XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 19 di Mercoledì 25 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale Vincenzo Amendola sui recenti sviluppi della situazione in Ucraina (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) .
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Amendola Vincenzo (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 3 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 ,
Cimbro Eleonora (PD)  ... 10 ,
Picchi Guglielmo (LNA)  ... 10 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 11 ,
Amendola Vincenzo (PD) , Sottosegretario di Stato agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale ... 12 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale Vincenzo Amendola sui recenti sviluppi della situazione in Ucraina.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale, onorevole Amendola, sui recenti sviluppi della situazione in Ucraina.
  Ringrazio il Sottosegretario per la disponibilità allo svolgimento di questa audizione, programmata per favorire un approfondimento politico dedicato all'Ucraina, in preparazione della visita a Roma, che inizia proprio oggi, di una delegazione del Parlamento ucraino, guidata dalla presidente della omologa Commissione esteri, onorevole Hopko. Domani mattina è infatti convocato un incontro della delegazione ucraina con questa Commissione. Tale incontro potrà essere la sede per un confronto con gli ospiti ucraini sui temi che saranno affrontati oggi, oltre che per gettare le basi di un ulteriore consolidamento del rapporto di amicizia parlamentare italo-ucraino.
  È, peraltro, allo studio delle Presidenze dei Parlamenti italiano ed ucraino la stesura di un protocollo di collaborazione. In tale ottica, la visita dell'onorevole Hopko è anche finalizzata ad individuare un gruppo di amicizia informale con il quale avviare un dialogo privilegiato a seguito di questo percorso.
  Gli ultimi aggiornamenti sullo stato delle relazioni russo-ucraine – ma mi riservo di intervenire a conclusione del dibattito – in effetti non lasciano molto spazio ad ottimismo circa l'implementazione degli Accordi di Minsk. Ne conseguirà prevedibilmente la decisione europea di riflettere per confermare il regime di sanzioni verso la Russia, in occasione del Consiglio europeo di giugno.
  Ricordo che oggi pomeriggio, dalle 17 alle 19, presso la Sala del Mappamondo si tiene un convegno organizzato dalla Commissione e aperto alla partecipazione di ospiti esterni, dal titolo «Riflessioni sull'Ucraina» – precedentemente se ne è svolto anche un altro organizzato dall'onorevole Bergamini – al quale partecipano autorevoli accademici e dove è prevista una sessione di interventi dei deputati di questa Commissione che desiderino prendervi parte.
  Do la parola al Sottosegretario Vincenzo Amendola.

  VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato agli affari esteri e alla cooperazione internazionale. Grazie, presidente. Abbiamo raccolto con molto piacere e solerzia la sua richiesta e mi scuserò se non sarò stringato nei tempi, ma credo che l'approfondimento sia necessario. Lo è anche per rispondere, a volte, a delle carenze di memoria su tutto il percorso che si è sviluppato negli ultimi anni e che deve guidare non solo la riflessione, ma la decisione Pag. 4 del Parlamento e del Governo italiano su questa vicenda.
  È un'occasione di cui Le siamo grati. Ovviamente leggerò un testo e un'analisi che consegnerò anche a disposizione del vostro dibattito.
  Siamo a due anni dai fatti di Maidan, dell'annessione russa della Crimea e dello scoppio del conflitto in Donbass. Prima di iniziare, però, colleghi deputati, non posso non ricordare che proprio due anni fa moriva il fotografo italiano Andrea Rocchelli, in circostanze non ancora chiarite. A lui va il nostro pensiero e rimaniamo determinati nel nostro impegno a pretendere che le autorità ucraine facciano piena luce sulla morte del nostro connazionale. Lo abbiamo fatto in tutti i livelli, nel corso di questi due anni, e lo abbiamo fatto, da ultimo, proprio pochi giorni fa, quando il nostro ambasciatore a Kiev ha ribadito con forza l'aspettativa italiana per una rapida soluzione del caso davanti al presidente Poroshenko, al nuovo primo ministro Groysman e al ministro degli esteri Klimkin. Grazie anche a queste pressioni – tendo a sottolinearlo – del Governo italiano, vi segnalo che la Procura generale ucraina ha trasmesso gli atti dell'inchiesta a Roma e che proprio l'altro ieri, caro presidente, questi sono stati trasmessi dal Ministero della giustizia alla competente Procura di Pavia.
  Passerei ora a fare una rapida panoramica della crisi ucraina, che possiamo dividere in due fasi. Faccio una ricostruzione, anche sollecitato da una notizia di agenzia appena battuta che afferma il rilascio della pilota ucraina Nadia Savchenko in cambio di due agenti dei servizi militari russi. Quindi, se il panorama che Lei descriveva non è di ottimismo, è evidente che questa vicenda, nel suo percorso storico e nella sua cronaca, sta vedendo dei mutamenti su cui riflettere.
  Se dovessimo fare una rapida panoramica, certamente la potremmo – come accennato – dividere in due fasi. A ridosso del vertice del partenariato orientale di Riga, nel 2013, e delle dichiarazioni dell'allora presidente Yanukovich di non poter firmare l'Accordo di associazione con l'Unione europea, la crisi ha infatti interessato le regioni occidentali del Paese e la stessa Kiev. Da piazza Maidan i movimenti pro-europei hanno avviato una lunga protesta, scemata soltanto tra febbraio e marzo dell'anno successivo, con l'allontanamento del presidente Yanukovich da Kiev. Pressoché contestualmente, a partire dall'inizio del 2014, la Rada ucraina ha votato alcune leggi che limitavano fortemente l'uso della lingua russa nelle regioni russofone del bacino del Don. I provvedimenti hanno determinato forte malcontento e vivaci proteste in quelle aree, destinate a sfociare, nei mesi successivi, in conflittualità aperta, anche a seguito dell'avvio della cosiddetta «operazione antiterrorismo» da parte del Governo di Kiev.
