonomie speciali, è stata una delle cause che ha notevolmente incrementato il livello del conflitto giurisdizionale fra lo Stato e gli enti a diritto differenziato. Preso atto della necessità di assicurare la stabilizzazione dei conti pubblici, sono stati avviati nuovi percorsi rispetto a quelli ordinamentali, promuovendo ipotesi di accordo fra le autonomie speciali e lo Stato, al fine di definire un nuovo assetto dei rapporti finanziari e superare la fase del contenzioso giurisdizionale, garantendo certezza alla programmazione di bilancio dello Stato e delle autonomie speciali. A decorrere dal 2009 in poi, infatti, la definizione dei rapporti finanziari tra Stato e autonomie speciali è avvenuta attraverso la modifica degli ordinamenti finanziari – con la procedura della legge ordinaria, come previsto, limitatamente alla materia finanziaria, dagli stessi statuti, con l'eccezione di quello della regione Sicilia e della regione Valle d'Aosta – oppure mediante interventi unilaterali statali, applicativi di accantonamenti o riserve erariali, successivamente oggetto di accordo.
  È possibile distinguere due diverse fasi di consolidamento di tale metodo consensuale. Una prima fase, tra il 2009 e il 2010, ha riguardato le sole autonomie del nord che, mediante accordi trasfusi in norme di legge, hanno modificato la disciplina statutaria, secondo quanto previsto dagli stessi statuti speciali. In una seconda fase, concernente tutte le regioni ad autonomia differenziata, dal 2014 a oggi, gli accordi in questione, di portata prevalentemente transattiva, hanno concorso alla ridefinizione dell'autonomia finanziaria e tributaria delle autonomie speciali, nonché a conseguire il loro necessario apporto rispetto agli obiettivi di finanza pubblica.
  Come sopra evidenziato, gli accordi sottoscritti dalle autonomie speciali, tuttora operanti, hanno sostanzialmente riguardato: la definizione del concorso alla finanza pubblica; l'adozione del pareggio di bilancio di cui all'articolo 9 della legge n. 243 del 2012; l'adozione della riforma della contabilità degli enti territoriali di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011; la rinuncia ai ricorsi costituzionali pendenti. Allo stato, è opportuno rilevare che tutti gli obiettivi concordati risultano raggiunti o sono, comunque, in corso di consolidamento.
  Trovate, nella versione estesa, anche un box che descrive i contenuti dei singoli accordi, regione per regione.
  Riguardo agli aspetti critici degli accordi, un primo problema è capire se gli accordi esaudiscono o meno il concorso Pag. 6alla finanza pubblica. La misura del concorso alla finanza pubblica delle autonomie speciali, definito mediante gli accordi, è da queste considerata come la formula con cui si sarebbe cristallizzato l'assolvimento dell'obbligo perequativo e solidale di contribuire ai destini della nazione di cui tali enti fanno parte, espressa da un quantum che non può essere inciso da ulteriori richieste da parte dello Stato. Se così fosse, dovremmo ammettere il carattere statico del concorso delle autonomie speciali, ovvero limitato a quanto già definito in sede pattizia, anche rispetto a futuri esiti incerti che a vario titolo possono riguardare la finanza pubblica, in contrasto con la natura dinamica degli equilibri complessivi di bilancio, spesso influenzata da decisioni assunte in ambito sovranazionale. In tal senso, l'esercizio della funzione di coordinamento finanziario del legislatore statale, rispondendo alle imprescindibili esigenze di mantenere l'unitarietà del sistema di finanza pubblica rispetto alla tutela di interessi di rilievo nazionale e di quelli posti dal diritto dell'Unione europea, si esprime nella determinazione di regole di coordinamento per loro natura mutevoli nel tempo, che possono legittimamente definire e aggiornare l'apporto quantitativo e qualitativo delle autonomie speciali al mantenimento dei vincoli al governo dei conti pubblici. Tali vincoli sono rappresentati, per esempio, dal rispetto dei saldi di finanza pubblica determinati sulla base degli obiettivi parametrici concordati in sede europea, dal patto di stabilità interno, dalle regole di armonizzazione dei bilanci e delle scritture contabili, dalla predeterminazione delle voci che concorrono al rispetto degli equilibri di bilancio. Da questo punto di vista, il coordinamento finanziario si traduce in specifici limiti, cui sono assoggettate anche le autonomie speciali che mal si conciliano con la presunta esaustività del concorso definito dagli accordi già stipulati. Qualora si ritenesse non applicabile ai richiamati enti alcun tipo di concorso ulteriore rispetto a quello già definito in sede pattizia, si potrebbe ritenere ciò, almeno potenzialmente, in conflitto con gli articoli 2, 3, 5, 53 e 97 della Costituzione.
  L'altro tema che viene posto è il limite temporale degli accordi condivisi.
