XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 51 di Mercoledì 18 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mongiello Colomba , Presidente ... 2 

Audizioni in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale. Audizione del Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM, Luca Vespignani:
Mongiello Colomba , Presidente ... 2 ,
Vespignani Luca , Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM ... 2 ,
Mongiello Colomba , Presidente ... 7 ,
Gallinella Filippo (M5S)  ... 7 ,
Baruffi Davide (PD)  ... 8 ,
Vespignani Luca , Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM ... 8 ,
Baruffi Davide (PD)  ... 8 ,
Cenni Susanna (PD)  ... 8 ,
Mongiello Colomba , Presidente ... 8 ,
Vespignani Luca , Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM ... 8 ,
Mongiello Colomba , Presidente ... 10 

Comunicazioni del Presidente:
Mongiello Colomba , Presidente ... 10 

ALLEGATO: Documentazione prodotta da FPM ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE COLOMBA MONGIELLO

  La seduta comincia alle 8.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente.)

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito.)

Audizioni in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale. Audizione del Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale PFM, Luca Vespignani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca un'audizione nell'ambito dell'approfondimento tematico in materia di contrasto della contraffazione via web e in sede internazionale. Avremo il piacere di ascoltare il Segretario generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM, Luca Vespignani.
  Do la parola, quindi, al dottor Vespignani.

