XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 114 di Mercoledì 22 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

AUDIZIONI NELL'AMBITO DELLO SCHEMA DI DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI CONCERNENTE L'AFFIDAMENTO IN CONCESSIONE DEL SERVIZIO PUBBLICO RADIOFONICO, TELEVISIVO E MULTIMEDIALE, CON L'ANNESSO SCHEMA DI CONVENZIONE – ATTO N. 399

Audizione di rappresentanti dell'A.P.T.-Associazione Produttori Televisivi.
Fico Roberto , Presidente ... 3 ,
Follini Marco , presidente di APT ... 3 ,
Fico Roberto , Presidente ... 4 ,
Follini Marco , presidente di APT ... 4 ,
Fico Roberto , Presidente ... 4 ,
Follini Marco , presidente di APT ... 4 ,
Margiotta Salvatore  ... 5 ,
Airola Alberto  ... 6 ,
Gasparri Maurizio  ... 6 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 7 ,
Fico Roberto , Presidente ... 8 ,
Follini Marco , presidente di APT ... 8 ,
Levi Matteo , vicepresidente APT ... 8 ,
Airola Alberto  ... 9 ,
Levi Matteo , vicepresidente APT ... 9 ,
Airola Alberto  ... 9 ,
Levi Matteo , vicepresidente APT ... 9 ,
Stabilini Giovanni , vicepresidente APT ... 10 ,
Margiotta Salvatore  ... 11 ,
Airola Alberto  ... 11 ,
Stabilini Giovanni , vicepresidente APT ... 11 ,
Levi Matteo , vicepresidente APT ... 12 ,
Airola Alberto  ... 12 ,
Levi Matteo , vicepresidente APT ... 12 ,
Follini Marco , presidente di APT ... 12 ,
Sbarigia Chiara , direttore generale di APT ... 13 ,
Lainati Giorgio (SC-ALA CLP-MAIE)  ... 13 ,
Airola Alberto  ... 14 ,
Stabilini Giovanni , vicepresidente APT ... 14 ,
Fico Roberto , Presidente ... 14 

(La seduta, sospesa alle 11.30, riprende alle 13.10) ... 14 

Audizione di rappresentanti di Doc/it – Associazione Documentaristi Italiani:
Fico Roberto , Presidente ... 14 ,
Fontana Agnese , presidente di Doc/it ... 14 ,
Visalberghi Marco , vicepresidente di Doc/it ... 14 ,
Fontana Agnese , presidente di Doc/it ... 16 ,
Rossi Maurizio  ... 16 ,
Airola Alberto  ... 17 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 17 ,
Visalberghi Marco , vicepresidente di Doc/it ... 18 ,
Rossi Maurizio  ... 18 ,
Fontana Agnese , presidente di Doc/it ... 18 ,
Visalberghi Marco , vicepresidente di Doc/it ... 19 ,
Fico Roberto , Presidente ... 19 ,
Visalberghi Marco , vicepresidente di Doc/it ... 19 ,
Fico Roberto , Presidente ... 20 ,
Airola Alberto  ... 20 ,
Fico Roberto , Presidente ... 20 ,
Airola Alberto  ... 20 ,
Fico Roberto , Presidente ... 20 

Audizione di rappresentanti dell'Ordine nazionale dei giornalisti:
Fico Roberto , Presidente ... 20 ,
Franchina Santino , vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti ... 21 ,
Fico Roberto , Presidente ... 21 ,
Rossi Maurizio  ... 21 ,
Franchina Santino , vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti ... 21 ,
Rossi Maurizio  ... 21 ,
Airola Alberto  ... 22 ,
Franchina Santino , vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti ... 22 ,
Airola Alberto  ... 22 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 23 ,
Franchina Santino , vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti ... 23 ,
Fico Roberto , Presidente ... 23 

(La seduta, sospesa alle 14.10, riprende alle 14.30) ... 23 

Audizione di rappresentanti dell'ANICA – Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali:
Fico Roberto , Presidente ... 23 ,
Rutelli Francesco , presidente di Anica ... 24 ,
Margiotta Salvatore  ... 26 ,
Airola Alberto  ... 27 ,
Rossi Maurizio  ... 27 ,
Ruta Roberto  ... 28 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 28 ,
Airola Alberto  ... 29 ,
Gasparri Maurizio  ... 29 ,
Rutelli Francesco , presidente di Anica ... 29 ,
Fico Roberto , Presidente ... 32 ,
Medolago Albani Francesca , responsabile pianificazione strategica di Anica ... 32 ,
Fico Roberto , Presidente ... 33 

Audizione di rappresentanti di UPA – Utenti Pubblicità Associati:
Fico Roberto , Presidente ... 33 ,
Maggioni Giovanna , direttore generale UPA ... 33 ,
Rossi Maurizio  ... 35 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 36 ,
Fico Roberto , Presidente ... 36 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 36 ,
Fico Roberto , Presidente ... 36 ,
Maggioni Giovanna , direttore generale UPA ... 37 ,
Fico Roberto , Presidente ... 38

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 10.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'A.P.T.-Associazione Produttori Televisivi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti dell'A.P.T.-Associazione Produttori Televisivi.
  Sono presenti il presidente, Marco Follini, i vicepresidenti, Giovanni Stabilini e Matteo Levi, e la direttrice generale, Chiara Sbarigia, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Follini, con riserva per me e per i colleghi di rivolgere a lui, al termine del suo intervento, e agli altri componenti dell'A.P.T. domande e richieste di chiarimento.

  MARCO FOLLINI, presidente di APT. Abbiamo una nota che leggerò per introdurre l'argomento. Molto sommariamente tenevo a segnalare due o tre punti che per noi sono strategici.
  Il primo: è la prima volta che nella concessione si fa esplicito riferimento al valore della produzione. Questa è stata una battaglia storica di APT, dei miei predecessori per molti anni, è un riconoscimento che riteniamo dovuto, apprezziamo particolarmente che in questo schema la produzione sia citata come valore significativo per il servizio pubblico e riteniamo sia anche la presa d'atto di un contributo creativo importante, che sostiene gli ascolti e il primato della Rai, ma offre anche al pubblico molti argomenti di riflessione e di approfondimento. Naturalmente sarà cruciale capire il come, che appartiene essenzialmente al contratto di servizio: siamo proiettati verso quell'obiettivo.
  In secondo luogo, il cenno alla produzione è generico, mentre teniamo particolarmente che si metta in rilievo il valore della produzione indipendente. Poiché esiste anche una linea produttiva integrata verticalmente nelle emittenti, che però ha caratteristiche e significati diversi, la sottolineatura del valore della produzione indipendente è assolutamente cruciale.
  Terzo aspetto: questa convenzione discende da un meccanismo di consultazione, a cui le associazioni e anche i singoli produttori hanno partecipato, e riteniamo che questo sia un metodo valido e teniamo particolarmente, poiché sono previste consultazioni successive e un ruolo piuttosto proattivo sia del MISE che dell'Agcom, a essere auditi, consultati, tenuti in conto in questi passaggi che seguiranno. Lo dico Pag. 4perché (questo tema esula dalla Rai, però è assolutamente fondamentale dal punto di vista dell'Associazione dei produttori e dei singoli produttori) il punto debole del sistema a nostro giudizio sta nel fatto che il TUSMAR prevede quote ben precise, che la Rai ha tradizionalmente quasi sempre rispettato, ma che sono largamente disattese da tutte le emittenti private. Mi rendo conto che questo tema stia fuori dai confini che vengono tracciati dalla convenzione, ma consideriamo assolutamente fondamentale per lo sviluppo del settore garantire che il rispetto delle quote sia assicurato da tutte le emittenti, e il ruolo dell'Agcom di sentinella di questo sistema di equilibri venga tenuto fermo, cosa che al momento non mi sento di dire sia garantita.
  Questi sono i punti cruciali che ci appartengono. Su questi punti abbiamo predisposto una nota breve, che posso lasciare agli atti o leggere.

  PRESIDENTE. La può lasciare agli atti, ma se vuole leggerla non è un problema.

  MARCO FOLLINI, presidente di APT. Allora la lascio agli atti, magari potrà essere oggetto di qualche scambio di domande e risposte. Come ha detto prima il presidente, sono con me il direttore generale dell'associazione e i vicepresidenti, peraltro presidente in scadenza, quindi cedo volentieri a loro quest'onere.

  PRESIDENTE. Leggerei comunque la nota.

  MARCO FOLLINI, presidente di APT. Bene, la leggo. Alcuni temi inseriti nel nuovo schema di decreto, che specificano le attese del Governo sulle responsabilità e gli obiettivi del servizio pubblico radiotelevisivo, rispondono pienamente al tipo di attività poste in essere e alle opere prodotte dall'industria indipendente.
  Seguendo l'ordine dell'articolato, possiamo affermare che: 1) le produzioni realizzate dai produttori indipendenti assolvono in pieno gli obiettivi di sostegno alla crescita civile, alla coesione sociale, alla promozione della lingua italiana, della cultura e della creatività, e di salvaguardia dell'identità nazionale (articolo 1, comma 1); 2) l'industria indipendente, anche attraverso l'APT, ha più volte sollecitato la Rai a migliorare le richiamate condizioni di trasparenza e di efficienza (articolo 1, comma 5), anche stipulando con i rappresentanti delle associazioni di categoria e sotto il controllo degli enti preposti codici di comportamento standard per semplificare le prassi contrattuali e superare il problema dell'eccessiva burocrazia interna. Non possiamo che esprimere la nostra soddisfazione nel vedere finalmente accolto il principio, tra gli obblighi del concessionario (articolo 3, comma 1, lettera b), di «sostenere adeguatamente lo sviluppo dell'industria nazionale dell'audiovisivo mediante l'acquisizione o la coproduzione di prodotti di alta qualità, realizzati da o con imprese che abbiano stabile rappresentanza in Italia, anche al fine di una loro valorizzazione sui mercati esteri» (così il testo).
  Sottolineiamo però che è indispensabile aggiungere la parola «indipendente» dopo la dicitura «industria nazionale», perché deve essere compito dell'azienda pubblica promuovere da un lato le imprese nella loro articolazione pluralistica, dall'altro il consolidamento delle imprese indipendenti, ma non l'integrazione verticale con le emittenti, che in un mercato ancora nascente come quello italiano rischia di limitare fortemente la varietà dei programmi disponibili per il pubblico.
  Avremmo anche apprezzato che fosse inserito nel testo un riferimento più preciso alle quote di investimento dedicate alla produzione indipendente, e ci auguriamo che questo possa avvenire nel testo del contratto di servizio. Il sistema televisivo pubblico inglese, che è quello più orientato all'internazionalizzazione e all’export, ha infatti felicemente da tempo introdotto obblighi di diffusione molto più elevati dei nostri (BBC), sommandoli al canale dedicato esclusivamente al commissioning, alla diffusione di opere realizzate da produttori indipendenti (Channel 4). Anche la Francia ha introdotto obblighi di investimento più alti, e sia Francia che Regno Unito hanno perseguito una politica di protezione dei Pag. 5diritti in capo ai produttori indipendenti più capillare ed efficace, ove la cessione dei diritti non è mai perpetua.
  È evidente che l'attenzione dell'APT sarà concentrata sulla declinazione del recepimento nel contratto di servizio del concetto relativo alla durata e ambito dei diritti di sfruttamento radiofonico televisivo e multimediale, negoziabili dalla società concessionaria. Siamo convinti che il recente allargamento del tax credit all'audiovisivo in un provvedimento costruito in modo virtuoso potrà essere volano per l'industria nazionale, per l’export e per incrementare volumi di lavoro e indotto solo se sarà accompagnato dal suo trasparente recepimento da parte delle emittenti, in primo luogo l'emittente pubblica. Sulla valorizzazione dei diritti APT e Rai hanno già avviato alcune riflessioni sul fatto che sia conveniente spezzare la catena sul lato geografico per le serie evento, oppure sia meglio ragionare sulla limitazione temporale tout court, oppure ancora sulle singole finestre di sfruttamento. Il mondo della produzione televisiva è infatti un mondo in continuo movimento per il moltiplicarsi delle piattaforme trasmissive e si ragiona per il momento opera per opera. Quando si arriverà a una stabilizzazione della presenza dei nuovi soggetti presenti sul mercato (Amazon, Netflix, Google), che registrano dinamiche contrattuali totalmente nuove, anche la Rai dovrà essere in grado di fissare modelli più stabili. È importante in questa sede ricordare che oltre il 75 per cento delle società di produzione indipendente hanno rapporti contrattuali con la Rai. Nel settore della sola fiction nel 2016 hanno lavorato per Rai 22 produttori indipendenti, 5 per Mediaset, 3 per Sky.
  Questo significa che l'ingresso di nuovi committenti è ancora marginale per la maggior parte delle imprese e che nessun produttore televisivo può prescindere da un rapporto con l'azienda pubblica. Il recupero dell'evasione del canone è stato un atto dovuto e apprezzato, che ha consentito nel 2016 alla Rai di investire maggiormente in prodotti audiovisivi originali e di diversificare la programmazione su più reti. Vorremmo che queste risorse supplementari, peraltro già diminuite, non finissero disperse in mille rivoli e che si trovasse invece il sistema per indirizzarle e vincolarle stabilmente alla crescita di un'industria sana e plurale, in grado di competere globalmente e di realizzare prodotti di qualità, anche e soprattutto a vantaggio del pubblico.

  SALVATORE MARGIOTTA. Mi complimento con il presidente, di cui ho molta stima e che non è né scadente, né scaduto, anzi è un ottimo presidente. La metto in maniera un po’ brutale, perché nelle sue parole c'era anche questo tema, ma lo voglio esplicitare ancor di più, credendo peraltro (conoscendo la sua sensibilità politica) che sia un tema dell'APT.
  Da sempre in questa Commissione ci interroghiamo sul fatto che, in particolare per quanto riguarda la fiction, perché secondo me Rai Cinema va meglio, vi sia una concentrazione di risorse su alcuni grandi produttori. Più volte ho discusso della vicenda anche con il direttore generale, nel senso che è ovvia la risposta che i più grandi garantiscono un prodotto migliore, che fa share, come Montalbano, ed è tutto giusto, ma a mio parere il servizio pubblico, quindi finanziato da noi, ha tra i suoi obblighi quasi dal punto di vista etico quello di far crescere anche produttori minori. Non può succedere quindi che tra cinque anni ci ritroviamo con la concentrazione delle risorse sempre negli stessi soggetti. Lei giustamente ha citato il numero 22 ma, poiché un po’ di numeri li conosciamo, se si splittano gli investimenti sui 22, si vedrà che la concentrazione di soldi avviene in un numero molto minore dei 22, e magari altri 15 si distribuiscono risorse molto inferiori. Solo invertendo o almeno calmierando questa tendenza possiamo fare un'operazione che il servizio pubblico deve fare, cioè far crescere produttori giovani, risorse diverse, mettere sul mercato un pluralismo molto migliore. Nel contratto di servizio che abbiamo fatto e che non è mai stato operativo avevamo detto per esempio di destinare il 10 per cento per i produttori alla prima opera. Si possono fare un po’ di cose. Vorrei capire innanzitutto se questa esigenza sia avvertita anche dalla vostra associazione Pag. 6 e in secondo luogo come intervenire in convenzione e poi in contratto di servizio per fare una cosa che ritengo doverosa, cioè ampliare la platea di coloro che possono accedere a questi contributi, considerato che per le cose che lei ha detto si opera più o meno in situazioni di monopolio e considerato che, se è esplicitato nella convenzione che la Rai è la più grande impresa culturale del Paese, ha tra i suoi obiettivi inevitabilmente anche quello di fare un servizio al Paese, quindi di far crescere ulteriori soggetti.

  ALBERTO AIROLA. Grazie di essere qui, grazie del vostro lavoro. Quello che diciamo dal primo giorno in cui abbiamo incontrato Andreatta è la parola «trasparenza», l'abbiamo ripetuta più volte, abbiamo cercato di capire spessissimo come e a chi venissero finanziati prodotti soprattutto di fiction, sostenendo che fosse importante, come evidenziato anche prima dal collega, capire i criteri di selezione e ampliare la platea. Da quando siamo qua ad oggi vennero fuori le famose Happy Five, venne fuori un circolo di produttori che fanno anche buoni prodotti (alcuni no, sono scadenti ma altri sono di qualità) che però hanno trasformato la Rai in un bancomat, senza rischio d'impresa, senza alcun tipo di problema, con contratti di pre-acquisto che lasciavano ampi margini di spesa ingiustificati al produttore. Questa non è la mission che il servizio pubblico deve avere, cioè favorire un ristretto giro. Quello che la concessione stabilisce è che la Rai come grande industria culturale italiana indubbiamente è un incubatore di soggetti, è un fertilizzante per un tessuto produttivo che deve però anche stare in piedi da solo in primis, che deve favorire non con grosse concentrazioni di denaro a pochi, ma con ampi finanziamenti le co-produzioni, l'interazione tra produttori per fare prodotti che oramai vanno sui mercati internazionali, che con internet cambiano completamente la fruizione. Anche alla luce di questo vorrei capire che tipo di prodotti questi 22 produttori abbiano mediamente fornito al servizio pubblico, perché la Rai deve fare questo. Io taglierei (non so se voi siate d'accordo) Rai Cinema e 01, non capisco perché debba vedere un film che produce il servizio pubblico al cinema e avere una casa di distribuzione cinematografica, mi chiedo se questo non sia invece un sistema per dare un servizio completo a un amico. Magari si tratta di prodotti di pregio culturale, ma a soggetti che potrebbero tranquillamente trovare finanziamenti sul mercato, senza bisogno di ricorrere al finanziamento della Rai, magari lasciando spazio a nuovi soggetti, che oggi, anche con il cambio tecnologico, hanno la possibilità di fare prodotti di alto livello, di alta qualità, e li abbiamo visti.
  Avremo in audizione anche i documentaristi, quindi parleremo anche con loro. Va bene che la Rai produca, purché si cambi completamente l'approccio, anche sui diritti. Sinceramente conosco poco la gestione dei diritti, ma so che ogni messa in onda di un prodotto famoso anche venduto all'estero come potrebbe essere Montalbano frutta molti diritti al produttore, o viceversa a volte alla Rai e non al produttore. Nel caso che ho citato frutta 100.000 euro a volta. Sicuramente anche su quello ci potete dare degli stimoli.
  Quanto alle quote, io di Agcom non mi fido, l'altro giorno ho abbandonato la seduta quando è venuto Cardani, perché non funziona. La questione delle quote mi è stata posta da tantissimi, in questi anni, ed è un lavoro che anche noi dobbiamo cercare di fare adeguatamente, perché i confini sono labili, una cosa passa facilmente per osmosi in un'altra area concettuale, in un'altra categoria. A me sembra che il contributo che questa Commissione possa dare, anche nell'eventuale riscrittura di un contratto di servizio pubblico che speriamo domani vada in funzione, sia di facilitare questo tipo di impostazione e vorrei sapere se condividete questa visione.