  Dall'esame degli accordi, si rileva che il contributo delle autonomie speciali in termini di saldo netto da finanziare deriva in gran parte dalla rinuncia alle impugnative relative alle disposizioni statali che hanno disposto accantonamenti a valere sulla compartecipazione al gettito dei tributi erariali prevista dai diversi ordinamenti finanziari. Sul punto, vale la pena precisare che le norme di legge statale relative alle manovre prevedono il dies a quo, ma non indicano la scadenza dell'accantonamento. Questo è uno dei punti più significati che abbiamo sul tavolo con le autonomie speciali, in particolare con Sardegna e Friuli, in questo momento, nonché Valle d'Aosta. In tal senso si può ritenere che l'intenzione del legislatore fosse quella di considerare tali disposizioni a regime, per poi renderle definitivamente operative con le procedure di cui all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, ovvero con norme di attuazione. Pertanto, le clausole transattive contenute nei vari accordi, attraverso la rinuncia ai ricorsi, mirano a consolidare nel tempo il concorso in termini di saldo netto da finanziare (mediante contrazione delle entrate regionali). La lettura degli accordi che noi diamo al momento è che le manovre abbiano una natura a regime. Tuttavia, la recente giurisprudenza della Corte costituzionale, di cui si dirà appresso, ha ingenerato dubbi circa la vigenza a regime della misura dell'accantonamento, che è stata intesa solo come funzionale alla riduzione della spesa delle regioni speciali (per il conseguimento del contributo in termini di indebitamento netto), mentre costituisce una modalità aggiuntiva di contributo alla finanza pubblica, i cui effetti sono stati peraltro scontati sui tendenziali di bilancio anche in termini di saldo netto da finanziare. Infatti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 77 del 2015, ha affermato che con l'accantonamento le risorse «sono sottratte a un'immediata disponibilità per obbligare l'autonomia speciale a ridurre di un importo corrispondente il livello delle spese». Tuttavia, la stessa Corte ha soggiunto che i rapporti finanziari conseguenti all'applicazione Pag. 7 degli accantonamenti devono trovare apposita regolamentazione «in attesa che sopraggiungano le norme di attuazione cui rinvia l'articolo 27 della legge n. 42 del 2009».
  Premesso quanto sopra, appare evidente che con la rinuncia ai ricorsi verso le disposizioni statali che hanno previsto accantonamenti, ciascuna autonomia ha manifestato la volontà di assicurare il proprio concorso alla finanza pubblica per tutto il periodo previsto dalla normativa oggetto della rinuncia.
  Trovate, nel documento, un box che, disposizione per disposizione, indica la durata del concorso previsto dalla legislazione vigente, che nella maggior parte dei casi è a decorrere e soltanto in due ipotesi si conclude, se non ricordo male, nel 2018.
  In merito al tema delle riserve all'Erario, il legislatore statale ricorre all'istituto delle cosiddette «riserve all'erario» per fronteggiare nuove e specifiche spese che il livello di pressione fiscale corrente non consentirebbe di coprire. La tecnica di copertura utilizzata consiste nell'individuazione di una nuova fattispecie tributaria, oppure nell'innalzamento di aliquote di tributi esistenti il cui gettito venga destinato a finalità predeterminate e specifiche e sia parametrato alla dimensione della copertura necessaria. Pertanto, una volta deliberata la necessità di provvedere alle spese mediante apposita riserva all'erario del gettito fiscale derivante da un atto impositivo nuovo, tutta la comunità nazionale è chiamata a concorrere al finanziamento della spesa medesima. In particolare, per ciò che riguarda gli enti a diritto differenziato, la Corte costituzionale, già in epoca molto risalente, ha affermato il principio «secondo cui la legge dello Stato può introdurre tributi nuovi, aumentare le aliquote o imporre addizionali anche in quei settori nei quali le regioni, per disposizioni dei relativi statuti, abbiano diritto a tutto o a parte del gettito, quando le nuove entrate tributarie siano destinate alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato», chiarendo che esso costituisce «un principio generale dell'ordinamento», sicché, «quando un nuovo provento sia diretto a soddisfare particolari finalità, non se ne può contestare l'appartenenza allo Stato».
  Secondo l'orientamento della Corte costituzionale, il fondamento del potere statale di disporre le riserve deve essere rinvenuto nei principi della solidarietà politica, economica e sociale e dell'unitarietà della Repubblica oltre che negli specifici articoli previsti negli statuti di autonomia e nelle relative norme di attuazione. Ne consegue che anche i cittadini residenti nei territori delle autonomie speciali sono assoggettati, in caso di innalzamento della pressione tributaria dovuta all'immissione nell'ordinamento di una nuova riserva all'erario, a una contrazione del reddito disponibile. Tuttavia, per le autonomie speciali vi è una differenza sostanziale rispetto al resto del Paese, tenuto conto che le rispettive norme statutarie richiedono espressamente il rispetto di taluni requisiti di legittimità: la temporaneità della misura, la distinta contabilizzazione degli importi acquisiti, la destinazione del gettito alla «copertura di nuove specifiche spese di carattere non continuativo». Pertanto, è evidente come, nel caso in cui l'istituzione delle riserve erariali non risulti perfettamente aderente alle minuziose e articolate disposizioni contenute negli statuti e nelle norme di attuazione, vi sia il fondato rischio che la stessa Corte costituzionale dichiari costituzionalmente illegittime le relative norme, con la conseguenza che il gettito raccolto sui territori delle autonomie speciali non solo non viene utilizzato per le finalità originariamente previste dal legislatore statale, ma viene trattenuto dalle amministrazioni speciali che beneficiano, in tal modo, di un maggior gettito e, dunque, di un arricchimento privo di giustificazioni.
