XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 84 di Mercoledì 5 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Luigi Marattin, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto del Presidente del consiglio dei ministri concernente nota metodologica sui fabbisogni standard dei comuni delle Regioni a statuto ordinario (atto n. 341) (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Marattin Luigi , Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard ... 3 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 ,
Zanoni Magda Angela  ... 10 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 11 ,
Guerra Maria Cecilia  ... 11 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12 ,
Marattin Luigi , Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard ... 12 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 15

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Luigi Marattin, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente la nota metodologica sui fabbisogni standard dei comuni delle regioni a statuto ordinario (atto n. 341).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard, Luigi Marattin, nell'ambito dell'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri concernente la nota metodologica sui fabbisogni standard dei comuni delle regioni a statuto ordinario (atto n. 341).
  Il provvedimento in questione è al nostro esame per il parere: cogliamo l'occasione, quindi, per ascoltare il professor Marattin, la cui audizione avviene proprio nel momento giusto, pur essendo stata richiesta anche per altre ragioni.
  Ringraziandolo ancora per la disponibilità, do, quindi, la parola al presidente Marattin per lo svolgimento della relazione.

  LUIGI MARATTIN, Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Grazie a lei, presidente, e ai membri della Commissione. Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in esame recepisce il lavoro svolto dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, che, come sapete, è stata istituita dall'ultima legge di stabilità in sostituzione della COPAFF, all'interno dell'obiettivo, di cui parlerò nella mia breve esposizione, di semplificazione complessiva del quadro di analisi e di adozione dei fabbisogni standard per il comparto comunale e in generale degli enti locali.
  La Commissione tecnica per fabbisogni standard, presieduta da me, è composta da 11 persone, tra cui tre membri del Ministero dell'economia e delle finanze. Vi sono rappresentate tutte le amministrazioni centrali dello Stato, insieme alle associazioni delle autonomie locali (ANCI, UPI) e un rappresentante delle regioni.
  La Commissione si è riunita per la prima volta nei primi mesi dell'anno, poco dopo gli atti ufficiali di nomina conseguenti all'innovazione normativa apportata dalla legge di stabilità. Finora ha svolto sostanzialmente due compiti relativi al comparto comunale. All'inizio, ha provveduto all'aggiornamento della base dati dei fabbisogni standard, che, come ricorderete, nella precedente tornata, era basata sul 2009 e al massimo sul 2010. La fase di aggiornamento dei dati è stata condotta nel mese di marzo dalla Commissione tecnica per i fabbisogni standard, fino al 2013, sia sulla base delle fonti ufficiali – in primo luogo i certificati di conto consuntivo – sia attingendo ad altre banche dati e alla precedente tornata di questionari somministrati ai comuni, con lo scopo di analizzare in maniera più approfondita e diretta i dati Pag. 4che servono, appunto, all'elaborazione dei fabbisogni standard. Quella fase molto breve, svolta in marzo, si è conclusa con il semplice aggiornamento dei dati, che, come sapete, secondo un'altra innovazione normativa, apportata, se non ricordo male, dalla scorsa legge di stabilità o dal precedente decreto-legge in materia di enti locali, non prevede il passaggio presso le Commissioni parlamentari competenti per il parere, come invece sta avvenendo ora. Pertanto, in marzo la Commissione ha prodotto un aggiornamento della base dati a metodologia invariata, che ha riportato la base dati di riferimento ad annualità più recenti, nella fattispecie, appunto, al 2013.
  In seguito la Commissione, dopo un intermezzo relativo al settore provinciale, che non è oggetto della discussione di oggi, nella primavera del 2013 è passata al secondo compito che ci eravamo dati per questo anno e che era più ambizioso, vale a dire l'innovazione metodologica dell'impianto dei fabbisogni standard comunali. Come sapete, la legge prescrive che l'aggiornamento dati avvenga su base annuale, mentre l'aggiornamento metodologico avviene tendenzialmente su base triennale, anche se nulla vieta di farlo con frequenza maggiore. A ogni modo, in primavera la Commissione ha iniziato a lavorare su un progetto di aggiornamento, di innovazione e di cambiamento delle metodologie di calcolo dei fabbisogni standard del comparto comunale, fissando due macro-obiettivi. Il primo riguarda il merito del lavoro, l'altro la tempistica. L'obiettivo di merito consisteva in un aggiornamento e in un miglioramento della metodologia di calcolo dei fabbisogni standard, per andare nel contempo incontro alle sollecitazioni provenute negli anni da questa e da altre Commissioni parlamentari. Tre erano i sotto-obiettivi principali: in primo luogo, semplificare i modelli statistici e il questionario distribuito agli enti; in secondo luogo, tenere sempre in maggiore considerazione, oltre alla dimensione del costo dei servizi, anche il livello dei servizi offerti dai comuni; in terzo luogo, seppure in via sperimentale, tenere maggiormente in considerazione ulteriori dimensioni di efficienza nel calcolo dei fabbisogni standard che non si limitassero al valore medio, ma provassero a indagare finalmente anche decili più avanzati della distribuzione, vale a dire che non calcolassero il costo standard unicamente sulla base del valore medio, bensì provassero a tararsi su frontiere di efficienza. Questa, come ricorderete, è una delle sollecitazioni che vengono da questa Commissione. In seguito, ovviamente, entrerò nello specifico di ciascuna di queste tre declinazioni.
  L'altro obiettivo consiste nella tempistica, che non è meno importante. Fatta salva la qualità del lavoro, che riteniamo sia stata salvaguardata – la Commissione si è riunita 15 volte in sede plenaria e ha tenuto innumerevoli incontri tecnici, in particolare con IFEL e ANCI –, l'obiettivo era produrre una nota metodologica che fosse recepita da un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sul fondo di solidarietà comunale 2017, il cui iter – nel quale siamo «immersi» – iniziasse in tempo utile e si concludesse – per la prima volta – prima dell'inizio dell'esercizio 2017. Come sapete, da anni l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri vera e propria avveniva probabilmente a fine anno, ma anche la stessa pubblicazione degli atti delle spettanze del fondo ai singoli comuni avveniva dopo l'inizio dell'esercizio.
