XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

Resoconto stenografico



Seduta n. 150 di Martedì 14 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) e di Enzo Scalia, managing director della società Benfante Spa:
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 3 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 7 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 7 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 10 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 10 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 10 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 10 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 10 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 11 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 11 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 11 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 11 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 12 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 12 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 12 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 12 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 13 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 13 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 13 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 15 ,
Puppato Laura  ... 15 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 15 ,
Puppato Laura  ... 15 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 15 ,
Puppato Laura  ... 15 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 15 ,
Puppato Laura  ... 15 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 16 ,
Scalia Enzo , managing director della società Benfante ... 16 ,
Tarallo Giuliano , presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) ... 16 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO BRATTI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) e di Enzo Scalia, managing director della società Benfante Spa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Giuliano Tarallo, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima) e di Enzo Scalia, managing director della società Benfante Spa, che ringrazio della presenza. L'audizione odierna, richiesta dagli interessati, si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul mercato del riciclo, con particolare riguardo all'attività dei Consorzi che ne hanno una parte di gestione.
  Ricordo che la Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Cedo dunque la parola al dottor Tarallo per lo svolgimento di una relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari. Poi, in successione, ci sarà anche una breve illustrazione del dottor Scalia.
  Avrete probabilmente seguito ciò che stiamo facendo. Tra associazioni, consorzi e operatori stiamo cercando di fare un quadro che possa essere il più aggiornato possibile sulla situazione del mercato del riciclo, anche per capire eventualmente quali tipi di correttivi possano essere messi in atto o quali questioni siano particolarmente da seguire per risolvere eventuali problematiche esistenti: questo è l'obiettivo.