  L'esperienza legislativa, anche recente, in materia di riserve erariali fa pertanto emergere alcune criticità, relative al corpus normativo, che, a livello tecnico, non si può mancare di rilevare. In particolare, andrebbe superata la frammentazione e la diversificazione normativa contenuta nei diversi ordinamenti finanziari in materia di riserve erariali, in favore di una norma Pag. 8che porti a una codificazione, preferibilmente nell'ambito proprio del dettato costituzionale (per esempio modificando l'articolo 81 della Costituzione), in modo che si pervenga ad una soluzione univoca, condivisa, operabile e rispettosa dell'equità sostanziale di tutti i cittadini. Solo una norma costituzionale, che abrogasse tutte le norme in materia contenute negli ordinamenti finanziari degli enti a diritto differenziato, consentirebbe allo Stato, con tutte le garanzie che il Parlamento volesse apporre, di istituire riserve erariali efficaci e legittime, al verificarsi di determinate situazioni e con le caratteristiche che norme del genere dovrebbero avere per non essere fonte di ingiustificabili diseguaglianze.
  Come sopra evidenziato, la giurisprudenza costituzionale ha spesso asserito che il complessivo concorso delle regioni a statuto speciale rientra nella manovra finanziaria che lo Stato italiano, in quanto parte integrante dell'Unione europea, è tenuto ad adottare per dimostrare il rispetto dei vincoli di bilancio ivi concordati, da conseguire compatibilmente con gli Statuti di autonomia. Pertanto, negli ultimi anni, si è previsto che il concorso alla finanza pubblica delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano, in termini di saldo netto da finanziare, sia assicurato con le procedure previste dall'articolo 27. Questo accade solo formalmente perché le procedure non sono state mai concluse. Fino all'emanazione delle norme di attuazione di cui al predetto articolo 27, l'importo del concorso complessivo è annualmente accantonato dallo Stato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
  Ai fini dell'indebitamento netto, sono state applicate le norme in materia di patto di stabilità interno, laddove non superate dalla disciplina in materia di pareggio di bilancio, con i relativi accordi annuali stipulati tra il Governo e le singole autonomie speciali.
  Relativamente agli accantonamenti, la Corte costituzionale ha confermato la legittimità dei medesimi in quanto con essi – a differenze delle riserve erariali che sottraggono definitivamente alla regione una quota di compartecipazione al tributo a essa spettante di cui lo Stato si appropria per i propri obiettivi – le poste attive permangono nella titolarità della regione, cui spettano in forza degli statuti e della normativa di attuazione, ma sono sottratte a un'immediata disponibilità per obbligare l'autonomia speciale a ridurre di un importo corrispondente il livello delle spese. In altri termini, l'accantonamento transitorio delle quote di compartecipazione, in attesa che siano emanate le norme di attuazione cui rinvia l'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, costituisce il mezzo procedurale con il quale le autonomie speciali, anziché essere private definitivamente di quanto loro compete, compartecipano al risanamento della finanza pubblica, impiegando a tal fine le risorse che lo Stato trattiene. A tal fine le autonomie speciali accertano le entrate derivanti da compartecipazione al lordo delle quote accantonate e impegnano la relativa spesa in favore dello Stato.
  Nella tabella, trovate il concorso complessivo delle autonomie speciali, che supera i 3 miliardi di euro annui, e trovate in allegato le tabelle per singola autonomia speciale, con il relativo riferimento legislativo e gli anni interessati dal concorso.
  Passando al settore sanitario, con riferimento ai criteri di finanziamento dei fabbisogni sanitari regionali, per effetto delle norme che sono intervenute nel tempo, la situazione risulta essere la seguente: il fabbisogno sanitario delle regioni a statuto ordinario è integralmente finanziato a carico del bilancio dello Stato; le regioni Valle d'Aosta, Friuli Venezia Giulia e Sardegna e le province autonome di Trento e Bolzano provvedono al finanziamento dei propri fabbisogni sanitari senza alcun apporto a carico del Bilancio dello Stato; il fabbisogno sanitario della regione Sicilia è a carico della stessa regione per una quota pari al 49,11 per cento, mentre la restante quota è a carico del Bilancio dello Stato.
  Per effetto del suddetto sistema di finanziamento, una manovra in ambito sanitario, che si sostanzia nel taglio del fabbisogno sanitario complessivo, incide automaticamente sulle regioni a statuto ordinario Pag. 9 e parzialmente sulla regione siciliana, le quali vedono corrispondentemente ridotto il livello di risorse assicurato dallo Stato. Pertanto, tale manovra non ha, in concreto, effetto sulle autonomie speciali, tranne che sulla regione siciliana, per la quale ha un effetto parziale.
  Pertanto, nell'ambito delle manovre a carico del settore sanitario, si è reso necessario individuare meccanismi diretti a disciplinare anche il concorso delle autonomie speciali. In particolare, analizzando gli interventi adottati a partire dal 2012, possono individuarsi diverse modalità per l'applicazione della manovra a carico delle autonomie speciali in ambito sanitario, in relazione al periodo antecedente e successivo alla sentenza della Corte costituzionale n.125 del 2015.
  Nel periodo 2012-2014, quindi prima della sentenza n. 125 del 2015, nel settore sanitario sono state adottate tre manovre di finanza pubblica previste, in successione, dal decreto-legge n. 95 del 2012, dalla legge n. 228 del 2012 e dalla legge n. 147 del 2013.
  In particolare, le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e Bolzano, a esclusione della regione siciliana, devono assicurare il concorso alla finanza pubblica mediante le procedure previste dall'articolo 27. Fino all'emanazione delle norme di attuazione del predetto articolo 27, l'importo del concorso alla manovra doveva essere annualmente accantonato, a valere sulle quote di compartecipazione ai tributi erariali.