  Questo provocava un fisiologico slittamento del termine di approvazione dei bilanci preventivi, dopo l'inizio dell'esercizio – da anni in cui i termini erano, appunto, ottobre, novembre e così via –, il che aveva, a sua volta, conseguenze negative sulla capacità di programmazione economico-finanziaria degli enti, ma soprattutto sulla capacità di realizzazione di investimenti: come ben sappiamo, infatti, finché gli enti sono in esercizio provvisorio, ovvero finché non hanno approvato il bilancio di previsione, hanno fortissime limitazioni agli impegni di spesa possibili e quindi gli investimenti, nei fatti, sono fortemente penalizzati.
  Il «macro-quadro» prevedeva di rientrare da questa situazione, che non esito a definire patologica, perché un ente che Pag. 5approva il bilancio di previsione a fine anno vive una situazione disfunzionale alla corretta programmazione economico-finanziaria e – ripeto – alla realizzazione degli investimenti.
  Già in questi anni, come ricorderete, il termine è stato progressivamente anticipato al 30 luglio nel 2015 e al 30 aprile nel 2014. Il Governo ha già annunciato ad ANCI che il termine per il prossimo anno sarà probabilmente il 28 febbraio 2017. Tuttavia, per mettere gli enti nella condizione di poter approvare i bilanci preventivi in tempi congrui, occorre che l'intesa in conferenza Stato-città sul riparto del fondo sovracomunale e l'emanazione del relativo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – anche se quello che conta per gli enti è la pubblicazione del riparto – avvengano tendenzialmente prima dell'inizio dell'esercizio 2017. La pubblicazione dei dati della finanza locale sul sito del Ministero dell'interno e la pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri – sperabilmente, perché dobbiamo attendere, per verificare se la legge di bilancio interverrà dal punto di vista normativo sulle norme relative alla pubblicazione di tale decreto – ci saranno tendenzialmente, secondo l'obiettivo del Governo, a fine esercizio o a inizio dell'esercizio successivo, insieme, soprattutto, al vettore di distribuzione delle spettanze del fondo ai comuni, in modo che essi possano avere tutto il tempo disponibile per approvare, in un quadro di certezze, i bilanci preventivi in tempo. Per fare questo, però, abbiamo bisogno che i due pilastri del fondo di solidarietà comunale nella sua parte perequativa, vale a dire i fabbisogni standard e le capacità fiscali, vengano approvati prima.
  Come sapete, nel 2017 il 40 per cento del fondo di solidarietà comunale verrà allocato non più su base storica, ma sulla base della differenza tra fabbisogni standard e capacità fiscali, con un target perequativo al 45,8 per cento, che, in realtà, è una prescrizione di legge che scade nel 2016. Questo è, dunque, un punto su cui la legge di bilancio dovrà sicuramente intervenire.
  I fabbisogni standard sono definiti dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri che stiamo analizzando adesso, invece la capacità fiscale è disciplinata da un decreto ministeriale. In quella sede siamo in fase di semplice aggiornamento dei dati infatti, il decreto ministeriale sulle capacità fiscali è già stato portato in conferenza Stato-città e sta seguendo il percorso proprio del semplice aggiornamento dati. Quando questi due atti amministrativi saranno completati, ci saranno le precondizioni per poter affrontare il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri sul fondo di solidarietà comunale.
  Ricapitolando, i due obiettivi nel nostro lavoro sono stati uno di merito, ovvero modificare significativamente la metodologia nella declinazione dei tre sotto-obiettivi che andrò brevemente a specificare, e l'altro quello volto a concludere entro l'estate l’iter del provvedimento, che è iniziato ed è a sua volta mirato, come ho ricordato, ad avere per la prima volta almeno la comunicazione delle spettanze del fondo ai comuni prima che inizi l'esercizio di riferimento.
  Questo secondo obiettivo è stato raggiunto perché la Commissione tecnica ha approvato la nota metodologica il 13 settembre. Il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri intorno al 23-24 settembre e la Conferenza Stato-città ha raggiunto l'intesa il 27 settembre.
  Ora la parola spetta a voi, ovvero alle Commissioni parlamentari competenti per l'espressione dei pareri, prima dell'adozione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri. Direi, quindi, che l'obiettivo della tempistica è stato pienamente rispettato. Rispetto all'obiettivo del merito giudicherete voi, ma vorrei dettagliare in cosa consiste l'innovazione metodologica.
  Come dicevo, preferisco sostanziare l'obiettivo in tre sotto-obiettivi: semplificazione, maggiore attenzione al livello dei servizi offerti più che semplicemente sulla dimensione di costo; sperimentazione. Parlo di sperimentazione perché le tecniche di stima che non si basano sul costo medio, ma sui decili più efficienti, sono Pag. 6inserite in appendice alla nota metodologica e non entrano nel calcolo dei coefficienti di riparto; sono inserite lì, ripeto, come esercizio, per cui per ora non entrano nel meccanismo perequativo. Ovviamente, però, questo processo di riforma della metodologia è aperto.
  L'obiettivo della semplificazione è stato messo in atto attraverso tre voci principali. In primo luogo, abbiamo accorpato quattro precedenti funzioni fondamentali (ufficio tecnico, anagrafe, ufficio tributi e amministrazione generale) in un'unica funzione che abbiamo chiamato «servizi generali». Mentre nella metodologia precedente ciascuna di queste funzioni veniva stimata separatamente, adesso vengono accorpate in un'unica funzione che attiene al core business amministrativo degli enti, avendo tra loro similarità molto forti. Ufficio tecnico, anagrafe, tributi e amministrazione sono, infatti, funzioni obbligatorie e generali che un ente svolge, per cui la funzione viene stimata insieme. La stessa cosa abbiamo fatto con altre due funzioni prima stimate separatamente, ovvero viabilità e territorio, che sono state accorpate, appunto, in un'unica funzione che, se non ricordo male, si chiama proprio «viabilità e territorio» e che va a identificare le funzioni che un comune svolge in merito a quel tipo di compiti. Questo ha permesso di ridurre il numero delle variabili necessarie per individuare il fabbisogno standard, mantenendo al contempo molto alta la quota di varianza spiegata dal modello. In pratica, invece di avere molte variabili esplicative che individuano quanto dovrebbero costare a un comune i servizi generali o la funzione viabilità e territorio, aumentando anche la confusione, l'accorpamento di queste funzioni ha permesso di avere modelli più compatti, più semplici, più chiari e più comunicabili, che al contempo, però, non perdono la capacità esplicativa, come vedete dall'R- quadro nella nota metodologica. L'obiettivo della semplificazione è stato perseguito anche con un elemento che formalmente non è inserito nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Infatti, abbiamo semplificato molto anche il questionario che distribuiamo agli enti, che non fa parte, appunto, dello schema di decreto. Credo che tra pochi giorni verrà distribuito il questionario della nuova tornata, il cui obiettivo è preparare i fabbisogni standard 2018, perché non abbiamo accelerato i tempi una tantum, ma vogliamo tarare tutto il percorso su basi più efficienti, per cui la distribuzione comincerà, appunto, fra poco. I dati serviranno, poi, nella primavera prossima per elaborare i fabbisogni standard 2018.
