XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

Resoconto stenografico



Seduta n. 102 di Mercoledì 25 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale delle ricerche (svolgimento e conclusione):
Bratti Alessandro , Presidente ... 3 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 3 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 5 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 5 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 6 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 6 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 6 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 6 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 6 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 6 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 7 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 8 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 8 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 8 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 8 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 8 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 8 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 10 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 10 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 11 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 11 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 12 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 12 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 12 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 12 ,
Pepe Bartolomeo  ... 13 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 13 ,
Pepe Bartolomeo  ... 13 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 13 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 13 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 13 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 13 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 14 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 14 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Mininni Giuseppe , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 15 ,
Polesello Stefano , rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 

(La seduta, sospesa alle 9.35, è ripresa alle 14.25) ... 15 

Esame della proposta di relazione sulla situazione del sito di interesse regionale «Basso bacino del fiume Chienti» (relatore: on. Bratti) (Seguito dell'esame e approvazione):
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Carrescia Piergiorgio (PD)  ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 

Sui lavori della Commissione:
Arrigoni Paolo  ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 16 ,
Arrigoni Paolo  ... 16 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 16 

Audizione del presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino (svolgimento e conclusione):
Bratti Alessandro , Presidente ... 16 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 17 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 18 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 18 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 18 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 19 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 20 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 20 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 20 ,
Arrigoni Paolo  ... 20 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 21 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 21 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 21 ,
Arrigoni Paolo  ... 21 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 21 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 22 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 22 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 23 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 23 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 23 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 23 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 23 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 23 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 23 ,
Valmaggia Alberto , assessore all'ambiente della regione Piemonte ... 23 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 24 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 24 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 24 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 24 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 24 ,
Chiamparino Sergio , presidente della regione Piemonte ... 24 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO BRATTI

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale delle ricerche.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del Consiglio nazionale delle ricerche. Sono presenti il dottor Giuseppe Mininni e il dottor Stefano Polesello, entrambi dell'Istituto di ricerca sulle acque IRS-CNR, che ringrazio per la presenza.
  Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che, come Commissione, stiamo svolgendo sulla regione Veneto, con particolare riferimento alla situazione di criticità che sta interessando larghe fasce di popolazione residente interessate dal presunto inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche.
  A dire la verità, avremmo deciso di svolgere un approfondimento specifico anche dal punto di vista della relazione su quest'argomento, vista la complessità della relazione territoriale sul Veneto. Data l'importanza assunta da questa questione, forse, anche per ciò che succederà nel futuro, sarebbe il caso di predisporre una relazione specifica riguardante questa tematica.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Abbiamo analizzato il fenomeno, lo conosciamo e sappiamo delle problematiche in essere. Presumo che voi stessi siate stati molto sollecitati negli ultimi tempi. Ovviamente, ci interessa capire come è nata la richiesta nei vostri confronti da parte del Ministero – se non sbaglio, si tratta di una commessa del Ministero dell'ambiente – e avere qualche elemento di conoscenza in più anche di carattere generale. Se non abbiamo capito male, questo tipo d'indagine non ha riguardato solo il Veneto, ma l'avete svolta in mezza Italia. Ci interessa capire lo stato dell'arte e quello che avete rilevato. Ovviamente, tutto il materiale che potete consegnarci sarà gradito. Cederei dunque la parola ai nostri ospiti, ai quali ci rimettiamo per l'ordine di illustrazione delle loro rispettive relazioni introduttive, a partire dal dottor Polesello.

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sono ricercatore all'Istituto di ricerca sulle acque del CNR e vorrei fare un po’ di cronistoria – magari già sapete tutto – per Pag. 4capire qual è stato e qual è attualmente il nostro ruolo come Istituto di ricerca sulle acque del CNR con riguardo alla questione perfluorurati in Veneto. Nel 2007 il progetto europeo PERFORCE, in cui non eravamo coinvolti direttamente, aveva analizzato in relazione alle sostanze perfluoroalchiliche i principali fiumi europei allo scopo di determinare quali potessero essere i carichi generali portati dai grandi fiumi verso il mare. Per carico intendiamo la quantità di sostanza per unità di tempo sversata da un fiume nel mare. Da quest'indagine, che aveva riguardato Reno, Danubio, Po – mi sembra anche la Loira – e alcuni altri fiumi, il Po era risultato il fiume europeo con i livelli di concentrazione più alti, ma anche con i carichi più alti apportati al mare – in quel caso, erano state analizzate poche sostanze – per quanto riguarda il cosiddetto acido perfluoroottanoico (PFOA, per intenderci), cioè la sostanza che più preoccupa anche nella questione Veneto.
  Questo problema del Po nasce dal fatto che vi è una fabbrica di algoflon della Solvay Solexis ubicata a Spinetta Marengo, sulla Bormida, vicino ad Alessandria, che scarica nel Tanaro, il quale, a sua volta, scarica nel Po. Quest'azienda, un polo chimico già oggetto di un piano di bonifica con grossi problemi storici, dovuti al fatto che produceva bicromato di potassio e acido solforico, con una storia lunga (la Bormida è un fiume su cui, storicamente, si è riversata un'industrializzazione da anni antichi, dagli anni Trenta-Quaranta), con la sua fabbrica di politetrafluoroetilene – quello che chiamiamo teflon – sversava quantità di PFOA, utilizzato nel processo di polimerizzazione di questo prodotto.
  La Commissione europea aveva avvertito di questa situazione il Ministero dell'ambiente. Parallelamente, come Istituto di ricerca, eravamo stati contattati dal Joint Reserch Centre (JRC) di ISPRA, l'istituto di ricerca comunitario, perché volevano continuare con questo tipo di indagine ma non potevano far ciò per una ragione legale, dovuta al fatto che i centri di ricerca comunitari non possono effettuare analisi sul territorio degli Stati membri. Avevano delegato a noi, quindi, questo tipo di attività. Eravamo già partiti, quindi, nel 2008 con una serie di indagini che riguardavano il nodo Tanaro-Po, con riguardo a questa fabbrica di perfluorurati. Il Ministero, ricevuta la notizia – in questo caso, si trattava del dipartimento di valutazione ambientale del Ministero – ci aveva contattato e, dopo lunghe trattative, eravamo giunti a firmare un contratto di ricerca biennale che doveva riguardare lo screening su tutta la distribuzione di queste sostanze all'interno dei principali bacini idrici italiani, che noi avevamo scelto essere il Po con i suoi affluenti, l'Adige, il Tevere e l'Arno.
  Abbiamo iniziato queste campagne di monitoraggio ma, allo stesso tempo, ci eravamo posti il problema di individuare le fabbriche, le unità produttive che più utilizzavano queste sostanze, al fine di verificare in loco la pressione dovuta per via di queste fabbriche. Quanto alla Solvay Solexis, abbiamo svolto un lavoro di ricerca molto importante, molto articolato sulla Bormida, uno studio sull'impatto ecologico sull'ecosistema dello scarico di Solvay Solexis nel fiume, ma abbiamo saputo che lo PFOA, utilizzato nel processo di polimerizzazione per produrre il teflon, veniva prodotto da una ditta non italiana, in quel periodo proprietà di giapponesi: la Mitsubishi, o meglio, la Miteni, situata a Trissino.
  Abbiamo ottenuto da ARPA l'autorizzazione a entrare e, accompagnati da ARPA, nel 2011 siamo entrati nella fabbrica. Abbiamo campionato gli scarichi dei depuratori e tutti i corpi idrici intorno. In quel caso non avevamo competenza sull'acqua potabile; la richiesta specifica del Ministero riguardava i corpi idrici superficiali. Abbiamo quindi svolto una piccola indagine dalla quale risultava che la Miteni era una sorgente di queste sostanze perché le produceva, non solo del PFOA ma anche di un'altra sostanza a catena più corta, il perfluorobutansolfonico (PFBS), andato a sostituire il famoso PFOS, l'altra sostanza tossica di cui l'Unione europea aveva già ristretto l'uso e la produzione. Tutto questo è successo intorno al 2011.
  Abbiamo poi consegnato tutti i dati parziali ogni anno al Ministero, che ci chiedeva Pag. 5anche la possibilità di valutare il rischio di esposizione umana. Abbiamo fatto ciò attraverso due elementi: l'acqua potabile nelle zone che avevamo individuato come più a rischio – l'acqua potabile è venuta dopo – e l'accumulo all'interno dei mitili che venivano allevati nella zona delle lagune, il Delta del Po e la laguna di Venezia. Campionando l'acqua potabile al rubinetto – quindi non l'acqua di falda bensì l'acqua potabile dalle fontanelle pubbliche in Veneto – tra la fine del 2012 e l'inizio del 2013 erano risultati valori anomali. Ci siamo riuniti con il Ministero, il quale ci ha consigliato, o meglio «imposto», un'altra campagna di misura più articolata di conferma. Non ricordo le date esatte ma abbiamo consegnato i dati al Ministero a marzo del 2013; verso aprile è partita la comunicazione dal Ministero alla regione Veneto; ci siamo quindi riuniti il 23 maggio 2013 a Roma con i rappresentanti del Ministero dell'ambiente, della regione Veneto e dell'ARPAV per comunicare i risultati di questa campagna analitica.
  A questo punto la regione Veneto ha incaricato ARPAV di effettuare il monitoraggio. Noi abbiamo fornito tutti gli strumenti, cioè, fisicamente, gli standard e i materiali utili a mettere a punto il metodo analitico che loro non avevano. Devo dire che, con grande efficienza ed efficacia, ARPAV ha in poco tempo messo a punto il metodo analitico e ha iniziato una campagna di monitoraggio consistita nel ripetere esattamente i campionamenti, prima alle fontanelle che avevamo analizzato noi e poi ampliando il raggio d'azione fino a determinare che, effettivamente, la situazione non riguardava solo l'inquinamento delle acque superficiali ma, soprattutto, l'inquinamento dell'acqua di falda. La nostra attività sul Veneto è quindi terminata, ma è continuata da un punto di vista scientifico su altre attività. In Veneto, dunque, la situazione è andata sotto il controllo di regione e di ARPAV, che hanno continuato i vari monitoraggi – che ancora continuano – i cui dati sono pubblici e pubblicati sul sito di ARPAV.
  A questo punto il problema era la fissazione dei limiti sulle acque superficiali. Il Ministero dell'ambiente, in questo caso il dipartimento delle acque interne, ci ha incaricati di formare un gruppo di lavoro con ISPRA e l'Istituto superiore di sanità per stabilire gli standard di qualità sulle acque superficiali e sotterranee per un set di queste sostanze. Il gruppo di lavoro è stato coordinato da me, così come era coordinato il progetto precedente. Con la collaborazione dei colleghi e degli altri istituti, in circa un anno abbiamo derivato, secondo la metodologia armonizzata a livello europeo, gli standard di qualità per sei o sette sostanze – non ricordo il numero esatto – selezionate in base a quelle di maggiore ritrovamento: PFBA (4 atomi di carbone), PFPA 5, 6; PFBS e perfluoroottanoico, cinque sostanze. Questi valori sono stati poi recepiti e inseriti nel decreto legislativo n. 172 del 2015, di recepimento della direttiva europea n. 39 del 2013.
  In questo decreto è stato recepito anche lo standard di qualità europea del PFOAS, considerato sostanza prioritaria perché già inserita nel processo di prioritizzazione. Questi standard di qualità sono stati anche validati all'interno di un contesto europeo, posto che abbiamo spedito questi dati ad altri Stati membri prima della pubblicazione affinché fossero validati; abbiamo anche pubblicato su una rivista scientifica, quindi con un peer reviewing, questi dati. Da un punto di vista puramente formale, il nostro ruolo all'interno della problematica veneta si è, al momento, «esaurito» qui. Continuiamo, tuttavia, gli studi su diffusione, meccanismi, pericolosità ed effetti di queste sostanze anche in altri ambienti italiani.

