XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Martedì 21 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 2 

Audizione del presidente dell'Ance – Associazione nazionale costruttori edili, Gabriele Buia:
Causin Andrea , Presidente ... 2 ,
Buia Gabriele , presidente dell'Ance ... 2 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 6 ,
Gandolfi Paolo (PD)  ... 7 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 9 ,
Rampelli Fabio (FdI-AN)  ... 11 ,
Causin Andrea , Presidente ... 14 ,
Buia Gabriele , presidente dell'Ance ... 15 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 19 ,
Buia Gabriele , presidente dell'Ance ... 19 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 19 ,
Buia Gabriele , presidente dell'Ance ... 19 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 19 ,
Buia Gabriele , presidente dell'Ance ... 19 ,
Causin Andrea , Presidente ... 20 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone:
Causin Andrea , Presidente ... 20 ,
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 20 ,
Prestipino Michele , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Roma ... 24 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 30 ,
Prestipino Michele , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Roma ... 30 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 30 ,
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 31 ,
Prestipino Michele , procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Roma ... 32 ,
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 33 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 33 ,
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 34 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 34 ,
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 35 ,
Rampelli Fabio (FdI-AN)  ... 36 ,
Causin Andrea , Presidente ... 39 ,
Pignatone Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma ... 39 ,
Causin Andrea , Presidente ... 40

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente dell'Ance – Associazione nazionale costruttori edili, Gabriele Buia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Ance – Associazione nazionale costruttori edili, Gabriele Buia, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono inoltre presenti il segretario generale per i rapporti istituzionali, Antonio Gennari, il direttore della direzione legislazione mercato privato, Marcello Cruciani, e la dirigente responsabile dell'ufficio rapporti con il Parlamento, Stefania Di Vecchio, che ringrazio per la loro presenza.
  Ricordo agli ospiti che la Commissione d'inchiesta sullo stato delle periferie in Italia, che ha un focus in particolare sulle quattordici Città metropolitane, è stata istituita per la prima volta dal Parlamento e che è compito della Commissione fare una mappatura del degrado dal punto di vista interdisciplinare, quindi in termini di urbanistica, della qualità della residenza e delle problematiche che possono implicare i temi della sicurezza.
  Successivamente sarà compito della Commissione dare indicazioni di carattere operativo al Parlamento e al Governo, per poter poi svolgere azioni di rigenerazione nelle aree periferiche delle grandi città, quindi il tema del patrimonio immobiliare pubblico e il tema della qualità del patrimonio immobiliare privato e dell'iniziativa privata rivestono un ruolo di particolare interesse per la Commissione.
  Come convenuto nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, gli interventi dei deputati componenti la Commissione dovranno essere contenuti entro i cinque minuti.
  Do la parola al dottor Buia, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  GABRIELE BUIA, presidente dell'Ance. Grazie, presidente, e grazie a voi tutti di aver dato all'Ance la possibilità di esprimere le proprie idee su queste tematiche di forte valenza per il settore.
  Siamo ormai al nono anno di crisi del settore, una crisi importante, che ha fatto emergere criticità sicuramente del nostro sistema socioeconomico, ma anche del nostro sistema urbano in tutte le sue fattispecie. Il tema del rinnovamento delle città ha sempre maggior rilievo, se ne parla, se ne discute da parecchio tempo, è un argomento che ci sta a cuore non soltanto come operatori, ma anche come cittadini, come sistema. Questo ci fa ragionare sulle necessità di nuove domande sociali, nuovi stili di vita che devono portare necessariamente a interrogarci sulla necessità di nuovi spazi urbani, nuove politiche, nuovi servizi. Le città sono chiamate a modificarsi, a cambiare, perché ormai il sistema economico-sociale sta cambiando e sta cambiando velocemente su tutti i vari aspetti, che voi Pag. 3ben conoscete. Vorrei fare una sola precisazione, per descrivere esattamente la situazione del nostro patrimonio. Il patrimonio residenziale per lo più è stato costruito nel boom edilizio che ha coinvolto le periferie negli anni che vanno dal 1946 al 1981. In questo periodo è stata costruita la metà degli edifici residenziali. Il 70 per cento di tutti gli edifici italiani, che sono più di 12 milioni, è stato costruito prima del 1974, praticamente privo di criteri sismici ormai codificati. Abbiamo problemi di consumo energetico, sappiamo benissimo le problematiche e gli impegni europei, il nostro patrimonio edilizio ha un consumo alto (180 chilowattora per metro quadro), ci siamo impegnati tutti a ridurre drasticamente questi consumi, è un obiettivo importante.
  Le periferie sono cresciute troppo in fretta fino al 1968, quando è stato posto un limite con il decreto n. 1444 del 1968. Fino ad allora c'è stata una crescita che non ha tenuto conto delle necessità di quanto oggi è assolutamente necessario e opportuno per un modo diverso di vivere. Su questo il legislatore è intervenuto, perché il progetto Casa Italia pone temi importantissimi, uno sulla messa in sicurezza del patrimonio immobiliare, l'altro sulle periferie, oltre che l'idrogeologico che è un problema diverso. Questi due temi sono stati riportati alla ribalta dalle necessità del sistema Paese, perché devono essere doverosamente presi in considerazione. Se vogliamo fare un'ulteriore analisi più dettagliata per quanto riguarda le domande residenziali, le famiglie, quello che è il nostro patrimonio, nel 1977 avevamo 17 milioni di famiglie con una media di circa 3,3 componenti, nel 2014 abbiamo 25 milioni di famiglie con una media di componenti di 2,5. Le cose stanno cambiando molto, ad esempio le coppie con figli si sono dimezzate, dal 63 per cento al 34 per cento, le famiglie monocomponenti sono passate dal 9 al 30 per cento (sono triplicate) e le famiglie con un solo genitore dal 5 al 9 per cento, quindi quasi raddoppiate. Sono aspetti interessanti, che devono farci riflettere, perché è una società completamente diversa e, come ho detto in premessa, questa crisi sta acutizzando certe discussioni.
  Dobbiamo intervenire nel merito, analizzando i nuovi stili di vita e le necessità sociali. Sta cambiando tutto, non si vive più come prima, le necessità sociali, il modo di operare, il lavoro stesso, come si lavora oggi è completamente diverso. I servizi all'abitare devono necessariamente cambiare, perché lo stile di vita è cambiato e oggi per paradosso e per eccesso si arriva addirittura a parlare di case taxi, non c'è più quella volontà e quella necessità di mantenere un modo di vivere stabilito come prima. La proprietà è ancora molto importante per il sistema italiano, ma si stanno aprendo scenari che dobbiamo sottolineare e valutare, perché la società ha necessità diverse. Dobbiamo cominciare ad aprire le nostre città, a renderle più permeabili, a entrare in quei tessuti di periferia costruiti come detto dal 1946 in poi, quei tessuti che non hanno servizi, per cui dobbiamo cominciare a compenetrare i vari passaggi delle città, spesso pianificate in maniera «approssimativa», senza consequenzialità, senza un progetto organico di sviluppo totale.
  Forse è il momento di ragionare su modi di pianificazione diversi. Siamo cresciuti con la logica dei PRG, la logica dei retini, forse è ora di cambiare e di parlare di una forma di pianificazione diversa, che si basi sull'idea progettuale di innovazione e di cambiamento, una proposta che deve tener conto delle modifiche sociali in corso e che sono lasciate ai promotori e l'amministrazione pubblica deve valutare se queste proposte abbiano una valenza sociale di cambiamento. Solo in questo modo riusciremo ad arrivare a definire meglio i nuovi criteri di ecosostenibilità, che ritengo molto importanti in un sistema come il nostro.
  Inoltre ci devono essere nuovi mix sociali, nuovi usi e flessibilità di usi rispetto alle attività, perché le necessità operative, sociali, del lavoro, commerciali cambiano rapidamente e gli usi sono importantissimi. Oggi per cambiare gli usi bisogna modificare lo strumento di pianificazione. Cambia la società in maniera rapida, cambiano gli usi secondo le necessità, e dobbiamo Pag. 4cominciare a ragionarci e trovare soluzioni che lo permettano, per cui nuove possibilità di arrivare a definire nuove costruzioni, ricreare la città possibilmente nella città, nuove costruzioni nel rispetto della normativa energetica, della normativa sismica che, come ho detto, è sempre più attuale, e cominciare a parlare di bellezza architettonica e degli spazi urbani per eliminare il degrado. Dobbiamo cominciare a riprogettare le nostre città.
  Sono aspetti che, come ho detto, sono molto interessanti, ma richiedono decisioni importanti. Bisogna cominciare a liberarsi di ideologie troppo conservative e approcciare la cultura della sostituzione edilizia, della riqualificazione con demolizione e ricostruzione, come unica possibilità di ridare un futuro alle nostre città, alle nostre periferie, ai centri urbani e specialmente a quei tessuti periferici di cui parlavo poc'anzi, che meritano molta attenzione, sia architettonica sia costruttiva. Dobbiamo avere la forza di rivedere il concetto di tutela, perché è importante, ma non dobbiamo fossilizzarci su tematiche di tutela a prescindere, quando oggi, preso atto della situazione, non è necessario: dobbiamo anche snellire tutti i processi di pianificazione, anche su quello che riguarda la tutela.
  Dobbiamo cominciare a ragionare su nuovi strumenti e nuovi modelli, perché altrimenti non riusciremo a dare risposta in maniera rapida a tutte le problematiche, per una nuova politica urbana che si deve assolutamente fondare su una nuova pianificazione.
  Come ho detto, servono proposte chiare e precise, ma anche possibilità di intervenire con rapidità. I tempi sono importantissimi. La problematica che segnaliamo è che oggi, con gli strumenti di pianificazione in essere, dal momento in cui si parte con l'acquisizione del terreno al momento in cui si riesce a realizzare l'intervento passano anni. I tempi sono troppo lunghi: sono troppo lunghi i tempi delle pianificazioni e sono troppo lunghi tempi delle attuazioni, delle approvazioni e di tutto quello che ne consegue. Non è possibile aspettare tanto tempo e non è possibile non dare ristoro immediatamente, perché rischieremmo che qualsiasi operazione di intervento sulle città venga vanificata dal fatto che, se i tempi sono lunghi, l'economicità dell'operazione stessa non c'è più. Questo impoverisce tutto, senza pensare, come ho detto, alle lungaggini burocratiche, che impediscono agli investitori, specialmente ai grandi investitori stranieri, di vedere il nostro Paese come una possibilità importante di business oppure di collocare le loro risorse.
  Per tutte queste tematiche, abbiamo ultimamente assistito al percorso normativo di un nuovo disegno di legge sul consumo del suolo. Da domani vorrei parlare di «uso del suolo» e non più di «consumo», per aprire una nuova fase di discussione. I contenuti di questo processo legislativo sono irrinunciabili. Da parte nostra c'è pieno sostegno alla volontà di andare su quella strada di rinnovamento e di modifica dei contenuti però come ho detto, dobbiamo immediatamente far decollare in maniera parallela una nuova legge sulla rigenerazione urbana. Se aspettiamo ancora a mettere in discussione una legge di tale importanza, rischieremo di vedere, una volta arrivato a definizione il percorso del consumo del suolo, un innalzamento immediato dei valori immobiliari, con il rischio di impoverire, nonostante tutta la volontà di intervenire sul tessuto consolidato attuale. Se dobbiamo dare risposte rapide, abbiamo bisogno di regole nuove che oggi in Italia non esistono. Oggi non è possibile intervenire sul tessuto consolidato, non ci sono le norme, se non per intervenire sulle aree industriali dismesse. Attualmente ciò è possibile, per ricucire quei vuoti urbani che chiaramente sono importantissimi. Tuttavia, al di là di questo, oggi le norme per intervenire sul consolidato non ci sono. Per consolidato intendo quello industriale, quello di servizi, quello direzionale, ma anche quello residenziale. Per me è importante sottolinearlo. Se non facciamo questo, non riusciremo assolutamente a vincere le sfide della città. La rinascita passa proprio da nuovi strumenti di pianificazione. Se abbiamo necessità di intervenire con tale rapidità e conveniamo sui contenuti socioeconomici di questa necessità, allora dobbiamo prendere visione del sistema e decidere Pag. 5 di dare norme precise, concrete e innovative. Come ho detto, nei momenti difficili ci sono scelte difficili ma doverose.
  La nostra proposta per cominciare ad aprire uno scenario nuovo per un'urbanistica nazionale nuova, è di assumere certi princìpi.
  Il primo è che la rigenerazione urbana per noi deve essere di interesse pubblico, non si può prescindere da questo. Se vogliamo vincere la sfida delle città e della riqualificazione – lo ripeto – anche in riferimento al tessuto residenziale esistente, cioè alla proprietà frazionata, dobbiamo dire che la rigenerazione urbana deve essere di interesse pubblico, con tutto quello che ne consegue, altrimenti rischiamo di perdere tempo, di parlare, di fare convegni, ma di non risolvere assolutamente queste situazioni. Pertanto, prima di tutto viene l'interesse pubblico. In ambiti predefiniti della pianificazione si può intervenire con demolizione e ricostruzione. In detti ambiti, se c'è un proponente che analizza l'opportunità e presenta una proposta specifica, quella proposta può andare in deroga agli strumenti di pianificazione. È come nell'ambito dei piani attuativi, quando al loro interno si può ulteriormente normare e inserire specifiche urbanistiche. L'obiettivo è quello di poter arrivare a creare in quel contesto consolidato un nuovo momento di socializzazione, un momento di vita economico-sociale, che permetta di restituire a quel tessuto spazi di socializzazione standard, ove mancanti: questo però deve avere una sua specifica definizione. La proposta non si basa su una progettazione derivante da una quantificazione volumetrica, ma si deve basare solamente su una sostenibilità economica della stessa, nel senso che all'interno della proposta deve essere dimostrata la sostenibilità della stessa. In un contesto di regole dedicate, la proposta si deve basare su un equilibrio economico, altrimenti non sarà appetibile per nessun operatore e non si potrà pensare di creare nuovo tessuto sociale su queste tematiche. Come ho già detto, passare dalla logica del retino alla logica della proposta è l'unico modo per dare risposte sociali. Queste proposte, che reputo concrete, possono essere intese anche come forti, ma in questo momento dobbiamo prendere decisioni e andare avanti.
  Occorre, secondo noi, una nuova legge urbanistica nazionale. Dobbiamo dare copertura a certe politiche. Per esempio, ricordo la discussione sulla perequazione: molte regioni ormai con il Titolo V legiferano direttamente a pieno titolo con leggi regionali. Nella mia regione, per esempio, il discorso della perequazione è già in essere da parecchio tempo, ma non c'è una norma nazionale che definisca cosa si voglia intendere per perequazione. Dico che ora è il momento di intervenire con una legge regionale nuova e con una legge sulla rigenerazione urbana nuova.
  Questa legge deve però dare risposte concrete sullo snellimento delle procedure amministrative. Come ho già detto, trascorre troppo tempo dal momento della pianificazione all'attuazione. Non si possono aspettare anni e anni per un'iniziativa. In alcuni casi si aspetta oltre dieci anni: non è possibile oggi aspettare tanto. Con questa legge, bisogna fare in modo che ci sia un maggior raccordo fra le procedure ambientali e le normative urbanistiche, che spesso cozzano le une contro le altre, oppure ci sono ridondanze che impediscono l'attivazione.
  Ho citato il decreto del 1968. Penso che fosse importante nel 1968 per arginare un certo modo di intervenire sulle città, ma che oggi sia vecchio e non vada più bene. L'abbiamo già toccato in diversi passaggi; è ora di pensare a uno strumento nuovo, senza ritornare a queste logiche che vincolerebbero sicuramente le politiche di rigenerazione della città. Forse è anche il momento di chiarire bene il vuoto creato da certe dispersioni regionali sulle norme urbanistiche, che meritano, secondo me, di essere messe a regime.
  Per intervenire su queste politiche di rigenerazione e di riqualificazione, dobbiamo per forza di cose pensare a politiche incentivanti, anche fiscali. Prendiamo esempio da quello che è già previsto normativamente rispetto agli incentivi sulla riqualificazione e ai bonus energetici in essere. Pag. 6Tutti abbiamo potuto vedere che questi bonus hanno dato una spinta. Oggi l'unico segmento del mondo delle costruzioni che funziona a pieno titolo e aumenta a due cifre è il mercato della riqualificazione. Questo è sintomatico, è chiaramente un'indicazione. Dobbiamo fare altrettanto per le politiche di rigenerazione della città. Ritengo che sia la molla che potrebbe far scatenare l'interesse sia del promotore sia degli attuali proprietari che possono essere incentivati alla dismissione. Abbiamo presentato proposte, riportate nel documento che lasceremo, anche per quanto riguarda la fiscalità, perché specialmente sulla rottamazione degli immobili oggi in essere abbiamo bisogno di un intervento fiscale importante, se vogliamo rendere possibili le migrazioni e le riqualificazioni. Su questo dobbiamo assolutamente intervenire. Alla luce del bonus previsto in legge di stabilità, dell'85 per cento per la messa in sicurezza dei condomini in base alla normativa antisismica e dell'ecobonus, visto che si parla di mettere in sicurezza e di efficientare, sarebbe possibile, a costo zero per lo Stato, utilizzare questi bonus e trasporli su operazioni di rigenerazione urbana. Lo Stato non avrebbe nessun danno ulteriore, ma in ogni caso, con le operazioni di rigenerazione, avremmo un adeguamento sismico e la massima efficienza energetica. Invece, utilizzando questi bonus per la sola messa in sicurezza, avremmo un miglioramento sismico limitato e un efficientamento termico limitato, perché non si potrà mai arrivare a classi energetiche di eccellenza come quelle delle costruzioni di oggi. Pertanto, penso sia un obiettivo che si possa raggiungere con velocità e con rapidità, se il legislatore lo vorrà portare avanti.
  È uno sforzo difficile, però oggi siamo a un bivio. Dobbiamo avere la forza di cambiare veramente, dando norme per poter cambiare, agendo sui sistemi e sui tempi della pianificazione, creando strumenti che migliorino e aprano le porte alle necessità di intervenire sul tessuto consolidato, se vogliamo dare spazio alle città, se vogliamo farle crescere e diventare appetibili e interessanti.
  Ricordo a tutti che il problema dell’housing sociale è un problema molto grande. Visto il degrado e le problematiche che stanno emergendo sull'aumento della povertà in Italia, è chiaro che dobbiamo avere un'attenzione importante. Se vogliamo intervenire sul degrado, sulla qualità, sui minimi servizi che si devono dare, sull'adeguamento del sistema città alle esigenze socioeconomiche, in questo momento dobbiamo prendere queste decisioni. Dobbiamo chiudere rapidamente il percorso della legge sul consumo del suolo e aprire in parallelo un percorso normativo che dia la possibilità di intervenire sulle città. Dobbiamo farlo in maniera molto rapida, perché rischiamo di far crollare tutto. Quando le rendite immobiliari aumenteranno (perché se si blocca chiaramente aumenteranno), vanificheremo tutto. Pertanto, l'Ance sta chiedendo al legislatore di prendere provvedimenti concreti e immediati per poter arrivare alla definizione di queste politiche strategiche per il sistema Paese. Se riparte il mondo delle costruzioni, riparte tutto il PIL, specialmente quello che si genera internamente, che è la grande fetta del PIL del nostro Paese.