  LUCA VESPIGNANI, Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM. Ringrazio dell'invito. La Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale è l'associazione di categoria che dal 1996 tutela, a 360 gradi, i diritti dell'industria discografica, dalle multinazionali fino ai piccoli produttori indipendenti. Fra grandi aziende e piccole aziende, ci sono circa 600 etichette musicali che, oggi, in qualche maniera aderiscono a FPM. Negli anni, poi FPM si è occupata anche di tutela dei diritti per settori affini, per il mondo dei videogiochi, per il mondo del cinema, parzialmente, e per il mondo del software.
  So che il CEO di FIMI, il dottor Enzo Mazza, è già venuto e non so se avete assistito all'audizione, quindi alcune delle parti, che presenterò oggi, sono già state esposte dal dottor Mazza.
  Vorrei dire due brevissime parole sull'industria discografica, che è stata protagonista, in questi anni, di una totale riconversione e di una totale rivoluzione nei modelli di business.
  Il digitale ha significato grossi problemi per l'industria musicale. Siamo stati i primi a patire quella che possiamo chiamare «contraffazione», anche se poi tecnicamente si chiama «pirateria», nel settore copyright. Siamo stati i primi per una serie di ragioni, principalmente per la facilità di diffusione, scambio e condivisione di file, visto il piccolo peso e la facilità di distribuirli on line, però siamo stati anche i primi a dover porre rimedio a questo problema da due punti di vista, di cui il primo con l'offerta legale.
  Chiarisco subito, nonostante vada quasi contro i miei interessi, che non è possibile contrastare la contraffazione e la pirateria, senza affiancare, alle operazioni di enforcement, una sana politica di distribuzione digitale.
  Da molti anni, i consumatori ci chiedevano disponibilità di tutto il catalogo in forma digitale, con modelli di business anche diversi, cioè non semplicemente il download a pagamento, ma anche forme, Pag. 3per esempio, di fruizione della musica gratuite e questo abbiamo dovuto fare, quindi abbiamo accostato, al lavoro di tutela, anche questo totale rivoluzione dei modelli di business.
  Oggi, tutto il catalogo è digitalizzato. Parliamo di quasi 60 milioni, ma alcuni dicono 80 milioni di file, disponibili in digitale, in diversi modi, dal classico downloadiTunes, tanto per intenderci – fino a servizi di streaming e fino ad arrivare alla fruizione della musica totalmente gratuita, quindi con modelli che sono supportati generalmente da pubblicità e con il consumatore finale che non paga per la fruizione della musica.
  Questi due lavori sono andati di pari passo, quindi da un lato c'è stata la rivoluzione dei modelli di business e, nello stesso tempo, un totale rivoluzione nell'approccio anche alla tutela dei diritti.
  Oggi, a livello mondiale, il 50 per cento del fatturato della musica è prodotto dal digitale, nelle sue varie forme, quindi con il download, lo streaming, i modelli basati sulla pubblicità e i modelli basati sull'abbonamento.
  In Italia, siamo leggermente sotto perché siamo circa il 41 per cento, oggi. Questo accade per un motivo molto semplice: in Italia è ancora più difficile usufruire dei servizi in digitale rispetto all'estero. Tanto per intenderci, c'è poca propensione all'utilizzo dei pagamenti in forma digitale, quindi all'utilizzo delle carte di credito, e c'è ancora qualche problema, in alcune parti d'Italia, con la banda larga, quindi con la possibilità di usufruire di servizi rapidi, veloci e a prezzi decenti. In Italia, sappiamo benissimo che la banda larga in molte parti del Paese ancora non arriva o comunque non è sufficientemente veloce e diffusa per poter poi godere dei nuovi servizi in digitale.
  Si viaggia a un incremento che va dal 20 al 30 per cento, all'anno, sul digitale. La buona notizia è che, dopo dieci anni in cui l'industria musicale ha perso circa il 70 per cento a valore, da due anni cresce, infatti è cresciuta, due anni fa, del 4 per cento e l'anno scorso quasi del 20 per cento, mentre quest'anno abbiamo una proiezione al 25 per cento. Quel famoso momento del cosiddetto «raggiungimento del livello di compensazione», fra il fisico che cala e digitale che cresce, ma che deve crescere tanto perché ovviamente il fisico, da un punto di vista di puro valore, valeva molto di più, è probabilmente arrivato. Questo è accaduto grazie, da un lato, alla riconversione e ai nuovi modelli di business e, dall'altro, grazie alle operazioni antipirateria e agli sforzi che comunque le istituzioni hanno fatto.
  Dal punto di vista strettamente della tutela dei diritti, le priorità assolute sono tre.
  Una è quella di andare ancora di più in una direzione di un mercato legale. Il punto fondamentale è che, oggi, siamo totalmente dedicati a creare un ambiente digitale di distribuzione della musica. Tuttavia, quel mercato non può esplodere, se non è tutelato e a fianco a piattaforme legali, dove comunque ci sono fortissimi investimenti, anche economici. È luogo comune pensare che, in fondo, non sia così difficile digitalizzare il repertorio e distribuirlo, ma sono necessarie decine e decine di milioni di euro di investimento per digitalizzare il catalogo e mettere in piedi dei sistemi di distribuzione efficaci. È ovvio che, finché accanto a quel mercato ci sono decine o centinaia, ma in alcuni casi migliaia, di siti che distribuiscono la musica in maniera totalmente gratuita e illegale, quel mercato non può esplodere in maniera definitiva.