  La fase ascendente del conflitto si è inasprita a seguito del referendum, i cui risultati non sono stati riconosciuti dalla comunità internazionale, sull'indipendenza della Crimea – 16 marzo 2014 – cui ha fatto seguito, il 21 marzo 2014, l'annessione della penisola alla Federazione Russa. Qui è un primo punto all'ordine delle cronache e del dibattito parlamentare: l'indipendenza della Crimea è stata asseverata da un referendum condotto senza garanzie internazionali né standard democratici di base, come riconosciuto dalla Commissione di Venezia, nel quadro del Consiglio d'Europa.
  Il referendum è stato, d'altra parte, viziato in origine, poiché condotto in violazione della Costituzione ucraina, che prevede che la secessione di parte del territorio dello Stato non possa essere soggetta a consultazioni popolari a livello locale. Alcuni analisti ne hanno anche rilevato la contrarietà alla Costituzione crimeana. La Crimea ha sempre goduto di uno status speciale in seno all'Ucraina, che prevede solo referendum consultivi.
  L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la risoluzione 68/262 del 27 marzo 2014, ha peraltro eccepito l'invalidità del referendum del 16 marzo, sulla base del principio per il quale il territorio di uno Stato non può essere acquisito da un altro Stato come conseguenza della minaccia o dell'uso della forza, aggiungendo Pag. 5che ogni tentativo finalizzato alla violazione dell'integrità territoriale di un Paese e della sua indipendenza politica è contrario allo spirito e alla lettera della Carta delle Nazioni Unite.
  Nella stessa risoluzione si rileva, peraltro, come tanto la dichiarazione di indipendenza quanto i successivi atti condotti a detrimento dell'integrità territoriale ucraina e annessione alla Federazione Russa appaiono non conformi all'Atto finale della Conferenza di Helsinki del 1975; al Memorandum sulle Security Assurances firmato nel 1994 a Budapest, con il quale Russia, Stati Uniti e Regno Unito si impegnavano a garantire l'inviolabilità dei confini dell'Ucraina; al Trattato bilaterale di amicizia e cooperazione fra Russia ed Ucraina del 1997 e alla dichiarazione di Alma Ata del 1991.
  Quale conseguenza – e non lo faccio per pignoleria storica, ma per sancire quelli che sono i riferimenti che spesso nel dibattito vengono omessi – dei fatti occorsi in Crimea, le sanzioni dell'Unione europea e degli Stati Uniti, già comminate il 6 marzo a una ristretta cerchia di oligarchi vicina al presidente Yanukovich, per indebita appropriazione di fondi pubblici, sono state successivamente estese a rappresentanti russi e separatisti colpevoli di aver favorito il distacco della Crimea dall'Ucraina, mettendone in discussione l'integrità territoriale e la sovranità.
  La prima mediazione è stata tentata a Ginevra il 17 aprile. I ministri degli esteri di Russia ed Ucraina, assieme a Stati Uniti e Unione europea, hanno tracciato una roadmap per l'attuazione di alcune misure distensive, rimasta inattuata per mancanza di un meccanismo di monitoraggio.
  Nel maggio 2014 ha preso le mosse l'esercizio delle cosiddette «tavole di riconciliazione» a guida OSCE, ovvero dei fori di dialogo fra ucraini e rappresentanti dei separatisti, con mediazione OSCE. Benché questi fori siano stati interrotti il mese successivo, la loro esperienza però è stata raccolta dal cosiddetto «gruppo trilaterale di contatto» Russia, Ucraina, OSCE, nel cui alveo si raggiungeranno risultati negoziali importanti.
  Dopo le commemorazioni per lo sbarco in Normandia, 7 giugno, in occasione delle quali vi è stato un primo incontro fra i presidenti Putin e Poroshenko, sono state avviate consultazioni informali fra Francia, Germania, Russia ed Ucraina, ed è a seguito di quell'incontro che è stato costituito un formato di dialogo ancora esistente, il cosiddetto «formato Normandia», in seno al quale si discute oggi la composizione della crisi.
  Dopo un nuovo picco di tensione occorso nel luglio 2014 dopo l'abbattimento del Boeing della Malaysian Airlines, si è raggiunta la prima intesa di Minsk, il 5 settembre 2014, mirata soprattutto ad arginare e frenare le operazioni militari. Essa ha avuto efficacia limitata nel tempo, a tal punto che fino alla fine del 2014 gli scontri sono ripresi con violenza, anche con l'uso di artiglieria pesante. In un delicatissimo frangente, un nuovo impulso a una soluzione negoziata è stato offerto anche dal nostro Paese, dall'Italia, presidente di turno dell'Unione europea. In occasione del vertice dell'ASEM (Asia-Europe Meeting) di Milano, il 17 ottobre, abbiamo, infatti, propiziato una riunione in formato Normandia: Russia, Ucraina, Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Commissione europea.
  A Milano si è cominciato, anche con la presenza del Presidente della Federazione Russa, a discutere di iniziative di monitoraggio della tregua, divenute poi elemento centrale e qualificante delle successive intese di Minsk. Sempre nel corso della riunione si è aperta la strada al fondamentale accordo sul prezzo del gas, che ha consentito poi a Russia e Ucraina, con la mediazione della Commissione europea, di giungere a un compromesso per assicurare le forniture di gas a Kiev fino alla successiva primavera.