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Buongiorno. Sono il presidente di Unirima, l'Unione nazionale delle imprese che fanno il riciclo della carta da macero: gestiamo e trattiamo la carta da macero. Ho riepilogato i punti del mio intervento. Per cominciare, mi sono preparato una piccola slide in cui ho cercato di riepilogare il ciclo della carta – sarò molto veloce – per far capire chi siamo noi in particolare. Intanto, sul ciclo della carta, che vedete nella slide, la prima cosa importante da capire è questa: le cartiere nascono nel 1400 in Italia e sono attività che trattano gli stracci abbandonati; abbiamo a che fare, quindi, con una circular economy partita nel Medioevo. È sempre stata, questa, un'industria che ha utilizzato Pag. 4i materiali recuperabili: fino al 1800 si utilizzavano gli stracci; dalla fine dell'Ottocento e con il Novecento gli stracci sono stati sostituiti con la cellulosa. Questo ciclo, quindi, esiste da qualche secolo ed è un ciclo che esiste perché questi materiali hanno un valore economico, quindi c'è una leva economica che fa muovere tutto il ciclo dei materiali.
  Adesso cercherò di descrivere rapidamente il ciclo e vi illustrerò quali sono i punti delicati del ciclo stesso secondo noi. Il ciclo della carta si basa prevalentemente sul mercato. Si tratta di un mercato che, come dicevo, esiste da qualche secolo. Ci sono dei fattori che sono stati introdotti – o che saranno introdotti nel prossimo futuro – che perturbano, o possono perturbare questo equilibrio. Vi racconterò, adesso, quali sono gli aspetti più delicati secondo noi. Il ciclo comincia, ovviamente, con le cartiere, che nel 2015 hanno messo sul mercato circa 8,8 milioni di tonnellate di materiale di carta. Questi 8,8 milioni di tonnellate di carta vanno all'industria, che le utilizza per vari scopi: c'è l'industria dell'editoria che fa i giornali, l'industria che produce scatole e fa gli imballaggi. Già a questo livello questa industria produce dei rifiuti che sono rifiuti speciali, costituiti da scarti di carta.
  Un passaggio successivo, sempre all'interno del sistema industriale, è quello del commercio. Ci sono varie attività commerciali che utilizzano prevalentemente gli imballaggi. Questi imballaggi, una volta utilizzati, costituiscono a loro volta dei rifiuti. Questi possono essere rifiuti speciali o possono essere rifiuti assimilati agli urbani. Questo è uno degli aspetti delicati del problema, che affronteremo successivamente. Poi c'è il consumatore finale, colui che utilizza il quotidiano o l'imballaggio e che alla fine della giornata prepara la carta. Nel suo comune, probabilmente, c'è la raccolta differenziata. Come saprete, sono molti i rifiuti urbani vengono prodotti, ma esistono sostanzialmente due sistemi di raccolta: un sistema di raccolta che fa riferimento ai rifiuti speciali (con operatori che stanno sul mercato dei rifiuti speciali) e il sistema della raccolta dei rifiuti urbani. Anche qui vedremo che c'è un aspetto delicato perché, oltre a esserci l'assimilazione, è a questo livello che intervengono i consorzi di filiera (nello specifico, per quanto riguarda la carta, il Comieco).
  Attualmente, sui circa 9 milioni di tonnellate che vengono immesse al consumo, ne vengono raccolte 6,3 circa. Questo avviene perché ci sono delle tipologie di carta, come per esempio la carta igienica, ovviamente, i fazzolettini di carta e altro che non rientrano nel nostro sistema di raccolta come carta. A volte diventano compost, oppure vengono gestiti in modo diverso, ma comunque non possono essere riutilizzati dalle cartiere, quindi non rientrano nel ciclo della carta.
  Questi due sistemi di raccolta stanno, grossomodo, al 50 per cento, cioè il 50 per cento di questo materiale viaggia come rifiuto speciale e il 50 per cento viaggia come rifiuto urbano. Tutto questo materiale, una volta raccolto, viene portato in impianti che si occupano di renderlo omogeneo e di farne un prodotto standard per le cartiere. Quelle con il quadratino verde, che abbiamo messo in evidenza, sono le imprese del macero. Unirima è l'associazione che rappresenta queste imprese. Le nostre imprese, o meglio le imprese che noi vogliamo rappresentare (non le rappresentiamo tutte ancora, in quanto la nostra associazione, pur nascendo dalla fusione di due associazioni precedenti, è abbastanza recente) trattano circa 6,3 milioni di tonnellate l'anno (quantomeno, 6,3 sono quelle che hanno trattato nel 2015). Di questi 6,3 milioni di tonnellate, 4,8 vengono ceduti alle cartiere, le quali li riutilizzano per fare dei nuovi maceri insieme alle fibre di cellulosa vergine. Una parte abbastanza consistente, 1,8 milioni di tonnellate, viene esportata. Poi c'è una piccola quantità di maceri che viene invece importata e che ho messo nel ciclo semplicemente per completezza.
  Sono 300.000 le tonnellate che le cartiere italiane acquistano; si tratta di tipologie di macero diverse da quelle che stanno sul mercato nazionale, ossia di tipologia diversa rispetto a quella accessibile sul mercato nazionale. In pratica, viene raccolto più materiale di quello che è possibile per Pag. 5il sistema industriale nazionale delle cartiere trattare, ragion per cui una parte abbastanza significativa viene esportata.
  Mi concentrerò sostanzialmente su tre soli punti che, secondo noi, nel momento in cui si fa una valutazione del ciclo di questa tipologia di materiale, appaiono più delicati. Sono punti che, innestandosi nella normale pratica di mercato, se ben governati, migliorano il sistema ma, se mal governati, possono rappresentare un problema. La prima cosa che potete osservare, a un dato punto, è che per alcune attività, come per esempio il commercio – ovviamente, questa è una sintesi abbastanza semplificativa della realtà, ma nel commercio questo è molto frequente – accade che i rifiuti da speciali possano essere, attraverso dei regolamenti comunali, assimilati ai rifiuti urbani. Accade, quindi, che un rifiuto generalmente, o quantomeno storicamente, gestito come rifiuto speciale, venga gestito, a un dato punto, per scelta delle amministrazioni comunali, come rifiuto urbano. Questa operazione, per la nostra categoria, rappresenta un problema perché, nel momento in cui il rifiuto da speciale diventa urbano, esce fuori dal mercato dei rifiuti speciali ed entra all'interno delle privative comunali. Accade, quindi, che una buona fetta, cioè una parte abbastanza consistente – dipende da alcune condizioni che vi dirò velocemente – di rifiuti speciali è soggetta alla normativa dei rifiuti speciali, quindi alla tracciabilità del rifiuto, all'identificazione del produttore, alla produzione di tutti i documenti necessari per il trasporto dei rifiuti, alla comunicazione annuale del MUD, alla tracciabilità, in particolare, del produttore: con i rifiuti speciali si sa esattamente chi è il produttore e quanto ha prodotto. Tutto questo, però, si perde perché questi rifiuti, essendo assimilati ai rifiuti urbani, entrano nel grosso calderone dei rifiuti urbani, in cui tutta questa tracciabilità, appunto, si perde. Il risultato finale, per le nostre imprese, è che il mercato si riduce e quindi abbiamo imprese che chiudono.
  Qual è il motivo per cui questo accade? Il motivo è che ci sono due fattori che, tendenzialmente, spingono un comune o un soggetto gestore del servizio pubblico in particolare a far sì che i rifiuti vengano assimilati. Orbene, assimilando i rifiuti speciali agli urbani, è più facile raggiungere gli obiettivi di raccolta. Se infatti sono un soggetto gestore di un servizio pubblico e devo raggiungere un determinato target di riciclo, recupero e raccolta differenziata di materiali recuperabili, faccio molto prima ad andare presso le grosse fonti di rifiuti speciali a fare quantità, piuttosto che a convincere i cittadini a fare in modo adeguato la raccolta differenziata. A volte, quindi, l'assimilazione rappresenta una scorciatoia per il gestore del servizio pubblico per arrivare agli obiettivi di raccolta.
  Talora, visto che questo è un sistema che si muove e gira perché c'è un valore economico di questi materiali, il soggetto gestore del servizio pubblico può avere interesse, in particolare quando ci sono condizioni di mercato favorevoli, ad accedere a risorse economiche che altrimenti non avrebbe, in quanto tutte le tonnellate di materiale che entrano nel suo sistema, sono tonnellate di materiale che hanno un valore economico e che lui poi può giocarsi sul mercato. Questo è un primo aspetto dell'assimilazione. È quindi l'assimilazione sul produttore del rifiuto che costituisce un problema: vi è un problema di perimetro. Il Ministero dell'ambiente, da circa quindici anni, deve emanare un decreto che stabilisca esattamente quale sia il perimetro che disciplina i meccanismi di assimilazione. Fino ad oggi, ciò non è ancora successo. Sappiamo che al Ministero dell'ambiente si è istituito un tavolo in cui si sta discutendo di tutto questo, ma ad ora non abbiamo ancora nulla. È però una questione molto delicata, ovviamente.
  Un altro aspetto dell'assimilazione è che, a volte, i soggetti gestori del servizio pubblico interpretano in modo piuttosto estensivo la privativa comunale: che cosa fanno? Visto che hanno la raccolta di questi materiali recuperabili, si costruiscono i loro impianti e immaginano di gestire i materiali raccolti direttamente per mezzo dei loro impianti. In realtà, la normativa italiana prevede che la privativa sia per la raccolta e per il trasporto, non per la Pag. 6gestione di questi materiali. Pertanto, il comune o il soggetto gestore del servizio pubblico, laddove volesse investire costruendo propri impianti, una volta che detiene questo materiale, prima di conferire a un impianto, dovrebbe fare una gara pubblica. Considerato che, come vedremo successivamente, in realtà di impianti che possono svolgere quest'attività ce ne sono molti, spesso si tratta di investimenti che, se poi questi impianti vanno messi sul mercato, non hanno un grosso significato. Nella nostra storia abbiamo varie situazioni in cui alcuni grandi soggetti gestori di servizio pubblico hanno fatto i loro impianti, ma siamo dovuti intervenire con l'Antitrust per fare in modo che rispettassero la legge, cioè che facessero delle gare per capire in quali impianti questo materiale dovesse essere gestito. Questa è una situazione che si ripresenta frequentemente. Per vari motivi c'è la tendenza, da parte di alcuni soggetti gestori, a cercare di chiudere il ciclo immaginando che il ciclo sia una cosa loro. In realtà, il ciclo ha vari soggetti e ogni soggetto ha il suo ruolo all'interno di un perimetro ben definito.
  Passiamo a un altro punto delicato. I punti delicati sono quelli che ho indicato in rosa. Chiuso il problema dell'assimilazione, vi avevo detto che i punti delicati sono tre. Un primo problema è quello dell'assimilazione, il secondo problema, cioè il secondo punto delicato che può perturbare il sistema è dato dai consorzi di filiera. Il consorzio di filiera dovrebbe avere un ruolo sussidiario all'interno di un ciclo di questo genere. Questo è un ciclo che esiste da qualche secolo, come vi dicevo. È un ciclo che ha la sua sostenibilità economica. A un dato punto, come poi vi illustrerà meglio il nostro collega Scalia, sono subentrate le normative che hanno cercato di incentivare le raccolte differenziate per aumentare le quantità di materiale riciclato. Bisogna capire quanto il consorzio di filiera può intervenire all'interno del mercato perché, fintanto che questo è sussidiario, ossia svolge un ruolo a cui il sistema economico di per sé non riuscirebbe ad arrivare, sicuramente rafforza il sistema e consente a quantità di materiali che prima non andavano riciclati di emergere. Nel momento in cui, invece, si fa questo in contrasto (perché lo si fa, magari, al di fuori della logica di mercato, o perché non si riconoscono i corrispettivi adeguati), ciò costituisce un ostacolo alla valorizzazione di questi materiali.
  Brutalizzando il discorso, quando riusciamo a capire se il consorzio di filiera è sussidiario o non è sussidiario? Dal nostro punto di vista, il comune ha un materiale e mette all'asta questo materiale. Se dal valore che ricava da quel materiale riesce a sostenere il suo sistema di raccolta e a guadagnare qualche cosa, secondo noi il consorzio di filiera non è necessario. Nel momento in cui il mercato non c'è, ossia il comune mette all'asta quel materiale e dalla vendita del materiale non riesce ad avere le risorse, in quel caso, effettivamente, c'è l'esigenza, il bisogno, di un sistema sussidiario.
  Da un punto di vista generale, nella fattispecie della carta, come vedete dal grafico, abbiamo a che fare con circa 6,3 milioni di tonnellate; di questi 6,3 milioni di tonnellate soltanto circa il 50 per cento è gestito attraverso la raccolta di rifiuti urbani e di questo 50 per cento soltanto il 50 per cento è amministrato dal Comieco. Stiamo parlando, quindi, di un 25 per cento del totale, ossia di 1,5 milioni circa di tonnellate. Rispetto ad altri consorzi di filiera, oggettivamente, il Comieco ha un impatto sul ciclo sussidiario, anche se poi ci sono i casi specifici che ci vengono proposti dai nostri associati da cui ci rendiamo conto che ci sono operazioni in controtendenza. Laddove il Comieco, sulla base di gare, sembrerebbe non necessario, ci sono delle scelte del comune che sembrano poco razionali e non sono facilmente comprensibili. Così come, per quanto riguarda la gestione di questi rifiuti presso gli impianti, i nostri associati devono spesso rivolgersi all'Antitrust, così il Comieco e i consorzi di filiera sono costretti a rivolgersi al TAR o alla giustizia amministrativa.
  L'ultima cosa che volevo dire – poi mi taccio – è il discorso dei maceri importati e dei maceri esportati. Questa è una questione su cui, ad ora, possiamo semplicemente prendere atto dei numeri, ma abbiamo Pag. 7 tutta una direttiva della circular economy che avrà un impatto all'interno di questo ciclo. La direttiva della circular economy nasce proprio per cercare di potenziare e migliorare il riciclo dei materiali. Quindi, a seconda di come è recepita in Italia, questa potrebbe avere un impatto su importazione ed esportazione. L'importante è capire quale sia lo stato attuale dei fatti. Il nostro sistema industriale può gestire, ad oggi, 4-5 milioni di tonnellate di materiale circa: noi ne produciamo più di 6. Vi Ho detto tutto.