  Il secondo obiettivo è quello di riconvertire gli investimenti pubblicitari. Qual è il problema? Il problema è che, oggi, abbiamo molti e forti investimenti pubblicitari sui siti illegali. Ovviamente, nel momento in cui una bella fetta del mercato discografico digitale e legale si basa sui servizi finanziati da pubblicità, è ovvio che quei siti illegali drenano forti investimenti e forti risorse che, altrimenti, potrebbero andare a finire sui siti legali, quindi consentire poi al consumatore finale di fruire di musica in maniera totalmente gratuita e legale.
  Poi, la vera sfida per l'industria musicale è quella di tutelare questi asset digitali Pag. 4con una tutela che sia pari a quella del mondo off-line. In questo momento, non è così. Poi, andrò più nel dettaglio, però il concetto è che la tutela on line deve essere pari a quella che abbiamo sempre avuto nel mondo off-line.
  Vi lascerò la presentazione. Intanto, posso dirvi che i dati sono comunque positivi, relativamente a tutti i principali fenomeni di contraffazione che sono: la condivisione on line, tramite sistemi principalmente di BitTorrent, oggi; il fenomeno dei cyberlocker, cioè di grande portali che mettono a disposizione spazio, dove gli utenti caricano del materiale per poi condividerlo; i fenomeni di ripping, cioè di download da fonti lecite, come per esempio YouTube e i sistemi che consentano di rippare – questo è il termine tecnico – la musica in maniera illegale; qualche forma residuale di siti web dedicati alla distribuzione di musica illegale. Questi fenomeni sono tutti in calo. Questo è accaduto grazie ai due motivi che vi ho detto precedentemente, quindi grazie alla riconversione del mercato e all'intervento a tutela.
  Tuttavia, il fenomeno esiste ancora e le ultime stime dicono che ci sono circa 5 milioni di italiani che, in forma varia, utilizzano servizi illegali di distribuzione di musica.
  In questi anni che cosa è stato fatto? Si è scelto di avere il cosiddetto «approccio integrato sull’enforcement», che vuol dire agire su più fronti.
  Sul fronte penale, mi sento dire che, da questo punto di vista, l'Italia, è sempre stata un po’ leader a livello internazionale. La Guardia di finanza è riconosciuta a livello internazionale come una delle forze di polizia che maggiormente e in maniera più efficace si occupa di lotta al fenomeno.
  Non dimentichiamoci, per esempio, che l'Italia è stata la prima, a livello mondiale, ad adottare il blocco IP e DNS di un sito per via penale. Nessuno l'aveva mai fatto.
  In Italia, questo è stato fatto nel 2008, partendo da due siti, uno che distribuiva o che consentiva di vedere partite di calcio criptate via web e, poi, il famoso caso di Pirate Bay, nell'agosto del 2008, con il blocco IP e DNS di un sito che, all'epoca, era il principale e quasi l'unico sito di distribuzione e condivisione di musica, film, software e videogiochi on line.
  Si è fatto molto anche dal punto di vista tecnologico. Oggi, tutte le associazioni di categoria e tutti i titolari di diritti hanno sistemi automatizzati nel monitoraggio che consentono di individuare buona parte delle violazioni on line e, poi, di andare verso il cosiddetto «notice and take down», quindi, approfittando della direttiva europea sull’e-commerce e del decreto legislativo n. 70/2003 che consentano di segnalare all'ISP, o comunque a un intermediario, una violazione che avviene sulle sue reti, si chiede la rimozione di quel contenuto.
  Sono state fatte azioni civili. Si è fatto molto sui social network che rischiano di diventare la prossima frontiera. Sapete benissimo che molte piattaforme stanno attivando anche servizi di condivisione di video. I social network, già oggi, vengono utilizzati per pubblicizzare link a servizi legali, ma si comincia anche a utilizzare i social network direttamente per vendere o per distribuire contenuti tutelati da copyright.
  Vorrei riferire qualche numero, solo per renderci conto di che cosa stiamo parlando. In Italia, sono più di 500 i siti bloccati dal 2008 a oggi – solo di musica – con blocchi IP/DNS per via penale. Stiamo parlando, a livello internazionale, di più di 100 milioni di richieste di delisting a Google. Chiedere il delisting vuol dire chiedere ai motori di ricerca di eliminare, dai risultati della ricerca, i link a sistemi illegali. Parliamo di più di 25 milioni diffide, inviate alle piattaforme per la richiesta di rimozione di contenuti illeciti, e parliamo di più di 4.000 applicazioni, rimosse dai due principali marketplace, quindi da Google Play e Apple Store.
  Quali sono, oggi, le principali forme di intervento? Innanzitutto, c'è quella più recente che è il regolamento AGCOM sul diritto d'autore, approvato dopo una lunga battaglia e dopo forti ostracismi da parte dei provider e di altri soggetti che vedevano il regolamento Agcom come una forma, in qualche maniera, di limitazione della libertà di espressione sulla rete. In realtà, Pag. 5non è affatto così, nel senso che il regolamento è una delle forme che paradossalmente, nonostante le critiche che ha ricevuto, è meno invasiva. Non si toccano gli utenti, ma si toccano solo siti chiaramente illegali, dopo una procedura certamente veloce e rapida, come è vero che è senza giudice. Questa era una delle principali critiche che venivano mosse. Tuttavia, questa forma offre comunque la possibilità di un contenzioso fra la piattaforma e l'AGCOM stessa.