  È solo nel febbraio 2015 che, con gli Accordi di Minsk 2, si sono poste le basi per una soluzione complessiva del conflitto e si prevedono sia misure per assicurare la normalizzazione sul terreno sia clausole politiche finalizzate alla stabilizzazione interna, come lo status speciale per il Donbass. Pag. 6
  Il successivo 6 maggio è stata avviata l'attività dei quattro gruppi di lavoro tematici in seno al gruppo trilaterale di contatto: questioni politiche, questioni economiche, sicurezza e questioni umanitarie. In oltre due anni di conflitto, un'intera regione dell'Ucraina, la più industrializzata, quella che assicurava, da sola, il 10 per cento del PIL nazionale, ha severamente visto compromesse le proprie infrastrutture e le proprie capacità produttive. Secondo i dati delle Nazioni Unite pubblicati lo scorso 6 maggio, il conflitto ha causato 9.346 morti, 21.420 feriti ed oltre 1.100.000 tra rifugiati e sfollati. Oltre 3 milioni e mezzo di persone hanno subito perdite e sono state colpite dagli effetti del conflitto.
  Arrivati ai giorni nostri – mi scuso se sono stato lungo nel ripercorrere date e procedure di diritto internazionale, ma spesso vengono offuscate dal dibattito quotidiano e non vengono ricordate come è doveroso – ci possiamo ora chiedere come si è evoluta la situazione rispetto a Minsk 2. Se volessimo riassumere in una frase lo stato dell'arte, potremmo dire che nonostante una soluzione negoziata alla crisi sia possibile e necessaria, la situazione rimane molto complessa e variegata.
  Dopo che la violenza nelle regioni di Donetsk e Lugansk era tornata oltre i livelli di guardia negli scorsi mesi, l'OSCE è riuscita a negoziare, a fine dello scorso aprile, una tregua per la Pasqua ortodossa. L'accordo ha fatto diminuire l'intensità degli scontri, ma le violazioni del cessate il fuoco continuano, come attesta la missione di monitoraggio dell'OSCE.
  Sul fronte negoziale restano validi i punti fermi su cui si fonda l'architettura di Minsk. Il primo è che non vi è soluzione alla crisi senza la Russia. Mosca, che rivendica per sé un ruolo di mediatore esterno al conflitto, è ovviamente parte in causa. Lo è perché è autrice dell'annessione della Crimea, lo è perché sostiene i separatisti del Donbass, lo è perché ha messo in discussione i legami storici che la legano a Kiev e ai Trattati di inizio anni Novanta, sospendendo accordi commerciali, facendo leva sulle forniture energetiche come mezzo di pressione, mettendo in discussione l'attuazione all'Accordo di associazione fra Kiev e Bruxelles, esprimendo nei modi più espliciti la sua contrarietà all'ingresso di Kiev nell'Alleanza atlantica.
  Per questa ragione occorre esercitare su Mosca pressioni dirette e mirate. Lo si fa nel quadro del gruppo di Normandia, ma anche in più ampi contesti, dall'OSCE all'Unione europea al G7. D'altra parte, la crisi ha gravemente compromesso le relazioni della comunità internazionale con la Federazione Russa e le sanzioni hanno determinato risentimento, diffidenze e irrigidimenti.
  L'Italia ha sempre sostenuto la necessità di tenere aperto un canale di dialogo con la Russia e questa è ormai diventata una posizione largamente condivisa. A marzo i ministri degli esteri dell'Unione europea hanno avuto un approfondito scambio di vedute al riguardo, arrivando a concordare un approccio del doppio binario verso Mosca, fermi sui princìpi di fondo e del diritto internazionale, ma aperti al dialogo e al negoziato politico. Da parte nostra, abbiamo argomentato che la Russia ha già mostrato di essere capace di svolgere un ruolo positivo, come, per esempio, su altri dossier multilaterali, e dobbiamo incoraggiarla in questa direzione.
  L'obiettivo è trasformare la Russia da spoiler a partner per le soluzioni dei problemi; recuperarla a un ruolo positivo nelle relazioni internazionali è del resto anche il fine ultimo delle sanzioni dell'Unione europea, che hanno finalità preventive e dissuasive, non punitive.
  Anche nel quadro dell'Alleanza atlantica abbiamo sostenuto la necessità di consolidare il dialogo con Mosca. In tale prospettiva è un passaggio fondamentale la ripresa dell'esercizio del Consiglio NATO con la Russia a livello di ambasciatori, riunitisi nuovamente, dopo tanto tempo, lo scorso 20 aprile. I temi da affrontare sono molteplici; non mancano, tuttavia, argomenti divisivi, come appunto la crisi in Ucraina.
  La ripresa del dialogo non può rimanere un fatto isolato e, per tale ragione, si sta lavorando ad un nuovo incontro del Consiglio NATO-Russia prima del vertice dell'Alleanza Pag. 7 previsto a Varsavia l'8 e il 9 luglio 2016.
  Per quanto riguarda il rinnovo delle sanzioni, una decisione sarà presa dal Consiglio europeo di giugno, quando i capi di Stato e di Governo saranno chiamati a valutare i progressi degli Accordi di Minsk. L'auspicio e il lavoro del nostro Governo è che sia possibile superare quanto prima l'attuale fase di difficoltà nei rapporti con la Russia. La situazione in Ucraina orientale, però, non sembra ancora consentire questa svolta.
  Il secondo punto su cui si basa e si organizza l'architettura di Minsk è l'appropriazione del processo di pacificazione. La pace, cioè, deve essere voluta dalle parti e deve maturare in seno alla dirigenza russa e ucraina anche la convinzione che la composizione pacifica del conflitto, per cui occorre pagare un prezzo negoziale, è la strada da seguire. I tentativi di imporre dall'esterno ipotesi di compromesso non sufficientemente metabolizzate dalle parti sono sinora naufragati.
  Terzo punto fermo: un'Ucraina debilitata e indebolita economicamente non ha potere negoziale sufficiente. Anche per questo insistiamo con la dirigenza di Kiev perché attui con decisione le riforme richieste dalle istituzioni finanziarie internazionali e dai Paesi occidentali. Senza un'autentica stabilizzazione e ripresa dell'economia il Paese rischia di restare a lungo in balia del potente vicino.