  Il nuovo questionario si riduce da 6.000 a 1.500 campi. Come sapete, una delle lamentele principali dei comuni, che investe discorsi ben più ampi, era un eccesso di informazioni, spesso le stesse, richieste su vari campi. A tale riguardo, il Governo sta lavorando anche su altri fronti. Tuttavia, per quanto concerne il questionario, c'è stata, ripeto, una riduzione da 6.000 a 1.500 campi con somministrazione annuale: a regime che questo questionario viene somministrato annualmente, per cui crediamo che sia una significativa semplificazione della vita e delle procedure amministrative degli enti. Questo, quindi, riguarda il primo obiettivo, ovvero la semplificazione sia del modello – con accorpamento delle funzioni e riduzione del numero di variabili a parità di potere esplicativo, sia – se mi consentite – della vita degli enti per la compilazione del questionario.
  Il secondo obiettivo è forse quello principale. I commissari ricorderanno la famosa polemica su Reggio Emilia e Reggio Calabria, ovvero su cosa avrebbe significato, all'epoca, considerare unicamente la dimensione del costo per gli asili nido senza tenere in adeguata considerazione la presenza del servizio. Infatti, in quelle forme embrionali di fabbisogno standard Reggio Calabria risultava con un fabbisogno standard minore di Reggio Emilia, quindi nel meccanismo perequativo questo sarebbe un elemento di virtuosità, quando era il semplice risultato dell'assenza o comunque della minore presenza del servizio degli asili nido. È bene ricordare, visto che spesso viene ancora tirato fuori, che il problema degli asili nido è stato già risolto proprio perché asilo-nido e istruzione pubblica, Pag. 7 anche nella vecchia metodologia, erano le uniche due funzioni fondamentali che non erano stimate con una funzione domanda, ma con una funzione di costo.
  Molto brevemente, la funzione di costo rispetto alla funzione di domanda tiene conto del livello di servizio offerto. Poi, nella discussione possiamo approfondire tecnicamente, ma i commissari sono ben consapevoli del tema.
  La funzione della domanda è più semplice perché, statisticamente parlando, non ha problemi di endogeneità, né di misurazione dell’output – non sempre l’output dei comuni può essere misurabile – avendo come variabili esplicative soltanto quelle sul contesto di domanda e offerta e sul prezzo dei fattori produttivi, ma non ci dice quanto conta il servizio offerto per il suo costo. La funzione di costo, invece, lo fa perché fra i regressori, ovvero fra le variabili indipendenti, ha il livello di servizio offerto. Questo, però, complica le cose, in primo luogo perché occorre saper misurare quell’output dal punto di vista quantitativo e, in secondo luogo, perché crea gravi problemi di endogeneità nell'analisi statistica, che, però, possono essere trattati e risolti.
  La funzione di costo è un metodo di stima che tiene conto del fatto che un costo è alto o basso anche a causa del fatto che il servizio sia alto o basso. Nella vecchia metodologia tuttora vigente le uniche due funzioni per cui era stato adottato il metodo della funzione di costo erano istruzione e asilo nido, proprio in virtù delle polemiche dell'inizio. Tutto il resto era stimato con la funzione di spesa. Qui noi estendiamo la funzione di costo anche al servizio raccolta e smaltimento rifiuti. Approfitto per dire che il sito della Commissione tecnica è on-line, in una sezione del sito del MEF, in cui sono visualizzabili anche i componenti e il loro curriculum, gli atti normativi e il verbale integrale di tutte le sedute. Non è un segreto che abbiamo discusso molto perché all'inizio volevamo estendere la funzione del costo ad altri tre funzioni fondamentali, ovvero, oltre ai rifiuti, anche al sociale e al trasporto pubblico locale. Questo ci avrebbe consentito di mappare, se ricordo bene, circa l'80-85 per cento della spesa corrente dei comuni con funzione di costo. Non abbiamo fatto così, ma abbiamo esteso la funzione costo solo al servizio rifiuti, che, comunque, equivale più o meno al 25 per cento della spesa di funzione fondamentale. Non l'abbiamo fatto sui servizi sociali (al netto dell'asilo nido per cui c'era già), né sul trasporto pubblico locale, perché non ci sentivamo abbastanza sicuri della non ambiguità della misurazione dell’output. In pratica, riguardo all’output del trasporto pubblico locale e soprattutto del sociale non ci sentivamo abbastanza sicuri (perlomeno in questa fase) di poter arrivare a una misurazione condivisa di cosa vuol dire se un comune offre, per esempio, tanto o poco sociale. Abbiamo, dunque, esteso la funzione di costo solo ai rifiuti.
  Anche se non è argomento dello schema di decreto in esame, ma del decreto ministeriale sulla capacità fiscale, se volete, in sede di discussione, vi parlo anche della decisione di sterilizzare questa componente in capacità fiscale. Infatti, come sapete, la normativa prevede che per i rifiuti la tariffa copra il costo e, quindi, era giusto – come abbiamo proceduto a fare in capacità fiscale – sterilizzare questa componente. Non abbiamo, però, abbandonato l'idea di muovere il sistema verso una maggiore attenzione, sul trasporto pubblico locale e sul sociale, alla componente di livello del servizio. Non ce la siamo sentita di passare alla funzione di costo anche su questi due settori, ma neppure abbiamo concluso di non fare nulla al riguardo. Allora, per quanto riguarda il trasporto pubblico locale e i servizi sociali, abbiamo adottato la cosiddetta funzione di «spesa aumentata», che è una via di mezzo tra funzione di spesa e funzione di costo, nel senso che è una funzione di spesa che tiene conto del fatto che in un certo comune quel servizio ci sia o meno.