  MAURIZIO GASPARRI. Il presidente Follini ha giustamente richiamato nel documento che ho letto, avendo potuto sentire solo la conclusione, anche la necessità di integrare con la sottolineatura dell'indipendenza i fornitori nell'ambito della realtà nazionale.
  Gli orientamenti che ci sottoponete sono da condividere e dovremo farne oggetto di Pag. 7riflessione nella stesura del nostro parere e delle eventuali modifiche. Quello che resta un problema, che è stato già accennato dai colleghi e non voglio non rilevare, riguarda non tanto voi quanto la controparte, l'azienda, nel senso che nel campo delle produzioni sappiamo che, essendo un campo di creatività, la discrezionalità di scelta spesso ha portato a un abuso di questa discrezionalità nello svolgere una politica un po’ clientelare nel settore. Abbiamo avuto una fase, anni fa, in cui tutti diventano produttori di fiction, era più facile incontrare un produttore di fiction che un lavoratore, perché tutti ritenevano che si potesse fare la fiction, ed è stata una fase di moltiplicazione eccessiva. Ora mi pare che ci sia la tendenza contraria nel restringere su alcuni, anche voi come orientamento politico perché adesso, se non si fa la fiction a favore dell'immigrazione clandestina, la fiction non va. Ho visto che una delle ultime, quella su Portopalo, ha fatto arrabbiare anche i pescatori, perché c'è un eccesso di lettura ideologica.
  Le vostre considerazioni sono sicuramente da prendere in considerazione, anche per tutelare un comparto fondamentale dal punto di vista culturale e identitario del Paese e quindi anche delle sottolineature però dell'indipendenza. I rilievi sono più sul versante della domanda della Rai, perché, dopo una fase di spezzettamento eccessivo, è anche interesse del Paese consolidare alcune figure che possano reggere la sfida non solo del mercato interno, ma anche del mercato internazionale, ma ora mi sembra che si stia andando nell'eccesso opposto, un po’ per i tagli, un po’ per esigenze di spesa. Credo che su questo dovremo in sede di parere sottolineare un'esigenza di maggiore pluralismo e dei contenuti e dell'offerta, perché l'impressione è che anche sull'aspetto tematico ci sia stata in questi ultimi due anni un'ossessione per cui la fiction deve essere di un certo tipo e di un certo orientamento, mentre credo che la fiction, che è importante nella narrazione del Paese, debba essere plurale. È vero che si è occupata anche molte delle forze di polizia, qualche volta con effetti nefasti, perché la fiction sul Corpo forestale dello Stato ha accompagnato la sua soppressione, quindi non sempre sono state utili, però credo che anche le forze di polizia ne abbiano tratto un giovamento. Ci auguriamo quindi che la Rai sappia cogliere quest'appello e garantire maggiore pluralismo nei contenuti e nella presenza delle aziende nel novero delle sue scelte.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Volevo anch'io ringraziare per la presenza i rappresentanti di APT e il presidente Follini, è sempre un piacere interloquire con lui nelle aule parlamentari, seppure in questo suo ruolo, in questa sua funzione.
  Volevo soltanto sottolineare alcune questioni che erano presenti in maniera dettagliata nella nota e richiamate dal presidente Follini, perché credo che siano utili per il lavoro della Commissione per l'espressione del parere. La prima considerazione, il riconoscimento della prima volta in concessione, che credo anch'io sia un aspetto di rilievo, una scelta che merita di essere sottolineata, così come la seconda questione, la sottolineatura che ha fatto il presidente Follini, cioè la necessità di aggiungere l'aggettivo «indipendente», che credo sia uno spunto di riflessione che questa Commissione dovrà cogliere.
  Per quanto riguarda il terzo aspetto, il percorso che ha condotto alla concessione, quindi alla fase di consultazione ha introdotto un elemento che esula dall'espressione del parere sullo schema di convenzione, però credo anch'io che sia fondamentale che questo metodo, questo confronto, questo coinvolgimento debba proseguire, anche perché sappiamo tutti che, una volta approvato lo schema di convenzione, ci sarà un passaggio altrettanto importante e vieppiù delicato, ossia il contratto di servizio, e quindi che questo stesso metodo sia applicato anche in funzione della predisposizione del contratto di servizio e quindi ci sia un rapporto, un sentire nel senso di audire anche da parte di MISE e dell'Agcom dell'APT.
  Infine una questione che esula dalle competenze della Commissione, ossia il fatto che, come richiamato dal presidente Follini, nel TUSMAR ci sia un riferimento preciso alle quote. Ci ha segnalato come Pag. 8Rai di fatto le rispetti, ma non sia così da parte degli altri operatori, questa non è una competenza della Vigilanza, ma ogni singolo commissario, oltre ad essere in Vigilanza, è anche in altre Commissioni, ha la possibilità di interloquire con il Governo sui singoli provvedimenti, per cui credo che questo elemento che ci è stato fornito, sebbene non sia nelle nostre strette competenze, possa essere fatto valere da ogni singolo parlamentare.

  PRESIDENTE. Tre questioni velocissime. Una cosa che non vi va giù, un problema che come APT avete e volete risolvere perché non funziona, è sbilanciato, e invece una cosa che sta funzionando e va bene.
  Il senatore Airola ha dichiarato di non fidarsi dell'Agcom, da questo lato ho sentito dire «anche noi», quindi volevo capire perché.

  MARCO FOLLINI, presidente di APT. Ascoltando Margiotta, Airola, Gasparri, Peluffo e adesso da ultimo il presidente mi limito a fare da eco alle considerazioni che ho ascoltato, perché la gran parte delle cose che avete detto ci trova d'accordo e alcune di queste sono anche oggetto di un impegno associativo molto forte, non sempre altrettanto fortunato.
  Vorrei insistere su due punti, secondo me cruciali. Il primo è che introdurre la definizione di produttore indipendente ha un valore e un significato particolari, per cui su questo, se c'è condivisione, ci affidiamo alle vostre cure, tenuto conto che per noi è non solo una bandiera ideologica, ma un tratto che attiene proprio alla nostra identità e alla ragion d'essere della nostra associazione.
  La seconda considerazione è che tra le preoccupazioni che hanno guidato in questi anni e anche prima l'associazione c'è quella di assicurare il maggiore pluralismo imprenditoriale. Siamo un'associazione di produttori grandi, medi, piccoli, qualche volta piccolissimi, e quindi siamo attraversati da vicende che hanno avuto un indice di successo e di soddisfazione molto diversificato. Tuttavia il punto cruciale è che in altri Paesi (viene spontaneo pensare all'Inghilterra, ma non solo) le società di produzione sono nell'ordine di centinaia, mentre noi, anche quando abbiamo avuto qualche anno fa una fioritura, non siamo mai andati oltre qualche decina, e quelle decine tendono progressivamente a diminuire. Nei confronti della Rai la nostra preoccupazione principale è stata quella di assicurare il pluralismo, tant'è che Rai tra le poche indicazioni che fornisce all'inizio dell'anno dice che quest'anno contiamo di lavorare con 22 società di produzione. Naturalmente vorremmo spingerci oltre, ma ciò richiama inevitabilmente il tema delle quote. Mi rendo conto che non è di competenza della Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai, però il sistema poggia o almeno dovrebbe poggiare su questo equilibrio, e questo equilibrio è descritto in un testo di legge, e questo testo di legge trova «n» forzature, «n» violazioni che non vengono sanzionate, e, anche ove venissero sanzionate, restando quel testo, si tratterebbe di pochi spiccioli a confronto di un danno serio che viene inferto al tessuto imprenditoriale. In questo penso che non ci sia un modo magico e risolutivo, anche perché l'abbiamo cercato vanamente in questi anni senza riuscire a venirne a capo né verso Mediaset, né verso Sky, né verso le altre emittenti, quindi è un problema di sistema, però – insisto – la via di una rigenerazione del nostro tessuto imprenditoriale passa anche di lì, e anche la difesa di produzioni di nicchia, affidate a società non megagalattiche, che inevitabilmente hanno maggiori difficoltà sul mercato interno, ma soprattutto sul mercato internazionale, passa attraverso la difesa e l'implementazione di quel sistema. Poiché parliamo di una decisione che il legislatore ha assunto ormai più di una quindicina di anni fa, penso che questo sia assolutamente cruciale, però non voglio sottrarre la parola ai miei colleghi.

  MATTEO LEVI, vicepresidente APT. Vorrei rispondere brevissimamente ai quesiti del presidente Fico. Chiaramente il discorso delle quote è un discorso assolutamente prioritario, me lo ero segnato qui, ma il presidente Follini mi ha anticipato, Pag. 9per noi è assolutamente decisivo e sogniamo che ci siano sanzioni finalmente diverse e anche modi di controllare questo rispetto delle quote assolutamente diversi da come li controlla l'Agcom. Le cose che non vanno bene sono quindi la questione delle quote, la questione dei diritti, che ci sembra un problema ancora di difficile soluzione anche nel rapporto con la Rai, nel senso che su questo tema abbiamo continuamente un conflitto su quali diritti siano di chi, se i nostri diritti siano equamente valorizzati, come richiamato dalla delibera Agcom che viene spesso ignorata, perché sono singolarmente da valorizzare e questo purtroppo non avviene. Su questo siamo vicini a un punto di svolta, determinato dalla legge sul tax credit e dal rafforzamento che ci sarà poi nella Franceschini, dove di nuovo viene richiamata la delibera Agcom per la valorizzazione di ogni singolo diritto. Questo è certamente un punto nodale, perché poi società piccole o grandi hanno possibilità di crescere e di consolidarsi nel mercato unicamente se sono nella condizione di conservare e sfruttare successivamente i diritti. Questa è una delle cose che sicuramente oggi non va bene, sulla quale nutriamo delle speranze, ma credo che sia una cosa che vada attentamente vigilata, e questo è un compito della Commissione Vigilanza, soprattutto nel rapporto con la Rai.
  C'è una cosa che mi ha colpito in questo testo della concessione quando si parla di un allargamento della produzione non solo al prime time, ma anche ad altre reti. Questo chiaramente è fortemente legato al problema delle risorse, e riguarda anche il pluralismo, perché poi il pluralismo è più facile se ci sono risorse. Noi ci siamo ritrovati davanti a una Rai che nel 2016, con il recupero del canone in bolletta, ha effettivamente avuto un bel po’ di soldi in più da spendere, e li ha spesi in parte anche significativa nella produzione di fiction, insomma nel prodotto, che poi è quello che a noi sta a cuore. Ci troviamo di fronte a una Rai che con questo taglio ulteriore del canone a 90 euro, dei quali, da calcoli che ci sono stati forniti, in realtà l'introito per la Rai è di circa 78 euro netti, nel 2017 si troverà probabilmente a tagliare una parte rilevante dell'investimento nella produzione. Per quanto riguarda la produzione di fiction si parla di un circa 15-20 per cento. Francamente trovo che questo sia veramente un grande peccato, perché (ce ne rendiamo conto muovendoci nei mercati internazionali) l'Italia è tornata al centro di un interesse internazionale molto forte. Abbiamo avuto qui il MIA, andiamo a Cannes, andiamo ai festival, e in questo momento l'Italia, che era stata veramente ignorata per tanti anni, è tornata assolutamente centrale. Questo è tornato centrale per merito del tax credit e anche del lavoro che ha fatto la Rai di sostegno a prodotti internazionali, ma perché credo che sia tornato al centro il fatto che siamo molto bravi a realizzare produzioni internazionali. L'Italia 20-25 anni fa era al centro di tutte le coproduzioni europee di fiction ed era l'unico Paese in grado di costruire delle coproduzioni che avessero un significato...

  ALBERTO AIROLA. Con quali prodotti secondo lei? C'è qualche prodotto o qualche genere che ritiene abbia...

  MATTEO LEVI, vicepresidente APT. Di adesso o di 25 anni fa?

  ALBERTO AIROLA. No, di adesso che l'Italia è tornata...

  MATTEO LEVI, vicepresidente APT. Abbiamo visto il successo de I Medici, The Young Pope che ha fatto Sky. A me non piace citare le cose su cui sto lavorando, ma ho preso i diritti per fare una serie da Il nome della rosa, che è un prodotto con un grande appeal internazionale dove ho avuto molte proposte che vengono sicuramente dal titolo, ma anche dal fatto che viene riconosciuta una capacità italiana di realizzare prodotti che possono stare veramente sul mercato internazionale. Anche su questo fronte occorre lavorare sul rispetto delle quote, sul cercare di fare in modo che la Rai abbia maggiori risorse, spingendo attraverso le quote Mediaset e Sky a diventare veramente un po’ più interessanti per il nostro mercato, per il Pag. 10nostro prodotto e per lo sviluppo dell'audiovisivo, e lavorando molto attentamente sulla questione dei diritti. Questi credo siano gli elementi fondamentali.

  GIOVANNI STABILINI, vicepresidente APT. Sono qui come APT, ma sono anche amministratore delegato di Cattleya, una delle big del mercato. Ci siamo arrivati faticosamente in vent'anni e lavoriamo con Sky, con Rai, con Canal Plus, stiamo facendo la prima serie italiana per Netflix in collaborazione con Rai, siamo diventati grandi perché abbiamo lavorato parecchio. Oggi è facile sparare sulla Rai, perché, se non fa ascolti, dici «non siete capaci», se fa impegno, va bene, ma poi gli ascolti mancano, se fa gli ascolti, sei troppo commerciale, insomma è sempre difficile far quadrare i conti e riuscire ad accontentare tutti, presupponendo sempre la buona fede di tutti i critici, ovviamente.
  Se Rai quest'anno ha per la fiction circa 190 milioni e ha lavorato con 22 produttori, è pensabile allargare questa platea? Se si fanno prodotti che debbono avere uno sbocco internazionale, vuol dire che sono prodotti che devono avere un costo orario che non può essere così, perché non hanno appeal, non hanno la qualità produttiva, non hanno le componenti artistiche a livello di recitazione, di direzione, di scrittura. Gli scrittori bravi costano, i registi bravi costano. Io faccio Gomorra che, pur senza un cast, costa tantissimo perché, se la vuoi fare bene, si vede che costa tanto. Allora è molto difficile riuscire ad allargare oltre certi livelli il pluralismo, se le risorse sono poche. Ha ragione Follini: in Inghilterra ci sono centinaia di società di produzione, ma ci sono risorse che sono 6-7 volte quelle che ci sono sul mercato italiano. Se la Rai avesse 500 milioni e non 190, è ovvio che sarebbe normalmente obbligata dal mercato ad allargare esponenzialmente il numero degli interlocutori.
  In passato, la produzione audiovisiva è stata spesso concentrata anche su formati molto corti, il tv-movie di 90 minuti o la miniserie di due serate, così facendo era più facile avere un maggior numero di interlocutori, perché c'è un investimento singolo minore. Nel momento in cui la televisione – non in Italia, ma in tutto il mondo – va verso il seriale, e il seriale è anche lungo, ogni commessa non è più il tv-movie da 1,5 milioni, ma diventa una serie che, quando poco, costa 8-9 milioni. Se ogni commessa viaggia su quegli importi (e non sto parlando de I Medici, sto parlando delle medie), capite che con 190 milioni è un po’ complicato allargare oltremodo la platea degli interlocutori, e non sto facendo una difesa mia, perché vi garantisco che il mio giro d'affari con Rai è circa il 20 per cento del mio giro d'affari totale, per cui francamente, se questo 20 diventasse 10, non mi cambierebbe più di tanto.
  Devo rispondere al senatore Airola sulle repliche. Come diceva Levi, difendiamo un'impostazione in linea con quella degli altri Paesi europei, dove le emittenti acquisiscono i diritti di una serie che commissionano per un massimo di tre anni. Dopo tre anni tornano al produttore e pertanto si crea un mercato secondario di gestione dei diritti, né più né meno come la Warner che, se fa Il Signore degli anelli vende alla Rai o a Sky o a Mediaset per un certo periodo di tempo e per un certo numero di passaggi, dopodiché torna alla Warner che poi lo rivende. Noi difendiamo questo. Grazie all'esistenza del tax credit investiamo di più in ogni produzione, perché abbiamo un beneficio fiscale, che permette di farlo anche a un piccolo che non ha grandi risorse ma, se riceve il 30 per cento di tax credit, può contribuire con il 30 per cento se riesce ad avere un valore di diritti pari a quel 30 per cento. Fatto 100 il valore di una produzione, se Rai ne mette 70 e io produttore 30, vorrei che Rai avesse dei diritti pari a quel 70 che mette e io possa avere diritti pari a quel 30 per cento che metto. Siccome normalmente in una produzione televisiva il grande valore è il primo passaggio, che da solo si porta via il 70 per cento del valore, gli evergreen, quelli che mantengono un alto valore nel tempo con replicabilità molto alta, sono rari in tutte le aree. Pretty woman al quarantesimo passaggio ancora fa grandi ascolti, Bud Spencer e Terence Hill sono andati avanti per trent'anni a fare grandi ascolti, oggi l'unica Pag. 11fiction molto forte anche in replica è Montalbano. La curva di tutte le altre è drammaticamente in ribasso, per cui chiederemmo a Rai di adeguarsi al sistema europeo, dove il committente partecipa in parte maggioritaria al finanziamento di un'opera, io ci metto una buona parte, però tu allora devi accettare una limitazione temporale dei diritti che acquisisci, visto che non stai più mettendo il 100 per cento, non è più un regime di appalto, ma è un regime di cofinanziamento.
  Per rispondere al presidente Fico le tre cose che ci vanno bene e che ci vanno male e sull'Agcom, l'Agcom non ci rassicura assolutamente nella sua funzione di sentinella del sistema. Ci sembra oggettivamente, pesantemente condizionata. Cosa ci piace e non ci piace di Rai, devo dire che in questi anni da un punto di vista editoriale sulla fiction Rai ha fatto un buon lavoro perché, se guardiamo gli ascolti delle prime venti produzioni di fiction in Italia, le prime venti sono tutte di Rai 1, la concorrenza non esiste né quantitativamente né qualitativamente. Questa è la classifica, parte da Montalbano e finisce con Boris Giuliano, però in mezzo c'è che Dio ci aiuti 4, L'Allieva, La mafia uccide solo d'estate, I fantasmi di Portopalo che citava il senatore Gasparri, ma c'è pure Luisa Spagnoli, I bastardi di Pizzofalcone, C'era una volta Studio 1. Mi sembra che ci fosse una discreta frequentazione di tutti i generi, dal più leggero È arrivata la felicità al più impegnato, per cui come APT valutiamo la squadra Rai professionalmente valida, particolarmente quella attuale perché è gestita da una professionista del settore e non da un professionista che viene da altre aree. Non voglio parlar male di predecessori, ma è ovvio che, se Andreatta si occupa di fiction da trent'anni e Del Noce faceva il giornalista al Tg, la formazione è un po’ diversa, con tutto il rispetto. Andreatta era responsabile di fiction di Rai 1, ha sempre lavorato in quell'area.

