XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 71 di Mercoledì 16 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione della vicepresidente della Regione Siciliana, Maria Lo Bello, sul federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 ,
Lo Bello Maria , Vicepresidente della Regione Siciliana ... 3 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 ,
Lo Bello Maria , Vicepresidente della Regione Siciliana ... 11 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 ,
Gibiino Vincenzo  ... 11 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 11 ,
Lo Bello Maria , Vicepresidente della Regione Siciliana ... 11 ,
Bologna Giovanni , Dirigente generale del dipartimento regionale delle finanze e del credito dell'assessorato regionale dell'economia della Regione Siciliana ... 11 ,
Gibiino Vincenzo  ... 12 ,
Paglia Giovanni (SI-SEL)  ... 13 ,
Zappulla Giuseppe (PD)  ... 13 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 13 ,
Lo Bello Maria , Vicepresidente della Regione Siciliana ... 13 ,
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione consegnata dalla vicepresidente della Regione Siciliana, Maria Lo Bello ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione della vicepresidente della Regione Siciliana, Maria Lo Bello, sul federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del Regolamento della Commissione, della vicepresidente della Regione Siciliana, Maria Lo Bello, sul federalismo fiscale nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano.
  Questo ciclo di audizioni è ormai quasi completato con tutte le regioni e le province autonome. Ringrazio la vicepresidente Lo Bello. Purtroppo abbiamo avuto una partenza falsa, come ricorderete, per un'indisponibilità superata da parte della vicepresidente. Adesso possiamo affrontare il tema della Sicilia.
  Do la parola alla vicepresidente Lo Bello per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIA LO BELLO, Vicepresidente della Regione Siciliana. Presidente, vi rivolgo un ringraziamento particolare. Probabilmente la mia indisponibilità di quel giorno mi permette oggi di affrontare anche alcuni temi che vedono la Sicilia al centro di una serie di questioni che riguardano la sua fiscalità, le sue competenze, ma soprattutto il suo essere indicata, all'interno del circuito delle regioni a statuto speciale, come una sorta di pecora nera.
  Nello stesso tempo, vorrei «approfittare» di questo momento – permettetemi di usare questo termine – per dire alcune cose. Naturalmente consegnerò una relazione, che un po’ meglio e un po’ più nel dettaglio saprà delineare la nostra reale situazione al momento.
  Pur tuttavia, credo che dobbiamo affrontare alcune questioni che riguardano la Sicilia nella sua interezza. Io ho letto e ho ascoltato le vostre precedenti audizioni, per cui ritengo che non sarà anomalo tracciare un minimo di percorso.
  Sessantasette anni fa, come certamente sapete, la Regione Siciliana ha stipulato con lo Stato italiano un accordo, con l'approvazione dello Statuto per l'autonomia siciliana. Dopodiché, il nostro Statuto è stato inserito all'interno della Costituzione. Mentre il Friuli-Venezia Giulia è l'ultima regione a statuto speciale, la Regione Siciliana lo era ancor prima della stessa Unità d'Italia.
  Con l'approvazione dello Statuto, sono state demandate alla Sicilia funzioni assai rilevanti che nel resto d'Italia, ovvero nelle altre regioni, sono demandate allo Stato. Mi riferisco in particolare, per esempio, al Corpo forestale, ai beni culturali, ai musei, agli uffici provinciali del lavoro, agli uffici di collocamento, alla protezione civile, alla motorizzazione civile e ad altre funzioni che nelle altre regioni, ad esclusione della Sicilia, sono statali. Pag. 4
  Sembra un paradosso, nel senso che i dipendenti addetti alle predette funzioni sono dipendenti della Regione Siciliana, mentre in altre regioni sono dipendenti dello Stato. Complessivamente, se consideriamo i 18.000 dipendenti della Regione Siciliana, vediamo che della Regione Siciliana ce ne sono soltanto 5.000, perché quelli dei musei, degli uffici di collocamento e della protezione civile nelle altre regioni non sono dipendenti regionali, bensì statali.
