XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 155 di Mercoledì 18 maggio 2016

INDICE

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Giuseppe Volpe.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Volpe Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Piepoli Gaetano (DeS-CD)  ... 4 
Volpe Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 5 
Giarrusso Mario Michele  ... 5 
Volpe Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 5 
Rinella Luigi , capo della squadra mobile di Bari ... 5 
Volpe Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 6 
Giarrusso Mario Michele  ... 6 
Volpe Giuseppe , procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 

Audizione del questore di Latina, Giuseppe De Matteis.
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Giarrusso Mario Michele  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
De Matteis Giuseppe , questore di Latina ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
De Matteis Giuseppe , questore di Latina ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
De Matteis Giuseppe , questore di Latina ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Mattiello Davide (PD)  ... 12 
Giarrusso Mario Michele  ... 12 
De Matteis Giuseppe , questore di Latina ... 12 
Giarrusso Mario Michele  ... 12 
Moscardelli Claudio  ... 13 
De Matteis Giuseppe , questore di Latina ... 13 
Giarrusso Mario Michele  ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
De Matteis Giuseppe , questore di Latina ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 16  ... 16 

Comunicazioni della presidente.
Bindi Rosy , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROSY BINDI

  La seduta inizia alle 14.15.

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Giuseppe Volpe.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari, Giuseppe Volpe, accompagnato dal vicequestore aggiunto della Polizia di Stato, dottor Luigi Rinella, capo della squadra mobile di Bari.
  L'audizione è dedicata, in particolare, a un approfondimento sulla vicenda del progetto di attentato ai danni del procuratore distrettuale di Napoli Giovanni Colangelo. Approfitto di questa riunione di tutta la Commissione per rinnovare a nome mio e di tutta la Commissione la piena solidarietà e l'affettuosa vicinanza di tutti noi, che già avevamo avuto modo di esprimere, al procuratore Giovanni Colangelo e a tutti gli aggiunti e sostituti procuratori della procura di Napoli, che indagano e ottengono, come ben sappiamo, tutti i giorni grandi risultati.
  Conosciamo la loro esposizione, ma siamo anche certi che non mancherà da parte degli organi competenti dello Stato di attivare tutte le misure di sicurezza necessarie sia per il procuratore Colangelo sia per gli altri procuratori. Siamo altrettanto certi che l'essere oggetto di minacce da parte dei poteri criminali non farà che rafforzare il rigore, la professionalità, l'impegno e la passione che abbiamo potuto constatare in questi anni sia da parte del procuratore Colangelo sia degli altri procuratori della procura di Napoli, come di tutte le procure del nostro Paese.
  Nel ringraziare il procuratore Volpe per la sua presenza, penso che possiamo chiedere, oltre che un approfondimento sulla vicenda che riguarda appunto gli attentati al procuratore Colangelo, anche di dedicare parte di quest'audizione alla situazione della sede giudiziaria di Bari. Tutti noi abbiamo visto che in questi giorni il procuratore ha interessato direttamente il Ministro della giustizia. Questa Commissione è particolarmente attenta a questo problema, che tocca sicuramente la procura e la sede giudiziaria di Bari, ma non solo, come abbiamo avuto modo di dimostrare anche con la recente relazione sulle sedi giudiziarie di Reggio Calabria e di Catanzaro.
  Vorrei rassicurare il procuratore che da parte nostra c'è piena attenzione. Spesso noi ci facciamo interpreti presso sia il Ministro sia il Consiglio superiore della magistratura delle carenze e dei problemi che constatiamo nelle nostre missioni nel territorio. Tra l'altro, vorremmo dedicare alla Puglia una relazione specifica, proprio perché questa regione non è mai stata attenzionata in maniera così approfondita da parte delle Commissioni precedenti. Noi l'abbiamo fatto, vogliamo continuare a farlo, e sicuramente in quella relazione non mancherà un'attenzione anche alla situazione delle sedi giudiziarie.
  Ringrazio di nuovo il procuratore e gli cedo la parola. Naturalmente, in questa prima fase l'audizione si svolge, come sempre, in forma libera, ma il procuratore non mancherà di segnalarci l'eventuale passaggio in seduta segreta per le cose che intenderà dirci.

  GIUSEPPE VOLPE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Ringrazio la presidente della Commissione e la Commissione tutta per questa convocazione, Pag. 4 che dà la possibilità a me e al dottor Rinella, dirigente ottimo della squadra mobile di Bari che mi accompagna, di chiarire la vicenda investigativa di cui qui oggi ci si occupa. Mi dà anche la possibilità di tornare sul tema al quale ha accennato la presidente onorevole Bindi della difficoltà che una procura come la distrettuale di Bari, con competenza sulle tre province di Bari, Foggia e BAT, incontra nello svolgimento di numerosissime complesse indagini, anche in gran parte contro la criminalità organizzata che infesta tutte e tre le province, nell'affrontare questa cospicua attività con risorse assolutamente inadeguate.
  Le risorse umane, infatti, sono scarse, il personale amministrativo che deve coadiuvare i magistrati e assicurare i servizi per la cittadinanza è di età media avanzata, in parte prossimo alla pensione, i pensionamenti che si sono susseguiti nel tempo non hanno generato sostituzioni, sono anni che non vengono banditi concorsi. C'è, quindi, una discesa vorticosa del numero di presenze di impiegati in ufficio, con difficoltà dunque enormi nell'assicurare i servizi.
  Abbiamo, invece, una polizia giudiziaria, qui rappresentata dal dottor Rinella, che svolge un ottimo lavoro, soprattutto nel contrasto all'attività dei clan e delle organizzazioni mafiose, che sono numerosi. A Bari ne contiamo diciannove, di cui alcuni aggregati, accorpati tra loro, per cui i gruppi mafiosi sostanzialmente si riducono da diciannove a tredici.
  A Foggia abbiamo tre batterie consociate in quella che si chiamava «la società», un'organizzazione criminale sanguinaria efferata, che negli ultimi decenni ha posto in essere 240 omicidi e tentati omicidi rimasti irrisolti. Devo considerare anche la criminalità, anch'essa pericolosa, che si manifesta nella BAT, una provincia ricca, caratterizzata da città particolarmente grandi e industriose. Tirando le somme, desidero pubblicamente denunciare in maniera forte la sproporzione e l'inadeguatezza delle risorse umane delle quali dispone la procura distrettuale di Bari nel fronteggiare fenomeni criminali di tale portata.
  Peraltro, si opera in una sede logisticamente del tutto inadeguata, non conforme alle norme di legge, per esempio alla normativa antisismica, con una parte addirittura definita abusiva da una sentenza definitiva dalla corte d'appello di Bari, oggetto negli ultimi mesi di un'ingiunzione di sgombero da parte dell'autorità comunale.
  In questo contesto, comunque lavoriamo cercando di dare il meglio. È il contesto in cui abbiamo affrontato anche la vicenda per la quale oggi siamo qui convocati e in relazione alla quale mi riservo di riferire dettagliatamente alla Commissione, chiedendo tuttavia alla presidente onorevole Bindi la secretazione di quanto dirò e di quanto produrrò a livello documentale. Le indagini sono, infatti, in pieno svolgimento.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  GAETANO PIEPOLI. Personalmente, come barese sono veramente colpito in fondo dalla distanza che esiste tra una percezione esterna del contesto ambientale in cui viviamo, devo dire anche alimentato in fondo dalla poca conoscenza delle dinamiche reali della società in cui siamo, e la pervasività di questi fenomeni. È un problema che alla politica forse andrebbe posto in maniera diversa rispetto a come la politica percepisce se stessa rispetto a questi problemi.
  È veramente triste dover vedere che l'elemento di diffusione e di consapevolezza è solo quello mediatico, mentre mi pare molto più debole non credo la volontà, ma sicuramente la capacità di compiere la gestione del problema. Quando lei, procuratore, ci pone in maniera accorata quella che purtroppo oramai è ahimè una specie di clausola di stile, il richiamo alla mancanza di mezzi, di strutture e di risorse umane, e soprattutto ci pone un problema oramai drammatico a mio modesto parere per tutta la pubblica amministrazione, l'invecchiamento, Pag. 5 questa credo che sia veramente un'emergenza oserei dire preliminare rispetto persino a quella economica.
  Se questo contesto non viene affrontato per quello che è, anche quelle per la crescita sono battaglie che, paradossalmente, fanno crescere solo la criminalità organizzata. Mi domando, e qui vi domando, se si può pensare a qualcosa che aiuti ulteriormente la prevenzione.