  In questa cornice, signor presidente e cari colleghi, continuiamo a sviluppare – e si continuano a sviluppare – gli sforzi del formato Normandia e dell'OSCE, con il Segretario Generale, ambasciatore Zannier, per l'attuazione delle Intese di Minsk, che l'Italia sostiene pienamente. È bene chiarire che questi due tavoli negoziali non si escludono, ma sono complementari l'uno all'altro. Il valore aggiunto del gruppo di Normandia risiede nella duttilità del formato e soprattutto nella sua capacità di fornire impulso ai negoziati che si svolgono a Minsk nei tavoli presieduti dall'OSCE, ovvero il gruppo di lavoro trilaterale guidato dall'ambasciatore austriaco Sajdik e i quattro comitati dedicati alle questioni politiche, alla sicurezza, alle questioni economiche e a quelle umanitarie.
  L'11 maggio, a Berlino, i ministri degli esteri del formato Normandia si sono riuniti per la dodicesima volta e hanno ribadito la necessità di un cambio di passo; un cambio di passo che dovrà passare per l'accelerazione del ritiro degli armamenti, la creazione di una zona smilitarizzata a ridosso del fronte, proseguendo le attività di sminamento, vietando esercitazioni militari vicino alla linea di contatto, incoraggiando i contatti tra le parti, così da evitare nuove escalation militari.
  È stata poi decisa la creazione di un meccanismo di monitoraggio sull'attuazione degli impegni, basato sul già esistente Joint Center for Control and Coordination, comitato a composizione civile e militare russa ed ucraina, in coordinamento con la missione OSCE.
  Al momento, il negoziato è fermo sulla legge che dovrebbe consentire elezioni locali in Donbass, punto di partenza per un dialogo che Kiev intende avviare con gli interlocutori legittimamente eletti a Donetsk e Lugansk. A Berlino i ministri «normanni», nel prendere ancora una volta atto dello stallo, hanno dato mandato al presidente del gruppo politico di lavorare su un progetto di legge elettorale presentato da Kiev, nonché sulle proposte di emendamento avanzate da Mosca. Le questioni aperte sono varie e complesse, come dicevo: quali partiti e forze organizzate ammettere alle elezioni; come far votare gli sfollati e i rifugiati; quali documenti ammettere nelle operazioni di voto; in che modo rendere partecipi i media del processo elettorale; come regolare i rapporti fra la commissione elettorale centrale e quelle regionali; quale sistema elettorale utilizzare.
  Il tema delle elezioni è inoltre strettamente legato all'esigenza di assicurare la sicurezza di un'eventuale consultazione elettorale nelle aree sotto controllo separatista.
  Da ultimo, il 23 maggio, nel corso di una conversazione telefonica, i leader del gruppo Normandia hanno ribadito l'esigenza di rafforzare la tregua e lavorare per Pag. 8l'attuazione tempestiva degli accordi di Minsk. In tale contesto, non è stata esclusa la possibilità di ampliare il mandato della Special Monitoring Mission dell'OSCE.
  Mentre il Presidente ucraino ha più volte ventilato l'ipotesi di una missione di peacekeeping internazionale, in ambito OSCE si è sempre discusso della possibilità che a svolgere attività di polizia presso i seggi elettorali siano gli stessi osservatori della missione di monitoraggio. Gli osservatori non sarebbero armati, opererebbero in accordo con le autorità de facto, che resterebbero, in ultima analisi, responsabili della sicurezza.
  Un'altra ipotesi è quella di una vera e propria forza OSCE di polizia armata, che richiederebbe però precondizioni molto impegnative e una risoluzione del Consiglio di sicurezza, ai sensi del capitolo 7 della Carta dell'ONU. Al momento, entrambe le ipotesi risultano assolutamente premature, in assenza di un accordo politico sulla tenuta delle elezioni locali.
  Altri elementi necessari agli undici punti degli accordi di Minsk sono: l'adozione della riforma costituzionale, con un riferimento allo status speciale per le regioni di Donetsk e Lugansk; la legge sullo status speciale; la legge sull'amnistia per i separatisti, che dovrebbe entrare in vigore al momento della convalida dei risultati elettorali e che dovrebbe essere preceduta da un'immunità temporanea, per consentire ai ribelli di partecipare alle elezioni.
  Il nostro auspicio è che, nonostante la difficoltà ad affrontare contestualmente tutte le predette questioni, l'Ucraina possa fare la propria parte. Se Kiev iniziasse ad adempiere alle clausole politiche degli Accordi potrebbe rafforzare la propria posizione negoziale, togliendo alibi a Mosca, che si trincera dietro le inadempienze ucraine, lasciando, allo stesso tempo, briglia sciolta ai separatisti.
  L'alternativa, cari colleghi, è che le parti si attestino sempre più su posizioni massimaliste e che lo stallo si consolidi. Il tempo, è vero, non gioca a nostro favore e, in assenza di sviluppi visibili, l'esito più probabile è che la crisi si trasformi – come non vogliamo – nell'ennesimo conflitto congelato o conflitto a bassa intensità. Ciò porrebbe un'ipoteca duratura sulla nostra sicurezza, poiché la mancata soluzione della crisi darebbe vita a una sacca di instabilità in Ucraina orientale, fonte di potenziale transito di migranti irregolari e di traffici illeciti e anche criminalità transfrontaliera considerevole, in termini di dimensioni geografiche e numero di abitanti. Tale sacca di instabilità contaminerebbe le regioni vicine, sia ucraine sia russe. Un nuovo conflitto congelato non sarebbe nell'interesse di nessuno.
  Un'opportunità è offerta dal nuovo esecutivo ucraino, insediatosi dopo una crisi, il 13 aprile, con alla guida il presidente del consiglio Groysman, già presidente della Rada, molto vicino al presidente Poroshenko e alla sua maggioranza elettorale. Egli può contare sul sostegno dei parlamentari del blocco Poroshenko e sul fronte nazionale di Yatseniuk, il precedente presidente del consiglio, oltre ai consensi di due dei quattro gruppi parlamentari di indipendenti che siedono in Parlamento.