  A oggi, noi, solo come musica, abbiamo bloccato quasi trenta piattaforme. Un calcolo molto approssimativo dice che, bloccando quelle trenta piattaforme, sono stati bloccati più di 15 milioni di link a opere illegali.
  Ovviamente l'intervento è stato fatto solo su grandi portali e su portali chiaramente illeciti che non distribuivano anche materiale legale.
  L'intervento è efficace? Direi che lo è abbastanza. Tecnicamente, il problema è che viene previsto solo blocco DNS e non blocco IP. Noi sappiamo, dall'esperienza del penale, che, se non si applica congiuntamente il blocco DNS e IP, l'efficacia ovviamente è minore. I dati che abbiamo dicono che, se il sito viene bloccato solo a livello di DNS, il calo, in termini di utenti, è di circa il 50 per cento, ma, bloccando anche l'IP, arriviamo circa al 95 per cento. A oggi, il regolamento non prevede blocchi IP, quindi una delle proposte che farò alla fine di questa breve presentazione è appunto quella di aggiungere il blocco IP nel regolamento Agcom.
  Poi, c'è il concetto che forse più ci è caro in questo momento, cioè quello del passaggio dal cosiddetto «notice and take down» al «notice and stay down». Credo che questo sia il passaggio fondamentale, appunto alla luce di quello che ho detto prima, cioè di come si è modificato il mercato e di che cosa siamo costretti a fare, oggi, per chiedere la rimozione, anche da siti illegali, di contenuti non autorizzati.
  Oggi, riguardo al 70/2003, cioè al decreto legislativo che ha implementato la direttiva e-commerce in Italia, la lettura più comune porta a un'interpretazione che prevede la segnalazione alla piattaforma, quindi al provider, di ogni singola violazione con ogni singolo URL, quindi, se io ho un sito dove ci sono 5.000 link in violazione, devo mandare 5.000 notifiche a questo sito. Inoltre, se su questo sito ci sono 1.000 link che conducono alla stessa tipologia di opera – tanto per intenderci, l'ultimo singolo di Ligabue – io devo mandare 1.000 o 10.000 o 20.000 diffide per la stessa opera.
  Il passaggio chiave, da questo punto di vista, è quello di andare verso il cosiddetto «stay down», cioè io segnalo una volta l'opera di Ligabue e, a quel punto, è accertato e me ne assumo la responsabilità che quell'opera è di titolarità, in questo caso, di Warner Music. A quel punto, il provider ha un obbligo di diligenza, previsto dalla direttiva sull’e-commerce, di far sì che quell'opera non ricompaia più, anche sotto un altro URL, quindi con un URL diverso.
  Ci sono alcuni dati molto interessanti. Si stima che, se si passasse dal notice and take down al notice and stay down, il 90 per cento delle richieste di rimozione, che oggi vengono mandate, non verrebbero più inviate perché il 90 per cento delle volte, nel corso ovviamente dei monitoraggi e delle richieste di rimozione, si segnala la stessa opera sullo stesso sito. Questo vorrebbe dire circa 2 milioni e mezzo di notifiche in meno inviate ogni anno.
  Oltretutto, ci sono state anche un paio di sentenze civili, di recente, che hanno appunto sancito questa necessità e questo obbligo di passare al notice and stay down. Si tratta di due sentenze, una al Tribunale di Roma e una di Torino. Una di queste è la causa Mediaset contro Break.com e l'altra è la causa Delta TV contro YouTube. In questo caso, si parlava di Google e di YouTube, ma, per estensione, si può andare su qualsiasi genere di piattaforma di quel tipo.
  Queste sentenze hanno stabilito che quel tipo di piattaforma non può più usufruire del cosiddetto «safe harbor», cioè dell'esenzione di ogni obbligo di «duty of care», come lo chiama la direttiva e-commerce, essendo un mero hosting provider. In tutti e due i casi, i giudici hanno detto: «attenzione, tu non sei più un mero Pag. 6e semplice hosting provider, ma sei o un content provider oppure sei una nuova forma di hosting provider perché intervieni pesantemente sui contenuti e li indicizzi, dai suggerimenti e li categorizzi, hai dei piani di sfruttamento pubblicitario ben definiti e customizzati sul cliente e ricevi circa il 60 per cento (oggi, per esempio questo prende YouTube) dalla pubblicità, quindi non puoi più appellarti alle esenzioni del cosiddetto safe harbor».
  Questo è quanto noi chiediamo come industria, cioè quello di rivedere la responsabilità degli intermediari, laddove ovviamente non siano completamente neutrali e intervengano sia sui contenuti sia guadagnando dei soldi principalmente dalla pubblicità.
  Sulla questione dei blocchi IP e DNS, come ho già detto, sul penale questi si continuano a fare e l'efficacia è provata. In molti casi, si tratta dell'unica forma di tutela possibile. Immaginiamoci un amministratore straniero, ma anche un amministratore italiano, che non si riesce a individuare o che non vuole collaborare, di un sito posizionato con un server in Nigeria. È impossibile di fatto chiudere quel sito, quindi l'unica soluzione è fare il blocco IP e DNS, tramite sequestro preventivo o ordine a inibizione perché sono stati utilizzati vari sistemi. Di fatto, oggi il blocco è l'unico sistema riconosciuto come efficace per intervenire su tutti quei fenomeni.