  SALVATORE MARGIOTTA. Vorrei fare una piccola precisazione perché ho capito che non ci siamo compresi. Premesso che, come giustamente ha detto il presidente Follini, di cui appunto conosco la sensibilità politica, è evidente che ci sono più voci nella vostra associazione, che rappresenta piccoli, medi, grandi e grandissimi, come abbiamo sentito. Il tema del mio intervento non era l'esigenza di ampliare il numero di società, cosa che pure il vostro presidente auspica e che anch'io auspicherei se ci fossero più risorse: il tema è distribuirle diversamente. I numeri contano, sono 22 ma, se andiamo a splittare, l'80 per cento è su 5 e gli altri 17 lavorano con budget minimi, quei 5 saranno sempre i più bravi e i più potenti di tutti e gli altri 17 rimarranno piccolini, cosa che dal mio punto di vista di parlamentare è inaccettabile.

  ALBERTO AIROLA. Non volevo aggiungere nulla, volevo capire di che tipo di prodotti si stesse parlando quando si diceva che 22 avevano lavorato. Non credo che sia possibile aumentare il budget che la Rai mette a disposizione delle produzioni, credo sia necessario trovare o con il tax credit o in altre forme o anche come si faceva una volta, quando il produttore aveva una sua credibilità e gli prestavano i soldi e faceva il film, perché senza la figura del produttore non esiste il prodotto, però non è che si può vivere di produzione statale, cosa che purtroppo il cinema italiano ha fatto, come anche la tv da decenni. Questo era un punto.
  La seconda cosa che volevo capire era: produzione indipendente, ma di quali prodotti vi occupate? Un po’ l'avete detto e sono prodotti che richiedono anche grossi investimenti. Mi domando se il compito del servizio pubblico sia fare dell’entertainer di questo livello, producendolo quasi interamente o coproducendo in piccole parti anche grosse serie di grande intrattenimento. Questa era una questione che mi ponevo come commissario e anche come cittadino.

  GIOVANNI STABILINI, vicepresidente APT. Le posso rispondere al volo: i progetti di fiction veramente internazionali, che funzionano su tanti mercati, sono pochissimi, perché sono poche le storie che possono essere forti in tanti Paesi. I Medici, Il nome della Rosa, se si fa Guerra e pace, se si attinge ai classici della letteratura, che però Pag. 12sono costosissimi e slegati dall'attualità, per cui non è semplice. Tutti vorrebbero poter finanziare in piccola parte una grande opera e pertanto avere un grande prestigio, però è complicato, perché sono veramente poche. Noi produttori siamo sempre alla ricerca di questo Uovo di Colombo che piace a tanti, e pertanto posso attingere da tanti partner, che sia in Inghilterra, in Francia, in Germania, in America, in Italia, faccio una grande produzione da 3 milioni l'ora, ma non è che posso chiedere 3 milioni alla Rai. Siamo sempre alla ricerca di concetti e di spunti di quel tipo, ma sono molto pochi.

  MATTEO LEVI, vicepresidente APT. Aggiungo solo una cifra citando di nuovo il mio caso: a Il nome della rosa la Rai partecipa con un finanziamento che copre il 35-40 per cento del budget, tutto il resto sono risorse trovate sui mercati esteri dal produttore, non dalla Rai. Questo mi sembra un processo virtuoso, perché la Rai partecipa pagando una piccola quota a una produzione internazionale di grande rilievo, che mi auguro sarà di grande qualità. Per rispondere a lei, onorevole, sulla questione Montalbano, credo sia vero (non ne ho la certezza, ma l'ho sentito dire anche in passato) che ogni replica di Montalbano venga pagata 100.000 euro alla Palomar. Sa quanto rende alla Rai ogni replica di Montalbano che fa il 40 per cento? Pare intorno al milione di euro di pubblicità solo per una replica.

  ALBERTO AIROLA. Lo fanno anche ad agosto.

  MATTEO LEVI, vicepresidente APT. D'accordo, però è una rendita, un utile per la Rai. Pagano 100 e incassano 1 milione di euro. Mi pare un affarone magnifico.

  MARCO FOLLINI, presidente di APT. Volevo solo chiarire un punto e dissipare un'impressione, lo dico per il verbale. Noi associazione, ma soprattutto i produttori abbiamo con Rai un rapporto con qualche traccia di ambiguità, che rientra nella categoria croce e delizia. L'aspetto della delizia, come è evidente, è nei numeri, però, avendo molti dei nostri prodotti uno sbocco di mercato quasi obbligato, non essendo in una condizione di effettiva, libera concorrenza, questo determina da parte nostra un apprezzamento ogni volta che la Rai investe e scommette sulla produzione, ma anche la fragilità di avere nella maggior parte dei casi un solo interlocutore e quindi di essere nella condizione di un mercato che non è sufficientemente pluralistico per potersi affermare.
  Ho sentito nel nostro ambiente (lo dico come testimonianza di questi anni) apprezzamento e finanche gratitudine per il fatto che la Rai investisse e scommettesse sulla produzione, naturalmente avendone ritorni sia di pubblico sia sulla pubblicità, e nello stesso tempo un senso di costrizione per il fatto di non potersi rivolgere altrove in molti casi e di essere soggetti a condizioni contrattuali che non sempre sono dal nostro punto di vista le più eque, perché il coltello dalla parte del manico non ce l'ha il sistema produttivo, è una sorta di complemento oggetto in molti casi.
  Vi inviterei a fare un esercizio che può essere di qualche utilità, cioè a rapportare le cifre di investimento sulla produzione ad esempio di fiction (oggi il ragionamento è andato su quel versante più che su quello dell'intrattenimento e dei documentari, ma forse si potrebbe anche ampliare). Diceva prima Giovanni Stabilini che sono 190-195 i milioni di euro che la Rai conta di destinare alla produzione nel 2017, si tratta di una diminuzione di circa 35 milioni di euro rispetto al 2016. Se risalite indietro nel tempo, a una dozzina d'anni fa, Rai investiva anche più di 300 milioni di euro nella fiction, quindi, se mettete in relazione queste cifre e fate una sorta di diagramma, probabilmente vi renderete conto che, nonostante il buon risultato dell'anno che si è appena chiuso, questa curva tende a scendere e l'impegno produttivo di Rai inevitabilmente risente di un problema di risorse, di cui ci facciamo carico nelle nostre denunce pubbliche, ma su cui debbono insistere decisioni politiche più importanti. Lo dico perché negli anni abbiamo attraversato con Rai fasi molto diverse, e tutte queste fasi sono state lungamente e ancora Pag. 13oggi sono segnate da questa sorta di ambiguità, per cui da un lato vediamo Rai come il partner di un'alleanza strategica, dall'altro vorremmo modificare i termini di questa alleanza e riteniamo che prendere a modello quei Paesi europei dove invece la produzione indipendente è molto più ricca e fiorente che da noi non sia soltanto un esercizio di lobbismo, ma qualcosa che serve a far crescere il sistema.

  CHIARA SBARIGIA, direttore generale di APT. Vorrei dire solo una piccola cosa, nel senso che è inutile mettere sottoquote su cose specifiche; per esempio, ci sono state nel contratto di servizio delle sottoquote destinate ai documentari, che non sono servite a niente. Secondo me l'importante è la trasparenza dell'accesso, cioè tu devi essere un produttore indipendente e devi avere accesso chiaro, pubblico all'interlocutore, che è quello che succede nelle altre emittenti. Se hai una buona idea, se hai una capacità produttiva: è vero che i produttori grandi si sono costruiti questa grandezza con il lavoro, nel tempo hanno più spazio nei palinsesti, però è anche vero che bisogna correlare tutti i provvedimenti al lavoro che queste imprese sviluppano, perché varie regioni hanno allargato tantissimo i criteri di accesso sui fondi regionali, sono entrate tante società piccole, che però non hanno pagato l'ex ENPALS. Bisogna inserire controlli sul lavoro, perché queste società piccole si fregiano di essere piccole e giovani e poi non pagano gli autori, non hanno le troupe regolari, fanno il montaggio nello scantinato e non pagano il montatore. Bisogna tenere in considerazione che quando si parla di regole sul lavoro queste vanno applicate anche ai piccoli, altrimenti si rischia di fare davvero della clientela, come è stato tanto tempo fa in Rai, quando si facevano 200 milioni di attivazioni che si sapeva già che erano programmi che non andavano a finire da nessuna parte. Questo pluralismo secondo me va costruito con sale in zucca, non con sottoquote, ma controllando che effettivamente si sviluppi un lavoro e non si sia fatto un favore a qualcuno, quindi rispettare i minimi salariali, rispettare i pagamenti dell'INPS, cosa che sentiamo molto forte sul livello dei nostri documentaristi, che hanno spesso concorrenti che non rispettano questi parametri. Invece di immaginare sottoquote, cercare di trovare un livello di accesso più facile e più certo, con interlocutori che rispondano al sistema di quello che fanno.

  GIORGIO LAINATI. L'intervento dell'amico Marco Follini mi ha fatto ricordare che in quasi 17 anni di presenza in questa Commissione (mi ricollego alle osservazioni dell'amministratore delegato della Cattleya che condivido totalmente), quando Agostino Saccà era capo di Rai Fiction dodici anni fa venne qui con una bellissima brochure e ci fece vedere esattamente la cosa che lei sottolineava adesso, cioè che i primi dieci o venti prodotti dell'epoca erano prodotti di Rai Uno ed erano quelli che avevano il massimo successo di pubblico, ed è vero, all'epoca c'erano oltre 300 milioni di investimenti.
  Mi dispiace che il senatore Gasparri sia andato via, perché il senatore Gasparri contesta (perché questo voleva dire tra le righe) che con la direzione della dottoressa Andreatta si sia guardato più al sociale, alle questioni grandi dell'immigrazione, ma la stessa cosa è avvenuta quando c'era Saccà al contrario, perché, su sollecitazione dell'allora maggioranza, furono fatte fiction che ripercorrevano tratti storici del nostro Paese oggettivamente oscurati, ad esempio una fiction sulle foibe, che ricordava un periodo storico un po’ nascosto. Viene sempre sollevata la questione del pluralismo delle idee, del pluralismo dei contenuti, del pluralismo delle realtà autorali.
  La fiction I Medici è stata una cosa meravigliosa, credo che la Rai abbia tagliato un traguardo di prestigio straordinario con questa coproduzione di enorme livello italiano e internazionale, così come avvenuto in passato con le bellissime fiction sulle figure dei grandi pontefici della seconda metà del 1900, Giovanni Paolo II, Paolo VI, Giovanni XXIII, fiction che hanno avuto rilievo internazionale ugualmente di grande prestigio. Volevo quindi convenire con le vostre osservazioni e ringraziarvi della presenza.

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  ALBERTO AIROLA. Ecco perché poi Cattleya deve fare Gomorra con Sky, perché quelle sul Papa le prende tutte le Rai!

  GIOVANNI STABILINI, vicepresidente APT. Però Suburra lo facevano con la Rai...

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.
  La seduta è sospesa.

  La seduta, sospesa alle 11.30, riprende alle 13.10.

Audizione di rappresentanti di Doc/it – Associazione Documentaristi Italiani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti di Doc/it –Associazione Documentaristi Italiani.
  Sono presenti la presidente, Agnese Fontana, e il vicepresidente, Marco Visalberghi, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola alla dottoressa Fontana, con riserva per me e per i colleghi di rivolgerle, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  AGNESE FONTANA, presidente di Doc/it. Innanzitutto grazie alla Commissione per aver accolto la nostra richiesta con tempi che sono assolutamente sinonimo di efficienza e di volontà di ascolto, quindi è un grazie che tengo a rappresentare in maniera molto sentita, non sempre abbiamo avuto l'opportunità di una risposta così attenta e veloce.
  Abbiamo letto il testo per il rinnovo della convenzione, e, all'indomani dei lavori che abbiamo seguito nei tavoli di CambieRai e con la partecipazione al questionario e un'attenta interazione, abbiamo trovato che rispetto a quello che può essere il senso della presenza di documentario in termini di servizio pubblico vediamo che non è presente.
  Vorremmo entrare nello specifico, dividendo l'intervento tra me e il vicepresidente. Quello che mi sento di dirvi come partenza è che ho qui un documento di Rai marketing 2005, in cui le caratteristiche del documentario come soggetto scientifico, citazione delle fonti e soprattutto utilità ripetuta «ne fanno il genere televisivo che ha più forte vocazione internazionale» in termini appunto di servizio pubblico. Partecipando più volte alle riscritture, oltre che della concessione, anche del contratto di servizio, non vi abbiamo trovato però una rispondenza che effettivamente determini la presenza in termini di investimento, di quantità, di passaggi, di messa in onda. Da una coscienza che abbiamo condiviso con Rai ormai da tempo enorme, non abbiamo però di fatto visto un risultato concreto. Riteniamo che sia davvero l'occasione per i prossimi dieci anni di porre rimedio a questa azione che sappiamo essere riconosciuta come bisogno, ma che non si riesce a collocare di fatto.

  MARCO VISALBERGHI, vicepresidente di Doc/it. Riteniamo che tutte le volte che ci siamo trovati al tavolo con la dirigenza della Rai a parlare di documentario, di come aiutarlo e come farlo, abbiamo sempre trovato una sensibilità generale, ma poi un'enorme difficoltà nell'applicarlo tecnicamente. Questo deriva da vari motivi: su come si è strutturata l'azienda, ma soprattutto dal fatto che per i due generi principali, il cinema e la fiction, esistono strutture specifiche dedicate, che permettono di sapere quali saranno gli indirizzi dell'azienda, quali saranno i tempi e le risorse economiche disponibili. Come associazione ho partecipato a diversi di questi incontri, nei quali abbiamo chiesto con forza che venisse fatto per il documentario qualcosa di simile, ma per una serie di motivi non è mai successo. Questo ha fatto sì che la Rai non abbia alcuna politica del documentario inteso nel senso più classico, ma prenda i Pag. 15documentari nel momento in cui le servono, quando sono pronti ed è tutto finito.
  Non c'è nulla che sia la programmazione iniziale, tanto che la Rai fa fatica a raggiungere le quote di produzione per il genere documentario, e tra l'altro lo fa con trucchi contabili. Quello che infatti avviene normalmente a livello Rai è che si dice di produrre una certa quantità di documentari, ma molti di questi sono stati comprati all'ultimo momento nei vari mercati, ci si mette un presentatore e un cappello, quello diventa un programma di produzione e immediatamente diventa quota produzione. La Rai ha l'obbligo di dedicare il 15 per cento delle risorse alla produzione indipendente, sapete che Agcom ha una serie di procedure di infrazione contro Rai e contro Mediaset, che non rispettano queste quote. All'interno di quelle quote ci sono una serie di trucchi contabili (per dirla in modo carino), uno è quello che vi ho citato, l'altro è che cercavano di far passare Sanremo come un fatto di produzione. Alla fine hanno detto di essersi sbagliati e si sono scusati. Resta il fatto che tutte le volte noi come produttori indipendenti ci troviamo a portare in giro progetti di documentari che riteniamo importanti, che trovano anche interesse in altre strutture europee e internazionali, ma ci arriviamo sempre senza l'appoggio del servizio pubblico italiano o comunque dei canali italiani, perché aspettano a comprarlo all'ultimo momento, se per caso piace loro: a ogni richiesta di una lettera di interesse che ci servirebbe per entrare all'interno dei circuiti europei di Media, Media Broadcasting, ci viene risposto che non c'è la matricola, il che vuol dire che siamo autorizzati a investire dei soldi solo su qualcosa che è già in palinsesto programmato.
  Siccome i documentari e anche i film impiegano due, tre, quattro anni di gestazione per essere fatti, non riusciamo mai ad avere nessun tipo di supporto. Questo mette la produzione italiana in una difficoltà estrema.
  L'unica eccezione Rai è quella di Rai Cinema, che, avendo applicato le stesse regole che usa per il cinema a quei documentari che hanno l'ambizione di sala, ha permesso ad alcuni capolavori, come per esempio quelli di Gianfranco Rosi, di vincere premi internazionali, di essere fatti con quattro soldi perché l'investimento Rai era un quinto del budget generale, però, nonostante questo, è bastato quel poco per far fiorire delle cose.
  Il sistema della produzione documentaristica in Italia potrebbe produrre molto di più, affermarsi e invertire quella terribile equazione che vede l'Italia che compra 10 all'estero ed esporta 3 o forse 4, il contrario di quello che succede in Inghilterra, dove questi rapporti sono assolutamente capovolti, laddove per ogni sterlina investita in un documentario inglese ne entrano tra le 2 e le 4 di vendita sui mercati internazionali, quindi fa bene al sistema Paese.
  Siamo molto felici di essere qui oggi, perché riteniamo che a livello di concessione del servizio pubblico vada inserita una clausola che spinga la Rai a tener presente due cose fondamentali: avere un modo trasparente di gestione, in cui venga dichiarato pubblicamente quali saranno le prospettive editoriali sulle quali si può lavorare, e quali saranno gli investimenti a fronte di questo in un sistema di trasparenza.
  Nel sistema inglese, che continuiamo a considerare il modello europeo più funzionale, BBC investe nella produzione indipendente oltre il 50 per cento delle risorse proprie, sta sfiorando il 60 e ha in progetto di arrivare addirittura all'80, trasformando un pezzetto di BBC stessa in una specie di possibile competitore, che compete con le stesse identiche regole dei produttori indipendenti. Questo per dirvi che è molto importante che a livello della concessione sia inserita una parola nell'articolo 3, lettera d), ovvero sia specificato «documentario nelle sue varie forme», perché questo non c'è, e sia poi specificato nel paragrafo immediatamente successivo il fatto che Rai si deve impegnare a dichiarare in modo chiaro progetti e risorse che mette a disposizione. Se non viene fatto questo, c'è il grossissimo rischio di vanificare tutto lo sforzo che è stato messo nella legge cinema, di cui aspettiamo i decreti attuativi, ma che è una straordinaria leva per far decollare la Pag. 16produzione indipendente italiana e portarla a livello europeo. Se il servizio pubblico non fa la sua parte, rischiamo di avere un cavallo zoppo, perché abbiamo messo da parte una serie di risorse e creato uno scenario in cui il servizio pubblico deve necessariamente fare la sua parte e dare l'esempio.