  Sui grandi temi l'orientamento di Groysman è chiaro: europeista convinto, ha confermato nel proprio programma l'impegno ad attuare le Intese di Minsk, ma non è chiaro, al momento, il sostegno che potrà ottenere dal Parlamento su questo tema. La visita e lo scambio che avrete domani con la Commissione del Parlamento su questo è un elemento di riflessione e di sicuro dialogo.
  Ecco perché il ruolo che possiamo svolgere, sia come Governo sia come Parlamento italiano, nei contatti pone al centro l'esigenza di avere un termine al conflitto in Donbass, così da favorire tanto la stabilizzazione del Paese, quanto una ripresa dell'economia, che è crollata nel 2015, con un meno 9 per cento del PIL.
  È indubbio che le riforme economiche, chieste a gran voce dai donatori internazionali, saranno il banco di prova del nuovo esecutivo, e, non a caso, nel suo discorso di investitura, Groysman ha osservato che corruzione, governance inefficace e populismo sono tre minacce non meno pericolose del conflitto nell'Ucraina orientale. Pag. 9
  Vi sono poi altre due questioni molto importanti per le future prospettive politiche ed economiche di Kiev. La prima riguarda l'Accordo di associazione Europa e Ucraina, ovvero l'Accordo che diede origine ai moti di piazza Maidan, quando l'allora presidente Yanukovich dichiarò di non volerlo firmare. Le disposizioni commerciali, infatti, sono entrate in attuazione provvisoria dal 1° gennaio 2016. Come forse alcuni sapranno, il 6 aprile la ratifica dell'Accordo è stata bocciata in un referendum consultivo nei Paesi Bassi, il che tuttavia non incide sull'entrata in vigore dell'Accordo. Su questo il governo Rutte ha deciso di prendere tempo e una posizione dovrebbe essere annunciata in settembre.
  La seconda questione è la proposta per la liberalizzazione dei visti a favore dell'Ucraina, presentata alla Commissione europea lo scorso 20 aprile, dopo aver certificato il superamento di tutti i parametri previsti dal piano d'azione. Nell'ambito del Consiglio, alcuni Paesi hanno però sollevato dubbi al riguardo. La questione è al momento in discussione nei competenti fori del Consiglio.
  In conclusione, ricapitolando il processo storico e del diritto internazionale, e soprattutto sottolineando, come ho fatto, il peso e la sofferenza per quanto riguarda le vittime di un conflitto che molti pensano sia relegato solo alla sfera diplomatica, ma che invece ha toccato la vita di intere parti della popolazione di quel Paese, interrogarsi sul ruolo dell'Italia nel percorso sin qui sviluppato, a livello multilaterale e a livello bilaterale, è un tema che riguarda il Governo, ma anche il Parlamento, che è stato più volte sollecitato a discutere sul tema, spesso – lo sottolineo, caro presidente – solo su aspetti contingenti o aspetti non primari della vicenda, cercando a volte di eludere un quadro complessivo di quella che è la difficoltà di una composizione negoziale, solo evidenziando un evento o un altro evento della complessa vicenda.
  Il Governo italiano non manca di ribadire il proprio sostegno, a livello politico, all'Ucraina, in occasione di tutti gli incontri ufficiali; non manca, inoltre, di esortare Kiev a compiere sostanziali e fattivi progressi sul piano sia delle riforme istituzionali sia delle riforme economiche. Gli undici punti dell'accordo di Minsk devono essere implementati insieme e compiutamente.
  Sul piano della lotta alla corruzione abbiamo favorito i contatti della nostra Agenzia con l'ente omologo ucraino, inclusi i programmi di assistenza tecnica. L'obiettivo è favorire collaborazione e mettere a disposizione la nostra competenza ed esperienza.
  A seguito dell'ottava sessione della Commissione mista economica, tenutasi a Kiev il 27 ottobre 2015 dopo un'interruzione di sei anni, stiamo promuovendo iniziative nell'agricoltura e nell'energia, settori di sviluppo fondamentali per l'Ucraina. L'interscambio tra i due Paesi è di quasi 3 miliardi di euro nel 2015. Rimane il fatto che l'implementazione, come dicevo, dell'Accordo di Minsk è la via maestra per la soluzione della crisi.
  Come è stato ricordato anche dallo stesso Presidente del Consiglio rispondendo a un'interrogazione a risposta immediata, lo scorso 4 maggio, in Aula, in questa Camera, noi siamo in prima fila perché l'Accordo di Minsk venga finalmente implementato. Questo è il messaggio che – credo – la nostra diplomazia e il nostro Governo, in un costante e continuo e – come Lei, presidente, giustamente ha sottolineato – impegnativo ragionamento sulle analisi e sui fattori storici di questa crisi, debbano continuare a promuovere. Gli undici punti dell'accordo di Minsk devono essere implementati. Esso, e solo esso, è l'unica via e l'unico percorso su cui costruire una pace duratura nel Paese.
  Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che desiderano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto il Sottosegretario, per questa audizione che prepara l'incontro di domani con una delegazione del Parlamento ucraino e ci è effettivamente molto utile. Mi sembra che nell'intervento del Sottosegretario Pag. 10 Amendola siano risultati abbastanza chiari due capisaldi dell'atteggiamento italiano ed europeo nei confronti dell'Ucraina: da un lato, l'aderenza agli Accordi di Minsk, dall'altro la questione dell'unità europea sul tema delle sanzioni.
  La vicenda ucraina non può che essere un'occasione anche per cominciare ad avere qualche informazione in più rispetto alla possibilità di riconfermare le sanzioni nel Consiglio europeo di giugno. Da questo punto di vista, chiedo al Sottosegretario se può darci qualche informazione, rispetto a quell'incontro, di orientamento della posizione italiana e, ovviamente, di orientamento più generale, circa la posizione dei partner europei.