  Poi, c'è la questione sulla pubblicità. Questo è un altro elemento critico. Come ho detto prima, oggi buona parte dei servizi, circa il 50 per cento delle revenue per l'industria discografica proveniente dal digitale, viene da sistemi basati sulla pubblicità, che oltretutto sono molto vantaggiosi per l'utente. L'utente finale, alla fine, non paga per la musica, totalmente legale, perché paga l'inserzionista pubblicitario. È ovvio che, finché la maggior parte di quella pubblicità va a finire su piattaforme pirata, diminuisce lo spazio per proporre nuovi servizi e nuove forme di possibile distribuzione della musica legale.
  Qui ci sono vari problemi che un po’ dovuti anche al funzionamento del sistema della pubblicità su internet. Gli inserzionisti spesso non sanno dove va a finire la loro pubblicità. Non lo sanno perché i sistemi sono parzialmente o totalmente automatizzati, quindi si compra non la pubblicità su quel sito, tranne che in casi speciali, ma si compra un pacchetto di visitatori, quindi con gli spider automatici che individuano un determinato sito con un determinato traffico e il banner pubblicitario va a finire in automatico su quel sito.
  Abbiamo casi paradossali di Sky o di Sony Music che si trovano la loro pubblicità su siti pirata dove era possibile vedere le partite del campionato italiano in maniera illegale o dove veniva distribuito tutto il catalogo di Sony.
  Si può fare qualcosa? Sì, nel senso che comunque le agenzie che si occupano di gestire questo traffico pubblicitario hanno la possibilità di creare blacklist e di impedire che la pubblicità vada a finire su determinati siti. Ora, il problema qual è? Il problema è che quasi tutti ormai utilizzano agenzie pubblicitarie su internet che sono borderline, cioè sono agenzie che non aderiscono, per esempio, a IAB o ad associazioni di categoria degli advertiser pubblicitari, con i quali, quindi, sarebbe possibile un dialogo.
  Noi abbiamo firmato, un paio d'anni fa, un memorandum con IAB, che è l'associazione di categoria di tutte le agenzie che propongono pubblicità su internet. Di fatto, questo memorandum è stato completamente inutile perché nessuna delle decine di migliaia di pubblicità che passavano sui siti pirata era gestita da una dell'agenzie che aderivano a IAB.
  Oltretutto, queste agenzie spesso lavorano in collaborazione e in cooperazione con i siti illegali, proponendo forme particolari di pubblicità e piani molto complessi di sfruttamento delle pubblicità. Anche qui, l'unica soluzione è quella di, in qualche maniera, responsabilizzarle.
  Oggi, teoricamente, in base alla norma, queste agenzie non hanno nessuna responsabilità nello sfruttamento e nella posizione dei banner pubblicitari sui siti pirata. Anche in questo caso, forse sarebbe opportuno prevedere che queste non abbiano Pag. 7esenzioni e che non ci sia un'eccezione alla loro responsabilità, nel momento in cui piazzano i banner su questi siti.
  Stringendo, alla fine, quali sono secondo noi, quindi secondo l'industria musicale, le principali proposte che possono essere fatte per contenere ancora di più il fenomeno?
  Una di queste è la responsabilità degli intermediari, quindi non è più possibile pensare che ci siano piattaforme on line che, ancora oggi, godano di tutte le esenzioni possibili e immaginabili di doveri di diligenza, in quanto teoricamente hosting provider, ma, in realtà, veri content provider che intervengono sui contenuti e fanno molti soldi grazie a quei contenuti che non sono i loro, fra parentesi.
  Un'altra proposta è l'estensione di questo obbligo di diligenza e di collaborazione con i titolari dei diritti ad altri soggetti, cioè a più piattaforme, non soltanto agli hosting provider, ma, per esempio, anche ai motori di ricerca, ai social network, alle agenzie pubblicitarie, ai marketplace.
  Noi abbiamo anche una società di servizi, come FPM, che si chiama di DcP (Digital content protection) e che non opera solo sul diritto d'autore, ma anche sui marchi, quindi fa decine e decine di migliaia di rimozioni di materiale contraffatto nei marketplace. Anche lì, ci vorrebbe un obbligo di intervento da parte delle piattaforme, a monte.
  Poi, c'è il passaggio dal notice and take down al notice and stay down. Questo è assolutamente fondamentale e sarebbe paradossalmente anche nell'interesse delle piattaforme stesse perché, nonostante loro lamentino che non vogliono fare gli sceriffi della rete e che non vogliono controllare a monte quello che viene pubblicato o promosso o venduto sulle loro piattaforme, si troverebbero con il 90 per cento in meno di notifiche da gestire ogni giorno. Come avete visto, solo noi spendiamo quasi 100 milioni all'anno a livello internazionale, che, se li mettiamo insieme a quelli dell'industria del cinema, di videogiochi e del software, ovviamente avrebbe un impatto molto positivo anche per loro.
  Poi, l'ultima proposta è quella di includere il blocco IP nel regolamento Agcom, quindi non soltanto blocco DNS, ma anche il blocco IP, con tutte le accortezze del caso. Sappiamo che non sempre tecnicamente è possibile applicare anche i blocchi IP, però insomma mi sembra che Agcom, in questi anni, abbia agito con molta prudenza e che non abbia mai sbagliato un blocco o bloccato siti che non andavano bloccati, per cui nulla fa pensare che anche l'eventuale blocco a livello IP non verrebbe gestito in maniera molto curata.