  AGNESE FONTANA, presidente di Doc/it. Vorrei integrare questo dato con un esempio pratico: le azioni di Doc/it in sinergia con il MiBACT hanno consentito che ci fosse un accordo per lo sviluppo di progetti di documentario con il territorio del Canada, accordo che prevede per la selezione dei progetti nella parte canadese che vi sia già un broadcaster on board come caratteristica tecnica. Stante la situazione italiana, il MiBACT non ha messo questo vincolo, è una soluzione soltanto formale, perché con un fondo a disposizione quest'anno gli imprenditori italiani sono riusciti a posizionare una sola domanda per il fondo, perché dall'altra parte per i canadesi, se vedono il produttore italiano che arriva senza il broadcaster, non c'è credibilità. Doc/it ha 18 anni di vita, quindi è un percorso lungo, e l'approdo all'accordo con il Canada è stata un'azione durata 6 anni, siamo riusciti ad avere un fondo allo sviluppo, ma continuiamo ad essere zoppi di una parte che è fondamentale per l'audiovisivo. Non può essere il MiBACT da solo ad assumersi la missione di creare questa sinergia nel nostro settore, dando risorse per lo sviluppo.
  Il problema della matricola che esponeva nel dettaglio il mio collega è fondante, perché impedisce di partecipare a quei mercati dove si presentano i progetti su selezione, con caratteristiche economiche, quindi dopo un anno di lavoro si arriva a presentare finalmente il progetto e sempre senza il broadcaster, quindi viene assolutamente meno per noi la possibilità di competere sul mercato europeo alla pari rispetto agli altri colleghi, anche laddove ci sono già dei risultati, senza il broadcaster ci fermiamo e inizia un processo di recessione. Il MiBACT sta pensando di modificare il fondo che aveva messo a disposizione del documentario e spostarlo sulla fiction, quindi rischia di essere troppo tardi.

  MAURIZIO ROSSI. Forse avete letto le mie domande, che dicono cose alle quali in parte avete risposto. Il settore documentaristico è uno di quelli che più di altre produzioni è riconoscibile come servizio pubblico, come asserivo nelle domande che vi ho mandato. La BBC, oltre a produrre con denaro pubblico molti documentari, ne trae un enorme beneficio nella vendita dei diritti all'estero, e avete detto addirittura per 1 sterlina di investimento addirittura 3 o 4 sterline.
  Qual è la situazione sino a oggi con la vecchia convenzione del finanziamento di produzione documentaristica? In parte avete risposto, però io, come ho chiesto agli altri cortesemente di svolgere una relazione, vi sarei grato se inviaste risposte scritte.
  Che tipo di ritorno ha avuto la vendita dei diritti all'estero? Come ritenete sia bene inserire in convenzione la scelta di produzioni documentaristiche? Quali criteri di scelta devono essere secondo voi operati e da chi dovrebbero essere effettuati? Con quali criteri si deve valutare il costo delle produzioni, quando si tratta di investimenti di denaro pubblico derivanti dal canone? Cioè anche comprendere a chi spetti valutare se un prodotto vale 50.000 o 500.000 euro, perché sappiamo che non si va ad appalto, ma si può andare a trattativa diretta, quindi diventa un fatto particolarmente delicato. Il problema principale che vorrei evidenziare è che la convenzione è nuovamente carente di un fatto di fondamentale importanza: abbiamo sbagliato per vent'anni e rischiamo di fare una convenzione con cui sbagliamo per i prossimi dieci, perché non c'è scritto niente, la convenzione non scrive e non dice nulla, e più che altro non dice quello che è il servizio pubblico e quello che non è servizio pubblico.
  Ora, è chiaro che la documentaristica non solo è servizio pubblico, ma è un investimento di denaro del Paese attraverso concessionarie del servizio pubblico che porta l'immagine del Paese nel mondo, quindi deve vendere economicamente, ma credo che se volessimo fare 5.000 documentari Pag. 17 sull'Italia sarebbero pochi, abbiamo un numero infinito di documentari che si possono fare nel nostro Paese. Questa parte, però, purtroppo, non essendo definito che cos'è il servizio pubblico e per colpa del sistema misto, dove poi bisogna inserire la pubblicità nelle produzioni, quindi oltre a utilizzare il denaro pubblico per fare delle produzioni si pensa a fare gli ascolti, perché in questo modo rende a livello pubblicitario, è veramente il cancro di questo sistema. Se invece il servizio pubblico fosse nettamente separato, come peraltro invita l'Europa, con una separazione societaria che predilige la separazione contabile per i prossimi anni, quindi senza più la possibilità di inserire pubblicità nei programmi che sono pagati dal servizio pubblico, allora arriveremmo a privilegiare tutte quelle produzioni e tutti quegli investimenti che servono al Paese, che fanno cultura e che possono creare un ritorno economico enorme, oltre che d'immagine del Paese, quindi sarebbe certamente valorizzata a mio giudizio la parte documentaristica.

  ALBERTO AIROLA. Abbiamo più volte inserito le vostre segnalazioni anche nel contratto di servizio pubblico, che purtroppo giace in un cassetto, quindi il problema nostro è che spesso che accogliamo ed elaboriamo le proposte, per esempio la lettera d'interesse, che era un problema serio perché forse non tutti sanno che, a dispetto di film o fiction, un documentario dal momento dell'ideazione alla realizzazione può prevedere tempi veramente lunghi, fino a 3-4 anni o anche di più, quindi la possibilità di avere una commessa o avere al proprio fianco un broadcaster per coinvolgere altri investitori nelle famose coproduzioni, tanto auspicate nel documento che stiamo elaborando. La Rai non soltanto non raggiunge le quote, ma aggira (ho avuto modo anche di parlare con Del Brocco su Rai Cinema) il problema della presenza del documentario, che è un elemento fondante e caratterizzante del servizio pubblico, rispondendo che su Rai5 ci sono parecchi documentari anche belli, ma sulla Rai generalista, che forse sarebbe anche il momento di rivedere alla luce del cambiamento tecnologico e della riforma che sta portando avanti Campo Dall'Orto sull'informazione sulla piattaforma web, non esistono! Oppure togliamo la Rai generalista, facciamo canali tematici, cambiamo struttura, cambiamo visione di quello che deve essere il servizio pubblico televisivo, perché il problema è che Del Brocco mi diceva di aver prodotto centinaia di documentari (alcuni sicuramente pregevoli), però in TV non li vedo, se li vedo al cinema non mi basta, non è servizio pubblico, posso vederli al cinema ma devo vederli sulla Rai, se li ha prodotti la Rai. Sono il genere più premiato al mondo, attualmente ogni premio internazionale che stiamo prendendo è riferito a un documentario perché, al di là della lunga tradizione italiana, è proprio un genere che sappiamo fare bene.
  Raccolgo quindi le vostre istanze e provo a riproporle in questo modo, ma voi chiedete una trasparenza nella gestione che chiediamo da tempo, risorse certe che chiediamo da tempo; avete citato Agcom che ha condannato la Rai, ma, se un’Authority non prende posizione o condanna senza che segua alcuna reazione, il nostro lavoro sarà inutile.
  Dovrò chiedere conto dei decreti attuativi sul tax credit, perché a quanto mi è stato segnalato, sono indietro: un altro tema che rientra nel discorso di produzione per la Rai, perché serve per fare anche servizio pubblico. Fino a che non riusciremo a fare questo, temo che il documentario continuerà a soffrire, i documentaristi continueranno a soffrire, e in Rai vedremo più fiction. Non sono contro la fiction, ma penso che il servizio pubblico debba trasmettere più documentari.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Ringrazio per la presenza e per le comunicazioni. Credo che sia stata una giusta sollecitazione la vostra presenza oggi in audizione, di interesse e di utilità al lavoro che la Commissione sta facendo per la predisposizione del parere sullo schema di convenzione.
  C'era una prima questione sollevata e che sottolineo, perché mi sembra interessante. Avete messo in evidenza come è organizzata Rai e probabilmente ha un Pag. 18riflesso su come vengono trattati prodotti diversi, cioè dicevate che cinema e fiction hanno struttura dedicata, così non ha il documentario: immagino che questo attenga più alle scelte aziendali o essere materia più da contratto di servizio che non da convenzione, però abbiamo ricevuto uno stimolo importante.
  Una seconda questione sollevata dal collega Airola è il ruolo del servizio pubblico in riferimento anche alla legge sul cinema, al tax credit, e alle opportunità che la legge dischiude e il rischio che queste vengano vanificate. Questo mi sembra un altro elemento da approfondire. Tra l'altro, abbiamo alcuni colleghi che fanno parte della commissione cultura (il presidente Lainati e la collega Bonaccorsi e altri) e questo forse è un tema da approfondire, per capire se possiamo utilizzare questa occasione per creare una sinergia, un combinato disposto su questi due aspetti.
  Infine, l'ha sollevato il collega Rossi, ma era un po’ in filigrana anche negli interventi precedenti, il tema dei diritti secondari, evocati anche nell'audizione dell'APT. Ricordo che questa Commissione ha discusso il tema con una serie di emendamenti nello scorso contratto di servizio, tema da riproporre. Mi sembra che anche questo sia materia da contratto di servizio, ma del resto abbiamo comunque uno schema che prevede il rinnovo dell'atto concessorio che porta con sé uno schema di convenzione sui princìpi generali, che poi devono essere applicati attraverso lo strumento identificato dalla legge, che è il contratto di servizio, per cui bisogna riuscire a perimetrare nella maniera più corretta questioni di rilevanza e comprendere fino in fondo a quale dei due alvei debbano essere collegati.

  MARCO VISALBERGHI, vicepresidente di Doc/it. Riguardo a quest'ultimo punto voglio soltanto riportare la nostra esperienza diretta. La concessione è un momento in cui voi come Commissione, il Parlamento e il Governo hanno la possibilità di dettare i perimetri nei quali Rai si muoverà per i prossimi dieci anni. Nel momento in cui si passa invece alla scrittura del contratto di servizio, che ho sentito sarà quinquennale questa volta e quindi avrà una durata più lunga, a quel punto il potere della Rai di fare quello che farebbe qualunque organismo che esiste da tanti anni, cioè un tentativo di conservazione dei propri spazi e dei propri equilibri, diventa enorme.
  Abbiamo anche provato a scrivere una semplice aggiunta di questo articolo 4 che volentieri vi mandiamo, per instillare il principio, poi ispirato al modo in cui opera BBC, di avere un rapporto diretto nel pubblicare le cose, nel dire le cose, messo all'interno della convenzione ha un potere di fronte al quale nessuno può fare marcia indietro e restano dei princìpi generali. Certo, ci aspettavamo di più da questa legge quando parlavamo con Giacomelli e con Cocconi di fare una cosa collegata, che vedesse il servizio pubblico diventare uno dei pilastri fondamentali della legge sul tax credit e anche di quello che il MiBACT a sua volta fa, ma perdere dieci anni vorrebbe dire un danno grave per questo Paese.

  MAURIZIO ROSSI. Brevemente, con tutto il rispetto della posizione dell'altro relatore, on. Peluffo, la mia posizione è esattamente quella che avete indicato: ritengo non sia possibile affidare una concessione senza contestualmente stabilire diritti e obblighi del concessionario. Qua non ci sono e rimandano a un contratto di servizio, a documenti successivi, e secondo me è totalmente illegittimo ma, al di là di ciò, il contratto di servizio potrebbe anche non essere mai fatto, tanto che andiamo avanti con quello del 2012.

  AGNESE FONTANA, presidente di Doc/it. Volevo aggiungere un elemento relativamente alla coproduzione, ai fini della condivisione del percorso produttivo di documentario. Dicendo che BBC fa un'azione felice e sana nel fissare annualmente dei momenti in cui espone la propria linea editoriale, significa che la controparte produttore indipendente mette in cantiere lo studio e lo sviluppo di progetti che poi troveranno una collocazione, perché la strategia è comune, quindi è un'azione di mercato Pag. 19 molto semplice, quindi fa servizio pubblico dando delle linee, e il produttore indipendente per natura non si trova in contrapposizione e non impone nulla all'azione che il broadcaster giustamente è libero di fare, studiando le proprie linee editoriali e le proprie idee di programmazione. Si tratta di un elemento fondamentale, perché oggi ci impedisce di avere il prodotto giusto pronto al momento giusto. Significa che la produzione indipendente sviluppa progetti di propria iniziativa, che potrebbero trovare una collocazione o meno, e solo in termini di casualità e fortuna trova nel broadcaster il partner economico al momento della chiusura del progetto, quindi anche con un potere contrattuale che va completamente al di fuori dei riferimenti di mercato. Non solo quella sterlina che andrebbe investita e ne porterebbe quattro non esiste, ma c'è una sproporzione economica rispetto ai valori di mercato. È importante avere un riferimento, perché si tratta di acquisizioni in trattativa di mercato, è un mercato molto preciso, ci sono mercati di documentari dove i progetti vengono sviluppati, i budget sono pubblici, l'intervento in quota dei broadcaster è pubblico, dichiarato, con il broadcaster seduto a fianco fin dalla partenza in fase di sviluppo. Non abbiamo neanche i dati della chiusura, quando i prodotti vanno a messa in onda, è proprio un sistema che si riferisce sulla base in maniera completamente non conoscibile in questi termini. Come imprenditore, come produttore indipendente, nel momento in cui si frequenta un mercato queste cose sono assolutamente en plein air, condivisibili e conoscibili.
  Rai Cinema, che ha maggiore libertà in termini di programmazione perché ambisce alla sala e con questo elemento è svincolata da problematiche come quelle che dicevamo prima dei codici interni, ha però un budget limitatissimo per il documentario e alla fine interviene con proporzioni che non sono quelle del mercato europeo, sono quelle del pre-acquisto, anziché quelle della coproduzione e ancora quelle dell'acquisto, che è sempre pre-acquisto perché è prima della fine del prodotto, ma il prodotto ormai è al montaggio e a volte si fanno i titoli, quindi il processo operativo produttivo è completamente avvenuto, non rispettano i termini di mercato. Questo fa sì che il racconto dei beni culturali che abbiamo, che è un settore del documentario che sta molto a cuore a tutti noi proprio come Paese, veda produzioni BBC fortissime che vengono in casa nostra a raccontare la nostra identità culturale. Un rapporto sano con il broadcaster farebbe della produzione italiana la controparte in coproduzione anche su tutti quei prodotti, che gli altri poi vendono in tutto il mondo con il successo economico di cui parlavamo prima. Basterebbe poco in realtà per innescare un meccanismo virtuoso, che ci renderebbe protagonisti in maniera sana del mercato del documentario.

  MARCO VISALBERGHI, vicepresidente di Doc/it. Volevo solo riassumere quanto diceva Agnese Fontana, dicendo che tutto sommato quello che Doc/it vi chiede è metteteci a pari grado dei nostri competitori europei. C'è una legge che sta per entrare in vigore, che ha una serie di grosse innovazioni e che tende a dare alla produzione indipendente un ruolo paragonabile al resto d'Europa. Se manca la stampella del servizio pubblico, rischiamo di fare un cavallo zoppo, quindi la domanda è: metteteci in condizione di risollevare questo settore e competere in Europa!

  PRESIDENTE. Con chi avviene la vostra interlocuzione in Rai, con quale direzione?

  MARCO VISALBERGHI, vicepresidente di Doc/it. In questo momento è abbastanza assente. Campo Dall'Orto e i suoi collaboratori sostanzialmente hanno detto: «stiamo lavorando, non abbiamo bisogno di consigli, quando avremo fatto vi diremo» e sono due anni che ci dicono questo, da quando lo hanno eletto.
  Prima, con Giancarlo Leone, avevamo fatto dei tavoli e cominciato a fare delle discussioni, che però non riescono a calarsi... credo in tutta sincerità che rappresentiamo un settore economicamente piccolo perché loro ci si dedichino davvero, non siamo la fiction, non siamo il cinema, Pag. 20non siamo l'intrattenimento, e dovrebbero smontare una macchina ormai consolidata che va in un certo modo. È molto più semplice per le reti andare a Cannes, vedere qual è l'ultimo documentario che ha avuto successo, prenderlo e camuffarlo un po’. Una volta Rai faceva (li inventò Minoli) i famosi acquisti con credit, nei quali uno va da un broadcaster e, se il prodotto costa 10.000, propone di dargli anche 12, purché lo faccia figurare come se lo avessero coprodotto. Questo è acquisto con credit, invenzione del grande Giovanni Minoli, che ha fatto grandissima televisione e che aggirava i meccanismi in modo un po’ spregiudicato, ma facendo della bella televisione. Questa per esempio era una prassi normale. Per buona parte delle produzioni che noi facciamo si va da uno dei direttori di rete che ti dice: «sì, questa cosa mi interessa, quindi producilo, fallo, quando l'hai finito e siamo in corso d'opera per cui ho la matricola aperta torni da me e quasi certamente te lo compro». Questa è una specie di commissione sotto mentite spoglie con il trucco dietro, però è l'unico modo in cui si riesce ad andare. Voi non sapete quante volte assicuriamo ai nostri partner che non abbiamo l'impegno Rai scritto, però io sono molto amico e mi ha detto che lo prenderà, credimi sulla parola.