  Ancora una volta, il tema di una doverosa unità europea è l'unico modo con cui si riesce da un lato, a spingere per quella transizione e quell'aiuto nei confronti del governo ucraino, come Lei ha sottolineato, e dall'altro lato, ad avere effettivamente un efficace punto di partenza per discutere con i russi.

  ELEONORA CIMBRO. Signor presidente, intendo intervenire perché resti agli atti che sono molto soddisfatta e accolgo con piacere la notizia della liberazione della pilota Savchenko, anche perché avevo presentato, insieme ad altri colleghi, un'interrogazione, che è stata oggetto anche di risposta presso questa Commissione. Quindi, non possiamo che essere contenti per questa liberazione.

  GUGLIELMO PICCHI. Ringrazio il Sottosegretario per l'ampia e dettagliata cronistoria, ma anche per la visione della situazione politica. Rimangono alcuni punti cruciali che mi pare non siano del tutto risolti e la paura che portino a un conflitto congelato è quasi una certezza.
  Sulla Crimea la comunità internazionale non riconosce il referendum, però Minsk non parla della Crimea. Forse dovremo fare un Minsk 4 o un Minsk 5 per arrivare a parlare della Crimea. Questo è un punto che, è vero, si potrà cominciare ad affrontare solo dopo che avremo riportato i russi a parlare su tutti i tavoli, dunque ben venga il fatto che sono ripresi i rapporti NATO-Russia.
  Detto questo, il punto fondamentale è che noi possiamo dare agli ucraini tutto il supporto possibile, però sta agli ucraini mettere in atto, al proprio interno, tutto ciò che è necessario innanzitutto per arrivare a rispettare, da parte loro, gli Accordi di Minsk. Dall'altra parte, dobbiamo – non solo a parole – parlare di unità europea, di supporto europeo, «Euro-Maidan» e quant'altro, perché quanto è avvenuto in Ucraina è frutto dell'assenza di politica estera – unitaria, divisiva, chiamatela come vi pare – dell'Unione europea.
  Si sapeva da anni che in Crimea le pulsioni secessionistiche sono fortissime. Ogni monitoraggio elettorale ha sempre rivelato per i filorussi risultati intorno al 70-80-90 per cento e la bandiera più diffusa in Crimea non era quella ucraina, ma quella russa.
  Abbiamo fatto vedere l'Unione europea agli ucraini, senza però dare sostanza economica a questa proposta. Qui c'è, di nuovo, l'assenza di politica europea. Cosa offriamo noi agli ucraini? Quale pacchetto economico siamo in grado di mettere in campo per sostenere l'Ucraina? Se la risposta è costruire il Nord Stream 2, per cui togliamo circa un miliardo di ricavi che avrebbero gli ucraini per il passaggio del gas russo, mi sembra che si continui nella strada di non sostenere economicamente l'Ucraina o di farlo a parole, con grandi enunciazioni di principio.
  Andando in fondo alla questione, se non ci sono i soldi è difficile che un Paese che ha l'economia martoriata riesca ad andare da qualche parte. Quindi, l'esito del conflitto congelato, non solo per la Crimea, ma anche per il Donbass è assolutamente quello che ha più alte probabilità di verificarsi.
  Un punto che credo si sia dimostrato non serva assolutamente a niente, anzi serva più che altro a esasperare gli animi: le sanzioni alla Russia. Sappiamo che, dai tempi di Pericle, le sanzioni economiche difficilmente hanno funzionato e ottenuto risultati utili. Pertanto, fare un danno all'economia europea su una questione di Pag. 11principio che poi non ottiene il risultato atteso, credo sia del tutto inutile.
  Infine, facciamoci qualche analisi di coscienza, perché quando si è trattato di trovare sei miliardi per la Turchia, per l'emergenza profughi, l'Unione europea, con Consigli straordinari uno dopo l'altro, è riuscita a trovarli. Il sostegno agli amici ucraini però, in termini economici, non c'è.

  PRESIDENTE. Vorrei aggiungere molto brevemente qualcosa. Credo che noi difficilmente sfuggiamo, anche se lo sforzo di tutti è questo, dal fare i conti con quello che è la Russia oggi e il disegno strategico chiarissimo che ha in testa Putin.
  A diplomatizzare assolutamente tutto o a fare delle analisi dimezzate, come avvenne, a suo tempo, nei confronti del fondamentalismo islamico, del mondo arabo e così via, vediamo che poi ci si trova a lasciar crescere dei mostri e, all'improvviso, ci si trova di fronte a situazioni assolutamente drammatiche.
  Il punto è, secondo me, che la Russia – lo dico perché ho davanti l'onorevole Valentini – di Pratica di Mare è purtroppo un ricordo di un passato nel quale la stessa Russia si sentiva molto debole, Putin si sentiva debole, voleva rientrare in un certo circuito internazionale e l'Italia e il Presidente Berlusconi svolsero un ruolo positivo, non solo per la Russia, ma per tutta la comunità internazionale.
  Adesso è cambiata totalmente la fase, passato quel periodo. La situazione internazionale si è deteriorata ulteriormente e alcuni elementi sono sempre più evidenti a tutti. Adesso la differenza è addirittura clamorosa, per ragioni istituzionali, nel senso che siamo in attesa trepida del risultato delle elezioni presidenziali americane. Parlo di trepida attesa perché, vedendo i candidati che sono in campo, non è che uno dorma sonni tranquilli.
  Comunque sia, la situazione, a un certo punto, ha visto un cambiamento della funzione degli Stati Uniti d'America e ne ha risentito per le stesse contraddizioni della politica di Obama e per i suoi cambi di interesse. Molto significativo appare il viaggio che Obama ha fatto in questi giorni in Vietnam, a testimonianza che è preoccupato e interessato da un confronto in corso nel Mar della Cina, con la Cina e così via. Tutto questo ha portato a un cambio di passo per quello che riguarda la Russia.