  In sostanza, mentre prima la funzione di spesa assegnava quel costo anche a comuni che non svolgevano il servizio – vi sono comuni che non svolgono servizio sociale o trasporto pubblico locale, anche se non sono tanti – con questa funzione di spesa aumentata identifichiamo dove il servizio Pag. 8 c'è o non c'è, per cui dove non c'è non assegniamo fabbisogno. La stessa funzione aumentata segnala, pertanto, la presenza o meno del servizio, ma non segnala la sua intensità. Per tenere conto della sua intensità ci sarebbe stato bisogno della funzione di costo.
  Sempre rimanendo nel sociale, un'altra innovazione che considero molto importante – con implicazioni dagli effetti potenzialmente ben più larghi, che lasciamo alla Commissione e al Governo valutare – è che nello stimare la funzione di spesa aumentata sociale abbiamo inserito un indice di deprivazione. In queste regressioni, l'obiettivo è capire come le condizioni del territorio – non il servizio offerto perché nel sociale siamo comunque su funzioni di spesa – influenzano il costo del servizio.
  Rispetto alla scorsa metodologia, SOSE ha prodotto e la Commissione ha validato una variabile esplicativa del fatto che in un comune rispetto a un altro si spenda di più o di meno sull'assistenza sociale, creando quello che abbiamo chiamato «indice di deprivazione», che va a combinare cinque indici: l'indice di assenza di scolarizzazione, vale a dire la percentuale di popolazione in età superiore a 6 anni senza titolo di studio o in condizioni di analfabetismo; l'indice di disoccupazione, che non ho bisogno di dettagliare; l'indice di abitazioni in affitto, cioè la percentuale di immobili ad uso abitativo in affitto sul totale degli immobili; l'indice di densità familiare e l'indice di incidenza dei redditi sotto i 10.000 euro, cioè sul totale dei redditi sotto i 10.000 euro.
  Abbiamo combinato questi cinque indici che nelle nostre ambizioni vanno ad identificare le condizioni di disagio sociale, non solo monetario, ma anche di capability, per dirla indegnamente con Amartya Sen. Questo indice è il principale driver della spesa sociale, cioè sulla base di esso capiamo se un comune ha un fabbisogno maggiore o minore rispetto agli altri: è un affinamento della tecnica per capire come il contesto territoriale influenza o dovrebbe influenzare l'andamento della spesa sociale dei comuni. La riteniamo, quindi, un'innovazione dalle conseguenze potenzialmente ben superiori a quelle che stiamo affrontando ora.
  L'altra innovazione contenuta nel micro-obiettivo di tenere maggiormente in considerazione il livello di servizi offerti è rappresentata dal fatto che, rispetto alla metodologia precedente, abbiamo deciso di non sterilizzare più gli effetti regionali sui servizi sociali e raccolta e smaltimento rifiuti.
  La sterilizzazione degli effetti regionali avrebbe significato non tener conto delle differenze di contesto. Considerando, ad esempio, i rifiuti, la presenza di un sistema di smaltimento dei rifiuti incentrato su discariche o inceneritori o su nessuno dei due è una variabile al di fuori del controllo del comune. Certo, è una variabile regionale perché la regione è più o meno direttamente influenzata dai singoli comuni, ma a livello di singolo comune è una variabile che abbiamo considerato esogena, quindi non ce la siamo sentita di addossare a quel comune la condizione di contesto che comporta eventualmente un costo maggiore.
  Sterilizzare gli effetti regionali significa che, nel considerare il fabbisogno sui rifiuti e sul sociale di quel comune, si tiene conto del fatto che le condizioni di contesto, regionalmente parlando, sono diverse. Anche qui abbiamo discusso molto perché si corre il rischio di considerare «fatalista» questa differenza, perché non stimola a cambiare, ma è anche vero che lo stimolo a cambiare non necessariamente deve essere messo in capo al comune di 1.000 abitanti che non ha un effetto diretto sulle politiche di smaltimento dei rifiuti di ambito regionale. Questa metodologia non sterilizza gli effetti su sociale e rifiuti e, in particolare con riferimento ai rifiuti, essendo tutto sterilizzato con capacità fiscali, dobbiamo ricordare che alla fine gli effetti sulla perequazione sono pari a zero.
  L'ultima voce sulla quale vorrei concentrarmi, anche se ce ne sono molte altre, del sotto-obiettivo numero due, ovvero la maggiore attenzione al livello del servizio, è legata al fatto che in tutte e tre le funzioni in cui è stata utilizzata la funzione di costo (istruzione pubblica, asilo-nido e rifiuti) abbiamo stimato il tutto raggruppando in Pag. 9comuni in gruppi omogenei o cluster, in modo che i differenziali di costo si possano meglio cogliere e che questo lavoro serva anche a costituire un benchmark utile. Il benchmark di costo di un comune è quello del gruppo omogeneo, raggruppato, ovviamente, per popolazione, per dimensione geografica e per caratteristiche simili. Avete tutti i dettagli in appendice. Aver raggruppato i comuni in cluster o gruppi omogenei fornisce un benchmark di spesa.
  Tutti i dati saranno on line, sul sito www.opencivitas.it, l'11 ottobre, anche se avremmo dovuto inserirli il 4. Ci saranno, quindi, i dati dei fabbisogni standard raffrontati con la spesa storica e con livelli di servizi.
  Quindi, quando un cittadino va a indagare su quella specifica funzione fondamentale, stimata in funzione di costo, il benchmark non è astratto, ma relativo al gruppo omogeneo di riferimento. Questo per quanto riguarda il secondo micro-obiettivo, quello di innovare tenendo maggiormente in considerazione fattori più realistici inerenti al livello del servizio offerto e non soltanto alla sua dimensione di costo.