  PRESIDENTE. Sentiamo anche l'altra relazione e poi magari facciamo qualche domanda.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Ringrazio la Commissione per averci ospitato e vado rapidissimo sulle prime slide. La storia dell'azienda Benfante nasce a Genova, nel dopoguerra. Credo che, come tutte le storie comuni a questo tipo di impresa, essa nasca con un carrettino, raccogliendo quello che si trovava a ciglio strada. Questa è la storia. Poi alcune imprese si rendono conto, guardando magari fuori dai confini italiani, del dimensionamento a livello europeo e cominciano a ravvisare profondamente il bisogno di crescere, aggregarsi e diventare una realtà più industriale, rispetto alla forma artigianale in cui l'attività è nata. Per questo motivo anche Benfante, dalla sede genovese, si allarga sul Piemonte: ad Alba, Cuneo, Torino, Biella e poi sulla Toscana, con Valfreddana a Lucca e Usvardi a Verona. Questi, però, sono dettagli che ci interessano poco. Mi piaceva fare un velocissimo excursus, avendo avuto la fortuna – o la disgrazia, non lo so – di aver collaborato alla nascita anche del sistema italiano, a partire dal 1993. All'epoca c'è stato il primo antesignano dei consorzi Replastic. Come si è arrivati a fare una normativa che introduce sistemi di gestione dei rifiuti di imballaggi? Nel dopoguerra, in tutta Europa, cresce il consumo di imballaggi per proteggere, conservare e trasportare i beni. Quindi, la dimensione spazio-temporale delle merci accelera in maniera incredibile la sua diffusione grazie all'imballaggio, ma qual è l'altra faccia della medaglia? All'interno delle discariche si trova, sempre di più, dal 30 per cento in peso fino al 45 per cento in volume di rifiuti di imballaggio. Questo crea costi esternalizzati, all'epoca, per i pubblici gestori e le pubbliche amministrazioni che devono provvedere a smaltire o a recuperare questi nuovi rifiuti. Su questa base, dal 1986 – il primo decreto è quello Toepfer in Germania – fino al decreto Ronchi nel 1998, in Italia si introduce qualche criterio fondamentale.
  A cosa servono questi sistemi? Di fatto introducono il criterio della responsabilità condivisa: chi produce l'imballaggio e chi lo utilizza, fino ad arrivare al consumatore, è tenuto a essere responsabile del bene. Si prova, quindi, a internalizzare nel sistema industriale il costo di gestione, anche del fine vita o dell'avvio al riciclo. Il principio è evidente: chi inquina paga.
  Si parte con la diffusione di due esperienze. Una è quella del DSD (Duales System Deutschland) in Germania. Il DSD, a sue spese e con propri mezzi, va a fare la raccolta dei rifiuti di imballaggio nelle città tedesche. Questo sistema si estende, poi, con diversi modi e maniere, in Spagna, in Francia e in Benelux, nonché nell'Est Europa. Nel 1998 nasce Conai, che invece ha un altro approccio. Conai parte dal considerare chi sia il gestore dei rifiuti urbani in Italia. Sono le aziende pubbliche municipalizzate, o le aziende di igiene urbana (chiamiamole come vogliamo). Facciamo, quindi, un accordo con l'ANCI a rappresentanza di tutti i comuni per trovare un sistema tale per cui si abbattano i costi, o il delta-costo, di raccolta differenziata, erogando un contributo fissato da un accordo che – lo ripeto – ha validità quadriennale per coprire questi costi. Rimane, tuttavia, un'ambiguità, che si trascina dal 1998 ad oggi: la proprietà del rifiuto di imballaggio raccolto di chi è? Questa è una domanda importante perché, di fatto, la risposta di Conai e dei consorzi di filiera è che la proprietà è di chi va a intercettare questi materiali.
  Molto velocemente vi illustro ora gli attori di sistema. Il consumatore è il primo Pag. 8(questo andava forse meglio espresso in loop circolare, ma comunque il consumatore è il primo soggetto). Costui compra i beni al supermercato pagando il prezzo del bene e ne paga anche il costo del CAC (contributo ambientale Conai), che di fatto, dopo vent'anni, è internalizzato nel costo del bene stesso. Il comune è deputato a raccogliere quel rifiuto urbano, con i limiti ben descritti dal collega Tarallo, su determinate estensioni di speciali. Il comune, quindi, lo raccoglie e, a questo punto, lo deve conferire a qualcuno – noi pensiamo di rappresentare esattamente quella categoria – ossia alle piattaforme di selezione. Arriva, quindi, un materiale abbastanza eterogeneo, cioè con vari livelli di eterogeneità. Ci sono strutture che – lo ripeto – oggi sono sempre più industrializzate: parliamo di sorter a lettura ottica, espulsione magnetica e altre attrezzature. C'è, insomma, tutta quella categoria che dal carrettino comincia a fare investimenti di 4-5 e poi 8-10 milioni di euro per sostenere la selezione di questi materiali e assicurarne da eterogeneità iniziale un'identificazione monomateriale, o addirittura monopolimero nel caso delle plastiche o anche per la carta: c'è, insomma, un mondo.
  A livello europeo, ci sono oltre 150 tipologie di macero classificate dalle UNI-EN. Stiamo parlando di materie prime e secondarie a tutti gli effetti, ma non vi tedio oltre. Quello che esce da noi, quindi, diventa, nel caso specifico del macero, materia prima e seconda per l'industria cartaria. A questo punto parte il processo nella cartiera: pulper, trattamento idromeccanico, produzione di bobina; la bobina viene ceduta a ondulatori/scatolifici e qui riparte il CAC.
  Questi che vedete sono i soggetti: chi produce l'imballaggio applica il contributo ambientale, chi lo compra (le aziende manifatturiere), chi produce beni che devono essere imballati paga il CAC indirettamente; la distribuzione, poi, distribuisce il bene, che quindi torna al consumatore e così il loop riparte. In questo sistema sottolineo quanti meriti hanno avuto Conai e tutti i consorzi di filiera nel sostenere l'avvio delle raccolte differenziate e nel comunicare ai cittadini l'importanza di questi gesti quotidiani, che cambiano la tipologia e la matrice dei rifiuti. Sono stati meriti che, nel 1998, hanno di fatto interessato tutta l'Italia: è vero che ci sono zone del Paese dove la sussidiarietà è estremamente importante. Difficilmente un operatore privato va a fare business sulle colline dell'Aspromonte per questo tipo di materiale. La sussidiarietà è un concetto che deve rimanere e che noi riteniamo assolutamente importante, tuttavia è cambiato qualcosa. Il fatto che in vent'anni il modello dell'allegato tecnico sia rimasto verosimilmente identico a quello di Replastic – il primo è del 1993 – mi induce a pensare che forse sia arrivato il momento di fare qualche ragionamento in più.
  Che cosa suggerisco per ragionamento in più? Comieco ha sicuramente garantito – e garantisce tuttora – con il cosiddetto macero amministrato dato alle cartiere forniture a basso costo per l'industria cartaria, il che può andare anche bene perché si tratta di accordi di medio-lungo termine. Ciò mantiene basso il CAC: nel caso della carta, 4 euro a tonnellata è quasi impalpabile nel costo di scaffale. Forse l'aspetto che dopo vent'anni non è molto ben compreso, però, potrebbe essere quello dei vantaggi da distribuire tra comuni, piattaforme e cittadini. Questo, a mio avviso, è un punto da chiarire: perché? Perché nel corso degli anni è cambiato il mondo. Nel 1998 – io lo ricordo bene perché partecipai ai negoziati – convincere le cartiere a firmare un accordo che impegnava l'industria cartaria per quattro anni a ricevere quel macero a prezzo fisso è stata dura, posto che nel 1998 l'Italia era un importatore netto. Arrivava macero da tutta l'Europa e soprattutto da quei Paesi che avevano già sviluppato sistemi di raccolta più evoluti e avanzati. Questo, di fatto, metteva le cartiere in condizioni di accettare non proprio volentieri quell'allegato tecnico. Oggi, dopo