  Se noi facessimo uno studio comparativo, analizzando il numero di dipendenti pubblici della regione ogni 1.000 residenti, circoscrivendoli a quelli dell'apparato regionale in senso proprio, verrebbe fuori una tabella un po’ anomala. In Valle d'Aosta tale rapporto è pari a 91,30, in Liguria a 61, nel Trentino-Alto Adige a 71, nel Friuli-Venezia Giulia a 67, nel Lazio a 69, in Piemonte a 50, in Veneto a 46, in Sicilia a 54, in Sardegna a 62, in Lombardia a 41 e in Emilia-Romagna a 51.
  In seguito parleremo anche della qualità dei dipendenti della Regione Siciliana – poiché, a tale riguardo, occorre riconsiderare davvero tanti aspetti – però desideravo fare questa premessa, perché, da un lato, volevo affrontare la questione dei dipendenti e, dall'altro, in questi giorni ho sentito che si parla molto di una delle nostre società, Riscossione Sicilia.
  Mi hanno riferito che è stato detto che in Riscossione Sicilia, a fronte di 702 dipendenti, ci sono circa 800-900 consulenti avvocati. Ciò dipende dal contenzioso che vede coinvolta Riscossione Sicilia, come peraltro avviene nel resto d'Italia con Equitalia, probabilmente con le stesse percentuali. In Sicilia sono circa 40.000 i contenziosi aperti.
  Questi soggetti non sono affatto consulenti avvocati, ma sono semplicemente avvocati del libero foro che vengono chiamati a difendere la Regione Siciliana. Tuttavia, lì dentro confluisce tutto il contenzioso, non solo quello legato alla Regione Siciliana, ma tutto ciò che riguarda il servizio della riscossione. Questi 40.000 contenziosi determinano affidamenti per importi minimi, in virtù di un accordo stipulato con gli avvocati, che non sono in nessun modo consulenti.
  Il presidente me ne scuserà, ma volevo fare questa premessa. Per la verità, ho davvero poche occasioni per parlarne e, quindi, mi premeva dire che cosa avevamo voluto e, nel corso del tempo, inteso fare.
  Per tornare ai temi del federalismo fiscale e dell'autonomia, come tutti sappiamo, c'è uno Stato che, in nome del suo interesse supremo, può governare tutti i processi al suo interno.
  C'è poi la sussidiarietà, che può essere di due tipi: quella orizzontale e quella verticale. In quella orizzontale ci sono le associazioni, i partiti, i sindacati. In questa orizzontalità ci sono pezzi di interessi dei cittadini che vengono curati attraverso strumenti di partecipazione o di delega. In quella verticale, invece, c'è una forma di decentramento e ci sono compiti e funzioni che vengono demandati all'interno di un territorio. Ci può essere il decentramento in senso proprio gerarchico oppure il decentramento in senso proprio autarchico, che è quello dell'autonomia.
  Per la verità, è un esempio molto diffuso anche in Europa. In questo caso, noi usiamo la parola «federalismo» per guardare alla fiscalità, ma abbiamo anche esempi di forme politiche di federazioni, che insieme compongono uno Stato. Guardando alla nostra autonomia, possiamo osservare che in Europa ci sono esempi di regioni che nel tempo hanno assunto caratteristiche assolutamente diverse rispetto alle altre. Penso, per esempio, al caso della Spagna e della Catalogna.
  Uno strumento che ritroviamo un po’ ovunque è rappresentato dal comune. In questa forma di decentramento verticale, il comune, nel regolare e nell'attribuirsi funzioni, finisce col determinare attorno a quel concetto di bene comune una stretta vicinanza con i cittadini di quella comunità. In questo caso, il comune rappresenta questo tipo di presenza e fa della partecipazione e della delega una sua reale funzione.