  A fronte del ricorso promosso dalla regione autonoma Valle d'Aosta, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 125 del 2015, ha sancito l'illegittimità dei meccanismi previsti dall'articolo 15, comma 22, del decreto-legge n. 95 del 2012. La Corte, infatti, ha dichiarato che la disciplina dell'ordinamento finanziario della regione autonoma Valle d'Aosta potesse essere modificata solo con l'accordo della medesima, in virtù degli articoli 48-bis e 50, quinto comma, dello Statuto di autonomia. Il predetto articolo 15, comma 22, invece, incideva in modo unilaterale, violando il principio di leale collaborazione sull'autonomia finanziaria della regione. In tale fattispecie, non rileva la potestà legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica di cui all'articolo 117. Infatti, per il finanziamento della spesa sanitaria nell'ambito del proprio territorio, la regione autonoma Valle d'Aosta non grava sul bilancio dello Stato e, quindi, quest'ultimo non è legittimato a imporle il previsto concorso. La conseguenza di tale sentenza ha l'effetto sostanziale per cui le manovre nel settore sanitario per le autonomie speciali, di fatto, non vengono applicate.
  Successivamente alla sentenza della Corte costituzionale n. 125/2015, gli interventi previsti dall'articolo 9-septies del decreto-legge n. 78 e dall'articolo 1 della legge n. 208 dispongono, rispettivamente, una riduzione del livello del finanziamento di 2 miliardi 352 milioni di euro annui a decorrere dal 2015 e un'ulteriore riduzione del livello del finanziamento di 2 miliardi 97 milioni di euro per l'anno 2016. Nel primo caso, al fine di assicurare il contributo delle autonomie speciali, si è provveduto alla rideterminazione del contributo a loro carico già previsto la legge 190 2014. Nel secondo caso, si è provveduto a sterilizzare gli effetti sugli obiettivi di finanza pubblica della quota di manovra, espressa in termini di livello del finanziamento, afferente alle autonomie speciali. Per le manovre successive, previste rispettivamente dall'articolo 1, comma 680, della legge n. 208 e dall'articolo 1, comma 394, della legge n. 232, le disposizioni hanno stabilito che il contributo a carico delle autonomie speciali fosse oggetto di condivisione tra Governo e ciascuna autonomia speciale, mediante la sottoscrizione di specifico accordo.
  In particolare, il suddetto articolo 1, comma 680, nel prevedere una manovra a carico delle regioni di importo pari a 3 miliardi 980 milioni di euro per l'anno 2017 e 5 miliardi 480 milioni di euro per gli anni 2018 e 2019, ha stabilito che gli ambiti di spesa sui quali intervenire fossero proposti dalle regioni medesime e recepiti con specifiche intese. In proposito si fa presente che il Ministro degli affari regionali ha inviato a ciascuna autonomia speciale una proposta d'accordo, ma tutte le regioni Pag. 10e province interessate hanno manifestato l'indisponibilità a raggiungere un'intesa.
  Il comma 392 della legge n. 232 ha introdotto una nuova manovra a carico del settore sanitario per gli anni 2017, 2018 e 2019. Anche in questo caso, l'applicazione alle regioni a statuto ordinario è garantita dalla riduzione del livello del fabbisogno sanitario, mentre per le autonomie speciali si è fatto rinvio a singoli accordi con il Governo, da raggiungersi entro la data del 31 gennaio 2017. Similmente a quanto avvenuto per la precedente manovra, le autonomie speciali hanno manifestato l'indisponibilità a raggiungere un'Intesa con il Governo in merito.
  Per ciò che concerne il settore non sanitario, il concorso alla finanza pubblica per l'anno 2017, pari a circa 2.700 milioni di euro è stato definito, per le sole regioni a statuto ordinario, prevedendo l'adozione di determinate misure. Pertanto, anche per tale settore le autonomie speciali non sono state in alcun modo interessate dalla manovra disposta dalla legge n. 208 del 2015. Occorre evidenziare che le regioni a statuto ordinario presentano una manovra pro capite complessivamente inferiore a quella delle autonomie speciali, che tuttavia presentano importi pro capite di impegni, pagamenti, accertamenti e riscossioni decisamente più elevati rispetto al rimanente territorio nazionale, con particolare riferimento alla regione Valle d'Aosta e alle province autonome di Trento e Bolzano. L'incidenza delle manovre pro capite maggiore per le autonomie speciali va valutata anche in considerazione della circostanza che le regioni a statuto ordinario hanno dovuto contribuire agli obiettivi di finanza pubblica in misura maggiore rispetto alle autonomie speciali, per il periodo 2011-2014. Infatti, il decreto-legge n. 78 del 2010 ha previsto una riduzione delle risorse finanziarie spettanti alle regioni a statuto ordinario per 4 miliardi di euro per l'anno 2011 e di 4 miliardi e mezzo di euro per gli anni 2012 e successivi, mentre per le autonomie speciali non era stato previsto alcun concorso in termini di saldo netto da finanziare. Ne deriva che il maggior concorso delle autonomie speciali negli ultimi anni compensa il minor sacrificio richiesto in precedenza alle regioni a statuto ordinario.