  PRESIDENTE. Avete fatto, quindi, il lavoro sulla proposta dei limiti?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sì, i limiti sono già in una normativa: parliamo di limiti sulle acque superficiali marine. Questi verranno quindi recepiti anche come acque sotterranee. Il decreto, che penso sia all'attenzione del Parlamento in qualche Commissione, è già terminato in quanto abbiamo ultimato il lavoro sul decreto Pag. 6 di recepimento della direttiva acque sotterranee. Queste sostanze sono state inserite nella tabella 1B, la tabella che riguarda le sostanze di interesse nazionale.

  PRESIDENTE. Scusi, che valori sono quelli delle acque sotterranee?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. I valori delle acque sotterranee saranno uguali a quelli delle acque superficiali perché nella legislazione della direttiva europea è previsto che, qualora ci sia il rischio di scambio tra acque superficiali e sotterranee, il valore più basso dei due, se sono stati stabiliti valori diversi, sia valore comune a entrambe le matrici. Siccome il problema del Veneto nasceva essenzialmente proprio da questa caratteristica idrogeologica della fascia dove era situata quest'azienda, che era quella proprio dall'altissima permeabilità della fase e dello scambio...

  PRESIDENTE. Questo valore, quindi, con il recepimento del decreto viene messo in tabella e, di conseguenza, ha una valenza nazionale e non più regionale, per cui tutti sono tenuti a rispettare quei valori.

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sono assolutamente valori nazionali.

  PRESIDENTE. Mi segua un momento nel ragionamento. Nel momento in cui si dovessero ravvisare concentrazioni al di sopra di quel valore, il sito è contaminato e, a tutti gli effetti, deve seguire le procedure dei siti contaminati: è così?

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Anch'io sono ricercatore all'Istituto di ricerca sulle acque. Mi occupo più degli aspetti di articolazione della disciplina e cercherò di spiegare quale sia attualmente il problema che riguarda, appunto, la regolazione di queste sostanze, sia nelle acque superficiali, sia negli eventuali scarichi. La situazione è piuttosto intricata. Come diceva il collega, delle sostanze di cui stiamo parlando, soltanto il PFOS è qualificato dalla Commissione europea come sostanza pericolosa prioritaria e pertanto è stata inserita nella direttiva n. 39 del 2013, nella tabella poi recepita nel decreto legislativo n. 172 del 2015. Questo recepimento con il nostro decreto legislativo non implica però che questi standard di qualità, in particolare questo per il PFOS, sostanza veramente pericolosa e prioritaria, che tende ad accumularsi nell'organismo – peraltro già bandita, come ricordava il collega, dalla Commissione europea – siano immediatamente applicabili. La disciplina prevede che, per queste sostanze, questi standard di qualità si applichino soltanto a partire dal 22 dicembre 2018, al fine di conseguire un buono stato chimico entro il 22 dicembre 2027. Soltanto a partire dal 2018, quindi, per queste sostanze si deve prevedere una progressiva riduzione delle emissioni che consenta di raggiungere il buono stato chimico, quindi, il livello di standard di qualità ambientale entro nove anni, cioè entro la fine del 2027.
  Questo vale per le sostanze presenti nella tabella 1/A dell'allegato 1, parte terza, del decreto legislativo n. 152 del 2006. In effetti, il decreto legislativo n. 172 del 2015 ha inciso fortemente sull'articolato del decreto legislativo n. 152, che come sapete è il testo unico sull'ambiente, in particolare sull'articolo 78 e seguenti. Vi leggerò come è stato riformato il comma 13 dell'articolo 78 a seguito, appunto, del recepimento con il decreto legislativo: «Le disposizioni del presente articolo concorrono a conseguire l'obiettivo dell'eliminazione delle sostanze pericolose prioritarie indicate come PP – appunto il PFOS – alla tabella 1/A del paragrafo A 2.6 dell'allegato 1, parte terza, negli scarichi, nei rilasci da fonte diffusa e nelle perdite, nonché alla graduale riduzione negli stessi delle sostanze prioritarie individuate come P alla medesima tabella. Tali obiettivi devono essere conseguiti entro venti anni dall'inserimento della sostanza nell'elenco delle sostanze prioritarie da parte del Parlamento europeo».
  Siccome questo è avvenuto con la direttiva n. 39 del 2013, entrata in vigore il 13 Pag. 7settembre 2013, parliamo della scadenza del 13 settembre 2033: sono tempi «piuttosto» lunghi. Lo ripeto: questo vale soltanto per il PFOS. Per le altre sostanze, pure importanti, citate dal collega e inserite invece nella tabella 1/B, non sono state qualificate ancora dalla Commissione europea né come pericolose (P), né come prioritarie e pericolose (PP). Pur essendo state inserite nella tabella 1/B, quindi, a mio avviso non è chiaro, nella lettura del decreto legislativo, quando questi standard di qualità saranno applicabili. Gli standard, quindi, esistono, sono stati normati, sono stati inseriti nella tabella 1/B, ma non è assolutamente chiaro quando saranno applicati: si presume, sicuramente, in tempi addirittura più lunghi di quelli che vi ho esposto.
  A questo, ovviamente, è legato in maniera molto stretta lo standard da assegnare agli scarichi di un eventuale trattamento di acque reflue degli impianti che trattano queste sostanze pericolose. La disciplina sugli scarichi, dettata sempre dalla parte terza, in particolare dall'articolo 101 e seguenti, allegato 5, prevede che questi scarichi debbano essere conformi alla famosa tabella 3 per lo scarico in corpo idrico superficiale. Ricordo che, relativamente alla tabella 3, non si tratta di limiti assoluti, ma non derogabili soltanto per le sostanze pericolose, che sono altre sostanze – la disciplina è piuttosto complicata – riportate nella tabella 5 dell'allegato 5: solo per queste i limiti sono inderogabili. Per tutte le altre sostanze la regione può definire dei limiti diversi, anche meno stringenti, in funzione degli obiettivi di qualità del corpo idrico. È sempre la regione, quindi, che definisce dei limiti, degli standard per gli effluenti dal trattamento in funzione della tutela del corpo idrico ricettore. Ovviamente la regione può fissare limiti anche per nuove sostanze ove fossero fissati gli standard di qualità del corpo idrico ricettore. Siccome, come abbiamo detto, questi standard di qualità del corpo idrico ricettore, sebbene normati, non sono ancora efficaci, capisco il motivo per cui la regione Veneto ha molto imbarazzo a fissare dei limiti per gli effluenti, che potrebbero – immagino – essere facilmente impugnati dalla controparte.

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Vorrei chiarire dal punto di vista legislativo il valore di queste tabelle 1/A e 1/B. Nell'architettura della direttiva quadro sulle acque, che chiaramente si è dovuta inserire su quella del decreto n. 152, laddove esisteva un'architettura più tradizionale, nell'idea del legislatore europeo non esistono più i limiti agli scarichi – che sono solo degli strumenti – ma solo il raggiungimento dell'obiettivo di qualità nel corpo idrico superficiale. La qualità del corpo idrico superficiale, che doveva essere già raggiunta nel 2015 ma è stata rinviata al 2017, per tutti i corpi idrici italiani, è determinata dallo stato chimico, definito dalla compliance, cioè dalla conformità delle concentrazioni nel fiume con i valori della tabella 1/A, cioè le sostanze proprietarie, dove è incluso solo il PFOS. Vi è poi la conformità con lo stato ecologico, che richiede anche la conformità con una serie di sostanze a livello locale, incluse per l'Italia nella tabella 1/B.
  La tabella 1/B, incluso il PFOA, concorre, quindi, al raggiungimento dello stato di qualità ecologico buono, mentre la tabella 1/A – quindi il PFOS – concorre allo stato chimico buono. È una discrepanza, una dicotomia nata dalla costruzione della direttiva quadro, che ha creato parecchia confusione. Questo fa sì che anche le frequenze del monitoraggio siano diverse: per la tabella 1/A questo è mensile, mentre per la tabella 1/ B è trimestrale: riguardano, quindi, gli obiettivi di qualità.
  Il tutto, però, non è più demandato allo Stato bensì al distretto idrografico, l'organo che per la direttiva quadro, una volta verificata la non conformità chimica o ecologica, deve determinarne le cause effettuando le analisi delle pressioni e degli impatti, nonché utilizzando i dati di monitoraggio, sia chimico sia ecologico. In funzione di ciò, si deve seguire un piano di misure e, tra quelle possibili, c'è anche quella del limite allo scarico, il cosiddetto emission limit value. Lo scarico non è più, quindi, un oggetto nazionale, cioè un valore Pag. 8fisso limite per il quale «o quello, o niente», ma uno strumento che il distretto idrografico (che si rifà alle regioni, che hanno la capacità di spesa, con i piani di tutela delle acque regionali) deve integrare all'interno del piano qualora si verifichi una non conformità per quelle sostanze. È quindi uno strumento duttile, tanto che la Commissione europea – nelle commissioni europee si costruisce questo tipo di legislazione – ha rifiutato la proposta degli Stati membri di una metodologia fissata per questi limiti agli scarichi. L'obiettivo del limite allo scarico non è più un numero fisso: devi impedire che venga scaricata una quantità da tutte le fonti di pressione tale da generare una non conformità del corpo idrico recettore.
  Per tornare alla domanda sul sito contaminato, dopo questa lunga chiacchierata direi che parliamo di un sito che non raggiunge lo stato di qualità buono, ma non di sito contaminato.

  PRESIDENTE. Anche in riferimento alla falda profonda?