  Per quanto riguarda le regioni autonome, come sappiamo, in Italia ne abbiamo tre situate nelle zone alpine e altre due che Pag. 5non lo sono soltanto perché c'è stato un patto tra lo Stato italiano che si formava e, ad esempio, la Sicilia che già esisteva. La sua insularità, come diceva il presidente della Sardegna a proposito di quella particolare regione, è stata una delle componenti che hanno finito col far riconoscere allo Stato italiano alcune peculiarità della regione Sicilia. Lo Stato italiano, nell'attribuire compiti e funzioni e nel regolamentare i rapporti tra la regione e lo Stato stesso, finiva col determinare, anche in ragione di questa condizione di insularità, questa specificità.
  Ho voluto fare questa premessa perché credo che debba esserci una sorta di confronto anche con le altre regioni. Ci sono state, in proposito, diverse audizioni. Abbiamo delle questioni che ci riguardano un po’ più da vicino e che ci vedono impegnati. Penso a noi e alla Sardegna, per esempio, con cui abbiamo un confronto su temi specifici.
  Tuttavia, se noi guardiamo all'autonomia economica e finanziaria – perché di questo oggi parleremo – secondo il nostro Statuto, i beni che in Sicilia sono dello Stato, in linea di principio e con qualche eccezione, passano tutti alla regione. Questo è quello che viene detto.
  Lo Stato ha tre tipi di beni: il demanio, il patrimonio indisponibile e il patrimonio disponibile. Il demanio non è proprio una ricchezza, ma è costituito dai beni di tutti che non si possono vendere: le spiagge, le cime dei monti, le foreste, i fiumi, ma anche strutture importanti, come le strade, i porti, gli aeroporti e le fortezze militari.
  Il patrimonio indisponibile è composto da beni di proprietà che potrebbero avere un valore teorico, ma che lo Stato, giustamente, non può vendere, perché sono destinati a un servizio pubblico.
  Il terzo tipo è costituito da tutti quei beni – proprietà, denaro, mobili – che lo Stato possiede come se fosse un cittadino privato e che può vendere quando vuole.
  Secondo lo Statuto siciliano, ed in particolare gli articoli 32, 33 e 34, questi beni passano tutti alla regione. Del demanio passa proprio tutto.
  Tuttavia, dovremmo andare a vedere che cosa è avvenuto nel tempo. Come sapete, le commissioni paritetiche danno alcuni indirizzi, stipulano una sorta di cronoprogramma e trasmettono al Consiglio dei ministri le proprie proposte, dopo aver definito gli accordi. Per la verità, abbiamo sempre registrato una grande distanza tra il momento della Commissione paritetica e il momento della realizzazione e del compimento delle sue determinazioni.
  Per esempio, i rapporti finanziari hanno avuto una conclusione velocissima, mentre per quanto riguarda il patrimonio stiamo ancora discutendo, nel senso che la Regione Siciliana è ancora in attesa del trasferimento di tutti quei beni che insistono sul suo territorio.
  Venendo ora alla questione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Siciliana ante federalismo fiscale, come ricordavo poco fa le norme fondamentali della finanza regionale sono quelle contenute negli articoli 36, 37, 38 e 39 dello Statuto regionale che, oltre a stabilire una generale attribuzione di cespiti di entrate alla regione, con espressa esclusione di alcuni tributi riservati esclusivamente allo Stato, ispirata a un criterio di separazione tributaria, includeva la previsione di trasferimenti inerenti il Fondo di solidarietà nazionale (articolo 38 del nostro Statuto), volti a controbilanciare le minori entrate tributarie percepite dalla regione, in considerazione dei redditi più bassi prodotti in Sicilia e, quindi, della stessa capacità di produzione del reddito lordo rispetto al PIL nazionale.
  Tale previsione intendeva assicurare l'integrale copertura dei costi discendenti dall'esercizio delle funzioni attribuite alla Regione Siciliana dagli articoli 14 e 17 dello Statuto, ciò almeno secondo il disegno costruttivo dell'autonomia della nostra regione, che fu elaborato nel 1947.
