XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 24 gennaio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 2 

Audizione del presidente dell'Istat, Giorgio Alleva:
Causin Andrea , Presidente ... 2 ,
Alleva Giorgio , presidente dell'Istat ... 2 ,
Piso Vincenzo (Misto-USEI-IDEA)  ... 9 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 10 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 10 ,
Alleva Giorgio , presidente dell'Istat ... 11 ,
Gandolfi Paolo (PD)  ... 12 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 14 ,
Miccoli Marco (PD)  ... 14 ,
Alleva Giorgio , presidente dell'Istat ... 14 ,
Cruciani Sandro , responsabile della direzione centrale per le statistiche ambientali e territoriali dell'Istat ... 15 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 15 ,
Causin Andrea , Presidente ... 15 ,
Alleva Giorgio , presidente dell'Istat ... 16 ,
Causin Andrea , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 11.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, in seguito, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente dell'Istat,
Giorgio Alleva.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente dell'Istat, Giorgio Alleva, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono inoltre presenti Sandro Cruciani, responsabile della direzione centrale per le statistiche ambientali e territoriali; Giovanni Alfredo Barbieri, responsabile della direzione centrale per lo sviluppo dell'informazione e della cultura statistica; Fabio Lipizzi, ricercatore presso la direzione centrale per le statistiche ambientali e territoriali, che ringrazio per la loro presenza.
  Do la parola al presidente Alleva con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento che potessero emerge dalla relazione.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istat. L'occasione offerta dalla Commissione d'inchiesta di ragionare sul tema del degrado delle periferie e, più in generale, sulla qualità della vita urbana è per l'Istat di grande interesse, sia perché questi temi rivestono oggi un'importanza prioritaria, sia perché è necessario che la statistica ufficiale vi dedichi uno sforzo conoscitivo e analitico adeguato.
  Il principale tema da affrontare è quello della definizione concettuale di che cosa sia da intendere per periferia. Il concetto di periferia, infatti, non è univoco, cambia nel tempo e può essere legato sia alla dimensione geografica sia a fattori socio-economici. Per questo, è difficile elaborare un corpo autonomo di definizioni, classificazioni e misurazioni che ne definisca il perimetro. Il concetto geometrico di periferia urbana, ossia di ambito geografico con la massima distanza geografica e cronologica dal centro situato nel cuore antico, ha perso da tempo il suo tradizionale significato e le sue implicazioni in termini di disagio. La distribuzione territoriale della periferia urbana non sempre è compatta, ma si rilevano spesso zone di disagio nei territori più centrali e, viceversa, aree con nuove centralità funzionali nei luoghi più vicini al confine geografico. La città diventa polifunzionale e policentrica: ciò determina una mancata corrispondenza tra aree periferiche, perché distanti dal centro storico della città, e aree marginali, in cui si palesa un disagio economico e sociale. In questo contesto, da un punto di vista statistico, quella censuaria rappresenta a oggi l'unica indagine statistica diretta, in grado di fornire il livello di dettaglio necessario a un'analisi funzionale del territorio come quella richiesta dallo studio delle periferie. Soltanto i dati censuari permettono di osservare le differenze sociali ed economiche all'interno di un'area metropolitana analizzando Pag. 3 partizioni territoriali minute, a un livello di dettaglio che le indagini campionarie non consentono.
  Come vedremo, partendo dalla georeferenziazione dell'informazione statistica dei censimenti del 2011, è possibile fornire interessanti indicazioni sulla localizzazione territoriale del disagio, utilizzando numerosi indicatori demografici, economici e sociali. Si tratta di un lavoro prodotto specificamente per quest'audizione e in grado – ci sembra – di proporre un quadro dei confini della marginalizzazione urbana. È un approccio che ha grandi potenzialità analitiche, visto il dettaglio delle informazioni disponibili – si può scendere fino alla singola partizione di censimento – e il numero di indicatori a disposizione, molto più ampio di quello che vi mostreremo oggi. Nel riconoscere la centralità della questione urbana, l'Istat è consapevole della necessità di uno sforzo innovativo di misurazione del territorio sia dal punto di vista del dettaglio territoriale, sia dal punto di vista della tempestività dell'informazione. Vanno in questa direzione le prospettive di realizzazione del censimento permanente della popolazione e di integrazione del sistema delle attuali statistiche economiche e demosociali, con diverse fonti amministrative, rese disponibili nel tempo, progetto a oggi in fase di sperimentazione. In particolare, il registro delle unità geografiche e territoriali, che sarà realizzato in Istat, avrà l'obiettivo di incorporare la georeferenziazione degli individui, delle famiglie e delle unità economiche mettendo a sistema l'insieme delle fonti disponibili. L'obiettivo è quello di costruire un'infrastruttura statistica attraverso la quale proiettare il complesso delle informazioni socio-economiche e ambientali sui territori. Le partizioni del territorio potranno essere arricchite con archivi satellite, big data e altre informazioni utili a descrivere il contesto territoriale di riferimento e, in particolare, ad aumentare la tempestività delle informazioni disponibili. Un valore aggiunto importante verrà dalla possibilità di integrare informazioni provenienti da diversi archivi in capo ad altri ministeri. Rientra in questo campo, ad esempio, la collaborazione con il Ministero dell'interno inerente alla criminalità nel Paese. Il connubio tra le prospettive aperte dal potenziamento dell'offerta di informazione statistica ufficiale e l'identificazione di nuove geografie funzionali costituirà un punto di partenza importante per permettere una migliore amministrazione del territorio da parte dei governi locali.
  Venendo al contenuto di quest'audizione, segnalo da subito che il tempo a disposizione ha permesso di condurre uno studio solo sulle città di Roma e Milano. Le analisi che presenteremo potranno tuttavia essere replicate su tutte le città metropolitane secondo le esigenze che verranno espresse dalla Commissione. Nel seguito, mi soffermerò inizialmente su un'analisi dei cambiamenti dei modelli insediativi osservati negli ultimi sessant'anni nelle città di Roma e Milano, resa possibile da uno studio sui dati censuari dal 1951 al 2011. Successivamente, illustrerò i risultati di un'analisi sulle differenze demografiche, economiche e sociali, per aree sub-comunali dei due comuni, realizzata con i dati del censimento 2011. Nella documentazione preparata per quest'audizione è disponibile anche un dossier in cui sono illustrate le principali informazioni provenienti da alcune indagini campionarie condotte dall'Istat sui cittadini. La natura campionaria delle indagini non permette di condurre confronti tra le città metropolitane, ma consente di individuare alcune indicazioni aggregate su fenomeni come la sicurezza dei cittadini, la povertà, l'accessibilità dei servizi. Vorrei infine ribadire la disponibilità dell'Istat a fornire tutte le informazioni di cui la Commissione riterrà opportuno disporre per realizzare l'importante lavoro che è chiamata a svolgere. Richieste più puntuali potranno essere affrontate in una nuova audizione o attraverso un documento specificamente redatto.