  Infine, segnalo che la prossima revisione metodologica è prevista fra tre anni, ma nulla vieta di farla prima. Peraltro, avevo una breve lista di quesiti che questa Commissione aveva posto in passato, la cui risposta, come avrete già visto, è contenuta in questa innovazione metodologica. A ogni modo, uno degli aspetti fondamentali consisteva nell'indagare su tecniche di stima che abbandonassero il concetto di costo medio. Come sapete, il fabbisogno standard è stimato come valore medio, sebbene tenga conto di tutte le variabili di contesto, in questa tornata in maniera secondo noi molto migliore. Tuttavia, resta un valore medio.
  La sollecitazione giunta da voi e dal mondo accademico consisteva nel provare, invece, a stimare un fabbisogno tenendo maggiormente in considerazione i diversi livelli di efficienza, quindi, tecnicamente, su decili più avanzati, per esempio sul 10 o 15 per cento più efficiente. Si tratta, cioè, di assegnare il costo standard sulla base non del valore medio, ma di quello che i migliori fanno. Se mi permettete un paragone non del tutto corretto, una cosa simile avviene sui costi standard in sanità, dove prendiamo le tre regioni benchmark con i costi in teoria più efficienti.
  Anche su questo abbiamo discusso parecchio. Qualcuno di noi voleva provare a rendere cogente questa innovazione, vale a dire calcolare i coefficienti di riparto in questo modo per poi farli entrare in perequazione, cioè dal punto di vista dei soldi distribuiti, per il 40 per cento già l'anno prossimo, ma non è stato fatto, anche questo – c'è poco da nascondere – per un'opposizione dell'ANCI. Ciò nonostante, abbiamo ritenuto opportuno consegnare questo lavoro, mettendolo in appendice e affidandolo alla discussione pubblica. Anch'esso verrà reso pubblico sul sito, specificando che non conta per quanto riguarda il calcolo dei coefficienti di riparto, ovvero per l'allocazione del 40 per cento, che poi diventerà del 55 per cento al 2018, del fondo di solidarietà comunale, che verrà distribuito secondo criteri perequativi e non più di spesa storica. Essendo collocato alla fine della nota metodologica, questo è il ponte o il gancio per un prossimo avanzamento della metodologia, affinché, appunto, perseguendo sempre maggiori condizioni di efficienza, si possa arrivare un giorno a stimare il fabbisogno standard sulla base non del valore medio, ma del valore dei comuni più efficienti.
  Riassumendo, il nostro lavoro è stato improntato al perseguimento di due macro-obiettivi: qualità del lavoro, quindi innovazione del lavoro, e tempistica. In particolare, la tempistica era mirata a far sì che i comuni per la prima volta abbiano, prima dell'inizio dell'esercizio, tutti i dati sui trasferimenti e le spettanze dallo Stato ad essi. Questo è un obiettivo completamente rispettato finora. Poi vedremo cosa succederà. Comunque, in questa fase siamo più o meno in condizioni di dire che, se tutto va come deve andare, sperabilmente, prima della fine dell'esercizio, sarà emanato anche il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri o comunque sicuramente saranno pubblicati i dati sul fondo di solidarietà comunale 2017. Pag. 10
  Il secondo macro-obiettivo, sicuramente sovraordinato, era procedere a un'innovazione della metodologia di calcolo che venisse incontro alle sollecitazioni ricevute e che migliorasse e affinasse la metodologia. Questo obiettivo è stato declinato su tre sotto-obiettivi: semplificare, tenere maggiormente conto del livello dei servizi offerti e non solo del costo e, infine, gettare un ponte verso la prossima metodologia, vale a dire tenere maggiormente conto della distribuzione di efficienza che esiste nel nostro Paese per quanto riguarda lo svolgimento delle funzioni fondamentali.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Marattin per questa esposizione. Mentre ascoltavo le considerazioni sugli sforzi per migliorare e affinare questo strumento, ricordavo che abbiamo svolto una specie di analisi comparata anche con ospiti stranieri e tutti considerano il nostro modello uno dei più avanzati e articolati. Questo sforzo di andare sempre più nel dettaglio è tipicamente frutto della nostra cultura italiana e della ricerca della perfezione assoluta, che poi magari sacrifica altre dimensioni. Tuttavia, questo sforzo di approfondimento è sicuramente encomiabile ed è ammirato anche da chi, fuori dall'Italia, ha modelli federalisti più avanzati.
  Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Ringrazio il professor Marattin per la sua relazione molto utile. Devo dire che il quadro si è un po’ semplificato. Ci sono due aspetti che trovo molto positivi, che mi sembra abbiano raccolto le nostre sollecitazioni in questi due o tre anni.
  Uno riguarda sicuramente i tempi. Mi pare si stia raggiungendo l'obiettivo che ci eravamo prefissi di consentire ai comuni di fare i bilanci in tempi ragionevoli, quindi rientrando nei parametri del vecchio testo unico, che prevedeva, giustamente, che i bilanci si possano produrre entro la fine dell'anno precedente all'anno oggetto del bilancio. Ecco, questo mi sembra estremamente positivo, come anche la semplificazione. Sicuramente i comuni apprezzeranno. Poi, se si riuscisse, una volta semplificato, a mantenere la situazione costante nel tempo, questo semplificherebbe ulteriormente. Infatti, se le procedure, ancorché semplificate, cambiano tutti gli anni, ciò richiede uno sforzo aggiuntivo all'ufficio che deve produrre i dati.
  In merito alla metodologia, credo che in questi giorni dovremo valutarla meglio. Tuttavia, mi pare che alcune sollecitazioni che avevamo proposto nella relazione dell'anno scorso siano state prese in considerazione. Credo, però, che quest'anno ci sarà qualche passaggio difficile con i comuni. Finora, siccome il criterio riguardava una quota tutto sommato contenuta del trasferimento del fondo di solidarietà comunale, nessuno dava tanto peso alla questione. Invece, quest'anno il peso è decisamente più rilevante. Come sempre, i comuni che ci guadagneranno saranno contenti, ma non diranno nulla rispetto all'anno precedente, mentre i comuni che inevitabilmente perderanno si lamenteranno come al solito.