vent'anni, il mondo è un po’ cambiato. È un po’ cambiato perché il Far East è diventato, che piaccia o non piaccia – non esprimo alcun giudizio, né etico, né estetico – la grande manifattura mondiale. L'imballaggio, che è una commodity povera, segue la Pag. 9produzione del bene, ragion per cui poi è necessario l'imballo. A questo punto, lo sviluppo delle cartiere – oltre 2.200 nell'area del Far East – ha comportato un fabbisogno di materia prima, ossia il macero, che deve essere concentrata lì. Guardiamo solo velocissimamente gli Stati Uniti d'America. Abbiamo i dati del 2013 ma la situazione cambia di poco. C'è infatti poca differenza con quelli del 2016, che comunque poi vi posso lasciare. Negli Stati Uniti si raccolgono 51 milioni di tonnellate e l'industria cartaria statunitense è in grado di riciclarne 30: cosa vuol dire questo? Vuol dire che circa 16 milioni di tonnellate devono trovare uno sbocco da qualche altra parte. L'Europa, con lo sviluppo di tutti i sistemi citati prima, dal DSD a tutti gli altri nei Paesi europei, è diventata anch'essa esportatrice netta. Essa ha superato i 60 milioni di tonnellate raccolte, ma la capacità di riciclo europea si ferma comunque a meno di 50, ergo altri 10 milioni di tonnellate vanno allocati. Fare una cartiera comporta investimenti di 150-200 milioni di euro, con uno sguardo di vent'anni in avanti perlomeno. Non è facile decidere di fare le cartiere che ci mancano. Vero è che l'Europa sta dando segnali di nuovi investimenti in industria cartaria nel perimetro europeo: ben vengano, noi ce lo auguriamo assolutamente. Meno chilometri si fanno, infatti, meglio è, tuttavia, ad oggi, questa è la fotografia. La stessa fotografia vale, però, anche per le 340.000 tonnellate citate prima che vengono da Spagna, Stati Uniti, Svizzera, Francia e via elencando. Sono comunque materia prima oggi ancora indispensabile perché magari mancano determinate tipologie nel Paese nazionale e sicuramente anche le esportazioni.
  Qui arriviamo a quella che probabilmente è un'altra riflessione che le autorità italiane dovrebbero sviluppare più efficacemente cioè quella dell'armonizzazione della normativa su import-export di rifiuti. Vi cito solo un dato, ma è un dato importante, che fa capire in parte la struttura attuale dell'allegato tecnico Comieco, laddove parla di raccolta congiunta. Questo che vi illustro è un caso vero. Comieco paga, per la raccolta congiunta e per coprire il delta-costo, 74 euro, ma poi cosa fa? Il convenzionato, che nel caso specifico è una municipalizzata del Nord Italia, riceve 74 euro da Comieco; Comieco, quindi, entra nella proprietà di questo materiale. La municipalizzata, dunque, l'ha selezionato e prestato, mentre Comieco lo mette all'asta: quanto ha ricavato Comieco da quel materiale? Ha ricavato 100 euro a tonnellata. Capite bene che qui c'è un delta di 25 euro che vengono a mancare ai comuni locali perché i 100 euro sono le aste! Questi sono tutti numeri e tutti dati che trovate sul sito di Comieco. Quindi, occorre soltanto compararli mese per mese e non è difficile trovare l'andamento delle aste. Stiamo parlando di un bacino in una città di circa 600.000 abitanti. Come vedete, rinunciare al mercato ha comportato rinunciare a circa mezzo milione di euro per la collettività. Se noi applichiamo questo discorso un po’ a tutti i casi che ci sono in Italia di questo tipo, vediamo qual è il delta significativo. Quello che si voleva sostenere, sia qui in questa sede, sia innanzi a chi ha il potere legislativo di introdurre novità e cambiamenti, è che il nostro settore, quello del recupero delle piattaforme, ha un bisogno assoluto di crescere. Oggi siamo 600 aziende che si dividono 6 milioni di tonnellate di macero: 11.000 tonnellate anno per piattaforma non sono niente se le confrontiamo con le medie europee, che superano le 45.000. In Germania un impianto sotto le 80.000 tonnellate di macero non è neanche preso in considerazione perché diventa antieconomico: dobbiamo superare il nanismo. Abbiamo bisogno di normative che introducano delle migliori governance anche sul territorio. Forse non è più il caso di fare delle «garette, comunello per comunello», ma è bene concentrarsi su ATO significativi, che costringano l'operatore economico a sviluppare un'industria a sostegno di maggiori quantità. Le maggiori quantità significano minori costi di gestione e i minori costi di gestione vanno a beneficio del cittadino dei comuni: guardiamo a queste cose. Introdurre regole nuove per le aste, secondo me, non è un tema da legislatore, ma è sicuramente una riflessione che va condivisa. Pag. 10
  Sul concetto di proprietà, rimettiamo anche un po’ il mercato al centro dell'interesse dei comuni perché – lo ripeto – l'Italia è costituita da 8.200 comuni, molti dei quali sono lontani dai centri di riciclo, quindi è difficilmente sostenibile l'economicità. Ben venga il ruolo sussidiario di Comieco, ma separare proprietà da copertura dei costi di servizio, a mio avviso, è un'innovazione che per i prossimi anni può essere un'innovazione importante a beneficio di tutti, anche di Comieco, che potrebbe risparmiare qualche soldino di contributo ambientale.
  Sul tema import-export di materia prima seconda – questo è il termine che noi usiamo in Italia – occorre velocemente armonizzare le direttive europee e le etichette degli altri Paesi. Se l'Italia rimane l'unico Paese a chiamare materia prima seconda la carta da macero e io devo spedirla in Germania, dove mi accettano soltanto rifiuto di carta, questo è un problema. Si tratta di un problema che – ahimé – rimane drammaticamente aperto, con zone d'ombra e di opacità su controlli, che non aiuta nessuno. Sicuramente, infatti, non si aiutano gli operatori che vogliono comportarsi in regime di assoluta trasparenza e di assoluto rispetto della normativa.
  Infine – ne ha parlato molto Giuliano Tarallo – qualche linea di demarcazione tra rifiuto speciale e rifiuto urbano occorre che vada reintrodotta perché il mix, il groupage di questi due elementi non sta aiutando né i comuni a fare il loro mestiere, né l'azienda privata a fare il suo. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a voi. Siete stati, secondo me, abbastanza chiari e avete sollevato alcune questioni. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STEFANO VIGNAROLI. Volevo capire se voi esportate all'estero come MPS o come rifiuto: come vedete il fatto che Comieco prenda, oltre che i rifiuti da imballaggio, anche la carta? Tempo fa c'è stata una multa a Hera, che gestiva in regime di monopolio ed è stata multata per quanto riguarda la questione di carta e cartone. Vorrei sapere qual è la vostra posizione al riguardo.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Le rispondo. Quando io vado con la carta da macero, che nasce come MPS nei miei impianti, ai sensi del DM 5 febbraio 1998, sono obbligato nelle mie piattaforme a ricevere il rifiuto tracciato con FIR e a sottoporlo a tutte le attività di cernita attività che mi permettono di rispondere ai parametri fissati dall'allegato 1, suballegato 1, del DM 5 febbraio 1998 (vale a dire meno dell'1 per cento di frazione estranea, nonché i parametri chimico-fisici indicati nello stesso allegato). Io faccio quindi tutte le operazioni per arrivare a definire quello che era un rifiuto a base carta materia prima seconda (MPS), dopodiché tutta l'attività di vendita sul mercato italiano e di trasporto segue la logica di una merce, viaggiando con il DDT. Il tema – questa è la richiesta, veramente dolorosa di chi opera nel settore dell’export, per esempio, senza arrivare in Cina, di Francia, Svizzera e Germania – è: quando vado lì, cosa devo usare, un DDT o un vettore autorizzato? Questa è una domanda che pongo davvero al legislatore.