  Nel seguito, vi proporrò una sintesi del testo che vi è stato consegnato. Possiamo saltare la prima pagina su mobilità e modelli insediativi e andare alla seconda. Prima di procedere all'analisi dei principali indicatori demografici, economici e sociali delle aree sub-comunali delle città di Roma e Pag. 4Milano, è opportuno richiamare alcuni elementi relativi ai differenti modelli insediativi che hanno contraddistinto negli ultimi sessant'anni le due città. Per mostrarlo, utilizzeremo l'approccio teorico proposto da Emanuel, in cui la città è al centro, il cosiddetto core di un sistema periferico che le si articola intorno, il ring. Nello stadio di inizio del processo di transizione, la popolazione aumenta sia nel core sia nel ring: è la cosiddetta fase di urbanizzazione estesa. Nello stadio finale della stagnazione demografica negativa, core e ring sono entrambi in fasi di declino demografico. Tra questi due stadi si collocano situazioni diverse secondo quale elemento del sistema cresca o decresca. I due sistemi di Roma e Milano attraversano nei primi due decenni considerati (1951-1961 e 1961-1971) una chiara fase di urbanizzazione estesa, in cui tutte le componenti, sia quella centrale sia quella periferica, risultano in crescita. A partire dal terzo decennio (1971-1981), si segnalano comportamenti non omogenei. Nel sistema urbano di Milano il core perde popolazione, per cui la crescita è completamente ascrivibile ai guadagni di popolazione registrati dalla componente periferica. Successivamente, nel decennio 1981-1991, si passa rapidamente a una fase nella quale le perdite del core non vengono controbilanciate dai guadagni del ring e si determina una diminuzione della popolazione complessiva. Tale fase permane anche nel periodo 1991-2001, mentre nell'ultimo decennio, intercensuario, il sistema ritorna a crescere, soprattutto grazie ai guadagni del ring, che riescono a compensare le perdite, per la verità molto esigue, del core.
  Nel sistema urbano di Roma il passaggio da una fase all'altra del ciclo di vita avviene con un decennio di ritardo. Come detto, nei primi tre decenni il sistema permane in una fase di urbanizzazione estesa, in cui sia il core sia il ring registrano variazioni positive di popolazione. Nei due decenni successivi, il core del sistema perde popolazione. Nel primo, le perdite sono controbilanciate dai guadagni del ring, mentre nel secondo i guadagni della componente periferica non riescono a compensare le perdite di quella centrale, per cui il sistema decresce. Nell'ultimo decennio, anche il core riprende a crescere, così come l'intero sistema, che torna a transitare in una fase di urbanizzazione estesa. Le dinamiche appena descritte sono legate a una differente gerarchia interna ai due sistemi. Questa può essere valutata analizzando se nei sistemi urbani considerati abbia prevalso nel tempo la concentrazione della popolazione nei comuni capoluogo o se, al contrario, si siano imposte dinamiche di redistribuzione e dispersione della popolazione verso i comuni della cintura urbana.
  Mentre nel sistema di Milano sembra emergere una graduale tendenza al policentrismo, Roma si caratterizza sin dagli anni Cinquanta con un sistema spiccatamente monocentrico, e questo carattere si rafforza sempre più in tutto il periodo di osservazione. Nell'ultimo decennio censuario, 2001-2011, la popolazione è tornata a crescere in entrambi i sistemi urbani. L'incremento medio è pari al 4,6 per mille a Milano e al 6,4 per mille nel sistema di Roma. In questa fase, l'immigrazione dall'estero è senza dubbio uno dei motori dell'aumento demografico. Nel sistema di Milano la popolazione cresce non solo per effetto del saldo migratorio netto con l'estero, ma anche in funzione di un incremento naturale medio dell'1 per mille, attribuibile interamente alla fascia territoriale periferica del sistema. Anche la crescita della popolazione di Roma è trainata dalle immigrazioni provenienti dall'estero, +5,3 per mille su una crescita demografica media del 6,4 per mille. Particolarmente sostenuto è l'incremento della popolazione nel ring, +18,3 per mille, in cui è ancora rilevante il fenomeno delle migrazioni interne oltre che di quelle internazionali.
  Passiamo a una lettura dei comuni di Roma e Milano attraverso i dati del censimento 2011. L'analisi che proponiamo in questa audizione si basa sui risultati di uno studio su aree sub-comunali delle città metropolitane di Roma e Milano, a partire dall'ultimo anno censuario 2011. L'obiettivo è di identificare i luoghi marginali delle città, dove è più profondo il disagio socio-economico, a partire da una mappatura Pag. 5 dei dati del censimento. Da un punto di vista statistico ci sono diversi elementi concettuali da precisare.
  Anzitutto, le suddivisioni prescelte per l'analisi dei due maggiori comuni italiani hanno una connotazione storica e funzionale. Per Roma, sono state utilizzate le 155 zone urbanistiche (ZU), istituite nel luglio del 1977, che suddividono le 15 aree amministrative municipali. Per Milano, sono state considerate le 88 aree che identificano i nuclei di identità locale (NIL), che generalmente seguono i confini delle aree amministrative municipali. Tali partizioni sono state selezionate per la maggiore omogeneità morfologica, ambientale e demografica, rispetto alle altre aree sub-comunali esistenti. Alcuni NIL e zone urbanistiche sono poco popolate perché costituite da parchi, verde urbano, monasteri, ospedali, cimiteri, e in questi casi i valori esigui del numero di abitanti e di occupati generano valori degli indici statistici fuori scala. Per questo, le aree in questione sono state escluse dalla presente analisi. Per quanto riguarda i 9 indicatori, essi sono stati selezionati sia per tenere conto delle dinamiche demografiche sia per la loro capacità di intercettare le zone con maggior disagio. Si tratta di un set di indicatori che consente di rappresentare diversi aspetti della marginalità che caratterizzano al loro interno le grandi realtà urbane e che permettono di cogliere le potenzialità offerte dai dati censuari ai fini della comprensione della distribuzione dei fenomeni sul territorio e delle loro relazioni. La loro visualizzazione cartografica facilita una lettura comparata degli indicatori osservati nelle diverse zone della città, il cui esame congiunto permette anche di verificare se sussistano zone in cui alcuni fenomeni finiscono per sovrapporsi o se non si osservi alcuna associazione tra di essi. Tutti gli indicatori utilizzati provengono dai censimenti generali della popolazione dell'industria e sono disponibili per l'unità territoriale minima, la sezione di censimento, da cui per aggregazione è possibile ricostruire le partizioni territoriali di ordine superiore. Gli indicatori sono disponibili a livello sia di aree sub-comunali sia di sezioni di censimento, in modo da poter identificare all'interno della corrispondente zona di appartenenza eventuali specificità del territorio a livello micro, dove poter eventualmente concentrare l'attenzione. Ogni cartogramma viene rappresentato utilizzando i quintili della distribuzione delle variabili, calcolati al netto delle aree escluse. Si tratta dei valori che dividono la distribuzione in cinque parti della stessa dimensione: il primo quinto sono le unità con i valori più bassi, l'ultimo quelle con i valori più elevati.