  GIUSEPPE VOLPE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Lei è originario di un paese il cui sindaco proprio ieri credo ha lanciato un appello disperato, perché quella cittadina, che ha una storia illustre e conta circa 50 mila abitanti, se non vado errato, è flagellata dalla presenza della criminalità micro e macro.
  Credo che lei abbia centrato il problema. C'è una disinformazione o una veicolazione sporadica e affidata solo ai media dei problemi che non solo la città di Bari, ma anche le cittadine dell’hinterland, quale la sua d'origine, tutti i giorni manifestano, che reclamano soluzioni, che non possono consistere soltanto nell'intervento repressivo, quello che con i nostri scarsi mezzi e con mille difficoltà da superare siamo in grado di assicurare. Occorre molto di più, e questo è compito dell'amministrazione.
  Qui vedo il senatore Perrone, che è un ex sindaco, e che voglio ricordare ha guidato una città, Corato, che ha la quarta zona industriale per grandezza tra le città italiane non capoluogo di provincia, quindi una realtà economica ricchissima, in buona parte immune dall'influenza della criminalità organizzata. Credo che Corato sia una delle città più tranquille, pur essendoci pochissimi chilometri di distanza da Bitonto, Andria e altre città invece connotate dalla presenza forte della criminalità.
  Credo che al tema che lei correttamente ha posto si debba dare una sola risposta, e che questa risposta non possa che darla la politica, ma direi a livello di amministrazione, cioè quella che affronta i problemi quotidiani, che cerca di risolverli e di fornire ai cittadini quell'educazione anche alla legalità, ma non solo alla legalità, indispensabile per risolvere oltre ai problemi economici, che pure si impongono, anche quelli di tipo culturale. Il problema, infatti, è di tipo anche culturale.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Ringrazio il procuratore per l'esposizione.
  Vado a memoria, spero di non sbagliarmi, ma ricordo un fatto accaduto l'anno scorso e che mi colpì molto, di cui vorrei chiederle per capire anche lo stato dell'arte del contrasto alla criminalità all'interno delle strutture preposte. Mi pare che ci sia stata una sentenza di primo grado per l'omicidio di un boss avvenuto in città. Questo boss girava con il giubbotto antiproiettile, perché sapeva di essere sotto mira, con due guardaspalle. Fu assassinato a colpi di kalashnikov, perché gli altri sapevano che aveva il giubbotto antiproiettile.
  Com'è possibile che ci sia ancora adesso una sentenza, pubblica, che esclude che quello sia un omicidio di mafia e lo fa ricondurre a motivi personali. Parliamo di uno che esce di casa con un giubbotto antiproiettile e due guardaspalle e viene ucciso con armi da guerra. Cerchiamo di capire anche la repressione a che punto è a Bari.

  GIUSEPPE VOLPE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. La ringrazio per la provocazione. Col permesso del presidente, faccio rispondere al dottor Rinella, che è più arrabbiato di lei.

  LUIGI RINELLA, capo della squadra mobile di Bari. Io non posso permettermi di contestare o arrabbiarmi per una sentenza, che va ovviamente rispettata. Ho svolto quelle indagini dal 20 maggio 2013. Anch'io ero convinto che saremmo arrivati a una sentenza diversa. Devo dire che non è la prima volta che a Bari accade questo. Ho svolto le indagini e le ho condivise con la procura, e quella tra l'altro era una risposta a un altro omicidio, un botta e risposta tra due clan, o meglio da una parte c'erano degli scissionisti, un clan storico di Bari, il clan Fiore. Al di là delle motivazioni – il pubblico ministero ha fatto già ricorso contro la sentenza – la lettura che è stata data, al di là delle prove che abbiamo raccolto, è Pag. 6completamente diversa. Anche il riferimento che si fa in quella sentenza a questioni di donne, anche quella di donne è una questione mafiosa, se la si sa leggere in quella maniera. Più di tanto non posso commentare, ma proprio perché ho svolto io quelle indagini anche noi siamo rimasti perplessi per la sentenza.

  GIUSEPPE VOLPE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Vorrei solo aggiungere questo: naturalmente, confermo che la procura ha immediatamente impugnato la decisione, e che è vero che anche quando il movente è dato dal disturbo che si arreca alle donne del clan, basterebbe la considerazione del metodo mafioso per ritenere sussistente l'aggravante dell'articolo 7. Come ricordo a me stesso, infatti, l'aggravante sussiste non solo se c'è una finalità mafiosa, ma anche se il metodo è mafioso.
  In secondo luogo, vorrei dire questo: mi dispiace dirlo in quanto barese o pugliese, ma purtroppo a Bari, a differenza di quello che avviene probabilmente in Sicilia – credo lei sia siciliano – dove i mafiosi hanno un tasso di intelligenza mediamente superiore...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Dopo stanotte non credo.

  GIUSEPPE VOLPE, procuratore della Repubblica presso il tribunale di Bari. Non conosco nei dettagli quello che è successo stanotte, ho sentito una notizia alla radio, ma ricordo di aver visto nei treni in Sicilia operai, quindi con livello di istruzione bassissimo, che giocavano a tressette meravigliosamente, e il tressette è un gioco difficile se lo si gioca bene.
  Le dicevo che, a differenza dei siciliani, noi abbiamo dei criminali con un cervello molto piccolo. Abbiamo arrestato ieri due persone che sono andate in giro a sparare con un kalashnikov solo per segnalare la loro presenza nel quartiere. Mi dica lei se un mafioso serio farebbe una cosa del genere. Li abbiamo arrestati perché, grazie al lavoro degli inquirenti, si sono trovate le prove, come non è sempre facilissimo, ma è un gesto che denota insensatezza, mancanza totale di consapevolezza dei valori, fossero anche i valori criminali. Ecco perché si può arrivare a uccidere addirittura per molto poco, con moventi di spessore minimo a volte.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  La seduta, sospesa alle 15.10, riprende alle 15.20.