  Guardate, l'Ucraina, da un lato e la Siria, dall'altro, sono le due facce di una stessa medaglia e, per chi va ad approfondire un po’ le cose, sono il frutto anche di una interessante, lucida, molto avventurosa ricostruzione di un disegno della grande Russia, che mette insieme materiali politici e culturali di vario tipo, da quelli del tempo dello zarismo a quello che rimane del comunismo ed altro. Questo è il filo che sta dietro la Crimea, la Georgia, l'Ucraina, un certo intervento in Siria e così via. Non la voglio far lunga, ma guai a sottovalutare questo dato e a non misurarsi con questa questione.
  Per concludere, voglio anche ricordare all'onorevole Picchi che le sanzioni a suo tempo furono proposte, in una chiave non di scontro frontale, ma per attutire lo scontro, proprio da parte della Germania, perché c'era una escalation da parte di Putin. Chiunque di noi va a parlare da quelle parti trova – in Polonia, in Lituania, in Estonia, insomma in tutto il mondo baltico e così via – una crescente preoccupazione per il possibile espansionismo russo. Allora le sanzioni arrivarono per evitare cose molto più pericolose, ma per dare comunque un segnale a Putin che si doveva fermare, perché i più moderati della controparte proponevano le sanzioni, mentre altri proponevano ben altre cose.
  Le sanzioni non possono mai essere disinnescate fino a che, sul terreno degli Accordi di Minsk, non ci sono dei passi significativi. A oggi, sul terreno degli Accordi di Minsk, siamo in una situazione di reciproco blocco, nel senso che da una parte tali Accordi non provocano la tensione militare, sia pure a basso livello, da parte sia dei separatisti sia dei russi (credo che le distinzioni fra le due componenti siano molto difficili), e dall'altra parte – anche perché la vicenda interna ucraina è molto complessa e contraddittoria, e non sempre positiva, ma ha anche elementi negativi – la contropartita dei margini di autonomizzazione da concedere al Pag. 12Donbass, in una situazione in cui la guerra asimmetrica da parte della Russia non è totalmente finita, determina una situazione di stallo; da una parte e dall'altra, appunto.
  Ogni giorno ha una sua notizia. Oggi abbiamo la notizia che ci ha portato il Sottosegretario sullo scambio di prigionieri che è avvenuto. Ieri c'era stata la notizia di sette militari ucraini uccisi in uno scontro, che rientra in questa dimensione. Lo dico – e concludo – perché dobbiamo sapere che tutti i segnali vanno dati nel modo giusto a una realtà, quella russa, che è attentissima ai segnali e se vede dei segnali troppo morbidi, in una situazione in cui non è diventata morbida anch'essa, ne trae ragione per diventare più dura; se i segnali vengono dati a fronte di un contesto che la Russia stessa ha contribuito a modificare, ecco che essi possono dare un contributo positivo alla situazione.
  Mi fermo qui, però non possiamo dimenticare il contesto che è alle nostre spalle e la riflessione che va svolta su una realtà che non è fatta di singoli episodi, ma rientra in una strategia e, aggiungo, anche in un'elaborazione di cultura politica che cerca disperatamente di andare oltre quello che sta alle spalle di Putin e così via, ma in una direzione assai diversa da quella che noi potremmo aspettarci. Ecco, allora, che anche il senso di questa discussione e della relazione del Sottosegretario Amendola – che ringrazio per lo spessore del Suo intervento – è determinato dal fatto che, per quello che riguarda la Russia, la Turchia e vari altri soggetti, o andiamo a fondo dell'analisi, specie in sede di Commissione esteri, oppure, se ci limitiamo all'estrinseco, ci limitiamo a un contingente che viene sempre contraddetto da aspetti altrettanto contingenti.
  Do la parola al Sottosegretario Amendola per la replica.

  VINCENZO AMENDOLA, Sottosegretario di Stato agli Affari esteri e alla cooperazione internazionale. Grazie. La mia replica sarà proporzionalmente breve alla lunghezza della mia introduzione. Lei ha ragione, il tema delle proiezioni geopolitiche dei singoli Stati nel caso della Russia non è sicuramente asseribile o riconducibile a un'idea di multilateralismo che abbiamo conosciuto sin qui. C'è una domanda che, guardando lo scacchiere euro-asiatico, euro-mediterraneo ed euro-mediorientale emerge: quali sono le potenze regionali? E sono potenze regionali? Credo che questo sia stato anche uno dei grandi punti della presidenza Putin e della presidenza di altri Paesi. Penso alla Turchia, penso ai Paesi del Golfo.
  Il concetto che abbiamo sempre avuto, nel multilateralismo asimmetrico degli anni Novanta, cioè una potenza globale e tante potenze regionali, forse è un qualcosa di anacronistico da ripercorrere oggi. Dunque, quando – e sono d'accordo con l'onorevole Picchi – nel 2013, la debolezza dell'idea di partenariato orientale che aveva l'Europa ha fatto sì di trovarsi non con un attore partner regionale, ma con una potenza che da regionale, come tutte quelle che oggi giocano nello scacchiere multilaterale, non ha solo uno standard locale, è evidente che ci siamo accorti non solo della difficoltà di tenere una soluzione in questo contesto, ma anche che forse lo spirito di Pratica di Mare, che era un multilateralismo – lo dico per semplificare nei passaggi storici – in cui si bilanciava dentro una simmetria generale, perché c'era un attore di uno spessore e uno standard internazionale più forte, non esiste più.
  L'Europa deve riconoscere questo. Credo che l'Europa con i suoi vicini debba ragionare che magari la definizione di attori locali in un contesto regionale cambia rispetto a quello che abbiamo conosciuto in passato. Come abbiamo visto anche nel caso, citato, dell'immigrazione e del Medio Oriente, gli attori regionali oggi hanno una proiezione che non è solo quella dei propri confini, ma è quella di determinare assetti ed equilibri locali.