  Sviluppata prevalentemente a raggiera lungo le principali vie consolari, Roma ha subìto vari interventi di ricostruzione e ammodernamento delle vecchie borgate, costruite nella campagna degli anni 1924-1937. Lo scopo di queste nuove costruzioni era quello di trasferirvi i residenti del centro storico a seguito di nuovi progetti di demolizioni e ristrutturazioni urbanistiche. Negli anni più recenti, molte di queste aree hanno subìto degli importanti interventi urbanistici. Le aree costruite in aperta campagna ora sono per lo più saldate con il centro principale di Roma, che generalmente ha inglobato il territorio, prima sconnesso dal centro abitato. Lungo le vie consolari di Roma si sono sviluppati sia insediamenti a edilizia intensiva, sia attività commerciali e terziarie, mentre nel centro geografico della città la densità residenziale è più contenuta. Nel primo municipio, ad esempio, risiede il 4 per cento della popolazione. Un quarto della popolazione romana è concentrata in dieci zone urbanistiche su un totale di 155. Si tratta di Ostia Nord, Borghesiana, Torpignattara, Tuscolano sud, Trieste, Centocelle, Gianicolense, Don Bosco, Primavalle e Torre Angela. Tra queste, quella di maggiore dimensione è Torre Angela, con un valore superiore a 80.000 abitanti, di poco inferiore al comune di Varese, il 79° dei comuni italiani ordinati per popolazione. In quest'area, l'insediamento di Tor Bella Monaca è quello più popoloso. L'area dove si concentra maggiormente la popolazione è all'interno del Grande Raccordo Anulare. A livello di densità, le zone urbanistiche più significative sono quelle più esterne alla zona storica Pag. 6della città. Le ZU con densità elevate, con maggior rilevanza, sono Torpignattara, Gordiani e Centocelle a est, tra la via Casilina e la via Prenestina; le zone Tuscolano, Appio, Quadraro e Don Bosco a sud-est, tra la via Appia e Tuscolana; Gianicolense e Marconi, la zona urbanistica con la densità maggiore nel comune, con un valore pari a 24.500 abitanti a chilometro quadrato, a sud; le zone urbanistiche di Prati, Eroi, Salario, Trieste e Parioli a nord. Le zone periferiche hanno una densità bassa, inferiore o pari alla media comunale: fanno eccezione le zone di Ostia e Acilia per quanto riguarda il quadrante sud, e la zona di Torre Angela a est della città.
  Per quanto riguarda l'indicatore di centralità, che concettualizza gli spostamenti per studio e lavoro di alcune aree verso le altre, le zone dalle quali nascono i flussi pendolari, le aree più chiare nel cartogramma, sono collocate nella maggior parte dei casi nella periferia geografica della città, all'interno e all'esterno del Grande Raccordo Anulare. La loro localizzazione è generalmente limitrofa a zone fortemente attrattive, soprattutto nel quadrante est della città. Tuttavia, come sarà chiaro confrontando le mappe successive, le zone meno centrali non coincidono necessariamente con le aree più marginali. La concentrazione di aree a forte centralità nel centro storico della città evidenzia, invece, come le difficoltà legate alla mobilità della capitale derivino anche da un'elevata concentrazione dei flussi della città diurna nelle zone centrali. Com'è noto, l'Italia è un Paese con una forte fragilità demografica, dovuta principalmente all'invecchiamento della popolazione residente. L'indice di vecchiaia è pari a 148,7 abitanti, ossia ogni 100 giovani ci sono circa 150 individui nella classe di età di 65 anni e oltre. Anche nella capitale i dati dell'ultimo censimento confermano questa tendenza. L'indice di vecchiaia è pari a 162,6. La distribuzione territoriale mostra la peculiare forma della diffusione dell'indicatore nella città. Nel centro geografico si concentra la popolazione più anziana. Spostandosi nelle zone periferiche l'indicatore diminuisce di valore e la popolazione è comparativamente più giovane. L'indicatore assume un valore inferiore a 100, ossia con una popolazione più elevata nella fascia in età più giovane, in 35 zone periferiche, delineando un gradiente spaziale dal centro geometrico verso la periferia della città. Per la delimitazione delle periferie urbane è particolarmente utile l'incidenza percentuale della popolazione giovanile nella classe 0-14 anni. A Roma, il valore è pari al 13,4 per cento, mentre sono 48 le zone che presentano valori superiori al 15 per cento. In valore assoluto, le dieci zone con il maggior numero di individui in questa classe di età sono anche quelle più popolose, citate precedentemente, con l'eccezione di Torpignattara e l'inserimento della zona del Torrino. Anche in questo caso, Torre Angela ha una sua peculiarità caratteristica. È infatti la zona che risulta molto più giovane rispetto alle altre: sono oltre 12.000 gli individui in questa classe di età. In termini percentuali, in quest'area è concentrato circa il 3 per cento degli individui romani in questo segmento di popolazione.
  In Italia, gli stranieri aventi dimora abituale, residenti, sono passati da circa 1,3 milioni alla fine del 2001 a più di 4 milioni nel 2011 e superano attualmente 5 milioni, oltre l'8 per cento della popolazione residente. A Roma, nel 2011 rappresentavano l'8,6 per cento dei residenti della città. Un aspetto particolare sono la distribuzione territoriale e i modelli insediativi adottati dalle varie collettività. La geografia insediativa degli stranieri è infatti uno degli elementi di adattamento alla realtà di adozione, ma è anche un'espressione dei legami interni alla comunità e delle relazioni tra il territorio e la specializzazione lavorativa. Circa il 27 per cento dei cittadini stranieri risiede in nove zone urbanistiche, per un valore complessivo pari a circa 60.000 individui. Tra questi, i due valori più elevati, con un'incidenza superiore al 2 per cento del complesso dei cittadini stranieri, si registrano nella zona del centro storico e di Torre Angela.
  Un altro aspetto di rilievo è il tema dell'istruzione. In quest'ambito, è stato calcolato l'indice di non completamento del ciclo della scuola secondaria di primo grado Pag. 7nella fascia di età tra 15 e 52 anni. Le mappe di Roma mostrano un cluster esteso, che, partendo dalla parte centrale della città, passando per l'Esquilino e Trastevere, si estende in aree periferiche interne al Grande Raccordo Anulare lungo la periferia est, e con una contiguità spaziale anche fuori del Grande Raccordo Anulare: Torre Angela, Giardinetti Tor Vergata e Borghesiana. A ovest, invece, sono particolarmente significative le zone di Fogaccia, Casalotti e Ostia Nord. Si tratta di aree in cui inevitabilmente si sommano ulteriori criticità. In particolare, in molte delle aree precedentemente individuate, aggiungendo anche la zona del Tufello, ma anche quelle di Corviale e Acilia, si rilevano valori più elevati del tasso di disoccupazione dei residenti. Elevati tassi di disoccupazione, la loro persistenza nel tempo, la mancanza di opportunità economiche e di costruzione di progetti assistenziali concreti, sono tutti fenomeni che, associati, contribuiscono all'impoverimento materiale e culturale della popolazione. In questo ambito, è stato analizzato il segmento di popolazione tra i 15 e i 29 anni, selezionando gli individui fuori dal mercato del lavoro e dalla formazione, i NEET. Nel 2011, Roma aveva il 10,7 per cento della popolazione di quell'età in questa condizione. Territorialmente, i valori superiori al 13 per cento sono distribuiti in 19 zone urbanistiche. Tra queste, va ricordata anche la presenza di alcune zone del centro storico. In queste ultime è molto consistente la presenza di giovani immigrati al di fuori dei canali ordinari di formazione e lavoro. Nelle altre aree invece si sommano i problemi già rilevati dagli altri indicatori. Anche il potenziale disagio economico delle famiglie con figli, la cui persona di riferimento ha fino a 64 anni e nessun componente è occupato: o ritirato dal lavoro, è più marcato nelle zone che abbiamo già descritto come quelle in cui si osservano i segni di un maggiore disagio sociale. Nella zona di Torre Angela, il numero di famiglie in questa condizione è pari al 4 per cento e valori appena inferiori si ritrovano in alcune delle aree già precedentemente descritte. L'ultimo indicatore analizzato, gli addetti nel settore delle attività creative per cento abitanti, mostra la concentrazione prevalente nelle zone urbanistiche del centro storico.