  PRESIDENTE. Se la fa anche il legislatore italiano questa domanda: questo è un tema europeo.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. È un tema europeo di mancata armonizzazione perché la regola di fatto più applicata in Italia, è che fino al confine rimane MPS perché segue tutti i parametri, ma dal confine in poi, se la cartiera del Paese tedesco, francese o austriaco ritira con il codice B3020 (quello che a livello europeo identifica rifiuto a base carta), applicherà le leggi del suo Paese. Di fatto, noi siamo il Paese che prima di ogni altro ha introdotto il criterio dell'MPS. Il vero sforzo che secondo me come Paese potremmo fare, è quello di armonizzare a livello europeo secondo pari regole, pari controlli e con la massima tracciabilità: nulla si deve perdere di tracciabilità Pag. 11 quando si parla di rifiuti. Noi condividiamo ciò pienamente, ma occorre armonizzare queste regole.

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Sul fatto che il Comieco raccolga carta oltre a imballaggi, il problema fu posto all'Antitrust da una cartiera. Noi intervenimmo sostenendo che non era uno dei ruoli del Comieco. Poi è successo che l'organo competente in quel momento rilevò che, ai fini di un efficientamento del sistema di raccolta, fosse opportuno che le cose andassero in quel modo, quindi questo è ciò che è successo. Per quanto riguarda invece la questione di Hera, un nostro associato aveva una piattaforma in cui gestiva del materiale. Hera fece un'acquisizione di impianti in quella zona e nuovi impianti sempre per la gestione del materiale. Attraverso un personale concetto di estensione della privativa comunale, che però è molto frequente, partendo dal presupposto che i rifiuti li ho io e me li gestisco io, Hera decise di gestirli direttamente attraverso gli impianti acquisiti o costituiti.