  Come evidenziato sopra, i recenti accordi hanno definito il concorso in termini di indebitamento netto da parte delle autonomie speciali. Con riferimento al contributo in termini di saldo netto da finanziare, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 82 del 2015, ha precisato che «l'accantonamento avviene sul presupposto che le relative somme appartengano agli enti territoriali, come previsto dai rispettivi statuti speciali: da questo punto di vista, non vi è alcuna sostituzione dello Stato alle autonomie speciali nella titolarità del gettito». Nella sentenza si precisa che «naturalmente, affinché esso non si tramuti in una definitiva sottrazione e appropriazione di risorse regionali da parte dello Stato, occorre che tale modalità non si protragga senza limite» e che «anche sotto questo profilo la disposizione non incorre in vizi di incostituzionalità dal momento che essa prevede che, quando saranno completate le procedure di cui all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009, siano le nuove norme di attuazione statutaria a definire l'entità e le modalità del concorso dei soggetti ad autonomia speciale agli obiettivi della finanza pubblica nazionale». Infine, si precisa che «la disposizione impugnata si configura, dunque, come misura transitoria, necessaria per assicurare il conseguimento effettivo degli obiettivi di coordinamento finanziario, nell'ambito della particolare contingenza nella quale si inseriva il decreto-legge impugnato, anche in relazione alle indicazioni provenienti dalle istituzioni europee». Il principio di carattere generale che se ne ricava è che la natura di misura temporanea riferita allo strumento dell'accantonamento, attribuitagli dalla Corte costituzionale, risulterebbe inconciliabile con la previsione legislativa a regime dello stesso ai fini del concorso dei predetti enti agli obiettivi di finanza pubblica. Pertanto, considerato tale recente orientamento della giurisprudenza costituzionale, appare urgente, oltre che opportuno, consolidare il concorso alla finanza pubblica delle regioni a Pag. 11statuto speciale, in analogia con quanto convenuto con la regione Trentino Alto Adige e le province autonome di Trento e Bolzano, al netto delle problematiche già evidenziate in merito alla clausola di esaustività. In altre parole, il problema che si pone è che il menzionato principio enunciato dalla Corte costituzionale della temporaneità degli accantonamenti dovrebbe trovare applicazione, tenendo conto di due fattori contrastanti con esso: gli effetti derivanti dalla rinuncia alle impugnative contro le norme che prevedono il concorso a decorrere; le disposizioni di legge in materia, tuttora vigenti, che gli organi di amministrazione attiva non possono che provvedere ad applicare, laddove prevedono il concorso alla finanza pubblica a decorrere. Diversamente opinando, si porrebbero gravi problemi di copertura finanziaria sui saldi di finanza pubblica già a decorrere dall'anno 2018 (per oltre 3 miliardi di euro annui in termini di saldo netto da finanziare e indebitamento netto).
  Da quanto esposto, qualora, in attuazione della citata sentenza costituzionale, si ritenesse estensibile il principio della temporaneità degli accantonamenti a tutte le disposizioni di legge che prevedono detta misura, il Ministro dell'economia e delle finanze sarebbe chiamato ad assumere «tempestivamente le conseguenti iniziative legislative al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione», ai sensi dell'articolo 17, comma 13, della legge n. 196 del 2009.
  La nuova stagione negoziale dovrebbe, quindi, cogliere l'occasione anche per rifondare gli assetti finanziari delle regioni a statuto speciale, correlando, in modo chiaro e trasparente, le risorse attribuite a quei territori alle funzioni di spesa che queste regioni esercitano. Al fine di definire in termini equitativi la capacità contributiva potenziale riferita a ciascuna autonomia speciale, si dovrebbe poter contare su dati omogenei che consentano il confronto fra risorse disponibili e spese erogate a costi standard. A tale proposito, si segnala che la sentenza della Corte costituzionale n. 19 del 2015 indica la necessità di intraprendere un percorso di concertazione che, al fine di realizzare un confronto serio sul metodo e non sul risultato finanziario, «può e deve riguardare anche altri profili di natura contabile quali, a titolo esemplificativo, la ricognizione globale o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di Governo e di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte o di nuova attribuzione, la verifica di congruità di dati e basi informative finanziarie e tributarie, eventualmente conciliandole quando risultino palesemente difformi, ed altri elementi finalizzati al percorso di necessaria convergenza verso gli obiettivi derivanti dall'appartenenza all'Unione europea».
  Se la sfida da raccogliere mediante nuovi accordi da stipulare, contenuta nel passo precedente, risiede nella necessità di procedere alla verifica di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni svolte, è ineludibile il passaggio alla misurazione comparata dei costi e fabbisogni standard per le regioni a Statuto speciale, in modo che l'orizzonte di riferimento dell'accordo sia «costituito dalle diverse componenti delle relazioni finanziarie che, nel loro complesso, comprendono e trascendono la misura del concorso regionale».
  Nel merito, già la COPAFF (Commissione per l'attuazione del federalismo fiscale) aveva evidenziato, nella relazione del 30 giugno 2010, la necessità di estendere alle autonomie speciali i principi generali ricavabili dalla legge n. 42 del 2009, quali la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei fabbisogni standard, il superamento della spesa storica, la perequazione e la solidarietà, con strumenti diversi dai decreti legislativi delegati. Appare, peraltro, necessario sottolineare l'importanza di acquisire dati certi e completi sugli andamenti della finanza pubblica territoriale, non solo ai fini statistici e di monitoraggio, ma soprattutto per definire un quadro chiaro e completo a livello nazionale in materia di previsioni di finanza pubblica a supporto delle analisi e delle decisioni di Governo e Parlamento e in coerenza con gli obiettivi dell'Unione europea. Pertanto, su tale punto, sarebbe opportuna una decisa azione nei confronti di quelle autonomie speciali che ancora non Pag. 12provvedono all'invio dei dati finanziari degli enti locali del proprio territorio (Valle d'Aosta e province autonome di Trento e Bolzano).