  Questo progetto postulava anche che alla nascente Regione Siciliana si attribuissero simultaneamente, o quantomeno in tempi ragionevolmente contemporanei, da un lato le funzioni e dall'altro le previste entrate. Pag. 6
  Non può negarsi che nel trascorrere dei primi decenni di vita della Regione Siciliana il processo devolutivo delle funzioni fu molto più graduale rispetto a quello concernente le entrate, in quanto solo a metà degli anni Settanta si fece luogo all'emanazione di numerose e incisive norme di attuazione dello Statuto, ai fini del trasferimento delle funzioni nelle materie dallo stesso ascritte fondamentalmente alla competenza regionale, che in tal modo venivano acquisite alla sfera operativa della regione.
  Ancora oggi, tuttavia, rimangono non effettivamente trasferite funzioni come la pubblica istruzione, l'assistenza pubblica, l'insegnamento universitario e la sanità nella sua interezza.
  Sul fronte delle entrate statutariamente previste, la regione, sia nel regime provvisorio dei rapporti finanziari tra lo Stato e la regione stessa, la cui disciplina era fissata dal decreto legislativo n. 507 del 1948, sia nel successivo regime determinato dalle norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria approvate con decreto del presidente della regione n. 1074 del 1965, poté fruire di tutte le entrate previste agli articoli 36 e 37 dello Statuto.
  Vorrei ricordare che l'articolo 37 anche nei giorni scorsi ha visto l'intervento del presidente Crocetta. L'articolo 37 prevede che tutto ciò che viene prodotto in Sicilia, al di là della sede legale delle aziende che vi operano, dovrebbe restare nella regione medesima. Ogni tanto lo richiamiamo, visto che si va nella direzione di una revisione e di una sua completa attuazione.
  È come quando parliamo del concetto di democrazia. La democrazia non è una pratica, ma è un metodo, è una condizione. Legislativamente, la democrazia diventa perfetta quando ognuno dei suoi pezzi sta al suo posto.
  In questo senso, riteniamo che l'articolo 37 debba essere oggetto di maggiore attenzione. Probabilmente per tanto tempo in Sicilia ci siamo sentiti talmente in colpa nel non fare bene le cose che abbiamo finito col trascurare quella che da altri poteva essere scambiata come una rivendicazione e che, invece, era semplicemente l'applicazione di un articolo.
  Noi lo rivendichiamo dal 2013. Da allora, stiamo facendo un'operazione che mi permetto di definire straordinaria. Io e il dottor Bologna, responsabile di uno dei due dipartimenti dell'assessorato all'economia della Regione Siciliana, crediamo di consegnare proprio quest'anno un bilancio vero, dopo il lavoro straordinario svolto negli ultimi tre anni.
  Qualcuno potrebbe chiedersi: «Ma prima era un bilancio non vero?». Probabilmente era un po’ come le quote inesigibili, ovvero era un bilancio che conteneva al proprio interno una serie di voci perché, per poter impegnare spese in uscita, aveva bisogno di segnare probabili entrate.
  Tutte quelle voci che finivano con l'essere individuate come di difficile o improbabile entrata da quest'anno non ci sono più. Abbiamo quindi dovuto fare uno sforzo straordinario. Nel corso di questi ultimi tre anni siamo stati impegnati in primo luogo a recuperare 3 miliardi di euro.
  Vorrei riportare alla memoria di tutti la discussione che sta avvenendo in questi giorni e che avrà luogo anche nella giornata di domani riguardo alla somma complessivamente individuata di 1,5 miliardi di euro rispetto a quello che è, in regime di contenzioso, il rapporto fra la Regione Siciliana e lo Stato italiano.
  Come dicevo, per troppo tempo, probabilmente per non far accendere i fari o comunque per non suscitare un'attenzione nei confronti della Regione Siciliana, non si era chiesto quello che a noi era, secondo i patti, destinato.