  PRESIDENTE. Ciò che chiedevo era proprio questo perché, essendoci Rai Fiction, essendoci Rai Cinema, chi vuole fare documentari in un'associazione come la vostra in che struttura va, con chi si pone? Poi succede tutto quello che lei ci ha raccontato.
  È importantissima la convenzione, e decideranno poi i relatori e la Commissione come inserire, però lo stimolo è senza dubbio giusto, ma, a prescindere da questo, deve iniziare un'interlocuzione totalmente diversa tra chi deve fare i documentari e una direzione organizzata per questo o una sotto-direzione in Rai.

  ALBERTO AIROLA. Intanto il documentario è un genere cinematografico, quindi non c'è bisogno di inventarsi nuove aree semantiche o settori della Rai dove inserire il documentario. Il modo trasparente di gestione è basilare e lo possiamo mettere in questa convenzione, perché in quattro anni non abbiamo mai avuto il budget che hanno ricevuto nero su bianco le famose Happy Five e le altre case di produzione, li ho avuti sottobanco io qualche volta, non sempre, non tutte le stagioni. Andreatta ci ha portato un documento che non dice nulla in merito a come vengono divisi realmente i budget, la fetta destinata a quel tipo di produzione è ridotta di parecchio, ma comunque esorbitante rispetto a un servizio pubblico che dovrebbe concentrarsi più sulla formazione culturale del popolo italiano che sull'intrattenimento. Questo è quanto. Anche sulle risorse certe non abbiamo mai avuto dati neanche noi in Commissione di vigilanza Rai.

  PRESIDENTE. Solo per lasciarlo agli atti, su nostra richiesta formulata durante l'ultima audizione, Andreatta ci diede poi la documentazione.

  ALBERTO AIROLA. Erano dati aggregati, che davano un'idea... Non mi diceva che Don Matteo costa un milione a puntata.

  PRESIDENTE. No, diceva quanto aveva avuto una data azienda, quanti nuovi erano entrati nel mercato.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Ordine
nazionale dei giornalisti.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di Pag. 21convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti dell'Ordine nazionale dei giornalisti.
  È presente il vicepresidente, Santino Franchina, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Franchina, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  SANTINO FRANCHINA, vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti. Sono io che ringrazio voi. Sono Franchina, da questa mattina presidente ad interim del Consiglio nazionale dell'Ordine perché abbiamo avuto, proprio ieri sera, la formalizzazione delle dimissioni di Enzo Iacopino. Vi ringrazio, quindi, per l'invito e vi chiedo comprensione se, eventualmente, non saprò rispondere a qualche vostra domanda, non perché non sono informato ma perché non ho potuto preparare velocemente i documenti da portare con me, avendo ricevuto il vostro invito proprio ieri. Quello che tengo a dire è che noi, come Ordine dei giornalisti, speriamo molto che questa convenzione riesca a portare novità sostanziali nel sistema informazione della Rai. Soprattutto la nostra speranza è che qualsiasi tipo di trasmissione che faccia informazione venga condotta e diretta da giornalisti iscritti all'Ordine. Ciò affinché si possa garantire una deontologia professionale, perché solo gli iscritti all'Ordine non solo conoscono la deontologia professionale, ma hanno l'obbligo di osservarla. Quindi, la nostra speranza è che si vada in questa direzione, con giornalisti regolarmente assunti e contrattualizzati mediante contratti previsti dalle nostre normative.

  PRESIDENTE. Il punto fondamentale è che chi fa il giornalista abbia il contratto da giornalista. Se non sbaglio, è una cosa che anche l'UsigRai nell'ultima audizione aveva chiesto.

  MAURIZIO ROSSI. Capisco benissimo la posizione. Peraltro, vi ho inviato delle domande per iscritto che spero vi siano arrivate. Qualora alle domande che ho posto non ci sia una risposta immediata, non c'è problema; se potete, ce le manderete per iscritto. Concettualmente, anche per ricordare e per lasciare agli atti quanto vi chiedo, rappresentate tutti gli associati, giornalisti.

  SANTINO FRANCHINA, vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti. Noi Ordine dei giornalisti rappresentiamo tutti gli iscritti all'Ordine professionale.

  MAURIZIO ROSSI. Esattamente. Quindi, non solamente i giornalisti della Rai, ma tutto il mondo dei giornalisti che sono nel Paese. Siamo di fronte a una nuova concessione che vale 20 miliardi di euro. Darà certezza ai dipendenti Rai e ne siamo lieti, ma ritenete che un gettito così grande, destinato al servizio pubblico e quindi prioritariamente all'informazione, dovrebbe sostenere anche il resto del mondo dell'informazione e difendere il maggior numero di posti di lavoro possibile? Mi chiedo se sia stato fatto il possibile per pensare, da parte del Governo, che un gettito così grande di denaro possa cercare di creare il maggior numero di posti di lavoro. Invece, abbiamo una problematica gigantesca – lo sappiamo – proprio nel mondo giornalistico. Quali sono stati, negli ultimi anni, se avete dei dati, le perdite di posti di lavoro nel settore giornalistico del Paese? Che cosa prevedete che accadrà nei prossimi anni? Mentre infatti da una parte, è evidente, c'è una garanzia di un introito per dieci anni, che quindi garantisce una determinata stabilità, dall'altra parte c'è una instabilità in tutto il settore giornalistico veramente molto preoccupante. È evidente che il vantaggio competitivo della Rai o del concessionario pubblico derivante dai 20 miliardi garantiti potrebbe portare, tra l'altro, a un forte squilibrio di forze in campo. Se infatti da una parte abbiamo soggetti che dipendono esclusivamente dalla pubblicità, ma devono fare comunque informazione e devono avere dei giornalisti iscritti all'Ordine, dall'altra parte ci troviamo un soggetto, invece, che ha appunto questa Pag. 22garanzia di introito, quindi si può creare un maggiore squilibrio proprio tra quello che sarà l'informazione di chi ha un gettito garantito e di chi, invece, non ce l'ha e quindi si troverà in una situazione complicata, con possibili forti diminuzioni ulteriori di personale giornalistico e forse anche di qualità e di pluralità dell'informazione.
  Ritenete che sarebbe almeno da compensare con una netta distinzione societaria tra i programmi di servizio pubblico e i programmi commerciali, eliminando la pubblicità dai canali sostenuti con il canone? Insomma, almeno lasciare la pubblicità a tutto il resto del settore.
  Arrivo a una domanda che mi pongo da sempre e risposte concrete non me ne sono mai state date. Ritenete che il servizio pubblico sia fornito solamente dalla Rai o anche da altri soggetti nel Paese? Cioè, il servizio pubblico è tutto quello che fa un determinato soggetto, qualsiasi cosa faccia, oppure è un oggetto specifico, informazione e altre tipologie? Le portavo l'esempio – avevo anche chiesto di audire eventualmente altri soggetti, ma i tempi sono molto stretti – di Minoli. Minoli, Gruber, Floris sono professionisti, hanno un codice di deontologia professionale. Perché quando fanno un programma in Rai è di servizio pubblico e quando lo fanno su un altro canale non è più di servizio pubblico? Qual è la distinzione?

  ALBERTO AIROLA. Grazie di essere qui. Lei dice che occorre fare in modo che chi conduce trasmissioni giornalistiche sia iscritto all'Ordine. Dico bene? Questo è quello che ho capito.

  SANTINO FRANCHINA, vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti. Sì. Conduce e dirige.

  ALBERTO AIROLA. Conduce e dirige. Perfetto. Il problema è che attualmente, come diceva il collega Rossi, si assiste a una sorta di disgregazione del mestiere del giornalista, per varie ragioni: da una parte, se vogliamo, sono ragioni di evoluzione dei mezzi (penso a internet) e dall'altra penso anche alle condizioni in cui versano i giornalisti oggi, che spesso in Rai sono assunti con contratti come regista programmista, per esempio, e non rientrano nell'albo dei giornalisti ma fanno un lavoro da giornalista tutti i santi giorni.
  Penso a operatori di ripresa che fanno il lavoro del giornalista. Non dico telecineoperatori, che sarebbero iscritti perlomeno come pubblicisti o avrebbero comunque la possibilità di farlo, ma parlo di operatori che vengono mandati allo sbaraglio e, viceversa, giornalisti che, senza grandi competenze linguistiche e tecniche, sono costretti a sobbarcarsi l'ulteriore onere di lavoro di fare anche riprese, montaggio e messa in onda, addirittura. Queste sono battaglie che combatto per il rispetto della professione del giornalista da anni, ma che in Rai spesso vengono aggirate. Non parliamo poi degli ultimi casi, in cui i precari della Rai – non so, adesso mi hanno garantito che li stanno pagando – sono rimasti mesi senza stipendio. È una battaglia che però dobbiamo fare insieme.
  Non entro nell'ambito deontologico, perché sembrerei il solito grillino che va all'attacco. Parlo della difesa della professione dei giornalisti, perché ritengo che in Rai lavorino anche giornalisti che non sono degni di questo nome, pur essendo iscritti all'albo, e neanche di condurre, ma non è questo il momento di fare questa polemica. Tuttavia, questi signori sono anche il prodotto di un'impossibilità di fare una carriera e un lavoro professionale, anche di trasmissione della professione. Il lavoro di giornalista non si impara sui libri a scuola, immagino, si impara facendo il giornalista a fianco a grandi giornalisti. Quindi, se non abbiamo grandi giornalisti e abbiamo solo precari ricattabili, non riusciremo a far diventare questi precari, magari neanche assunti come giornalisti, dei grandi giornalisti. È un lavoro che spero cercheremo di raccogliere e portare all'interno del contratto, ma – stiamo attenti – non risolve il problema di migliorare l'informazione e le condizioni di lavoro dei giornalisti la condizione unica che il conduttore o il direttore sia iscritto all'Ordine dei giornalisti.

Pag. 23

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Ringrazio anch'io il presidente, seppure ad interim, Franchina. Egli ha sollevato due questioni che, in realtà, sono già all'attenzione di questa Commissione, dunque secondo me ha fatto bene a metterle in evidenza.
  In primo luogo, è stato richiamato il contratto dei giornalisti, quello che richiamavano anche altri colleghi, ossia la condizione materiale di vita, dal punto di vista professionale, di molte persone all'interno della Rai. Poi c'è una questione di carattere più generale, che lei ha sollevato in maniera molto diretta, occasione di riflessione anche in questa Commissione. Ci sono programmi di servizio pubblico che rientrano in quella categoria definita di infotainment, informazione e intrattenimento, che non sempre sono condotti o comunque confezionati da giornalisti iscritti all'albo, che ne hanno tutte le competenze: sempre un confine piuttosto labile.
  Questo è un tema che c'era, perché è stato oggetto di discussione, e continua ad esserci. Esattamente come viene collocato nella discussione sullo schema di convenzione, contratto di servizio, atto di indirizzo più complessivo della vigilanza, questo anche a me non è chiarissimo. Tuttavia, che ci sia questa questione ne sono convinto anch'io, quindi credo che abbia fatto bene il presidente Franchina a riportarla alla nostra attenzione.

  SANTINO FRANCHINA, vicepresidente dell'Ordine dei giornalisti. Partendo dalla domanda del senatore Rossi, per quanto riguarda la disoccupazione nel nostro settore, è un dato che purtroppo si aggrava sempre di più, e io posso anche fornirle delle statistiche in merito. Quello che risalta di più è la scomparsa del contratto di lavoro giornalistico. Da noi aumentano sempre di più i freelance, cioè colleghi che non hanno un contratto giornalistico, in forte aumento. Un dato che ci preoccupa fortemente è che l'80 per cento di questi freelance ha dichiarato nel 2014 di avere un reddito inferiore a 10.000 euro. Sono dati molto significativi, che ci preoccupano molto.
  Sulle scelte editoriali della Rai, della pubblicità, io non credo che, come Ordine, si possa entrare nel merito delle scelte aziendali della Rai. Queste sono scelte che attengono alla Rai. Per quanto riguarda l'informazione, credo che questo gettito – per rispondere alla domanda precisa – che arriverà alla Rai debba servire soprattutto a risolvere questi contratti anomali presenti in Rai e a regolarizzare i giornalisti con contratti di lavoro regolarmente riconosciuti dalla Federazione nazionale della stampa. Solo così possiamo risolvere anche il problema che mi segnalava lei prima, ossia avere giornalisti contrattualizzati. Questo gettito di cui parlava il senatore prima, secondo me, dovrebbe servire innanzitutto a risolvere questa problematica, cioè togliere il precariato dalla Rai o togliere i falsi giornalisti dalla Rai. Per quanto riguarda, invece, la possibilità di finanziare anche le emittenze private, il Governo ha in mano una legge delega sull'editoria che potrebbe anche prevedere, in questo senso, contributi e aiuti particolari per l'emittenza privata. È un settore che i dati ci dicono addirittura in crescita, come rivelano i numeri occupazionali. È un settore a cui guardiamo con molta attenzione. Ritengo che svolga un ruolo fondamentale nell'ambito dell'informazione in sede locale, quindi sia da attenzionare, magari in questa legge delega sull'editoria da parte del Governo.
  Se non ho risposto a qualche vostra domanda ben precisa, non mi sottraggo. Mi pare che sul punto sollevato ci trovassimo già d'accordo.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 14.10, riprende alle 14.30.