  Passiamo al comune di Milano. Mentre Roma si estende su una superficie di 1.287 chilometri quadrati, Milano è quasi dieci volte meno estesa, 182 chilometri quadrati, ed è dunque molto più densa. Nella cintura urbana di Milano lo sviluppo insediativo è il risultato di scelte e spinte urbanistiche di diversa natura, che hanno contribuito a sedimentare l'organizzazione funzionale della città. In questo quadro complesso, dove si dispiegano diversi interessi che agiscono sul territorio, la densità di popolazione segue la caratteristica forma delle aree in centri concentrici, riproducendo un gradiente della distribuzione spaziale della densità di popolazione moderato nel centro della città, intermedio per le aree a ridosso di Duomo, più elevato, con oltre 15.000 abitanti per chilometro quadrato, nelle aree più esterne. Il disegno che emerge dal gradiente spaziale della densità di popolazione contribuisce alla connotazione della città notturna, spesso complementare alle funzioni della città diurna. L'indice di centralità dei NIL del comune individua le aree che non riescono ad attrarre flussi e che, al contempo, registrano un'elevata densità di popolazione notturna. Si tratta degli storici quartieri dormitorio.
  Da un punto di vista demografico, la città di Milano appare mediamente più vecchia rispetto a quanto registrato nel Paese: 196,3 l'indice di vecchiaia calcolata dal censimento 2011, contro 148 dell'Italia. Ben 31 sono i NIL con un valore superiore dell'indicatore. Rappresentano il 45 per cento della popolazione residente, tra cui rientrano aree situate ai confini della città. Tra le più popolose, si ricordano Gallaratese a nord-ovest, Barona e Bande Nere a sud-ovest, Mecenate e Parco Lambro-Cimiano a est, quest'ultimo, similmente al NIL Niguarda-Ca'Granda, per lo più zona residenziale con elevata dotazione di servizi, soprattutto grazie alla presenza di un presidio ospedaliero. Per contro, risultano relativamente più giovani, tra gli altri, i NIL di Rogoredo e Adriano, in cui il numero di abitanti da 0 a 14 anni supera quello della Pag. 8popolazione in età più avanzata; il quartiere di Bicocca; i NIL di Lambrate, Affori e San Siro. Tali evidenze sono in parte riconducibili a una maggiore incidenza degli stranieri residenti, in considerazione del fatto che sono proprio le persone più giovani che emigrano alla ricerca di condizioni e prospettive di vita migliori. La presenza degli stranieri infatti è relativamente più sostenuta nei NIL di Lambrate, Adriano e Affori, cui si aggiungono i quartieri di Loreto, Selinunte, Padova, Villapizzone, Scalo Romana, Giambellino, Viale Monza e Quarto Oggiaro, per citare i più popolosi, dove insiste spesso l'edilizia residenziale popolare e/o a basso costo.
  In una fase in cui la domanda di lavoro si contrae notevolmente, le difficoltà di trovare un'occupazione sono tanto più elevate quanto più bassa è la qualifica, ossia il livello di istruzione e formazione degli individui. Dall'analisi degli indicatori relativi all'istruzione e alla formazione, risulta un tasso di non completamento del ciclo della scuola secondaria di primo grado della popolazione 15-52 anni maggiore nei NIL del quadrante nord-ovest della città, in particolare Quarto Oggiaro, 7,3 per cento, e Comasina, 7,2 per cento, escludendo le aree scarsamente popolate di Cascina Triulza-Expo e Stephenson, cui si aggiungono, tra gli altri, Villapizzone, Dergano, Affori e Scalo Romana a sud, tutti con un valore dell'indicatore superiori al 5 per cento. Molti di questi NIL presentano anche un'incidenza più elevata della media in termini di giovani tra i 15 e i 29 anni, che risultano fuori dal mercato del lavoro e dai percorsi formativi, i NEET. Anche in questo caso, oltre a Cascina Triulza-Expo, Stephenson e Triulzo Superiore, Quarto Oggiaro risulta uno dei NIL in cui la quota di giovani che non studiano, non lavorano e non sono alla ricerca di lavoro, risulta più elevata, il 12,2 per cento, rispetto all'8,1 per cento della media cittadina. Al di sopra del 10 per cento sono anche le quote dei NIL di Selinunte, Bovisa, Padova, Villapizzone, Giambellino e Dergano, per citare i quartieri più popolati, mentre i livelli più bassi si raggiungono nei NIL più centrali, luoghi che più rappresentano la città diurna e produttiva, come ricordato in precedenza.
  Il maggiore disagio giovanile sembra riflettersi in un tasso di disoccupazione più elevato. Sebbene la città di Milano registri una disoccupazione mediamente più contenuta rispetto ad altre realtà, all'interno della città coesistono situazioni di palese emergenza occupazionale, con aree più virtuose. Escludendo l'area Expo, è ancora una volta Quarto Oggiaro il NIL con il tasso di disoccupazione più elevato, il 9 per cento, seguìto da Barona, Gratosoglio, Ticinello, Selinunte, Lorenteggio, Bruzzano, Scalo Romana, quest'ultima con una disoccupazione che sfiora il 7 per cento. Per contro, i NIL centrali sono caratterizzati da disoccupazione frizionale, con tassi inferiori al 4 per cento. In più di un caso, la coesistenza di tali fenomeni si accompagna a un potenziale disagio economico-familiare superiore che in altri luoghi. È il caso di Quarto Oggiaro, in cui il numero di famiglie con figli, la cui persona di riferimento ha fino a 64 anni, e in cui nessun componente è occupato o è ritirato dal lavoro, raggiunge il 2,6 per cento del totale. Tale forma di disagio è presente, oltre che in altri quartieri popolari, ad esempio Forze Armate, Barona, Scalo Romana, anche in alcuni NIL centrali. Tale evidenza potrebbe essere riconducibile sia alla presenza di famiglie con rendite diverse dal lavoro e dalla pensione, sia alla presenza di famiglie straniere, censite presso i centri di accoglienza, quali ad esempio la Caritas Ambrosiana.
  In effetti, i NIL del centro città sono universalmente riconosciuti quali aree ricche. Non a caso, l'incidenza di addetti in attività creative e culturali sulla popolazione residente, indicatore che denota un maggior fermento sociale e plausibilmente più elevata capacità di spesa degli individui, è relativamente più sostenuta in tali NIL. Quartieri quali Duomo, Brera e Guastalla, tutti con valore dell'indicatore superiore al 20 per cento, custodiscono tesori d'arte e di storia della città, attorno ai quali si è generata una vivace imprenditoria culturale e non solo. Per contro, nei NIL di Barona, Gallaratese, Baggio, Forze Armate, Quarto Oggiaro e Mecenate, per lo più zone Pag. 9residenziali popolari, si registrano i valori più bassi dell'indicatore.
  A differenza che a Roma, dove l'analisi coglie processi di trasformazione urbana e di gentrification, con quartieri in passato proletario o piccolo borghesi e di edilizia popolare convenzionata, o addirittura spontanea, che diventano attrattori per le residenze e le attività culturali di fasce giovanili e relativamente abbienti, a Milano le zone più tradizionalmente popolari, quelle caratterizzate dagli interventi di edilizia residenziale pubblica di epoca fascista e del dopoguerra, hanno sostanzialmente mantenuto il loro carattere, ma con un progressivo cambio della composizione dei residenti, dagli operai lombardi d'anteguerra agli immigrati degli anni del boom, agli stranieri arrivati negli ultimi vent'anni. A Milano, si aggiunge poi un fenomeno relativamente più recente, quello del recupero a fini residenziali di aree in precedenza destinate alle attività industriali terziarie. È il caso dei grandi investimenti nell'area di Porta Genova, di Porta Nuova, dell'ex Fiera di Milano, dell'ex stabilimento Alfa Romeo del Portello, dell'ex Pirelli alla Bicocca. Tutte queste tendenze delineano traiettorie diverse e potenzialmente divergenti. La gentrification, ad esempio, porta al recupero e alla rinascita urbanistica di interi quartieri, quelli citati in precedenza, ma al tempo stesso espelle gli antichi abitanti, che non tengono il passo con la crescita dei prezzi delle residenze e dei servizi. Ancora, la trasformazione di parti del centro storico, ma anche di alcuni neo-centri come l'Eur a Roma, svuota gli edifici delle residenze, che vengono trasformate in uffici, e anche dei negozi e di laboratori artigiani, che vengono sostituiti da pubblici esercizi, ristoranti e locali. A Roma: Trastevere, Monti, San Lorenzo, Pigneto. A Milano: Brera, Garibaldi, Isola e Porta Genova.
