XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 124 di Mercoledì 15 febbraio 2017

INDICE

Comunicazioni del presidente:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 

Audizione di Luigi Ferlicchia:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 4 ,
Ferlicchia Luigi  ... 4 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 ,
Ferlicchia Luigi  ... 5 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 ,
Ferlicchia Luigi  ... 5 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 ,
Ferlicchia Luigi  ... 5 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 5 ,
Ferlicchia Luigi  ... 5 ,
Fornaro Federico  ... 5 ,
Ferlicchia Luigi  ... 5 ,
Fornaro Federico  ... 5 ,
Ferlicchia Luigi  ... 6 ,
Fornaro Federico  ... 6 ,
Ferlicchia Luigi  ... 6 ,
Fornaro Federico  ... 6 ,
Ferlicchia Luigi  ... 6 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 ,
Ferlicchia Luigi  ... 7 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 ,
Ferlicchia Luigi  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Ferlicchia Luigi  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Ferlicchia Luigi  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Ferlicchia Luigi  ... 8 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 8 ,
Ferlicchia Luigi  ... 8 ,
Grassi Gero (PD)  ... 9 ,
Ferlicchia Luigi  ... 9 ,
Fornaro Federico  ... 9 ,
Ferlicchia Luigi  ... 10 ,
Grassi Gero (PD)  ... 10 ,
Ferlicchia Luigi  ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Grassi Gero (PD)  ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Ferlicchia Luigi  ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 10 ,
Ferlicchia Luigi  ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Ferlicchia Luigi  ... 10 ,
Fornaro Federico  ... 10 ,
Ferlicchia Luigi  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Ferlicchia Luigi  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Ferlicchia Luigi  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Ferlicchia Luigi  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 11 ,
Ferlicchia Luigi  ... 11 ,
Grassi Gero (PD)  ... 12 ,
Ferlicchia Luigi  ... 12 ,
Grassi Gero (PD)  ... 12 ,
Ferlicchia Luigi  ... 12 ,
Grassi Gero (PD)  ... 12 ,
Ferlicchia Luigi  ... 12 ,
Grassi Gero (PD)  ... 12 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 ,
Grassi Gero (PD)  ... 12 ,
Ferlicchia Luigi  ... 13 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 ,
Cervellini Massimo  ... 13 ,
Ferlicchia Luigi  ... 13 ,
Cervellini Massimo  ... 13 ,
Ferlicchia Luigi  ... 13 ,
Cervellini Massimo  ... 13 ,
Ferlicchia Luigi  ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Ferlicchia Luigi  ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Ferlicchia Luigi  ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Grassi Gero (PD)  ... 14 ,
Bolognesi Paolo (PD)  ... 14 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Ferlicchia Luigi  ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Ferlicchia Luigi  ... 14 ,
Cervellini Massimo  ... 14 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Cervellini Massimo  ... 15 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Cervellini Massimo  ... 15 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Cervellini Massimo  ... 15 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Corsini Paolo  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 15 ,
Corsini Paolo  ... 15 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Corsini Paolo  ... 15 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Corsini Paolo  ... 15 ,
Ferlicchia Luigi  ... 15 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Ferlicchia Luigi  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16 ,
Ferlicchia Luigi  ... 16 ,
Fornaro Federico  ... 16 ,
Ferlicchia Luigi  ... 16 ,
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 13.50.

Comunicazioni del presidente.

  PRESIDENTE. Nel corso della riunione odierna, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di:

   incaricare il dottor Donadio di compiere un approfondimento in relazione alla proposta operativa del deputato Grassi riguardante le dichiarazioni di Antonio Buttazzo e Cinzia De Andreis;

   incaricare il colonnello Pinnelli di compiere gli accertamenti, sulla vicenda dei due motociclisti stranieri segnalati presso l'ospedale psichiatrico di Ancona nella settimana successiva alla strage di via Fani. Cessa l'incarico già conferito in tema al dottor Siddi;

   incaricare la dottoressa Tintisona di acquisire, anche tramite le competenti strutture della Polizia di Stato, documentazione relativa alle persone incontrate da Licio Gelli durante il sequestro Moro;

   incaricare il generale Scriccia, il colonnello Pinnelli, il capitano Di Prete e il maresciallo Cicalese di svolgere gli approfondimenti già deliberati relativi al filone di indagine su Toni Chichiarelli e sul falso comunicato del Lago della Duchessa;

   avviare una revisione delle deleghe conferite, allo scopo di garantire una razionalizzazione delle attività di indagine. Cessano l'incarico conferito al dottor Salvini, al dottor Donadio e al colonnello Pinnelli di acquisire sommarie informazioni da Raimondo Etro e l'incarico conferito al colonnello Pinnelli in relazione alla mitraglietta Skorpion utilizzata per uccidere Aldo Moro.

   Comunica inoltre che:

   il 10 febbraio 2017 il dottor D'Ovidio e la dottoressa Tintisona hanno depositato il verbale, riservato, di sommarie informazioni testimoniali rese da Rita Porena;

   il 13 febbraio 2017 il dottor Allegrini ha trasmesso una nota, riservata, sulla documentazione di interesse dell'inchiesta contenuta nel Fondo Andreotti, conservato presso l'Istituto Sturzo;

   nella stessa data il colonnello Pinnelli ha depositato una raccolta, riservata, di documentazione dell'Arma dei carabinieri relativa alla vicenda dell'ignoto individuo che incontrò Gennaro Acquaviva dopo la morte di Aldo Moro, asserendo in essere in possesso di foto dell'onorevole Moro realizzate durante il sequestro;

   il 15 febbraio 2017 il generale Scriccia ha depositato un documento, riservato, contenente un'integrazione alle sommarie informazioni rese dal generale Inzerilli, e una nota, riservata, relativa ai traffici di armi tra Svizzera e Italia;

   nella stessa data l'onorevole Grassi ha depositato una proposta operativa, di libera consultazione, relativa alle dichiarazioni a suo tempo rese da due testimoni della strage di via Fani, Antonio Buttazzo e Cinzia De Andreis;

   nella stessa data i senatori Lucidi, Mangili, Montevecchi e Morra hanno trasmesso una proposta operativa, riservata, relativa all'acquisizione di documentazione di polizia relativa alle persone incontrate da Licio Gelli durante il sequestro Moro.

Pag. 4

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Audizione di Luigi Ferlicchia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dell'ingegner Luigi Ferlicchia, che ringraziamo per la cortese disponibilità con cui ha raccolto l'invito a intervenire oggi in Commissione.
  L'ingegner Ferlicchia è stato un esponente importante della Democrazia cristiana pugliese. All'epoca del sequestro Moro era segretario provinciale della Democrazia cristiana di Bari e cercò di promuovere, anche in contrapposizione col suo partito, una linea di trattativa con le Brigate rosse, secondo quanto Moro andava suggerendo nelle sue lettere.
  Ferlicchia, inoltre, è stato molto vicino a una delle personalità più legata a Moro, Renato Dell'Andro, all'epoca Sottosegretario alla giustizia, al quale Moro indirizzò una nota lettera, recapitata il 29 aprile 1978, nella quale insisteva perché si avviasse una trattativa, come era stato fatto per i palestinesi.
  Per inquadrare l'audizione inviterei l'ingegner Ferlicchia a concentrare la sua esposizione innanzitutto su due temi generali: quanto a lui noto in relazione all'esistenza, all'interno della Democrazia cristiana, di un'area favorevole alla trattativa e alle iniziative che in quest'area si assunsero; ogni altro aspetto non conosciuto relativo al sequestro Moro di cui sia a conoscenza o diretta, o per tramite di altri. Ricordo, per esempio, che nel suo volume I tempi di Aldo Moro Ferlicchia ha sottolineato i suoi rapporti con Giuseppe Pisanu e Umberto Cavina, dai quali raccolse diverse impressioni sulla vicenda di via Gradoli.
  Ora le lascio la parola. Poi passeremo alle eventuali domande dei colleghi.