  CLAUDIA MANNINO. Ringrazio l'Ance per la relazione e per la documentazione che ci lascia. Devo ammettere di essere un po’ confusa. Ben vengano ovviamente gli spunti normativi che una categoria viene a relazionarci in questa Commissione (questo è anche uno degli obiettivi della nostra Commissione), però noi qui siamo nella Commissione d'inchiesta sul degrado delle periferie e stiamo cercando di catalogare le cause e i fenomeni di degrado che ci sono nei nostri territori, a partire dalle città metropolitane, per capire come non ripetere queste situazioni. In questi due mesi di attività, abbiamo assistito ad audizioni, ma abbiamo fatto anche sopralluoghi. Lei parlava della legge sugli standard urbanistici e del fatto che prima di quella non c'era nulla, però secondo me manca un pezzo intermedio, che è quello dal 1968 a oggi. Mi riferisco alle attività che le pubbliche amministrazioni hanno concesso ai soggetti privati, che, per quello che c'è stato raccontato Pag. 7 qui, sono in parte responsabili della situazione di degrado dei nostri territori.
  Ci hanno riferito e abbiamo visto opere di urbanizzazione primaria e secondaria non realizzate, ancorché finanziate, anche in termini di oneri di urbanizzazione che rimangono nelle casse delle aziende. Spesso il committente corrisponde con l'impresa costruttrice, come sappiamo bene. A volte sono finanziate con leggi regionali, in termini di edilizia economica e popolare, oppure finanziate tramite i rapporti che le aziende costruttrici o gli imprenditori hanno con il mondo delle banche. Di conseguenza, vorrei porre alla vostra categoria una domanda preventiva, che abbiamo già posto anche ad altri soggetti che sono venuti qui in Commissione, visto che chiedete al Governo – anche se qui non c'è il Governo – un aggiornamento della norma urbanistica, un'agevolazione per demolizioni e ricostruzioni. Peraltro, mi pare che uno dei primi decreti del Governo, il «decreto del fare», abbia dato un grosso aiuto ai costruttori sull'invenduto, visto che non pagano gli oneri e le tasse sugli immobili non venduti. Questo ha causato altri tipi di degradi. Quello che chiedo a voi, come rappresentanti di una categoria ben precisa, è se potreste accettare il vincolo di realizzare le opere di urbanizzazione primaria e secondaria prima di realizzare le parti che mettete sul mercato, ad esempio gli spazi commerciali e residenziali. Questo va nell'ottica anche dei criteri della progettazione. So che a livello europeo c'è e che le opere di urbanizzazione si realizzano prima. Sarebbe già così, è verissimo, però sappiamo bene che in realtà non è così, almeno nelle situazioni di degrado che abbiamo visitato. Se prendiamo l'esempio dei quartieri modello, la nostra discussione si può concludere qui. Invece, siamo stati qui a Roma e abbiamo visto realtà veramente devastanti, dove il pubblico c'entra ben poco, se non nelle carenze di controllo.
  Pertanto, la mia domanda è questa: sareste disposti a prendere un impegno e un vincolo, al di là del cambiare i metodi di progettazione? Infatti, se fossero applicate le teorie dell'urbanistica, probabilmente non ci troveremmo in questa situazione. Sareste disposti ad assumere il vincolo a realizzare, collaudare, completare e consegnare prima le opere di urbanizzazione primaria e secondaria e poi pensare alla vendita degli immobili?

  PAOLO GANDOLFI. Ritengo che sia sicuramente interessante e apprezzabile tutta la parte della vostra proposta e della vostra riflessione incentrata sugli strumenti che possono incentivare la rigenerazione urbana. C'è un punto però che non mi torna. Lei ha più volte trattato il problema dei vincoli e delle tutele, come fosse uno degli ostacoli principali. In realtà, lei stesso affermava che il 75 per cento della produzione edilizia esistente è precedente al 1974, all'epoca di arrivo delle leggi urbanistiche regionali. In ogni caso, credo che sull'edilizia sia solo il 10 per cento la quota soggetta a vincoli e tutele di qualche natura. I vincoli e le tutele sono prevalentemente strumenti che tutelano il territorio non ancora trasformato. È vero – e credo che lei sicuramente avesse in testa anche situazioni di questo tipo – che ci sono casi, tra cui uno di cui si parla molto a Roma in questo periodo, dove interventi di rigenerazione urbana possono ricadere dentro aree di tutela o comunque possono avere dei vincoli. Per carità, ne sono consapevole. Allo stesso modo, ha ragione sul fatto che rispetto alle grandi aree industriali dismesse ci sono una serie di problemi relativi a vincoli e a strumenti di tutela magari non tanto legati al valore storico-paesaggistico degli ambiti, ma alle condizioni di natura ambientale, bonifiche o cose analoghe.
  Tuttavia, se ci si vuole rivolgere al grosso, noi siamo una Commissione sul degrado delle periferie, quindi ci occupiamo prevalentemente di situazioni dove il tema del degrado riguarda magari il tessuto edilizio costruito addirittura dal 1945 in poi. Si tratta di situazioni dove in realtà non ci sono problemi di vincoli e dove, quindi, tutte le altre questioni che lei ha posto per alimentare la rigenerazione, secondo me, sono fondamentali e molto utili nella relazione che ci ha fatto. L'unica cosa è questa. È chiaro che ci sono alcune ragioni di fondo, che non attengono solo al legislatore, Pag. 8 all'azione di Governo o al ruolo che le amministrazioni comunali svolgono con gli atti di pianificazione.
  Bisogna che ci chiariamo su un fatto: il settore complessivo delle costruzioni in Italia, a mio giudizio – magari non è così, ma in base alla mia esperienza mi pare che sia proprio così – rispetto ad altri Paesi, dove magari ha resistito un po’ meglio alla crisi di questi anni, ha sviluppato di più una sua componente, un anello della catena, quella dei developer, cioè di coloro che si occupano di creare le condizioni per operare un intervento di rigenerazione. Un intervento di rigenerazione è per sua natura complesso, perché si parte dallo stato dell'arte, non si va a trasformare un terreno agricolo. È un gioco da bambini nel vostro mestiere partire con il sogno di un bel terreno agricolo che vale poco e trasformarlo. Questo settore in Italia non si è mai sviluppato molto. Oggettivamente è uno dei vostri punti di debolezza. Lo dico, non perché voglia fare un ping-pong, ma perché qualche rimbalzo bisogna che ci sia nella nostra interlocuzione. Devo dire che è una debolezza che fa sì che molti degli interventi di riqualificazione urbana che vengono proposti hanno la grandissima, sventurata debolezza di partire di nuovo semplicemente dalla redditività della rendita. Questo non ci sta. Le città italiane forse hanno una complessità maggiore di città di altri Paesi, dove probabilmente – su questo ha ragione lei – i vincoli, almeno quelli di natura storica, sono meno forti. Questa complessità non si supera facendo solo il mestiere del costruttore, ma facendo il mestiere di colui che si preoccupa anche di chi potenzialmente acquisterà. Io non dico che siate completamente disarmati in questo, però questo è un settore poco sviluppato. A questo si aggiunge un altro aspetto che la legge sul consumo del suolo tocca, a mio giudizio, parzialmente o comunque in maniera un po’ sgraziata. In Italia, tutto sommato, non abbiamo mai lavorato per tagliare quella fetta di redditività del settore che viene semplicemente dalla rendita e che continua a spingere gli investimenti prevalentemente su aree non edificate, rendendo gli investimenti sulle aree edificate meno favorevoli. Lo dico perché, se insieme si decide con chiarezza che si affronta il tema della rigenerazione urbana, per arrivare a quel punto bisogna anche decidere con chiarezza che si ferma la trasformazione del territorio, perché queste due cose non sono compatibili. Lei ha giustamente parlato dell'esperienza di molte regioni. Vengo da una regione che tutto sommato riesce a gestire le cose e dove le opere di urbanizzazione si fanno sempre prima. Se abbiamo un problema, è che a volte le opere vengono fatte, ma poi il privato non ha più i soldi, a causa della crisi finanziaria, per fare la parte privata. Al limite, abbiamo il problema opposto: avere le opere abbandonate e non collaudate.
  Il punto è che il tentativo di promuovere la rigenerazione urbana a partire dalla fine degli anni 1980 è fracassato. Per esempio, non è stato toccato il tessuto edilizio residenziale degli anni 1950 che circonda le nostre città e che dal punto di vista della qualità edilizia è pessimo, è persino peggiore della parte storica costruita nella prima metà del Novecento o alla fine dell'Ottocento. È un tessuto edilizio su cui non ci sono vincoli e che si potrebbe tirare giù e rifare. Tuttavia, in Italia questo processo non avviene, non c'è un mercato privato. È vero che c'è una proprietà diffusa che rende difficile tutto, ma anche in questo caso ricordo il ruolo del developer, perché le proprietà diffuse non possono essere un limite. Si affronta anche quello. Non è partito soprattutto perché si continuava a investire su terreni nuovi. È più facile e costa meno. Le due cose non stanno insieme. Pertanto, se si vuole andare seriamente verso la rigenerazione, a noi interessa la riqualificazione delle periferie. Se dobbiamo ragionare in termini di riqualificazione delle periferie, speriamo che quelle nuove siano fatte bene e cerchiamo di fare in modo che siano riqualificate quelle esistenti, fatte negli anni 1960, 1970, 1980. Per farlo, signori, bisogna in qualche maniera smettere di scegliere la strada più facile, che è sempre stata quella della trasformazione del terreno agricolo, che oggettivamente si è dimostrata buona nell'immediato, Pag. 9 anche per i comuni, ma poco utile a risolvere i problemi delle città.

  ROBERTO MORASSUT. Proverò a interloquire con la relazione del presidente e a porre qualche quesito, ma anche a interloquire sui problemi che sono stati sollevati e che per chi segue questa materia o l'ha seguita, per passione o per funzione, sono temi ricorrenti.
  Non c'è dubbio che la normativa urbanistica negli ultimi decenni è stata più volte aggredita e toccata. Si è intervenuto da parte di tutti i Governi, senza distinzione di schieramento politico, in maniera piuttosto frammentaria. La legge sul consumo di suolo è una legge che interviene su un tema. Il testo unico per l'edilizia è uno strumento importante che viene cambiato annualmente nel corso degli anni con modifiche puntuali. Ogni regione si è dotata di una sua legge, come lei ricordava, anche su punti nodali, come la perequazione e la compensazione, senza un quadro generale. Ogni anno poi nei decreti per lo sviluppo, chiamati in modi diversi secondo i Governi in carica (Salva Italia, Sblocca Italia), ogni tanto si infila qualche norma. Penso che sia diventato difficile, per gli operatori, ma anche per i funzionari delle amministrazioni, districarsi in questo ginepraio.
  Penso che questo sia uno dei motivi della difficoltà, che si aggiunge alla crisi del mercato immobiliare e ai tempi lunghi ed è anche uno degli elementi che aprono le porte alla corruzione in questo campo, nel senso che più difficili sono le procedure, più lunghi sono i tempi, più interpretabile è la normativa, e più chi vuole giocare su questi elementi lo può fare. È chiaro che serve un approccio organico a una legge urbanistica, a un intervento che modifichi la normativa nella direzione della rigenerazione urbana. Voglio mettere l'accento su alcuni punti.
  Il primo, a cui mi pare che accenniate nel documento, che poi leggerò con più attenzione, è il tema dell'uso del patrimonio pubblico in maniera organica. Il patrimonio pubblico è costituito da tanti proprietari: lo Stato, il demanio civile, il demanio militare. A tal proposito rinnovo la richiesta di ascoltare in questa Commissione il ministro o comunque esponenti del Ministero della difesa per affrontare in maniera più dettagliata il tema dell'uso del patrimonio demaniale militare dismesso, in parte trasmesso ai comuni e in parte dentro protocolli che però non si inverano mai completamente e che, invece, possono essere una leva importantissima per interventi di recupero e riqualificazione in comparti importanti delle periferie urbane, soprattutto delle grandi città. Ci sono il demanio militare, il demanio statale, il demanio comunale. Bisogna chiedersi quanto è importante un uso accorto, intelligente, organico e coordinato del patrimonio pubblico per programmi di intervento nella periferia che non siano soltanto interventi a pioggia e puntuali, come onestamente si può dire sull'ultimo bando delle periferie, che impegna notevoli risorse (circa 3 miliardi di euro). I comuni hanno presentato proposte, ma, se le si esamina, emerge che sono proposte molto puntuali di taglio piccolo e medio un po’ in tutte le città. Manca l'elemento dei grandi programmi che mettono insieme e integrano. Questo mi pare un primo aspetto.
  Sorvolo sulla questione perequazione, perché è nota. È evidente che, da quando lo strumento dell'espropriazione non può più essere considerato la leva pubblica per intervenire nei servizi nell'edilizia pubblica, c'è bisogno di una forma che almeno sui princìpi intervenga in maniera coordinata nell'applicazione di procedure compensative o perequative che oggi non hanno un inquadramento nazionale e che, proprio per questo, in tante realtà vengono tirate da una parte e dall'altra, provocando contenziosi, ricorsi e intoppi amministrativi. La vicenda di Roma legata al grande impianto sportivo in corso ne è un esempio. Lì non si capisce se è una perequazione o una compensazione e quali sono i criteri entro i quali questo procedimento si deve comporre. C'è una legge sugli stadi. Abbiamo fatto una legge sugli stadi che introduce una normativa da Formula 1 – poi è tutto da vedere, perché è una normativa comunque molto complicata – soltanto per gli impianti sportivi, perché tanto si fa tutto col ristoro immobiliare. Questo forse crea Pag. 10qualche problema, perché, se nell'ordinarietà un operatore deve fare le sue cose e utilizzare uno strumento compensativo, non può farlo perché a quel livello viene previsto da quella legge solo per gli impianti sportivi. Anche questo è un elemento di complessità.
  Passo al tema della fiscalità. Sono quel parlamentare che ha introdotto nel testo unico dell'edilizia in discussione qualche tempo fa l'emendamento sull'onere del 50 per cento. Ho ricevuto molte critiche e molte proteste. Mi riferisco all'aumento, in caso di varianti, di deroghe o di valorizzazioni, del versamento degli oneri straordinari entro un tetto del 50 per cento o, laddove siano previsti versamenti maggiori, anche di due terzi, come per esempio nella situazione di Roma, per le valorizzazioni immobiliari. Il comune deve riavere una rendita almeno del 50 per cento. L'ho fatto anche per porre un tema ineludibile sul piano della fiscalità urbana: nell'ambito di una legge sulla rigenerazione urbana è necessario affrontare la questione del versamento e del calcolo degli oneri uscendo dal criterio delle tabelle, valutando con criteri pubblici, ma confortati anche dal parere del privato attraverso un lavoro comune, quale sia il valore di rendita che si genera negli interventi di trasformazione urbana, siano essi di nuovo consumo di suolo o di rigenerazione urbana. La rendita che si genera va valutata e divisa equamente o con criteri giusti tra pubblico e privato, nel senso che i comuni debbono poter avere la giusta parte per la realizzazione dei servizi e tutto il resto.
  C'è poi un tema che riguarda l'intervento sul costruito. Una delle leve che hanno spinto verso l'eccesso di consumo di suolo agricolo, soprattutto in certe regioni, è l'elevato valore di rendita che si determina dalla trasformazione di suolo di basso valore, al quale si possono applicare delle varianti e su cui si possono collocare dei diritti edificatori. Questo è avvenuto perché il sistema finanziario negli ultimi decenni ha premuto moltissimo sul sistema delle costruzioni e credo che sia diventato un elemento condizionante per la gran parte degli operatori, che naturalmente recuperano il peso di questo condizionamento finanziario del sistema creditizio anche attraverso l'assicurazione di elevatissimi valori di rendita che consentono il rientro. Sarebbe diverso se protagonista delle azioni di recupero urbano non fosse solo il settore creditizio privato, ma si creasse una leva pubblica.
  Negli ultimi anni tutti i governi si sono accaniti sulla tassazione della proprietà immobiliare, nel senso che pagare l'Imu o l'Ici è diventato quasi un problema di consenso elettorale e, quindi, tutti i governi hanno ritenuto negli ultimi tempi di dover accantonare sempre questo aspetto. Tuttavia, un po’ in tutta Europa, la tassazione sull'abitazione è considerata ed è applicata. Nella penisola la tassazione sulla casa di proprietà è qualcosa che risale ai tempi dell'imperatore Diocleziano, che fu il primo a introdurla. Il problema è la finalizzazione della tassa, come nel caso degli oneri di urbanizzazione. Se il comune chiede a me, costruttore o operatore che realizza una trasformazione urbana, gli oneri di urbanizzazione, ma poi li utilizza per fare altro, questo è un problema. Se si chiamano «oneri di urbanizzazione», debbono essere utilizzati per fare l'urbanizzazione. Se io pago la tassa per la casa, questa tassa per la casa non può finire in un calderone indistinto, ma deve essere utilizzata per la rigenerazione, per il mantenimento degli edifici e per il mantenimento delle città. Ecco perché sarebbe molto opportuno immaginare l'introduzione di una contribuzione – non dico «tassa», perché la parola può essere fraintesa – finalizzata a una sorta di pensione degli edifici. Se abbiamo un patrimonio che al 70 per cento è stato costituito fino al 1974, un patrimonio vecchio, c'è un tema di «pensionamento» di questo patrimonio, di manutenzione e anche di demolizione e ricostruzione. Si può pensare allora a un contributo molto limitato, che costituisca un fondo esclusivamente finalizzato al finanziamento, ovviamente con tassi e con mutui molto agevolati, anche a piccole comunità condominiali per l'intervento, anche pesante, sugli edifici. La detassazione per le ristrutturazioni e la defiscalizzazione per la convertibilità Pag. 11degli impianti non basta infatti a intervenire su un settore pesante come quello della riconversione.
  Se al dato che voi offrite (31 milioni di abitazioni), facendo un calcolo a spanne, si aggiunge ciò che di costruito c'è nel terziario, nel produttivo e in tutto il resto, possiamo calcolare in Italia uno stock di costruito che arriva intorno ai 5-6 miliardi di metri quadrati. Se per ogni metro quadrato ci fosse la contribuzione di un euro o di 1,5 euro a proprietario, avremmo un polmone pubblico di circa 10 miliardi di euro, che possono essere utilizzati, con accorte misure e con una gestione finanziaria pubblica estremamente accorta, per essere l'iniettore di interventi di ricostruzione e rigenerazione sul tessuto edilizio esistente, accompagnati anche da investimenti privati, come avviene in tanti altri Paesi del mondo. In questo caso, avremmo ridato ordine alla fiscalità urbana, sia sul versante degli oneri per le urbanizzazioni sia sul versante della tassazione sulla proprietà che, in misura molto più ridotta rispetto all'Imu e all'Ici, viene però finalizzata all'intervento sulla rigenerazione urbana.
  Abbiamo affrontato il tema degli standard. È verissimo, ma eviterei di affrontare la riforma del decreto del 1968 senza un quadro organico. Ci sta, ma dentro una legge generale.
  L'ultima riflessione riguarda la figura del promotore immobiliare. Nella vicenda dei piani di zona che abbiamo visto su Roma è emerso fra i vari problemi che le imprese e le cooperative che hanno partecipato a quei bandi sono state alla fine incapaci di gestire i programmi per l'affitto che erano stati promossi dalla regione Lazio. Si potrebbe fare l'esempio per quasi tutte le regioni italiane. Si è manifestata una debolezza nella figura del promotore nel gestire il programma per l'affitto, perché il promotore ancora costruisce e vende. Tendenzialmente il mestiere è quello. Gestire un programma per l'affitto negli anni, incassare gli affitti, perseguire chi non paga, gestire gli immobili è un altro mestiere. C'è l'aspetto di una evoluzione, ovviamente insieme al pubblico, della figura del promotore, che non è solo costruttore, ma è anche gestore e promotore territoriale. Infatti, il prodotto va anche venduto e spesso ne va trovato un utilizzatore, se si tratta di un terziario, prima di metterlo sul mercato e prima di realizzarlo. Questo è un grande tema che però non spetta soltanto alle amministrazioni pubbliche, ma anche alle organizzazioni di categoria e ai mondi che organizzano le reti professionali e imprenditoriali.