  Per concludere, l'analisi che abbiamo presentato rappresenta un passo importante verso la conoscenza delle nostre città e delle nostre periferie. Come abbiamo visto, i temi della gentrification, dei giovani, dei migranti, si intrecciano sui territori e producono mappe del disagio non uniformi. A quest'analisi possono essere legate considerazioni relative alla distribuzione dei servizi sul territorio, al consumo del suolo, alla salute ambientale, alla mobilità e a molti altri temi rilevanti per la qualità del vivere urbano, tutti temi sui quali l'Istat intende proseguire le proprie iniziative di ricerca.

  VINCENZO PISO. Non ho nessuna domanda in realtà: abbiamo avuto una fotografia dello stato dell'arte di città come Roma e Milano. Si evidenzia in maniera macroscopica la peculiarità di Roma, che purtroppo non è stata fino adesso colta in tutta la sua importanza. Questa è sicuramente una responsabilità della politica. Al di là di noi, che siamo addetti ai lavori, il fatto che Roma, già soltanto da un punto di vista territoriale, sia dieci volte Milano e che abbia questa enorme estensione territoriale, dovrebbe spingere a qualche riflessione. Come ha ricordato nell'ultima parte del suo intervento, è evidente che sarebbe utilissimo che Istat riesca a uscire dal perimetro che fino adesso si è si è dato in termini di analisi, comprendendo una serie di settori, di ambiti, che sono interessantissimi e che contribuirebbero in maniera determinante a fornire una fotografia ancora più approfondita, ancora più reale e ancora più d'aiuto.
  I servizi rappresentano una delle cartina al tornasole per porre un discrimine tra zone centrali e zone periferiche, che come lei ha ricordato all'inizio non sono più riconducibili a un aspetto di carattere geografico, tanto che oramai in queste grandi città abbiamo situazioni che potremmo definire periferiche, inserite all'interno del corpo vivo delle città, in zone centrali. Roma ne ha diverse. Cogliere questi aspetti, da un punto di vista quantitativo e qualitativo, darebbe l'opportunità di una maggiore capacità di analisi, di penetrazione e anche di come affrontare alcune problematiche. Ribadisco che i servizi sono probabilmente l'elemento che può fare la differenza e che ricade maggiormente sui nostri concittadini: sono i servizi che determinano non dico tutta, ma buona parte della qualità della vita. Mi fermo a queste considerazioni. Mi sembra comunque di capire, al di là di quella che sarà la sua Pag. 10risposta, che avete già intenzione di muovervi in quest'importante direzione.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. È molto interessante, questa presentazione, e oltretutto con grandi idee e disponibilità per potere far sì che si possa approfondire ulteriormente questo tema. Una delle discussioni e delle valutazioni che alcuni di noi hanno fatto era diretta a individuare con maggior chiarezza le aree su cui concentrare l'attenzione, non tanto e solo della Commissione. Bisognerebbe capire se ci sono indicatori che possono aiutare il legislatore, ma anche gli amministratori, a intervenire in maniera più puntuale.
  Lei ha parlato delle città di Milano e di Roma come di Città metropolitane. In realtà, quella che è stata presentata è la città capoluogo. Siccome il tema Città metropolitane, al di là di tutte le critiche per la situazione in cui oggi versano, è centrale per gestire politiche di sistema, sarebbe molto interessante capire come estendere quest'analisi all'intera Città metropolitana. Questo potrebbe rendere più facile un compito che la Città metropolitana ha, ovvero di predisporre un piano strategico, il che sarebbe molto interessante. Per affrontare tematiche come il disagio sociale servono interventi che hanno bisogno di tempi lunghi e obiettivi certi: si potrebbe utilizzare l'istituzione Città metropolitana perché nel piano strategico, con il vostro aiuto, si farebbe un'analisi delle complessità del sistema, delle differenze tra territori, per poi capire come su alcune cose andare anche oltre confine. Sono milanese e so, ad esempio, che per la zona nord in questo momento ci sono molti progetti che il comune di Milano potrebbe avviare insieme ai comuni di cintura sul disagio sociale, con lo stesso finanziamento periferia appena fatto dal Governo: può essere utile evidenziare loro che quella popolazione è omogenea, perché in realtà è omogenea per moltissime motivazioni, per quantità di servizi, per la storia degli insediamenti. La prima domanda quindi è: è possibile? In quanto tempo? Oltretutto, ho guardato con attenzione, perché ne sono profondamente convinta, a uno dei motori dello sviluppo, che sono sicuramente scuola e cultura. Non esistono città policentriche. In queste città è sostanzialmente concentrato tutto al centro, se non per qualche episodio. I servizi – penso a Milano – specialmente quelli ospedalieri e la rete sanitaria, sono molto articolati, ma quanto alla cultura, non è nella testa degli amministratori specialmente della città capoluogo, di costruire una città veramente policentrica, che vuol dire un sistema di servizi, di opportunità analoghe. Certo, la città storica ha la storia, ma di fatto i servizi sono un'altra cosa. Sarebbe molto interessante su questi temi della scuola, della formazione, delle occasioni e anche dell'associazionismo...
  L'altro tema a cui non so dare una risposta, ma questa è la domanda, è: nelle zone più deprivate, con meno opportunità e con più rischio sociale, ci sono le stesse opportunità per la presenza di soggetti associativi che aiutino un processo dal basso o sono più poveri anche in questo? Una delle cose che viene fuori è come promuovere dal basso nuove reti di sostegno al miglioramento della vita di quei cittadini.

  ROBERTO MORASSUT. La ringrazio per l'ampia relazione e la documentazione, che naturalmente la Commissione dovrà metabolizzare, perché c'è molta materia. Tra l'altro, credo che l'Istat, se non sbaglio, abbia collaborato per quanto riguarda Roma alla redazione del recente rapporto sul comune di Roma-Città metropolitana, pubblicato nelle settimane scorse. Ho ritrovato molti elementi della lettura di quel rapporto molto interessante.
  La mia è, più che una domanda, una riflessione che sottopongo a una realtà come l'Istat, che naturalmente non si occupa di questo, ma che è un po’ l'antenna principale di cui disponiamo per leggere tanti processi sociali. Sono state illustrate due realtà, le due principali realtà metropolitane del Paese, molto diverse per morfologia, per storia insediativa, caratteristiche economiche-sociali. La mia riflessione è questa, partendo dal caso di Roma.