  LUIGI FERLICCHIA. Grazie, presidente, anche per questa presentazione come motivazione per cui mi trovo qui, avendo anche scritto questo volume, unico non parlamentare del quale la Camera dei deputati ha stampato un libro. La Presidente Boldrini e l'onorevole Leone li ho ringraziati pubblicamente quando c'è stata la presentazione del volume.
  Fui tirato in ballo, appunto, nei 55 giorni, come segretario provinciale della DC. Ero da qualche mese segretario provinciale e ci trovammo immediatamente in questa vicenda impensabile, nella quale però io percepii subito un dato di fatto. Il giorno successivo al rapimento pervenne da Roma dalla direzione centrale un manifesto, eventualmente da diffondere pubblicamente in tutte le sedi. Il manifesto diceva così: «Moro: l'Italia democratica non cederà».
  Alla visione di questo scritto rimasi turbato e dissi: «Diamine, di Moro non si dice niente». Allora chiamai il funzionario del partito e immediatamente aggiustammo il testo e il manifesto divenne per noi, in provincia di Bari e in Puglia: «Moro, il Paese è con te. L'Italia democratica non cederà». Quindi, la prima cosa era il pensiero verso Moro e verso la sua condizione di prigioniero in quel momento, nella situazione in cui si veniva a trovare, poi tutto il resto.
  Da quel momento io capii subito che evidentemente l'impostazione centrale era quella di una rigidità assoluta. In quell'occasione ci organizzammo. Io ero segretario provinciale della DC, Walter Distaso era segretario cittadino della DC, Antonio Lupo, di Lecce, era segretario regionale. Immediatamente ci raccordammo anche con le altre autorità e stabilimmo una linea di iniziativa tesa a prendere tutte le iniziative per fare qualcosa per salvare Aldo Moro.
  Scattò proprio in quel momento, immediatamente, la ricerca della trattativa. Devo dire che subito ci pervenne nella mente quello che Moro ci aveva sempre insegnato, cioè che la persona umana viene prima dello Stato: una sola persona è importantissima e viene prima. In questo senso ci siamo sempre adoperati.
  Abbiamo fatto riunioni, incontri, assemblee, manifesti, documenti e abbiamo sempre spinto la direzione centrale in questo senso ad agire per la salvezza di Aldo Pag. 5Moro. A fronte delle nostre iniziative c'era invece un silenzio assoluto da parte della direzione centrale.
  Allora cominciai a prendere delle iniziative, sempre collegate con il Sottosegretario Dell'Andro, con altri parlamentari, con Giovanniello e via di seguito. Ricordo che io mi recai a Roma, a piazza del Gesù. Devo dare atto che, appena arrivai, non fui ostacolato in nessun passaggio e immediatamente mi fu data la possibilità di arrivare nella stanza di Zaccagnini. C'era Pisanu, che mi accolse con grande cordialità: «Vieni, vieni». In quella circostanza c'era anche Cavina. Questo incontro avveniva il 4 aprile. Quel giorno Cavina era esterrefatto e Pisanu era turbato, perché Prodi qualche minuto prima era andato a piazza del Gesù e aveva comunicato di quella seduta spiritica, della quale bisognava tenere conto, perché era venuto fuori il nome Gradoli: «Gradoli 96 11». Pisanu era contrariato. Diceva: «Ci vengono a raccontare le storie degli spiriti e non ci danno elementi per poter agire». Cavina, nonostante ciò, prese un biglietto e scrisse: «Gradoli 96 11» e comunicò ogni cosa a Zanda.

  PRESIDENTE. Il biglietto era «Gradoli 96 11»?

  LUIGI FERLICCHIA. «Gradoli 96 11».

  PRESIDENTE. Così le ha detto Cavina?

  LUIGI FERLICCHIA. Cavina me lo disse.

  PRESIDENTE. Questo è il biglietto che Cavina ha dato a Zanda.

  LUIGI FERLICCHIA. Era l'addetto stampa di Zaccagnini, Umberto Cavina; era di Ravenna pure lui.
  In quell'occasione Cavina disse: «Questo biglietto cinque minuti fa, attraverso corriere motociclista, l'ho mandato al Ministero degli interni all'addetto stampa del Ministro Cossiga», che era il dottor Zanda, oggi senatore.

  PRESIDENTE. Luigi Zanda.

  LUIGI FERLICCHIA. Luigi Zanda Loy era allora. Il padre era stato il capo della Polizia, quindi era un personaggio molto importante nella dinamica nazionale sin da allora.
  In questa situazione io vidi Pisanu che era esterrefatto di questa iniziativa. Ci fu il riferimento a Clò, alla seduta spiritica a casa di Clò; ci sarebbe stato anche Andreatta in un angolo in un'altra stanza. Mi furono raccontate tutte queste cose e devo registrare che erano esterrefatti sia Pisanu sia Cavina.
  Lascio ogni commento alla Commissione. Io sono testimone di questo fatto. Devo dire che Pisanu in quell'occasione disse: «Bisogna fare altre cose».
  Mentre si registravano queste parole, io tornai a Bari e non trovavamo alcuna iniziativa conseguente. Da parte nostra si continuava ad agire in contatto con la periferia. Io feci anche una circolare ai segretari sezionali per tenere in ogni comune assemblee di partito e tenere vivo l'ambiente. Bisogna dire che da noi il clima era tutto teso a salvare la vita di Aldo Moro: questo era il clima di ordine generale.
  Devo dire che Pisanu in quell'occasione disse: «Voi fate tutto quello che ritenete». È come se noi fossimo ritenuti i parenti di Aldo Moro. Eravamo come i parenti stretti e, quindi, i parenti stretti nel dolore erano autorizzati a fare qualunque cosa. Siamo andati avanti in questa maniera.
  Poi, a fronte di una situazione che non si muoveva più, abbiamo anche lanciato sul quotidiano «Il Popolo» un appello, che per due giorni ci era stato fermato e come direzione provinciale, come Democrazia cristiana pugliese...

  FEDERICO FORNARO. Si ricorda la data, per favore?

  LUIGI FERLICCHIA. Deve essere stato prima che venisse fuori il comunicato del Lago della Duchessa, un giorno o due giorni prima, credo il 19 o il 20 aprile.

  FEDERICO FORNARO. No, attorno al 15, allora. Il giorno del Lago della Duchessa Pag. 6è il 18. Quindi, se è prima, sarà stato attorno al 15 aprile.