  FABIO RAMPELLI. Chiedo scusa per il ritardo. Purtroppo oggi è una giornata campale: ci sono tante sovrapposizioni sia in termini di impegni istituzionali sia in termini di manifestazioni oceaniche di piazza dalle quali provengo e quindi spero di poter essere perdonato. Non ho ascoltato la relazione, ma leggerò gli appunti che ci sono stati consegnati. Solitamente pervengono da questa associazione documenti sempre pregnanti e sempre innovativi. Tuttavia, penso che sia anche opportuno e utile dire in questa sede, proprio in virtù della presenza autorevole di chi ci ascolta, quello che può rappresentare le diverse sensibilità delle aree culturali che qui sono trasformate in gruppi parlamentari.
  Penso ci siano disfunzioni ormai stratificate nella trasformazione del territorio, che sono diventate autentiche degenerazioni anche per chi svolge un ruolo attivo in questo campo. Penso anche che occorra una scossa per evitare che queste degenerazioni divengano un fatto da cui non si può più tornare indietro.
  Quali sono i problemi, almeno quelli che riesco a percepire? Ho fatto il consigliere comunale, il consigliere regionale e addirittura il consigliere circoscrizionale e sono architetto, quindi le competenze si sono sovrapposte e sommate. Il quadro che ho potrà anche essere confuso, ma avendo a che fare quotidianamente con cittadini, operatori, imprenditori, comitati e periferie, penso che sia indispensabile fornire anche all'Ance il mio punto di vista. Innanzitutto c'è un problema di ordine culturale, che ho ascoltato con la coda dell'orecchio dai colleghi che mi hanno preceduto mentre entravo in aula. Tutto ciò che viene realizzato di nuovo paradossalmente non aiuta nessun processo di rigenerazione Pag. 12o di riqualificazione. Non so quanto attenga ai compiti dell'Ance dal punto di vista delle competenze dirette. Potrebbe comunque aiutare a sviluppare una sensibilità.
  Negli ultimi cinquant'anni abbiamo realizzato oggetti architettonici, che poi si sono trasformati in operazioni urbanistiche estese, distanti anni luce dalla sensibilità dei cittadini. Finché abbiamo avuto il problema della rincorsa alle grandi città e alle grandi concentrazioni, la fuga dalle campagne, la fuga dall’hinterland, c'è stata un'emergenza che giustificava questa incompatibilità. Adesso siamo ormai al ventesimo anno di crescita sotto zero, di denatalità, e siamo perfettamente orientati sulla strada opposta: a causa dei prezzi elevatissimi del mercato immobiliare, le giovani coppie non ce la fanno e se ne vanno nell’hinterland. Il processo si è completamente invertito, non ci sono più alibi. Se prima si realizzavano Tor Bella Monaca, Corviale, la Serpentara e Spinaceto a Roma, il quartiere Zen, Scampia, il quartiere delle Lavatrici al Nord, oggi non ci sono più alibi, questi obbrobri non si possono più realizzare, non si può più intervenire in maniera industriale. Bisogna, ove il mercato lo richieda – ma questo è un altro problema che tratterò di qui a breve – mettere in campo prodotti che possano rispecchiare la persona umana, le sue esigenze, la famiglia, i suoi bisogni.
  Tutto sommato, basterebbe poco. Basta copiare quello che già esiste, basta capire perché la gente va a prendere il gelato a piazza del Pantheon e non a Corviale. È una domanda semplice. Chi andrebbe mai a prendere un gelato a Corviale? Nessuno, quindi Corviale non va bene, non si può più fare. Bisogna fare qualcosa che somigli più ai quartieri che orbitano intorno ai nuclei storici delle città tutte, nessuna esclusa. Magari possono cambiare le tecnologie, possono cambiare i materiali, ma non può cambiare la filosofia, tantomeno in maniera peggiorativa. Penso che questo elemento, che non ha niente a che fare con interessi di carattere economico, debba essere introdotto in un'associazione importante, che può contribuire a sviluppare tra i suoi associati un dibattito di questa natura. I cittadini sono più vicini a un'edilizia a bassa densità abitativa rispetto ai modelli proposti con la giustificazione di cui all'articolo precedente, negli anni 1970 in modo particolare, ma che oggi, non esistendo più quel tipo di domanda, non sono più giustificati. Un quartiere non si fa soltanto con gli standard urbanistici. Questa è una visione che a me non procura alcuna suggestione. Gli standard sono una parte del problema. A quale standard risponde una fontana in una piazza o un portico o una terrazza o una statua? Non ci sono standard. Una volta c'era una legge che imponeva la destinazione di una quota parte degli investimenti per realizzare cose di questo tipo, ma non è stata mai applicata. Penso che quando si mette in campo un quartiere – questo vale per la competenza delle pubbliche amministrazioni, per i piani regolatori e tutto quello che si connette a essi, ma vale anche per gli imprenditori – bisogna comunque realizzare oggetti urbanistici e architettonici che siano apprezzati, dove la gente stia bene. Per «stare bene» si intende una cosa molto semplice tutto sommato, che ci riporta all'esempio che ho appena fatto, per quel che vale (ci mancherebbe altro, non mi sento particolarmente bravo da impartire lezioni a nessuno). Io lo lego a una parola: identità. Quando nel mondo, a qualunque latitudine geografica, in Giappone, in Africa, a Roma, a Parigi o a Houston, si realizzano gli stessi oggetti architettonici, c'è di che preoccuparsi, perché quando si apre la finestra di casa e ci affaccia sulla strada per stare bene con se stessi bisogna riconoscersi. Non credo che le periferie che ho citato siano il giusto specchio per far riconoscere le persone nel quartiere che abitano e, quindi, contemporaneamente per farglielo apprezzare, per fare in modo che possano tenere al loro quartiere, ai loro giardini pubblici, ai loro servizi, al loro condominio, case pubbliche o private che siano, che ci sia, cioè, decoro e partecipazione. Questa è la prima questione di carattere classicamente culturale, ma ce ne sono altre.
  Per quello che attiene in particolare al settore edilizio, ci sono due problematiche. La prima, a mio giudizio, emerge anche Pag. 13dalla crisi devastante delle banche a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi, che, guardando le prime indiscrezioni dei debitori, comprova una certa difficoltà nelle relazioni tra imprese e istituti di credito. L'impressione è che spesso si realizzino cubature, non perché ci sia una domanda, ma perché il valore immobiliare consente di farsi dare dei soldi dalle banche dando in garanzia il vuoto. Il vuoto non è venduto, consuma territorio, non è legato ad alcun fabbisogno abitativo. Non c'è più fabbisogno, o comunque, se esiste, è una quota residuale che segue la diversa struttura sociale della famiglia per come si è evoluta nel corso dei decenni, che è una cosa diversa. In teoria, si potrebbe anche intervenire su quello che esiste e trasformarlo, al netto dei pesi urbanistici e dei necessari aggiustamenti. Comunque, se si realizzano oggetti architettonici per questa ragione, è anche normale che chi li realizza non si preoccupi più di tanto che questi siano in sintonia con la domanda, perché sono in buona sostanza un assegno circolare. Temo che questo problema, che inizialmente si è manifestato, sia diventato una patologia.
  Mi avvio verso l'ultima parte del mio ragionamento, più legata al degrado delle periferie e alle possibilità di riqualificazione. Penso che un'associazione così importante... magari avrete già scritto nel vostro documento riflessioni sulle materie di cui stiamo discutendo stamani, che non hanno sicuramente il pregio dell'originalità. Ci si incarta su questi dibattiti ormai da almeno vent'anni. Penso sia necessario avanzare delle proposte; visto che rappresentiamo comunque un organo legislativo, se c'è la possibilità di prendere di petto queste patologie, di semplificare e mettere a regime, di far fare a ciascuno il proprio lavoro, senza sovrapposizioni e senza distorsioni, va fatto. Dal mio punto di vista mi piacerebbe che le banche facessero le banche, ossia che sostenessero l'economia reale e non facessero altre operazioni, tant'è che noi abbiamo presentato anche una proposta di legge per tornare alla separazione delle banche commerciali dalle banche d'affari. Forse questo aiuterebbe a semplificare il quadro. Se possiamo aggirare l'ostacolo con proposte pertinenti rispetto a questo settore e a questo segmento, se le ritenete opportune e avete idee al riguardo, noi ce ne possiamo fare carico, perché questo è un po’ il gioco.
  Arriviamo alle periferie, anche se non è soltanto un problema delle periferie. Ovunque ci sia degrado potremmo e dovremmo intervenire con strumenti innovativi, che non siano strumenti statalisti, ma siano strumenti capaci di sollevare il mondo del privato, cercando di stimolarlo a fare il proprio. Penso che in questa congiuntura – e non da oggi, perché da qualche decennio ormai le cose vanno in questa direzione – non possiamo fabbricare un fabbisogno che non c'è o è così residuale. Dobbiamo aiutare il vostro settore a convertirsi da espansione a riqualificazione. Questa è la partita delle partite. È su questo che c'è la scommessa delle istituzioni che si deve incrociare e sovrapporre con la scommessa delle imprese. È esattamente qui. Torno – me l'avrete sentito dire chissà quante volte, ma ritengo che questa sia la sede più propria per poterlo sottolineare e rilanciare – sul concetto della sostituzione edilizia, anzi, di più, sul concetto della città diffusa. Mi dispiace che non siano presenti i colleghi (forse il collega Morassut l'ha fatto, ma potrei sbagliarmi) che si sono esposti in favore della cosiddetta legge sul consumo del suolo per bloccare il consumo del suolo. Andiamo sempre avanti per ideologie. Se il suolo fa schifo, lo devo consumare se, consumandolo, lo qualifico. Se il suolo è un suolo di pregio, no, non lo posso toccare. Lo devo conservare. Guai a immaginare che magari soltanto per ragioni di carattere compensativo o speculativo lo possa mettere in discussione, come se i parametri possano essere come una coperta che si tira dalla propria parte al bisogno.
  Fare sostituzione edilizia o gestione della città diffusa significa intervenire dove il territorio è compromesso con operazioni anche di premialità, perché lo Stato non ha le risorse per farlo in prima persona. Chi abita su questa terra – questo, almeno, vale per il sottoscritto – ambirebbe a vedere qualcosa di decente prima che arrivi un'altra generazione. Magari tra cent'anni l'Italia Pag. 14 sarà una potenza planetaria, un Paese ricchissimo e potrà «sbracare» le periferie e costruire nuove periferie a regola d'arte, a 2-3 piani, ma stiamo parlando di filosofia antica. Non esiste in questo momento questa prospettiva. Possiamo chiedere, gentilmente, agli operatori del settore di aiutare un processo legislativo che vada nella direzione della sostituzione. Si tratta di togliere quello che è brutto, oltre che rischioso da un punto di vista del consumo energetico. Dobbiamo ragionare su questo. Ascolto molti colleghi che, alla fine, dopo 10-15 anni di contaminazione, accedono a questa prospettiva, dopo averla criminalizzata, perché chissà che cosa ricordavano loro la demolizione e la ricostruzione. L'invenzione delle parole «sostituzione edilizia» le rende forse più presentabili e più accessibili e forse anche la distanza dal ventennio rende queste cose più dignitose con maggiore consenso possibile. Abbiamo fatto una battaglia culturale di 15-20 anni. Adesso qualcuno si comincia ad accodare. Va benissimo, ma questa materia deve essere una priorità. Non può essere l'ultima cosa di cui occuparci. Se la riusciamo a far partire, diventa comunque un volano, uno strumento virtuoso che rimette in campo un'economia da cui l'Italia non può prescindere. Si tratta di un'economia da cui l'Italia non può prescindere. Non è soltanto la possibilità di intervenire a gamba tesa sul degrado delle periferie urbane. Si può applicare alle coste martoriate di un Paese che si dovrebbe teoricamente fondare sul turismo culturale e naturalistico. Si può lavorare su questo? Potete, nelle vostre funzioni e peculiarità, darci una mano per mettere in campo strumenti innovativi e mettere anche con le spalle al muro quelle forze politiche che non fossero nelle condizioni di garantire questo processo, senza il quale non ci sono alternative, se non quelle da cui sono partito in questo intervento, che sono insostenibili e invise al genere umano? Questa può essere la vera scommessa su cui applicarci congiuntamente, nel rispetto delle diverse competenze che ciascuno esercita.
  Grazie. Chiedo scusa se sono andato anche un po’ fuori tema. Le ragioni del mio ritardo ve le ho manifestate: non avevo alternative.

  PRESIDENTE. Volevo soltanto aggiungere qualche annotazione. Intanto ringrazio perché ho scorso la corposa relazione che ci avete inviato. Secondo me, ci sono anche alcune risposte a molte domande che hanno fatto i colleghi.
  È chiaro che la partita della riqualificazione di aree che sono poco dignitose per la vita delle persone, come diceva giustamente il collega Rampelli, è una sfida che, dal punto di vista della regolazione, può essere affidata al pubblico, ma dal punto di vista dell'operazione non può che vedere impegnati i privati, con un apporto anche di capitale privato. Io intraprendo in altro ambito, ma so che, quando una persona intraprende, ha bisogno perlomeno di tre elementi: la certezza dei tempi, la certezza delle regole e un'adeguata remunerazione del capitale investito. Nel caso di interventi di edilizia, si parla anche di capitali importanti, che sono diventati molto più importanti anche con l'evoluzione della modalità con cui opera il sistema bancario. Una volta bastava fare una srl con 10.000 euro di capitale sociale. Oggi qualsiasi istituto chiede un’equity che va dal 25 al 40 per cento, a prescindere dal rating dell'azienda. Stiamo parlando di situazioni in cui viene richiesto agli operatori anche un impegno finanziario di risorse proprie non indifferente, tra l'altro in un quadro in cui l'Italia ha un sistema di regole non affidabili e che cambiano continuamente e un sistema di tempi che non garantisce alcun tipo di certezza. Penso che il nostro sia il Paese europeo che, nonostante le qualità del Paese dal punto di vista estetico e culturale, attrae meno gli investitori stranieri. Un fondo sovrano, o un fondo di private equity, nel momento in cui fa una due diligence sul sistema Paese, ritiene che l'Italia sia un Paese in cui assolutamente non bisogna investire. Questo, perlomeno, è quello che a me viene riferito in alcuni ambienti che ho avuto modo di frequentare.
  A me pare molto interessante – bisognerebbe capire anche come svilupparla insieme – la provocazione che avete lanciato Pag. 15 sul percorso normativo ad hoc sulle città. Mi riferisco al fatto di individuare aree di intervento e capire come un'eventuale proposta del privato in partenariato con l'amministrazione possa trovare delle vie e dei canali preferenziali trasparenti, s'intende però dove si possa operare con rapidità, con certezza e magari coinvolgendo anche il capitale straniero. Aggiungo un'altra cosa. Le nostre periferie sono delle immense cave. Mi vorranno male i cavatori, ma oggi, con il recupero dei materiali, si può arrivare a recuperare circa il 95 per cento attraverso la demolizione. Ci sono aree periferiche che dal punto di vista demografico sono assolutamente interessanti.
  Un'altra cosa che si diceva è che la domanda abitativa diminuisce perché il nostro Paese demograficamente è destinato a diminuire, come quantità di popolazione, nei prossimi anni. Alcune aree costruite tra gli anni Cinquanta e metà degli anni Settanta sono aree che possono potenzialmente diventare immense cave a cielo aperto per il recupero degli inerti, fatto con attenzione però perché in alcuni casi si sono utilizzati materiali pericolosi. Oggi ci sono tecnologie che possono garantire di operare in modo serio. Da quel punto di vista c'è un'enorme potenzialità sul recupero. È chiaro che si debba studiare poi quali siano le leve economiche e fiscali che possono essere di stimolo per gli operatori privati a operare in quest'ambito e che si debba pensare, come dicevate voi, probabilmente a un quadro normativo che sia serio, rapido, certo e veloce, non soltanto in materia di urbanistica, ma anche in materia di ambiente. Ho qualche amico nell'ambito delle costruzioni di lavori pubblici che si occupa di recupero di materiali e che si lamenta per la normativa italiana. Io dico che, invece, è fortunato, perché il nostro è l'unico Paese in cui, se uno scava un metro cubo di terra, quella terra, solo per il fatto di essere scavata, automaticamente diventa rifiuto e bisogna pagare per conferirla in discarica. Deve essere fatto un forte ripensamento, perché ci sono materiali inquinanti che vanno trattati da inquinanti, ma c'è anche una normativa ambientale che, secondo me, deve essere rivista e diventare una leva economica. Se poi il costo del recupero della demolizione diventa un onere insostenibile, a quel punto la leva economica non c'è più.
  Vi ringrazio. Do la parola al presidente Buia per la replica.