  A Roma si evidenzia una città divenuta negli ultimi anni, a partire dal 2008, quindi dagli ultimi dieci anni, più sola – se è vero il dato che circa l'80 per cento delle famiglie Pag. 11 romane è costituita da una o due persone, micro-nuclei – con una rete di servizi più diradata rispetto al resto d'Italia, con un reddito medio che per l'80 per cento arriva a circa 35.000 euro lordi l'anno, per il 40 per cento a circa 15.000, poi ci sono le fasce alte, che riguardano però un ristretto 20 per cento della popolazione, quindi con una serie di temi che riguardano l'efficienza della rete dei servizi sociosanitari, la costruzione di un sistema di mobilità adatto a cucire o collegare questa dispersa condizione insediativa, con problemi di intervento sulla rigenerazione urbana dei tessuti senza consumo di suolo e con un tema di identità e di programmazione dello sviluppo, che Milano ha di meno. Queste questioni non sollevano un problema di riforma della governance di queste due aree metropolitane? La domanda è: Roma e Milano, dato che comunque la riflessione che ci offrite è perimetrata sul campo metropolitano, più in particolare per Roma, possono continuare a essere governate? Queste domande riguardano competenze regionali in gran parte: possono continuare a essere governate, a essere il potere democratico sul territorio? Si può continuare ad avere una configurazione di questo tipo, cioè una competenza meramente amministrativa, poi distribuita sul territorio attraverso i municipi, o circoscrizioni o delegazioni – ognuno le chiami come vuole – che nella sostanza hanno competenze amministrative delegate, anche se a Roma si chiamano municipi, minisindaci, ma non sono dei comuni? Abbiamo una funzione amministrativa separata in due, qualcosa fa il municipio, qualcosa fa il comune, e poi c'è una regione che svolge le funzioni di indirizzo e di programmazione dello sviluppo, di indirizzo e di programmazione sulla sanità, sulle questioni urbanistiche e anche sulla gestione delicatissima dei fondi nazionali del trasporto e della casa, ma che arrivano nei comuni quattro anni dopo, perché questa è la realtà. I fondi nazionali per il trasporto e per la casa che vengono distribuiti alle regioni arrivano ai comuni, a tutti i comuni d'Italia mediamente tre anni e quattro anni dopo. Roma e Milano, questi due vagoni, questi due pistoni dell'economia italiana, con caratteristiche diverse, possono continuare ad avere queste macchine? Questa è la questione che sollevo, propongo, anche se non è compito dell'Istat rispondere, ma in qualche modo anche sì.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istat. Mi fa piacere che si sia colto che l'Istat si sta attrezzando per riuscire a dare un'informazione territoriale anche al di fuori dei perimetri della geografia amministrativa. Questo è il tema importante. Abbiamo diverse definizioni di periferie, ma dobbiamo costruirci diverse definizioni secondo gli obiettivi che ci diamo. Avere un'informazione micro-territoriale, georeferenziando il complesso delle informazioni consentirà di ricomporre il territorio per letture e approfondimenti via via differenti. Questo è un tema centrale. Stiamo andando in questa direzione. Ho colto giustamente che in questo panorama la questione dell'accessibilità ai servizi, in termini sia di dimensione, presenza/assenza, ma anche di qualità, è un elemento centrale. Non c'è dubbio che un territorio amico rispetto alla funzione residenziale produttiva, è un territorio dotato dei servizi alle imprese e alle famiglie, secondo le specializzazioni e le destinazioni del suolo: un'informazione sulla distribuzione dei servizi semplici e più avanzati nel territorio è un elemento cruciale. Noi possiamo desumere quest'informazione, e abbiamo questo lavoro in corso, attraverso gli archivi amministrativi. Non sono informazioni che tipicamente nascono dai censimenti, ma sono di natura amministrativa o che possiamo trarre con nuove fonti: ci stiamo attrezzando in questa direzione. Questo sicuramente farà fare un salto di qualità all'informazione che sarà disponibile per l'amministrazione del territorio. La lettura è poi quella congiunta della compresenza dell'insieme dei servizi per le imprese e per le famiglie. Colgo certamente questa centralità della vostra domanda: questo rafforza la nostra convinzione che quella sia una direzione importante.
  Vorrei aggiungere che, in realtà, questi servizi non devono avere un profilo fisso. Si tratterà di vedere quanto i servizi siano Pag. 12quelli esattamente richiesti dalle popolazioni. Dovremo avere una buona informazione sulle funzioni che svolgono le attività produttive, studiare la domanda dei cittadini, delle imprese, e poi capire quali sono i servizi che hanno a disposizione, tra quantità e qualità: costruendo cioè mappe collegate anche a temi differenti.
  Naturalmente, la georeferenziazione dell'informazione è un tema cruciale. Stiamo andando in questa direzione. Credo che, se ce lo chiedete, possiamo anche portare qualche approfondimento sulla questione della dotazione dei servizi, come d'altronde su altri temi che ho semplicemente aggiunto alla fine, che riguardano il tema del consumo del suolo, quindi dell'edificato in termini di dimensione e qualità, e in generale dell'ambiente delle città. Abbiamo anche su questo delle informazioni: non sono nell'esercizio portato oggi, ma sono temi su cui ci rendiamo disponibili.
  Quali indicatori? Dobbiamo avere una molteplicità di informazioni. La cosa interessante è proprio leggere congiuntamente i vari aspetti del degrado, della marginalità. Si tratta di riuscire a leggere un panorama ricco, in cui c'è la formazione, c'è la cultura, e tanti altri elementi. Più che selezionare l'indicatore, la cosa importante è avere una ricchezza di informazioni e saper cogliere da questa ricchezza le caratteristiche del territorio, la domanda, le emergenze. Quale indicatore deve emergere in un'analisi in cui però dobbiamo tenere conto di tante informazioni? Certamente, tra i servizi e tra le dotazioni del territorio, il tema delle reti e dell'associazionismo entra a pieno titolo. Non c'è dubbio che, specialmente in questo periodo, le reti informali e le associazioni hanno svolto un ruolo di sostegno. Anche questo tema fa parte dell'infrastrutturazione del territorio che dobbiamo saper leggere nella sua dimensione e qualità. Dico qualità perché dalle indagini dobbiamo capire anche la soddisfazione sui servizi. Ad esempio avere un pronto soccorso nel territorio, ma averlo chiuso per gran parte della giornata, nel fine settimana o non avere la possibilità di svolgere una serie di servizi... gli elementi qualitativi sono dunque importanti e vanno colti con tutti gli strumenti necessari.
  Roma e Milano ci hanno permesso di cogliere le differenze, e quindi le loro peculiarità, le storie degli spostamenti della popolazione e anche delle amministrazioni. Certamente, sono due realtà grandi, complesse, in cui è essenziale un'azione congiunta dei vari livelli di governo. Non c'è dubbio che la qualità degli interventi dipende anche dall'armonizzazione dell'azione. Siamo in una fase di discussione di assetti istituzionali, e non c'è dubbio che questo è un tema che la politica deve affrontare. L'unica cosa che posso dire è che, certamente, per realtà complesse è fondamentale il fatto che ci sia una piena armonizzazione, un disegno strategico, in cui siano ben chiari i ruoli, ma anche i compiti, dei vari livelli di governo. Un elemento che può aiutare questo processo è proprio l'informazione disponibile di qualità. Credo che avere un quadro informativo di qualità sul territorio possa aiutare fortemente la costruzione di disegni coerenti tra i vari livelli di governo. Credo che anche da questo punto di vista abbiamo una responsabilità nell'apprezzare quest'elemento.
  Per il resto, naturalmente non spetta all'Istat valutare e tantomeno proporre, ma il fatto di dotarsi di un sistema informativo in grado di fare scelte e di programmare il futuro è fondamentale. Dicevo al presidente prima dell'audizione che dobbiamo immaginare oggi di costruire il nostro futuro: sappiamo che ci sono processi in corso. Siamo incerti sulla loro dimensione tra dieci, venti, trent'anni, ma questi diversi scenari dipendono da quello che oggi programmiamo e che facciamo. Nell'intervenire guardando al lungo periodo, è un elemento fondamentale la capacità di iniziare azioni in grado di andare verso scenari di maggiori opportunità per il Paese. Mi fermerei qui per questa prima parte.