  LUIGI FERLICCHIA. Sta di fatto che il nostro comunicato creò preoccupazione alla direzione centrale.
  Allora noi riunimmo tutti i parlamentari della Puglia a Roma presso la sede della regione Puglia e andammo tutti insieme a piazza del Gesù. Non si aveva notizia alcuna della vita di Aldo Moro. In quell'occasione Zaccagnini venne personalmente con Pisanu e disse: «Io non è che posso parlare presente tanta gente. Ditemi chi di voi è la persona che vi rappresenta». Allora tutti quanti – era presente anche l'ex Ministro Lattanzio, stavano tutte le correnti – indicarono in Renato Dell'Andro l'interlocutore ufficiale per ogni contatto e per ogni collegamento con la segreteria politica per eventuali iniziative.

  FEDERICO FORNARO. Sempre, quindi, prima del 18 aprile, questa riunione?

  LUIGI FERLICCHIA. Sempre prima che venisse il comunicato che Moro era vivo.
  A quel punto, la riunione fu sciolta e improvvisamente Dell'Andro fu chiamato da Franco Salvi. Franco Salvi aveva un ufficio al primo piano, una stanzetta. Era uno dei protagonisti nella segreteria politica, aveva la responsabilità di incarichi speciali. Non aveva un ufficio, era dirigente incarichi speciali.
  In questa stanza fu convocato Dell'Andro, che mi chiese di accompagnarlo. Io ci andai. Non mi venne negata la presenza. In quell'occasione fu detto chiaramente a Dell'Andro: «Devi stare fermo. Non devi assumere alcuna iniziativa. Sei Sottosegretario di Stato. La linea ufficiale del partito è “no alla trattativa”. Come tale, non bisogna prendere alcuna iniziativa».
  Dell'Andro rimase turbato e disse a Salvi: «Ma come, proprio tu mi dici queste cose, tu che sei stato il capo di gabinetto della segreteria di Moro, sei stato suo strettissimo collaboratore?» «Renato, non c'è niente da fare: “no alla trattativa”. Se vuoi, ti dimetti da sottosegretario e fai quello che credi». Dell'Andro uscì sgomento da quel colloquio con Franco Salvi e a me disse: «Noi continuiamo sulla nostra linea», e noi a Bari continuammo sulla linea delle varie iniziative e dei vari contatti. Diciamo che fummo da Roma praticamente glissati.
  Ci fu anche un tentativo di fare da parte...

  FEDERICO FORNARO. Mi perdoni, solo per capire, quando lei dice «continuammo nei contatti», intende contatti con chi?

  LUIGI FERLICCHIA. Anche questo volevo dire, appunto. La nostra iniziativa su «Il Popolo» creò preoccupazione, tant'è che il console americano James Creagan si preoccupò di venire a Bari e venne a fare visita alla segreteria politica. Voleva sapere quali iniziative stessimo prendendo in rapporto ai contatti eventuali con le Brigate rosse.
  Noi con le Brigate rosse non siamo riusciti a stabilire nessun contatto, però la nostra iniziativa era forte, anche perché minacciammo Roma... O meglio, facemmo presente che una carovana di pullman poteva venire a piazza del Gesù per chiedere colloqui. In quell'occasione mi fu fatta presente l'inopportunità, mi si disse che il corteo sarebbe stato fermato, che non era proprio il caso. Quindi, abbiamo desistito dall'iniziativa.
  Registrammo, a quel punto, due visite del console americano, che aveva sede a Napoli. Questi venivano ogni tanto, ogni 6-7 mesi si facevano vedere per avere notizie e fare visite di cortesia, ma durante i 55 giorni per due volte avemmo la visita di questo console, che stava a Napoli.
  Le domande erano continue: «Cosa state facendo? Che notizie avete?» Io, di rimando, invece, dicevo che era opportuno prendere qualunque iniziativa per salvare la vita ad Aldo Moro da parte loro, perché erano nelle condizioni di poterlo fare. Questo lo cito come fatto che si inserisce nella dinamica generale.
  Un'altra iniziativa venne fuori – quindi, le nostre assemblee e i nostri incontri avevano valore – quando ci fu la richiesta delle Brigate rosse dello scambio della libertà di un elenco di tredici brigatisti detenuti Pag. 7 a fronte della libertà di Aldo Moro. Si trattava di 13 persone, il famoso elenco con Notarnicola e gli altri. Quell'elenco turbò tutti quanti. Ricordo al Ministero di grazia e giustizia, in una visita che io ebbi a fare al Sottosegretario Dell'Andro... Praticamente si trattava di tredici persone, tutti detenuti per delitti di sangue. Non era minimamente concepibile un discorso di questo genere. Fu però scandagliata fra le tredici persone una donna, Paola Besuschio, la quale, non essendosi macchiata di delitti di sangue, presentava una sua peculiarità specifica a questo riguardo.
  Nel frattempo, ci fu una lettera di Aldo Moro alla moglie, nella quale accennava allo scambio uno a uno. Diceva Moro, sostanzialmente: «Io non chiedo la capitolazione dello Stato, non chiedo la trattativa fra lo Stato e le Brigate rosse. Chiedo lo scambio uno a uno, come già è avvenuto in passato». Si riferiva chiaramente alle vicende dei palestinesi del 1973, dopo gli attentati a Fiumicino, prima gli arresti di settembre e poi la strage di dicembre: non succederebbe niente di male se una persona che non ha alcuna colpa venisse liberata a fronte di un'altra. Quindi, Moro legittimava in termini di necessità questo dato di scambio.
  Lo scambio con la Besuschio, a livello di Ministero, fu considerato proprio con l'analisi personale della Besuschio. La Besuschio, si capì subito, era stata la fidanzata di Curcio a Trento. Dopo due anni Curcio l'aveva mandata a Milano a convivere con Moretti, perché la Cagol chiedeva di essere liberata dalla presenza di un'altra persona.
  La Besuschio è stata a Milano con Moretti per due anni e poi è stata mandata a Torino con Bonisoli, Gallinari e Fiore. In questa latitanza, o in questi covi, la Besuschio era un punto di riferimento continuo di collegamento di tutto il vertice delle Brigate rosse.
  Quando si individuò la Besuschio, c'era una sua peculiarità che aveva evidentemente un certo valore ai fini dello scambio uno a uno: non si era macchiata di delitti di sangue. Era brigatista della prima ora, amica di Curcio, amica di Moretti, amica di Gallinari, amica di Bonisoli, amica di Fiore. Conosceva tutti. Poteva essere la persona giusta.
  Il professor Giuliano Vassalli si fece carico dell'iniziativa e la perorò, avendo la copertura anche di Bettino Craxi, del Partito socialista italiano. Essendo Vassalli amico coetaneo di Moro dalla prima ora, conosceva benissimo Renato Dell'Andro e il Ministro Bonifacio e si cominciò ad adoperare al Ministero di grazia e giustizia affinché si potesse concedere la grazia a Paola Besuschio.
  Di questo ebbi contezza in una telefonata che avvenne il 5 maggio. In quell'occasione la signora Moro telefonò a Bari. Noi eravamo all'Hotel Jolly, in una riunione di partito, proprio per parlare di questa vicenda, della vicenda Moro e delle iniziative da condurre in porto. Dell'Andro fu chiamato e volle due persone presenti nella cabina telefonica dell'Hotel Jolly. Andammo io e Walter Distaso. In quella cabina stretta eravamo in tre e la signora Eleonora Moro, che piangeva, disse: «Renato, è questione di ore. Lo uccidono. Ti prego, fate qualcosa. Dovete agire».