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sì, perché non ci sono i limiti delle CSC di tabella 2 dell'allegato 5, parte quarta: quelle sono di là da venire.

  PRESIDENTE. La necessità, quindi, di definizione o meno sarebbe nel senso di dire che alcuni di questi limiti fossero recepiti e che fosse modificata la tabella che riguarda le CSC?

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. La tabella 2 delle CSC, assolutamente sì. Questo, però, comporterebbe che tutto questo sito diventi...

  PRESIDENTE. No, questo è un altro tema. Io vorrei capire come funziona il sistema: con quale criterio e metodologia viene rilasciata l'autorizzazione integrata ambientale, o qualsiasi tipo di autorizzazione che riguardi gli scarichi di queste aziende? L'obiettivo di qualità è a tendere, ma qual è il metodo con cui si arriva a dire che un'azienda è autorizzata in un certo modo? Dovrò pur darle dei limiti da rispettare nell'autorizzazione!

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Ad oggi sta succedendo questo. Ovviamente, il punto fondamentale era stabilire uno standard di qualità nel corpo idrico recettore e l'abbiamo fatto: il Ministero l'ha fatto, anche tramite il nostro ausilio. Io ho visto quello che sta succedendo in Veneto, dove il problema, riassumendo, è che Miteni scarica nel depuratore consortile di Trissino, il quale scarica nel famoso tubone ARICA, che colletta cinque depuratori. Alla fine, però, a chi viene chiesto dalla regione di agire? Ad ARICA, che deve porre limiti allo scarico. Il dottor Zanvettore, responsabile tecnico di ARICA, mi telefona spessissimo perché non sa che pesci prendere! Egli ha avanzato delle proposte e, molto saggiamente, lo fa anche in prospettiva di un obiettivo con uno standard; ha avanzato attualmente una richiesta di autorizzazione siffatta ma, questi limiti, non rispettano immediatamente lo standard di qualità nelle acque del Fratta-Gorzone, che oltretutto è un canale grande quanto lo scarico di ARICA, che consta di cinque depuratori; a sua volta, questo deve rivalersi imponendo un limite sul depuratore di Trissino, che dovrà deporsi alla Miteni.
  Questa catena non è facile da gestire per quest'utente finale rappresentato dal consorzio ARICA, che si trova quindi in grande difficoltà e sta facendo adesso la nuova richiesta di autorizzazione: loro sono pienamente consci.
  Mi sono stati mostrati i dati dell'abbattimento dello scarico nel depuratore di Trissino e in Fratta-Gorzone. Dal 2013 si parlava di scarico di Miteni a milligrammi per litro: oggi si parla di scarichi a centinaia di nanogrammi, al massimo mille nanogrammi. Siamo passati, quindi, a una riduzione di un fattore mille: che cosa vuol dire? Anzitutto, c'è stato un problema produttivo, ci sono state delle limitazioni, un problema di riduzione, di crisi di produttività, forse anche da parte di Miteni (anche se forse si poteva fare qualcosa). Pag. 9
  Abbiamo conseguito il primo obiettivo di noi ricercatori avendo visto che, cominciati i controlli, già la società aveva abbattuto di mille volte il suo valore. Raggiungere un obiettivo di qualità di 0,65 nanogrammi per litro, come previsto dalla direttiva quadro sul PFOS, è impossibile perché questo valore viene superato in tutta l'Europa, non solo dall'Italia, in quanto valore di fondo. La sostanza è stata abolita per la maggior parte delle attività nel 2006, ma il problema riguarda diverse sostanze per la loro persistenza decennale. Per tutto ciò che è fondo non c'è niente da fare: servono decenni e decenni perché se ne vada naturalmente. Non vi sono metodologie miracolose, per ora, per abbatterlo all'interno della falda o nel corpo idrico. Anche i trattamenti depurativi sono inefficaci. Abbiamo, quindi, un problema «di fondo».
  L'obiettivo di ARICA è quello di un piano di riduzione, che ad oggi sta funzionando molto bene, ma siamo ancora lontani dal raggiungimento dei limiti che chiediamo. Per i 100 nanogrammi per litro per il PFOA in corpo idrico, come a Fratta-Gorzone, sarà dura, anche perché a monte dello scarico ci sono già 500 se non 1.000 nanogrammi per litro, che derivano – questo è l'altro grosso problema – dal fatto che c'è una circolazione continua dell'acqua di falda. L'acqua di falda, quindi, ha questi livelli, che non si possono mitigare a livello chimico o tecnologico; inoltre, siccome questa viene utilizzata sia come acqua potabile, che quindi ritorna del ciclo depurativo, sia per il raffreddamento delle fabbriche, sia per l'irrigazione, vi è un circolo continuo nel corpo idrico superficiale: anche riducendo lo scarico di ARICA a zero, non avremmo raggiunto la qualità buona del corpo idrico Fratta-Gorzone, che non dico sia assolutamente irrecuperabile ma che già viene diluito con il famoso canale dell'Adige (ci sono già, quindi, un po’ di trucchi leciti, o meglio, non illeciti).
  La situazione idrologica, quindi, è molto complessa; le sostanze sono ad altissimo tempo di degradazione, cioè hanno un lunghissimo tempo per degradare. Non vi sono attualmente sistemi tecnologici in grado di eseguire una bonifica efficace in situ di queste sostanze, che sono solubili, per cui si fa fatica a recuperare, a bloccarle con i carboni attivi e con i mezzi tradizionali con cui si operava per i clorurati. La situazione è piuttosto complessa. Non si parla tanto di sito contaminato, dunque, quanto di non raggiungimento degli obiettivi di qualità. Quanto ai corpi idrici sotterranei, anche per loro la direttiva quadro prevede due tipi di standard di qualità: uno quantitativo, che non ci interessa dato che qui d'acqua ne abbiamo tanta; uno qualitativo, che riguarda le sostanze pericolose, tra cui verranno inserite anche queste con il decreto di recepimento. Queste sostanze chimiche verranno utilizzate per stabilire se il corpo idrico sotterraneo sia in qualità buona o meno, il che vuol dire che non verrà usato.

  PRESIDENTE. Questo a livello europeo?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. A livello europeo e nazionale.

  PRESIDENTE. Sì ma a che punto è oggi la discussione per la falda profonda? L'eventuale introduzione di questa sostanza e del limite riguarda il livello europeo prima e poi quello nazionale oppure...

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Per i PFOS riguarderà il livello europeo, mentre per le altre sostanze il livello nazionale.

  PRESIDENTE. Nel caso in cui, quindi, si dovessero porre dei limiti, come giustamente dice lei, al di là del fatto che sia il sito contaminato o meno, la falda diventerebbe inutilizzabile?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sì, per l'uso potabile; dopodiché, appunto, c'è l'altra problematica; tuttavia l'uso potabile non è di nostra competenza; si passa all'Istituto superiore di sanità.

Pag. 10

  PRESIDENTE. Ho dato un'occhiata al vostro lavoro e non mi sembra che questi standard di qualità non siano raggiunti, o meglio, non mi sembra presumersi che non vengano raggiunti solo in Veneto, dove forse c'è una situazione idrogeologica particolare, che ha consentito questo forte inquinamento. Pensiamo alle concerie toscane, all'Arno, al Tevere, per il quale ci sono segnalazioni di concentrazioni molto elevate: che cosa succede in queste zone?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. In realtà, stiamo parlando di ordini di grandezza molto diversi. Per il Veneto, stiamo parlando di acque superficiali che superano i 1.000 microgrammi per litro. Sull'Arno abbiamo trovato queste concentrazioni solo in uscita al depuratore di Santa Croce, dove non sono tanto le concerie il problema, quanto i processi di impermeabilizzazione delle pelli. Ad Arzignano abbiamo effettuato le analisi sull'Agno e, anche dai dati dei depuratori in loco, risultano concentrazioni sui centinaia di nanogrammi, dovuti probabilmente – ne sono quasi certo perché ho eseguito delle analisi – all'uso della stessa acqua di falda nei trattamenti, quindi c'è un problema, ancora una volta, di ricircolo industriale. Nei trattamenti di concia fatti ad Arzignano non dovrebbero esserci produzioni particolari di perfluorurati in più, perché questi non vengono utilizzati. Succede che a Santa Croce sull'Arno viene realizzata la borsetta finale – la pelle finale – quindi anche l'impermeabilizzazione e questo porta al grandissimo utilizzo di PFBS, una delle sostanze prodotte da Miteni per questo tipo di attività. Abbiamo però trovato tutto questo proprio allo scarico, a Santa Croce sull'Arno. Già nella direzione dell'Arno si arriva a qualche centinaio di nanogrammi, quindi, sicuramente, quasi a rientrare nello standard di qualità. Anche il superamento del Tevere, recentemente segnalato, nasce dal riferimento a questi 0,65 nanogrammi per litro del PFOS, che è superato dappertutto in quanto è un livello di fondo dovuto al nostro utilizzo decennale di questa sostanza.
  Ho eseguito analisi anche in aree del comasco e del varesotto, del bacino del Lambro, a Olona, dove ci sono delle criticità singole puntuali su piccoli corsi d'acqua, come il Lura – che ovviamente sono a portate ridottissime – ma questo non genera anche nel Lambro stesso uno sforamento degli standard di qualità. Stiamo parlando – sì – di hot spot ma, per quello del Veneto, parliamo di un problema che è 10, 100, 500 volte tanto rispetto agli altri corpi idrici. La stessa Bormida raggiunge i microgrammi per litro e dopo pochi chilometri va nel Tanaro, dove si diluisce; il Tanaro va nel Po, dove ci sono valori bassi, 20-40 nanogrammi per litro, ma abbiamo effettuato tutte le analisi perché il Po viene bevuto. A Ferrara abbiamo fatto un lavoro in collaborazione con Hera, in ingresso e uscita: ci sono 20 nanogrammi per litro, che sono sotto gli standard di qualità (quei limiti di soglia proposti per le acque potabili del Veneto). Anche per gli altri hot spot italiani, dunque, ci sono le emissioni e sono più alte del livello di base, ma non arrivano ai livelli del Veneto.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA PUPPATO. Il presidente ha già fatto una domanda che volevo fare anch'io e che mi pare molto rilevante alla luce delle dichiarazioni che erano state fatte dalla stessa regione Veneto. Vorremmo capire se questo problema non sia per caso generale o comunque presente in dimensioni analoghe in altre situazioni italiane, ma mi pare proprio di cogliere che il Veneto sia in tal senso un unicum...

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Ho cercato già di spiegarlo a loro, ma non vogliono sentire.