  PAOLO GANDOLFI. Ascoltando e analizzando la rappresentazione dei dati, per i quali ringrazio – sono sempre molto interessanti – naturalmente, come è giusto che sia, nessuno di questi indicatori può essere assunto come pilota per l'individuazione di fattori di degrado. Lo dico avendo ben Pag. 13presente che nell'analisi presentata oggi non c'è nessun indicatore specifico di degrado, ma noi ci siamo fatti una certa idea, almeno su queste due città, su quali sono, anche in relazione alle audizioni precedenti e alle nostre conoscenze, le aree con problemi più definiti. È evidente che questi indicatori hanno, come diceva giustamente il professore anche in questo momento, la necessità di essere sovrapposti. Notavo che né l'indicatore della presenza degli stranieri, tanto meno quello della densità di popolazione, che storicamente è sempre stato un indicatore di attenzione, né quello della disoccupazione e della povertà, focalizzano necessariamente i luoghi con criticità, anzi ci sono quartieri di Roma e di Milano che notoriamente non hanno grandi problemi e che invece possono essere rilevanti in questi indicatori.
  Sarebbe comunque interessante riuscire a capire quali altri elementi possono essere aggiunti e quale può essere il processo che, a questo punto poi tocca a noi o ad altri soggetti, non certamente a Istat, per arrivare a capire se ci sono indicatori che possano essere assunti come piloti per individuare determinati problemi. Certo, usare questi primi indicatori come punto di riferimento per approfondire le indagini anche rispetto ai temi che ponevano i miei colleghi di presenza di servizi o di presenza di reti sociali di base, può essere interessante. Magari lì comprendiamo la differenza tra l'uno e l'altro. Mi interrogavo, però, ed è emerso in parte dalla sua relazione, anche relativamente – è il nome stesso della Commissione – alla periferia, termine che ricorre frequentemente e determina una distanza. Voi avete introdotto il tema della centralità nelle letture di Roma e Milano, da cui si vede invece che l'assenza della centralità può essere, e non a caso, uno dei temi di accentuazione dei fenomeni periferici. Esistono infatti come sappiamo tutti, due dimensioni dell'essere periferia. Una è la dimensione fisica della lontananza, della difficoltà di accessibilità, che può essere, a mio giudizio, e mi pare decisamente più accentuata per la città di Roma. Esiste anche la forma di essere periferia sociale, cioè di essere distanti e lontani da alcuni fattori di qualità.
  Oggi non abbiamo visto le città di Napoli o di Palermo, ma diceva anche Gabrielli la volta scorsa che in quelle città, per esempio, fenomeni di «degrado periferico» possono essere presenti anche in zone molto centrali. Penso che forse andrebbe fatta una costruzione ad hoc di indicatori che possano essere utili anche a noi per arrivare a capire. Tra questi – glielo chiedo, visto che ha dato risposte molto precise anche ai miei colleghi – ho la sensazione che quello del valore immobiliare sia un indicatore rilevante. So che è sensibile, quindi è difficile pensare di poterlo usare, ma a livello di conoscenza credo sia un indicatore che aiuta molto a capire quali siano le dinamiche.
  Lei ha parlato molto di gentrificazione, e quindi di fenomeni di sostituzione e trasformazione del comparto sociale tramite processi sostanzialmente economici, che sono quelli dei valori immobiliari. Credo che l'aspetto immobiliare sia molto rilevante. È chiaro che lo trattiamo sempre con cautela, perché rappresenta anche una forma di condanna impropria. Credo sia molto conosciuta la mappa di Londra del 1884 in cui ogni singolo edificio aveva una sua definizione, decisamente inaccettabile al giorno d'oggi, nella classificazione delle tipologie di persone, ma era molto precisa nell'identificare le effettive zone di degrado di quella grande città oltre un secolo fa.
  Per riuscire ad avere strumenti che permettano di finalizzare meglio le azioni, e soprattutto i progetti di qualificazione, e di finalizzare meglio i nostri obiettivi, mi permettevo di suggerire una proposta di metodo, non oggi naturalmente, ma in prospettiva, per capire quali possono essere gli indicatori. Abbiamo detto che non ce ne può essere uno solo, ma bisogna che ci sia almeno un gruppo di indicatori che servano a capire quali possono essere i fenomeni di degrado che troviamo nelle aree urbane e a capire se è possibile aggiungere anche quello degli aspetti immobiliari, tenendo presente che quelli dell'accessibilità, mobilità, facilità di movimento delle persone, abbiamo capito siano centrali. Tiro Pag. 14un po’ l'acqua al mio mulino, ma evidentemente se in una città le persone si possono muovere bene, i fenomeni di periferizzazione sono decisamente più attenuati.

  CLAUDIA MANNINO. La mia domanda parte dal presupposto di riconoscere all'Istat anche il ruolo di elemento generatore, nel momento in cui si vanno a gestire e a pianificare le nostre città. Mi associo alle richieste fatte dai colleghi, in particolare dalla collega che chiedeva di estendere le valutazioni dell'Istat all'area metropolitana, non solo alla città, e al dato sensibile sul valore degli immobili.
  Quello che però mi interessa avere dall'Istat, magari in un successivo documento insieme a quello delle analisi sulle altre città, è di capire, laddove le aree metropolitane, i quartieri o le zone, sono nati da una pianificazione urbanisticamente intesa, quindi secondo standard e strumenti urbanistici vigenti, in quali aree di queste zone sono effettivamente stati realizzati servizi a supporto di queste espansioni. Mi riferisco in particolar modo ai servizi principali, scuole, ospedali, assistenza agli anziani, che sono poi gli strumenti di quegli indici che avete inserito, quindi nell'ambito lavorativo, nell'ambito dell'istruzione, nell'ambito anche molto interessante delle attrazioni d'arte, che sono state anche capaci di generare un'attività lavorativa in determinate zone.
  La mia domanda è semplicemente estesa alla Città metropolitana, anche per capire quanto i comuni al confine dei capoluoghi sono quartieri dormitorio o, in realtà, magari grazie alla presenza di alcuni servizi – sarebbe interessante capire quali – sono realtà che riescono ad avere anche una vita ordinaria degna.

  MARCO MICCOLI. Intervengo brevemente, perché sono stato anticipato da due colleghi sulla richiesta di avere possibilmente uno studio che riguarda le aree metropolitane.
  Sulla vicenda di Roma, quindi per rafforzare i motivi della richiesta, abbiamo, per chi conosce il territorio, la percezione che sta avvenendo nei comuni limitrofi alle periferie di Roma dei cambiamenti che corrispondono grossomodo ai dati che riguardano quelle zone. La zona sud di Roma, rispetto ai dati di Torre Angela che venivano sempre citati, credo stia subendo le stesse dinamiche. Tra i grandi comuni limitrofi a quell'area a sud di Roma, c'è la zona Castelli, dove una volta i romani compravano la seconda casa per andare a fare il weekend, mentre adesso stanno subendo una periferizzazione del territorio. Sarebbe interessante capire se quelle dinamiche, proprio quelle citate per esempio per Torre Angela, ma per altri casi anche sul versante est, la zona che riguarda Tivoli, Monterotondo, Guidonia, tra l'altro grandi comuni li stanno interessando allo stesso modo relativamente all'immigrazione, ai giovani, all'occupazione e all'invecchiamento della popolazione, ai livelli che riguardano l'intervento sociale.