  GABRIELE BUIA, presidente dell'Ance. Cercherò di essere rapido, anche se mi piacerebbe restare con voi a discutere di queste materie a lungo, perché penso che siano importantissime, non tanto per gli operatori e per il legislatore, quanto per il tessuto socioeconomico, che mi sta molto a cuore.
  Parto dall'onorevole Mannino. Lei ha toccato un punto sicuramente difficile per noi, perché è vero quello che dice: ci sono alcuni esempi di cattiva operatività imprenditoriale. Bisogna darne atto. Le dico però che non sono tutti così – è ovvio – e che le norme mi risulta ci siano già. Inoltre, dovrebbero rilasciare le fideiussioni in ambito di piano attuativo. Prima di ricevere le concessioni sulle urbanizzazioni devono essere consegnate le fideiussioni a garanzia dell'intervento. Se poi l'amministrazione non escute quelle fideiussioni o si è accontentato di avere fideiussioni di assicurazioni oppure di società finanziarie che non garantiscono, questo è un problema. Immagino però che debba essere anche l'amministratore pubblico che verifica cosa riceve. Se c'è un qualche operatore sprovveduto e – diciamo – truffaldino, è giusto che venga emarginato immediatamente, perché danneggia tutta la categoria e l'immagine degli operatori. Non abbiamo possibilità di intervenire su un operatore che perlopiù non è iscritto. Come facciamo a intervenire? Non siamo un organo di polizia giudiziaria, che può intervenire. Giustamente, quando l'amministrazione rileva una fattispecie del genere, deve segnalarla e l'organo competente deve intervenire. Capite però che ci sono tante fattispecie assimilabili a quella che sono nella vita comune. In questo caso sono le opere di urbanizzazione, in un altro possono essere altre operatività economiche per altri settori che però hanno la stessa attinenza. Su un operatore sprovveduto non possiamo intervenire, se non dicendo Pag. 16 al legislatore, giustamente, che si devono chiedere le fideiussioni, che si devono escutere e che si deve provvedere a segnalare se questo non va bene, perché è un rapporto one-to-one. I promotori non sono tutti codificati. Lei deve sapere che oggi, per essere promotori od operatori, basta andare alla Camera di commercio e iscriversi. Questa è un po’ un'anomalia, mi permetta, perché all'interno di queste iscrizioni c'è di tutto e di più. Noi abbiamo già alzato il tono su queste tematiche e riteniamo che non si possa immaginare di essere costruttori dalla sera alla mattina.
  Quando si va poi a discutere sul sistema bancario, come è stato fatto prima, è chiaro che, quando il mercato va, sono stati finanziati a pioggia tutti gli operatori, storici e non storici, sprovveduti e non sprovveduti. Questo è stato, secondo me, un problema ed è un problema per gli operatori seri, che adesso pagano le conseguenze di quel modo di fare finanza. Avremmo preferito anche noi vedere, in questo caso, i finanziamenti cadere su società che offrivano garanzie, non solo verso il sistema finanziario, ma anche verso l'utenza, verso i cittadini, verso le persone che acquistano gli appartamenti. Se esiste la legge n. 210 sulle fideiussioni date a tutela dell'acquirente immobiliare, invito questa Commissione – non so se sia vostro compito o no – a valutare quanti veramente diano queste fideiussioni, perché non siamo in grado di poter intervenire su quegli operatori che non si comportano secondo le regole. Questa è una grande disparità fra gli imprenditori seri e quelli che vogliono sguazzare nel torbido. Non vogliamo accomunarci a questa fattispecie. Vogliamo alzare la mano e dire che vogliamo essere una categoria di imprenditori completamente diversa. Vorrei fare una netta distinzione tra le due casistiche. Penso di aver risposto. Se dimentico qualcosa, onorevole, me lo dica, perché ho segnato tutto ma non vorrei dimenticare qualcosa. Sono d'accordo, esiste il problema, ma non solo quello. Ci sono anche altre tematiche. Adesso ho citato la legge n. 210, ma è chiaro che abbiamo bisogno di un appoggio normativo. Saremo al fianco del legislatore su queste tematiche, perché ci vedono pienamente coinvolti. Vogliamo far rispettare quelle situazioni che generano degrado e problematiche di immagine verso l'utenza. Su questo siamo perfettamente disponibili a seguire questo percorso.
  L'onorevole Gandolfi mi chiedeva delle tutele. Io parlavo di tutele in generale. Parlavo di tutele che spesso arrivano a eccessi, ma non per dire che non siamo d'accordo sulle tutele, specialmente su quelle ambientali. Siamo d'accordissimo su questa tematica. Il costruire in ambiente sano e in qualità per noi è un fiore all'occhiello e vogliamo sottolineare che non contestiamo. Diciamo soltanto che alcune volte queste tutele diventano ridondanti e non semplici nell'operatività. Quando ci sono le tutele giuste – e sottolineo giuste – che ci devono essere, ma si sovrappongono e continuano a sedimentarsi norme su norme e fattispecie su fattispecie, diventano praticamente quasi ingestibili. Chiediamo una tutela giusta e semplice da applicare, che non possa interrompere il processo di progettazione e costruzione, perché questo vanificherebbe tutte le operatività e il risultato economico. Questo è un altro modo di dire agli investitori di non venire da noi, perché il processo è talmente macchinoso e farraginoso che crea problemi. Ripeto, sulle bonifiche siamo pienamente d'accordo. Noi non contestiamo le materie ambientali, anzi, vediamo soltanto che ci sono sovrapposizioni e a volte anche nell'ambito delle sovrintendenze determinati vincoli posti su fattispecie particolari, senza entrare nel merito, che ci sembrano molto ridondanti. Questo blocca tutto il processo, con gravi danni, non solo per l'imprenditore, ma anche per il sistema. Questo lo voglio solo sottolineare. Ribadisco la nostra piena disponibilità alle tutele ambientali e a tutto ciò che ne consegue.
  Onorevole Morassut, lei ha toccato diversi temi di politica. Come dicevo, bisognerebbe restare a discutere. Ha toccato temi importanti per noi, come l'intervento sul patrimonio pubblico. Dobbiamo capire cosa vuol dire, assolutamente, condivido. Abbiamo quello militare e quello non militare, con le varie distinzioni. Personalmente Pag. 17 ho potuto constatare che patrimonio pubblico, vincoli e Sovrintendenza spesso impediscono un utilizzo di questi immobili che, per gli scopi che lei diceva, sarebbe importantissimo mettere a dimora, sostenere e far crescere, perché questo è una grande possibilità che lo Stato ha di mettere in gioco il proprio patrimonio per il sistema. Condivido totalmente quello che lei mi ha detto. Condivido anche il discorso che ha fatto sul bando delle periferie. Questi soldi non sono sufficienti, ma sono arrivati senza una programmazione e a spot. Spesso, per quello che ho potuto vedere, queste cadute a pioggia vanno su fattispecie e particolarità non strategiche. Vorrei vedere l'utilizzo di questi fondi per tematiche strategiche della città. Condivido anche queste cose.
  Usare gli oneri per le finalità previste è sempre stata una nostra battaglia. Gli oneri di urbanizzazione sono sempre stati usati per la spesa corrente dell'amministrazione comunale. Questa è stata una distorsione che ha praticamente portato investimenti che potevano essere fatti con quelle risorse, come del resto era previsto, fuori luogo. Di conseguenza, si è persa una possibilità di intervenire sugli obiettivi della rigenerazione, portando esempi chiari e precisi, come ha fatto lei. Mi sta bene il discorso del decreto ministeriale del 1968. Ho detto prima che nel 1968 aveva una logica, perché si costruiva senza il minimo standard. Difatti, il problema che abbiamo adesso anche sulle periferie del degrado è dovuto al fatto che le persone che se lo possono permettere cercano di spostarsi per andare a vivere in zone dove ci sono i servizi e gli spazi e dove, banalmente, sanno dove poter mettere la macchina quando vanno a casa, perché non ci sono spazi. Questo è il nuovo modo di vivere, a cui dobbiamo prestare molta attenzione. Così facendo, senza intervenire rapidamente su queste fattispecie, rischieremmo poi di creare ulteriori ghetti. In quelle zone non ci vorrà più andare nessuno perché sono carenti dei minimi servizi e delle necessità. È questo il problema socioeconomico che sta nascendo: la gente si sta spostando – chi può – il che impoverisce sempre più quel tessuto. Secondo me, dobbiamo sicuramente pensare a come uscirne.
  L'ultima cosa che ha detto riguarda il promotore-costruttore. Questa è stata una nostra carenza. Effettivamente il nostro problema, anche come associazione, è di aprire una filiera e collegamenti fra il mondo dei promotori costruttori. Vorrei fare anche qui un distinguo. Mi preme sottolinearlo, perché cambia molto, mi creda, fra costruttore e promotore puro. Oggi in Italia possono essere tutti promotori, indipendentemente dalla specializzazione che uno ha voluto portare per anni e dalla storicità dell'azienda, perché il promotore fa un'iniziativa perlopiù finanziaria o non dico di speculazione, ma ben definita. Il costruttore ha un'altra immagine. Fa il promotore, ma sa che la costruzione deve garantire per anni. Deve metterci la faccia e dare le garanzie. Oggi comprare un pezzo di carta e vendere un pezzo di carta è molto facile. Quando in mezzo a questi due passaggi mettiamo una filiera di produzione e creazione, la questione cambia. Il ruolo che avevamo storicamente di costruttori-promotori effettivamente oggi l'abbiamo perso, a vantaggio della figura del solo promotore. Perché? Dobbiamo chiedercelo. Perché spesso, quando cominciamo a parlare di pianificazione e costruzione, aumentano tutti gli adempimenti burocratici e le problematiche. È molto più facile oggi comprare e vendere un pezzo di carta mettendo in mezzo la filiera di operatori, più o meno professionalizzati che siano. Loro si portano a casa responsabilità, ma io compro un terreno e vendo un appartamento, per banalizzare. Questa è una tematica che mi preme sottolineare, perché il ruolo del promotore-costruttore, inteso in un'unica immagine, in un'unica identità, è un ruolo importantissimo, che deve essere sottolineato, perché le garanzie devono essere ancora date. In Italia ce ne sono tante da dare, ma molti si dimenticano che sono da dare. Noi dobbiamo aprire la filiera perché la gestione, per quel nuovo modo di vivere nell'ambito delle città, necessita di spazi legati più all'affitto, perché le tipicità del lavoro sono cambiate e si emigra molto. La migrazione legata al lavoro è molto più alta Pag. 18di quella che era prima. Sono tematiche su cui la società deve confrontarsi e dare spazio al dialogo, perché questi sono i nuovi temi che stanno emergendo, cui dobbiamo rispondere. È giusto il richiamo che ha fatto. Noi stiamo operando. Nella mia piccola esperienza ho già fatto una collaborazione del genere, perché la reputo necessaria. Ci sono ormai degli specialisti in queste cose. Non possiamo essere specialisti di tutto. Questo è un richiamo che lei ha fatto che sarà preso sicuramente in considerazione.
  Onorevole Rampelli, lei ha toccato temi importanti: parto dall'ultimo. Troverà nella nostra relazione risposte a tutte le sue affermazioni o riflessioni.
  Ha toccato i problemi dell'impresa banca e della costituzione di un incubatore per avere il finanziamento. Forse ho già risposto un po’ prima. Una volta si finanziava di tutto perché il mercato andava e c'era la redditività. In quel momento forse dovevamo pensare a far crescere le imprese. Il sistema bancario, su cui penso di dover rilanciare un approccio e un nuovo modo di collaborazione per il futuro, avrebbe potuto fare, per il ruolo sociale ed economico che ha, come intermediario fra il mondo della politica, della finanza e della produzione, un po’ più di selezione. Invece, quando il mercato andava, si è fatto di tutto di più. Si è costruito molto solo perché si pensava che ci fosse richiesta. Poi, con quello che è successo, è crollato tutto e adesso abbiamo i problemi enormi che lei ha ben descritto. Dobbiamo tornare al ruolo del progetto. Non dobbiamo presentare quantità, ma dobbiamo presentare proposte progettuali intelligenti per una nuova socialità, per un nuovo urbanismo, per un nuovo modo di vivere le città. Dobbiamo anche noi imparare a confrontarci con l'amministrazione sui progetti, non sui volumi. Condivido quello che ha detto, se è questo che voleva dirmi. La sua ultima affermazione è riconvertire dalla nuova costruzione alla sostituzione. Vedrà che nel nostro documento c'è un percorso codificato, che abbiamo proposto oggi nel modo che riteniamo opportuno per avere questa metamorfosi. Dobbiamo però sostenere e sottolineare che sono necessari passaggi importanti: ci deve essere un interesse pubblico, quando si interviene in tessuti predefiniti della pianificazione. Quando si deve intervenire in quegli ambiti in maniera specifica, ci deve essere un interesse pubblico e si deve operare in tal modo.
  Il problema grande alla riconversione e alla sostituzione è la frammentazione della proprietà. Questo è un grande problema, se vogliamo intervenire. Dobbiamo essere pronti a discutere di queste cose, perché, se ci limitiamo a dire che è difficile – è chiaro che è difficile – non riusciremo mai a intervenire su quei sistemi. Quando c'è la proprietà – io sono liberale, non si deve mai ledere un sistema del genere – e ci sono concetti così fondati nel nostro DNA di cittadini italiani, dobbiamo capire, se dobbiamo intervenire sulla sostituzione, in cui credo tantissimo (ho detto anche che dobbiamo approvare immediatamente una norma che permetta questa possibilità di intervento), se ci fermiamo davanti al primo scoglio, che è quello della frammentazione della proprietà, non riusciremo mai ad arrivare alla sostituzione in quei tessuti residenziali che richiedono interventi che lei ha detto, perché una normazione non esiste e noi non riusciamo a intervenire.
  In Italia le famose STU, le Società di trasformazione urbana, non hanno preso piede. Sono state rarissime. I pochi casi realizzati – sottolineo pochissimi, perché è una fattispecie particolare – sono riusciti a definire tutto con accordi bonari, intervenendo anche su tessuti pluriproprietari. C'è stato un dibattito, c'è stato un accordo, c'è stata la volontà e si è trovato il modo di far sì che i proprietari cedessero le proprie proprietà in cambio o di nuove localizzazioni o di indennizzo. Di questo dobbiamo parlare. Se vogliamo intervenire su queste tematiche, dobbiamo affrontare questo problema, altrimenti penso che rischi di essere un discorso sterile. Questa è la grande proposta che penso di aver messo nel nostro documento e che ritengo possa interessare a tutti.
  Chiudo sulla dichiarazione del presidente, perché quello che ha detto mi fa molto piacere. Non l'ho citata perché non Pag. 19volevo rubare troppo tempo. Il fatto delle demolizioni è un fatto importante. Contiamo molto sul futuro dell'industria 4.0 e dell'economia circolare. È una grande opportunità: demolizione, reimpiego, riuso e riutilizzo. Queste cose possiamo metterle in atto. Sono politiche che non devono spaventare il mondo dei professionisti, dei promotori e dei costruttori. Sono ormai situazioni che devono essere analizzate e risolte, perché questo è il futuro. Ormai lo stanno facendo dappertutto. Dall'altra parte, il paradosso che diceva il presidente è che oggi dobbiamo far chiarezza: vanno bene le caratterizzazioni, dobbiamo fare le analisi, ma poi, se dobbiamo intervenire con costi altissimi solo per il fatto che scaviamo, ragioniamoci, perché poi tutto si somma e tutto arriva a definire un prezzo. Un'iniziativa deve essere sostenibile economicamente, altrimenti non la fa nessuno. Se l'obiettivo è quello, nel rispetto delle norme e dei valori ambientali che ci stanno molto a cuore, dobbiamo riuscire a capire come semplificare, perché, se continuiamo ad aumentare burocrazia e costi, le operazioni non si faranno mai, perché alla fine chi investe vuole un ritorno.

  CLAUDIA MANNINO. Faccio proprio una battuta, che non vuole essere minimamente provocatoria. Le volevo chiedere, premesso che le proposte progettuali possono venire non necessariamente dalle imprese costruttrici – questo lo do per scontato – sapreste indicarci un esempio virtuoso in cui un'impresa costruttrice, anche tramite la collaborazione con altri soggetti, abbia proposto la demolizione di un quartiere per proporne la ricostruzione?

  GABRIELE BUIA, presidente dell'Ance. Oggi lei non lo può fare, perché non ci sono le norme.

  ROBERTO MORASSUT. Via Giustiniano Imperatore a Roma.

  GABRIELE BUIA, presidente dell'Ance. Questo è l'unico caso perché stavano crollando le case. Crollava tutto. C'era una necessità di salvaguardia perché crollava tutto e tutti i proprietari si sono uniti e si sono convinti a uscire. Se l'iniziativa è dei privati, che sono disponibili tutti a migrare e spostarsi, è immediata la possibilità di intervenire, di demolire e di ricostruire, ma se questa...

  CLAUDIA MANNINO. Quindi, non è un problema normativo.

  GABRIELE BUIA, presidente dell'Ance. No. Le spiego. Non è un problema normativo. Se sono siti industriali e dismessi, non c'è problema, perché ci sono già delle norme. Se però non ci sono pericoli sull'incolumità – in questo caso c'erano dei pericoli – e lei dovesse fare quella stessa operazione in condizioni normali, oggi non avrebbe le norme per poterla fare. Lei non la può proporre, perché impatta molto sulla proprietà frazionata. Questo è il primo grande scoglio. Inoltre, se lei interviene sul tessuto consolidato – non voglio essere troppo tecnico – degli anni Sessanta, dove l'area di sedime del fabbricato corrisponde praticamente al lotto fondiario, capisce che oggi, se demolisce quello che c'è con le volumetrie di allora, non può più ricostruire. Inoltre, in ogni caso, se anche potesse ricostruire, non avrebbe gli standard da cedere: non ci sarebbero gli stalli di parcheggio pubblico, non ci sarebbero gli spazi di verde, non ci sarebbero tutte quelle cose che oggi sono insite nelle normative. Bisogna creare la possibilità di piccoli agglomerati, di creare possibilità di ridare spazio alla città, creare spazi di socializzazione e non aver paura se in taluni ambiti si può andare in altezza anziché in larghezza, perché solo così riusciremo a dare spazi e servizi per la nuova città. Dobbiamo metterci a un tavolo e ragionare su queste tematiche: stiamo facendo studi su questo, analizzando i comparti di quel periodo per arrivare a definire come poter intervenire, perché oggi le garantisco che le norme di pianificazione non le permettono di fare questo. Non glielo permettono. Lei non può demolire e ricostruire. In ogni caso, non riesce mai a fornire i servizi. Se dobbiamo ricostruire monetizzando e portando solo finanza all'amministrazione comunale, senza Pag. 20risolvere i problemi della città... mi scusi, noi stiamo oggi discutendo su un nuovo modo di socializzare e su un nuovo modo di essere cittadini in una città e in un mondo che cambia, con necessità socioeconomiche che non sono più neanche quelle di dieci anni fa, perché il mondo, con questa crisi, è cambiato tanto, mi creda.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Buia e invito l'Ance, visto che mi pare di capire stia lavorando su questi temi in modo permanente, a voler eventualmente trasmettere alla Commissione proposte e suggerimenti utili per la nostra relazione finale.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

Audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma, dottor Giuseppe Pignatone, che ringrazio per aver accolto l'invito della nostra Commissione, la quale ha svolto alcuni sopralluoghi e ha anche audito una serie di associazioni e comitati che si occupano delle situazioni delle aree periferiche, nonché rappresentanti delle istituzioni. In particolare, abbiamo audito il commissario straordinario del X Municipio di Roma.
  Sono emersi, durante queste visite e audizioni, alcuni elementi che hanno tracciato un profilo, sia sul piano della sicurezza, sia sul piano delle situazioni di illegittimità, piuttosto complesso e complicato. Era desiderio di tutti i commissari fare un punto della situazione con lei, visto che da molto tempo lavora sul tema. È altresì presente il procuratore aggiunto Michele Prestipino, che ringrazio per aver accordato anch'egli la sua presenza.
  Come abbiamo convenuto nell'Ufficio di presidenza, dopo l'esposizione del dottor Pignatone darei spazio per 5-7 minuti ai colleghi parlamentari affinché possano eventualmente rivolgere domande o chiedere chiarimenti.
  Do la parola al dottor Pignatone.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Grazie alla Commissione, naturalmente. Ho preparato una serie di notizie e informazioni sulla scaletta che avete comunicato. Penso che seguiremo quella. Vorrei solo sottolineare, proprio in trenta secondi, prima di cominciare, che, quando parliamo di periferie di Roma, parliamo di un mondo, come certamente la Commissione sa, la cui prima caratteristica, che è insieme anche il primo problema, è la grandezza, la vastità delle dimensioni. Il comune di Roma Capitale ha un'area che amministrativamente credo sia la sommatoria delle altre nove città italiane più grandi. Pertanto, tutto assume dimensioni gigantesche e difficilmente gestibili, dai trasporti alla volante della Polizia, che, per andare da un posto all'altro, impiega trenta minuti, alla presenza di supporti sociali e amministrativi sul territorio. Non voglio fare sociologia, ma si tratta di una dimensione per cui ogni singolo commissariato o compagnia dei Carabinieri dista magari 10 chilometri da quello più vicino e amministra e sovrintende 100-150.000 persone, cioè quella che è normalmente una città medio-grande del Nord o del Sud Italia, il che rende, ovviamente, complicatissimo qualunque tipo di approccio. Fatta questa premessa banale, ma secondo me indispensabile, ho preparato, insieme al collega, che è coordinatore della Direzione distrettuale antimafia ma si occupa anche di altre cose che vengono in rilievo oggi, una serie di risposte alla scaletta che la Commissione ha programmato.
  Innanzitutto, parto dal tema dell'occupazione illegale di immobili pubblici e privati. Dobbiamo distinguere le occupazioni massive degli immobili, quelle cioè che riguardano contemporaneamente un intero edificio, con una pluralità di singole unità immobiliari e appartamenti, dalle occupazioni abusive di singoli appartamenti e di singole abitazioni. Queste ultime sono in gran parte di proprietà dell'Ater. Per quanto riguarda le prime, come sicuramente la Commissione sa – ho qui un appunto del prefetto; se mi autorizzate eventualmente a lasciarlo, lo farò – sono uno dei punti dolenti della città. Al momento della redazione Pag. 21 dell'appunto, qualche giorno fa, c'erano 99 occupazioni censite nella capitale, di cui 79 immobili in zona suburbana. Si tratta di edifici abbandonati, soprattutto di proprietà privata, spesso fatiscenti, in ambienti degradati e quindi a volte anche pericolosi, in cui ci sono intere famiglie, spesso straniere, ma anche italiane, a volte «gestite» da comitati o gruppi caratterizzati politicamente, di destra o di sinistra. Nell'insieme sono molte migliaia di persone interessate a questo fenomeno. Naturalmente, ci sono interventi dell'autorità giudiziaria che nascono, perlopiù, dalla denuncia dei privati interessati o, qualche rara volta, da parte dell'ente pubblico anch'esso interessato, in questo caso, soprattutto quando l'ente pubblico viene a sapere che c'è una situazione di pericolo, perché si vogliono evitare responsabilità. In questi casi ci sono due cose da fare, in sostanza, nessuna delle due semplici. La prima è identificare gli occupanti. Non è una cosa semplice, perché oppongono resistenza e non sono sempre gli stessi. Cambiano con una determinata frequenza. La seconda operazione è sgomberare l'immobile. Per questa seconda parte la procura richiede, quando sussistano queste condizioni, il sequestro, che normalmente il giudice dispone. A questo punto però viene delegata per l'esecuzione la polizia giudiziaria, che ha svolto l'attività fino a quel momento, che porta il problema in Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Il prefetto dice che fra il 2015 e il 2016 si contano ben 14 sedute dedicate a questi problemi, perché il Comitato è stretto fra l'esigenza di sgomberare, soprattutto dove c'è pericolo per gli occupanti, e la resistenza, anche attiva, degli occupanti allo sgombero. Nel biennio in questione sono stati eseguiti 28 interventi: 6 sono stati volti a scongiurare sul nascere nuovi tentativi di occupazione per evitare che la situazione si aggravasse ulteriormente e 22 concernono vere e proprie operazioni di sgombero, in buona parte relative a stabili utilizzati come centri sociali o studentati o gravati dal decreto di sequestro. Naturalmente, il problema fondamentale è fornire soluzioni alloggiative alternative a chi viene sgomberato. C'è un finanziamento regionale, come la Commissione sa, che finora, sostanzialmente, non credo si sia attivato. Tutto questo sfugge, naturalmente, alle competenze della procura della Repubblica.
  Lascerei questo appunto della prefettura, che è estremamente dettagliato, se può essere utile alla Commissione.
  Aggiungo che, al di là di questi interventi molecolari, volta per volta la procura ha fatto con la Polizia di Stato e con la DIGOS tre anni fa un'indagine più sistematica. In un contesto diverso di indagine sono emersi elementi tali da far configurare (siamo nel 2013-2014) una vera e propria associazione per delinquere finalizzata all'occupazione e alla gestione di questi immobili, occupati soprattutto da stranieri, non da italiani, ma comunque da persone tutte in stato di indigenza. Secondo le risultanze processuali, il «capo» di quest'associazione era tale Maria Giuseppa Vitale. C'era un fondo cassa e venivano richieste prestazioni che, secondo noi, configuravano anche il reato di estorsione. Queste persone venivano utilizzate anche come «massa di manovra» per le manifestazioni di piazza per il diritto alla casa o anche per altri temi. Peraltro, il periodo 2013-2014 è stato molto caldo per l'ordine pubblico a Roma. Questo procedimento ha avuto un andamento molto tormentato, perché la procura aveva richiesto misure cautelari contro gli organizzatori, o coloro che abbiamo ritenuto gli organizzatori, di quest'associazione per reati di associazione ed estorsione soprattutto. Il giudice per le indagini preliminari rigettò la richiesta, dicendo che c'erano i gravi indizi di colpevolezza ma non le esigenze cautelari, con la motivazione che, se, invece di adottare misure cautelari nei confronti di queste persone, si sgombera l'immobile, vengono meno le esigenze cautelari. Ritengo questa tesi giuridica molto originale, ma devo anche dire che il nostro appello è stato rigettato dal tribunale del riesame. Si è quindi proceduto allo sgombero, con enormi difficoltà. Ci sono stati degli scontri e problemi soprattutto di ricollocazione di queste persone. Nel processo ormai siamo arrivati al decreto che dispone il giudizio e sono cominciate Pag. 22 le prime udienze in tribunale. Ho portato soltanto la copia del decreto che dispone il giudizio. Sono atti pubblici, ovviamente. Se la Commissione fosse interessata, non ho portato un faldone di carte con i vari atti che ho indicato, cioè la richiesta di misura cautelare e il rigetto del decreto, ma basta che li richieda.
  Lascio all'intervento del dottor Prestipino la trattazione delle occupazioni di singole unità.
  Mi sono state chieste poi notizie sui Piani di zona. Questa è un'altra delle storie tristi che caratterizzano la periferia romana. Sono in atto almeno dodici procedimenti, tutti assegnati a uno stesso sostituto, il dottor Dall'Olio, perché la tematica è sempre la stessa. La tematica attiene al fatto, come certamente la Commissione sa, che vengono costruiti degli immobili con un contributo pubblico. Nel momento in cui questi immobili vengono dapprima affittati e poi posti in vendita si dovrebbe scalare dal prezzo l'importo equivalente del contributo pubblico. Questo non è avvenuto, ragion per cui queste persone sono state indotte (o costrette, secondo le varie prospettazioni) a pagare somme non dovute. Alla fine, dopo tanti anni, protestano dicendo che hanno pagato cifre enormi e continuano a non avere la casa. Su questo punto, dicevo, abbiamo dodici procedimenti. Di dieci su dodici le indagini sono concluse. Per tre sono già in corso di notifica gli avvisi di conclusione indagine contro le persone che hanno gestito queste operazioni. Per gli altri sette siamo nella fase proprio esecutiva degli adempimenti finali. I reati contestati sono di truffa aggravata e omissione di atti d'ufficio, perché è sempre ravvisata l'inerzia da parte di pubblici funzionari. In alcune denunzie erano state prospettate anche le possibili responsabilità dei notai che hanno rogato gli atti, ma all'esito delle indagini non è stato ritenuto di ravvisare una responsabilità penale: è estremamente complesso distinguere la leggerezza, la malafede, l'errore. Peraltro, molti di questi fatti hanno avuto inizio molti anni fa e sono anche coperti da prescrizione. Se la Commissione è interessata, lascerei l'appunto del mio collega, che indica i numeri che ho citato, più il fatto che siano stati richiesti al GIP 4 sequestri preventivi, che non sono dell'intero complesso di fabbricati, di cui 3 concessi dal GIP. Lascerei la copia di questi avvisi di conclusione di indagine preliminare, che servono per avere un'idea dell'orientamento in termini giuridico-formali. Non credo che possa interessare la Commissione, altrimenti lo posso trasmettere un secondo momento, l'elenco di tutti i procedimenti e delle cooperative o delle zone interessate. Questo è un altro argomento che la Commissione aveva richiesto.
  Sulla violazione normativa urbanistica e i vincoli paesaggistici ho portato un appunto, che posso lasciare alla Commissione, con una serie di dati. Negli anni precedenti c'è stata una diminuzione di denunce per abusivismo edilizio; nel 2016 si è constatato un aumento. I numeri però non sono altissimi: 1.323 procedimenti contro indagati noti, 305 contro ignoti e 338 modelli 45, cioè bisognosi di approfondimenti. Occorre rilevare che di recente, più che a veri e propri interventi di nuova costruzione, si assiste anche a interventi di ristrutturazione o di cambio d'uso. Non ci sono fatti di particolare gravità di massima, poi ognuno di questi 1.700 fascicoli ha la sua storia. Sono presenti inoltre costruzioni su aree sottoposte a vincolo paesaggistico dove sono stati realizzati aumenti di volumetrie oppure danni alle piantagioni. Un problema particolare è quello del litorale di Ostia, ma su questo rimando a quello che dirà il dottor Prestipino. È frequente la creazione di piccole strutture su balconi (terrazze, tettoie, verande): fatti di lieve entità. Sono in aumento anche interventi eseguiti in difformità dal cosiddetto Piano Casa, in merito alle strutture precarie. Ci sono meno problematiche rispetto al passato, mi segnala il collega che segue questa materia da molti anni, per quanto riguarda i beni sottoposti a vincoli da parte della Sovrintendenza. Questo è l'appunto, per quello che può interessare.
  Naturalmente, come per tutti i problemi in materia di urbanistica, il primo problema nella realtà molto «accidentata» degli uffici giudiziari romani, è la prescrizione Pag. 23 che incombe: il tribunale di Roma ha una situazione estremamente pesante, soprattutto per quanto riguarda i procedimenti davanti al giudice monocratico, fra cui ricadono questi dell'urbanistica. Poi ci sono le difficoltà di organico e di lavoro della polizia giudiziaria, che, in questo caso, è normalmente la municipale. Il terzo e fondamentale problema è che la pubblica amministrazione non esegue demolizioni né acquisizioni molto spesso quando c'è una confisca definitiva. Stiamo tentando su quest'ultimo punto da un anno circa, d'intesa con la procura generale, che si è fatta promotrice di un protocollo fra tutte le procure del distretto e le varie pubbliche amministrazioni, di fare qualcosa di più in sede di esecuzione penale, ma è come sempre una supplenza a un'attività amministrativa che manca. C'è stata una serie di fatti positivi durante l'amministrazione curata dal prefetto Tronca. Dopodiché c'è stato un rallentamento, come su tante altre questioni: aspettiamo l'assestamento della nuova amministrazione. Questo, per quanto riguarda l'urbanistica, è lo stato dell'arte.
  È stata fatta una richiesta di uno specifico procedimento che riguarda il centro sociale Astra. A seguito di denunce di singoli privati si procede per i reati di cui agli articoli 659 e 674: sono delle contravvenzioni. Allo stato, sono in corso indagini delegate e la polizia giudiziaria non ha ancora riferito. Ci sono state sollecitazioni da parte dei legali, ma – ripeto – questo è lo stato dell'arte. Non so se dobbiamo approfondire.
  C'era poi nella scaletta una domanda a cui è impossibile rispondere nella sua assolutezza. Su incidenza e tipologia dei reati commessi nelle aree periferiche di Roma non mi sento di rispondere. Peraltro, come sicuramente la Commissione sa, se si vogliono avere statistiche relative ai singoli pezzi di territorio, gli uffici che possono meglio fornirle sono Polizia e Carabinieri. A noi non arrivano, perché nei nostri sistemi informatici non c'è questa suddivisione geografica all'interno della città.
  Ho preparato alcuni dati che potrebbero interessare la Commissione sul tema dello spaccio di stupefacenti, che ovviamente è il reato principe, non soltanto nelle periferie. Al di là dei grandi fenomeni criminali, uno dei temi principali della attività criminale a Roma è certamente una presenza estremamente significativa di violazioni della norma sugli stupefacenti. In merito devo dire che, a seguito delle modifiche normative degli ultimi due o tre anni, fra interventi della Corte costituzionale, modifiche normative e lettura che la Cassazione ne ha dato, l'intervento da parte delle forze dell'ordine non si traduce normalmente in misure cautelari. Anche quando gli arresti in flagranza, normalmente per piccole quantità – ovviamente, di questo parliamo – sono convalidati, solo in circa un terzo dei casi sboccano in adozione di misure cautelari, che possono essere la detenzione in carcere o gli arresti domiciliari. Per gli stranieri c'è una percentuale abbastanza significativa, di un 20 per cento circa. Sono statistiche molto approssimative, perché abbiamo preso in esame il mese di novembre 2015 e 2016. Per gli stranieri viene spesso dato dal giudice l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, che però normalmente sfocia in ulteriori violazioni, perché si tratta di stranieri senza fissa dimora o senza alcuna voglia di presentarsi alla polizia giudiziaria. Quindi, è come pestare l'acqua nel mortaio. In più della metà dei casi, all'esito della procedura di convalida dell'arresto, direttissima e patteggiamento in sede direttissima, non viene adottata dal giudice alcuna misura, perché – ripeto – questo è il frutto combinato delle modifiche legislative che hanno abbassato i tetti di pena e della nuova disciplina sulla misura cautelare, che presenta requisiti estremamente stringenti. Questo, naturalmente, riguarda il piccolo spaccio. Poi ci sono indagini che la procura di Roma fa, con le difficoltà conseguenti, ma anche con un discreto risultato, sulle associazioni, alcune anche addirittura di tipo mafioso, dedite al traffico di stupefacenti. Di alcune parlerà il dottor Prestipino. Ho un dato che può essere interessante, prendendolo sempre con le pinze, perché è basato su un'analisi che la mia collega, procuratore aggiunto Lotti, ha fatto, su mia richiesta, in previsione proprio di quest'audizione Pag. 24 odierna sulla base degli arresti in flagranza. Con riferimento a questo piccolo spaccio c'è una situazione abbastanza netta. A me è sembrata curiosa, invece pare che sia storicamente così. Mentre nelle periferie nelle zone intermedie le persone arrestate in flagranza sono in larghissima maggioranza di nazionalità italiana, nella zona centrale della città si inverte la proporzione, e gli italiani sono due quinti e gli stranieri tre quinti. Mi dice la collega, che ha lavorato a lungo a Roma, che, più o meno, a sua memoria, c'è sempre stata questa caratteristica. Probabilmente fuori dal centro c'è ancora un radicamento di famiglie non mafiose, ovviamente, ma che riescono a controllare meglio la zona e certamente nel centro c'è una tale massa di domanda che anche l'offerta è variegata e non necessariamente canalizzata e sotto controllo.
  Aggiungo un'ultima cosa, su cui non so se poi il dottor Prestipino si soffermerà. Io sono qui da cinque anni e il dottor Prestipino da quattro, ma ovviamente il tema è oggetto di confronto con Polizia, Carabinieri e gli altri colleghi: sostanzialmente, c'è «pacifica convivenza» fra tutte queste organizzazioni criminali che agiscono sul territorio romano. Tutto sommato, a Roma ci sono tra i venti e i trenta omicidi l'anno. Per una città di tre milioni di abitanti siamo vicini allo zero statistico. Di questi venti, diciotto sono normalmente in ambito familiare o del tutto occasionali. Siamo lontanissimi dalla realtà non dico di Napoli, ma anche di altre città, dove il contrasto di interessi nelle attività illecite sfocia in atti di violenza significativi. Tutto sommato, evidentemente c'è guadagno per tutti e c'è una convinzione, diffusa o imposta dalle organizzazioni più potenti, che convenga evitare manifestazioni di violenza e di allarme, che provocano immediatamente una reazione e un'attenzione dei media e un intervento della politica, peggiorando le cose per tutti.
  Credo di aver esaurito la parte di scaletta che mi ero riservato. Lascerei, se il presidente è d'accordo, la parola al dottor Prestipino.