  La difficoltà è legata al fatto che i criteri sono complessi. È vero che facciamo un lavoro più raffinato, quindi sicuramente di maggiore qualità, ma, pur nella semplificazione, rimane un sistema ancora molto complesso da spiegare non a noi, ma sicuramente ai sindaci.
  Penso, per esempio, ai sindaci di comuni con 100 abitanti, come in Piemonte, ai quali bisogna spiegare che il 40 per cento del fondo di solidarietà comunale arriva attraverso un sistema che è difficile e che richiederebbe una spiegazione specifica comune per comune. Comprendo, dunque, anche le resistenze dell'ANCI. Complessivamente, mi sembra che ci sia, decisamente, un miglioramento rispetto ai lavori degli anni precedenti. Sicuramente l'esperienza insegna perché man mano che si va avanti si fa tesoro delle osservazioni precedenti.
  Credo, quindi, che leggeremo con molta attenzione i dati. Se fosse possibile sarebbe utile avere una relazione scritta dell'intervento, in modo da poterla distribuire anche in Commissione bilancio.

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  GIOVANNI PAGLIA. La ringrazio dell'intervento. Mi sembra che la direzione sia quella corretta, per come viene tracciata, sul piano del metodo, soprattutto per la parte riguardante i tempi. Credo che sarebbe positivo riuscire ad avere finalmente uno strumento che interviene all'interno delle politiche di bilancio dei comuni in tempi corretti. Non darei, però, per scontato che questo comporti in automatico tempistiche più virtuose, perché poi intervengono altre cose. Tuttavia, almeno per la parte di competenza, si esce da un'inefficienza evidente.
  Due questioni affrontate nella relazione mi hanno incuriosito e su di esse vorrei tornare. La prima è l'indice di deprivazione, che mi sembra un'innovazione molto significativa. Ciò nonostante, a primo impatto – potrei sbagliarmi – se lo dovessi applicare ai comuni capoluogo della regione che conosco meglio, cioè la mia, l'Emilia-Romagna, a occhio, direi che la più deprivata fra le province risulterebbe essere Rimini, che, infatti, su disoccupazione e redditi è nettamente inferiore alle altre. Sul resto, ovvero su scolarizzazione, dimensione delle famiglie e proprietà delle case non saprei, ma forse anche sulla proprietà delle case, per ragioni diverse da quelle immediate, Rimini ha dati diversi. Dire, però, che Rimini abbia fabbisogni più elevati di tutte le altre province dell'Emilia-Romagna sarebbe un errore per chi conosce materialmente la nostra realtà. A impatto immediato, se quello fosse il risultato, sarebbe un errore perché Rimini ha fabbisogni per molti aspetti più bassi delle altre. Questo, ovviamente, lo dirà la pratica e l'esperienza, ma come primo impatto mi verrebbe da dire questo.
  La seconda questione che mi incuriosisce e su cui vi chiedo un breve approfondimento riguarda la motivazione con cui l'ANCI si è opposta a introdurre un ulteriore elemento di efficientamento rispetto ai benchmark: come affermava la senatrice, c'è sempre chi perde e chi guadagna. Non riesco a capire, però, perché l'associazione dei comuni, rappresentando teoricamente tutti, si dovrebbe schierare ufficialmente con chi avrebbe da perdere dalla ricerca di una maggiore efficienza.

  MARIA CECILIA GUERRA. Anch'io ringrazio molto per questa relazione illuminante. Per curiosità, avevo già letto i verbali, proprio per comprendere le posizioni anche su problemi più tecnici che avete affrontato. Credo, quindi, che il lavoro sia stato fatto con grandissima serietà.
  Vorrei porgere alcune domande e svolgere una considerazione di tipo generale. Le domande derivano dal fatto che non ho ancora completato lo studio della problematica, quindi mi si scuserà se sono imprecise.
  Una domanda è legata alla questione dell'indice di deprivazione, che leggo come elemento per tenere in mente l'attenzione verso i livelli essenziali, ovvero di considerare la necessità per tutti i comuni di arrivare a un certo soddisfacimento di bisogni, tenendo conto che i bisogni di partenza possono essere differenziati, al di là di quello che la domanda stessa rende evidente. Nello stesso tempo, però, il fabbisogno è pari a zero dove il servizio non è attivato. Ecco, ciò è stato oggetto di una polemica rilevante anche l'anno scorso: noi avevamo segnalato che era una scelta compiuta in sede tecnica, ma chiaramente di tipo politico. Se ben ricordo, in sede di approvazione si mediò su questo, con riferimento agli asili nido. Vorrei capire, invece, se qui si è scelto di scrivere «zero» per riferirci a servizi che non ci sono. Mi spiego meglio: il servizio può non esserci perché non c'è domanda, quindi perché non c'è bisogno, ma anche per questioni storiche o di deprivazione. Allora, come si distinguono queste cose? Insomma, l'indice di deprivazione incide anche nel calcolo del fabbisogno di servizi che sarebbe altrimenti pari a zero? Questa è la domanda, anche se un po’ confusa. Passo ora alla considerazione generale su questo punto. In altre realtà federaliste – tipicamente l'Australia, dove il termine è utilizzato e si chiama «disabilità» – l'indice di deprivazione è messo fuori dalla perequazione. Ovviamente, il problema non ha a che fare con questa nota metodologica, ma rientra in una mia valutazione generale. Quando ci Pag. 12sono, come da noi, dislivelli territoriali così elevati, soprattutto sui servizi sociali, fare carico di questa arretratezza sociale la perequazione su un fondo comunale, secondo me, è concettualmente sbagliato. Sarebbe, invece, un intervento da far rientrare nel quinto comma dell'articolo 119 della Costituzione. Un'altra cosa che ho letto riguarda l'utilizzo dei dati di spesa. Specialmente in questi ambiti, non solo nel sociale, c'è il problema dell'esternalizzazione. Usare i dati di conto consuntivo può comportare errori molto seri, perché l'esternalizzazione comporta che la spesa del bene che si acquisisce dall'esterno passa o non passa per il conto consuntivo in modo molto diverso a seconda di chi sia, banalmente, il collettore della tariffa.