  PRESIDENTE. Dottor Vespignani, la ringrazio per avere svolto un'esauriente relazione che lascerà agli atti.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FILIPPO GALLINELLA. Grazie, presidente. Avrei due cose da chiedere cui magari potete già rispondere. Sicuramente si tratta di una normativa che travalica i confini nazionali e chiaramente questa Commissione ha poteri limitati all'interno della giurisprudenza nazionale. Per tale motivo, magari questo è un discorso che dovrebbe essere allargato all'Unione europea, se non oltre, con accordi internazionali, come immagino.
  Una cosa su cui credo bisogna forse capirci un attimo è la responsabilità del gestore, cioè del provider, perché, se lui deve a monte controllare o limitare, forse si va incontro a un blocco forzato della libertà, quindi questo forse è impedito dalla normativa comunitaria. Ora, non so se la Corte di giustizia si è già espressa sulla possibilità per il provider di bloccare informazioni a monte.
  In secondo luogo, il blocco dell'IP potrebbe essere la soluzione, ma, finché non si passa al sistema il IPv6, questo è tecnicamente impossibile perché come si fa a identificare ogni macchina? Molte volte, con l'IPv4 si passa da un centralino che gestisce, tramite un sistema interno, vari indirizzi, quindi bloccare un'IPv4, sul quale passa anche con un filo illegale, non si può fare. Forse l'AGCOM ha bloccato questo Pag. 8perché, al momento della discussione, non c'era la possibilità di riuscire a individuare la macchina precisa da cui esce l'informazione non corretta.