  MICHELE PRESTIPINO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Roma. Riprenderei le fila del nostro intervento dal fenomeno delle occupazioni abusive di immobili, per dire poi due cose, in estrema sintesi, sul territorio di Ostia e sugli stupefacenti.
  Come diceva il procuratore, è difficile in un territorio come quello di Roma trattare attraverso categorie generali tutto il fenomeno delle occupazioni abusive, perché si tratta di un fenomeno che non presenta caratteristiche di omogeneità all'interno. Di conseguenza, non consente un'analisi con parametri predefiniti e, a loro volta, omogenei sul fenomeno.
  Intanto ci sono le occupazioni di cui già il procuratore ha parlato, che hanno una gestione di tipo organizzato, ma più strettamente politico. Sono tutti i movimenti per la casa, associazioni in cui c'è un tasso forte di connotazione politica del fenomeno. Poi c'è una serie di occupazioni frutto di una gestione illegale più di tipo amministrativo-politico, ma non nel senso della politica organizzata, ossia di movimenti di lotta per la casa. Sono legate alla mala gestione della proprietà immobiliare di tipo pubblico, in particolare ATAC, comune, eccetera. Ci sono assegnatari che, a loro volta, diventano soggetti protagonisti di un traffico di immobili, nel senso che, a loro volta, vendono o anche soltanto cedono l'uso dell'immobile dietro il corrispettivo di una somma di denaro. Si crea quindi una situazione di illegalità dovuta a questo tipo di fenomeno. C'è poi una terza categoria di gestione di immobili, soprattutto di proprietà pubblica che registriamo in particolare sul territorio lidense, ossia a Ostia. Si tratta di una connotazione di intervento e di interferenza da parte di vere e proprie organizzazioni criminali, di criminalità organizzata, nella gestione delle occupazioni e di tutto ciò che ne consegue: questo tipo di fenomeno però certamente non è maggioritario rispetto al grande numero. Per farvi capire come si traduce il dato di cui ci occupiamo noi, e che possiamo fornirvi per quanto di utilità, si tratta del dato del numero dei procedimenti e delle forme e dei moduli del nostro intervento, Pag. 25 con una premessa, ovviamente: non c'è sempre una rilevanza penale dietro a tutti i fenomeni di occupazione abusiva, perché il nostro codice penale punisce non l'occupazione abusiva in quanto tale, cioè l'occupazione, per capirci, sine titulo, ma l'arbitraria invasione dell'immobile. Possiamo quindi intervenire quando c'è la prova evidente di un'invasione arbitraria dell'immobile, cioè di chi materialmente rompe degli ostacoli, occupa l'immobile e ne fruisce. L'Ater, per esempio, ci segnala – è un fenomeno abbastanza massivo – il subentro di un inquilino rispetto al legittimo assegnatario. Questo non ha una rilevanza penale, ma amministrativa. L'Ater ha i poteri di autotutela, ma, se arriva sul tavolo della procura della Repubblica, per noi questo non è reato. Parlo di quello per la parte privata, non per la parte pubblica. Ovviamente, l'Ater ci segnala questo tipo di fenomeni, anche quello del subentro. Noi però ci atteniamo agli orientamenti consolidati in giurisprudenza anche della Cassazione, che non sono orientamenti della procura di Roma evidentemente, i quali ci impediscono di esercitare utilmente l'azione penale e quindi di pensare a una forma di intervento su questo tipo di fenomeni. Questo per dirvi che tutto ciò che mettiamo dentro al fenomeno occupazioni abusive non si traduce automaticamente in un procedimento penale, con esercizio dell'azione penale e possibilità di intervento da parte dell'autorità giudiziaria, cioè del penale.
  Fatta questa premessa, per darvi un minimo di dimensioni del fenomeno, nel corso del 2016 sono pervenute presso il nostro ufficio, in totale, 1.013 denunce di occupazione abusiva in generale. In queste 1.013 però c'è di tutto. C'è tutto quello che vi ho detto e c'è anche il fenomeno dei subentri. Abbiamo un sistema di trattazione differenziata di questi procedimenti. Molte di queste segnalazioni non richiedono particolari indagini e attività investigative per l'accertamento degli elementi costitutivi del reato e delle relative responsabilità, sicché, per accelerare la definizione del procedimento, abbiamo un sistema di trattazione centralizzata e semplificata di tutto ciò che può essere definito senza attività di indagine, tra cui anche questi procedimenti. Pertanto, oltre la metà di questi procedimenti sono stati trattati nel nostro ufficio con questa procedura semplificata.
  Complessivamente su questi procedimenti nel corso del 2013 abbiamo chiesto 100 provvedimenti di sequestro. Grossomodo li abbiamo ottenuti quasi tutti, eseguendoli. Anche qui, con riguardo all'esecuzione di questi provvedimenti di sequestro, non si tratta di provvedimenti particolarmente semplici da eseguire, perché presuppongono che materialmente si provveda allo sgombero dell'abitazione o del locale occupato. Quando il locale è occupato da famiglie con minori o persone anziane, si frappongono delle difficoltà. Questo comporta anche che nella gestione delle misure cautelari reali, cioè dei provvedimenti di sequestro poi finalizzati a consentire lo sgombero, si tenga conto di tutta una serie di caratteristiche e di particolarità dell'immobile che deve essere prima sequestrato, per essere poi sgomberato. Abbiamo chiesto e ottenuto le misure cautelari reali, cioè provvedimenti di sequestro, in tutti i casi particolarmente gravi, innanzitutto in tutti quei casi in cui sia visibile e riconoscibile una interferenza da parte di organizzazioni criminali, anche se si tratta di fenomeni, almeno per quello che sappiamo, non dico marginali, ma certamente di numero inferiore a quelli che rappresentano la normalità.
  Quest'ultimo aspetto ci introduce sul territorio di Ostia, che richiede un discorso a parte e una trattazione particolare. Intanto è un territorio che si trova – sì – alle porte di Roma, ma che ha una sua autonomia. Ha un proprio municipio, un'autonomia amministrativa, caratteristiche che rendono questo territorio diverso da quello romano e anche da un punto di vista criminale e delle dinamiche criminali che in questi anni si sono realizzate proprio su questo territorio, dove sono residenti 200.000 abitanti. Se consideriamo una fascia oltre Ostia, più prossima al comprensorio di Ostia, questo numero di abitanti arriva a 300.000, il che rende Ostia più grande di Pag. 26molte città italiane, addirittura anche di capoluoghi di regione. Lo dico perché dobbiamo fare riferimento a questa dimensione territoriale e di numero di abitanti per capire come mai sul comprensorio di Ostia insistano e siano radicate più organizzazioni criminali di tipo complesso, alcune delle quali hanno le caratteristiche di vere e proprie organizzazioni di tipo mafioso. Si sono verificate alcune successioni criminali segnate anche da fatti di sangue, cioè da omicidi. Queste successioni si sono realizzate attraverso un sistema di scomposizione e ricomposizione di alleanze tra diversi gruppi. Rispetto a quello che si vede nella città, Ostia ha una caratteristica che la rende abbastanza particolare e soprattutto che rende tale realtà raffrontabile a quella di molte nostre realtà meridionali in cui c'è un radicamento di organizzazioni criminali di tipo mafioso. A Ostia si verifica quello che si verifica a Palermo, a Reggio Calabria, a Napoli e nel casertano coi Casalesi, ossia il rapporto tra organizzazione criminale operante sul territorio e territorio medesimo. Si verifica, cioè, quello che chiamiamo il controllo del territorio. Con un controllo del territorio si ha un vero e proprio controllo sociale.
  All'interno di questo controllo sociale i vari gruppi che esercitano questo potere su alcune porzioni del territorio di Ostia lo fanno anche con riferimento alla gestione degli immobili di quelle che una volta si chiamavano le case popolari, per capirci. Come esercitano la gestione? La esercitano trafficando gli immobili, ossia vendendo gli immobili a «nuovi inquilini» ed estromettendo, anche con la violenza, i legittimi assegnatari o precedenti occupanti dall'immobile. Molti di questi immobili sono stati sottratti, «espropriati», al legittimo detentore o al detentore precedente, a volte anche non legittimo, semplicemente per soddisfare esigenze logistiche del gruppo criminale. Per esempio, abbiamo un procedimento penale avviato, già con esecuzione di misure e provvedimenti restrittivi, nel quale tra le fonti di prova abbiamo utilizzato le dichiarazioni di una giovane coppia, che ha dei trascorsi e dei pregressi criminali, oggetto di comportamenti dapprima vessatori e poi sempre più intimidatori e, alla fine, estremamente violenti da parte di uno di questi gruppi criminali, quello degli Spada. Gli Spada le hanno estromesse dalle abitazioni che queste persone occupavano. Anche questo è abbastanza particolare e interessante: quegli appartamenti servivano perché erano in una posizione strategica rispetto alla piazza che gli Spada utilizzano come luogo di spaccio. Pertanto, un appartamento serviva al gruppo per osservare la piazza e gestirla dal punto di vista della sicurezza del gruppo. Potevano osservare la piazza indisturbati e controllare l'accesso o l'avvicinamento delle forze di polizia, in modo da avvisare i vari soggetti che spacciavano nella piazza affinché si potessero allontanare. In questo contesto abbiamo fatto un tipo di intervento, con accertamento di reati: in particolare, abbiamo contestato le estorsioni a diversi componenti del gruppo della famiglia Spada. Sono stati tratti in arresto con provvedimento restrittivo della libertà personale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia. Il nostro è un intervento anche di coordinamento delle attività che svolgono le forze di polizia su quel territorio. Questa porzione del territorio di Ostia è quella, per capirci, prossima al cuore criminale di questo gruppo, che si chiama piazza Gasparri. Intorno a questa piazza ci sono una serie di vie in cui si trovano anche questi immobili cui facevo cenno. Abbiamo coordinato e dato impulso anche a una serie di attività più proprie delle forze di polizia, sia Carabinieri, sia Polizia di Stato, per contrastare il controllo del territorio criminale con il controllo del territorio da parte dello Stato. Si tratta di contrastarlo proprio sul piano anche fisico, con una serie di interventi di perquisizione soprattutto in locali non controllati e non detenuti da legittimi titolari. C'è una situazione, per esempio, di garage e rimesse in cui abbiamo fatto perquisizioni, rinvenendo un notevole quantitativo, complessivamente nei vari posti, sia di sostanza stupefacente, sia di armi.
  Questo non è un territorio facile da indagare: le similitudini con i territori che ho citato prima (Palermo, Reggio Calabria e Napoli) non finiscono dal punto di vista Pag. 27del controllo criminale sul territorio. Abbiamo avuto una serie di difficoltà di cui, purtroppo, dobbiamo dare atto, altrimenti non si comprendono alcune cose. Non vorrei usare la parola «ritardi», ma penso a vere e proprie difficoltà a intervenire anche da parte delle forze di polizia. Abbiamo avuto fenomeni che vanno al di là dell'anomalia. Sono vere e proprie patologie con rilevanza penale anche localmente all'interno delle forze dell'ordine. Parlo da un lato, della compagnia dei Carabinieri e, dall'altro, del commissariato. Queste patologie sono sfociate anche in provvedimenti, di cui alcuni eclatanti, tra cui, sul finire del 2016, l'arresto, con provvedimento restrittivo del GIP, dell'ex dirigente del Commissariato di pubblica sicurezza di Ostia per un gravissimo fatto di corruzione. Si tratta di un fatto grave in sé e per sé, ma anche di un fatto altamente dimostrativo del livello di compromissione di quel tessuto istituzionale, perché si trattava di un episodio di corruzione commesso all'interno di un rapporto di ausilio-dipendenza con il gruppo criminale degli Spada. La stessa cosa è successa anche sull'altro versante delle forze dell'ordine, cioè quello della compagnia dei Carabinieri, con una serie di comportamenti molto più che anomali – vorrei dire patologici – tuttora in corso di accertamento in una materia di estrema delicatezza, ossia l'intervento sul fronte del traffico degli stupefacenti.
  Le attività di questi gruppi criminali hanno come obiettivo primario non quello della gestione degli immobili della proprietà pubblica, ma l'acquisizione – avvenuta, a volte, anche con forme violente, di vera e propria intimidazione, attività precedute, per esempio, da tutta una serie di incendi e di danneggiamenti commessi sul litorale – di tutte le attività economiche principali che caratterizzano il litorale, in particolare la gestione delle attività balneari e quindi tutto il fronte degli stabilimenti balneari. In quell'ambito abbiamo effettuato una serie di interventi multipli con provvedimenti sia di natura personale, sia di natura reale, con sequestri. In quest'occasione abbiamo constatato tutta una serie di fenomeni di abusivismo anche dal punto di vista edilizio, con la realizzazione di manufatti stabili asserviti agli stabilimenti, di strutture in cemento e di altre cose che riguardano tutto il litorale. Si tratta di fenomeni che hanno un forte elemento di connessione, un cemento evidente e riconoscibile, nel fatto soggettivo della gestione di tutte queste attività criminali da parte di questi gruppi, i quali sono fortemente territorializzati e organizzati con strutture complesse, che hanno proprio le caratteristiche delle associazioni di tipo mafioso ai sensi del codice penale, articolo 416-bis.
  Il discorso sugli stupefacenti mi consente di dire anche due parole, semplicemente come testimonianza di alcuni fatti, non come valutazioni, che non pertengono alla magistratura e per le quali non abbiamo alcuna competenza – mi asterrò quindi dal farle – sullo stato delle periferie. Il fenomeno degli stupefacenti su una piazza come quella di Roma, che ha notoriamente un livello della domanda estremamente elevato – sulla domanda estremamente elevata si tara anche l'offerta, che è estremamente elevata – in tutto il comprensorio capitolino e nelle immediate periferie, ha una struttura anche in questo caso non omogenea. Si tratta di una struttura complessa, che io definisco multilivello, nel senso che Roma, per una serie di motivi che sarebbe qui troppo lungo indicare, è il centro, lo snodo attraverso cui passa tutta una serie di grandi importazioni a livello internazionale. A Roma abbiamo la presenza di soggetti della ’ndrangheta fissa, che hanno come unico scopo quello di gestire il grande traffico degli stupefacenti a livello internazionale. Di molte importazioni di cocaina dai Paesi produttori, i cui carichi arrivano o possono arrivare al porto di Napoli, al porto di Gioia Tauro, in vari porti italiani, o possono passare addirittura dalla Spagna, oppure, come ultimamente è avvenuto in una nostra indagine, dal porto di Rotterdam in Olanda, tutte le fasi preparatorie molto spesso si consumano a Roma, luogo di incontro dove operano stabilmente soggetti importanti della ’ndrangheta che sono al centro di queste attività. Questi soggetti si incontrano con gli emissari dei Paesi produttori e dei cartelli che Pag. 28producono la cocaina. A Roma hanno stabilmente sede anche alcuni di questi broker, che, da un lato, sono legati ai Paesi e ai cartelli produttori e, dall'altro, hanno rapporti con chi organizza l'importazione dal punto di vista del finanziamento e delle attività materiali. Si tratta di un fenomeno particolarmente complicato e complesso da aggredire, perché richiede coordinamento a livello internazionale tra le varie Direzioni distrettuali antimafia. Su questo noi facciamo già molto.
  A Roma opera un livello intermedio, una serie di figure importanti, che sono attestate più sulla periferia, sui quartieri periferici. Sono quelle che trattano grosse partite di sostanza stupefacente destinate al consumo nella piazza di Roma. Sono quelle partite attraverso le quali vengono periodicamente e costantemente rifornite quelle che noi chiamiamo in gergo – scusate la volgarizzazione – le piazze di spaccio, ossia quei luoghi, anche fisici, in cui lavorano gruppi fortemente strutturati e fortemente organizzati che controllano una porzione di un territorio e la adibiscono a luoghi per quest'attività criminale, che è un'attività estremamente redditizia. Penso a una serie di indagini che abbiamo fatto. Parliamo anche di piccoli gruppi. Non dovete immaginarvi cose grosse. Per esempio, ho visto che nella vostra indicazione c'erano le notizie sul VI Municipio. Nel VI Municipio ricade il quartiere di Tor Bella Monaca, che è una porzione piccola del VI Municipio, ma a Tor Bella Monaca, un comprensorio costituito da alcuni complessi immobiliari ognuno autonomo dall'altro e da alcune strade, operano alcuni gruppi criminali diversi tra di loro. Sono tanti e ognuno ha la gestione di un pezzo di quel territorio.
  Si tratta di una gestione con una divisione rigida: questa piazza e questa strada a un gruppo, questa strada e questa piazza a un altro. Le violazioni della ripartizione del territorio per competenza tra i vari gruppi generano anche conflitti estremamente violenti. A Tor Bella Monaca abbiamo avuto negli ultimi tre anni decine tra omicidi, tentati omicidi, lesioni e aggressioni. Tutto questo è avvenuto negli ultimi tre anni.
  Nelle periferie ci sono soggetti che hanno uno spessore criminale elevato e che trattano grosse partite di sostanza stupefacente, spesso in contatto con calabresi e napoletani, cioè, per capirci, con ’ndranghetisti e camorristi, che, a loro volta, riforniscono le diverse piazze di spaccio. Se prendiamo come situazione dimostrativa il quartiere di Tor Bella Monaca, perché anche su questo – ripeto – avevate chiesto indicazioni, notiamo che abbiamo uno spaccato di questo fenomeno che vi ho descritto chiarissimo. Abbiamo soprattutto soggetti che appartengono o hanno contatti con i gruppi di ’ndrangheta e con i gruppi di casalesi, i quali trattano partite di sostanza stupefacente e approvvigionano questi gruppi che gestiscono le diverse piazze di spaccio che caratterizzano questo quartiere.
  Pensate che ogni gruppo è autonomo dall'altro, gestisce due vie, una piazza, un incrocio, e ha introiti estremamente elevati. Su questo territorio l'attività – se mi passate il termine – è impressionante. Intanto è un'attività h24: nell'ultimo intervento che abbiamo operato abbiamo trovato la documentazione, un vero e proprio libro giornale, con la programmazione delle presenze dei pusher e con i vari turni, ossia con turni di 8 ore ciascuno h24. C'erano tre turni quotidiani con la divisione (un turno Tizio eccetera), come se si trattasse del turno del nostro ufficio, per capirci. Questo proprio messo per iscritto. Abbiamo calcolato che uno di questi gruppi – sul quale abbiamo svolto un intervento maggiore – mediamente guadagnava sui 150.000 euro a settimana dalla gestione e dalla vendita h24 al dettaglio, al consumo.
  Vi ho detto prima che a Ostia c'è il controllo del territorio, i gruppi hanno determinate caratteristiche e hanno anche rapporti con la pubblica amministrazione. Abbiamo preso provvedimenti – ci sono state già alcune sentenze importanti – nei confronti di imprenditori ed ex dirigenti amministrativi. A Ostia c'è stato lo scioglimento del municipio proprio per infiltrazione mafiosa. Alcune di queste caratteristiche, che per quei gruppi criminali che Pag. 29operano sul territorio di Ostia sembrerebbero connesse a una matrice e a una qualificazione in termini di mafiosità, le ritroviamo anche in questi quartieri, in queste zone periferiche, dove sono accentrate le attività dei gruppi che gestiscono il traffico di sostanze stupefacenti. Per esempio, in più di un'indagine – parlo di Tor Bella Monaca, San Basilio e Primavalle – abbiamo accertato legami con gli apparati istituzionali, in particolare con le forze di polizia. Che significa legami? Significa passaggi di notizie soprattutto sulle indagini in corso, che in una logica di sistema è poca cosa. Uno dice di fare attenzione perché il gruppo è oggetto di attività, ma questo che cosa paralizza? Questo garantisce la sopravvivenza del gruppo criminale, rafforza il suo potere e lo fa diventare anche più forte nelle logiche e nelle dinamiche criminali complessive. Avere nel proprio libro paga – una volta si diceva così, il senso è questo – un personaggio che appartiene alle istituzioni è una prova di forza di quel gruppo criminale.
  Perché dicevo che bisogna fare attenzione a questi gruppi? Perché uno potrebbe pensare che questi spaccino sostanze stupefacenti e si tratti una partita che si gioca tra forze di polizia, gruppo che organizza il traffico e chi consuma, ma non è esattamente così, perché questi gruppi criminali molto organizzati, molto strutturati, che hanno radici sul territorio e durano nel tempo, non sono agglomerati provvisori dal punto di vista criminale, ma hanno una loro radice anche nel vincolo familiare, nel vincolo di consanguineità tra i componenti, sono attenti e creano anche effetti sul tessuto sociale del territorio. Abbiamo osservato una serie di circostanze che vorrei segnalarvi, che a mio giudizio personale sono sintomatiche di un salto di qualità dal punto di vista criminale. A cosa faccio riferimento? Siamo nel territorio di Tor Bella Monaca: uno di questi personaggi di cui vi ho parlato e che ha uno spessore criminale, con un suo uomo di fiducia parla di un altro soggetto che gestisce una piazza di spaccio, e nel corso della conversazione il soggetto più importante commenta le caratteristiche della presenza criminale del soggetto che gestisce la piazza di spaccio e gli dice (leggo testualmente perché non sarei capace di rendervelo in modo così efficace): «Bruno ora è diventato intelligente, lo sai che fa sotto i portoni, dove vende? Chiama quelli per pulire, gli fa pulire tutti i prati, sta rifacendo i prati, i prati sotto la casa della gente. Lui dice: “qua io ho le piazze, la gente mi deve volere bene a me, altrimenti qua mi fanno bere”. Devi vedere: ha chiamato anche quelli che puliscono, che rastrellano, ha comprato i fiori, la gente è contenta, ha ripulito sotto dove c'era una cosa, gli ha fatto fare il tetto, gli ha fatto fare le cose. Non solo, ma dà soldi a tutti quanti, fa la spesa alla gente in difficoltà, io lo vedo ogni tanto con 2-3 buste, una busta a quello, una busta a quell'altro. No, va beh, ma la gente ti deve volere bene dove hai la piazza, perché così scappi dalle guardie, ti nascondi a casa di qualche vecchia, poi lascia perdere che c'è sempre l'infame che chiama le guardie...».
  Ecco, questa è una cosa che quando la polizia ci ha portato questa intercettazione e l'abbiamo letta per la prima volta mi ha richiamato drammaticamente alla mente (insieme al procuratore Pignatone abbiamo lavorato a Palermo) la famosissima intercettazione in cui uno dei capi di Cosa Nostra di Palermo esprimeva non lo stesso concetto, ma esprimeva lo stesso concetto quasi con le stesse identiche parole, perché a un altro diceva: «quello si comporta male perché fa il prepotente, mentre invece tu devi stare attento (questo era Nino Rotolo) perché la gentuccia del quartiere ti deve volere bene, perché il rispetto è una cosa, la paura è un'altra; se c'è il rispetto, nessuno ti pianta un coltello nella schiena, con la paura invece no». Questa conversazione fatta da un trafficante di sostanze stupefacenti, romano, che non è mafioso di suo, che non è collocato in quel contesto criminale, ma che ha assorbito evidentemente la «lezione» del metodo mafioso a me pare estremamente preoccupante.
  Queste parole (parliamo sempre di Tor Bella Monaca) hanno riscontro in un altro fenomeno che vi segnalo, perché di per sé non ha alcuna rilevanza penale e può apparire insignificante, ma invece è importante. Pag. 30 Recentemente abbiamo arrestato gli esponenti di uno dei gruppi che operano in quello che si chiama R9 (Tor Bella Monaca ha delle sigle e questo è il comprensorio dove questo gruppo è stato egemone fino a poco tempo fa), gli abbiamo sequestrato beni per alcuni milioni di euro, però parliamo di un «piccolo» gruppo criminale. Questo gruppo criminale si è contrapposto per la gestione della piazza di spaccio a un altro gruppo criminale e ci sono stati reciprocamente una serie di attentati, di omicidi e tentati omicidi, e uno dei soggetti di questo gruppo criminale è rimasto ucciso a seguito di un agguato il 30 marzo del 2013. Nelle palazzine occupate e abitate da questo gruppo, hanno collocato un murales con l'immagine della persona uccisa, i cui tratti vengono tatuati anche da alcuni dei componenti del gruppo. L'immagine è questa, è un murales che dal 2013 si trova lì e nessuno ha provveduto a rimuoverlo, a cancellarlo.

  ROBERTO MORASSUT. L'immobile è comunale?

  MICHELE PRESTIPINO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Roma. L'immobile è comunale. Sono cambiate tre amministrazioni, perché c'è stata un'amministrazione, poi il prefetto e poi la nuova amministrazione, è cambiato ovviamente il presidente del VI Municipio, però questo murales è ancora lì.
  Perché ci preoccupiamo tanto del murales? Il murales non mi preoccupa particolarmente in sé e per sé, ma mi preoccupa per quello che rappresenta, perché rappresenta anche qui una dimostrazione di quanto forte sia il profilo identitario di questo gruppo e ci sia qualcosa che non è soltanto l'apologia per quello che c'è scritto, perché ovviamente chi è rimasto ucciso era un pregiudicato, trafficante di sostanze stupefacenti, già condannato per traffico di stupefacenti, forse all'epoca leader di questo gruppo, ma il fatto che questo murales sia ancora lì – dentro la capitale d'Italia – e nessuno si sia sentito in dovere di rimuoverlo rappresenta per questo gruppo motivo di grandissimo prestigio criminale, che ovviamente si spende sul piano dei rapporti generali.
  Io mi fermerei qui.