  PRESIDENTE. Che giorno era?

  LUIGI FERLICCHIA. Era il pomeriggio del 5 maggio, alle 18.30.
  In quell'occasione Dell'Andro, che era riservatissimo e parlava pochissimo, disse: «Signora, stia tranquilla. Domani mattina alle ore 9-9.15 io sarò al Ministero e il tutto sarà dirottato verso la Presidenza della Repubblica».
  Sta di fatto che il giorno dopo Dell'Andro va a Roma e trova le cose tutte cambiate, perché era intervenuto Andreotti presso il Ministro Bonifacio. Andreotti aveva saputo, perché i telefoni erano intercettati. Quindi, Bonifacio fu diffidato da qualunque iniziativa e la cosa praticamente cadde nel vuoto. Leone aveva manifestato la sua specifica intenzione di firmare la grazia per la Besuschio. Sta di fatto che le cose non sono più andate avanti.

  PRESIDENTE. Questo lei lo deduce dal fatto che non sono più andate avanti o lo sa Pag. 8perché Dell'Andro le ha detto: «Bonifacio è stato bloccato?»

  LUIGI FERLICCHIA. No, Dell'Andro non mi ha detto niente. So solo che non si è fatto più niente. È una deduzione.

  PRESIDENTE. Perché, secondo una ricostruzione suffragata da sufficienti indizi, Leone e Bonifacio avrebbero dovuto firmare, innovando la prassi, senza richiesta di grazia della Besuschio a mezzogiorno e, purtroppo, l'esecuzione di Moro fu anticipata alle 8 della mattina.

  LUIGI FERLICCHIA. Questo il giorno 9. Io mi riferisco alla telefonata della signora Moro avvenuta il 5.

  PRESIDENTE. No, io dicevo solo che la pratica era andata avanti, che non fu bloccata.

  LUIGI FERLICCHIA. Sì, lei si riferisce ai tempi.
  Comunque, i fatti sono stati questi. Venne fuori in quell'occasione che Andreotti avrebbe consigliato al Ministro di grazia e giustizia di orientarsi per la grazia su Buonoconto anziché sulla Besuschio perché, secondo la valutazione dei carichi penali, alla Besuschio la grazia non poteva essere concessa perché aveva altre pendenze.
  Buonoconto era presso il carcere di Trani. Fu spostato a Napoli, però tutto questo Moro lo scrive in un'altra lettera alla moglie: «Sembrava ormai possibile lo scambio uno a uno. Improvvisamente tutto si è fermato». Ci fu lo spostamento, su suggerimento di Andreotti, della grazia dalla Besuschio a Buonoconto. Questo ha registrato anche una posizione differenziata, perché Vassalli, a fronte di questa posizione di diniego del Presidente del Consiglio, fece presente che si trattava non di violare una legge, ma di violare una prassi. «Per Moro la prassi la si può violare»: questa era la tesi di Giuliano Vassalli
  Sta di fatto che l'interesse per Buonoconto i brigatisti poi non l'hanno più avuto e allora ogni cosa è praticamente caduta. Dopodiché, le cose sono andate come sono andate.

  PRESIDENTE. Se non deve dire altro, passiamo alle domande dei colleghi.

  LUIGI FERLICCHIA. Qualche altra cosa avrei da dirla.

  PRESIDENTE. Finisca di dire quello che ritiene. Poi passiamo la parola ai colleghi per le domande.

  LUIGI FERLICCHIA. Un'altra cosa che voglio esporre è la vicenda collegata all'agente del KGB Sokolov. Anche questa è stata una vicenda nota sulla base di un libro che Sergio Flamigni pubblicò dieci anni dopo la morte di Moro, La tela del ragno.
  Io lo comprai e rimasi molto colpito per le tante cose dette. Dicevo: «Diamine, Flamigni ha ragione in questo, questo e quest'altro». Comprai diverse copie del libro e le feci subito pervenire a Dell'Andro, a Giovanniello, a Enzo Sorice, a Luigi Ambrosi, che era rettore dell'Università di Bari, e ad altri amici.
  Dell'Andro mi telefonò e disse: «Venga a trovarmi». Dell'Andro aveva già letto il libro di Flamigni e sapeva già tutto. Mi disse: «Senta, ingegnere, capisco lei cosa vuol dire e il suo stato d'animo, però tenga conto che Flamigni è comunista, quindi fa bene il suo lavoro e dice delle cose sensate. Per quel che ci riguarda, perché mai nessuno ha indagato sullo studente sovietico che frequentava le lezioni di diritto penale di Aldo Moro all'Università La Sapienza di Roma?»
  Io in quel momento appresi della vicenda della presenza di questo studente sovietico. Lo studente sovietico si è interessato, ha seguito, ha chiesto il giorno prima di essere presente al voto di fiducia del Governo, e Moro si domandava perché uno studente sovietico fosse tanto interessato alle lezioni di diritto penale italiano, quando il diritto penale sovietico è così diverso da quello italiano. Quindi, Moro aveva detto a Tritto, che era un suo assistente, di seguire questo Sokolov, che era un borsista venuto Pag. 9da Mosca, mandato dalla TASS, e aveva un po’ familiarizzato con vari amici.
  Dell'Andro non sapeva chi fosse specificatamente lo studente sovietico, però Moro aveva già fatto svolgere delle ricerche e aveva detto a Tritto di seguirlo. Ma il punto di fondo è: lo studente sovietico viene in Italia, segue Moro, Moro gli procura anche il biglietto di ingresso a Montecitorio per la seduta del 16 marzo. Questo studente poi è scomparso e successivamente è ritornato. Da parte nostra la presenza di questo studente – apparentemente studente, poi si è rivelato essere un agente – in quel momento non la si poteva capire. Però poi c'è stata la Commissione Mitrokhin che, stranamente, pone il problema dello stesso agente Sokolov.
  Tritto, che all'indomani del rapimento Moro aveva avuto un contatto con il senatore Lettieri per questa vicenda ed era stato messo in contatto con un agente dei servizi segreti, aveva fatto le sue rimostranze. Sta di fatto che, a un certo punto, le cose vanno nel dimenticatoio. Quando è venuta fuori la vicenda anche nella Commissione Mitrokhin, allora il discorso è apparso in tutta la sua nudità.
  Bisogna riconoscere che Tritto in quella fase si era attivato, perché Dell'Andro nel frattempo era deceduto e, quindi, tante cose prima della Commissione Mitrokhin non si sapevano. In questo senso, quindi, è venuta fuori la dimensione di questo agente sovietico.
  Io poi ho ascoltato anche in televisione, a RaiUno, un'intervista dell'onorevole Chiesa a questo agente Sokolov in Unione Sovietica, a Mosca. Chiesa gli dice chiaramente proprio ciò che stava avvenendo in Italia a seguito della Commissione Mitrokhin.
  Sokolov mena il can per l'aia e Chiesa gli risponde: «Guarda che in Italia si parla molto di te». Sta di fatto, però, che questo Sokolov non è stato mai disponibile a venire a deporre in Italia. Mi pare che la Commissione stragi lo abbia anche invitato, ma non si è mai presentato.
  C'era anche una considerazione che ora mi sfugge... Se vogliamo passare alle domande e poi, se mi torna in mente questo pensiero...