  Qualora, in un'ottica futuribile, si dovesse optare per la determinazione unilaterale del concorso alla finanza pubblica, in disparte il rischio concreto di veder caducata la manovra a carico delle regioni speciali dalla Corte costituzionale, per violazione del principio dell'accordo, sorgono ulteriori problemi.
  Una ragguardevole criticità riguarda, infatti, l'apposizione frequente nelle disposizione legislative ordinarie delle cosiddette «clausole di salvaguardia» dell'autonomia speciale alle manovre di finanza pubblica. Tali clausole determinano l'effetto della non applicazione alle autonomie speciali della disciplina cui si riferiscono, se non nelle forme previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione, con la conseguenza di vanificare l'applicazione delle disposizioni contenute nelle manovre di finanza pubblica.
  Da un punto di vista più strettamente metodologico, al fine di accertare l'eventuale sostenibilità di ulteriori concorsi agli obiettivi di finanza pubblica o, quantomeno, per mantenere l'attuale livello di partecipazione, il problema che si pone è essenzialmente quello di verificare quali siano i limiti dell'autonomia di entrata in un sistema tributario unitario e sostanzialmente accentrato e come incidano sulla spesa pubblica le diverse capacità fiscali e la diversità dei gusti e dei bisogni delle popolazioni cui fanno riferimento ai singoli enti territoriali. Una volta determinato il fabbisogno standard delle funzioni svolte autonomie speciali, potrebbe essere affrontata una riflessione seria sulla sufficienza o meno dei vari ordinamenti finanziari che evidenzierebbe in maniera trasparente il gap fra risorse disponibili e copertura delle spese per dette funzioni.
  Tanto premesso, in estrema sintesi, si ritiene necessario che – nelle more della definizione dei fabbisogni e dei costi standard, considerato anche l'orientamento assunto dalla Corte costituzionale in relazione agli accantonamenti – il concorso delle autonomie speciali alla finanza pubblica in termini di saldo netto da finanziare e in termini di indebitamento netto venga assicurato mediante nuovi accordi con lo Stato o, in alternativa, siano avviati i tavoli dell'articolo 27 della legge n. 42, «in modo che siano le nuove norme di attuazione statutaria a definire l'entità e le modalità del concorso agli obiettivi della finanza pubblica nazionale». In questo contesto giuridico-relazionale non appare idoneo rimanere inerti e si ritiene opportuno procedere a nuovi accordi. In assenza di dati relativi ai LEP e delle connesse rilevazioni dei costi e fabbisogni standard nei territori delle autonomie speciali, l'eventuale necessità di ricorrere a manovre aggiuntive collide con il problema, per il decisore politico, di individuare la misura equa e sostenibile da porre a carico pro quota agli enti a diritto differenziato con le inevitabili conseguenze della crescita del contenzioso costituzionale. Infatti, non sono stati ancora determinati i livelli essenziali delle prestazioni necessari a valutare adeguatamente le risorse che devono essere messe a disposizione di ciascun ente territoriale per soddisfare i propri fabbisogni, in coerenza con i principi di cui all'articolo 117 e 119 della Costituzione.
  La Corte costituzionale, con sentenza n. 65 del 2016, ha posto l'attenzione sulla «utilità della determinazione, da parte dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione, dei livelli essenziali delle prestazioni per i servizi concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale». Un tale intervento, che deve svolgersi «attraverso moduli di leale collaborazione tra Stato e Regione», offrirebbe, infatti, alle regioni un significativo criterio di orientamento nell'individuazione degli obiettivi e degli ambiti di riduzione delle risorse impiegate, segnando il limite al di sotto del quale la spesa – sempreché resa efficiente – non sarebbe ulteriormente comprimibile.
  In conclusione, la via maestra per affrontare il tema dei rapporti finanziari con le autonomie, limitando i contenziosi con le stesse, non può prescindere dai livelli essenziali Pag. 13 delle prestazioni e dagli accordi con le singole autonomie speciali.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, dottor Bilardo, credo che sia stato fatto il quadro di una situazione assai complicata. Prima delle domande o precisazioni dei colleghi, dico solo una cosa. Più volte è stato richiamato l'articolo 27 della legge n. 42. Tale legge in larga parte non è applicata o non è applicabile, per tutta una serie di ragioni, quali il cambiamento e lo stravolgimento dei criteri di finanziamento o di forme di imposizione degli enti locali; tuttavia, questa rappresentava un punto di sintesi rispetto a tante situazioni. Purtroppo dai LEP ai vari aspetti relativi soprattutto alle autonomie speciali, tale legge è totalmente disapplicata; pertanto, o si riprende il filo conduttore di tutte queste vicende o sarà difficile continuare a muoversi nell'ambito di questi accordi di natura transitoria, con sentenze della Corte costituzionale, che talvolta aiutano e talvolta complicano ulteriormente. Mi sembra di aver capito che, se non si riesce ad arrivare quanto prima a un'intesa o un accordo con le autonomie speciali, anche le cifre messe nel bilancio non possono essere assicurate. Ritengo si tratti di una fotografia realistica della situazione di cui, giustamente, il Parlamento deve prendere atto.
  Qualcuno vuole porre domande o fare approfondimenti?