Audizione di rappresentanti dell'ANICA – Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione Pag. 24 del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti dell'ANICA – Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali.
  Sono presenti il presidente, Francesco Rutelli, e la responsabile pianificazione strategica, Francesca Medolago Albani, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola al presidente Rutelli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  FRANCESCO RUTELLI, presidente di Anica. Mi terrò in una decina di minuti.
  Sono lieto di poter fornire elementi di valutazione per il vostro lavoro in vista dell'approvazione della proposta avanzata dal Governo e nella prospettiva del contratto di servizio, che mi sembra anche assai importante e su cui pure siamo ben disponibili e lieti, se lo riterrà la Commissione, di fornire qualche elemento di valutazione aggiuntivo e di supporto anche tecnico.
  Direi, in termini generali, che questa proposta è positiva, che passa, come ben cogliete, con innovazioni significative dall'impostazione tradizionale servizio pubblico generale radiotelevisivo a servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale. Questo è un cambiamento strutturale, importante. Si incrocia anche con la riforma del cinema e dell'audiovisivo varata dal Parlamento su proposta del Ministro Franceschini. Si misura con cambiamenti e trasformazioni mondiali.
  Credo che dobbiamo tutti misurarci con questi. Non debbo citare l'uno o l'altro con particolare attenzione, ma a nessuno di voi sfugge che le fusioni, le acquisizioni AT&T e Warner, gli operatori nativi digitali come Netflix e Amazon, una serie di scalate, intrecci, creazioni di nuovi gruppi o colossi, tentativi di farlo, ci portano dal tradizionale approccio, per cui ci si occupava, anche qui nella Commissione vigilanza – ho avuto, in una vita precedente, occasione di farne brevemente parte – di frequenze e di reti a quello a piattaforme e contenuti. Nel rappresentare oggi l'associazione maggiormente rappresentativa del cinema e dell'audiovisivo, penso sia utile da parte mia sottolineare l'opportunità che deriva da quest'interazione tra il rinnovo della concessione e la riforma del cinema e dell'audiovisivo.
  Peraltro, la riforma – lo ricordo ai presenti, autorevoli e ben motivati – prevede un meccanismo molto interessante, molto significativo, per cui se cresce il gettito di tutto il sistema, il fondo per il cinema e l'audiovisivo può beneficiare di una quota aggiuntiva, oltre al plafond già stabilito dalla legge, derivante dalle entrate fiscali. Se la Rai diventa sempre più un attore cruciale (com'è, come sarà e come ci auguriamo, confidiamo cresca da questo punto di vista) di tutto questo sistema, crescono i benefìci per l'intero sistema. Avere una Rai in crisi, paradossalmente, nuocerebbe al sistema, un sistema complesso, ricco, fatto di valori. Vorrei sottolinearlo.
  Di recente, l'ANICA ha promosso la campagna Io faccio cinema, fatta con la FAPAV, la federazione antipirateria, ed è stata scelta una linea non colpevolizzante nei confronti di chi scarica illecitamente prodotti dell'ingegno, dell'audiovisivo, come è avvenuto in passato (compi un gesto criminale, ti associ a delle attività criminali), ma una cosa secondo me giusta, corretta, che spiega quanti posti di lavoro e quali benefìci crei la filiera per la nostra società, quante opportunità scaturiscono da questo sistema complesso, che è appunto quello complessivo del cinema e dell'audiovisivo.
  Vorrei anche osservare che per la Rai il cinema è un valore aggiunto. I film vanno bene in televisione, persino a sorpresa secondo la visione per cui ciò rappresentava un punto di vista magari un po’ arretrato. Addirittura, in Rai le reti se li contendono – questo è un elemento interessante – pur in un momento in cui dobbiamo dire molto chiaramente che il cinema italiano non è ai suoi massimi in termini di risultati, in Pag. 25particolare di botteghino, ma tuttavia mantiene in pieno la sua vivacità e la sua grandissima importanza. Quello di cui stiamo parlando è estremamente importante.
  Non ci nascondiamo le problematicità. Approfitto, anzi, per invitare tutti quei membri della Commissione che lo riterranno a due appuntamenti che l'ANICA ha deciso di promuovere. Uno si terrà il 6 aprile prossimo e riguarda le sale cinematografiche, ovvero una certa difficoltà del rapporto, soprattutto delle nuove generazioni, con i cinema. Lo terremo all'ANICA la mattina del 6. Sarà un momento di riflessione. Il 13 giugno – qui veramente tutti, se lo vorrete, siete invitati anche a prendere la parola – sempre a Roma, intendiamo organizzare una giornata su dove va il cinema italiano, auspicabilmente a valle dell'approvazione dei decreti attuativi della riforma Franceschini e anche dell'entrata in funzione di ciò di cui stiamo parlando ora. Vorremmo, cioè, dare anche un contributo di riflessione obiettivo, anche critico. Ci sono cose che vanno decisamente migliorate.
  Per venire nel merito, vi do rapidamente alcuni titoli, poi risponderò a tutte le domande che riterrete di farci.
  È importante che ci sia un progetto editoriale da parte della Rai e che non si rivolga solo al cinema commerciale, che sia più aperto agli indipendenti. È importante che ci sia un pluralismo espressivo per quanto riguarda cinema e audiovisivo, e che questo sia formato anche di grandi progetti, di progetti ambiziosi. La Rai può essere un player determinante per fare grandi prodotti, non soltanto prodotti che stanno nella media delle produzioni italiane, cinema innovativo e sperimentale, naturalmente anche successi commerciali. Questo pluralismo è, a mio/nostro avviso, fondamentale per una partnership efficace con la Rai.
  Voglio chiarire che non si chiude agli altri attori. Penso che gli altri attori, gli altri broadcaster che partecipano al sistema del cinema e dell'audiovisivo siano parte di una sfida comune di sviluppo e di qualità. Non consideriamo che si debba guardare soltanto ad alcuni degli attori, e in particolare – certo – al servizio pubblico, per la sua assoluta importanza. Tutti, ribadisco, fanno parte di questa sfida. All'interno di questa sfida c'è l'intervento sul famoso articolo 44, comma 3, del testo unico dei servizi media-audiovisivi e radiofonici. La legge stabilisce che debba essere modificato. È un aspetto cruciale dal punto di vista proprio dell'impostazione, dell'offerta, del mercato, della sua qualità e, ovviamente, del rapporto tra il sistema delle produzioni, il sistema del cinema indipendente e la Rai.
  Infine, se possibile, vorrei mettere da subito sul tavolo alcuni punti. Ragioniamo se sarà possibile su una via di co-regolamentazione – questo avviene, ad esempio, nel Regno Unito – con il servizio pubblico, non per ingessare il sistema, ma appunto per renderlo coerente con la riforma Franceschini. Che intendo dire? Preparare assieme la riforma dell'articolo 44, su cui il Governo deve esercitare la delega, entro dodici mesi dall'entrata in vigore della legge su cinema e audiovisivo. È un punto cruciale anche per il rapporto con le major e con una serie di soggetti, che fanno parte determinante anch'essi del nostro sistema.
  Dicevo del piano editoriale e della riforma dell'articolo 44. Piano territoriale significa: qual è il ruolo delle produzioni italiane nel cinema e nell'audiovisivo futuro? Soltanto rincorrere i successi commerciali o una fisionomia nostra, che sappia farsi valere nel mercato e anche a livello internazionale? Certamente, il tema dei diritti è cruciale. Penso che si debba ragionare in termini di investimenti, in pre-acquisti di diritti di licenza equilibrati rispetto a quelli in quote di proprietà, per tutte le piattaforme, privilegiando il ruolo di editore rispetto a quello di coproduttore, con un prezzo distinto per ogni sfruttamento in base alle attese di successo, dall'utilizzo di durata limitata per consentire un secondo ciclo di vendite e nuovi modelli di business per la produzione. Penso che si debbano sostenere le coproduzioni anche al fine di internazionalizzare il nostro cinema, che è debole da questo punto di vista. Non è possibile che nel fondo Euroimages, Pag. 26 ad esempio, non siano selezionati progetti italiani perché non sono indipendenti dalle televisioni. Ci sono decine di progetti tedeschi, ad esempio. Francamente, non abbiamo molto da invidiare, eppure i progetti italiani, proprio per questa modalità, non si affacciano.
  Un altro aspetto molto rilevante è l'animazione. Avete ascoltato, credo, i documentaristi, ma vi prego di considerare il tema dell'animazione. Si tratta di prodotti che hanno tra i più grandi successi. Dobbiamo sostenere con interventi specifici anche i lungometraggi, che in Italia non si fanno più, anche per garantire la massima diffusione e commercializzazione delle nostre serie televisive. La Rai è l'unico soggetto che investe in animazione originale italiana. Deve farlo, deve accordarsi con la produzione indipendente, concordare diritti, tempi di sfruttamento. Questo può consentire massimizzazione dei ricavi per tutti.
  Voglio dire, anche criticamente, che la promozione in Rai si deve fare per tutti i prodotti del cinema, non solo per 01, per ciò che Rai distribuisce. In secondo luogo, Rai Play, iniziativa intelligente ed efficace, non può comportare uno sfruttamento gratuito, in quanto la Rai ha concorso a finanziare in parte un determinato prodotto. Così si precludono altre opportunità per tutta l'industria, per tutta la filiera.
  Direi che ho detto le cose principali che ci stanno a cuore. Ribadisco: negoziare i rapporti sui diritti in maniera trasparente, aperta, costruttiva. Tutti siamo in una stessa barca, in un contesto – vi prego di considerarlo – in cui stiamo diventando più piccoli. L'affacciarsi di soggetti più rilevanti, competitivi, può portare in tempi anche non lunghi ad acquisti in casa nostra, a mani non italiane che prendano il controllo. Facciamo parte di un'economia aperta, naturalmente, ma vediamo quanto sia difficile la reciprocità in altri settori, in cui, quando aziende italiane cercano di intervenire su mercati anche a noi molto vicini, faticano. Il nostro, invece, è un mercato aperto, nel quale si può entrare. Non c'è dubbio che, in un mondo che cambia, la qualità italiana è riconosciuta universalmente.
  Fatemi ricordare che l'Italia è il Paese che ha vinto più Oscar tra tutti i Paesi del mondo, più della Francia, in quanto migliore film straniero; che l'Italia vince in tutti i settori produttivi, con trucco e parrucco, coi nostri grandi scenografi, costumisti. Tra l'altro, ci sarà stasera un avvenimento che ricorda le decine di italiani nominati o vincitori per gli Academy Award. Gli italiani sono bravi nel fare il cinema. Quelli che lo fanno, sanno di essere bravi.
  La Rai è un attore cruciale perché questo sistema diventi più competitivo, non si ripieghi su sé stesso, sia aperto alla concorrenza, ma in quanto tale la Rai ha una funzione cruciale. Esprimiamo fiducia che da questa convenzione e poi dal contratto di servizio scaturisca, se collegato con la riforma cinema e audiovisivo, una stagione e creativa, industrialmente forte e positiva per il cinema e l'audiovisivo italiani.

  SALVATORE MARGIOTTA. Anzitutto, un saluto affettuoso all'onorevole Rutelli. Sono convinto che ANICA abbia scelto un ottimo presidente e che si avvantaggerà della sua cultura, delle sue capacità.
  Ho due domande piccolissime, che un po’ riprendono cose già dette, ma che chiedo di specificare o di puntualizzare meglio.
  Do un giudizio molto positivo del lavoro di Rai Cinema di questi ultimi anni. D'altra parte, i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Mi interessa, riprendendo un tema che l'onorevole Rutelli ha toccato, capire se, come credo, oltre ai prodotti importanti, quelli di cui si è parlato, che magari hanno avuto premi in più settori, ci sia da parte di Rai Cinema un'attenzione anche nei confronti dei produttori minori e dei prodotti minori.
  Penso – stamattina, l'ho detto in termini un po’ diversi, perché diverso il mio giudizio, a proposito di Rai Fiction – che sia importante che il servizio pubblico stimoli la crescita di nuovi soggetti, altrimenti secondo me non fa il mestiere di chi spende anche soldi pubblici.
  Richiamando la sua esperienza di ottimo Ministro dei beni culturali, e quindi in quella veste anche artefice di una serie di Pag. 27accadimenti, chiedo se oggi il sistema di distribuzione delle risorse ai film, anche alla luce della nuova legge, sia sostanzialmente cambiato e che cosa ci sia ancora da cambiare per renderlo più efficace.

  ALBERTO AIROLA. Anch'io ringrazio ANICA. Senza i produttori non esisterebbe il cinema, questo è indubbio. Stamattina, abbiamo ascoltato APT e altri soggetti. Più o meno tutti chiede più pluralismo. Intanto, vorrei sapere che differenze oggi trovate tra la vostra associazione e l'APT.
  Vorrei anche sottolineare una questione sul pluralismo. Purtroppo, spesso il pluralismo in Rai non è stato garantito proprio per la mancanza di trasparenza sui criteri, sulla selezione, sui criteri per la selezione dei progetti, sulla selezione dei progetti. Una questione che molti pongono – anche i documentaristi lo dicevano e anche voi lo chiedete – è che, se ci fosse un chiaro piano editoriale e risorse certe, potreste anche scrivere e proporre produzioni e progetti. Questo non succede, perché questa trasparenza non l'abbiamo mai ottenuta, pur chiedendola noi da anni qua in Vigilanza Rai, ad esempio dalla direttrice Andreatta per quanto riguarda le fiction. Ha sempre sostenuto che sarebbero stati messi in chiaro sul sito criteri, progetti, ma non abbiamo visto granché trasparenza. Di fatto, lei si limita a raccogliere progetti e a scegliere, insieme a pochi collaboratori, quali andranno avanti. Bene o male, le cose che vengono scelte abbiamo visto essere più o meno sempre quelle. Comunque, questo non garantisce che esista una vera attenzione su tutta la gamma delle proposte che la Rai riceve. Come Commissione vigilanza non abbiamo mai avuto dati su questo, e concordo con voi che serve più pluralismo. Non so se chiediate anche più risorse.
  Quello che vorrei sottolineare è che, purtroppo, spesso la Rai, avendo una piccola platea di, tra virgolette, produttori un po’ più amici che lavoravano, ha concentrato risorse su alcuni competitor e poche su altri. È diventato un po’ un bancomat. Quando vedo, per esempio, una produzione che viene chiamata coproduzione ma viene fatta al 90 per cento e oltre da Rai, mi rendo conto che, sto parlando più dell'appaltatore di un progetto, che magari non ha neanche portato lui l'idea.
  Sulla questione delle quote, per esempio, anche voi trovate che vengano violate? Tutti si sono più o meno lamentati del problema quote. Anche sul preacquisto vengono fermate delle risorse, e poi è una pratica che a volte ha anche creato sperperi a mio avviso. Vorrei anche avere la vostra opinione sulla questione 01. Il presidente citava la casa di distribuzione, dicendo che la Rai dovrebbe portare avanti anche altri progetti non legati a 01. Dal mio punto di vista, è strano, se non assolutamente inutile, che il servizio pubblico abbia una casa di distribuzione cinematografica. Non lo capisco. Capisco che esiste Rai Cinema, anche se vorrei vederne i film prevalentemente sul servizio pubblico, prima che nelle sale, perché sono prodotti per il servizio pubblico, che, fino a che non lo cambiamo, non si vede al cinema, ma in TV, o al limite sul Web.
  C'è ancora una questione: il tema dei diritti. Che cosa lamentate, in particolare, sui diritti e, in particolare su Rai Play? Probabilmente, penso che anche lì serva un po’ più di trasparenza. Anche lì forse ci sono produttori che godono di certi favori, o comunque di un trattamento un po’ più privilegiato, per cui detengono i diritti in una certa quota e in una certa maniera, e altri invece no e lamentano, giustamente, una mancanza di possibilità di mettere a frutto, dopo i primi passaggi, il loro lavoro, la loro parte.

  MAURIZIO ROSSI. Innanzitutto, tengo a sottolineare anche al presidente Rutelli che non condivido che la convenzione sia un documento fatto così bene. Penso che parliamo della convenzione dal 2013 e che ci siamo ridotti alla fine a vedere praticamente un'espressione di intenti. Personalmente, trovo illegittimo che sia data una concessione del valore di 20 miliardi di euro rimandando a un momento successivo i diritti e gli obblighi del concessionario. Questo incide su tutte le posizioni e su tutte le audizioni che stiamo facendo. Ne parlavamo prima, appunto, con quelli che si occupano della parte documentaristica, che hanno lamentato cose anche abbastanza Pag. 28gravi di quello che è accaduto in questi anni. La convenzione, anche lei ha detto, rimanda poi al contratto di servizio, ma non si può rimandare a dopo aver affidato una concessione, sapendo peraltro che quel contratto di servizio potrebbe non essere mai fatto. Abbiamo l'esempio che stiamo andando avanti con il contratto di servizio del 2012. Do 20 miliardi a un soggetto x dichiarando che è l'unico in grado di fare quest'operazione, senza precisare per quali ragioni, altro tema discutibile a livello europeo. L'unicità è legittima a livello europeo, ma deve essere ampiamente motivato perché quel soggetto sarebbe l'unico in grado di gestire quel determinato servizio. Il Governo non ha mai spiegato una motivazione. La concessione viene data a Rai, punto. Viene poi scritto – l'ha detto persino il Sottosegretario Giacomelli – che dovranno essere tradotte in obblighi determinate cose che sono state scritte nel contratto di servizio. Non è definito nulla.
  Parliamo di cinema. Avrei voluto che, per quanto riguarda il cinema, fosse chiaramente scritto come impegno richiesto alla Rai quali sono le tipologie di produzioni riconoscibili come servizio pubblico, non qualsiasi, ma cercando di dare un determinato indirizzo. Avrei anche voluto e vorrei che gli investimenti fatti nel cinema producessero, oltre a un'immagine all'estero del mio Paese, anche un ritorno economico. Chiedo se avete dei dati e potete fornirceli, di tutti gli investimenti che sono stati fatti quanto hanno reso all'estero. Sarebbe interessante vedere quello che rendono, ad esempio, negli altri Paesi. Ne parlavamo nella parte documentaristica: in Italia, loro non riescono a produrre, perché dicono loro che manca il codice matricola, e finché non vanno in programmazione non possono essere acquistati i documentari, per cui il valore, il beneficio è pari a zero. All'estero alla BBC, nominata sempre ed esclusivamente quando viene comodo nominarla, ma in molti casi è meglio non parlarne perché sono dei maestri, una sterlina investita in documentaristica ne rende 4, e non solo. A parte che non fanno solo documentaristica sull'Inghilterra, ma si rende un'immagine della BBC, e spesso dell'Inghilterra, gigantesca. Nel nostro Paese – lo dicevo prima – se dovessimo fare 5.000 documentari, sarebbero pochi. Abbiamo un illimitato numero di possibilità di farne e porterebbero veramente cultura e immagine del Paese, specialmente se tradotti anche in lingua straniera.
  Secondo me, nella convenzione non c'è niente, non è scritto nulla. Questo è gravissimo e ci pone il problema che insieme dobbiamo capire se sia meglio rimandare questa convenzione per scrivere un documento che abbiamo avuto quattro anni per scrivere (ed è arrivato il nulla), o in alternativa, ultima ratio, scriverla noi in Commissione per supplire a delle chiare carenze del documento che ci è arrivato.

  ROBERTO RUTA. Ho apprezzato la relazione per gli spunti offerti su tutte le questioni, sulle quali non torno, tranne che su un aspetto. Siccome ho perso i primissimi minuti, non so se è stato già indagato nella relazione l'aspetto dell'animazione, che mi interessa. È stato già indagato. L'ho perso io. Mi interessa capire che cosa è necessario per lanciare di più questo settore e renderlo più appetibile per i produttori italiani, per la Rai, che cosa manca oggi per farlo diventare un settore trainante, che ha un pubblico sempre certo, un doppio pubblico di sicuro, se non un pubblico di tre generazioni, quello dei bambini, ma affiancati dai genitori e dai nonni, quindi intergenerazionale. Accompagna le stagioni, come il Re Leone ha accompagnato la mia di papà, per dirne uno, così come accompagneranno le prossime generazioni tutte le produzioni che, per l'età a cui sono rivolti, rendono un servizio importante, decisivo per l'immaginario appunto di un'intera generazione.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Mi perdonerà se non mi metto a fare il controcanto dell'altro relatore, il senatore Maurizio Rossi. Mi sembra abbastanza evidente dalla prima audizione che abbiamo opinioni diametralmente opposte in termini di fondamento giuridico della concessione, anche in termini di valutazione dello schema di convenzione che ci è stato trasmesso. Pag. 29
  Vorrei, presidente, utilizzare questo tempo, quest'audizione per riprendere alcune questioni poste qui dal presidente Rutelli, che anch'io ringrazio per la presenza e per la comunicazione che ci ha fatto. Mi sembra che quest'audizione e le parole del presidente Rutelli si colleghino alle altre audizioni che abbiamo svolto oggi, APT e Doc/it. Mi sembra che nella giornata di oggi in diverse audizioni siano state sollevate questioni che dischiudono una riflessione all'interno della Commissione, ragionando anche in termini di contributo che possiamo dare nel parere.
  Intanto, veniva sollevata adesso, ripresa anche dai colleghi, ma presente anche nelle altre audizioni, la questione del legame tra il ruolo del servizio pubblico messo in evidenza da questo schema di convenzione relativamente al sostegno alla produzione audiovisiva e la legge sul cinema. Tra l'altro, mi spiace che oggi, come al solito, ci sia la concomitanza di altre Commissioni permanenti, per cui per esempio colleghi come Lorenza Bonaccorsi, Michele Anzaldi, che l'hanno seguìta più da vicino, non sono presenti, ma credo che questa sia una pista di approfondimento per quanto riguarda i nostri lavori.
  Il presidente Rutelli sollevava una seconda questione, presente anche nelle audizioni precedenti della giornata odierna, sui diritti, sui diritti secondari. Qui non riprendo le cose che ho detto nell'altra audizione, ma mi sembra interessante anche il riferimento a uno strumento nuovo, innovativo, come quello introdotto da Rai Play, su cui si è insistito nelle audizioni del vertice relativamente ai risultati positivi. Mi sembra che su questo abbiamo oggi un elemento di approfondimento interessante.
  Infine, vengo alla terza questione. È stato citato il segmento dell'animazione. Oggi, abbiamo parlato di documentari, di produzione originale, del ruolo dell'Italia: questa mi sembra essere una specificità che finora non era emersa e che credo, invece, sia di grande interesse e di utilità.

  ALBERTO AIROLA. Sull'ordine dei lavori, mi ricordano che ho un impegno cui non posso venir meno, quindi chiedo scusa al presidente e ai suoi accompagnatori, all'ANICA tutta, ma leggerò le risposte, che mi interessano molto. Come il mio collega Rossi, ritengo che la scrittura di questo documento sia molto importante, non avendo altri documenti a disposizione.