  Nella zona nord, assistiamo a uno spostamento e, anche lì, a dinamiche che corrispondono però alla periferia nord di Roma, e mi riferisco alla zona che va verso i laghi di Bracciano, di Martignano, che subisce le stesse dinamiche rispetto a quella parte della città. Bisognerebbe capire se in quei grandi comuni le dinamiche vengono influenzate dalle stesse logiche di cui ci avete fornito i numeri che riguardano il 2011, ma io credo molto similmente anche il 2015 e il 2016.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istat. Certamente, possiamo allargare lo sguardo dal comune all'area metropolitana con lo stesso livello di dettaglio proposto quest'oggi per le due città. Abbiamo i dati per sezione di censimento, quindi è possibile.
  La cosa interessante è tuttavia provare a rispondere a delle domande specifiche. Se vogliamo capire se alcuni profili di marginalità individuati nella città di Roma si riproducano anche al di fuori della città, è una domanda alla quale possiamo rispondere; tutte le volte che allarghiamo senza elementi specifici, rendiamo più complessa l'analisi e la valutazione. Se ragioniamo in termini di certe caratteristiche, le possiamo ricercare certamente al di fuori dei comuni, e questo lo possiamo concordare. Pag. 15Allo stesso modo, potremmo concordare su quali servizi concentrare l'attenzione. Ripeto che lì si può ragionare sia sui servizi minimi di base per le famiglie, e quindi su una serie di elementi che possiamo elencare, o valutare la presenza di un set più largo che qualifica il territorio. Bisognerebbe che con la Commissione si stabilisca un contatto per focalizzare queste richieste. Ripeto però che la questione dei servizi è sicuramente alla nostra portata.
  Con i dati dell'Agenzia delle entrate, quindi con quella fonte, quel livello di dettaglio, qualità e caratteristiche, possiamo anche fare una valutazione a partire dalle compravendite del valore immobiliare, almeno quello registrato nella città: è un lavoro che si può fare, con informazioni peraltro già detenute dall'Istat e può certamente essere un elemento aggiuntivo di qualificazione del territorio.
  Concordo con l'osservazione che, se da una parte non possiamo fermarci a un indicatore, dobbiamo anche stabilire su quale insieme di indicatori più largo vogliamo concentrarci. Anche su questo credo che vada pensata un'interazione, in modo da stabilire un perimetro concettuale su cui concentrarci.
  Naturalmente, c'è un'ampia letteratura sui concetti di degrado e marginalità economica, ma anche qui si tratta di focalizzarsi con la vostra missione e i vostri interessi: anche su questo possiamo stabilire come procedere. Abbiamo anche i nostri framework concettuali, il nostro BES, il sistema di indicatori per valutare il benessere, che stiamo anche costruendo a partire dalle richieste di amministrazioni locali, comuni, province. È un modo con cui raccontiamo il territorio con riferimento a una serie di dimensioni del benessere, che è cosa diversa dalla definizione del disagio sociale o della marginalità. Si tratta di stabilire un perimetro e poi costruire l'informazione. L'Istat è disponibile a supportare questo processo. Mi sembra che non ci fossero altre questioni. Non so se i miei colleghi vogliono aggiungere qualcosa.

  SANDRO CRUCIANI, responsabile della direzione centrale per le statistiche ambientali e territoriali dell'Istat. Possiamo aggiungere come ulteriore spunto di analisi la possibilità di procedere al calcolo di indicatori più complessi tramite la sintesi di indicatori semplici, per aiutare la lettura di dimensioni multiple. L'altro elemento interessante è confrontare la dinamica dell'edificato, in base ai nuovi permessi a costruire rilasciati dai comuni e come si stanno sviluppando le aree romane e milanese e le città metropolitane: sono altri due elementi che potrebbero aggiungersi al quadro degli elementi informativi sui territori.

  CLAUDIA MANNINO. Proprio in base a quest'ultimo indicatore cui accennava, riuscite anche ad avere le informazioni sulle urbanizzazioni? Una cosa è l'indice edificatorio: incrociate quanto sta crescendo, quanto suolo si sta consumando e quanto le pubbliche amministrazioni realizzano di opere di urbanizzazione annesse?

  PRESIDENTE. Accolgo favorevolmente la disponibilità dell'Istituto di voler collaborare con la Commissione anche approfondendo alcune questioni emerse durante l'audizione odierna.
  Non so se la mia è una domanda o una sollecitazione, ma la mia impressione è che l'analisi complessa e articolata, di cui ringrazio il professor Alleva, si basa una fotografia che, per noi che siamo operatori della politica e legislatori, deve funzionare come una serie di alert: il tasso di disoccupazione, specie giovanile, l'invecchiamento della popolazione, l'inversione demografica tra italiani residenti e stranieri residenti, gli indici di povertà delle famiglie, l'abbandono scolastico, la percezione negativa di alcuni servizi pubblici locali da parte dei cittadini, la presenza di iniziative culturali in alcune aree della nostra città. Alcuni sono indicatori di disagio, altri non lo sono. L'incrocio tra questi può rappresentare un elemento indicativo per chi deve compiere delle scelte. Oltre ad ascoltare, bisogna anche poter capire questi fenomeni, per noi che siamo operatori. È fondamentale capire anche la prospettiva e la proiezione di evoluzione nel tempo. Ho Pag. 16provato a fare un esercizio mentre i colleghi intervenivano: ci sono zone in cui gli elementi e i punti di disagio sono ricorrenti nella cartina geografica. Bisognerebbe capire se questo tipo di fotografia ha una proiezione che va verso una maggiore entropia se non governata o se ha un'evoluzione, che il tema dello sviluppo e delle prospettive economiche e demografiche dell'Italia risolve quasi in modo automatico. È importante per noi capirlo. È lì il punto chiave rispetto al quale siamo chiamati anche alla responsabilità di attuare degli interventi. Faccio un esempio: nella mia regione, il tema dell'immigrazione si è risolto nella seconda metà degli anni Novanta e nei primi anni Duemila senza nessun tipo di intervento. La disponibilità abitativa e il lavoro davano allora una risposta al disagio mediante l'integrazione di chi arrivava, con la possibilità di avere un posto di lavoro a tempo indeterminato, che consentiva poi di prendere in affitto una casa, o di acquistarla, di iscrivere i figli a scuola. Sarebbe importante capire, rispetto anche alle proiezioni economiche e demografiche del Paese, se la situazione fotografata e rilevata è destinata a diventare più complicata o è una situazione su cui ci potrà essere un bestscenario.

  GIORGIO ALLEVA, presidente dell'Istat. Si può ragionare in termini di scenari, al di là del fatto che le previsioni sono in parte al di fuori delle nostre competenze. Colgo la sollecitazione a studiare l'evoluzione dell'eterogeneità dei fenomeni del territorio, quindi di quanto i fenomeni tendano a concentrarsi piuttosto che a estendersi. È un tema importante. Credo che faccia parte delle valutazioni che possiamo svolgere. Naturalmente, proiettare nel futuro è più difficile. Non c'è dubbio che la crescita economica possa aiutare molto. D'altra parte, sappiamo anche come essa si sia accompagnata negli ultimi anni anche a un aumento delle disuguaglianze. Il tema non è semplice. Aggiungerei quindi un'analisi evolutiva dell'eterogeneità e concentrazione dei fenomeni tra gli elementi su cui possiamo fare un approfondimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'Istat e i suoi collaboratori. Complimenti ancora per il lavoro che avete svolto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.30.