  GERO GRASSI. Ingegnere, la considerazione riguarda le presenze e le firme: Dell'Andro che sostituiva Moro... Questa è la considerazione.

  LUIGI FERLICCHIA. Ecco: Dell'Andro conosceva Sokolov, perché Dell'Andro era l'unico professore ammesso a sostituire Moro durante le lezioni qui a Roma, alla Sapienza. Quando Moro aveva i suoi impegni politici, non poteva far lezione e Renato Dell'Andro era l'unico abilitato a sostituirlo.
  Io ho portato il libro delle presenze, perché le presenze di chi fa lezione sono documentate con apposite firme. Può darsi che voi, come Commissione, presidente, già ne siate in possesso, però la dimostrazione che Dell'Andro sostituiva Moro ed era l'unico abilitato a farlo è proprio questo registro. Quando Dell'Andro fa le sue affermazioni sullo studente sovietico, lo fa perché dall'interno, nell'università, ha percepito, ha visto, ha constatato, ha conosciuto, ha saputo.
  Alla domanda: «Perché tu, ingegnere, hai scritto, hai fatto e dici queste cose?», rispondo che io sono stato vincolato, qualche mese prima che Renato Dell'Andro morisse, pubblicamente, in un'assemblea di oltre mille persone. Ero stato eletto da poco consigliere regionale e Dell'Andro mi vincolò: «Poiché solo a lei ho raccontato fatti, cose e circostanze. La invito a mettere per iscritto, a fare qualcosa, a documentare quanto io le ho detto».
  Io, dopo un po’ di anni, mi sono cimentato e ho scritto questo libro, tenendo conto proprio di quel vincolo morale che Renato Dell'Andro mi aveva dato. Quindi, non è un mio capriccio. È anche un dovere morale che nei confronti di una persona, di una figura, di cui sapete tutti qual è stato il livello giuridico.

  FEDERICO FORNARO. La ringrazio, anzitutto, per l'appassionata ricostruzione di quei momenti particolarmente drammatici vissuti da chi evidentemente aveva anche un rapporto umano, oltre che politico, con Moro.
  Due domande. Lei ha parlato di iniziative politiche prese dalla Democrazia cristiana Pag. 10 di Bari e della Puglia. Poi lei ha detto: «Non siamo riusciti a instaurare nessun contatto con le Brigate rosse». Quali canali pensavate di utilizzare per entrare in contatto con le Brigate rosse?

  LUIGI FERLICCHIA. Non è che noi li conoscevamo. Sapevamo che esistevano ormai e, quindi, il comunicato stampa ci dava la possibilità di stabilire eventualmente un contatto. Si sarebbero fatti avanti.
  Nel corso del tempo, devo riscontrare un dato: Adriana Faranda ha nominato come avvocato un avvocato di Bari, un professore universitario. Il professor Vincenzo Perchinunno è stato il legale della Faranda. Come l'ha conosciuto, come l'ha contattato è un problema suo. Sta di fatto che la Faranda ha nominato un professore universitario di procedura penale di Bari come suo avvocato.

  GERO GRASSI. Amico di Moro.

  LUIGI FERLICCHIA. Amico di Moro, della scuola proprio di Aldo Moro.

  FEDERICO FORNARO. La seconda domanda è questa. Lei, giustamente, ha posto in risalto lo stupore e quasi l'irritazione, il 4 aprile, riguardo all'episodio del bigliettino uscito come esito dalla seduta spiritica.
  Come fatto nuovo c'è questa indicazione molto precisa: «Gradoli 96 11». Adesso mi sfugge totalmente se 11 era il numero dell'interno di quel civico 96. Questo sarebbe un elemento da verificare.

  GERO GRASSI. Attenzione, ne ha già parlato Tina Anselmi.

  FEDERICO FORNARO. Era solo un'osservazione su quel numero 11, se si poteva riferire all'interno.
  La mia domanda era un'altra. Voi il 4 aprile, giustamente, vi stupite. C'è il passaggio di biglietti Cavina-Zanda, questo è ormai acquisito agli atti e c'è nelle fonti aperte.
  La cosa che mi chiedevo è quale fu la vostra reazione il 18 aprile, quando venne scoperto il covo delle Brigate rosse a via Gradoli. Che reazione aveste in quel momento? Questo è importante capire, perché il 4 aprile Gradoli non voleva dire nulla, ma il 18, evidentemente, aveva un altro significato.

  LUIGI FERLICCHIA. Glielo dico subito. Quel giorno eravamo a Roma in delegazione io, il senatore Giovanniello, mentre Dell'Andro stava al Ministero di grazia e giustizia, e c'erano anche altri amici di Bari. Appresa la notizia che Moro era vivo, Zaccagnini convocò ad horas il cosiddetto gruppo di lavoro che...

  FEDERICO FORNARO. Le ho fatto un'altra domanda.

  PRESIDENTE. Il senatore Fornaro le chiede un'altra cosa: a lei, che aveva saputo da Cavina che Prodi che aveva detto «Gradoli 96.11», quando, da lì a quindici giorni, viene scoperto il covo di via Gradoli, cosa viene in mente?

  LUIGI FERLICCHIA. Ah, ho capito. Viene in mente che evidentemente c'erano dei contatti, che Prodi sapeva, che aveva una validità la sua segnalazione, che si era schermato dietro il discorso spiritico e che, invece, non si manifestava la fonte da cui venivano fuori quelle cose.

  FEDERICO FORNARO. Ma non vi è venuto in mente di andarglielo a chiedere o di «tirarlo per le orecchie»?

  LUIGI FERLICCHIA. No, a Prodi non siamo mai andati. Non l'ho mai incontrato, pur conoscendolo, ma non avevo pratica con lui.

  FEDERICO FORNARO. Segnalo, tra l'altro, alla Commissione, per inciso, che sul Corriere della Sera del 21 aprile 1978 si fa riferimento a un biglietto ritrovato a via Gradoli con un conto di 18 milioni di lire per l'acquisto delle armi usate a via Fani. Sarebbe importante approfondire questo tema, perché rispetto all'armamentario, agli atti ufficiali, è una somma spropositata, Pag. 11considerando i residuati bellici che avevano in mano.
  Sostanzialmente, per chiudere su questo punto, voi vi stupiste, ma fino a un certo punto, nel senso che non da parte vostra non c'è stata nessuna rimostranza sul fatto che il 4 aprile qualcuno aveva detto Gradoli e il 18 aprile viene trovato un covo a via Gradoli.

  LUIGI FERLICCHIA. Beh, le telefonate che noi avevamo con Pisanu erano continue. Quindi, facevamo le nostre rimostranze, ma a noi interessava che si facesse qualcosa e si arrivasse a una conclusione per dare la libertà a Moro. Non è che potevamo in quel momento fare i giuristi o gli avvocati. Eravamo presi dal dato umano di fare qualcosa per Moro. In quel momento avevamo questo pressing psicologico e umano.