  LAURA PUPPATO. È senza dubbio più comodo essere «in compagnia» in questi casi, anche dal punto di vista politico. Per quanto riguarda le altre domande, che cosa Pag. 11si è evidenziato nei mitili? Lei accennava al fatto che avete effettuato anche queste analisi e vorrei capire meglio. Le porrò, quindi, alcune domande, anche se poi, alle 9.30, dovrò assentarmi per l'inizio dei lavori in Senato e quindi, eventualmente, leggerò le vostre risposte dai resoconti. Prima domanda: che cosa si è evidenziato nei mitili? Se poi ha delle altre cose da dirci relativamente ad Arno e Tevere, parli pure tranquillamente: ciò sarà sicuramente utile.
  Inoltre, CNR, ENEA e ISDE lavorano tutti al rischio sul fattore umano. Io ho letto qualcosa dell'analisi svolta da ENEA ed ISDE, relativamente, appunto, ai riscontri obiettivi già avuti sulla salute umana (mi pare si parlasse di 165.000 persone coinvolte nella vicenda Veneto): voi come vi state muovendo?
  Mi pare di cogliere che la vicenda sia in continua progressione e c'è necessità di capire, anche con l'Europa stessa, i limiti che obiettivamente vanno posti per capire come risolvere la situazione. Mi corregga se sbaglio: mi pare che la Germania abbia posto fuorilegge la lavorazione con quel tipo di sostanze a partire dal 2018; lo stesso vale per la Norvegia e forse anche per la stessa America, o meglio, per uno degli Stati americani, l'Ohio, la cui popolazione ha già subito ingenti danni per via di un'esposizione analoga. La domanda quindi è: che cosa sta accadendo, dalle sue informazioni, anche in campo politico, relativamente al tema industriale che riguarda queste sostanze?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Riguardo alle concentrazioni, non c'è un accumulo particolare del mitile. Caratteristica di queste sostanze è che si accumulano nei fluidi proteici – come il sangue – e non nella parte grassa, per cui i mitili non sono un target di accumulo. Lo sono invece i pesci, soprattutto nel fegato. In realtà, quindi, abbiamo trovato grandi concentrazioni di PFOS. C'è uno standard di qualità che, per i pesci, è fissato per il PFOS a livello europeo e recepito sempre nel citato decreto: 9,1 nanogrammi per grammo o microgrammi per chilo. Questo valore viene superato nei laghi subalpini, quindi senza sorgenti dirette, ma solo per via di diffusione di queste sostanze generali. Per quanto riguarda, però, più specificamente i mitili delle aree e delle acquacolture – abbiamo provato sia a Chioggia, sia nel Delta, Comacchio e Goro – non vi sono rischi. Su questo possiamo essere molto tranquilli perché il mitile non è una matrice di accumulo specifica per queste sostanze.
  L'altro aspetto più importante è quello della restrizione del PFOA, del quale è stato sospeso, dal 1° gennaio 2015, l'uso per un'attività volontaria unilaterale: un accordo tra le EPA (le environmental protection agency) e i produttori. Non tutti, ma la maggior parte hanno aderito. DuPont, Solvay Solexis, Daikin, per esempio, lo hanno messo fuori uso in maniera volontaria. Inoltre, oggi si è inserita una proposta di tedeschi e norvegesi, i quali lo hanno già ristretto nel loro Paese e hanno formulato la proposta a livello ECHA (European Chemical Agency).
  Abbiamo partecipato anche noi al processo di revisione di questa proposta – che è stata approvata – e quindi adesso bisogna attendere i tempi tecnici (mi sembra il 2018, ma non vorrei dire numeri a caso perché faccio un po’ fatica a leggere sempre questi documenti sotto il profilo della loro applicabilità normativa). Vi sarà una restrizione generale europea su base REACH perché il PFOA è stato considerato una sostanza accumulabile: persistent, bioaccumulable and toxic (PBT). Il PFOA è già sospeso con decisione volontaria dei produttori e lo sarà in maniera definitiva, come è stato il PFOS, già dal 2006. Rimangono piccole produzioni e la possibilità di averne un certo residuo nei prodotti finali. Questo è il problema: se si usa acqua inquinata, lo si avrà sempre anche nel prodotto finale. Questo è un altro piccolo particolare che ad Arzignano non si può rappresentare.

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Comunque, solo per dare l'ordine di grandezza, mentre il limite per lo standard di qualità del PFOS è 0,65 nanogrammi per litro, quello del PFOA è 100 nanogrammi per Pag. 12litro, cioè valori almeno cento volte superiori, se non duecento volte, superiori tra PFOS e PFOA.

  PRESIDENTE Relativamente alle sostanze a catena corta utilizzate da Miteni, ho visto che la regione nella normativa vi ha comunque posto un limite, mettendo insieme tutto il resto, cioè sia sostanze a catena corta, sia a catena lunga; tuttavia il PFOS...

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. PFBS e PFPA!

  PRESIDENTE. Li ha messi tutti assieme! A vostra conoscenza, su questa catena corta esistono studi specifici che possano far suonare un campanello d'allarme sul loro utilizzo, o sono in parte una soluzione al problema?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sono in parte una soluzione al problema: lo studio esiste ed è nostro. Nel fare la derivazione dello standard di qualità, abbiamo fatto una rassegna, pubblicata proprio questo mese su una rivista internazionale, con tutti i dossier e tutti i dati. La pericolosità di queste sostanze è molto minore per un motivo. La loro tossicità acuta cronica è bassissima, non sono accumulabili, ergo, sì, sono perenni anche loro, ma il grosso problema di queste sostanze non è tanto l'attività tossicologica diretta – introduco la domanda sull'aspetto del biomonitoraggio – bensì quello della loro accumulabilità. Queste sostanze sono sicuramente una possibile soluzione. Dal punto di vista tecnologico, però, ci sono ancora dei problemi: non si sono risolti tutti i problemi utilizzandole.
  Come ci stiamo muovendo dal punto di vista del biomonitoraggio? La regione Veneto ha scelto come partner per questo tipo di attività l'Istituto superiore di sanità, qualificato per la parte umana; il nostro Istituto di ricerca sulle acque non se ne occupa perché ci occupiamo, al massimo, di salute dei pesci (un problema di ora è relativo al pesce del Fratta-Gorzone, che nessuno mangia).
  Il CNR in questa fase non è stato coinvolto. Devo dire, anzi, con un po’ di dispiacere, che non siamo stati più coinvolti dalla regione Veneto in maniera formale e finanziata. Il nostro grosso problema, come CNR, è che io continuo a condurre ricerche piccole ma, senza finanziamenti, non posso fare ricerche significative e questo, purtroppo, è il problema di tutta la ricerca italiana: finché non trovo un modo per essere finanziato, non riesco a proseguire in maniera significativa gli studi.
  Con la regione Veneto e ARPAV abbiamo formulato la proposta del progetto LIFE – che non è passata – incentrata sulla parte irrigazione. C'è, infatti, l'altro grande punto di domanda: anche se i dati preliminari sono abbastanza rassicuranti, resta sempre la paura del trasferimento nella catena trofica, cioè con la mucca che beve centinaia e centinaia di litri d'acqua. Mentre l'uomo ne beve tre litri al giorno, questa ne beve 300; la possibilità, quindi, che tali sostanze si accumulino nel sistema lattiero-caseario è alta, mentre quella che si accumulino nelle verdure è minore, proprio perché queste sostanze si accumulano nella parte acquosa (verdura a foglie larghe, quindi, forse, il radicchio, che peraltro io contino a mangiare).
  I dati preliminari dell'Istituto superiore di sanità sono abbastanza tranquillizzanti. Avevamo tentato di muoverci con il progetto LIFE su questa parte di gestione ma, come sempre, di questi progetti ne passa uno su venti. È così: la ricerca è ricerca di soldi, non più di problematiche ambientali. Sull'aspetto dei biomonitoraggi, quindi, non siamo coinvolti.
  Il mio parere personale, per quello che ho letto – peraltro, sono un chimico e non un biologo – è che non vi siano enormi rischi per la salute. Quello che è stato evidenziato per le sostanze C8, è per ora un'interferenza di tipo endocrino sul metabolismo dei grassi: non vi sono rischi cancerogeni. C'è un piccolo rischio estrogenico, ma comunque molto ridotto. Sono abbastanza tranquillo, quindi, per la salute dei veneti, ma è chiaro che l'indagine epidemiologica Pag. 13 va fatta perché le concentrazioni nel sangue delle persone ci sono.

  BARTOLOMEO PEPE. Mi faccia capire: è stato fatto, quindi, un biomonitoraggio anche sulle persone e sono state trovate sostanze fuori limite nel sangue e non nei lipidi?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Sono stati fatti dalla regione Veneto attraverso l'Istituto superiore di sanità dei monitoraggi (mi sembra sulle concentrazioni nel sangue di 500 persone), su un campione di 150.000 interessate, tra cui mi pare l'assessore. Ovviamente, è stato fatto un test con persone dell'area che bevono l'acqua inquinata e persone della stessa area del trevigiano, quindi con le stesse abitudini, ma che non bevono quell'acqua. È risultato che le persone che bevono l'acqua inquinata da queste sostanze le accumulano nel sangue. Non so riportarle i livelli perché i dati sono stati pubblicati in conferenza stampa, ma non ho visto i numeri. Sono comunque livelli alti, ma non c'è un limite, né esiste una correlazione tipo, per cui si ha una certa concentrazione nel sangue e quindi succede qualcosa di preciso: è tutto ancora da studiare. Dove il fenomeno è stato studiato, negli Stati Uniti, non sono riscontrati effetti molto grandi. Certo, la preoccupazione c'è, anche perché queste sostanze passano attraverso il sangue, si accumulano nel fegato e vanno nel cordone ombelicale.

  BARTOLOMEO PEPE. I limiti in America ci sono?

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. No, non ci sono limiti. In America hanno condotto un grosso studio epidemiologico all'interno di una fabbrica in cui si è verificata una situazione del genere. La grossa differenza è che la 3M, in America, ha pagato da bere acqua non so per quanti decenni, mentre – che io sappia – Miteni si rifiuta di pagare alcunché: that's the problem.

  STEFANO VIGNAROLI. Se ho capito bene, si tenta di stabilire dei limiti in uscita dal depuratore: anche per la Miteni, benché abbia cambiato l'immissione da catena lunga a corta, è il caso di porre dei forti limiti per evitare la diluizione che va al depuratore? La Commissione europea ha iniziato gli studi nel 2006, comunicati al Ministero nel 2013: non è un lasso di tempo troppo lungo? Nel corso di questi studi avete comunque avuto relazioni con il Ministero o quest'ultimo ne è venuto a conoscenza dal 2013 in poi?