  MAGDA ANGELA ZANONI. Intanto, ringrazio il dottor Bilardo e i suoi collaboratori perché ci danno sempre delle relazioni molto interessanti e approfondite, con tanti dati veramente utili.
  Credo che alcuni passaggi della vostra relazione siano davvero importanti; tra questi, in particolare, la richiesta di poter affrontare anche tutto il tema delle autonomie attraverso la definizione dei fabbisogni standard e dei costi standard. Da questo punto di vista, vorrei sapere a che punto sono le rilevazioni dei dati; se la SOSE ha già la disponibilità di questi dati e se bisogna richiederli. Se così fosse, potrebbe essere compito della nostra Commissione cominciare a richiedere i dati delle regioni a statuto speciale.
  Poi, vorrei fare una considerazione di tipo più politico. Questa relazione è stata davvero molto interessante per avviare una valutazione più tecnica; credo che, mutate le condizioni storiche, sociali ed economiche di questi ultimi settant'anni, forse bisognerebbe cominciare a fare un ragionamento politico sulle regioni a statuto speciale e sulle autonomie speciali. Mi chiedo quale sia il senso di mantenere ancora un'autonomia. Nella riforma costituzionale che non è passata il 4 dicembre, si era messo un sassolino in quella direzione perché si era detto «non facciamo scendere le regioni a statuto speciale, ma alziamo le regioni a statuto ordinario, facendole diventare tutte un po’ speciali». In qualche modo, si cominciava ad affrontare il tema di ridurre le differenze fra le regioni e le autonomie. Come sappiamo, la riforma costituzionale non è stata approvata, quindi tutto è rimasto com'era. Tuttavia, un ragionamento politico in questa direzione credo sia ormai inevitabile, anche per mantenere politicamente una coesione generale nel Paese. Lo dico perché non si possono chiedere manovre, che ritengo siano fortemente positive, per aiutare il sud e per aiutare le autonomie, e non chiedere poi un contributo. D'altra, parte non possiamo non rilevare che alcune province autonome, come Trento e Bolzano, abbiano disponibilità finanziarie che rendono non paragonabile la situazione dei cittadini che vivono in quella realtà rispetto a regioni confinanti, come il Veneto.
  Ringrazio di questo intervento e credo che possa da qui partire una riflessione. Mi farò carico, per quanto riguarda almeno i componenti del mio partito, con tutti i senatori e deputati che provengono da queste regioni, di cominciare ad avviare un ragionamento. Grazie.

  GIOVANNI PAGLIA. Ringrazio anch'io per il contributo e le informazioni.
  A me sembra chiaro che emergano molti problemi, ma uno mi colpisce in modo particolare. Mi riferisco al fatto che sostanzialmente si dica e si scriva che esiste in qualche modo un diritto di mantenere inalterata Pag. 14 la spesa sanitaria all'interno delle regioni a statuto speciale perché questa viene interamente finanziata con risorse proprie. Tuttavia, anche la sanità di altre regioni, di fatto, viene interamente finanziata con risorse proprie. Le risorse proprie di una regione come l'Emilia-Romagna – la cito perché ci abito, ma lo stesso vale per altre – sarebbero ampiamente sufficienti a coprire la spesa sanitaria. In quel caso, il sistema entra in contraddizione per il semplice fatto che una risorsa transita per poi ritornare, anziché rimanere. È una questione che dovremmo affrontare, anche perché – questa è la domanda che io faccio – è noto che il dibattito sulla specialità, almeno in due grandi regioni del nord, è aperto in questo momento. Anche se in modo consultivo, Lombardia e Veneto a breve porranno il tema, se ho capito bene, di chiedere un trattamento analogo a quello delle province di Trento e Bolzano o comunque delle regioni a statuto speciale.
  Ora, visto che siamo con la Ragioneria Generale dello Stato, vorrei sapere se è vero che, in tal caso, non ci sarebbe compatibilità con l'attuale ordinamento della finanza pubblica. Non necessariamente con la sostenibilità finanziaria, perché quella si può riorganizzare in tanti modi, ma con l'attuale ordinamento. Forse non potete avere dei dati precisi, però chiedo se questa mia impressione in qualche modo possa essere confermata. Terrebbe il bilancio dello Stato, per come attualmente è organizzato? Credo che si innescherebbe una reazione a catena perché se le più grandi regioni del nord del Paese dovessero andare in quella direzione, le altre regioni settentrionali avrebbero delle difficoltà a non seguire l'esempio.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Bilardo per la replica.

  SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. L'articolo 27 ormai diventata una chimera che ci fa comodo, anche perché, dal punto di vista formale, si tratta dell'appiglio giuridico che ci consente di garantire la legittimità costituzionale dei vari provvedimenti e manovre a carico delle autonomie speciali. Dall'altro lato, noi saremmo ben contenti che finalmente, in maniera determinata, si dia attuazione all'articolo 27 della legge n. 42 attraverso accordi, ma che questo abbia una portata complessiva con norme di attuazione che facciano chiarezza in via definitiva nei rapporti finanziari con lo Stato. È anche vero che a mio giudizio non si arriverà mai a un accordo definitivo, se non si realizzano i fabbisogni standard e i costi standard, ma questo vale non solo per le autonomie speciali, ma anche nei vari contenziosi che abbiamo con i comuni, perché, nonostante gli accordi che facciamo in Conferenza Stato-città con l'ANCI, per qualunque comune che fa un contenzioso costituzionale, in assenza di LEP e di parametri di riferimento certi e chiari, c'è il rischio che un TAR qualunque possa rendere illegittimo il provvedimento.