Audizione del questore di Latina,
Giuseppe De Matteis.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso. Così rimane stabilito.
  Prima di passare al punto all'ordine del giorno, vorrei ricordare a tutta la Commissione che il 23 maggio 2016 si svolgerà una missione a Palermo per partecipare alla cerimonia a trent'anni dal maxiprocesso, che si svolgerà nell'aula bunker del tribunale di Palermo in occasione delle commemorazioni della strage di Capaci. Chi intende partecipare lo segnali alla segreteria della Commissione.
  Desidero esprimere anche a nome della Commissione, dopo averlo fatto personalmente, la piena solidarietà a Giuseppe Antoci, e una grande riconoscenza ai poliziotti che hanno sventato l'attentato e impedito una strage. Antoci non deve restare solo, il suo coraggioso impegno contro le infiltrazioni mafiose nel parco dei Nebrodi va sostenuto con una più incisiva azione repressiva e assicurando rigoroso controllo di legalità sui finanziamenti ai fondi europei per l'agricoltura in un territorio complesso come quello dello Stretto, in cui gravitano clan di cosa nostra e della ’ndrangheta.
  Voglio anche ricordare qui a tutti noi che l'attentato di questa mattina torna a mostrarci un volto violento, aggressivo, pericoloso Pag. 7 della mafia siciliana, così come non mancano manifestazioni ripetute sempre più preoccupanti di questo volto violento a Napoli, in Campania. Abbiamo appena ascoltato il procuratore di Bari, lo stesso si può dire per la Puglia, in particolare per Foggia, senza dimenticare le pratiche violente della ’ndrangheta in Calabria. Questo conferma che la mafia non depone mai le armi e che non dismette mai l'uso della violenza, parte integrante appunto del metodo mafioso.
  Vogliamo qui ribadire che l'impegno di magistrati, di forze di polizia, di tutti coloro che sono in prima linea nelle istituzioni, nella società, a combattere le mafie ottiene sempre grandi risultati, ma questa guerra non l'abbiamo ancora vinta, e quindi non va assolutamente abbassata la guardia. Quello di lotta alla mafia deve essere sempre più un impegno prioritario dello Stato e delle nostre istituzioni.
  Ha chiesto di intervenire su questo punto il senatore Giarrusso, al quale do la parola.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Il MoVimento 5 Stelle si associa alle sue parole, le sottoscrive nella stima per il grande lavoro svolto dal dottore Antoci e dal prefetto di Messina, soprattutto con il protocollo d'intesa che ha consentito di creare un argine potente alle pretese della mafia dei Nebrodi di mettere le mani sui fondi per l'agricoltura.
  Noi pensiamo che come Commissione antimafia si potrebbe spingere per ottenere che quello che era il protocollo d'intesa diventi un obbligo di legge, cioè la richiesta della certificazione antimafia per accedere a concessione di terreni e a fondi comunitari per l'agricoltura. Voglio solo ricordare che il fratello di Totò Riina era stato regolarmente finanziato per milioni di euro con i fondi per l'agricoltura, fino a quando non è stato arrestato dalle forze dell'ordine. Credo, quindi, che la certificazione antimafia per l'accesso a questi fondi sia una questione fondamentale, non più da rimettere al coraggio e all'impegno di singoli funzionari o dirigenti, che così rischiano la pelle. Mettiamo quest'obbligo per legge.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del questore di Latina, Giuseppe De Matteis. L'audizione odierna, che segue quella del prefetto Faloni svolta lo scorso 4 maggio, è dedicata a un aggiornamento sulla situazione della criminalità organizzata in provincia di Latina a un anno e mezzo dalla missione ivi svolta dalla Commissione il 12 dicembre 2014, durante la quale fu ascoltato anche lo stesso questore.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Cedo pertanto la parola al dottor Matteis, che ringrazio per la sua presenza e la disponibilità, oltre che per il lavoro prezioso che svolge nella provincia di Latina.