  GERO GRASSI. Ingegnere, in una lettera Aldo Moro dice in sostanza: «Anche la DC barese, in vista delle elezioni amministrative, ha ammorbidito la sua azione verso Roma». Se la ricorda questa lettera?

  LUIGI FERLICCHIA. Sì, certo, la ricordo.

  GERO GRASSI. Partendo da questo presupposto, lei ricorderà, perché faceva il segretario provinciale, che la DC barese organizzò i pullman per venire a Roma a piazza del Gesù.

  PRESIDENTE. L'ha detto.

  GERO GRASSI. Sì, l'ha detto. Quei pullman furono bloccati e qualcuno da Roma disse: «Questa cosa la pagate alle prossime elezioni politiche, il che significa che qualcuno non lo candidiamo».
  Lei sa meglio di me che la variegata DC barese e pugliese era tutta unita sulla posizione della trattativa, ma c'erano fasce differenziate. Per capirci, la sofferenza del professor Renato Dell'Andro non era la sofferenza di tutti gli altri parlamentari.
  Chi fece la telefonata per minacciarvi di non ricandidare alcuni deputati?

  LUIGI FERLICCHIA. Io questo discorso specifico proprio non ce l'ho presente. Fummo avvicinati da ambienti della Questura e della Prefettura per farci desistere dall'iniziativa. Di questa cosa io ne parlai a Roma a Pisanu, però Pisanu non mi ha detto... Ha detto: «Tenete conto di tutti gli aspetti del problema».

  GERO GRASSI. Tenga presente che questa cosa l'ha scritta anche la Repubblica all'epoca. Credo l'abbia scritta Federico Pirro.
  Quindi, lei non ricorda chi materialmente ha pressato per questo aspetto.

  LUIGI FERLICCHIA. Però un dato è sicuro: noi siamo stati praticamente perseguitati.

  GERO GRASSI. Esatto. Mi basta questo.
  Un'altra cosa: chi ha conosciuto il professor Dell'Andro – lei l'ha conosciuto bene; io l'ho conosciuto anche e ho fatto anche degli esami con lui – sa che egli era, diciamo così, l’alter Moro in Puglia. Il professor Dell'Andro era una persona molto riservata, molto timida, educata, eccetera, ma in quei 55 giorni, o dopo, con lei si è mai lasciato andare a uno sfogo su qualcosa che si poteva fare e non era stato fatto, o contro qualcuno che l'ha bloccato?
  Moro scrive in una lettera a Dell'Andro (cito a memoria): «Renato fai, muoviti, agisci». Lo sprona. Dell'Andro non è mai andato al di là del rigore giuridico che lo contraddistingueva in questa vicenda, anche con una confidenza nei suoi confronti?

  LUIGI FERLICCHIA. Quando uscimmo dall'incontro con Franco Salvi, Dell'Andro fu turbato fortemente. Ebbe uno scatto con Franco Salvi e non ci parlò con lui per parecchio. La ripresa dei rapporti fra i due avvenne dopo due anni. Ripresero a parlarsi nel 1980; ebbero un lungo chiarimento.
  Nell'ambito della direzione centrale bisogna dire che Franco Salvi aveva un ruolo notevolmente incidente. Franco Salvi e Giovanni Galloni erano i due rigidi per la Pag. 12fermezza, per la non trattativa e per tenere quella determinata linea.
  Zaccagnini, quando ci parlavamo, immediatamente si metteva a piangere. Pisanu aveva un rapporto che posso definire elastico, ma i due che erano rigidi erano proprio Franco Salvi e Galloni. Tant'è vero che anche Moro in una lettera glielo dice. Tre volte cita Franco Salvi e dice che sta sbagliando, per questo suo lavoro.

  GERO GRASSI. Galloni dopo rivede completamente la sua posizione sulla fermezza.

  LUIGI FERLICCHIA. Tra l'altro, Galloni faceva parte del gruppo della Base, a cui facevano capo anche Cossiga e De Mita ed erano tutti rigidamente sul no alla trattativa. Solo Misasi si sganciava da questa logica, ma il buon Galloni tutte le mattine che andava lì al Ministero, prima che il gruppo di lavoro si riunisse, era pilotato da Cossiga sulle informazioni da dare. Galloni poi andava a piazza del Gesù ed era lui a dare le direttive nelle riunioni che si facevano e via di seguito. Galloni era il collegamento tra piazza del Gesù e il Ministero dell'interno. Questo è un dato.

  GERO GRASSI. Altri due flash. Lei ha conosciuto il maresciallo Oreste Leonardi, che dal 1963 seguiva Moro con l'appuntato Ricci. Secondo la sua valutazione, considerata anche la descrizione che le Brigate rosse fanno della scorta di Moro, è possibile che il maresciallo Leonardi in via Fani non abbia avuto la possibilità di reagire e di sparare neanche un colpo? Lei ha avuto mai la sensazione che anche lì ci sia qualche cosa che non riusciamo ancora a capire?

  LUIGI FERLICCHIA. Leonardi è stato uno di quelli che ci ha manifestato, prima del rapimento, uno stato d'animo di preoccupazione generale. Io facevo spesso tandem con il senatore Giovanniello nei vari contatti con Leonardi. Leonardi diceva: «Sono tempi difficili. Siamo preoccupati». Giovanniello poi diceva a me: «Non fare troppe domande, Gino», perché io ero invadente in questo. Leonardi manifestava una preoccupazione per il discorso generale, questo devo dirlo.

  GERO GRASSI. Ultima domanda. Alcuni mesi fa è venuto in Commissione il dottor Nicola Rana. Ne ha fatte due di audizioni, perché nella seconda, su input del presidente, si è rimangiato parte delle false dichiarazioni dette nella prima, ma questo non riguarda lei. A un certo punto, il dottor Rana, parlando dell'ultima visita di Moro in Puglia, che risale a fine novembre-inizi di dicembre del 1977, dico ultima visita con comizi, perché l'ultima fu quella del funerale del fratello del professor Dell'Andro che è...

  LUIGI FERLICCHIA. L'11 febbraio.

  GERO GRASSI. L'11 febbraio 1978. Il dottor Rana, a un certo punto – evidentemente sarà stato colto da un'amnesia, oppure l'età... – ha detto che una sera del novembre 1977 io e lei avremmo bloccato la macchina di Moro sulla provinciale Ruvo-Corato, mettendoci per strada, e, da facinorosi, quale lei era parzialmente e io più di lei, avremmo parlato con Moro e gli avremmo imposto di nominare sottosegretario il professor Renato Dell'Andro.
  Io al dottor Rana ho spiegato che all'epoca avevo vent'anni, nemmeno compiuti. Poi ho detto anche che lei era il segretario provinciale della DC.

  PRESIDENTE. La rilevanza penale del fatto è significativa?

  GERO GRASSI. Ho detto anche un'altra cosa, che sponsorizzare a Moro il professor Dell'Andro era assurdo, perché il professor Dell'Andro e Moro erano la stessa cosa.
  Tra l'altro, la permanenza al Governo del professor Dell'Andro era cosa che prescindeva dalla volontà del segretario provinciale o di un iscritto alla DC di Terlizzi che mai avrebbe immaginato di venire qui dopo trent'anni.
  Siccome lei era presente a quell'incontro, a quella vicenda, che non si svolse nei termini in cui l'ha raccontata il dottor Rana, ce la vuole brevemente riepilogare?