  MAURIZIO GASPARRI. Non ripeto tutte le cose dette. Faccio una riflessione. La Rai parla poco del cinema nei canali di principale diffusione, poi è chiaro che ci sono anche canali appositi, ma conosciamo tutti le percentuali di ascolto. Non sarebbe auspicabile che, oltre al nostro noto Marzullo, che parla di cinema a notte fonda a pochi nottambuli, che vediamo anche cose interessanti, ma c'è anche la promozione del cinema. Per il prodotto italiano, ma anche per il prodotto cinematografico in quanto tale, la Rai non dovrebbe trovare dei modi... Una volta era un po’ più attenta.
  È chiaro che adesso, avendo tanti canali, può rispondere che c'è il tal canale ma poi sappiamo che lì siamo sullo zero virgola. Forse, sarebbe auspicabile che anche i canali cosiddetti generalisti, al di là di trasmettere film, ogni tanto aggiornassero di più il pubblico non solo con gli spazi promozionali, pubblicitari – quelli ognuno li fa quando vuole – ma anche proprio per la conoscenza, la guida al cinema. Confinarli solo in tarda serata, con una lodevolissima trasmissione... meriterebbe un po’ più attenzione. Mi sembra che potrebbe essere un fatto auspicabile nel contratto di servizio per lo stesso cinema in quanto tale, ma anche per quello italiano, un'attività di maggiore avvicinamento alle sale, perché in televisione sì, ma il cinema nella sala è il cinema vero.

  FRANCESCO RUTELLI, presidente di Anica. Ringrazio tutti i membri della Commissione per le osservazioni. Cercherò di rispondere rapidamente, cercando di non dimenticare quello che è stato chiesto. Intanto, ci vuole un chiarimento di fondo e distinguere cinema da fiction. C'è il rischio che si faccia confusione su questo, e invece è molto importante osservare anche, altra domanda, come si differenzino l'ANICA e l'APT.
  L'ANICA, oltre a essere la più antica associazione riconosciuta come maggiormente Pag. 30 rappresentativa, ma ultracollaborativa con tutti gli altri partner, a partire all'APT, ha al suo interno i produttori, i distributori e le industrie tecniche, dal doppiaggio alle post-produzioni, al lavoro tipico dell'industria del cinema. Tra gli associati all'ANICA, ci sono anche produttori di fiction e distributori, che fanno sia cinema nelle sale sia prodotto destinato al pubblico televisivo nelle sue diverse articolazioni, che stanno cambiando in maniera enorme. Siamo consapevoli che la Rai non ha un canale pay, ma che il mondo cambia rapidamente.
  È importante ricordare che i film prima debbono andare nelle sale, questa è una caratteristica. In futuro, si potrà ripensare tutta la modalità delle finestre. Non è oggi il momento per parlarne e per dire con che timing e con che tipo di programmazione un prodotto destinato al cinema vada sulle altre piattaforme e il suo sfruttamento possa essere effettuato. È anche il cinema a funzionare in televisione – non dobbiamo dimenticarlo – oltre alle serie, oltre alle grandi novità che si sono affacciate e nelle quali gli italiani sono bravi, come vediamo sul mercato interno con grandi successi. Lo vediamo anche con i primi riconoscimenti che stanno arrivando a livello internazionale con serie che sono state acquistate e commercializzate in altri mercati, anche molto difficili, molto importanti.
  La mia opinione su Rai Cinema e 01? Quando la Rai inizia a occuparsi di produzione, le viene richiesto di farlo. Questo è un fatto storico che è bene ricordare. La Rai è stata fortemente sollecitata a entrare anche come produttore del cinema. Parliamo di tempi molto lontani, naturalmente, e non di oggi. Penso che faccia professionalmente il suo lavoro. È chiaro che dipende dagli indirizzi che le si dà. È questo il compito della convenzione. È questo il compito, in prospettiva, spero molto ravvicinata – mi riferisco a quello che diceva il senatore Rossi – del contratto di servizio. Non c'è dubbio che, se hai la convenzione senza il contratto di servizio, hai una cornice senza il quadro. Il quadro, invece, dà i dettagli e i contenuti specifici. Vorrei sottolineare, però, che nel testo della convenzione sono indicati alcuni aspetti innovativi, che penso sia giusto rimarcare, sulla definizione di servizio pubblico multimediale, sull'obbligo di predisporre il piano editoriale, aggiungerei con l'ampliamento del tema delle quote, stabilite dal contratto di servizio, ampliandolo appunto con il concetto di adeguato sostegno, che deve a nostro avviso significare qualcosa di più che non quelle percentuali stabilite e già adesso operative che debbono essere rispettate.
  Su Rai come produttore la nostra riflessione è che Rai deve esserci sempre, deve destinare le sue risorse a progetti grandi e piccoli. No a un gigantismo e no, ovviamente, a una visione di nicchia. Parlavo di pluralismo, proprio perché non si può rinunciare... Giustamente, avete ascoltato i documentaristi, che sono espressione della realtà vibrante, vitale, che racconta la realtà, fatto molto importante, cioè non costruisce delle storie, un racconto, ma racconta la realtà. È un'espressione importante che ci rappresenta. I successi di Rosi ne sono una punta estremamente positiva. Non c'è dubbio che la forza di quest'industria, di tutta questa filiera, che ricordo e ribadisco crea centinaia di migliaia di posti di lavoro, produce benessere nel nostro Paese e ha un valore simbolico riconosciuto nel mondo incomparabile... Quando si deve far ricorso a una metafora nel dibattito pubblico, spesso si fa ricorso a una metafora tratta dal cinema, ed è più eloquente quella che non magari quelle che prendiamo dal calcio, che sono spesso più efficaci, ma più effimere. Quelle che vengono dal linguaggio del cinema sono più penetranti, più profonde, più legate ai valori della nostra società e alla diversità tipica della creatività italiana. È importante, quindi, a sua volta 01, perché è uno degli elementi della catena distributiva. Tra l'altro, si dovrà misurare sempre più con altri soggetti competitivi. Anche in questo, francamente, non c'è niente di male. Ribadisco, però, che la Rai deve esserci come produttore in partnership con altri se vuole avere grandi ambizioni. E deve lasciare, a nostro avviso, ai produttori attraverso i diritti la Pag. 31capacità di accrescere il fundraising, cioè il finanziamento per le opere.
  Se trovi un equilibrio in questo meccanismo, i produttori possono fare meglio il loro lavoro. Per intenderci, la Rai qualche volta interpreta che, quando ha firmato un contratto, quei diritti sono per sempre. In alcuni casi, certi prodotti vanno a finire nel magazzino, mentre oggi ci sono possibilità di sfruttamento, nel senso positivo del termine, economico e produttivo, molto più ricche e articolate.
  Come ho detto, Rai Play non può dare per scontato, per quanto utile sia in prospettiva, che una volta che c'è una quota di diritti, questi portino a impadronirsi di un prodotto, che invece può avere altri canali di sfruttamento, e quindi permettere la programmazione di un cinema più ambizioso, anche di un cinema che si rivolga a segmenti, che qualcuno definisce di nicchia, ma sono segmenti di qualità, opere prime, una serie di prodotti che aprono all'ingegno e aprono la mente.
  Ho risposto, penso, su pluralismo e differenza con APT.
  In un colloquio che abbiamo avuto, il direttore generale ci ha fatto una promessa di maggiore trasparenza – rispondo ad Airola e gli do un'ulteriore risposta – di voler stabilire criteri e meccanismi «tracciabili» rispetto alla scelta che si fa di un prodotto, di un'offerta anziché di un'altra. Questo è positivo. È evidente che rimane poi la responsabilità di chi deve scegliere, ma che ci siano una trasparenza e una tracciabilità dei criteri adottati lo consideriamo un fatto saggio e, se viene implementato, anche positivo.
  Voglio aggiungere una cosa un po’ diretta. Se la Rai si trovasse in difficoltà, sarebbe del tutto contraddittorio con questo stesso testo di convenzione se pensasse a tagliare il prodotto. Poiché gli indirizzi che dà questa Commissione sono importanti, mi permetto di segnalarvelo come un tema utile, un caposaldo. Se ci sono difficoltà economiche, i tagli non si debbono fare sul prodotto, il che comporta danni enormi a tutta la filiera. Ribadisco che, in relazione con la legge cinema e audiovisivo, un ridimensionamento delle capacità produttive e di produzione di ricchezza da parte della Rai si riflette su tutto il sistema negativamente. È un aspetto veramente importante.
  Ho parlato di partnership terze, di negoziare sui diritti come prevede la convenzione e farlo in modo trasparente. Lo sottolineo, è un suggerimento che avanziamo: trovare una via di co-regolamentazione. Lo prevede, lo indica il testo della convenzione, ma secondo noi è un modo per affrontare insieme: coerenza con legge Franceschini; preparazione della riforma dell'articolo 44 e collaborare al funzionamento di tutto il sistema.
  Capisco quello che dice Rossi, ma mi permetto di dire – non mi permetto di fare considerazioni politiche in questa veste, quindi sono solo rispettoso – che i vostri indirizzi sono importanti, perché la Commissione di vigilanza formulerà un parere incisivo, dettagliato – siamo a disposizione anche per tradurlo, se vi servirà, in alcune frasi essenziali di quello che ci siamo detti oggi – a mio modo di vedere non potrà che avere efficacia.
  Torno sull'animazione e a quello che diceva il senatore Ruta: è un prodotto del massimo successo. Bisogna intervenire sui lungometraggi, che invece in Italia non facciamo più. Dobbiamo garantire la maggiore diffusione e commercializzazione possibile delle nostre serie TV. La Rai è l'unico soggetto che investe in animazione originale italiana. Potete anche andare a vedere gli altri canali specializzati in cartoon, ma si deve andare su quelli della Rai per vedere prodotti italiani. L'idea di intervenire assieme alla produzione indipendente, concordando diritti e tempi di sfruttamento, può migliorare i ricavi per tutti.
  Vorrei sottolineare che l'ANICA, negli ultimi tempi, nelle ultime settimane, si è molto impegnata – siamo inadeguati su questo, bisogna dirlo – sull'internazionalizzazione. È chiaro che, rispetto agli anni d'oro del cinema italiano, le coproduzioni sono molto diminuite. Ora iniziano dei segni, dei barlumi. Vedrete nei prossimi mesi alcune coproduzioni piuttosto importanti. Se pensate agli anni gloriosi, mondiali, del cinema italiano, non c'è dubbio Pag. 32che c'è stato un ridimensionamento. Stiamo cercando di rafforzare la proiezione internazionale del nostro cinema. Abbiamo costituito insieme ad APT il MIA, il mercato dell'audiovisivo, che si tiene annualmente a Roma proprio per favorire lo sviluppo di coproduzioni. In particolare, abbiamo portato i cartoonist italiani in Cina con l'ANICA in collaborazione con il MISE, con l'ICE, con buoni risultati per fare accordi di coproduzione, in particolare dicevo con la Cina. Cerchiamo di collaborare perché si allarghino questi orizzonti – non è semplice, la concorrenza è fortissima.
  Sono d'accordo con Peluffo sulla relazione con la riforma Franceschini. Penso che abbia recepito quello che ho detto a proposito di Rai Play. Ribadisco: favore, ma non si dia per scontato che il fatto che la Rai abbia una quota, la faccia diventare titolare integrale di prodotti che invece hanno anche altri contitolari.
  Con Gasparri sono d'accordo, ha ragione, si parla poco del cinema. Forse, potremmo insieme modernizzare la storica rubrica promozionale Appuntamento al cinema. Potremmo trovare anche una formula più vivace, più interessante d'accordo con la Rai per fare la promozione commerciale, ma farne anche un momento in cui si mostra il processo creativo di un film, tanto più film italiani, e non solo, e in cui aprire delle sedi di discussione, di confronto sulla qualità del nostro prodotto cinematografico.
  Sono anche d'accordo che sia necessario portare il più possibile negli altri momenti dell'informazione del servizio pubblico quella sul cinema.
  Non mi ripeto sulle cose che ho detto. Ribadisco: non solo film prodotti a 01 da lanciare in Rai; non usare, come fosse una riserva esclusiva, l'opportunità di Rai Play; volontà di collaborare assieme. So che su questo siamo portatori di un interesse comune. Se la Commissione di vigilanza, che ha una parte di competenza e di responsabilità su questo, lo riterrà e vorrà partecipare anche a occasioni di riflessione strategica sul cinema, noi saremo molto contenti, come a quelle due cui ho accennato. Il cinema non è autosufficiente. Cinema e audiovisivo, pur connessi strettamente, hanno bisogno del rapporto col pubblico. Sappiamo che i giovani vanno meno volentieri nelle sale cinematografiche. Sappiamo che c'è una realtà di pirateria che si mangia una quota molto importante dei benefìci di quest'industria, benefìci cui ho fatto riferimento.
  L'occasione della convenzione dovrebbe non essere perduta e – su questo sono d'accordissimo con Rossi – a ruota, immediatamente dopo, serve un contratto di servizio dettagliato, preciso, puntuale e credibile. Questo è il nostro punto di vista, che si rivolge in modo estremamente rispettoso al lavoro del Parlamento.

  PRESIDENTE. Chiederei un chiarimento. Per tre volte, ha parlato di Rai Play: come funziona? La Rai co-produce, finanzia un film in parte, e quindi si ritiene proprietaria dei diritti al 100 per cento, tali da mandarlo su Rai Play come vuole, quando vuole? Vorrei capire soprattutto questo passaggio, il processo, anche perché è stato molto pubblicizzato Rai Play, quindi vorremmo capire anche – sembra che i numeri siano positivi – come funziona il resto, proprio da contratto.

  FRANCESCA MEDOLAGO ALBANI, responsabile pianificazione strategica di Anica. Rai Play è uno strumento straordinario, una grande forma di innovazione. Il tema contrattuale è molto delicato. Ogni progetto è a sé stante, ha il suo contratto, le sue previsioni, ma tendenzialmente quello che è accaduto fino a prima di Rai Play, insieme al diritto free, quindi alla messa in onda su canali lineari, Rai classica, si associava quella che è sempre stata chiamata la catch-up tv, una ripresa, per circa sette giorni di solito, successiva alla messa in onda di tutta la programmazione, inclusa quella cinematografica. L'associazione della diffusione on line era fatta col diritto free, acquistato dalla Rai, storicamente, in fase di negoziato preliminare alla realizzazione del prodotto, sempre in quota di minoranza. La quota di finanziamento della Rai è sempre minoritaria rispetto al budget complessivo del film, e in quella sede la Rai Pag. 33ne diventa coproduttore, quindi acquisisce, rispetto appunto all'investimento e al budget, una quota di proprietà. Poi acquisisce il diritto, quindi la licenza di messa in onda televisiva e di utilizzo dei diritti free.
  Al diritto free in sede negoziale si può associare la diffusione on line, che mi insegnate va ben oltre la diffusione free sulle reti lineari, ha una diffusione straordinaria, anche potenzialmente transfrontaliera, quindi anche potenzialmente europea. Questo tipo di diffusione non può essere semplicemente sottinteso a un acquisto di diritto free. Non significa che non lo debbano fare – per carità, sarebbe una grandissima cosa, soprattutto se anche oltre le frontiere italiane si riuscisse a diffondere attraverso la Rai – ma deve essere distinto il diritto di messa a disposizione del pubblico da quello lineare e tradizionale, distinto e proprio separato, perché sono cose diverse, reti diverse, pubblici diversi, strumenti diversi, ampiezza della diffusione molto diversa. Deve essere anche valorizzato.
  Se non lo usa la Rai, lo compra qualcun altro, mentre quelle risorse servono a cofinanziare la produzione, perché la Rai entra in quota. Eliminato un mercato di sfruttamento, si eliminano anche i ricavi derivati e quelli di operatori che lavorano anche ben oltre il territorio italiano. Rai Play è, potenzialmente – faccio un esempio forse un po’ eccessivo attualmente – Netflix. Se Rai Play diventasse il Netflix di domani, dovrebbe concorrere con Netflix per l'acquisto dei diritti pregiati, che quindi non possono essere sottintesi. Questo è il tema, non che non possono essere usati, valorizzati e sfruttati, ma sottintesi in un diritto lineare free, che invece si limita alla televisione terrestre tradizionale.