  GIUSEPPE DE MATTEIS, questore di Latina. Ringrazio lei, signor presidente, e tutti i convenuti in questa sala. Mi sono organizzato in questo modo: ho preparato un elaborato scritto abbastanza dettagliato, contenente anche alcuni nominativi dei quali non preferirei fare menzione durante la mia esposizione.
  Quest'elaborato scritto, che sarà a disposizione di tutti, è diviso in più parti. C'è una panoramica sulla situazione della criminalità organizzata in provincia di Latina; nella parte speciale, per così dire, ci sono dei focus su alcune singole situazioni. Ciò detto, è mia intenzione rappresentare una situazione dell'ordine della sicurezza pubblica, strettamente correlata alla presenza della criminalità organizzata in provincia, che tenga conto per quanto possibile delle evoluzioni che ho avuto modo di riscontrare in questi miei quasi due anni di permanenza nella sede della questura di Latina.
  Desidero, innanzitutto, chiarire alcuni concetti. Mi interessa, più che altro, fornire in questa sede una chiave di lettura «universale» – passatemi il termine – di fenomeni, che consentirà di leggere in maniera credo nuova l'evoluzione criminale nella provincia di Latina.
  L'analisi storica della criminalità pontina soffre da sempre di una visione semplificata, che impedisce poi di formulare Pag. 8un'azione di contrasto più calibrata alle reali esigenze del territorio. L'errore è quello di intendere la provincia di Latina come se fosse omogenea dal punto di vista criminale, mentre questa provincia rappresenta un unicum nel suo genere.
  A che cosa è dovuta questa caratteristica? Essenzialmente, al fatto che oltre la metà della popolazione si è aggiunta negli ultimi ottant'anni, da quando è stato fondato il capoluogo e le altre città, a una popolazione preesistente. Questa nuova popolazione viene un po’ da tutte le parti d'Italia, con una mentalità nuova, con un'esigenza nuova, con una visione nuova dei problemi. Parliamo di un territorio di quasi 600 mila abitanti oggi, che però durante i picchi estivi raggiunge presenze quotidiane di oltre 2,5 milioni di abitanti.
  La prima caratteristica, quindi, è la storia stessa della provincia. A un problema di contiguità territoriale, dato dal fatto che comunque la provincia di Latina confina a sud con le province di Caserta e di Napoli – è molto più semplice per uno che abita a Formia andare a Caserta che venire a Latina – si somma, o meglio si sommano altre due circostanze.
  La prima è che intorno agli anni Cinquanta c'è stata un'enorme fornitura da parte delle autorità di pubblica sicurezza di soggetti inviati al soggiorno obbligato in provincia di Latina. Questi soggetti appartenevano a diverse organizzazioni criminali. Sia molto ben chiaro a tutti che qui non parliamo di soggetti di serie B o di serie C, ma di capi clan di ’ndrangheta, di camorra e di mafia siciliana. Sono soggetti di serie A. Tutti questi soggetti sono stati mandati nella provincia di Latina, in varie zone della provincia, a far data dagli anni Cinquanta in poi.
  Ognuno di loro ha chiaramente nel tempo creato una sua cellula, mutuando i sistemi operativi dello schieramento di provenienza. Nella provincia di Latina, quindi, detto immediatamente senza se e senza ma, non c'è solo camorra, dovuta alla contiguità con la provincia di Caserta, ma c'è ’ndrangheta e c'è mafia.
  La seconda caratteristica è che l'arrivo di questi soggetti è avvenuto in tempi completamente diversi, e quindi anche il problema di far emergere queste presenze è riferito a periodi storici completamente diversi. Abbiamo, quindi, oggi la necessità di riepilogare l'assetto delle varie organizzazioni criminali di stampo mafioso nella provincia di Latina. Essenzialmente, possiamo distinguere nella provincia di Latina quattro zone. Ogni zona ha una peculiarità propria, che rende assolutamente impossibile una visione omogenea di questo tipo di criminalità.
  La prima zona, partendo dal basso, è il sud pontino, in particolare le città di Formia e di Gaeta. Credo che, se dovessi fare una scala delle priorità d'intervento dal punto di vista degli assetti preposti al contrasto delle mafie in questa provincia, sicuramente indicherei la zona di Formia, di Gaeta e di Minturno come la prima da inserire in questa scala.
  Qui operano famiglie facenti capo in maniera inequivocabile ai casalesi. Sono famiglie che hanno perso la guerra per il dominio nelle zone d'origine della vicina provincia di Caserta e si sono insediate da anni in questo territorio, mutuando in tutto, senza se e senza ma, le modalità operative delle associazioni di stampo camorristico. Nell'appunto che in maniera ufficiale consegno a questa Commissione troverete indicati i clan, e sono tanti, che operano in queste zone.
  Discorso del tutto differente è da fare nell'area di Fondi, che indico come la seconda delle aree interessate da questo fenomeno migratorio criminale. Nell'area di Fondi imperversa da anni una serie di famiglie di provenienza calabrese. Si parla di ’ndrangheta di serie A. Su questo non devono esserci equivoci. Bisogna venir fuori dall'equivoco che le persone che operano in questi clan, anche in una provincia diversa da quella di residenza, siano meno pericolose rispetto ad altre. Sono clan di serie A.
  Attenendomi a dati ufficiali – questo si può dire – la suprema Corte di cassazione, relativamente al processo «Damasco», ha sancito processualmente l'esistenza nel comune di Fondi di una consorteria locale della ’ndrangheta riferibile alla famiglia Pag. 9Tripodo, da circa trent'anni stanziale in questo territorio.
  La terza delle priorità è, secondo me, l'area nord, di cui obiettivamente si sa poco per una serie di motivi. Tenete presente che l'area nord vanta il quarto centro del Lazio per popolazione, la città di Aprilia, città che ha avuto una sovraesposizione demografica davvero importante, e conseguentemente ha dovuto anche supportare logisticamente quest'espansione demografica. Quest'area di Aprilia e Cisterna è stata interessata, quindi, da una forte speculazione edilizia, da un forte investimento di capitali di provenienza soprattutto illecita nel settore edilizio, con tutto quello che ne consegue, come cambi di destinazione d'uso, piani regolatori generali approvati in un certo modo e così via. Insiste in quest'area nord una serie di organizzazioni criminali riferibili essenzialmente alla ’ndrangheta. Anche in questo caso si parla di ’ndrangheta di serie A.
  Ho tenuto Latina per ultima. Latina è il secondo centro del Lazio, ha una popolazione che si attesta su oltre 130 mila abitanti, variegata, diversificata al suo interno, senza – mi perdoni il senatore Moscardelli, che è di Latina – un'identità di popolazione e di cultura abbastanza evidente e tale da poter respingere eventuali intrusioni da parte di corpi estranei.
  Qui c'è una situazione molto particolare. Si è sviluppato negli anni un clan di origine nomade, ma ormai stanziale a tutti gli effetti, strettamente collegato con il clan Casamonica di Roma, che è il clan Ciarelli-Di Silvio. Oggi questo è un clan unico. Non si tratta più di vari clan, ognuno con il proprio capo e i propri gregari. Opera in maniera prevalente sul capoluogo.
  È talmente forte, come vedremo dopo se riterrete, che è riuscito a opporsi a un tentativo di infiltrazione dei casalesi sul capoluogo. C'è stata una breve guerra agli inizi del 2010, che ha visto un ferito e due morti sulle strade nel giro di trentasei ore, ma alla fine di questa guerra il clan dei Ciarelli-Di Silvio è riuscito ad affermare il proprio dominio sul capoluogo, respingendo i tentativi di infiltrazione dei casalesi.
  Questo è un clan molto pericoloso e molto attivo, che purtroppo non sempre è stato valutato per il giusto potenziale offensivo. È stato oggetto di varie operazioni, anche da parte della squadra mobile di Latina. Le più importanti sono l'operazione «Caronte», condotta a ridosso degli omicidi del 2010, che ha portato all'emanazione di trentaquattro provvedimenti a carico degli associati, e da ultimo l'operazione «Don't Touch», dell'ottobre 2015, condotta dalla squadra mobile. È stata abbastanza importante perché, oltre a colpire gli associati, e quindi il clan Ciarelli-Di Silvio ancora una volta, ha rilevato delle zone grigie di contiguità con zone e cittadini insospettabili operanti nel capoluogo.

  PRESIDENTE. Posso interromperla, signor questore?

  GIUSEPPE DE MATTEIS, questore di Latina. Assolutamente.

  PRESIDENTE. Possiamo andare in segreta, ma lei può essere un po’ più esplicito su questo punto?