  STEFANO VIGNAROLI. Un affidamento diretto, invece che...

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Un affidamento diretto senza fare una gara! In quel caso – si trattava di un nostro associato – l'interessato fece ricorso prima al TAR e poi all'Antitrust per cercare di riaffermare il principio per cui la privativa comunale, trattandosi di un monopolio, ha dei privilegi per chi esercita il servizio pubblico. Questi, però, si fermano dove si ferma il perimetro della privativa comunale. La privativa comunale, nel caso di questi materiali che vengono avviati a recupero, si ferma alla raccolta e al trasporto, quindi la gestione presso gli impianti è semplicemente sottoposta a gara. Non bisogna fare operazioni particolarmente raffinate: chi esercita la privativa comunale deve semplicemente metterla a gara. Poi questo fu fatto perché l'Antitrust multò Hera; da quel momento in poi, in quella zona, le gare mi sembra che si facciano. Il problema, però, non c'è solo su Hera. Ogni tanto abbiamo comunicazioni da parte di altri associati che ci segnalano, in altre zone d'Italia, che questa personale interpretazione della privativa comunale è abbastanza comune. Ci sono soggetti che gestiscono il servizio in privativa e che fanno questo. Tra l'altro, una cosa che credo sia importante precisare è che non si tratta di un problema di soggetti pubblici o di soggetti privati. Molto spesso il soggetto che gestisce il servizio pubblico è un soggetto che si è aggiudicato una gara, quindi è un soggetto privato, o a capitale privato, che esercita un servizio pubblico. Nell'esercitare quel servizio pubblico, si fa un suo piano industriale e ritiene che sarebbe molto utile gestirsi in proprio quei materiali nell'ambito della sua economia. Spesso queste operazioni non nascono da un interesse del comune, ma nascono semplicemente da un eccesso di imprenditorialità da parte del gestore che, come ripeto, tendenzialmente, in Italia dovrebbe essere il gestore di un servizio pubblico attraverso una gara. Alla gara possono partecipare soggetti a capitale pubblico o a capitale privato. Molto spesso ci sono situazioni con società miste. Insomma, c'è un po’ di tutto. Non è un problema di capitale, però, ma è proprio un problema di eccesso di realismo da parte del soggetto che va a gestire il servizio pubblico.

  ALBERTO ZOLEZZI. Provo a chiedere qualcosa sul mercato degli imballaggi (voi ne avete seguito una parte, ma c'è un mercato dei maceri che, a me personalmente, non è chiaro): secondo voi quali sono le necessità nazionali? Ci sono industrie che cambiano, che si spostano, che delocalizzano? Avete parlato di 6,3 milioni di tonnellate di imballaggi. Questa, secondo voi, è anche la necessità di imballaggi in Italia? Ciò comprende anche quello che importiamo o è già un totale? C'è, a mio parere, questo dumping cinese, che è evidenziato anche dai dati che l'azienda Benfante ci ha portato: il record è legato al Far East di importazione di maceri. Credo che Pag. 12per guidare tutta questa filiera bisognerebbe anche capire in Italia che cosa serve. Credo che buona parte della carta da quotidiano la stiamo portando, mentre i cartoncini un po’ meno. Giustamente, parlavate di un mercato che è cambiato dal 1998, ma è un mercato che, secondo me, cambia anche di anno in anno e che non si riesce a dominare, anche per la frammentazione gestionale dei rapporti con Comieco. Da voi, che avete qualche dato, volevo capire se, a livello di recupero nazionale, c'è uno spazio anche proprio per quello che viene utilizzato e che serve al mercato, oppure se quello che serve al mercato arriva invece dalla produzione nazionale. Credo che questo, come Commissione d'inchiesta, ma anche come legislatori, sarebbe utile conoscerlo. C'è il rischio che si facciano degli impianti che, in realtà, siano semplicemente delle piattaforme per il Far East, dove si seleziona un po’ e poi si manda al macero direttamente in Cina (anche perché per adesso i prezzi di acquisto sono buoni, ma poi, quando magari si deciderà di abbassare i prezzi, allora forse saremo «fregati» e non avremo più né le piattaforme, né altro).

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. La domanda, in realtà, è di carattere filosofico: si tratta di dire se si possa dominare il mercato o no. Qui le teorie degli ultimi 200 anni sono ricche di risposte e non spetta a me condurre un dibattito sulle varie tesi, da quella liberista pura a quella marxiana o di economia pianificata. Quello che dico io è questo: in Italia i 6,3 milioni di tonnellate di macero non sono soltanto imballaggi, ma sono il totale delle raccolte differenziate di tutte le tipologie di macero (per tutto intendo speciali e urbani). Quindi, lì dentro troviamo quotidiani, riviste, scatole e cartoncino, più tutte le qualità. Ripeto, ci sono 160 qualità, dai maceri bianchi di qualità nobile ai maceri patinati (entriamo in un mondo davvero ampio). Si tratta di 6,3 milioni ed è un dato che sta crescendo perché anche il Centro-Sud Italia sta implementando i sistemi di raccolta. È, quindi, un dato destinato a crescere. L'Europa e l'Italia avranno nei prossimi anni più raccolta differenziata di macero. Questo dato sicuramente si sposa anche con gli obblighi a capo delle pubbliche amministrazioni di raggiungere obiettivi di raccolta, anche quando si introdurrà la nuova direttiva sulla circular economy, con gli obiettivi di riciclo. Questo, comunque, è il dato di fatto: in Italia sono 6 milioni. Le cartiere nazionali, ossia quelle nella piana di Lucca, Lombardia, Lazio e via elencando hanno una capacità produttiva totale, se sommiamo tutti i pulper delle 122 cartiere nazionali d'Italia che danno una disponibilità di riciclo, di circa 4,8 milioni di tonnellate. Vedete bene che tra i 6,3 e i 4,5 – vado semplificando – abbiamo quasi 2 milioni di tonnellate che oggi non hanno un'allocazione. La risposta, quindi, può essere: perché non facciamo più cartiere in Italia? È vero, ma – lo ripeto – fare una cartiera vuol dire investire, con propri soldini, 200-300 milioni di euro per far partire il sito: non sono investimenti banali. Tranquillizzo tutti: è difficilissimo delocalizzare una cartiera, direi quasi impossibile. Quella che c'è stata – qui, però, mi tiro un po’ fuori dal tema – è stata la delocalizzazione della produzione di manufatti. Se poi gli abiti che indosso li fanno in Cina, se gli orologi li fanno a Taiwan, se le scarpe me le fanno in Romania, che vi devo dire? L'imballaggio segue la merce: non è un tema che posso cambiare.