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Rispondo anzitutto alla prima parte della domanda, sui limiti allo scarico della Miteni. È chiaro che quando un'impresa scarica in un sistema consortile, è il gestore di tale sistema, come si è già detto, che ha un'autorizzazione integrata ambientale, a imporre a tutti i soggetti che conferiscono al suo impianto di rispettare dei limiti per i singoli scarichi, che poi siano compatibili con il raggiungimento dei limiti allo scarico finale. Credo che il problema sia che forse non è stato ancora assegnato un limite per queste sostanze allo scarico finale. Il limite dovrebbe essere indicato dalla regione in funzione degli obiettivi di qualità del corpo idrico, che dovrebbero essere conformi agli standard di qualità ambientali di cui abbiamo parlato, ma che sembrerebbero ancora non essere efficaci. La regione, quindi, ha difficoltà a imporre limiti quando la disciplina non è così stringente nel richiedere il rispetto immediato di questi limiti. Ad avere il problema è, a sua volta, il gestore del sistema consortile nel fare rispettare ai soggetti conferenti dei limiti che, probabilmente, saranno gli stessi che dovrà rispettare per il suo scarico; immagino, infatti, che il sistema depurativo adottato non sarà particolarmente efficace per il trattamento specifico di questa sostanza.

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Per i tempi, quello europeo è uno studio di ricerca finanziato che segnalava nel Po il problema, problema del Po che è stato Pag. 14segnalato alla regione Piemonte, la quale ha effettuato il monitoraggio dei corpi idrici. Quando abbiamo condotto uno studio specifico sulla Bormida, ci siamo comunque collegati con il dottor Sesia, di ARPA Piemonte, che aveva già il sistema di monitoraggio in corso. Non essendoci, però, un limite nel corpo idrico, la regione non sapeva se queste sostanze fossero pericolose o meno. Abbiamo effettuato uno studio su Hera, relativo all'acqua potabile e all'impianto di Ferrara, quindi all'acqua potabile erogata al cittadino, per cui non è vero che non è stato fatto niente. Finché, però, il problema era il Po, i livelli erano molto bassi e, comunque, di tutta tranquillità. Non è che il problema non sia stato segnalato o affrontato: si è arrivati alla valutazione di un rischio molto ridotto e sono state prese delle precauzioni. Hera ha cominciato a fare trattamenti ulteriori per distribuire l'acqua potabile del Po ai cittadini di Ferrara. Quando è intervenuto il Ministero a chiedere a noi un piano per tutta l'Italia, a quel punto sono venuti fuori gli altri problemi.
  Quanto ai tempi, questo progetto è stato mandato avanti da tre persone: io, una mia collega e un assegnista; io devo uscire anche con la macchina, fare il campionamento, prelevare con il secchio, effettuare le analisi, stendere la relazione finale. I tempi tecnici per fare tutto questo sono stati di due anni. Oltretutto, siccome si tratta di un lavoro scientifico, personalmente voglio avere la certezza di consegnare dati che abbiano, appunto, un valore scientifico. C'è sempre questa polemica sul tempo, ma sono questi i tempi tecnici per effettuare le misure e portare avanti un piano che è andato dal Tevere all'Arno, a tutto il bacino del Lambro, al Po: abbiamo campionato tutto, stazione per stazione, cinque volte partendo da Torino e andando a Ferrara. Ci sono stati tempi tecnici piuttosto importanti.
  Una volta comunicato tutto al Ministero, i tempi tecnici sono stati complessivamente di qualche mese perché si attivasse il sistema della catena, compresa la regione e il suo monitoraggio. Secondo me, una volta comunicata con certezza l'entità del fenomeno, la risposta è stata molto veloce. Non si può parlare del 2006, data della ricerca scientifica europea. La regione Piemonte ha effettuato il monitoraggio, già attivo da diversi anni, laddove, tra l'altro, per Spinetta Marengo c'è un progetto di bonifica (forse è addirittura un sito SIN, quindi già sotto controllo). Il Veneto è venuto fuori dopo: i tempi sono questi.

  PRESIDENTE. Gli 0,65 nanogrammi per litro per le acque superficiali erano già definiti nella direttiva comunitaria 2060?

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Nella direttiva n. 39 del 2013.

  PRESIDENTE. Non, quindi, nella 2060? Vi ringraziamo.

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Io ho portato la relazione finale del progetto generale.

  PRESIDENTE. Ottimo.

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Vi sono tutti i dati, anche per rispondere alla senatrice Puppato.

  PRESIDENTE. Il tema è diventato complicato e molto complesso di per sé; è chiaro che quando si ragiona su obiettivi di qualità o obiettivi a tendere, non si parla del limite di domani mattina. È evidente, allora, che non è neanche facile comunicare tutto ciò a un cittadino che non abbia esperienza, ovvero che non conosca il funzionamento di questi meccanismi: è faticoso raccontargli che può bere fino al 2033 con una determinata concentrazione una sostanza che potrebbe presentare un problema di carattere sanitario. Il tema non è di facile spiegazione.

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. Dal punto di vista sanitario, esistono sempre le Pag. 15ordinanze contingibili e urgenti, per cui è chiaro che il problema sanitario...

  PRESIDENTE. Mi sembra di capire che si sia orientati a provare a ragionare su che cosa voglia dire prelevare da altre parti l'acqua per la potabilità. C'è un problema di carattere sanitario che va affrontato immediatamente – ed è il più cogente – ma il punto è anche capire se, per un eventuale inquinamento in falda profonda, non si debba considerare una «messa in sicurezza permanente», ovvero una bonifica di sito contaminato. Visto che lì le aree sono enormi, è evidente che se si entra in quel filone...

  GIUSEPPE MININNI, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. È da brividi!

  STEFANO POLESELLO, rappresentante del Consiglio nazionale delle ricerche. L'ultima nota riguarda questo. Ci sono dei pozzi spia al di sotto della società Miteni che mostrano concentrazioni molto rilevanti. La ditta è piccolissima dal punto di vista dell'estensione, ma quella potrebbe essere una zona da bonificare.

  PRESIDENTE. Ho visto, però, che lì c'è un sistema di pompaggio idraulico e che qualcosa è stato fatto. Vi ringraziamo molto. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 9.35, è ripresa alle 14.25.

Esame della proposta di relazione sulla situazione del sito di interesse regionale «Basso bacino del fiume Chienti» (relatore: on. Bratti).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della proposta di relazione sulla situazione del sito d'interesse regionale «Basso bacino del fiume Chienti». Ricordo che, in qualità di relatore, ho presentato una proposta di relazione che è stata trasmessa a tutti i componenti della Commissione. Avverto che è pervenuta una proposta di modifica da parte del deputato Piergiorgio Carrescia (proposta n. 1) che è in distribuzione e che invito lo stesso a illustrare brevemente.

  PIERGIORGIO CARRESCIA. La proposta è semplice e consiste nel sopprimere il periodo dell'ultima pagina, dove c'è la conclusione dell'esito del discorso fatto in precedenza: «In questo quadro, tuttavia, la normativa regionale potrebbe risultare nell'applicazione concreta contraddittoria rispetto alla previsione generale di cui all'articolo 250 del decreto n. 152 del 2006».
  La motivazione è che, in realtà, la normativa regionale non fa alcun riferimento alle competenze dell'articolo 250, quindi quest'inciso potrebbe creare interpretazioni non corrette. Nell'esprimere apprezzamento per il lavoro svolto dal relatore e dalla Commissione, la proposta è quella di sopprimere questo brevissimo inciso.

  PRESIDENTE. Concordo. Se gli altri colleghi sono d'accordo, si tratta di un chiarimento che non toglie nulla ai contenuti della relazione. Avverto che la presidenza porrà in votazione il testo della proposta così come modificato nel corso della seduta odierna. Se non ci sono interventi o eventuali dichiarazioni di voto, dichiaro aperta la votazione.

  La proposta di modifica è approvata all'unanimità.

Sui lavori della Commissione.

  PAOLO ARRIGONI. Presidente, vorrei esprimere tutto il mio disappunto per il fatto che la proposta di relazione territoriale sulla Regione Veneto presentata alla Commissione qualche giorno fa sia stata data in pasto alla stampa. Questa è una cosa, a mio avviso, molto grave – anzi gravissima – perché sulla stampa, poi, si fanno delle considerazioni politiche. Questa è una cosa imbarazzante, che mi mette, anche personalmente, in imbarazzo. La invito, presidente, per il futuro a studiare, a inventare delle modalità per evitare che questo possa ripresentarsi. Ciò che è successo non è irrilevante. Grazie.

Pag. 16

  PRESIDENTE. Ho visto la notizia. In teoria, anche storicamente, noi avevamo sempre utilizzato il metodo della pubblicazione della proposta per evitare una serie di discussioni (discussioni che peraltro, laddove avvenivano, vertevano appunto su una proposta, quindi su un provvedimento non definitivo). Nel resoconto di seduta, questa volta, non l'avevamo neppure allegata, però resta il fatto che questa viene distribuita ai componenti della Commissione, stante il fatto – è evidente – che se si devono presentare degli emendamenti si ha bisogno di poterla leggere. Bisogna, quindi, che fra di noi, per quel che è possibile, cerchiamo di mantenere un patto di correttezza.
  È chiaro che ad uscire fuori è sempre e comunque una proposta, ma presumo che la polemica ci sarebbe stata anche sul testo definitivo, posto che quando ci sono di mezzo i giornali, sapete come funziona: l'articolo lo può scrivere un corrispondente, mentre la testata dell'articolo poi la fa la redazione. È evidente, quindi, che se il giornale è orientato in un certo modo, utilizza quello che gli pare. Però, per correttezza, sarebbe stato opportuno aspettare l'approvazione definitiva della relazione, anche perché se poi intervengono delle modifiche sostanziali, il rischio è di avere aperto una discussione su cose che poi non vengono neppure approvate. Condivido, comunque, le perplessità e anche il malessere manifestato.

  PAOLO ARRIGONI. Presidente, al di là dell'ipotesi che il giornale, a relazione licenziata, avrebbe potuto scrivere le stesse cose alleggerite o aggravate, questa cosa comunque determina e influenza la fase emendativa: questo è inevitabile. Rilevo ciò e lo sottolineo perché questa cosa condizionerà inevitabilmente la fase emendativa. Quindi, io non so quale possa essere la soluzione per il futuro su altre relazioni, però uno sforzo lo dobbiamo fare, lei in primis presidente. Grazie.

  PRESIDENTE. Ragioniamoci sopra e vediamo se riusciamo a capire, anche dal punto di vista regolamentare, eventualmente, cosa possiamo fare. Però non c'è dubbio che quanto appena detto è vero. Peraltro, ciò che è accaduto può influenzare la relazione in un senso o in un altro, non è che la influenzi in una direzione sola. Ragioniamoci. Direi di chiudere questa fase e di iniziare l'audizione.