  GIUSEPPE DE MATTEIS, questore di Latina. Se mi consente, finirei l'esposizione e dopo andiamo in segreta per un sacco di cose.
  Vorrei terminare il discorso precisando che la presenza di queste quattro aree sullo stesso territorio non comporta assolutamente situazioni di rivalità che abbiamo riscontrate. Abbiamo riscontrato che in provincia di Latina la ’ndrangheta, la camorra, la mafia e il clan Ciarelli-Di-Silvio operano con una pretesa di egemonia nei singoli affari, ma non nei singoli territori. È possibile riscontrare, quindi, in una di queste aree la presenza di un altro gruppo e così via. Numerosi sono i latitanti di mafia, di ’ndrangheta, di camorra, che sono stati arrestati in un'area in cui, come ho espresso, abbiamo riscontrato il predominio di un'organizzazione singola.
  Nel 2012, il tribunale di Latina ha emesso la sentenza relativa al cosiddetto procedimento «Sfinge», nel quale si è dedotta chiaramente l'esistenza di una vera e propria Pag. 10 associazione di stampo mafioso alleata con i casalesi, la quale si prefiggeva l'obiettivo di controllare svariate attività economiche nel territorio di Latina. L'obiettivo era, quindi, controllare attività economiche su un territorio, ma siccome questi affari erano diversi da quelli curati dal clan di dominio su questo territorio, non c'è mai stata una guerra di mafia. Quando, invece, c'è stato un problema di interferenza nell'affare curato da un clan, allora c'è stata la guerra. Credo di essere stato abbastanza chiaro.
  Per darvi un'idea – questo si può dire, perché sono dati processuali – tra i condannati risulta esserci Maria Rosaria Schiavone, la figlia di Carmine Schiavone. Tra gli arrestati c'è anche il marito, Pasquale Noviello, e il suocero, anche lui Noviello. Per darvi un'idea della qualità dei criminali che operano nella provincia, nel 2015 è stato arrestato a Cisterna di Latina il boss latitante Michele Cuccaro, considerato il capo dell'omonimo clan di camorra operante nella zona di Barra, in provincia di Napoli.
  Vorrei brevemente trattare, per non dilungarmi troppo, alcuni segnali che documentano la pericolosità dei clan operanti sul territorio. A Terracina, per esempio, è stata accertata la presenza di soggetti legati al clan camorristico Contini, che avevano di fatto monopolizzato il mercato del pesce. A Sonnino, a pochi chilometri da Terracina, è stata riscontrata la presenza di appartenenti al clan calabrese dei Gallico. In effetti, nel 2010 è stato tratto in arresto dalla squadra mobile di Reggio Calabria Gallico Antonino, che a Sonnino aveva stabilito la propria residenza.
  Devo trattare adesso di due aspetti che riguardano le intimidazioni a uomini delle istituzioni, pubblici amministratori, sindaci, e le minacce a carico di poliziotti, magistrati, carabinieri e altri esponenti delle istituzioni. Ho scelto solo alcuni casi emblematici, ma dico subito che ne abbiamo molti altri. Questo è per darvi anche un'idea del volume di affari criminali che si consumano in questa provincia.
  Per rispondere alla sua domanda, signor presidente, le intimidazioni fatte a pubblici amministratori mi serviranno poi, quando le porrò in secretazione, per esprimere anche alcune considerazioni.
  Nel 2012, sono stati esplosi colpi d'arma da fuoco contro la vetrata di un bar gestito dall'ex consigliere comunale di un partito di centro e all'esterno dell'abitazione dell'amministratore unico di una ditta che aveva stretti rapporti con lui. Nel 2013, ad Aprilia sono state incendiate le autovetture di proprietà dell'assessore al bilancio e ai tributi del comune di Aprilia e di un cognato dell'assessore, il quale era anche responsabile dell'associazione provinciale Libera, l'associazione contro le mafie di don Ciotti.
  Nel novembre 2013, ad Aprilia è stato aggredito con una spranga il consigliere comunale di maggioranza dell'amministrazione comunale in forza a una lista civica di Aprilia. Nel 2014, il sindaco di Ardea, il quale è però residente ad Aprilia, ha subìto dapprima l'incendio doloso della propria autovettura e, successivamente, ha ricevuto una minaccia consistita nel rinvenimento di fronte alla propria abitazione di una carcassa di maiale.
  Il comune di San Felice Circeo è stato oggetto di minacce, in quanto è pervenuta una busta contenente sette cartucce e una lettera minatoria indirizzata al sindaco, mentre un'altra lettera di minacce è stata indirizzata alla famiglia di un componente del consiglio comunale, dirigente del servizio tributi del comune di Latina.
  Tali aggressioni diventano addirittura più gravi quando passano a interessare uomini delle forze dell'ordine. Un luogotenente della Guardia di finanza è stato oggetto di tentato omicidio ad opera di due cittadini albanesi, tratti poi in arresto dal personale del commissariato, e la cosa interessante è che il mandante riconosciuto era un imprenditore di Cisterna strettamente collegato con personaggi che sono emersi anche durante l'indagine «Mafia capitale».
  È stata incendiata l'auto di un appuntato della Guardia di finanza. Il consigliere comunale di Latina Gianni Chiarato ha subìto l'incendio doloso della propria autovettura e il senatore Moscardelli, il senatore della Commissione antimafia, nel mese Pag. 11di dicembre del 2015, quindi poco tempo fa, ha subìto un grave danneggiamento alla propria auto parcheggiata sotto la propria abitazione.
  La criminalità è arrivata a minacciare un magistrato – si può dire perché la cosa è ufficiale, il giudice Lucia Aielli – del tribunale di Latina, affiggendo dei manifesti, delle epigrafi, in una via dove tra l'altro insiste il liceo classico frequentato dalle figlie, con indicata la data del funerale del citato magistrato. In virtù di questo fatto, pochi mesi dopo giunse al tribunale un'ulteriore missiva indirizzata a quattro magistrati – in un periodo ristretto, quindi, parliamo di cinque magistrati intimiditi – contenente un proiettile, e negli stessi giorni sono stati rinvenuti degli escrementi di fronte alla porta di casa di un magistrato, che già nel 1997 è stato oggetto di intimidazione, e per questo c'è un procedimento pendente, perché il capo del clan Di Silvio si ritiene abbia sparato alla sua auto.
  Nel febbraio 2015 è stata incendiata l'autovettura dell'avvocato del foro di Latina. Chiaramente, in questo momento non intendo dire il nome. Nel 2015, presso l'ufficio postale di Formia, è stata recapitata una busta contenente un proiettile e una lettera con minacce di morte indirizzata a un sovrintendente della Polizia di Stato in servizio presso il commissariato di polizia. Si tratta di un sovrintendente particolarmente attivo nell'attività di controllo a scopi di prevenzione di alcuni gregari di clan camorristici insistenti su Formia.
  A onor del vero, bisogna dire che il tutto avviene in un contesto in cui anche le istituzioni fanno a volte fatica a mantenere autorevolezza e credibilità. Qui mi riferisco a situazioni che già hanno avuto un esito processuale, quindi sono situazioni spendibili in chiaro, senza ricorrere alla secretazione.
  Una recente indagine della squadra mobile di Latina ha portato all'arresto di un giudice della sezione fallimentare del tribunale di Latina, responsabile, insieme ad altre sette persone, di corruzione in atti giudiziari, concussione, turbativa d'asta, rivelazione di segreto nonché accesso abusivo a un sistema informatico.
  L'indagine «Don't Touch» ha svelato come operatori della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri, colpiti da provvedimenti restrittivi, fossero collusi con gli associati al clan Di Silvio, fornendo informazioni atte a eludere le indagini. Successivamente, alcuni operatori della Guardia di finanza sono stati tratti in arresto dalla stessa Guardia di finanza con accusa della stessa gravità.
  L'indagine dell'Arma dei carabinieri sulla cosca della ’ndrangheta dei Crupi, operante a Latina, ha svelato una pericolosa contiguità tra la cosca e un ispettore di polizia in servizio presso la questura, indagato per aver rivelato all'organizzazione criminale l'esistenza di indagini a suo carico.
  Rimane comunque un'idea che dobbiamo avere ben chiara. La destinazione che quasi tutte le mafie operanti sul territorio hanno riservato a Latina è quella di un territorio dove si deve lavorare col malaffare e il riciclaggio, tanto che al fine di monitorare con maggiore attenzione il fenomeno delle infiltrazioni la provincia di Latina è stata inserita nel progetto del Desk Interforze per le indagini patrimoniali.
  Vorrei fornire un ulteriore dato di riflessione, e poi passiamo alla parte secretata se lo ritenete opportuno. Siamo molto attivi sul fronte delle misure patrimoniali di prevenzione. Vi do solo questo dato: nel solo 2015 l'ufficio che si occupa delle misure di prevenzione patrimoniale ha portato al sequestro di 230 milioni di euro, un dato importante. Vi prego di paragonare questa cifra ai dati che in altre realtà, sicuramente più attenzionate di Latina, si fanno in questo settore.
  Vorrei fornirvi anche altri dati sui quali riflettere. La Polizia di Stato nella provincia di Latina, negli ultimi cinque anni, per tre anni ha portato come risultato più arresti di quelli effettuati in provincia di Caserta o nella provincia di Lecce, dove è comunque riconosciuta una forte attenzione alla criminalità esistente.
  Il dramma – per questo parlerei quasi di una situazione di emergenza nazionale che deve riguardare l'assetto delle forze di polizia in provincia di Latina – è che la visione che ancora oggi si ha è quella di Pag. 12una provincia tranquilla perché inserita nel Lazio. Latina meriterebbe un'attenzione particolare sicuramente per un repentino approvvigionamento di risorse da destinare alla lotta della criminalità organizzata.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  DAVIDE MATTIELLO. Ringrazio il signor questore.
  Una delle questioni su cui abbiamo riflettuto e lavorato in questi anni è quella che riguarda i braccianti agricoli nel pontino, in particolare la comunità sikh. Relativamente a questo, riprendendo un passaggio della presidente, abbiamo ascoltato poco tempo fa il prefetto di Latina e su questa questione mi è sembrato che il prefetto, direi non per la prima volta, tendesse a dimensionare, non voglio dire sottovalutare – è proprio l'oggetto della mia domanda – direi perimetrare al ribasso la situazione, che invece per noi in questi anni ha assunto caratteristiche allarmanti, nel senso dello sfruttamento di questi lavoratori e di queste lavoratrici, sfruttamento che per alcune sue caratteristiche ci ha fatto anche ipotizzare che il metodo complessivamente possa essere ascritto a quello mafioso, anche se in concreto i soggetti attivamente coinvolti in queste situazioni non sono necessariamente mafiosi nel senso tradizionale del termine.
  Da un lato, vorrei chiederle che cosa pensa di questo fenomeno. In particolare, la scorsa volta il prefetto diceva che da un anno è stato aperto presso la questura di Latina lo sportello dedicato proprio alle denunce con modalità protette, ma non si è presentato nessuno, non ci sono denunce. Ancora una volta c'è questo iato tra un fenomeno che viene rappresentato in un certo modo, anche giornalisticamente, ed evidenze di carattere investigativo e giudiziario che invece pare vadano in un altro senso. È vero che non ci sono denunce? È vero che non si sono aperti processi?
  Concludo dicendo, e tengo a farlo pubblicamente, che abbiamo registrato con rinnovato allarme le minacce, che prendono forme differenti, talvolta sofisticate, che hanno avuto per destinatario il giornalista Marco Omizzolo. Ascrivo alle minacce sofisticate anche quei volantini distribuiti capillarmente per tutta la provincia di Latina che farebbero passare l'Omizzolo e la CGIL come organizzatori dello sfruttamento ai danni dei lavoratori e delle lavoratrici della comunità sikh.
  Anche su questo deciderà lei come rispondere, se pubblicamente o in segreta, ma pongo la questione pubblicamente, perché non mi allontano dal fianco del giornalista Marco Omizzolo e di tutti coloro che stanno in quelle campagne e in quelle situazioni difficili, portando avanti questo lavoro.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Vorrei anch'io, se possibile, porre la domanda non secretata.
  Da vari articoli di stampa si ipotizza l'esistenza nel basso Lazio di una vera e propria lobby o cupola dai dintorni non molto chiari, che lavora al condizionamento della pubblica amministrazione e che vedrebbe la presenza insieme di ex generali, amministratori, politici, imprenditori più o meno vicini o subalterni al crimine organizzato: insieme a queste c'è o si sospetta la presenza di logge massoniche, occulte o deviate e così via?
  In secondo luogo, ci è giunta notizia, che speriamo lei possa smentire, che sarebbe stata emanata tempo fa una circolare dalla questura di Latina diretta ai presìdi di polizia del sud pontino con la quale si inibiva di occuparsi di indagini patrimoniali verso soggetti e società sospetti di riciclaggio.