Pag. 13

  LUIGI FERLICCHIA. Sì, la spieghiamo bene. Io ho pure scritto una lettera al presidente della Commissione al riguardo, volendo portare il mio contributo di verità a questa vicenda.
  L'episodio si riferisce al 1974, quando si stava costituendo il quinto Governo Rumor e si era in crisi e Moro non era a Roma, ma a Bari. Nella sua qualità di Ministro degli affari esteri fece gli onori di casa al Ministro francese Jobert, perché nel febbraio del 1974 c'era stato un vertice a Washington e l'Europa era apparsa divisa, con la Francia, che rivendicava il ruolo dell'OCSE. Sta di fatto che in quell'occasione, alla presenza di Kissinger, l'Europa apparve divisa tra Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna, che aveva aderito da poco alla CEE.
  A quel punto, Kissinger, vista la sfasatura, ne rimase colpito e disse: «Vedetevela voi europei per questi aspetti». Moro si fece carico nei confronti della Francia di farsi mediatore. Allora invitò Jobert a Bari e lo tenne lì tre giorni, facendogli visitare tutta la Puglia. In quell'occasione, mentre Jobert era a Bari, c'era la crisi a Roma. A Bari si svolgeva un'opera di mediazione all'interno della Comunità europea e Moro non poteva seguire la formazione del Governo.
  A Roma Dell'Andro era sottosegretario uscente e ci si aspettava tranquillamente la sua conferma nell'incarico. Da otto mesi Dell'Andro era ritornato al Governo, a fronte anche del Congresso nazionale del 1973 dove Moro personalmente disse: «Ritengo giusto che Dell'Andro faccia il sottosegretario».
  Dopodiché a Roma si riuniscono Zaccagnini, Franco Salvi, Pisanu, Cervone, Belci e qualche altro e indicano i sottosegretari. Moro è a Bari, Dell'Andro è a Bari, c'è una telefonata di Zaccagnini a Moro molto generica. Moro non era la persona che imponeva. A quel punto, Dell'Andro fu fatto fuori e Tina Anselmi entrò. Non è il problema di Tina Anselmi, il problema è di Renato Dell'Andro.
  In quell'occasione noi stavamo tranquilli a Bari. Moro stava facendo il suo giro nei vari comuni ed era accompagnato anche nel corteo dalla macchina del segretario provinciale dell'epoca, che era Enzo Sorice. Noi rimanemmo stupiti dell'esclusione di Dell'Andro del Governo, la mattina del 16 marzo 1974.
  A quel punto, siccome si seguiva Moro in questo suo giro, ci fu un amico... Non c'è stato nessun assalto, non c'è stata nessuna aggressione. Moro ha fatto gli onori di casa con Jobert in tutto e per tutto. Quando, a Trani, arrivò Rana, un amico, il dottor Nello Guglielmi, lo avvicinò e fece le sue rimostranze. Guglielmi era un amico personale di Renato Dell'Andro, che noi conoscevamo bene, cognato di Ninì Maggiore. Lo avvicinò e gli disse: «Ma cosa avete fatto a Roma? Perché avete escluso Dell'Andro? Come, la sera prima Dell'Andro stava nel Governo e stamattina non c'è più?» Quindi, una protesta civile. Nessun problema di altro genere.

  PRESIDENTE. Abbiamo capito. Credo che l'onorevole Grassi sia soddisfatto della ricostruzione della «scena del crimine».

  MASSIMO CERVELLINI. Ingegner Ferlicchia, lei ha detto, rispondendo al senatore Fornaro, che la poca conoscenza di Prodi non ha permesso di verificare allora, quando emerse, la notizia del covo di via Gradoli. Però voi eravate andati all'incontro nel quale lei ha ricordato che tanto Pisanu quanto Cavina erano contrariati da quella vicenda...

  LUIGI FERLICCHIA. Erano stupiti.

  MASSIMO CERVELLINI. Stupiti e anche contrariati, mi è parso di capire.

  LUIGI FERLICCHIA. Contrariati, sì.

  MASSIMO CERVELLINI. Ecco. Alla luce della scoperta del covo, lei e Dell'Andro come avete valutato e, soprattutto, cosa avete fatto? Mi sento di escludere che, non nei confronti di Prodi, con cui non avevate quel tipo di relazione, ma nei confronti di Pisanu e Cavina, non abbiate cercato di trasformare quello stupore e contrarietà in Pag. 14un'iniziativa, perché è qualche cosa di enorme.

  LUIGI FERLICCHIA. Che potevamo fare? Potevamo imporre a Pisanu e a Zaccagnini di prendere delle iniziative? Non avevamo questo potere e non avevamo questa forza.

  MASSIMO CERVELLINI. Ma è stata posta la questione a loro? Se non è stata posta a Prodi, a loro è stata posta da voi, da Dell'Andro, insieme con altri?

  LUIGI FERLICCHIA. Posta in che senso, scusi?

  MASSIMO CERVELLINI. Nel senso che da un'informazione...

  PRESIDENTE. Il senatore Cervellini le sta chiedendo: siccome lei del nome Gradoli l'aveva saputo giorni prima, quando poi è uscito fuori che c'era un covo in via Gradoli avete chiesto: «Ma l'avete cercato o no questo covo di via Gradoli?»

  LUIGI FERLICCHIA. Al telefono, sì, l'abbiamo detto questo. Questo è stato detto: «Diamine, farsi sfuggire così le cose!». A quel punto, però, come si dice, cosa fatta capo ha. Le cose erano talmente un accavallarsi...

  MASSIMO CERVELLINI. Perché lì era evidente che quell'informazione non era venuta da una seduta spiritica, no?

  PRESIDENTE. Non abbiamo elementi per confutarlo. Noi pensiamo...

  MASSIMO CERVELLINI. No, certo. Chi prima poteva interpretare in qualsiasi modo...

  GERO GRASSI. Non «pensiamo». Le sedute spiritiche non esistono. È diverso.

  PAOLO BOLOGNESI. Il presidente ride sotto i baffi.

  PRESIDENTE. Io non ho i baffi, quindi non posso ridere sotto i baffi. Faccio presente che «Le sedute spiritiche non esistono» è un'affermazione di Grassi.
  Adesso facciamo pure il dibattito sulla seduta spiritica!
  Lasciamo parlare il senatore Cervellini.

  MASSIMO CERVELLINI. Io voglio capire; perché escludo lei e Dell'Andro, per le motivazioni, per i sentimenti che intercorrevano, non abbiate posto il problema che quello che non si era fatto prima – ritenendolo qualche cosa di inconsistente, persino che faceva magari perdere tempo rispetto a filoni di indagine più pregnanti – alla luce di quanto scoperto era diventato fondamentale. Ciò al di là del passaggio successivo, che non è il covo ormai vuoto apre uno scenario. Per voi che andavate alla ricerca anche di effettivi collegamenti, lì si poteva aprire uno scenario e, quindi, chi era preposto a...

  LUIGI FERLICCHIA. A dover agire non ha agito.