  DAVIDE BARUFFI. Grazie, presidente. Mi associo anch'io al ringraziamento al dottor Vespignani.
  Le indicazioni che ci ha fornito e che ha riassunto da ultimo nelle quattro azioni che possono migliorare il sistema di tutela sono tornate anche nelle audizioni precedenti che abbiamo fatto. Io le sintetizzerei riducendole a tre, nel senso che anche il notice and stay down attiene a un rafforzamento della responsabilità degli intermediari.
  Mi interessa molto questo riferimento che lei ha fatto rispetto alle agenzie che raccolgono pubblicità perché questo è un problema che sta tornando. Mi pare che su questo fronte anche il dibattito sia un po’ indietro, dal punto di vista anche del suggerimento degli strumenti. Ora, io non ho avuto modo di vedere il suo materiale, ma questo è senz'altro uno degli elementi che può essere messo a fuoco per rafforzare il sistema.
  Si è dibattuto – e lo faceva anche il collega – rispetto al tema della responsabilità dei provider. È anche in sede comunitaria ormai questa questione, cioè capire se quello del Digital single market può diventare l'appuntamento col quale fare un passo avanti.
  A me pare di raccogliere questo, per cui le chiedevo un riscontro. Vorrei sapere se sto capendo bene.
  Voi non state chiedendo ai provider di svolgere, a monte, un'attività di filtro autonoma. Cerchiamo di capirci su questo, altrimenti ci costruiamo degli alibi anche nel dibattito e li forniamo a chi ha le spalle larghe e già si tutela da solo.
  Noi stiamo chiedendo ai provider di responsabilizzarsi, nel momento in cui interviene una segnalazione puntuale, e di non circoscrivere a quella segnalazione il proprio compito di tirar giù un contenuto, ma di assumere un atteggiamento responsabile, nei confronti anche di tutti quei contenuti assimilabili, anzi analoghi, che sono nella sua disponibilità, a vigilare e controllare. Mi pare di aver inteso questo. Dico bene?