  ROBERTO MORASSUT. Ringrazio il procuratore della Repubblica Pignatone e il procuratore aggiunto Prestipino per questa comunicazione ricca di elementi di riflessione, che avremo modo di approfondire nel successivo lavoro della Commissione.
  Solo tre questioni rapidamente, ma prima vorrei accertarmi, Presidente, che al procuratore sia stata trasmessa la segnalazione che ci è giunta proprio in merito al VI Municipio da un gruppo di cittadini dei Consorzi Colle Regina e Due Colli, in cui si chiedeva di mettere a conoscenza la Procura di questioni che riguardano problemi del recupero urbanistico di questi nuclei.
  Detto questo, sulle occupazioni, il giudice Prestipino perdonerà la domanda forse ingenua, ma fino a che punto è possibile distinguere nel fenomeno delle occupazioni l'elemento del bisogno, seppur organizzato in maniera illegale, da quello del dolo, cioè della catena criminale che presuppone attività illegali, e se è possibile ravvisare, da quanto ci è parso di capire in alcune uscite che la Commissione ha realizzato in particolare nel quartiere di San Basilio, una connessione tra occupazione di immobili e di case con attività di spaccio o altre attività illegali quali prostituzione, detenzione di armi e affini.
  La seconda questione riguarda i piani di zona, perché nelle audizioni che abbiamo avuto con alcune famiglie di comitati di quartiere che si sono costituiti sui problemi dei piani di zona ci è stato segnalato questo problema, che credo attenda da parte loro una risposta che non sappiamo dare: in presenza di procedimenti giudiziari e di cause civili collegate a queste vicende ci sono però in alcuni quartieri procedimenti di sgombero e di sfratto autorizzati dalle autorità giudiziarie o dalla Prefettura nei confronti di famiglie, le quali lamentano di subire lo sfratto anche se non sono conclusi i procedimenti giudiziari o le cause civili. Vorremmo capire quindi la connessione tra i due piani, se è possibile saperlo.
  L'ultima riflessione verte sulla comunicazione che ci ha fatto il giudice Prestipino. Pag. 31Ovviamente non so se vi sia una risposta possibile, ma sicuramente una riflessione si impone. Tra le varie situazioni sarebbe interessante capire, a proposito di famiglie e attività criminali, la vicenda Casamonica nella zona sud. Abbiamo molto parlato di VI Municipio e anche di Ostia, ma c'è anche un problema che rappresenta una ferita aperta per un'altra porzione del territorio di Roma, purtroppo balzata all'onore delle cronache lo scorso anno per la vicenda che ho detto. La riflessione che viene naturale è che la descrizione che ci è stata fatta è una descrizione di una diffusa e profonda penetrazione del fenomeno mafioso nella città, e tuttavia il recente racconto degli organi di stampa anche rispetto all'evoluzione delle inchieste tende ad edulcorare questo aspetto. Questo è un punto che rappresenta un elemento di riflessione, perché le cose raccontate e quanto è possibile leggere dagli atti naturalmente tendono ad avvalorare la lettura che la Procura ne ha dato. Non so se sia possibile una risposta su questo.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Per quanto riguarda gli sfratti, non so darle una risposta, cioè come sempre, quando una cosa si trascina per anni e coinvolge centinaia di persone, alla fine emerge questo tipo di contraddizioni. Io le posso parlare del versante penale. C'è un versante penale, un versante amministrativo e un versante civilistico. Sul versante penale, da un paio d'anni, da quando sono state fatte a onor del vero delle denunzie (sono nostri interlocutori uno o due avvocati che si muovono su un input sistematico) molto ben costruite, attente e precise, noi, con le innumerevoli difficoltà che rappresentano questi procedimenti che hanno pochi indagati ma moltissime parti offese e tonnellate di carte da esaminare, stiamo andando avanti. Infatti, su 12 procedimenti 10 sono praticamente finiti, ci sono stati vari provvedimenti di sequestro e dove c'è il sequestro la situazione quantomeno si blocca. Naturalmente siamo all'inizio, poi ci vorrà un rinvio a giudizio, una sentenza di primo grado, una sentenza di secondo grado, una Cassazione, sperando che non ci sia il rinvio, e la prescrizione cammina, tranne che per qualche reato che dovesse essere permanente, ma non credo che sia il nostro caso. Questa è la realistica rappresentazione del lato penale. Naturalmente finché non abbiamo la sentenza definitiva, il civile e l'amministrativo camminano per i fatti loro, con logiche su cui non le so rispondere.
  Il problema mafia. Quando siamo arrivati, io cinque anni fa e il dottor Prestipino quattro anni fa, la convinzione espressa nelle sedi ufficiali è che a Roma la mafia non c'era. Credo di poterlo dire perché è scritto nei documenti ufficiali, sia giudiziari sia amministrativi. Dopodiché io spesso vengo accusato che, essendo siciliano, ho voluto inventarmi la mafia a Roma. Al di là di queste polemiche di bassissimo profilo: subito dopo l'operazione che la stampa chiama «Mafia capitale», ma che noi abbiamo chiamato «Mondo di mezzo» e gli arresti, c'è stata una conferenza stampa, poi con il collega siamo stati auditi in Commissione parlamentare antimafia a dicembre 2014 e una seconda volta a giugno 2015, ma per libera scelta convinta, non abbiamo mai fatto dichiarazioni in sede stampa o convegni: aspettiamo la sentenza di primo grado, commenteremo la sentenza, non abbiamo risposto a numerose polemiche. Mi permetto solo di dire che le misure cautelari adottate nei confronti delle persone che sono tuttora in carcere o che non lo sono più, ma per cui c'è il processo in corso, sono state adottate dal giudice per le indagini preliminari, confermate da un tribunale del riesame e confermate dalla Cassazione. Almeno fino a questo punto visionari non siamo.
  Come in qualunque processo di grandi dimensioni vengono iscritte nel registro degli indagati moltissime persone, su cui si stanno svolgendo indagini. In questo caso particolare c'è una fetta numericamente significativa di persone che sono state accusate da uno degli imputati principali, notoriamente Buzzi, per cui bisognava fare le verifiche e i riscontri alle accuse, che secondo noi e ormai anche secondo il giudice si sono rivelate negative, cioè non sono state riscontrate le accuse. Era giusto archiviare Pag. 32 e abbiamo proceduto. Dopodiché, c'è il processo contro una cinquantina di persone, che si spera dovrebbe finire entro giugno, e vedremo cosa dirà su quella che però è un'associazione mafiosa molto particolare, che noi abbiamo detto dal primo minuto che non è mafia, camorra e ’ndrangheta, abbiamo detto sempre che ha caratteristiche particolari. Abbiamo detto sempre dal primo minuto che Roma non è Palermo, Napoli, Reggio Calabria, in cui c'è il controllo non totale – neanche lì – ma significativo da parte di una mega associazione mafiosa come può essere Cosa Nostra, la camorra e la ’ndrangheta. A Roma, secondo le risultanze delle indagini e secondo la nostra lettura (i processi sono in corso con esiti anche abbastanza tormentati) sono presenti varie organizzazioni, che non sono assolutamente la mega associazione Cosa Nostra, ma che secondo noi vanno inquadrate nel reato di cui all'articolo 416-bis del codice penale – per cui un'associazione di tipo mafioso può essere composta anche solo da tre persone – e hanno le caratteristiche tipiche di quel reato, che è particolarmente grave, che prevede pene elevate, che presuppone un trattamento penitenziario di particolare severità e presuppone anche l'adozione di misure patrimoniali, sequestri e confische, perché usano il metodo mafioso cui ha fatto riferimento poco fa il mio collega, cioè hanno una capacità di intimidazione tale da creare omertà e uno stato di soggezione in un certo ambiente, che può essere un quartiere ma anche un contesto sociale, come dice la Cassazione. Questo è il nostro quadro. Che ci sia una grandissima penetrazione a Roma non lo abbiamo mai detto. Ci sono a Roma alcune organizzazioni che hanno questa caratteristica, certamente la zona dove questo fenomeno è più evidente, secondo noi, e dove, come evidenziato dal collega, ha anche caratteristiche analoghe a quelle siciliane o calabresi o napoletane, è Ostia, ma non soltanto Ostia. «Mondo di mezzo» o «Mafia Capitale» è molto particolare, ripeto, aspettiamo la sentenza. Vi è poi (ma fuori dall'oggetto di questa Commissione) una serie notevolissima di investimenti e ricchezze che, sicuramente se accertati in via giudiziaria o probabilmente su un piano logico, hanno origini illecite, che a Roma hanno trovato sfogo e manifestazione. Anche su questo siamo stati molto attenti, perché da quando siamo arrivati il valore dei beni sequestrati in sede di misure di prevenzione si è stabilizzato a 1,5 miliardi di euro l'anno (non dico le cifre precedenti, ma le assicuro che erano molto minori di questa) perché c'era la convinzione diffusa che a Roma la mafia non fosse un problema. La nostra convinzione è molto più articolata, non siamo – ripeto – a Palermo per fortuna (ed è sotto gli occhi di tutti), non siamo a Reggio Calabria, non siamo a Napoli, però è bene fare le indagini, fare i processi dove ci sono gli elementi, sapere che, accanto a tanti altri problemi di Roma che sono anche più gravi, in primis la corruzione nel senso ampio della parola, c'è anche un problema di presenza di organizzazioni mafiose o di tipo mafioso, e di grossi investimenti mafiosi.

  MICHELE PRESTIPINO, procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale di Roma. Lei faceva riferimento a quello che era stato segnalato sul quartiere di San Basilio, l'utilizzazione di alcuni immobili da parte di un'organizzazione, sulla quale in San Basilio siamo intervenuti diverse volte per l'attività criminale, ma è quello che le ho detto che abbiamo verificato su Ostia, in cui un appartamento è stato «espropriato» perché affacciava sulla piazza e da quell'appartamento si poteva vigilare meglio la piazza dall'intervento delle forze di polizia. Questo sarà capitato anche a San Basilio. Questa però per fortuna non è la cifra né unitaria, né di maggioranza di questo tipo di fenomeno.
  Sui Casamonica: noi sulla zona di Roma sud stiamo effettuando un intervento estremamente massiccio e abbiamo un investimento investigativo molto serio, fatto di diverse iniziative che tra l'altro hanno portato all'arresto e adesso anche alla condanna in primo grado, con sentenza di pochissimo tempo fa del Tribunale di Roma, di tutto un gruppo criminale di stampo mafioso condannato per associazione di tipo mafioso commessa a Roma, in particolare Pag. 33 nella zona sud, che è il gruppo capeggiato da tale Domenico Pagnozzi, camorrista già condannato con origini beneventane, che opera da quindici anni nella zona di Roma, ha un suo gruppo su Roma sud, e che era uno degli uomini di Michele Senese, personaggio importante dal punto di vista criminale, di origini napoletane, ma trasferito da tantissimi anni a Roma e stabilizzato su Roma.
  Nella zona di Roma sud operano anche i Casamonica. Quando però parliamo dei Casamonica dobbiamo intenderci, perché dire Casamonica è come prendere insieme tutti quelli che per cognome fanno Rossi in una città come Roma, cioè i Casamonica sono un esercito e un cartello di famiglie a volte neanche tutte imparentate tra loro, non tutte operano nella zona di Tor Bella Monaca e Roma sud, e non tutte d'accordo tra loro. Quindi abbiamo una serie di attività che ovviamente prescindono da quello che è accaduto in occasione del famoso funerale. Per fare un'attività investigativa seria e tradurla in risultati ci vogliono tempo e risorse, e noi lo stiamo facendo.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. A conferma di quello che ha detto il dottor Prestipino, che dietro la sigla Casamonica ci sono tante realtà diverse e non tutte tali da costituire un'associazione per delinquere, tantomeno di stampo mafioso, ricordo che alla data del famoso funerale nell'agosto 2015 nei quattro anni precedenti erano state arrestate 130 persone per reati vari, soprattutto per stupefacenti, usura ed estorsione. Gli arresti di esponenti di tutte queste famiglie sono continuati, mentre da allora in poi si è concretizzata (i tempi della giustizia non sono mai flash) un'indagine di tipo patrimoniale che ha portato al sequestro/confisca di alcuni dei beni. Ribadisco che i Casamonica non sono un'associazione mafiosa tutti quanti insieme, non sono neanche un'unica associazione per delinquere, moltissimi sono stati arrestati, poi magari sono usciti e sono stati arrestati di nuovo per vari reati, principalmente per spaccio di stupefacenti, estorsione, usura e moltissime forme di violenza, aggressione e resistenze.

  VINCENZO PISO. Grazie per il tempo che ci state dedicando perché le spiegazioni che sono arrivate dal dottor Pignatone ci aiutano a meglio comprendere quello che è accaduto a Roma negli ultimi anni.
  Devo essere molto sincero, qualche perplessità sull'indagine «Mafia Capitale» l'ho sempre avuta, e devo dire che probabilmente queste mie perplessità, anche sulla base di quello che avete adesso affermato, erano molto legate anche al tipo di impatto massmediale che questa indagine ha avuto, su come è stata rappresentata e anche su questa benedetta denominazione Mafia Capitale, che faceva presupporre una sorta di cupola sulla città.
  Ho sempre creduto che in una grande città come Roma, dove c'è una serie di interessi economici molto forti, ci fossero infiltrazioni di carattere mafioso. Credo infatti che la mafia o comunque il contropotere criminale arrivi lì dove ci sono i soldi, è evidente, come peraltro quello che ci è stato rappresentato, il controllo del territorio, noi abbiamo avuto modo di verificarlo per esempio proprio a San Basilio, dove siamo arrivati come Commissione e c'era questo tipo di atteggiamento e di comportamento.
  Forse la non comprensione da parte nostra è che, non essendo operatori del settore, non abbiamo gli elementi per ben comprendere la differenza fra una semplice associazione a delinquere e un'associazione di stampo mafioso, però la vostra esposizione ha sicuramente acuito qualche preoccupazione, nel senso che mi sembra di capire che siamo di fronte a una situazione di penetrazione o di tentata penetrazione, che sta diventando esponenzialmente sempre più forte, e questo sinceramente non è rassicurante per quello che ci avete rappresentato, e va ben al di là di Ostia, di quel Municipio arrivato agli onori della cronaca in maniera molto dubbia.
  Questa vostra esposizione fornisce quindi qualche elemento di preoccupazione in più e precisa meglio quello che è stato il perimetro di un'azione operata in profondità.
  Detto questo, saltando invece all'altro tema, anche se non rientra nel canovaccio che vi è stato consegnato, quindi non so se Pag. 34in questa sede possiate rispondere, nel 2014, su stimolo della Commissione europea, la Prefettura di Roma svolse un'indagine in relazione ai roghi tossici in questa città, che sono effetto più che altro di un utilizzo dei rifiuti da parte specialmente delle comunità rom. La Commissione accertò che c'era una sorta di filiera parallela del riciclo dei rifiuti. Su questo problema comune e Ministero dell'interno si erano impegnati a svolgere indagini e a prendere provvedimenti, perché questo genera una serie di reati ambientali e lede la salubrità del territorio. Volevo sapere se su questo tema sia stato fatto qualcosa.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Noi abbiamo chiamato l'operazione «Mondo di mezzo», se lei ha la cortesia di prendere il verbale della Commissione antimafia dell'11 dicembre 2014, troverà le cose che ho detto, cioè ho detto esattamente quello che ho detto oggi, ho detto esattamente che a Roma non c'era una cappa, una cupola, ma i media vanno per i fatti loro, siamo stati fortunati o sfortunati secondo i punti di vista perché per l'intero mese di dicembre 2014, a differenza di quello che potrebbe essere oggi, non c'erano evidentemente notizie più interessanti che pubblicare le intercettazioni di «Mondo di mezzo», persino quelle che noi non avevamo depositato in alcuni casi. Chiusa la parentesi.
  Ovviamente se c'è un omicidio, il cadavere sta in mezzo alla strada, quindi si fa un'indagine, tutti lo vediamo e magari ci allarmiamo. La materia delle associazioni per delinquere in generale, tanto più se si tratti di stabilire se tecnicamente siano di tipo mafioso o no, non è sotto gli occhi di tutti, bisogna fare delle indagini, scoprire per esempio l'intercettazione che ha citato il mio collega o avere anche un'attenzione a cosa c'è dietro il murales che per tre anni e mezzo è là e nessuno lo tocca, bisogna avere la capacità tecnica da parte delle polizie e anche quel tanto di fortuna nel piazzare la microspia nel posto giusto, nel momento fortunato. Quindi, non è che la situazione sia peggiorata in questi cinque anni, ma è semplicemente possibile che indagini mirate anche ai fenomeni di associazione mafiosa e non soltanto ad altri fenomeni abbiano fatto emergere processualmente, quindi investigativamente, dunque anche sui mass media e all'attenzione delle Commissioni parlamentari, cosa fondamentale, fenomeni di tipo associativo e criminale (lasciamo perdere se mafiosi o no) che c'erano prima e che non avevano formato oggetto di attenzione perché forze di polizia e procura avevano focalizzato altre cose, e con questo spero di non dover tornare.
  Sul discorso dei roghi nei campi rom le posso dire che sul versante giudiziario non c'è stato un esito significativo, è un fenomeno di quelli tipici che è difficile acquisire, perché tu fermi il tizio con il camioncino, la moto Ape, il furgoncino in mezzo alla strada che va buttare le cose, ma non integra un reato, il furgone è talmente scassato che se lo sequestri lo Stato paga un sacco di soldi per la conservazione (ora infatti si prevede anche in Cassazione di distruggerlo immediatamente, ma per smaltirlo ci vogliono un sacco di soldi), non glielo puoi restituire perché quello si rimette in moto: qualunque cosa fai sbagli o perdi. I roghi sono sempre ignoti, perché, prima che la pattuglia della polizia municipale o della Forestale arrivi, chi l'ha acceso è scomparso, però questo appartiene a una sfera che non è della Procura della Repubblica, ma delle forze di polizia, ma, al di là di qualche caso singolo, esiti giudiziari non ce ne sono stati. In un caso specifico vicino all'aeroporto di Ciampino, particolarmente pericoloso perché i fumi addirittura mettevano a rischio la pista, sono state piazzate per un po’ di tempo delle telecamere delle quali abbiamo autorizzato l'uso, ma anche lì esiti giudiziariamente significativi non ce ne sono stati.