  Credo che questo sia lo spirito e l'intesa del presidente Cicchitto e di tutti i deputati, a partire dall'onorevole Picchi, perché credo che sia lo spirito in cui leggere i problemi e in cui inserire non solo la procedura normativa di diritto internazionale, ma anche l'ingaggio nella risoluzione dei conflitti. È evidente che se lo spessore Pag. 13dei contendenti al nuovo equilibrio regionale, che diventa globale, cambia, anche il processo di risoluzione dei conflitti non può essere quello che pensiamo restrittivo ad alcune ipotesi, ma deve trovare anche delle combinazioni abbastanza differenti.
  Il punto del processo che si è avviato sulla crisi ucraina è una grande lezione per l'Europa, per la sua proiezione geopolitica e la risoluzione del conflitto è decisiva. Noi non possiamo accettare – sposo anche questa tesi dell'onorevole Picchi – che questo diventi un conflitto congelato, perché sarebbe il paradosso e la contraddizione di quello che abbiamo detto sinora. Se la proiezione è così pesante, pensare a un conflitto congelato credo che sia una sconfitta proprio per la dimensione europea. In questo senso, comprendo le difficoltà e la complessità, ma alcuni eventi, drammatici, da un lato, e positivi come quelli di oggi, ci conducono a lavorare non solo dentro l'Unione europea, ma anche nell'OSCE, che è l'organismo più proiettato in tale contesto, anche con una guida italiana, a un meccanismo sul terreno innanzitutto di realizzazione degli undici punti di Minsk. Quindi, la definizione di conflitto congelato, che oramai va di moda, credo che debba essere rifiutata; anzi, dobbiamo lavorare perché ci sia un contemporaneo forte lavoro sul formato multilaterale e bilaterale.
  Su questo, se mi permettete, la diplomazia parlamentare è decisiva, sia sul versante russo, che è parte del negoziato, sia sul versante ucraino, perché gli undici punti di Minsk non possono essere assunti a scaglioni. Gli undici punti di Minsk sono necessari in toto, perché le controparti devono assumersi le proprie responsabilità non aspettando la mossa dell'altro, ma farlo nello stesso identico momento.
  Le riforme – ne discuterete domani con la presidente della Commissione affari esteri della Rada, come facciamo noi con i nostri omologhi – hanno sì un'attenuante, che è la crisi economica, ma le dichiarazioni del primo ministro appena incaricato fanno ben sperare. Gli undici punti di Minsk, la parte da applicare dal punto di vista ucraino deve fare essere fatta adesso. Certo, ci sono da implementare anche le vicende legate al Donbass orientale, ma alcune riforme sono necessarie, perché alcune, soprattutto quelle del punto 11, possono determinare anche un quadro in cui la dinamica negoziale possa andare a vantaggio di una parte e dell'altra.
  Il nostro profilo, come Italia, è chiarezza sui princìpi e mi scuso se ho ribadito i principi di diritto internazionale, ma sembra che in Italia la moda di avere i quadri giuridici sia a seconda delle situazioni. Anche le sanzioni, che hanno un carattere non punitivo, come ho detto, ma un carattere dissuasivo, sono legate a un contesto di diritto internazionale.
  Sottolineo, presidente, che lo status della Crimea era anche stato trattato dopo l'indipendenza ucraina, allorché ci fu il trattato con partner associati che sensibilmente indicava anche degli elementi di permanenza russa dentro il territorio ucraino e della Crimea, e, non a caso, c'era un trattato che regolava questi elementi. Quindi, non stiamo parlando di un'imposizione dovuta allo scongelamento disordinato dell'Unione delle Repubbliche sovietiche, ma stiamo parlando di una configurazione che si era raggiunta anche nel 1991.
  Per questi motivi il conflitto non può essere considerato congelato. La reciprocità è anche un elemento del lavoro parlamentare, di cui vi ringrazio. Gli undici punti di Minsk sono decisivi e, per ribadire quello che ho detto in premessa e per rispondere all'onorevole Quartapelle, è evidente che la situazione in Ucraina orientale non sembra, purtroppo, ancora consentire questa svolta. Dunque, il termine di analisi per il 28 e 29 giugno, non solo dell'Italia, ma di tutti i partner nel doppio binario, anche con l'OSCE, riguarda gli undici punti di Minsk.
  Abbiamo l'impressione che questa svolta rispetto al regime sanzionatorio, soprattutto rispetto al consolidamento dell'Accordo, non sia ancora maturata. Certo, elementi come quelli di oggi fanno ben sperare in manovre che riaprano il tessuto, ma, se devo essere onesto, in conclusione, rispetto alle considerazioni geopolitiche e culturali, di cultura politica che faceva il Pag. 14presidente Cicchitto nel Suo intervento, credo che ci troviamo – e ci troveremo sempre di più – esposti sui nostri confini. L'Italia è protagonista necessaria, sia sul Mediterraneo sia sul confine est dell'Europa e, nel dialogo con i 28 Paesi, che hanno legittimi timori di ascendenze storiche a problemi sui propri conflitti, credo che debba trovarsi a giocare non solo un ruolo di facilitare dinamiche di soluzioni di conflitti, ma anche di immaginare e costruire equilibri, che significa anche mediazioni, che determinano dei quadri di sicurezza nuovi e più legati alla realtà e alle ambizioni degli Stati.
  Ovviamente si devono obbligare tutti gli Stati, sempre, alla convivenza pacifica e al rispetto del diritto internazionale, che è sancito nella Carta delle Nazioni Unite.
  Vi ringrazio e mi auguro che nei prossimi passaggi potremo continuare a sviluppare una riflessione, da un lato e, soprattutto, a valutare le iniziative diplomatiche, dall'altro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario Amendola e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.