Audizione del presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della regione Piemonte, Sergio Chiamparino, accompagnato dall'assessore regionale all'ambiente, Alberto Valmaggia, che ringrazio per la presenza. Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque.
  L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta conducendo sullo stato di attuazione delle bonifiche nel territorio regionale. A questo proposito, ricordo che una delegazione parlamentare ha effettuato una missione in Piemonte dal 20 al 23 gennaio 2016, svolgendo una serie di sopralluoghi e di audizioni con diversi esponenti delle istituzioni locali, delle procure, nonché con soggetti pubblici appartenenti al mondo delle imprese.
  Abbiamo fatto questa missione in Piemonte, in realtà, anche per verificare lo stato dell'arte dei siti nucleari, posto che, per legge, ci occupiamo anche di questo. Più in generale, stiamo anche conducendo uno studio sullo stato dell'arte dei siti d'interesse nazionale in Italia. Quando siamo venuti in Piemonte, abbiamo anche approfittato della presenza nella regione di alcuni siti che hanno una loro storia. È stata una visita molto proficua.
  D'altro canto, pur essendo questa una Commissione d'inchiesta – lo dico sempre ai nostri auditi – uno degli obiettivi che ci siamo preposti, in maniera assolutamente trasversale come forze politiche, è anche di capire, qualora ci siano problematiche specifiche Pag. 17 su cui possiamo intervenire rispetto al Governo o a qualsiasi altro tipo di organismo, come attivarci per far ciò. Anche questa, quindi, è la funzione che abbiamo, al di là della denuncia di situazioni che possono presentare problematiche particolari.
  Durante la missione abbiamo visitato la centrale di Trino, il sito di Saluggia, l'impianto di Bosco Marengo e l'ex stabilimento Eternit di Casale Monferrato, il sito estrattivo di Balangero e Corio, l'ex Ecolibarna di Serravalle Scrivia e l'ex stabilimento Enichem di Pieve Vergonte. Inoltre, anche se non è un sito d'interesse nazionale, riteniamo che abbia una sua «dignità problematica» l'ex IPCA a Ciriè, dove esiste una problematica che ci è sembrata degna di attenzione.
  In base a questo, abbiamo anche preparato una serie di appunti e ci siamo poi confrontati; abbiamo quindi attivato un rapporto – penso molto proficuo – con il comune di Casale per l'attività che stanno svolgendo e per l'importanza che riveste quel sito. Ci siamo messi a disposizione direttamente con il sindaco, ma la regione è senza meno un attore importante in tutto ciò ed era giusto che concludessimo la nostra attività ispettiva ascoltando formalmente lei, presidente, su una serie di questioni. Inoltre, ci hanno segnalato una serie di problemi che, forse, potrebbero essere risolti anche senza dei provvedimenti di carattere legislativo, che a volte, poi, necessitano di mesi e mesi, se non addirittura di anni. Questa è la premessa che volevo farle. Darei ora la parola al presidente Chiamparino per il suo intervento. Al termine, eventualmente, le rivolgeremo qualche domanda specifica.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Ringrazio per l'opportunità che ci viene offerta di chiudere questa fase di attività della vostra Commissione. Mi scuso, anzi, se abbiamo dovuto tribolare un po’ per trovare una giornata che andasse bene per tutti. Lascerò poi all'assessore il compito di intervenire più puntualmente su alcune questioni, anche sulla base di un'attività di programmazione che la regione ha compiuto con l'approvazione da parte del consiglio regionale sia del piano dei rifiuti, sia del piano amianto, che non so se fossero già stati definiti compiutamente quando la Commissione ha svolto l'indagine. Relativamente a quanto è stato evidenziato nella vostra missione in Piemonte, vorrei sottolineare alcune questioni. La prima è che abbiamo una serie di siti d'interesse nazionale, come Balangero e Corio, dove abbiamo amianto non antropizzato (non so se è corretto il termine), piuttosto che altri come Pieve Vergonte con problematiche di altra natura. Lascio da parte Serravalle, in merito a cui c'è una vexata quaestio su cui, semmai, torneremo più avanti noi stessi, la Commissione europea e il MEF, e su cui, a voler essere più precisi, auspicheremmo – sintetizzo – attenzione da parte del Ministero dell'ambiente. Come vi dicevo, Balangero e Corio, Pieve Vergonte e, per certi aspetti, Valle Bormida, rappresentano tre temi di risanamento ambientale con riferimento al sito dell'ex ACNA Valle Bormida, dell'ex Enichem e dell'ex Amiantifera. In un caso abbiamo anche predisposto per iscritto – naturalmente vi lasceremo il materiale – un piano di revisione degli accordi di programma, peraltro non ancora definiti, soprattutto in ordine al fluire delle risorse. Questo vale per quella che io chiamo Amiantifera, Balangero e Corio (sono vecchio e la chiamo come la chiamavano una volta).
  Per Pieve Vergonte e Valle Bormida c'è l'esigenza di riattivare i tavoli già istituiti per cercare di concludere il processo di risarcimento del danno ambientale, condizione necessaria per quelle opere di valorizzazione ambientale e di promozione dei siti sul territorio che, come giustamente è emerso anche dal vostro incontro, corrisponde a una precisa richiesta che viene dalle popolazioni locali.
  Sintetizzo questo primo punto. Sulla questione di Serravalle Scrivia ci permettiamo di richiamare l'attenzione del Ministero dell'ambiente in merito perché lì sosteniamo di avere corrisposto ai dettami dell'Unione europea in ordine alla bonifica di quell'area (La Luminosa, se non ricordo male). Il MEF ha avviato una procedura Pag. 18risarcitoria del ristoro delle multe nei nostri confronti: noi abbiamo chiesto di sospenderla.
  Quanto agli altri tre siti, per Pieve Vergonte e Valle Bormida chiediamo una riattivazione dei tavoli per cercare di arrivare a chiudere la parte risarcitoria delle aziende, che sono disponibili, ma c'è una negoziazione da fare. Sulla questione di Balangero e Corio c'è un problema di revisione dell'accordo di programma in ordine alle risorse.
  La seconda questione che mi permetto di sollevare, visto che, giustamente, il sindaco di Casale sottolinea molto l'esigenza di un'attenzione in tal senso, è che qui c'è un punto tutto politico che – mi rendo conto – va oltre, ovvero quello del rapporto tra piani di bonifica e patto di stabilità. Se la possibilità di derogare al patto di stabilità nel caso del comune di Casale vale solo per un anno, è del tutto evidente che, pur avendo disponibilità di risorse, questi non possono fare piani di medio periodo e quindi non possono fare quelle giuste opere, non solo di bonifica ma anche di rivalorizzazione ambientale, che giustamente le popolazioni chiedono.
  In particolare, ma su questo credo che l'assessore Valmaggia potrà essere più preciso, relativamente al piano amianto della regione, molti comuni – non sto parlando, quindi, solo di Casale – che hanno problemi di strutture di amianto trattato – quello antropizzato – non riescono a usare i soldi per la stessa ragione. Questo è un punto politico, ma il presidente ha ricordato che oltre all'attività d'inchiesta può esserci anche un'attività di questo genere.

  PRESIDENTE. Chiedo scusa, presidente, anche con l'introduzione del pareggio di bilancio questo è un problema! Non lo si risolve.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Certo. Per quello che risulta a me, anzi, in alcuni casi ciò ha aggravato la situazione. Abbiamo, infatti, casi di comuni che, non potendo più iscrivere risorse come avanzo d'amministrazione, pur avendo tali risorse, sono obbligati a limitare gli investimenti. Il problema non è risolto e, in alcuni casi, è anche aggravato. Questo è quello che ci risulta.
  L'ultima questione che voglio sollevare qui riguarda le scorie nucleari. Come ha detto il presidente, in Piemonte in passato non ci siamo fatti mancare nulla e quindi abbiamo un po’ tutte le tipologie di scorie possibili: liquide, solide. Il punto è che la regione – poi magari l'assessore potrà intervenire – sta lavorando per quelle operazioni di neutralizzazione – in alcuni casi anche di spostamento – del materiale, che servono per renderlo neutro rispetto ai possibili impatti negativi sul territorio.
  Il problema, anche qui politico, è che di fronte al fatto che si coglie un esitare nell'individuare il piano dei siti per il deposito unico, comincia a crescere la diffidenza delle popolazioni su interventi che dovrebbero essere «transitori». La logica è quella per cui, dato che non si dice dove si vorranno mettere le scorie, questi interventi faranno sì che tali scorie staranno lì per l'eternità: lo dico in termini poco scientifici. Questo è un punto – di nuovo politico – su cui mi permetto di richiamare la vostra attenzione. Se mi permette, presidente, chiederei all'assessore di intervenire in maniera meno generica.