  Nell'ambito della relazione dei servizi sociali dell'Istat, questo è stato già indicato – si sta infatti operando qualche correzione – come elemento che può spostare cifre enormi, con una differenza che arriva al 30-40 per cento. Io stessa, nel banale conto sull'asilo nido in Emilia-Romagna che avevo fatto, facevo vedere come, basandosi sui conti integrati che la regione fornisce – in cui si possono prendere tutte le spese del servizio, anche quelle esternalizzate, oppure, alternativamente, sul conto economico – si registrano differenze molto significative. Allora, la domanda è se, ed eventualmente in che modo, avete tenuto conto dell'esternalizzazione.
  Apprezzo molto il lavoro che è stato fatto dal punto di vista generale. Mi riservo di leggerlo con più cura, ma credo che l'affinamento di questa metodologia ci dia elementi di conoscenza che sono sicuramente molto importanti. L'utilizzo di questo tipo di risultati in termini di benchmarking è fondamentale. Invece, sull'utilizzo in termini di perequazione capisco le sollecitazioni dell'ANCI, che ha un approccio chiaramente di tipo conservativo, in quanto sindacato dei comuni che fa propria la problematica di non avere salti troppo ampi nella redistribuzione delle risorse da un anno all'altro.
  Concettualmente, il professor Marattin dice che questi sono i dati veri e, quindi, vanno utilizzati. Tuttavia, dobbiamo essere proprio sicuri di questo perché, siccome è una metodologia in fieri, occorre prudenza, anche perché lo scorso anno abbiamo detto che erano veri quelli, che erano già fabbisogni standard. Se quest'anno, sulla base dei nostri calcoli, vengono fuori risultati molto diversi, è necessaria un po’ di prudenza rispetto a quelli che potrebbero essere i risultati di domani.
  La prudenza nell'applicazione è un tema che resta aperto, perché se si è deciso di applicare la perequazione non sul 100, ma sul 45,8, vuol dire si è voluto procedere prudentemente: quelli sono éscamotage che non mi piacciono, in quanto preferirei un percorso più lento mentre la metodologia si affina.
  L'altra questione di fondo non ha a che fare con la metodologia. Suggerisco che questa Commissione continui a rilevare che questa applicazione ha poco a che fare con la legge n. 42 del 2009, in cui si parlava di fabbisogni, ipotizzando che le risorse fossero adeguate ai fabbisogni medesimi. Invece, applicare una macchina così complessa a una redistribuzione di risorse palesemente insufficienti rispetto all'obiettivo che si vuol perseguire è un meccanismo problematico. Ritengo che adesso dobbiamo distribuire le risorse sulla base di alcuni indicatori semplici e, al contempo, andare avanti con questa valutazione, per ora come benchmarking, che ha una rilevanza enorme dal punto di vista della conoscenza, essendosi registrati passi in avanti.
  Mettere le due cose insieme pone dei seri problemi di sistema. Questo – ripeto – non ha a che fare con la metodologia, ma è un tema che dobbiamo aver presente specialmente in questa Commissione che si occupa dell'applicazione della citata legge n. 42 del 2009.

  PRESIDENTE. Sappiamo che, se venisse approvata definitivamente la riforma costituzionale, occorrerà costituzionalizzare la materia.
  Do la parola al professor Marattin per una breve replica.

  LUIGI MARATTIN, Presidente della Commissione tecnica per i fabbisogni standard. Pag. 13 Grazie, presidente. Per quanto riguarda le osservazioni dell'onorevole Paglia, non ho elementi per rispondere alle sue osservazioni relative a Rimini, ma faccio presente che quell'indice viene considerato in termini di scostamento dalla media nazionale: non ho elementi per sostenere se Rimini sia sopra o sotto la media, ma qualora fosse sotto la media ciò non conterebbe.
  Sull'ANCI ha argomentato molto bene la senatrice Guerra. Lungi da me entrare più di quanto non abbia già fatto in Commissione sulla polemica con l'ANCI, ma sottoscrivo, per quanto conta, le dichiarazioni della senatrice Guerra; aggiungo soltanto che, statisticamente parlando, la regressione basata sui valori medi è un metodo più robusto della regressione basata su valori quantilici. Non sono «magie», nel senso che anche la regressione quantilica è utilizzata in letteratura economica, ma siccome stiamo parlando di distribuire soldi e non di fare un paper accademico, la motivazione di ANCI è più comprensibile, nel senso che, per il momento, continuiamo a basarci su tecniche di stima ampiamente rodate, quali quelle della regressione su valori medi, sviluppando per un'ulteriore discussione tecniche di stima basate su frontiere di efficienza, che, tra l'altro, già applichiamo per le province, anche se, come sapete, la situazione è molto diversa.
  Nel frattempo la Commissione – dal 3 marzo abbiamo lavorato sull'aggiornamento dei dati dei comuni e da maggio a settembre sull'aggiornamento della metodologia – non siamo stati con le mani in mano, ma abbiamo lavorato sul settore provinciale (province e città metropolitane), in cui sono stati maggiormente utilizzati metodi di stima quantilici, sebbene il contesto sia significativamente diverso.
  Con riferimento alle osservazioni della senatrice Guerra sull'opportunità di attribuire un valore pari a zero dove non c'è il servizio sociale, non voglio dare cifre a caso: i comuni in cui non abbiamo riscontrato il servizio sono veramente pochi, nel senso che si contano a decine, non di più.
  In questa sede, peraltro, abbiamo anche svolto un'operazione in sinergia fra le banche dati dell'amministrazione centrale dello Stato. Infatti, uno dei vari problemi – dopo parlerò dei conti consuntivi – è che in questo Paese si fa fatica a mettere insieme le banche dati. È come se ognuno si volesse tenere le sue. Invece questa volta, con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il trasporto pubblico locale e con l'INPS per il sociale, abbiamo provato a mettere a sistema – non è facile, perché la centralizzazione delle informazioni quantitative è un altro campo su cui lavorare – e a centralizzare tutte le informazioni disponibili, per assicurarci che davvero in un certo comune non vi sia un servizio. Si è trattato di un work in progress, perché prima di assumere tutte queste informazioni i comuni senza servizio risultavano di molto superiori; poi, una volta completata l'analisi di messa a sistema delle banche dati, abbiamo potuto ridurne il numero a percentuali molto basse.