  GIUSEPPE DE MATTEIS, questore di Latina. Escludiamo subito questa, in chiaro, così non ci sono dubbi.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Dal suo intervento e dalla sua esposizione lo immaginavo, ma è bene averla a verbale.
  Ho poi una domanda più generale. Dalla sua esperienza sul campo, che cosa serve in Pag. 13quei territori per contrastare questi fenomeni?

  CLAUDIO MOSCARDELLI. Ho una domanda non secretata.
  Riprendo alcune considerazioni di prima che attengono proprio alla questione dell'interrogazione del 2014 del deputato Maietta nei suoi confronti a seguito dell'intervista che lei aveva rilasciato puntando l'attenzione sull'urbanistica e la gestione dello stadio, interrogazione dallo stesso deputato smentita 48 ore dopo, nel senso di non esserne l'autore, perché era stata ufficialmente depositata. Ha idea o ha avuto conoscenza di chi ha effettivamente confezionato quell'interrogazione, che aveva carattere intimidatorio molto chiaro?
  Relativamente alla capacità del clan di muoversi nelle istituzioni, nella vita pubblica di Latina, ritiene che questa sua crescente capacità e forza si sia potuta sviluppare solo per sottovalutazione o proprio grazie a una contiguità con la politica e con le istituzioni?
  Da ultimo, anche se lo ha già detto nella sua relazione, a fronte di questa presenza criminale così forte, molto spesso sottovalutata, intenzionalmente o non intenzionalmente, ritiene che ci sia necessità di un salto di qualità proprio della presenza dello Stato? Siamo una provincia con l'organico della squadra mobile come quello della provincia di Rieti, ma con dati che ci ha fornito paragonabili a Caserta.

  GIUSEPPE DE MATTEIS, questore di Latina. Il capo di gabinetto dell'epoca a cui risalgono i fatti era il dottor Melaragni.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Quali sono i nuovi equilibri di camorra a Formia, Minturno e Gaeta? Che cosa può dirci dei recenti atti di intimidazione che si sono verificati in questi tre comuni?

  PRESIDENTE. Mi aggiungo anch'io alla domanda sui recenti attentati.
  Vorrei anche aggiungere una domanda sul mercato di Fondi. Ci dice lei quando dobbiamo secretare.