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. I punti nodali sono quelli che ha richiamato il presidente Chiamparino; vi lasceremo, comunque, anche una memoria un po’ più articolata. Aggiungo solo, anche come aggiornamento rispetto alla visita che la Commissione fece a fine gennaio, che come regione Piemonte, da allora, abbiamo messo in atto già due primi tasselli importanti. Il 1° marzo è stato approvato dal consiglio il piano regionale amianto, che doveva essere approvato entro sei mesi dalla legge dell'amianto del 2008. Il piano regionale amianto offre una cornice nella quale procedere sia al completamento delle bonifiche dei due siti d'interesse nazionale – il presidente non ha richiamato Casale, ma è uno dei siti insieme a Balangero – sia a quella dell'intero territorio, quindi c'è tutto il tema del monitoraggio. C'è poi il grosso tema dei siti per stoccare il materiale Pag. 19 amiantifero. Oggi, vista la penuria, questo materiale va a finire in Germania o in altri Stati, con dei costi maggiori. Nel piano è previsto il monitoraggio e qui c'è un tema che si lega alla partita dei rifiuti. C'è, infatti, un problema grosso relativo alle cave, le cosiddette cave a fossa, usate negli anni passati. Queste diventano un problema se non controllate e monitorate, ma potrebbero rappresentare una soluzione per far tornare questo prodotto di origine naturale – non dobbiamo dimenticare che l'amianto è una roccia e a Balangero l'avete visto bene – da dove veniva, recuperando, quindi, magari un'ottica che non crea problemi alla falda idrica né per altri stoccaggi di materiale più pericoloso, questa parte di siti. Diversamente, restando lì, così come sono, rischiano di essere poi utilizzati in modo improprio.
  A metà aprile abbiamo anche, finalmente, approvato il piano regionale dei rifiuti urbani e dei fanghi di depurazione. Eravamo in un notevole ritardo su questa pianificazione. Adesso abbiamo un quadro più completo per agire con certi tempi. Stiamo rivedendo anche la normativa regionale sulla governance dei rifiuti. Queste sono le novità rispetto al sopralluogo che da voi è stato fatto. I temi principali sono quelli che ha già richiamato il presidente, cioè quello della rivisitazione degli accordi di programma per i siti d'interesse nazionale, ovvero della possibilità di utilizzare le risorse. Casale, con una grande battaglia, una grande esposizione mediatica, riuscì a ottenere l'esenzione dal patto di stabilità per l'anno 2015. Bisognerebbe che la partita della bonifica, soprattutto per l'amianto, in tutta Italia fosse al di fuori del patto di stabilità. È il modo per risolvere alla radice una possibile fonte di malattie, nonché di problemi sanitari successivi. Questo tema del patto di stabilità, aggravato oggi anche dal vincolo del pareggio di bilancio, crea un po’ queste difficoltà. Sul nucleare è stato già detto e quindi non aggiungo altro. Siamo a disposizione per eventuali domande o richieste di chiarimento.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei porvi una questione. Visto che in regime ordinario non si riesce a gestire una partita come questa – non ci riuscirebbe, secondo me, neanche il mago Merlino – come considerate l'ipotesi, rispetto ad alcuni temi, di porre poteri straordinari (le metodologie possono poi essere diverse) in capo al presidente della regione o ad altri?
  Riguardo alla questione di Ciriè, per esempio, mi sembra che ci sia già una progettualità in campo, a fronte di un problema di risorse, peraltro neanche troppo eccessivo (perlomeno stando a quello che ci raccontava il sindaco).
  Si potrebbe, quindi, ipotizzare una procedura simile a quella che abbiamo utilizzato in legge di stabilità, per esempio nel caso dell'Isochimica di Avellino: quando il Governo ha deciso di stanziare quei 200 milioni – o quello che era – sulla Terra dei fuochi, in legge di stabilità abbiamo chiesto che una parte di quei fondi, minimi anche in quel caso, andassero per la bonifica dell'Isochimica di Avellino, un'area fortemente contaminata da amianto, ma non un sito d'interesse nazionale. Con quell'interlocuzione, con quella modifica normativa, siamo riusciti, come Parlamento, in quella piccola operazione. Come giudicate questi percorsi – io ne ho indicati sommariamente due – come regione? Mi permetto di dire che si potrebbe fare, da un lato, un ragionamento – questo spetterà a noi – con i Ministeri, per segnalare che in questo caso non siamo in un sito d'interesse nazionale comune, ma dove la fonte di inquinamento costituisce comunque un pericolo sanitario. Ci sono tanti siti d'interesse nazionale dove c'è inquinamento, magari a 20 metri sotto la falda, sott'acqua, ciò costituendo un problema che va risolto, ma dove non c'è un pericolo immediato per la salute della popolazione. Qui, invece, siamo in una situazione specifica, come forse in altre parti. Penso a una logica che delinei un percorso privilegiato per situazioni in cui c'è un pericolo per la gente, che poi si ammala; forse è questo un tema più politico, che però potremmo, come forze politiche, porre a livello governativo nella discussione parlamentare o nel confronto con il Governo. Al di là di questa problematica Pag. 20 più generale, però, vorrei capire come vedete questi aspetti che indicavo.

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. Sicuramente, c'è la disponibilità e la condivisione di considerare questi temi come un'emergenza, anche per il tempo che passa. Pensiamo a quanti tetti nelle campagne, a quante strutture hanno ancora l'Eternit: magari non in anni, ma in lustri questo si deteriora e può diventare una sorgente di problemi. Il tema è anche legato, per quanto riguarda le coperture, alla partita dell'efficientamento energetico con la sostituzione del tetto in Eternit, realizzando insieme anche una copertura che poi faccia da cappotto. Il tema, poi, si lega anche allo sgravio fiscale del 65 per cento. Su questo tema, quindi, sicuramente c'è la più ampia disponibilità.
  Su alcune altre questioni, però, facciamo un po’ di fatica con il Ministero dell'ambiente, lo dico qui chiaramente. Anche solo per la questione dell'ACNA di Cengio, bisogna riprendere con forza il tavolo nazionale e definire se l'ipotesi che era stata fatta, di accordo bonario, va avanti, altrimenti, che ci pensi il tribunale! Bisogna proprio lavorare in squadra, in rete, a tutti i livelli.
  Su Ciriè, essendo un sito adesso tutto di proprietà pubblica, perché è tutto comunale, di certo non si può pensare all'opzione con le nuove normative di chiedere risarcimenti di danni ambientali, cioè nella logica che chi inquina paga e così via. Per la disponibilità di utilizzare la società tutta pubblica RSA di Balangero, specializzata sull'amianto, ma anche per l'intervento su Ciriè, è chiaro che deve esserci un trasferimento di risorse aggiuntivo, senza attingere dai 13-14 milioni di euro previsti, che dovrebbero permettere di completare la bonifica per quanto riguarda il sito di Balangero.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Aggiungo solo due osservazioni rapidissime. Per le risorse, ci sono gli ex FAS, FSC, in fase di definizione. Dato che c'è una logica di gestione – che io condivido – per cui non si tende più a dare un tanto alle regioni, ma di cercare di condividere una programmazione, bisognerebbe riuscire ad utilizzare queste risorse attraverso le varie leggi di stabilità, per evitare poi di scoprire alla fine, quando verranno approvati i piani stralcio delle regioni, che la coperta si è fatta troppo corta. Questo delle bonifiche è un tema che sta in pieno in questo disegno di programmazione degli interventi e, se non sbaglio, le abbiamo inserite.
  In secondo luogo, sulla straordinarietà, come il presidente e credo qualcun altro saprà, sono stato sindaco a Torino per dieci anni e non ho chiesto nessun potere straordinario per l'esecuzione dei Giochi olimpici. Ho il piccolo vanto di non aver avuto nessun deroga, nessuna legge sui lavori pubblici: nulla di nulla. Ritengo che la logica per cui, quando c'è un problema un po’ più grande bisogna avere poteri straordinari, sia politicamente sbagliata.
  Quello che qui vedrei necessario non è tanto il potere straordinario, ma quello che ho già detto, cioè la possibilità sul piano finanziario per i comuni di operare in deroga al patto di stabilità. Se si vuole, poi, che a vigilare sull'utilizzo di quei fondi sia il presidente della regione, ovviamente non ci sottraiamo ma, secondo me, il punto non è tanto quello di avere dei poteri speciali.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO ARRIGONI. Ho due domande. Il passaggio dal patto di stabilità al pareggio di bilancio doveva risolvere, ovvero alleggerire dei vincoli che impattano sull'attività degli enti territoriali (comuni, province e regioni) ma, da quanto ci avete detto, il pareggio di bilancio – l'assessore ne ha parlato prima – ha addirittura aggravato la questione. Peraltro, rivendicavate il fatto che interventi sulla bonifica dell'amianto dovrebbero essere totalmente in deroga. Io ci aggiungo gli interventi a difesa del suolo, le bonifiche e la messa in sicurezza delle scuole. La mia domanda è questa. Già in Pag. 21passato, come Commissione, avevamo avvertito l'esigenza di liberare queste risorse e abbiamo tentato, nelle varie leggi di stabilità, di presentare degli emendamenti, immancabilmente bocciati. Mi fa capire, assessore, quali ulteriori vincoli ha introdotto l'elemento negativo del pareggio di bilancio? In secondo luogo, mi riallaccio alla preoccupazione del presidente della regione Chiamparino per l'incertezza nel procedimento di individuazione della CNAPI, la Carta dei siti potenzialmente idonei a ospitare il deposito nazionale, un'incertezza avvertita dalla popolazione del Piemonte, che non fa altro che registrare la richiesta di realizzazione di nuovi depositi temporanei.
  Immagino che avrà visto come nello studio, tra i vari criteri individuati da ISPRA, ci sia quello della sismicità. A parte una coda, la punta della regione Puglia, metà Lombardia e quasi tutto il Piemonte rimangono le uniche aree potenzialmente idonee su cui non grava il vincolo della sismicità. Le pone preoccupazione, presidente, il fatto che la regione Piemonte e metà della Lombardia siano quelle candidate, secondo i criteri dell'ISPRA, ancorché discutibili o meno, per l'individuazione di siti potenzialmente idonei?

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Rispondo alla seconda domanda, che mi è stata rivolta direttamente; poi, se vuole, posso fare un accenno anche alla prima. Per come l'ho capita e per l'esperienza maturata, le rispondo di no e la circostanza non mi desta alcuna preoccupazione. Vorrei però che ci fossero una presentazione esplicita e una discussione pubblica: tutto qui. Poi i problemi vanno affrontati e, lo ripeto, non affrontarli vuole solo dire che quelli che le scorie ce le hanno, già dicono che tanto staranno sempre lì e quindi cominciano a diventare diffidenti anche verso gli interventi che si stanno avviando: è un modo per tenerli sempre lì, con un livello di salvaguardia, ovvero di tutela, inferiore a quello che ci sarebbe se ci fosse una predisposizione del sito apposito (non ricordo l'acronimo).
  Vorrei una discussione esplicita pubblica, che consenta alle popolazioni di partecipare, di vedere anche quello che viene messo sull'altro piatto della bilancia: immagino che il procedimento sia di questa natura. Poi si devono fare delle valutazioni tenendo anche conto della situazione da cui si parte: ciò non mi spaventa. Mi preoccupa però il fatto che si tenga un po’ la testa ancora sotto la sabbia. Andando avanti così, finiremo per non risolvere nessun problema e, prima o poi, come dice il titolo di un raccontino: Anche le formiche... e via dicendo.
  Quanto alla seconda questione, il pareggio di bilancio non incide significativamente. La questione della possibilità di sforare il patto di stabilità resta comunque. Noi abbiamo comuni che, per esempio grazie agli introiti del demanio idrico, hanno avanzi significativi. Per un comune come Ceresole Reale, che molti non sanno neanche dove si trovi, che ha 500 abitanti, avere 1,5 milioni di euro di avanzo per il dissesto idrogeologico in quanto comune di alta montagna, sarebbe una manna dal cielo. Il problema, però, è che non può utilizzarli, altrimenti va in pareggio di bilancio, a meno di non impegnarli tutti nel mese. Il comune deve fare tutto nell'anno e, ovviamente, non potendo portare avanzo d'amministrazione, deve tenere lì le risorse, che quindi vanno a finire nella Tesoreria di Stato. Questo è quello che ho inteso.

  PRESIDENTE. Se non li spendi, te li assorbe lo Stato! È chiaro che se hai a che fare con delle bonifiche come quelle che, ad esempio, deve fare il comune di Casale, si fa fatica a spenderli tutti in un anno.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. È un modo per fare cassa con i soldi degli altri!

  PAOLO ARRIGONI. Bisogna anche spenderli: non è sufficiente solo impegnarli. È un meccanismo perverso, che va affrontato.