  ALBERTO ZOLEZZI. Quello che volevo avere è un suo commento sul mercato di quello che in Italia servirebbe di più come imballaggi o come prodotti cartari. Vorrei una vostra impressione. Ho anche un'ulteriore domanda. Vi chiedo se, secondo voi, avrebbe senso fare raccolte differenziate ancora più selettive e specifiche.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Intanto le do la risposta all'andamento di import-export, che nel corso dei vent'anni è andato cambiando. Sicuramente l'Italia ha una carenza di produzione di carta per imballaggio. Non entro in fluting, semichimica e di grammatura fine perché bisognerebbe entrare nel tema delle specifiche tecniche.

  STEFANO VIGNAROLI. Carenza che vuol dire?

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  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Carenza vuol dire che consumiamo l'imballaggio che producono altri. La carta da imballaggio, che si chiama fluting, carta da onda, cioè per essere ondulata, viene ancora oggi importata per più di un milione di tonnellate da Paesi terzi, quasi tutti europei per via delle distanze. Non mi risulta che arrivi alcuna bobina dal Far East. Questo tipo di carta, oggi, è sotto analisi di alcune grosse industrie cartarie per capire se sia possibile farla qui in Italia. Quindi, gli investimenti nel nostro Paese qualche imprenditore privato sta ipotizzando di farli. Ripeto, però, che mi fermo qui, nel senso che si tratta di soldini di imprese private che devono decidere di investire 200-300 milioni di euro per fare una nuova industria cartaria in Italia. Spesso, poi, va affiancato l'inceneritore e bisogna mettere il cogeneratore. Le notizie dei giornali di ieri e dell'altro ieri ci dicono che, forse, anche il progetto Mantova potrebbe arenarsi per difficoltà legate ad autorizzazioni. Insomma, non è facile fare una nuova cartiera: questa è la mia risposta.
  Quanto al mercato, lo ripeto, ieri arrivava carta dalla Germania e ci davano 10 lire; oggi la mandiamo in Germania perché magari c'è bisogno di esportarla lì e ci danno 200 euro. Il mercato è questo: cambia di settimana in settimana.

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Solo come elemento di informazione, questo grafico vi fa vedere la situazione prima del 2000. Questa riga vi mostra qual è l'importazione dei maceri in Italia; quest'altra, invece, dice qual è l'esportazione dei maceri in Italia. Come vedete, prima del 2000 in Italia importavamo più di un milione di tonnellate di macero e ne esportavano pochissimo. Adesso ci ritroviamo in una situazione esattamente ribaltata, cioè ne importiamo pochissimo e ne esportiamo molto: per quale motivo tutto questo si è realizzato? Perché – se voi guardate il grafico – questa è la raccolta di carta, secondo cui siamo passati da poco più di 3 milioni a 6,3 milioni. In circa vent'anni, quindi, il ciclo della carta italiano è riuscito a raddoppiare i volumi disponibili per essere riutilizzati. Di conseguenza, qualsiasi analisi si voglia fare per cercare di capire come interagire con questo sistema, deve essere fatta alla luce di una visione complessiva del ciclo, come vi ho illustrato prima, che è un ciclo abbastanza complicato perché vede tanti attori che partecipano contemporaneamente. Tutto deve essere sincronizzato e in equilibrio per evitare che, da qualche parte, il ciclo si interrompa o si cortocircuiti a danno di qualche altro pezzo del circolo. Inoltre, occorre tenere conto di quello che è successo negli ultimi vent'anni. Il fatto che noi in vent'anni abbiamo invertito il trend di importazione ed esportazione – l'inversione è avvenuta intorno al 2003-2004 – non è banale: è un trend che c'è di anno in anno. Questo significa che tutte le industrie cartarie e manifatturiere, nonché il nostro sistema delle piattaforme di riciclo, sono andate in una determinata direzione. Interferire con tutto questo – lo ripeto – è estremamente delicato perché ci sono dietro volumi di svariate centinaia di milioni di euro e migliaia di operatori. Appena il ciclo subisce un'interferenza, potrebbe creare problemi. Se, a un dato punto, creo un problema all'esportazione, mi trovo in Italia il 20 per cento della carta raccolta e non so che cosa farci. Verrà quindi portata in discarica o viceversa. Il meccanismo va studiato bene prima di interferire.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Aggiungo solo un dato, che secondo me è estremamente importante: le cartiere nazionali europee quando guadagnano? Quando il macero costa poco o quando il macero costa tanto? Questo è il punto. Paradossalmente, se vado a prendere la serie storica dei bilanci delle cartiere italiane ed europee, scopro, con non poca sorpresa, che la maggior parte degli anni di maggior guadagno – per guadagno intendo rapporto EBITDA sul fatturato complessivo – sono quando il macero costava molto. Quando il macero arrivava dalla Germania, c'era una profondissima crisi delle cartiere perché anche le cartiere ribaltano il prezzo di vendita delle proprie bobine sulla base di alcuni parametri: la Pag. 14manodopera, che è costante, l'energia e il costo del macero. Questi sono i tre parametri chiave su cui poi si formula il prezzo di vendita delle bobine. Paradossalmente, per le stesse cartiere nazionali trovarsi in una situazione con tutto il materiale disponibile, fa sì che 2 milioni di tonnellate in più improvvisamente, facciano crollare a zero o sottozero il valore (vedasi il 2008). Penso ai momenti vissuti a ottobre del 2008: siamo passati da 160 euro alla tonnellata, a meno 10 perché la cartiera ritirava il macero solo se lo si portava lì e se si coprivano i costi di trasporto. Ripeto: in quei momenti le cartiere non hanno guadagnato, anzi ci hanno rimesso soldi. Il gioco quindi, paradossalmente, è anche un po’ più complicato nella dinamica dei prezzi.

  ALBERTO ZOLEZZI. Scusate se insisto su aspetti che vanno un po’ oltre: voi vi siete occupati anche di gestione a valle? Lei ha fatto riferimento alla termovalorizzazione: avete in corso qualche sperimentazione diversa sulla gestione dei reflui, compostage, o cose di questo tipo?

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). No, le nostre imprese sono totalmente concentrate soltanto nell'attività tradizionale. Poi, se c'è qualche associato che si occupa anche di questo...
  Tendenzialmente, non è detto che i nostri associati facciano solo carta. Magari fanno anche un po’ di plastica, un po’ di metallo o materiali recuperabili di questo genere. In genere, però, le attività della nostra categoria sono tutte attività sempre rivolte al riciclo. Da un punto di vista contabile, le nostre imprese comprano e rivendono dei materiali che valorizzano e quindi non sono orientate a comprare un rifiuto da smaltire, da incenerire o cose di questo tipo.