  MASSIMO CERVELLINI. Quindi, voi l'avete fatto presente?

  LUIGI FERLICCHIA. Certo. Questo l'abbiamo detto, diamine. La nostra posizione era polemica. Poi abbiamo subìto anche un'emarginazione nei mesi successivi, nelle settimane successive. Noi siamo stati, in sostanza, presi e ibernati. Lei pensi che il sindaco di Bari Lamaddalena, moroteo, nei 55 giorni ebbe la mozione di sfiducia per farlo cadere da sindaco. Lei pensi che io ero segretario provinciale e ho avuto la mozione di sfiducia. Quindi, siamo stati praticamente presi, reietti, congelati.
  Dell'Andro lo si dava per non eletto nel 1979 alle elezioni politiche. Invece, la base di Bari dette a Dell'Andro – non più sottosegretario, non più uomo di Governo – un consenso ancora maggiore.

  MASSIMO CERVELLINI. Quindi, Pisanu e Cavina, nella fattispecie, alle vostre rimostranze alla luce di quanto era avvenuto, che cosa vi risposero? Al di là dell'aspetto Pag. 15 politico, proprio nel merito del fatto che quel biglietto diceva di un covo e, quindi, quella pista...?

  LUIGI FERLICCHIA. Il biglietto diceva quelle tre cose che ho riferito.

  PRESIDENTE. Non diceva di un covo. Diceva di quelle tre cose.

  MASSIMO CERVELLINI. È evidente. Come risposero? Al di là dell'aspetto politico e dell'emarginazione a cui siete stati sottoposti, che spiegazioni davano?

  LUIGI FERLICCHIA. Che spiegazioni potevamo dare?

  MASSIMO CERVELLINI. Non voi.

  LUIGI FERLICCHIA. Roma.

  MASSIMO CERVELLINI. Cavina e Pisanu.

  LUIGI FERLICCHIA. Non davano spiegazioni. Si trinceravano. Se le tenevano per sé. Non venivano a confidarsi con noi.

  PAOLO CORSINI. Mi scuso anche con i colleghi perché la mia domanda è molto marginale e non attiene direttamente al caso Moro.

  PRESIDENTE. Ormai, dopo la domanda di Grassi...

  PAOLO CORSINI. Siccome mi interessa moltissimo e credo sia un personaggio di notevole statura, vorrei farle una domanda sulla figura di Franco Salvi. Vorrei capire, dal colloquio che lei ha avuto con lui e suppongo, può essere, anche da successivi incontri, o comunque dal sistema delle relazioni che lei ha intrattenuto con Salvi, come interpreta questa la sua durezza e intransigenza sulla questione della trattativa e circa le misure da adottare per giungere alla liberazione di Aldo Moro? È frutto di un'intransigenza ideologica? È frutto di un'appartenenza correntizia? È riconducibile ad ascendenze che riguardano – dovrei approfondire questo tema – un'interpretazione che Salvi dava della Resistenza italiana? Quali sono, secondo lei, le ragioni che portano Salvi a questa posizione?

  LUIGI FERLICCHIA. La cosa potrebbe essere articolata, perché Salvi è stato il capo di gabinetto di Moro, quando Moro era segretario del partito. Allora era il dottor Franco Salvi, poi nel 1963 fu eletto deputato. Salvi nell'ambito della DC centrale ha sempre avuto un ruolo, tant'è vero che Moro gli affidò l'Ufficio formazione. Salvi formava i quadri.

  PAOLO CORSINI. Non dimentichiamo che Salvi venne sputacchiato, letteralmente sputacchiato, in occasione di un congresso democristiano perché intervenne a spiegare che, quanto alle radici ideologico-politiche del terrorismo, anche la cultura cattolica aveva delle responsabilità. Quindi, non era un uomo privo di coraggio, era capace di andare controcorrente. Come mai questa sua posizione di intransigenza così ferma e così irrimediabile, visto che Salvi, tra l'altro, era un cristiano di ispirazione autentica?

  LUIGI FERLICCHIA. Salvi aveva una sua convinzione ferma in questo. Diceva che il terrorismo lo si combatte in quella maniera.

  PAOLO CORSINI. Quindi, una motivazione esclusivamente politica.

  LUIGI FERLICCHIA. Sì. Era rigido proprio politicamente. Infatti, quando, nel 1980, Salvi e Dell'Andro ebbero il lungo colloquio di chiarimento, la conversazione fu drammatica, perché Franco Salvi si mise a piangere. In quell'occasione si ristabilì tra i due un antico rapporto che c'era, perché sia Dell'Andro sia Salvi erano persone strettamente legate ad Aldo Moro. Tant'è vero che Salvi, tutte le volte che si parlava di Moro, a Brescia o a Bergamo o altrove in Italia, chiamava sempre Dell'Andro a parlare, cosa che fino al 1980 non veniva fatta. Da quel momento, dopo quel lungo colloquio, quel Pag. 16lungo chiarimento, si ristabilì un rapporto fra i due che è andato avanti fin dopo.
  Moro poi alla moglie lo scrive, proprio umanamente, sapendo che, di lì a qualche momento, doveva essere ucciso. Sostanzialmente dice: «Franco Salvi dovrebbe rivedere quel suo lavoro sulla fermezza, perché non è servito a niente. È sbagliato quel tipo di impostazione». Quindi, Moro, che conosceva bene Salvi, aveva capito che era stato preso come ingranaggio mentale in quella logica. Non avendo più Moro che lo aiutava a decifrare le varie situazioni, Franco Salvi si è avvitato in quella situazione.
  Moro aveva questa grande capacità: non faceva avvitare nessuno. Spiegava, le persone le teneva due ore; poi uscivano convinte con il suo pensiero. Quando Moro è stato prigioniero, non poteva più convincere nessuno, perché era tutta cambiata la logica del raccordo, del contatto e via di seguito.

  PRESIDENTE. Bene. Non essendoci altre domande...

  LUIGI FERLICCHIA. Presidente, posso dire una cosa?

  PRESIDENTE. Sì. Un'auto-domanda con auto-risposta. Dica.

  LUIGI FERLICCHIA. Voglio specificare un dato. Durante il rapimento, il sindaco di Bari ebbe la mozione di sfiducia come sindaco democristiano. Noi avevamo 25 consiglieri su 60: 5 lattanziani con 5 morotei firmarono la richiesta di mozione di sfiducia e ci fu, in quell'occasione...

  FEDERICO FORNARO. Ci fu un comportamento non elegante, diciamo, tra le correnti democristiane in quella fase.

  LUIGI FERLICCHIA. La mozione di sfiducia fu firmata il 31 marzo, in pieno rapimento Moro. Io e il segretario cittadino non ci rendevamo conto del perché di quella situazione. Poi, dopo la mozione di sfiducia, Lamaddalena che cadde da sindaco e poi i dorotei che hanno preso in mano la situazione e Vito Lattanzio che è diventato il leader in provincia di Bari e tutte le cose...

  PRESIDENTE. Era iniziata la costruzione del dopo Moro.
  Non essendoci altri interventi, la seduta è aggiornata a giovedì prossimo, alle 14.30, nella sala del Mappamondo a palazzo Montecitorio.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.