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. Posso Pag. 22dirle, su questo tema, che i racconti di queste settimane dei comuni, ancorché quelli di montagna, rilevano proprio questo. Abbiamo, ad esempio, il comune di Canosio, il quale ha chiuso una vertenza per le centraline idroelettriche e ha introitato 260.000 euro; nel mese di novembre si è chiusa la partita e il comune ha ora i soldi lì fermi: il comune ha necessità sulle strade, sul dissesto idrogeologico e così via, ma non può spenderli.
  Anch'io, in una realtà molto più piccola, sono stato sindaco per dieci anni e per dieci anni ho combattuto contro questo feticcio che era il patto di stabilità. Non riuscivo a capire perché, se uno aveva amministrato bene, aveva un avanzo, poi non poteva spenderlo. Sarei stato molto più rigido su un patto di stabilità serio sulle spese correnti, salvo poi fare una norma per cui si possono usare gli oneri di urbanizzazione, anche in parte, per coprire le spese correnti. Sarei stato molto più rigido sulle spese correnti e avrei detto: se hai un avanzo, o lo usi per abbattere il debito, ovvero per fare opere di investimento. Diversamente, si hanno i soldi fermi, non li si può spendere per il patto di stabilità e non si fanno investimenti di cui ci sarebbe bisogno.
  Non ho capito benissimo il pareggio di bilancio, ma quello che ho raccolto dai territori è che ci sono comuni che hanno un avanzo occasionale, o anche strutturale, perché il pareggio di bilancio si basa sulle spese storiche; poi bisogna spendere nell'anno e quindi questo è un po’ un problema. Questo problema si aggrava molto di più per Casale. Quando un comune solo deve occuparsi di 48 comuni – il SIN intorno a Casale è fatto da 48 comuni – ossia quando il capofila Casale, che deve incassare 60 milioni di euro, registra che sono stati trasferiti solo 15 milioni di euro a fine 2015, resta il fatto che il patto di stabilità sforabile era nel 2015 e non nel 2016, quindi, se deve realizzare delle opere in altri comuni, si trova in oggettiva difficoltà.

  STEFANO VIGNAROLI. Per la questione del pareggio di bilancio, se questi soldi, una volta non spesi, vengono utilizzati dalla Tesoreria di Stato – essendo un SIN, in teoria dovrebbe partecipare anche lo Stato – non si può impegnare lo Stato a spendere quei soldi per quello scopo?
  Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi, essendo il Piemonte, come diceva il senatore Arrigoni, una delle regioni più protagoniste di questo problema, che lei sappia, ci sono dei comuni che sarebbero disposti ad accettare il deposito unico nazionale pur di non continuare a tenere i depositi radioattivi così come sono?
  Per quanto riguarda l'ARPA, se ricordo bene, durante la missione ci fu detto che la legge regionale ha disposto il passaggio da otto dipartimenti a quattro: quali ragioni hanno spinto a questa scelta?
  Per Pieve Vergonte, come procede il protocollo d'intesa? Per Serravalle, avete data certa sugli interventi? Che tipo di finanziamenti ci sono?

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Relativamente alla questione dei comuni disponibili ad accogliere, l'onorevole conosce benissimo la delicatezza del tema. Ripeto che non ci sottraiamo a questa discussione e, consapevoli di avere i due terzi delle scorie nucleari d'Italia e di essere una delle regioni che ha le caratteristiche per ospitare il sito unico, non diciamo «ovunque, ma non in Piemonte». Certamente, però, prima di aprire una discussione, voglio capire bene i dati di contesto in cui questo discorso eventualmente si inserisce, da tutti i punti di vista e non solo quello più venale delle compensazioni, ma anche sotto l'aspetto delle caratteristiche di sicurezza e del decommissioning – secondo, me, uno degli aspetti più interessanti per una comunità – cioè del possibile tema di attrazione di investimenti e di innovazione. È un tema che vorrei capire bene. La risposta, quindi, è che non apro alcuna discussione se prima non ho chiaro un contesto e un tavolo nazionale credibile.
  Mi permetterei di suggerire, se fosse possibile, un momento di incontro – decidete voi in che forma – con il MEF. Qui stiamo facendo una discussione che è più da Commissione bilancio e finanze. Si può benissimo pensare un po’ quello che dicevo Pag. 23io. A me non interessa avere poteri speciali, ma che ci sia la possibilità, anche centralmente, anche da parte dello stesso Ministero, di gestire questa flessibilità finanziaria a fronte di esigenze di bonifica o di interventi particolarmente urgenti contro il dissesto idrogeologico. L'onorevole suggeriva, essendo siti SIN, la possibilità di intervento dello Stato: se c'è deroga alle regole, ma è lo Stato che interviene, vi dico why not? Non mi formalizzo.
  Sul resto, facciamo l'esempio di Casale, il comune che per conto di 48 comuni ha la responsabilità della bonifica. È chiaro che Casale riceve i soldi dal Governo nazionale e li riceve anche transitandoli per la regione. Se però chi deve spendere è Casale, questi deve rispettare le regole di finanza locale come tutti gli altri comuni. Allora, i soldi, o non transitano per il comune e le fatture di Casale arrivano a livello nazionale (e il livello nazionale paga), o non li transita la regione, ma bisogna pur trovare un meccanismo per semplificare tutto questo.
  Aggiungo un altro elemento, anche riportato nella relazione che lasciamo agli atti, che riguarda il sito di Balangero, ossia il tema delle fideiussioni. Noi abbiamo la società RSA, tutta pubblica, che opera con risorse pubbliche, su progetti che la regione già valida e viene equiparata a qualsiasi privato che, facendo l'intervento, deve garantirlo con oneri fideiussori.
  Mi dicevano che c'era un intervento da fare che costava, forse, 130.000 euro e servivano, forse, 108.000 euro di soldi fermi per la fideiussione. Le fideiussioni si fanno quando si fa un appalto esterno, ma non quando una società in house come RSA, tutta pubblica, opera sul controllo a livelli superiori. Un altro esempio è quello della gestione finanziaria, per cui ci vuole un forte raccordo di tutti i livelli.

  PRESIDENTE. Le fideiussioni le fanno pagare ai privati e non sono escutibili!

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. Esatto.

  PRESIDENTE. Per un modo o per un altro, piantano lì dei cadaveri che rimangono sul territorio per anni.

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. È così. Quanto all'ARPA, ha avuto una riorganizzazione partita dai laboratori. Prima ogni dipartimento provinciale aveva il suo laboratorio, poi, per rendere maggiormente efficiente sistema, si è scesi e si sta ragionando nell'ottica dei quadranti. Il Piemonte, anche nella logica del superamento delle province, sta ragionando su questi quattro quadranti, quindi, anche l'organizzazione di ARPA si sta assestando. Addirittura, in altre parti si arriva a un'ARPA unica regionale.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. I quadranti sono Torino-Cuneo, Asti-Alessandria e il Nord-Est.

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. Sono aree sovra provinciali. Il Piemonte ha otto province: prima c'erano otto dipartimenti ARPA, che si sono ridotti a quattro; si è fatta una razionalizzazione. L'Emilia, ad esempio, è andata ancora oltre perché ha fatto un'unica ARPA: era un modo per efficientare il sistema. L'Emilia è già avanti: aspettiamo la legge su ISPRA e su ARPA, ma l'Emilia l'ha già applicata.

  PRESIDENTE. La legge è già calendarizzata per essere approvata definitivamente alla Camera entro la fine di giugno. Spero che altri problemi non ce ne siano, anche perché le forze politiche, più o meno, a parte piccolissimi distinguo, l'hanno accettata tutte.

  ALBERTO VALMAGGIA, assessore all'ambiente della regione Piemonte. Gli ultimi due richiami sono a Pieve Vergonte e a Serravalle, due realtà molto diverse. Pieve Vergonte è un sito ancora utilizzato. Stiamo lavorando anche per favorire l'azienda Hydrochem per la parte energetica. Pieve Vergonte ha però un soggetto privato, Syndial, che ha ereditato i danni ambientali e che deve, come privato, dare vita alle compensazioni. Si è già concordato e si sta andando avanti. Qui c'è la necessità di Pag. 24avere una forte coesione della parte pubblica: territorio, regione, Ministero dell'ambiente.
  Serravalle, invece, è una discarica che è già stata bonificata. Abbiamo comunicato anche – nella relazione sono esplicitati i vari passaggi – di avere completato la bonifica. Peccato che sia arrivata la nota della Corte di giustizia europea con si dice che dobbiamo pagare, ma a Serravalle è già completato l'intervento per la discarica La Luminosa.
  Per quanto riguarda Pieve Vergonte, da un lato si cerca di far riprendere il sito in un'ottica ambientalmente sostenibile, dall'altro di completare. A Pieve Vergonte, come per ACNA, bisogna che si chiuda la partita delle compensazioni ambientali dei territori: lì c'è un soggetto, un privato.
  Il problema sono altri siti, dove si è perso per via dei fallimenti, come nel caso dell'IPCA, che però è una vicenda ancora diversa.

  PRESIDENTE. Per Pieve Vergonte, i due sindaci ci facevano delle osservazioni. Lì, comunque, ci sono ancora attività industriali in corso e alcune aziende interessanti. Vi risulta, però, che queste ultime avessero delle difficoltà ad interloquire con il Ministero in merito alla questione delle licenze idroelettriche?

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Ricordo benissimo di aver avuto un incontro con il sindaco di Pieve e l'amministratore delegato della società. Loro hanno un problema complesso, che riguarda il passaggio dalla produzione di cloro alla....

  PRESIDENTE. Alle membrane.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Avevano bisogno, cosa per cui mi ero attivato insieme al nostro vicepresidente, Aldo Reschigna, di un'interlocuzione presso il Ministero e l'avevano avuta; penso che in questi casi, come in molti altri, l'esigenza che si ravvisa sia quella di continuare, cioè di evitare che siano episodi occasionali. Non chiedetemi di più sul piano tecnico.

  PRESIDENTE. Era proprio una questione di carattere politico. Vediamo che si verificano processi – purtroppo non solo da voi – dove c'è comunque un sistema di enti locali che funziona, dove certe cose riescono anche ad andare in porto, mentre poi abbiamo altre situazioni ferme da tre, quattro o cinque anni.

  SERGIO CHIAMPARINO, presidente della regione Piemonte. Comunque, presidente, nella relazione che lasceremo abbiamo segnalato tutte queste situazioni.

  PRESIDENTE. Vi ringraziamo. Questo ci aiuterà, poi, ad interloquire con il MEF e con il sottosegretario al Governo. Se avremo bisogno di ulteriori chiarimenti, ci risentiremo. Proveremo, comunque, ad attivarci per dare una mano a risolvere certi problemi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.