  GIUSEPPE DE MATTEIS, questore di Latina. Posso rispondere in chiaro ad alcune delle domande che mi sono state poste, e poi passiamo alla parte secretata.
  Partirei dall'interrogazione che ho ricevuto da parte dell'onorevole Maietta. Senatore Moscardelli, per 48 ore è stata un'interrogazione parlamentare valida. Qualsiasi parlamentare può interrogare chi ritiene su fatti di utilità. Come tale l'ho vissuta, quindi non ci sono stati estremi di reato. Certo, è stata una vicenda abbastanza delicata, particolare, che può fare luce su quello che avviene a Latina e che sembra normale per i latinensi, ma che normale non è.
  Appena arrivato a Latina ho capito subito che bisognava dare segnali di distanza rispetto a una certa situazione che avevo trovato, cioè di eccessiva vicinanza tra istituzioni, politici di Latina, pubblici amministratori e persone che avevano rapporti con questi politici. Senza girarci troppo intorno, ho trovato una situazione di eccessiva familiarità.
  Ho realizzato subito quello che poi è stato accertato, ma anche nel momento in cui l'ho realizzato era abbastanza facile da documentare. Ricordo che appena arrivato un giornalista mi chiese se c'era la camorra a Latina. Io ho risposto semplicemente che il problema non era la camorra, ma il malaffare, che era visibile soprattutto perché due anni prima della mia venuta a Latina quattordici consiglieri comunali, compreso il sindaco e l'onorevole che poi mi ha formulato l'interrogazione parlamentare, erano stati indagati per l'affare cosiddetto della variante Malvaso, una variante al piano regolatore che aveva dato possibilità a un consigliere comunale che era anche costruttore di costruire una palazzina sul terreno ricavato. Questo è stato posto poi sotto sequestro dall'autorità giudiziaria.
  Oltre a questo, mi riferivo anche a innumerevoli esempi di malaffare che comunque avevano a che fare con la pubblica amministrazione. Ho semplicemente detto al giornalista che secondo me il problema non era solo la camorra, ma anche di speculazione edilizia, di cambi di destinazione d'uso. Secondo me – ho detto al giornalista – il problema, il core business del malaffare di Latina Pag. 14 capoluogo, è il cambio di destinazione d'uso.
  C'era un motivo storico per cui dicevo questo. Latina è un terreno giovane, nato da ottant'anni, quindi le grosse proprietà terriere costituiscono un valore immenso, perché basta cambiare la destinazione d'uso e una proprietà agricola diventa una proprietà da edificare, con il conseguente aumento colossale del valore del terreno.
  Questo è stato fatto nel territorio, che ha risentito anche di una fortissima espansione demografica. Nel giro di vent'anni, Latina è diventata il secondo centro popolato del Lazio. A parte Roma, il Lazio non vanta grossi centri come popolazione. Frosinone si attesta intorno ai 50 mila abitanti, Rieti non arriva a 45 mila. Latina esplode e c'è bisogno di case per ospitare queste abitazioni.
  Ho detto questo, poi semplicemente ho fatto un'altra riflessione. Il Latina Calcio è passato in breve tempo quasi alle soglie della serie A. Chiaramente, occorreva uno stadio che fosse capace di ospitare un campionato di serie B. È stato fatto un lavoro non proprio irreprensibile costruendo una tribuna ospiti che può ospitare 1.400 persone, che poi è stata sequestrata dall'autorità giudiziaria, la quale successivamente è intervenuta sequestrando anche una parte di una tribuna che doveva essere costruita su un'area verde diventata edificabile. Non dicevo cose clamorose da questo punto di vista.
  Ho semplicemente detto che il core business era l'edilizia, e che la questione dello stadio era stata gestita con una certa sciatteria. La sciatteria era riferita al fatto che avevano creato una tribuna per 1.400 persone, che quindi ha ospitato 1.400 persone, senza che questa tribuna superasse il collaudo. Vi rendete conto che la situazione era abbastanza critica. Ritengo anzi di essere stato eccessivamente gentile nell'usare il termine sciatteria.
  Quello che mi ha sorpreso è la reazione. A dire la verità, non ricordo reazioni pubbliche sui giornali di smentita rispetto a quello che ho detto. Ricordo soltanto che un giornale, Il Giornale di Latina, molto tempo dopo questa mia affermazione, fatta appositamente per lanciare segnali di distanza rispetto a situazioni che non mi piacevano, ha fatto lo scoop dicendo che risultava quest'interrogazione da parte del parlamentare nei miei confronti. Si diceva che avevo un atteggiamento preconcetto nei confronti del Latina Calcio, nei confronti della città. In quest'interrogazione era scritto che tutte le attività in corso – lui era ufficialmente indagato e altre quattordici persone, tra cui il sindaco – non esistevano, non c'era nulla che portasse a ritenere una situazione del genere.
  Ho appreso dai giornali la notizia, ma un'ora dopo aver letto – leggo i giornali dalle 8, quindi alle 9 – mi è arrivata la chiamata del sindaco di Latina, dello stesso partito del parlamentare, il quale mi chiedeva un incontro urgente con il parlamentare stesso. Li ho ricevuti nel mio ufficio, il parlamentare mi ha chiesto scusa, mi ha detto che era un disguido del suo ufficio addetto alla preparazione dell'interrogazione parlamentare e ha fatto un comunicato – anche questo mi ha lasciato molto sorpreso – in cui mi chiedeva scusa, diceva che avevo ragione e che ero stato troppo tenero a proposito di quello che avevo detto.
  La cosa strana successe tre mesi dopo, quando il Ministero dell'interno mi mandò la richiesta di rispondere a quell'interrogazione parlamentare, perché non avevano tenuto conto del ritiro dell'interrogazione parlamentare. A questo punto, sono stato io a chiamare il parlamentare per chiedergli se aveva ritirato l'interrogazione o meno. Mi rispose che l'aveva ritirata e mi disse com'erano andate le cose.
  Molto semplicemente, non si tratta né di reati né di opportunità, ma se insisto per una politica della trasparenza e della denuncia, voglio che i passaggi vengano ricostruiti pubblicamente e non in secretazione. Il parlamentare in quella sede, alla presenza del sindaco di Latina, mi disse che a preparare materialmente quell'interrogazione parlamentare era stato il capo di gabinetto, il dottor Gianfranco Melaragni, che aveva insistito perché quest'interrogazione parlamentare fosse presentata.
  Ex funzionario di polizia ed ex funzionario dell'AISI, che forse si chiamava SISDE all'epoca, credo nel dicembre 2013 avesse avuto questa funzione di capo di gabinetto. Io, senatore, non ho mai fatto accertamenti, Pag. 15perché la cosa non riguarda un'attività investigativa, è una questione di opportunità. Ripeto che non ho rilevato estremi di reato, perché l'interrogazione è esistita ufficialmente a firma del parlamentare, ma considerando la situazione è sicuramente un fatto che mi ha fatto riflettere. Credo di aver risposto in chiaro.