  PRESIDENTE. La spiegazione mi è chiara: si agisce in sede contrattuale tra il produttore e l'emittente. Non stiamo parlando, a questo punto, a livello di convenzione, di contratto di servizio: voi aprite il dibattito su quest'aspetto, e quindi chiedete un indirizzo di questo tipo mentre loro dicono che vogliono così, il diritto free, il 30 per cento e via. Era questo che volevo capire, come inserirlo in questo processo.
  Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di UPA
– Utenti Pubblicità Associati.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente l'affidamento in concessione del servizio pubblico radiofonico, televisivo e multimediale, con l'annesso schema di convenzione (Atto n. 399), di rappresentanti di UPA – Utenti Pubblicità Associati.
  È presente la direttrice generale, Giovanna Maggioni che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Come convenuto dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, invito i colleghi a contenere il proprio intervento entro i cinque minuti.
  Do la parola alla dottoressa Maggioni, con riserva per me e per i colleghi di rivolgerle, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  GIOVANNA MAGGIONI, direttore generale UPA. Ringrazio, a nome di tutte le aziende associate a UPA, della richiesta di audizione da parte di questa Commissione parlamentare di vigilanza. Ho preparato un breve speech, che posso lasciare come documentazione, con eventuali allegati.
  Ricordo che UPA rappresenta le aziende italiane e internazionali che operano in Italia e che investono in pubblicità e comunicazione, su tutti i mezzi e su tutte le piattaforme oggi presenti nel nostro Paese. UPA rappresenta, come associazione, circa l'80 per cento dell'investimento pubblicitario che, ricordo, giusto per dare un confine a questo valore, oggi vale 8,2 miliardi (sono i dati del 2016), comprendenti gli investimenti Pag. 34 sia sui mezzi classici sia su internet, compresi quelli che chiamiamo gli OTT, gli over the top, cioè Google, Facebook, Amazon e altri. Quello che è interessante notare è come l'investimento pubblicitario, in questi anni, abbia seguito le sorti negative dell'economia almeno dal 2008, quindi dal primo anno della crisi, fino alla seconda metà del 2015, per poi riprendere a risalire, in maniera seppur contenuta, ma quantomeno con segni positivi. Basti pensare, per darvi un confronto con gli anni passati, che il valore che la pubblicità ha raggiunto nel 2016 è lo stesso che avevamo registrato nel 2004; cioè gli 8,2 miliardi erano gli stessi che avevamo nel 2004, con la differenza sostanziale del cambiamento dei mezzi oggi presenti in questo mercato. Nel 2004, il 99 per cento dell'investimento pubblicitario era fatto sui mezzi classici, televisione, radio, stampa, affissioni. Nel 2016 la quota di internet, compresi gli OTT, di questo 100 è il 28 per cento, per cui i mezzi classici hanno un totale che era 99 ed è sceso a 72 per cento: un cambiamento molto radicale.
  Oggi le aziende hanno a disposizione un ventaglio di mezzi e piattaforme inimmaginabile fino a pochi anni fa e – questa è la cosa più importante del nostro mercato – li usano trasversalmente in funzione dei loro obiettivi; quindi, il mercato pubblicitario usa i mezzi in funzione degli obiettivi che ha di raggiungere il consumatore, il cittadino.
  C'è una forte concorrenza tra i mezzi, sempre più forte, proporzionale a questa grande offerta. Non sempre questi mezzi sono però intercambiabili tra di loro e le aziende individuano i target, e quindi i mezzi, che ciascuno offre come mezzo e che interessa l'azienda. Anche le audience sono sempre più frazionate all'interno della stessa tipologia di mezzo. Basta pensare che oggi – cosa che nel 2004, per esempio, quasi non esisteva – il terzo player televisivo è Discovery, che in termini di audience rappresenta ormai, nel giorno medio, un 7 per cento, e che Sky è il terzo player nel prime time con 7,5 per cento. Anche questo delle audience è un cambiamento radicale.
  In questa direzione, per cominciare ad affrontare il tema del documento che si sta esaminando, l'aver portato da 20 a 10 anni, per esempio, la convenzione Stato-Rai va nella direzione giusta, perché i cambiamenti che ci aspettiamo, anche nei prossimi anni, saranno molto rapidi e molto veloci, con assetti destinati a cambiare ancora, anche rispetto a questi dati che vi ho riferito degli ultimi dieci anni. Le aziende – questo non va dimenticato – investono in comunicazione e in pubblicità per promuovere i propri prodotti e servizi. Le loro scelte, in termini di mezzi sui quali investire, non sono casuali, ma vengono definite sulla base di fattori che vanno dal valore delle audience, delle letture o delle impression, a seconda del mezzo, al profilo delle persone, degli obiettivi che l'azienda si è posta, al costo per contatto che ogni contatto genera. In una parola, viene fatta un'analisi molto accurata dalle aziende e dai loro partner che porta a quella che definiamo l'efficacia dell'investimento pubblicitario. La pubblicità è un investimento per l'azienda. Spesso si parla di costi o di torte da spartire, ma la pubblicità è un investimento per l'azienda e come tale viene considerata. Le aziende investono soldi in pubblicità per ottenere ritorni in termini di valorizzazione delle loro marche, di vendita dei loro prodotti e servizi, e per muovere quindi i consumi, in un sano meccanismo di crescita di un Paese.
  Riteniamo che la crescita dei consumi sia uno dei fattori di sviluppo, e adesso vi darò due cifre che dimostrano questo. Qualche volta la pubblicità è stata considerata un male necessario, invece è un fattore di sviluppo, che consente a tutta l'economia della produzione di far conoscere i propri prodotti e di venderli, muovendo quindi i consumi, che sono il più importante fattore per uscire dalla stagnazione nella quale non solo l'Italia si è trovata in questi anni in Europa.
  Abbiamo fatto una recentissima ricerca, che poi vi lascio. È una ricerca europea, consultabile nella sua interezza sul nostro sito, che dimostra il valore dell'investimento pubblicitario in Europa, che non solo crea posti di lavoro qualificati – circa 5,8 milioni di persone in Europa lavorano in questo campo, è il 2,6 di tutti gli occupati Pag. 35– ma misura come ogni euro speso in advertising (questo, ripeto, è riferito a tutti i Paesi dell'Europa, quindi non è solo in Italia) genera 7 euro di PIL. Inoltre, abbiamo anche calcolato che tutto ciò che la pubblicità muove, quindi i consumi e tutto quello che genera con la sua attività, ha un valore che è circa il 20 per cento del PIL nel mondo occidentale. Inoltre, la pubblicità stimola la competizione tra le imprese, favorisce la concorrenza, con una ricaduta positiva anche sui prezzi, informa i consumatori, incrementando le possibilità di scelta, e costituisce inoltre uno dei driver fondamentali dell'innovazione, incentivando le migliori performance degli investimenti per creare prodotti e servizi sempre nuovi e differenziati.
  Per quanto riguarda i contenuti della pubblicità, quindi la creatività della pubblicità, cioè il rispetto nei confronti del consumatore, il mondo della comunicazione si sottopone a un controllo terzo, quindi fuori dagli ambiti dei pubblicitari, dell'autodisciplina pubblicitaria, che garantisce che la creatività di quello spot sia responsabile nei confronti del consumatore cittadino e soprattutto – questa è la cosa a cui teniamo molto – lo fa con rapidità. Sapete che la comunicazione dura un tempo abbastanza breve, ma ecco, l'importanza dell'autodisciplina è non solo la tutela del consumatore ma il fatto che questa tutela avvenga in un tempo talmente veloce di soppressione dello spot che avesse un impatto negativo sul cittadino che lo stesso viene rimosso immediatamente, appena viene giudicato negativamente.
  Venendo, e concludo, ai temi più diretti che riguardano il motivo per il quale siamo stati chiamati in audizione, in attesa delle domande, ci sono alcuni punti fermi. UPA, coerentemente con le norme dell'Autorità della concorrenza e del mercato, è a favore di un mercato di libera concorrenza, sia nella disponibilità di mezzi e spazi sia di prezzi. Riteniamo importante che i mezzi di comunicazione, quando vengono usati nell'interesse dell'investimento pubblicitario, siano anche concorrenti tra di loro, sia in termini di audience sia di valorizzazione dei loro spazi. Non a caso, le scelte che vengono fatte si basano su dati che comprendono, nel caso della televisione, tutti gli operatori, in termini di rilevazione delle loro audience; stessa cosa sulla radio, così come sulla stampa. Per l'investimento pubblicitario è importante avere l'informazione sui mezzi alla pari tra di loro, indipendentemente dalla loro origine.
  Riteniamo altresì indispensabile agire in un mercato trasparente – questo l'abbiamo visto nella convenzione e questa regola dovrebbe valere per tutti i mezzi, quindi non solo per il servizio pubblico – affinché tutte le aziende che investono in pubblicità che, non dimentichiamolo, sono a loro volta in concorrenza tra di loro (due produttori di detersivi sono concorrenti), abbiano a disposizione delle valorizzazioni, degli spazi trasparenti e quindi consapevoli.
  Termino dicendo che l'altro punto sul quale abbiamo una particolare sensibilità è quello del rapporto tra gli spazi disponibili per le aziende per mettere la loro comunicazione e il rispetto dell'affollamento nei confronti dello spettatore. Riteniamo che il concetto di limiti di affollamento abbia – la legge lo stabilisce – una logica molto importante, perché è una tutela dello spettatore. Un'eventuale riduzione (e questo vale per tutte le reti) di spazi, qualificati soprattutto, trova una certa preoccupazione da parte delle aziende, in quanto sono audience qualificate, spesso in termini di grandi audience e di profili particolarmente interessanti per il mondo della comunicazione.

  MAURIZIO ROSSI. Grazie, direttore, spero che le siano arrivate le domande che ho mandato ieri, e comunque le leggo, ovviamente, anche per chi ci segue. Lo dico anche per i clienti, voi rappresentate il fatturato che tiene in piedi il sistema dei media del Paese. A voi posso fare alcune domande proprio sul sistema della pubblicità in Italia, generale, e che riguarda la Rai e la prossima concessione.
  Sono dati molto importanti per redigere il nostro parere sulla convenzione, che tocca sia l'aspetto canone sia quello pubblicitario, tanto più in Italia, dove il sistema pubblico è misto e vi sono diversi dubbi se sia un sistema corretto o sia proprio da modificare in occasione di questa nuova Pag. 36convenzione. Potete spiegare come funziona l'acquisto di spazi pubblicitari in Italia, sia sui canali di servizio pubblico che sul resto dei media d'informazione? Il 70-80 per cento della pubblicità in Italia passa dai Centri Media. Sono i clienti o i Centri Media che gestiscono di fatto la pubblicità nel Paese? Perché in Italia c'è questa situazione così esasperata rispetto agli altri Paesi relativa ai Centri Media che dominano svariati miliardi di pubblicità? Anche Rai, nonostante sia pubblica e abbia un affollamento limitato, paga profumatamente i Centri Media per ottenere contratti dagli stessi, importi di svariati milioni. Sembra che negli ultimi anni si sia passati da 5 a 18 milioni di euro. Chiedo, tra l'altro, al presidente se possiamo avere un dato preciso, perché – ci tengo a dirlo – non ce l'ho al momento, anche se bisognerebbe andare a spulciare nei bilanci di Sipra. Possiamo chiedere quanto Rai paga ai Centri Media e quanto pagava negli anni passati? Trovate giusto che gli sconti per gli spazi su Rai ormai di fatto partano dall'85 per cento e arrivino anche al 92 per cento? Oltre a questo ci sono gli omaggi e, appunto, le percentuali ai Centri Media. A voi che siete grandi investitori italiani sta bene il sistema così com'è oggi o ritenete che ci si debba mettere mano urgentemente nell'interesse di una difesa di tutto il sistema dell'informazione e della pluralità dell'informazione?
  La Francia è intervenuta – è bene saperlo – sin dal 1994 per regolamentare il sistema dei Centri Media e vi chiedo (se per caso lo sapete voi meglio di me) se vi risulta che il servizio pubblico francese non sia autorizzato a pagare alcunché ai Centri Media per ottenere pubblicità. Questo perché, avendo un limite molto basso, comunque il denaro pubblico non deve andare in percentuali ai Centri Media. Sareste favorevoli a una separazione netta, anche societaria, del concessionario del servizio pubblico, come peraltro invita l'Europa, tra canali di servizio pubblico senza pubblicità e canali commerciali che possono, invece, mettersi sul mercato al pari di altri?
  Alla fine ottenete certamente prezzi molto favorevoli dalla Rai, specialmente in questi ultimi anni, grazie all'accordo che Rai e Sipra hanno avuto con i Centri Media. La vostra pubblicità viene inserita in programmi di servizio pubblico, che sono acquistati con i soldi del canone, da grandi eventi sportivi a produzioni. È denaro pubblico dei cittadini che va ad un unico soggetto.
  Ritenete che il sistema debba proseguire così com'è sino ad oggi o ritenete che, visto che siamo alle porte di una nuova convenzione, non vadano apportate modifiche, sia per quanto riguarda la concessione del servizio pubblico e quindi la pubblicità in quei programmi di servizio pubblico, sia in generale sulla gestione della pubblicità che viene appunto monopolizzata dai Centri Media? Una netta separazione societaria, quindi, eliminazione dei Centri Media nella vendita di spazi del concessionario pubblico, forte diminuzione della tabella sconti a cui abbiamo assistito sino ad oggi e, ovviamente, altri suggerimenti che vorrete cortesemente fornirci.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Ringrazio la dottoressa Maggioni non solo per la presenza, ma anche per aver predisposto una nota molto esaustiva. Non ho commenti aggiuntivi rispetto alle considerazioni del senatore Rossi, perché fa riferimento a realtà che non conosco direttamente. Mi chiedevo, invece, presidente, se abbiamo acquisito da Rai quel dato riferito a quanto aveva detto il direttore generale.

  PRESIDENTE. Non è ancora arrivato.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Il direttore aveva detto che era un calcolo semplice, ma ho detto che non ero in grado di farlo. Volevo sapere se era arrivato, perché forse questo può aiutare a dipanare alcuni dubbi del senatore Rossi.

  PRESIDENTE. Non ricordo da chi era stato detto in Commissione, sempre parlando di pubblicità, che l'accusa che si faceva a Rai era di una sorta di dumping. Quindi l'affollamento generale, che poi al 4 per cento era la somma di tutti i canali e non di uno solo. Questa è stata la questione Pag. 37ed è per questo che il direttore generale è venuto qui e ci ha detto della distribuzione in secondi e la divisione. Aspettiamo ancora questo dato per comprendere bene questa situazione. Non so se lei ha un'opinione al riguardo.

  GIOVANNA MAGGIONI, direttore generale UPA. Per rispondere al senatore Rossi, che cortesemente mi aveva anticipato con una mail queste sue domande, intanto bisogna tener conto della struttura del mercato pubblicitario. È un mercato che va diventando sempre più complesso; penso a tutta l'area di internet e di quello che chiamiamo programmatica, di una serie anche di nuovi modi di presentarsi al mercato da parte dei mezzi. Quindi, sempre di più diventa importante per le aziende, che sono per loro natura produttrici di beni, di servizi, e che in più fanno anche investimento pubblicitario, ma la cui primaria natura è quella di produrre, essere affiancate da specialisti della materia, che in questo caso si chiamano Centri Media. Nel passato erano le agenzie di pubblicità che erano a servizio completo, quindi facevano la creatività e la pianificazione, cioè la scelta dei mezzi, oggi questo si è diviso tra chi fa la creatività e chi, invece, come i Centri Media, fa la pianificazione. La pianificazione per un'azienda vuol dire porsi intanto degli obiettivi, cioè a chi vogliamo parlare, quello che chiamiamo il target in maniera convenzionale; quindi, decidere quali sono i mezzi più adatti per parlare di quel prodotto a quel target, cioè a quelle persone. Le aziende non fanno distinzione tra servizio pubblico o privato; lo faranno come cittadini, ma come aziende che investono fanno una scelta tra quei mezzi, prima scegliendo le tipologie dei mezzi – televisione, radio, affissione, cinema, carta stampata – a seconda di quello che è l'obiettivo del messaggio che voglio mandare a un consumatore.
  Fatta la prima scelta tra i mezzi – non è un mezzo solo, ma sono a volte degli incroci, televisione più internet, televisione più stampa, stampa più radio – attraverso le indagini che sono l'Auditel, l'Audipress, l'Audiweb, dove tutti gli operatori di quel mezzo sono insieme e vengono rilevati alla stessa maniera, all'interno di queste ricerche si va a vedere quali sono i mezzi e le testate più adatte per veicolare quel messaggio. Se ho una campagna locale, userò l'Auditel per la parte delle televisioni locali e la stampa per la parte locale e così via. A questo punto i Centri Media, che sono appunto coordinatori del fattore pianificazione da parte dell'azienda, danno alle aziende dei piani di scelta dentro i quali ci sono tutti i mezzi, in funzione appunto dei loro target che raggiungono. Quindi, il sistema pubblicitario va a cercare quei mezzi che corrispondono meglio, in quanto a target, all'obiettivo che l'azienda si è data. Questo è il lavoro che viene fatto. Quindi, il Centro Media affianca l'azienda in questa funzione. Dire se si può per alcuni mezzi eliminare il Centro Media o per altri tenerlo, credo – certo, tutto è fattibile nella vita – che sia molto difficile, proprio perché è una concatenazione di fattori che vengono pesati e misurati, tant'è vero che nell'Auditel tutte le emittenti e tutti i canali, Rai, private, locali, free e satellitari, sono misurate alla stessa identica maniera sullo stesso campione, proprio perché anche solo il fatto di avere lo stesso campione che misura tutto ci dà la dimensione dell'obiettivo che vogliamo raggiungere e capiamo se ci sono duplicazioni, se lo stesso consumatore salta da Rai Uno a Canale 5 a Sky Cinema, vediamo quella che chiamiamo ottimizzazione per raggiungere quel consumatore. Dunque, alla domanda su come funziona il sistema, rispondo che funziona in questo modo. I Centri Media sono assistenti dell'azienda. Poi, per quanto riguarda la loro funzione, non è solo italiana. È uscita una recente ricerca negli Stati Uniti sull'uso che si fa dei Centri Media. Oltretutto è stata fatta un'indagine conoscitiva dell'Agcom – se non ricordo male, quando è stata pubblicata era dicembre del 2012 – proprio sul mercato della comunicazione e sull'operato e il peso dei Centri Media. È un'indagine ancora attiva sul sito dell'Agcom, molto interessante, che noi stessi abbiamo mandato ai nostri associati. Siamo stati anche auditi su questo. Per quanto riguarda la Francia, rispetto a tutti gli altri Paesi europei, essa ha fatto la Pag. 38scelta di una legge, la Sapin, tra l'altro estesa anche a internet (legge Macron) a partire dal primo gennaio 2018, dove i Centri Media continuano a operare. La legge non li ha soppressi – perché la loro funzione è di pianificare e poi anche di acquistare – ma ha semplicemente accorciato la filiera del rapporto economico, in quanto la legge Sapin stabilisce che esiste una sola modalità contrattualistica tra il mezzo e il cliente, cioè con una fatturazione diretta. In realtà, oggi in Italia, ma anche in Inghilterra o in altri Paesi, esistono più modi di avere contratti legalissimi tra l'azienda, il Centro Media e il mezzo: con rappresentanza, senza rappresentanza, ma non voglio entrare in dettagli tecnici. La funzione del Centro Media non solo non è stata soppressa in Francia, ma ha una filiera diversa.
  Per tornare alla prima domanda, è molto difficile, come le dicevo, pensare a una funzione diversa secondo che il mezzo sia pubblico o privato, perché nella scelta dei mezzi non facciamo una scelta da cittadino, ma da azienda che investe.
  Per quanto riguarda il tema che lei sollevava sugli sconti, credo che dobbiate sentire direttamente i mezzi. Siamo un'associazione, quindi in quanto tale, avendo fatto una compliance antitrust, come molte associazioni hanno fatto, ai nostri tavoli è severamente proibito parlare di tariffe o di altro, proprio perché l'Antitrust su questo, per fortuna, è molto rigorosa. La maggior parte delle associazioni del nostro settore ha un codice deontologico, accettato dall'Antitrust, che riconosce come intorno ai nostri tavoli i prezzi, di qualunque natura, non solo quelli pubblicitari, non vengono assolutamente esplicitati.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Maggioni e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.

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