  Questo, tuttavia, non significa nulla. Anche se si trattasse di un solo comune, l'obiezione della senatrice sarebbe sensata. A questo posso rispondere come la senatrice stessa ha fatto poco dopo, vale a dire che c'è un «fantasma» che si aggira da anni in queste vicende, ovvero i LEP (livelli essenziali delle prestazioni). Questi, però, non sono i LEP.
  Il concetto fondamentale che guiderebbe una perequazione come quella del 2009 si basa sull'individuazione del livello essenziale. Non è questo, però, il caso, come è evidente. Naturalmente, è una scelta eminentemente politica. Personalmente, penso che sia molto complicato, anche a regime, arrivare a definire i LEP sui servizi fondamentali in un Paese come questo. È – ripeto – un'opinione personale, perché i LEP sono previsti dalla Costituzione e, quindi, si tratta di un tema che deve essere sviscerato e approfondito. Mi posso solo limitare a dire che l'utilizzo della funzione di costo è un passo essenziale per arrivare al LEP, perché se abbiamo la funzione di costo in cui uno dei regressori è il livello di servizio offerto, se la politica decide di fissare l'asticella a un certo punto, lo strumento c'è già. Dopodiché, ognuno ha la propria opinione sul Pag. 14fatto se si riuscirà mai a dire qual è il LEP per gli asili nido da Bolzano a Reggio Calabria. Questo è un tema che è bene cominciare a sviscerare, ma finché non arriviamo lì è chiaro che non possiamo farlo.
  L'altro significativo cambio di scenario rispetto al contesto in cui nacque la legge n. 42 del 2009 è la perequazione verticale. Nel 2009 i trasferimenti statali verticali erano pari a 15-16 miliardi di euro circa (perdonate l'eventuale imprecisione, ma in ogni caso partivamo da livelli di finanziamento significativamente superiori). Dal 2008 al 2015 vi sono stati tagli ai trasferimenti comunali per 8,3 miliardi di euro, quindi è chiaro che nel 2009 il sistema poteva reggersi su una perequazione verticale in cui lo Stato interveniva, appunto verticalmente, per perequare le differenze fra fabbisogni e capacità fiscale. I tagli intervenuti nel corso di questi anni hanno reso questa perequazione orizzontale, non verticale. Anche su questo spesso si discute con l'ANCI. Personalmente non credo che ciò infici totalmente il ragionamento. Il mondo è pieno di esperienze di perequazione orizzontale, ma è chiaro che la perequazione verticale è una filosofia diversa.
  La perequazione, però, può benissimo essere orizzontale quale in effetti è: i comuni con capacità fiscale superiore ai fabbisogni cedono a quelli in situazioni opposte. Non è uno scandalo. Comunque, non è certo un sistema in cui lo Stato interviene per perequare le differenze. Questo è dipeso dalla scelta politica di operare, dal 2011 al 2015, tagli ai trasferimenti statali ai comuni, che sono stati sicuramente consistenti. La questione discende da lì, non da altro.
  Infine, sull'esternalizzazione potrei non ricordare la risposta puntuale. Ho in mente un esempio che c'entra poco, vale a dire quello sulle unioni comunali e le gestioni associate, su cui abbiamo modificato la procedura. Infatti, mentre prima consideravamo la gestione associata un unico ente – il che creava distorsioni immense – con questa nuova metodologia assegniamo una quota parte del servizio ai singoli comuni che fanno parte dell'Unione e della gestione associata.
  Sulle esternalizzazioni, sono abbastanza sicuro, ma mi riservo di verificare, che queste informazioni non siano indagate da conto consuntivo, bensì maggiormente dal questionario. Mi riservo – ripeto – di verificare. A ogni modo, il punto fondamentale è riuscire a utilizzare il questionario là dove non può arrivare la banca dati ufficiale.
  Sicuramente, là dove l'informazione da conto consuntivo può essere distorsiva – quale può essere per le gestioni associate e le funzioni esternalizzate – il nostro obiettivo è correggere queste informazioni tramite utilizzo puntuale del questionario. Anche se la vastità lo previene, in alcuni casi, abbiamo addirittura avuto un rapporto diretto con l'ente. Là dove vi sono state anomalie – talvolta è accaduto – nella compilazione del questionario o comunque nel quadro generale, non è stato inusuale contattare direttamente l'ente per un approfondimento specifico dal punto di vista dei dati presenti.
  Ricapitolando, nel quadro generale, rispetto al 2009, sono cambiate due cose. In primo luogo, i tagli intervenuti hanno reso impossibile una perequazione verticale, ma hanno permesso una perequazione orizzontale, che – ripeto – non è una bestemmia. È diversa dalla verticale, ma è sempre un meccanismo perequativo.
  Rimane sullo sfondo il tema dei LEP, comunque la vogliamo pensare. In ogni caso, ai LEP si potrà arrivare – sempre se la politica deciderà di arrivarci – solo se continuiamo a estendere il metodo della funzione di costo, altrimenti tecnicamente dovremmo cambiare completamente il sistema, come veniva suggerito, vale a dire utilizzare questi esercizi come benchmark e poi distribuire le risorse in maniera di diversa. Tra l'altro, questo è un altro equivoco che viene spesso utilizzato: il meccanismo distribuisce un ammontare dato e non serve a costituire il fondo. La stessa cosa avviene nei settori della sanità, dell'università e dovunque sono applicati i costi e fabbisogni standard, altrimenti anche qui la situazione sarebbe molto diversa. Pag. 15
  Il cammino per i LEP, che comunque sono una prescrizione costituzionale e, pertanto, vanno considerati con il rispetto e l'ossequio dovuti, è molto complicato, ma potrà essere raggiunto solo se viene ulteriormente portato a compimento il cammino che lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in esame intensifica.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Marattin per il contributo, che sarà sicuramente utile ai nostri due relatori. Ricordo che domani incardineremo il provvedimento, il cui iter sarà poi definito in sede di Ufficio di presidenza, al fine di concluderne l'esame, come abbiamo pattuito, entro giovedì prossimo.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.10.

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