  Per quanto riguarda il problema della lobby del basso pontino, francamente abbiamo tanti problemi veri che mi accontenterei di quelli che abbiamo, e quindi eviterei di crearmene degli altri. Sicuramente, il pontino è una terra in cui ci sono ex generali, ex funzionari, sicuramente c'è il Circeo, c'è Sabaudia, c'è Gaeta, quindi è una terra che richiama pensionati di prestigio. Da qui, però, a pensare che si possa formare una lobby capace di condizionare istituzioni e camorra, francamente non credo che sia il caso. Non abbiamo riscontri in questo senso.
  C'è da dire che i clan che operano sul territorio sono totalmente autonomi l'uno dall'altro finché non hanno motivo di contrasto. Quando c'è un motivo di contrasto, abbiamo anche qualcosa che ci fa pensare all'esistenza del contesto. Che, però, una lobby possa gestire affari così diversificati, così importanti, non ritengo che sia assolutamente condivisibile come impostazione.
  Che cosa bisognerebbe fare? Per me, quella del sud pontino è un'emergenza. Ho già fatto la proposta al dipartimento della pubblica sicurezza di creare una sezione distaccata della squadra mobile. Non è solo un problema di numeri. Bisognerebbe dare una medaglia agli uomini che lavorano in quei commissariati o in quelle caserme dei carabinieri dove fanno di tutto e di più. Affrontano altri problemi, affrontano l'emergenza estiva. Ci sono città che d'estate quintuplicano la popolazione residente, e quindi la volante o la gazzella sta dietro a innumerevoli interventi.
  Quello che, invece, è richiesto in quelle realtà, soprattutto su Formia e su Gaeta, è la creazione di un apposito organismo investigativo. Sono troppo lontane da Latina per pensare che Latina possa dare il meglio di sé anche per quelle realtà. Devo dire che il direttore del servizio centrale operativo ha condiviso la mia impostazione e l'allarme che ho lanciato al dipartimento più di un anno fa sulla situazione del basso pontino.
  Sicuramente, ho già avuto dei rinforzi investigativi importanti, ma in termini di aggregazione. Adesso avrò rinforzi definitivi per la squadra mobile di Latina e l'attenzione di una sezione distaccata della squadra mobile per il basso pontino da stabilire a Formia è senz'altro sul tavolo del dipartimento della pubblica sicurezza. Di questo c'è bisogno. Non c'è bisogno né di «super poliziotti» né di grosse strutture, ma di risorse investigative su quel territorio, che è un po’ lontano da tutto, soprattutto Formia e Gaeta.
  Per quanto riguarda i sikh, sono un fenomeno complesso. Perché sta emergendo adesso? C'è da dire che i numeri sono un po’ diversi da quelli spesi secondo una logica empirica di alcune organizzazioni sindacali. In realtà, abbiamo monitorato 9.054 sikh che insistono sul territorio di Latina. Le pratiche in sospeso presso la questura riguardanti il riconoscimento del permesso di soggiorno ammontano a poco più di 200. Tenga, però, presente che circa la metà di queste pratiche che abbiamo in sospeso non attengono tanto alla redditualità – per avere il permesso di soggiorno devi dimostrare di poterti mantenere sul territorio provinciale – ma ad altri requisiti che mancano: l'alloggio, l'esistenza di precedenti penali, che ci inducono a fare valutazioni correlate all'autorità di pubblica sicurezza, e così via. I numeri sono questi.
  Che cosa sta succedendo? Per molti anni il problema è esistito, ed è un problema di sfruttamento del lavoro di questi agricoltori, ma non è stato posto all'attenzione dell'autorità di pubblica sicurezza o della polizia giudiziaria. Circa un anno fa, ho ricevuto la CGIL, la CISL e la UIL, le confederazioni, le quali mi hanno parlato di questo problema e della difficoltà che ha il singolo lavoratore sfruttato a mettersi in coda all'ufficio denunce per far emergere il suo problema. Qual è il vero problema?
  Si parla di tante cose, di sikh costretti ad assumere sostanze stupefacenti per lavorare molte ore al giorno, di donne sikh costrette a subire violenza sessuale da parte dei datori di lavoro, di uomini sikh costretti a subire anche atti di sopraffazione fisica da parte del datore di lavoro, della presenza di camorra, Pag. 16 che interferisce nei meccanismi di caporalato. Non abbiamo riscontrato nulla di questo. Abbiamo riscontrato tutto quello che la CGIL ha messo in un documento nella parte finale e ha consegnato al prefetto di Latina, che noi stiamo vagliando.
  Si tratta di una situazione in cui il singolo lavoratore viene sottopagato rispetto a quello che risulta, costretto a lavorare molte ore, non ha gli stacchi previsti dal contratto di lavoro per la rigenerazione della proprie energie psicofisiche, ed effettivamente le condizioni di alloggiamento garantite dal datore di lavoro lasciano molto a desiderare. Questo è quello che succede.
  Perché il problema sta emergendo? Ci sono sicuramente fenomeni di intermediazione nel modo in cui i sikh arrivano in Italia e in cui lavorano. Sono due fenomeni completamente diversi. Noi abbiamo aperto uno sportello particolare della questura a maggio 2015 per consentire alle confederazioni, a CGIL, CISL e UIL, di farci pervenire notizie in maniera del tutto riservata, per evitare che il sikh, che difficilmente parla la lingua, non è integrato, i cui bambini non vanno a scuola – la seconda generazione non è minimamente integrata con il resto della popolazione – si mettesse in coda all'ufficio denunce.
  I numeri delle denunce che abbiamo ricevuto sono del tutto insignificanti. Se non siamo a zero, siamo a una. Anche in questo caso, questa denuncia riguardava quello che le ho detto: sono pagati poco.
  Abbiamo condotto un'indagine prima che scoppiasse il problema, quindi le parlo del 2013, con la DIGOS di Latina, e abbiamo intercettato dei datori di lavoro. Quest'indagine importante ha portato all'esecuzione di sette ordinanze di custodia cautelare per sfruttamento dell'immigrazione clandestina più altre violazioni. Un datore di lavoro spiegava a un altro datore di lavoro come comportarsi con i sikh.
  In effetti, loro vengono pagati da 3 a 4,50 euro all'ora, quindi molto al di sotto della tariffa prevista dagli studi di settore. Lavorano dodici ore al giorno e, soprattutto, il modo in cui lavorano è sicuramente assimilabile alla schiavitù. Sono tutti problemi che sicuramente richiamano l'attenzione dell'ispettorato del lavoro. Noi come Polizia di Stato insieme all'Arma dei carabinieri abbiamo fatto numerosi accessi, senza mai riscontrare le situazioni che avrebbero attirato la nostra attenzione (riduzione in schiavitù, pestaggi, violenze carnali e così via). Abbiamo riscontrato effettivamente situazioni di irregolarità.
  È da tener presente che le aziende agricole in provincia di Latina sono quasi 9 mila, quindi anche a voler pianificare ogni giorno un'irruzione, un accesso, diventa un lavoro molto difficile. Ciò nonostante, stiamo cercando di monitorare meglio il fenomeno.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringraziando nuovamente gli auditi, dichiaro conclusa l'audizione.

Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Ricordo infine che lunedì 23 maggio 2016 si svolgerà una missione a Palermo per partecipare alla cerimonia «A 30 anni dal maxiprocesso», che si svolgerà presso l'aula-bunker del tribunale di Palermo in occasione delle commemorazioni della strage di Capaci.

  La seduta termina alle 16.30.