  LUCA VESPIGNANI, Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM. Perfetto.

  DAVIDE BARUFFI. Grazie.

  SUSANNA CENNI. Anch'io la ringrazio perché ha trovato completa e esauriente la relazione che lei ci ha qui rappresentato. Ovviamente la sensazione è che, man mano che si entra dentro alle audizioni per questa materia su cui abbiamo avviato un'indagine, si agisca in un combinato disposto fra norme e autoregolamentazione perché si opera in un ambito senza confini e difficilmente definibile. Appunto per questo, vedo una grande difficoltà anche a individuare modifiche normative, miglioramenti eccetera.
  A questo proposito, le vorrei chiedere se, secondo il suo punto di vista, ci sono Paesi che hanno fatto norme di particolare utilità o se, a livello europeo, c'è un ambito che manca e in altre aree del mondo invece si è coperto. Vorrei sapere se abbiamo dei modelli da guardare o meno.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  LUCA VESPIGNANI, Segretario Generale della Federazione contro la Pirateria Musicale e Multimediale FPM. Spero di rispondere a tutto.
  Sulla questione dei tagli in Europa, è ovvio che questo deve passare a livello comunitario, con eventuali modifiche, però non dimentichiamoci che, poi, gli spunti e gli stimoli per l'Europa devono venire dai singoli Paesi.
  Qui, faccio una piccola critica al Governo italiano. Si è chiusa a dicembre una consultazione appunto sul ruolo degli intermediari, dove c'era stata una risposta massiccia da parte di tutti gli stakeholder italiani e il Governo italiano aveva preso una posizione ben precisa che era quella di andare nella direzione di un'assunzione di Pag. 9responsabilità minima – poi, si vedrà – da parte dei provider.
  Il Governo italiano è stato uno dei due Paesi, in tutta Europa, a non mandarla. Per problemi di cui non stiamo qua a discutere che sono tecnici e meno tecnici, l'Italia è stato l'unico Paese, insieme a un altro, a non mandarla.
  Questo è solo un classico esempio, per cui è ovvio che non ci possiamo aspettare che ci sia solo in Italia la norma sulla responsabilità da parte dei provider, che deve essere fatta a livello comunitario, però a livello comunitario poi ci devono andare i singoli Paesi a stimolare queste modifiche normative.
  Sulla questione della limitazione di libertà di espressione, io vorrei ricordare, però, che tutte queste piattaforme hanno già i sistemi di controllo e di monitoraggio e noi non stiamo chiedendo quello, quindi sono d'accordo con lei. Tuttavia, guarda caso, non li applicano solo sul diritto d'autore. Per le piattaforme pirata – tanto per intenderci – tutte le operazioni della Guardia di Finanza hanno dimostrato che avevano delle tecnologie che consentivano di evitare il caricamento di materiali pedopornografici e pornografici. Benissimo, ma, guarda caso, queste piattaforme non li applicavano per il diritto d'autore, dove forse è anche più facile applicarle. Perché? Lo facevano perché guadagnavano dei soldi, molto banalmente.
  Si possono fare interventi di filtraggio – dico «filtraggio», ma non è preventivo – o meglio interventi successivi tecnologicamente possibili, senza limitare la libertà di espressione di nessuno?
  Assolutamente, si possono fare e non vogliamo il filtraggio preventivo, ma vogliamo semplicemente che, se una piattaforma viene a sapere perché la informiamo, assumendoci tutte le nostre responsabilità, che quell'opera musicale è di proprietà esclusiva, cioè c'è un soggetto che vanta diritti esclusivi, io non gliela devo segnalare 500 volte a settimana perché 500 volte a settimana viene caricata sulla stessa piattaforma. Io la segnalo una volta, ma poi è compito della piattaforma, che può farlo grazie agli strumenti tecnologici.
  Prendendo, per esempio, il più grosso, YouTube vanta di avere, con il content ID, un sistema che è in grado di riconoscere tutto, per cui dovrebbe ammetterlo. Oggi, ne fa un utilizzo molto parziale che è legato allo sfruttamento pubblicitario di quell'opera. Come lei diceva bene, se si guadagnano dei soldi, io intervengo e rimuovo in automatico il materiale. No, noi chiediamo che, visto che c'è un diritto violato, per quel materiale si eviti di caricarlo, a prescindere dal fatto che poi ci siano accordi commerciali o meno.
  Sulla questione europea, avevo dimenticato una cosa e mi fa molto piacere che l'abbia ricordata lei. Le autoregolamentazioni in molti casi funzionano. In Italia, è sempre stato molto difficile raggiungere degli accordi con i provider sostanzialmente, però si può ragionare anche su quella base.
  Sulla questione dei modelli stranieri che funzionano, si può citare il DMCA negli Stati Uniti. È vero che il DMCA non prevede un notice and stay down, però, da certi punti di vista, implicitamente lo prevede e comunque regolamenta, in maniera molto chiara e precisa, tutto il rapporto di segnalazione e di obblighi, da parte dei provider, poi di rimozione.
  Questa cosa da noi non c'è. Qui, molto banalmente ci sono tre articoli del decreto legislativo 70/2003 e tre articoli dalla direttiva europea e-commerce che parlano di una vaga responsabilità di intervento del provider, una volta che viene a sapere, cioè una volta che viene reso edotto della violazione, quindi forse, in questo momento, il modello potrebbe essere quello del DMCA.
  Non è un caso che, anche se non vale niente, un po’ in tutta Europa e anche in Italia, il DMCA viene adottato come modello, cioè, se io chiedo a una piattaforma italiana di rimuovere, mi dice che rimuove sulla base del DMCA. Si tratta di un modello americano che non c'entra nulla, però lo dicevo tanto per farvi capire che è stato adottato come modello a livello internazionale.
  Vorrei dire un'ultima cosa, sulla questione degli IP. Sappiamo benissimo che non si può sempre bloccare l'IP, tant'è vero Pag. 10che tutti i casi penali in Italia sono stati fatti dopo verifica che la macchina fosse dedicata a quel sito e che non ci fossero altri siti su quella macchina. Inoltre, almeno sul penale per la musica non è mai stato fatto neanche un mezzo disastro, come è stato fatto in altri settori, dove, per bloccare un sito, ne venivano bloccati 200 o 250. È ovvio che, a monte, ci vuole un minimo di competenza tecnica per capire quando si può fare il blocco IP e quando non si può fare.

  PRESIDENTE. La ringraziamo anche per le sue risposte. Dispongo che la documentazione prodotta sia pubblicata in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.

Comunicazioni del Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico infine che nella riunione del 18 febbraio 2016, l'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha convenuto di svolgere una relazione tematica avente per oggetto il rapporto tra criminalità organizzata e contraffazione, riferendone poi in Commissione, e incaricando per lo studio della tematica riguardante questa materia la deputata Susanna Cenni.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 9.10.

ALLEGATO

DOCUMENTAZIONE PRODOTTA DA FPM

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