  CLAUDIA MANNINO. Grazie ai procuratori per le informazioni. Ho tre quesiti.
  Il primo ci è stato relazionato dal procuratore ed è stato citato anche dal collega Morassut relativamente alle dodici indagini in corso sui piani di zona. Sottolineo anch'io la criticità sollevata dagli abitanti di quegli immobili che, a differenza di un procedimento penale che ha tempi più lunghi e un rischio di prescrizione che si Pag. 35avvicina, abbiamo una realtà in cui chi ingenuamente o inconsapevolmente è coinvolto in questa situazione di illegalità subisce un procedimento civile o amministrativo che è molto più veloce. Vorrei chiedervi quindi di farci pervenire una proposta legislativa ad hoc su una situazione di questo genere, che può creare anche una cerniera di comunicazione tra questi tre livelli istituzionali, in particolare i procedimenti penali, civili e amministrativi in situazioni complicate e ramificate come in questo caso.
  La seconda questione che mi preoccupa non meno è quella che sottolineavate sulle infiltrazioni della malavita all'interno dei vostri organi sul territorio. Al di là dell'attesa riorganizzazione dell'amministrazione comunale, che mi risulta in particolare sul caso di Ostia abbia messo a disposizione due dirigenti e due ingegneri proprio per supportare l'attività di contrasto all'abusivismo edilizio, vorrei chiedervi se queste figure che l'amministrazione comunale ha dato sul territorio vi aiutino.
  Relativamente all'abusivismo edilizio so che la Regione Lazio ha sottoscritto un protocollo d'intesa con la procura, per mettere in atto un modus operandi e per procedere laddove vi siano ordinanze di demolizione. A questo aggiungo che con la prima legge di stabilità di questa legislatura è stato approvato un mio emendamento che pone sanzioni pecuniarie per i proprietari degli immobili che non provvedano alle demolizioni. Volevo chiedere se a voi risulti che questo emendamento venga applicato (lo chiederemo anche a Corte dei conti e amministrazione comunale), perché questo darebbe l'input economico per provvedere alle demolizioni, fermo restando che ci sono fondi in Cassa depositi e prestiti appositamente destinati e anche la regione Lazio con un apposito regolamento ha provveduto a finanziare un fondo di rotazione per effettuare la demolizione. Volevo capire se, al di là dell'amministrazione comunale che in questo momento risulta inadempiente da decenni, stiate portando avanti l’iter anche grazie alla regione.
  Pongo un'ultima domanda relativamente al lavoro della Commissione. Questa Commissione d'inchiesta ha in fase di programmazione un'ispezione sulle realtà di Reggio Calabria, Messina, Catania e Palermo, e anche alla luce della vostra esperienza e per quelli che sono i tre filoni principali di cui questa Commissione si occupa (credo che quello che vi riguardi di più sia quello dell'uso abusivo delle abitazioni) volevo chiedervi se possiate fornirci una relazione o comunque informazioni sulla situazione radicata in queste città fin quando eravate in quei territori, per meglio portare avanti il lavoro di questa Commissione, fermo restando che incontreremo i vostri successori.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Molto rapidamente, su quest'ultima cosa siamo lusingati dell'invito, ma, a parte che da Reggio Calabria siamo andati via da cinque anni e da Palermo da nove, quindi forniremmo notizie molto arretrate che non è detto siano tuttora valide, princìpi minimi di rispetto istituzionale ci costringono a lasciare spazio a chi c'è oggi e vede le cose come stanno oggi.
  Per lo stesso motivo non siamo tecnicamente in grado di suggerire una proposta di legge o comunque modifiche su questo problema penale, civile e amministrativo. Dove interveniamo con il penale almeno blocchiamo la situazione, sono tutti provvedimenti pubblici, cioè in tutti questi procedimenti di cui abbiamo parlato le parti interessate possono avere copia dei provvedimenti, non solo dei sequestri che sono stati eseguiti, ma anche della pendenza dei procedimenti e dello stato a cui sono arrivati. Quanto e come la pendenza di un procedimento penale possa essere valutata dal giudice civile o in sede amministrativa non lo so, ognuno ha le sue competenze e le sue responsabilità.
  Se il comune o l'autorità amministrativa applicano le sanzioni pecuniarie ovviamente non lo sappiamo. Per quanto riguarda le demolizioni, il Fondo di rotazione della legge di stabilità prevedeva dei mutui che il comune doveva accendere per fronteggiare le spese, per poi rivalersi eventualmente sul condannato. Questo era lo schema che avevamo seguito con un Protocollo Pag. 36 d'intesa firmato con il prefetto Tronca, che è rimasto pochi mesi. Il protocollo ha avuto un paio di applicazioni positive, nel senso di demolizioni eseguite, una coattivamente, una spontaneamente dall'interessato, e l'inizio di una quindicina di pratiche, nel senso che sono state fatte le consulenze, perché arrivare alla demolizione ha un iter estremamente laborioso. Come ho detto prima, tutto si è fermato nell'attesa che la nuova amministrazione riprenda, se lo ritiene, questo percorso.
  Quanto alla regione Lazio, è vero che ha messo a bilancio una cifra consistente per l'intera regione e la firma del protocollo presso la procura generale è recentissima, quindi stiamo ricominciando da capo chiedendo di attingere per le spese a questo fondo. È all'ordine del giorno delle cose da fare: purtroppo, se si deve Eseguire in maniera coattiva, è estremamente laborioso arrivarci ed estremamente dispendioso per lo Stato farlo. La complicazione è resa ancora maggiore dal fatto che il tipo di abusivismo non è ad esempio un magazzino tutto abusivo, per cui si prende la ruspa e si fa il piano di smaltimento dei rifiuti, ma molto spesso è la sopraelevazione abusiva di un magazzino che era in regola, una stanza in più in una palazzina, il che rende tutto estremamente complicato.

  FABIO RAMPELLI. Mi unisco ai ringraziamenti per il tempo che ci state dedicando e per le notizie importanti e il punto di vista della Procura che sta emergendo su diverse questioni, ed è un ringraziamento non formale perché a mio giudizio si capisce in maniera più chiara che in questa fase esiste un'autorità costituita che non è intenzionata a fare sconti, che è presente anche nel tessuto della città, che non è un fatto soltanto delle competenze, ma è anche un fatto culturale.
  Proprio perché questa è la sensazione, pur non essendo un fine giurista, per cui sicuramente compirò sovrapposizioni di materie e di competenze, ritengo indispensabile che il nostro contributo come parlamentari della Repubblica segua l'andamento sociale che ci circonda, per poi configurarsi anche in domande da cui preferibilmente ottenere risposte.
  L'impressione nell'evoluzione della legalità su Roma, sulle grandi metropoli, in questo caso parliamo comunque della capitale, è che alcune tipologie di reato siano state considerate poco gravi da un punto di vista culturale, da un punto di vista (mi permetto di affermarlo) quasi ideologico. A questa tolleranza che vi è stata nel corso del tempo solo perché magari c'erano altre priorità si sono connessi altri reati, cioè questi apparenti, piccoli reati, che in quanto tali non hanno ritenuto di scomodare alcune istituzioni (non mi riferisco alla Procura, che interviene su alcune casistiche e in base ad alcune segnalazioni), hanno generato una filiera di reati sempre più importanti, che hanno di fatto distribuito in maniera uniforme nella città la sensazione di uno scarso controllo da parte dello Stato, da parte delle forze dell'ordine, da parte di tutti gli operatori che dovrebbero intervenire sulla materia in maniera perentoria.
  Faccio anche degli esempi, citando il commercio abusivo, che è iniziato da quattro venditori di fiori (anche gli italiani vendevano i fiori nei ristoranti tedeschi e forse torneranno a farlo, anche se non ce lo auguriamo) e adesso al commercio abusivo è legata la filiera della contraffazione, che a sua volta è legata ai poteri criminali, alla mafia, alla camorra, quindi vale la pena non trascurare il commercio abusivo e anche la discriminazione tra chi in mezzo alla strada vende gli stessi oggetti di un commerciante che invece ha un negozio, paga l'affitto, la luce e il personale, perché alla fine la degenerazione è quella che tutti conosciamo.
  Abbiamo istituito una commissione parlamentare d'inchiesta per approfondire la fattispecie della contraffazione e abbiamo trovato cose turche, tutti conoscono tutto perché si sanno a menadito i processi nel dettaglio concreti, operativi, tutti sanno tutto, però tutto rimane così, fino (lo dico nella banalità di cui mi rendo perfettamente conto) a trovarsi in qualunque spiaggia d'Italia nel periodo estivo a vedere tollerata la vendita di prodotti di dubbia provenienza, nonostante campagne pubblicitarie Pag. 37tese a dimostrare che con l'acquisto dei CD abusivi da parte di giovani e famiglie si finanziavano i proiettili della camorra.
  Si è partiti dalla non volontà di perseguire il commercio abusivo con l'idea che fossero povere persone, per arrivare poi a legare a questi episodi, che sono più culturali come forma mentis, lo sviluppo di problemi decisamente peggiori. La stessa cosa vale per le occupazioni, perché quando ho iniziato a calcare la scena delle prime istituzioni pubbliche c'erano piccole occupazioni (parliamo in particolare dei centri sociali, a parte le case popolari che hanno altra natura) di necessità, c'erano due o tre centri sociali, poi sono proliferati, dai centri sociali è nata Action, che poi si struttura, e alla fine dal fenomeno dell'occupazione siamo arrivati al racket, alle estorsioni. Ci sono processi in corso, spero che ce ne saranno anche altri perché non credo che la persona citata sia l'unica persona responsabile di questo fiorire di reati incredibili, che partono esattamente dalla indisponibilità culturale di intervenire su un fenomeno illegale. Certo, non viene dalla mia parte politica, ma non siamo qui per polemizzare, però questo è.
  Ricordo che anche in analoghe audizioni le forze di polizia rispondevano (non ricordo se ufficialmente o ufficiosamente) che finché stavano lì potevano controllarli, cosa che non mi pare abbia avuto esito positivo, perché c'è il rischio, se questo è l'andamento e la progressione, che la città di Roma vada fuori controllo, cioè noi consegniamo il controllo della città a poteri che agiscono nell'ambito della illegalità o per ragioni iniziali di tipo culturale e ideologico o per ragioni criminose, ma il risultato alla fine come punto di caduta per il cittadino è lo stesso. Ci sono pezzi di città che non si possono praticamente frequentare, perché sono off-limits.
  Stesso discorso per quanto concerne lo spaccio di sostanze stupefacenti, quindi la droga leggera o pesante, dibattiti interminabili, ma poi che facciamo prendiamo quello che ha pochi grammi per uso personale e lo sbattiamo in galera? Si abbassano le pene. Il risultato qual è? Che ci sono quartieri dove lo spaccio è costante, quotidiano e manifesto, ed è tollerato dalle istituzioni, ci sono quartieri che voi conoscete quanto me dove, di fatto, le forze dell'ordine non riescono neanche a entrare. Se vogliono farlo, lo devono fare con alcuni accorgimenti, ma, se avessero il desiderio di intervenire per reprimere i reati, non dico che dovrebbe intervenire l'esercito, ma poco ci manca, comunque necessiterebbero di condizioni eccezionali per poter fare quello che andrebbe fatto e poteva essere fatto all'origine, se l'approccio culturale fosse stato diverso, con minore dispendio di energie.
  Così anche per i campi nomadi. Ieri ne ho visto uno, l'ennesimo, dove alla luce del sole si compiono reati. Chiunque tra noi può fare una passeggiata, chiamare la polizia municipale, il prefetto. Si entra in un campo rom e, mentre si passeggia, si vedono tutti i reati possibili e immaginabili, un altro pezzo di città che è fuori dal controllo dello Stato, di cui nessuno si preoccupa. Si possono rubare i cavi elettrici, si possono bruciare per liberare dalla gomma il rame che viene commercializzato, lo si può fare anche a discapito di grandi servizi pubblici (Trenitalia è una vittima esemplare, ma anche le scuole pubbliche, quindi bisogna chiuderle perché non si può stare dentro una scuola senza energia elettrica, altro sopralluogo fatto dal sottoscritto in una scuola di una periferia romana), per non parlare delle autovetture di lusso, del furto di acqua o di energia elettrica o, come diceva il collega Piso, del traffico di rifiuti.
  Ci sono reati che vengono commessi alla luce del sole nella impunità più totale, cioè non si può intervenire. Che fai, intervieni sui campi rom? Ieri sono entrato in questo campo nomade alle ore 12 e c'erano bambini che non stavano a scuola. Se io non mando mio figlio a scuola, lo Stato mi consente di non mandarlo a scuola, di non scolarizzarlo? Non credo. Perché i nomadi hanno la licenza di non scolarizzare, nonostante al comune di Roma solo la scolarizzazione dei nomadi costi 25 milioni di euro? Faccio la domanda come se al mio posto ci fosse un personaggio di Alberto Sordi, Gasperino il carbonaro, che si domanda Pag. 38 perché debba portare il figlio a scuola e un altro che sta nella sua stessa città e gode di una serie di servizi accessori possa permettersi, senza perdere la patria potestà, di non portare il figlio a scuola. Domanda delle domande.
  Penso che anche qui il problema di approccio culturale abbia condizionato l'intera filiera, né sono nelle condizioni di scaricare su di voi la responsabilità, perché questa città ha qualche migliaio di anni dietro le spalle e credo che siate invece le persone che ci stanno mettendo del proprio per provare a risolvere alcuni problemi che erano stati messi sotto al tappeto per evitare che destassero particolari problematiche sociali e reazioni.
  Vado a concludere terminando il nesso logico tra l'illegalità diffusa, trascurata per motivi di ordine culturale e ideologico, a cui poi si sono agganciate filiere di criminalità, per arrivare invece a questioni non ancora degenerate, ma più complicate. È probabile che a questo punto sia io a sbagliarmi del tutto, nel senso che con la modifica della legislazione e delle procedure amministrative è probabile che alcune cose che ieri erano reati oggi non lo siano più, cioè che si possa contrattare con un'amministrazione pubblica la destinazione d'uso di un terreno, cosa che invece prima non era possibile, perché c'era un Piano regolatore che ti diceva dove e cosa potevi fare, e, se non rispettavi, eri un abusivo e ne subivi le conseguenze.
  Se io adocchio un terreno che vale 10 euro, lo compro perché lì verrà presumibilmente collocata o io cercherò, facendo un gioco ampio di alleanze, di collocare una discarica o un mega impianto sportivo (in questi giorni si parla anche dello stadio della Roma), sto commettendo un reato o lo posso fare? Posso prendere un terreno che vale pochissimo e trasformarlo in rendita fondiaria mostruosa e miliardaria nel giro di pochi mesi? È la domanda delle domande. Non lo so. Sinceramente a questo punto, nel ginepraio inestricabile della normativa italiana, non so dare una risposta e spero che siate decisamente più attrezzati e preparati di me per darla.
  Altra questione. Ci sono a Roma e in giro per l'Italia, ma Roma è la capitale d'Italia quindi ce ne sono di più in termini di densità, grandi gruppi imprenditoriali. È noto che questi grandi gruppi imprenditoriali hanno costruito la loro fortuna e probabilmente oggi alcuni di questi stanno piombando nella disgrazia per non aver saputo forse amministrare i propri quattrini, anche perché non pagano i subappaltatori. Abbiamo contezza del fatto che ci sono piccole aziende artigiane, piccole imprese che non vengono pagate, che vengono costrette alla fame da questi gruppi che si arricchiscono, anche perché i lavori vengono effettuati e non vengono pagati, e che queste aziende non sono in condizioni di rivalersi e reagire perché, se fanno i decreti ingiuntivi, vengono spazzate via dai grandi gruppi e non lavorano più, quindi sono tra l'incudine e il martello? Spero di non essere il solo ad aver percepito nella mia città l'esistenza di questa specie di cappio, che viene messo intorno al collo delle piccole imprese che consentono a una grande impresa, che ha vinto un grande appalto, di effettuare un lavoro, salvo poi dover riscontrare quello che ho appena ricordato.
  Queste in sintesi sono le domande che mi sentivo di sottoporre alla vostra attenzione, fermo restando il desiderio di fare di tutto, insieme a tutti i parlamentari che mi hanno preceduto, per evitare che la nostra città possa scivolare verso i terreni melmosi che ci avete per certi aspetti descritto e di cui siamo abbastanza consapevoli.
  Sulle grandi filiere della criminalità organizzata tutti possiamo fare tutto, ma forse la Procura è attrezzata per fare più di quanto non si possa fare noi, ma sulle piccole questioni diffuse che, se trascurate a monte, divengono l'elemento su cui si innescano altri processi criminosi, forse si deve lavorare tutti insieme per invertire la tendenza. È questo che mi preoccupa: si trascurano fatti di illegalità quotidiana e quando i poteri criminali capiscono che quello può essere un pertugio in cui infilarsi è probabile che quella illegalità diffusa venga trasformata in un altro business mostruoso, dalle dimensioni non più arginabili.

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  PRESIDENTE. Mi ricollego a quello che diceva il collega Rampelli proprio perché ha toccato il tema della sicurezza urbana, che è particolarmente sentito a Roma, ma anche nelle altre grandi città che hanno dimensione metropolitana. A me pare che il quadro che avete fatto descriva un livello alto, rispetto al quale ci sono strumenti inquirenti, c'è un lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura, sicuramente potrebbe essere più efficace se ci fossero più risorse, e sappiamo che anche voi fate il pane con la farina che avete, come tutti in Italia, e con i limiti che ci sono, però già il fatto che abbiate ben presente un quadro è un elemento positivo, o, come dice chi va in montagna, un chiodo dove appendersi. Questa è una cosa sicuramente importante, che descrive da una parte un quadro inquietante, ma dall'altra parte dà l'idea che lo Stato c'è e si è intuita la direzione in cui muoversi.
  Vi è poi il tema evidenziato dal collega Rampelli, cioè il tema della sicurezza urbana ovvero di quelli che a me non piace definire comportamenti sociali deviati, ma sono di fatto comportamenti o reati che vanno a turbare fortemente il diritto costituzionale della libertà e della sicurezza del cittadino. Ovvero, occupare abusivamente un'abitazione non è soltanto un atto illegale, ma è sottrarre quell'abitazione a una famiglia che ha i requisiti per poterci entrare; danneggiare un bene pubblico o un mezzo pubblico o danneggiare un bene privato è un'azione che turba la serenità dei cittadini.
  Ancora, il tema dello spaccio inteso non soltanto come distribuzione delle sostanze stupefacenti, ma come un vero e proprio controllo del territorio, perché laddove c'è lo spacciatore come padre io non mando i miei figli; se una piazza è abitata dagli spacciatori, io che non voglio che i miei figli entrino in quel circuito cerco di tenerli a casa.
  C'è il tema dello smaltimento illegale dei rifiuti ma anche tanti altri microreati di cui parlava il collega Rampelli. So che siete magistrati e il vostro mestiere è quello non di fare, ma di applicare la legge, però oserei chiedervi una valutazione e di dirci sommessamente se gli strumenti che avete a disposizione siano sufficienti o il Parlamento debba avviare un serio ripensamento. So che su questo ci sono opinioni molto diverse, perché quella che ha citato il collega Rampelli in termini politici si chiama la dottrina Giuliani, e su questa c'è grande divisione all'interno delle forze politiche, però mi chiedo se gli strumenti che oggi diamo a disposizione delle forze dell'ordine e della magistratura siano sufficienti per agire con un contrasto efficace.

  GIUSEPPE PIGNATONE, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma. Con assoluta sincerità e assoluto rispetto sia le considerazioni dell'onorevole Rampelli sia quelle del Presidente dovrebbero essere fatte ad altri. Il compito della magistratura è di accertare le responsabilità individuali rispetto a una fattispecie di reato, forse ci allarghiamo nelle analisi, però da questo partiamo. Il compito della sicurezza non è della Procura della Repubblica, il compito di assicurare la sicurezza è del Ministro dell'interno e delle forze di polizia che ovviamente hanno la loro autonomia istituzionale e costituzionale.
  Mi spiace ma, nonostante l'invito garbatissimo del presidente, non scendo nella valutazione delle normative esistenti, perché dietro le analisi ci sono delle scelte legislative. In alcuni casi non c'è proprio il reato a monte; il commercio abusivo di suo non è un reato, ci sono le filiere criminali che poi sorgono sopra, a causa, derivando e ampliando il commercio abusivo, e su quelle magari cerchiamo di intervenire. La Procura di Roma in tema di contraffazione ha svolto indagini, alcune portate a termine, altre in corso, ma sulla filiera delle contraffazioni, che è già reato. Il commercio abusivo in sé non è un reato, è una violazione amministrativa, che non compete alla procura. Come ha detto il collega Prestipino, nelle occupazioni bisogna distinguere. Il codice penale punisce soltanto l'invasione, che però è solo una parte forse poco rilevante dell'insieme delle occupazioni, parlando delle singole abitazioni. Sul problema invece dell'occupazione di edifici, in gran parte riconducibili a motivazioni politiche, se avete la pazienza di leggere la Pag. 40relazione del prefetto vedrete che le richieste di esecuzione di sequestri disposti dal giudice su nostra richiesta molto spesso non hanno avuto esecuzione perché il prefetto e il comitato ritengono che non ci siano le condizioni di ordine pubblico. Anche qui non possiamo far altro che prenderne atto.
  Sullo spaccio è inutile ricordare sentenze della Corte costituzionale e normative di legge: i numeri che ho citato – quando ho detto che solo una minima parte delle persone arrestate in flagranza diventa destinataria di misure cautelari (circa un terzo) e quindi le altre vengono immediatamente rimesse in libertà – sono il risultato voluto di scelte legislative, che noi rispettiamo e applichiamo. Poi quando vado a votare ci penserò, ma da procuratore della Repubblica non posso fare altro che applicare queste scelte legislative. Idem sullo stadio, su cui, come sa benissimo l'onorevole Rampelli, c'è tutta una battaglia politica in corso e, se vuole, anche culturale: alla fine la Conferenza di servizi e in primis il comune faranno le loro scelte e ne prenderemo atto. Se nel corso dell’iter ci saranno dei reati, li perseguiremo, ma non ogni scelta opinabile di un'amministrazione è reato. Sul problema subappalti non saprei cosa dire perché, così come prospettato, è una questione civilistica e non penalistica. Si tratta di scelte legislative criticabili o meno, noi applichiamo gli strumenti normativi che abbiamo, con le risorse che abbiamo. Gran parte dei problemi sollevati dal presidente e dal senatore Rampelli sono in realtà domande che vanno rivolte al Governo nella sua generalità e al Ministro dell'interno in particolare.

  PRESIDENTE. Ringrazio il procuratore Pignatone e il procuratore aggiunto Prestipino e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.