  PRESIDENTE. Volevo chiedere un paio di cose. Complessivamente, in questo quadro normativo, i ricorsi che vengono fatti all'Antitrust o al TAR che tipo di risultati danno? C'è una situazione in cui viene data ragione, c'è un'indicazione che può poi orientare il legislatore in un modo o in un altro? Passo alla seconda questione. La frammentazione così forte delle imprese è dovuta semplicemente a una storia che c'è in questo mondo perché, storicamente, il settore nasce così, oppure ci sono altre motivazioni intrinseche che rendono difficile fare massa critica? Già da anni sento questa situazione nel vostro settore, in cui c'è una frammentazione che non aiuta. Nelle problematiche che ci sono state nelle esportazioni, al di là di questa più generale che abbiamo detto prima, cioè del fatto che noi definiamo il prodotto materia prima seconda mentre da altre parti la considerano rifiuto, avete verificato delle situazioni di interpretazione, ovvero casistiche diverse negli organi di controllo a livello nazionale nell'interpretazione?

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Quanto alla prima domanda, l'Antitrust, per esempio nel caso di Bologna su Hera, ci ha dato ragione. Tuttavia le nostre imprese non possono fare sistematicamente ricorso all'Antitrust. Noi facciamo molto spesso ricorso all'Antitrust e l'Antitrust, alla fine, per disperazione, ci ha detto negli ultimi incontri che sono consapevoli del fatto che l'assimilazione sia un problema. Tutti gli anni, quando fanno la relazione al Parlamento, si esplicita che c'è un problema di assimilazione, ma le leggi non le fanno loro bensì il Parlamento. Quindi, dell'assimilazione penso che, a parte il Parlamento, ne abbiano tutti le scatole piene.

  PRESIDENTE. Se parliamo di assimilazione, potremmo stare qui per mesi perché, se per vent'anni non si è fatta, probabilmente...

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Adesso il Ministero dell'ambiente si sta muovendo.

  PRESIDENTE. Sì, ma la domanda era diversa. Il tema lo conosciamo: lo sappiamo che è una grande criticità. Il tema era Pag. 15quello di capire se dalla situazione attuale e dalla casistica che viene presentata, al di là di dire che bisogna mettere mano all'assimilazione, che è un po’ come chiedere giustizia, ci siano invece delle indicazioni più puntuali.

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Ci sono delle indicazioni puntuali. L'Antitrust, per esempio, ha detto esplicitamente che visto che la privativa comunale si ferma a livello della raccolta e del trasporto, la gestione presso gli impianti deve essere messa a gara, ossia deve seguire il Testo unico sugli affidamenti pubblici. Per quanto riguarda l'assimilazione, nei casi in cui l'Antitrust è intervenuta perché ci sono stati fenomeni di assimilazione selvaggia, ha esplicitato quali fossero le casistiche. Ci sono anche sentenze di Cassazione nelle quali alcuni regolamenti comunali sono stati annullati perché non c'era un criterio quantitativo, o c'era carenza nei criteri qualitativi. Abbiamo tutta una casistica di interventi che ci sono stati. Se volete, su questo tema vi possiamo fare avere un resoconto. Sicuramente può essere utile.

  LAURA PUPPATO. Sulla parte dei commerciali, come abbiamo visto prima, la parte sostanzialmente degli assimilabili agli urbani è commerciale: è poco artigianale e quasi tutto commerciale.

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Sì, è quasi tutto commerciale.

  LAURA PUPPATO. Quant'è rispetto al monte complessivo? Di che cosa stiamo parlando?

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). È una bella domanda. La risposta dipende, purtroppo, anche dal valore del materiale. Per esempio, in alcune città il soggetto gestore del servizio pubblico si organizza nel momento in cui deve raggiungere un determinato obiettivo di raccolta, o se il valore di quel materiale è consistente. Se l'obiettivo di raccolta l'ha raggiunto, oppure non c'è più interesse per il mercato, visto che l'assimilazione non è un obbligo per il soggetto pubblico, ma il produttore privato può comunque avvalersi di un soggetto privato, ci si «scorda» di gestire i rifiuti assimilati e quindi quei rifiuti diventano rifiuti speciali. Se dovessi dirle una percentuale, non gliela saprei riferire così a memoria. Mi riservo di mandarvi qualcosa di scritto su questo punto. Vi facciamo un approfondimento e ve lo facciamo avere.

  PRESIDENTE. Alle 15 inizia l'attività in Assemblea. Magari vi poniamo delle domande scritte.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Rispondo volentieri sulla frammentazione degli operatori. La slide è questa. Il materiale è povero. Stiamo parlando di qualcosa che è rifiuto e quindi ha in sé la nozione di disvalore.

  LAURA PUPPATO. Mi scusi, è vero che da dicembre 2016 a oggi c'è un aumento di oltre il cento per cento del valore della carta da macero?

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Del cento per cento no, del 65 per cento sì.

  LAURA PUPPATO. In due mesi?

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Il mercato è ballerino. Il primo che mi anticipa i valori di maggio, lo sposo (parlo di maggio). Stiamo valutando se introdurre un tema rifiuti sul macero: potrebbe essere interessante. Quanto alla frammentazione, ricordando che questo materiale parte nella sua veste povera di rifiuto e quindi ha un disvalore, la parte logistica è fondamentale. Io non posso raccogliere oltre i 50-60 chilometri da dove si produce il rifiuto. L'estrema localizzazione è dovuta all'intrinseca povertà del materiale. Questo spiega la ragione storica dei Pag. 16quasi 600 operatori di settore. Quello che non c'è stato, è un intervento da parte del pubblico. Magari, lo ripeto, se le gare si fanno «comunello per comunello», tenderò sempre ad avere interlocutori piccolini. Questo è un tema che va affrontato.

  PRESIDENTE Sono argomenti molto interessanti. Fateci avere quella nota perché ci aiuterà proprio in virtù della successiva discussione legislativa.

  ENZO SCALIA, managing director della società Benfante. Ci sono casi in cui è il 60 per cento e casi in cui è il 10: il tema dell'assimilato è estremamente variegato.

  GIULIANO TARALLO, presidente dell'Unione nazionale imprese recupero e riciclo maceri (Unirima). Sugli assimilati, visto che c'è un tavolo al Ministero dell'ambiente su questo, stiamo studiando e vi faremo avere delle statistiche. Per quanto riguarda invece le pronunce dell'Antitrust e della Corte di cassazione, vi mandiamo un resoconto.

  PRESIDENTE. Grazie per il vostro tempo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.