  Per quanto riguarda il tema dei fabbisogni e costi standard e della mancanza dei dati, non abbiamo, per esempio, neanche i dati sul pareggio di bilancio, ex legge n. 243, dei comuni del Trentino Alto Adige e della Valle d'Aosta. Ci abbiamo provato in tutti i modi e, con grande franchezza, vorremmo proporre, in sede di conversione del decreto-legge n. 50, una norma che lo imponga. Dopodiché, ci aspettiamo il ricorso costituzionale e vedremo cosa dirà la Corte. Possiamo comprendere il problema delle manovre, ma ci sembra non da Paese moderno non avere la conoscenza di ciò che avviene in parte del territorio nazionale.

  PRESIDENTE. Faccio notare che avevamo fatto un ciclo di audizioni dei vari presidenti delle regioni a statuto speciale, ma non siamo riusciti ad avere in audizione il presidente della provincia di Bolzano perché, nonostante i ripetuti inviti, non è mai venuto.

  SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. Su fabbisogni e costi standard, abbiamo ottenuto, Pag. 15nell'accordo con la regione Sicilia, l'avvio della rilevazione; quindi, formalmente, la rilevazione dei dati e la conseguente applicazione dei fabbisogni standard nella regione Sicilia sarebbero dovute già partire. Registriamo, anche in questo caso, alcune resistenze, per cui dobbiamo nuovamente fare un'azione forte, perché questo è oggetto di un accordo, recepito a norma di legge.
  Mi risulta che, autonomamente, la regione Sardegna abbia preso contatti con SOSE, commissionando la rilevazione, soprattutto con la finalità di regolare i propri rapporti con gli enti locali del proprio territorio. Per il resto, non si è mosso nulla, anche perché il decreto legislativo n. 68 prevede ciò a fini conoscitivi e con la buona volontà degli enti interessati.
  Per la spesa sanitaria, è vero che ci sono regioni che, in termini di entrate, fra addizionale regionale all'IRPEF, IRAP e compartecipazione all'IVA, hanno molto di più rispetto alle risorse che servono per il finanziamento della sanità; quindi, seguendo la logica della Corte costituzionale, per cui, a chi produce risorse, queste stesse non possano essere toccate, è ovvio che questo diventa un grosso problema. La sentenza n. 125 del 2015 un po’ ci ha spiazzato e le conseguenze sono state appunto che le autonomie speciali, da ultimo, non partecipano a nessuna manovra.

  PRESIDENTE. Questo è valido solo per quelle autonomie o anche per altre?

  SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. Con la Valle d'Aosta non avevamo un accordo sull'entità delle manovre, cosa che abbiamo con le altre autonomie speciali.
  Se la domanda è sull'estensibilità della sentenza n. 125 alle altre autonomie speciali, la risposta è che, secondo la nostra posizione, al momento questa non è estensibile perché con le altre abbiamo sottoscritto degli accordi, anche se transitori, per cui ci sono degli accordi in piedi. Con la Valle d'Aosta non c'era e non c'è tuttora un accordo definitivo.
  È ovvio che, se il referendum di Lombardia e Veneto dovesse portare conseguenze sostanziali, c'è un grosso problema per la tenuta, non solo finanziaria, ma, sostanzialmente, a mio giudizio, anche di ordine costituzionale: cioè se va o non va cambiato il nostro assetto costituzionale. Ciò in quanto è consequenziale ed inevitabile che con l'attuale assetto costituzionale probabilmente non si potrebbe arrivare laddove tende l'obiettivo politico, in quanto è l'assetto complessivo del nostro Paese che verrebbe messo in discussione.

  PRESIDENTE. Aggiungo un'ultima chiosa. Secondo me, ai fini della ricaduta sulla finanza pubblica, la sentenza della Corte costituzionale del 2015, nel momento in cui viene pubblicata, indurrà sicuramente, come mi sembra di aver capito stia inducendo, tutte le autonomie speciali ad appoggiarsi alla medesima per dire «abbiamo fatto gli accordi, però, siccome sono transitori, quando sarà terminata la transitorietà, ci appoggiamo a quella sentenza e, prima di rifare la cosa, ci pensiamo seriamente». Mi sembra un problema assai serio e forse non adeguatamente inquadrato politicamente. Mi sembra che questo sia un po’ fuori dal dibattito politico, invece è un problema molto serio perché questa sentenza della Corte, fin quando non ce ne sarà un'altra, che in qualche modo corregga l'andamento, credo che resterà un punto di riferimento per tutti, quantomeno in ottica negoziale. Diventa estremamente complicato per lo Stato negoziare, in presenza di una sentenza di questo tipo.

  SALVATORE BILARDO, Ispettore generale capo dell'Ispettorato generale per la finanza delle pubbliche amministrazioni della Ragioneria Generale dello Stato. D'altra parte, abbiamo dovuto attuarlo con la Valle d'Aosta, restituendo le somme. Sul provvedimento specifico, di cui alla sentenza n. 125, limitatamente alla Valle d'Aosta e al provvedimento legislativo, nella legge di stabilità del 2017 abbiamo restituito le somme per la sanità alla Valle Pag. 16d'Aosta. La nostra lettura al momento è limitata e speriamo che tenga; però le recriminazioni negoziali hanno un punto di forza in questa sentenza.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Bilardo per il suo intervento e per la documentazione consegnata, della quale autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.05.

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