  Per tornare alle questioni che sono oggetto dell'audizione odierna, la riforma tributaria, che è stata prevista dalla legge n. 825 del 1971, mutando i fondamentali princìpi tributari, con la trasformazione ad esempio delle imposte reali in imposte personali, sconvolse il precedente sistema tributario, determinando incertezze sulla corrispondenza dei soppressi tributi a quelli di nuova istituzione, e quindi sulla spettanza di questi ultimi.
  Veniva così stravolto lo stesso criterio discriminante della spettanza, in quanto Pag. 7veniva spostato il baricentro della riscossione tributaria dal luogo in cui si trovavano i beni produttivi di reddito al domicilio fiscale del contribuente, con le complicazioni che ne derivavano per le società con sede fuori dal territorio siciliano.
  In tal modo, è stata stravolta l'applicazione dell'articolo 37 dello Statuto ed i relativi proventi, legati al principio della riscossione presso gli stabilimenti siciliani dei tributi diretti sul reddito mobiliare di rilevanti società operanti in campo nazionale e, quindi, con domicilio fiscale fuori dal territorio regionale, presso il quale ormai veniva dichiarato, accertato e riscosso anche il reddito proveniente dagli stabilimenti allocati in Sicilia, senza più possibilità di sceverarlo in un contesto reddituale dichiarato unitamente a detrazioni attinenti all'intero arco operativo, correlato all'attività commerciale o industriale delle società a base nazionale.
  Lo stesso dicasi per altri cespiti di entrata, quali l'IVA pagata da tutte le imprese che, pur fornendo beni o servizi nella regione, hanno sedi fuori dal territorio – si pensi, per esempio, alle grandi imprese di erogazione – nonché per il gettito relativo alle ritenute sui redditi di capitale erogati da soggetti residenti fuori dal territorio e per le ritenute alla fonte sui redditi da lavoro dipendente percepiti in Sicilia da dipendenti statali e pensionati.
  Nei giorni scorsi ho visitato la società STMicroelectronics, che, come sapete, si trova a Catania. Credo che essa abbia un'altra sede in Lombardia e un'altra ancora in Francia. Ebbene, nel rappresentarmi la sua realtà, questa società mi ha riferito che ha 4.000 dipendenti e che la stragrande maggioranza dei suoi brevetti vengono prodotti proprio a Catania, ma risultano registrati nella regione in cui è situato l'altro stabilimento – come dicevo, credo si tratti della Lombardia – perché la sede fiscale è situata lì. Pertanto, la Sicilia si trova ad avere un numero di brevetti pari a zero – come sapete, anche questa è una voce importante – perché la sede italiana non si trova a Catania.
  Ciò mi ha sorpreso. Ho chiesto loro: «Scusatemi, se è vero che le due eccellenze hanno sede qui e a Grenoble, come mai Grenoble ha questi brevetti e la Sicilia no?» Scusatemi per questa digressione, ma credo che dia la misura, non tanto del discorso relativo alle entrate, ma di cosa significhi collegare ciò che avviene in un'azienda con il luogo della sua sede legale. Per noi tale aspetto è fondamentale, non solo per ciò che concerne le entrate. Ci farebbe davvero piacere che i brevetti della STMicroelectronics potessero essere attribuiti là dove vengono prodotti, ovvero in Sicilia.
  Stavamo parlando dell'IVA e della differenza che c'è rispetto al concetto del domicilio legato alle ritenute sui redditi da capitale. Non a caso, la legge delega n. 825 del 1971 per la riforma tributaria prevedeva all'articolo 12, secondo comma, numero 4), il coordinamento della finanza regionale con la stessa riforma, da attuarsi attraverso apposita ulteriore normativa di attuazione dello Statuto regionale in materia finanziaria.
  Tale normativa, però, a distanza di tanto tempo, non è stata emanata, impedendo alla regione di acquisire le entrate puntualmente assegnate dallo Statuto e riconosciute dalla normativa di attuazione del 1965, ma non ricomprese tra quelle che, con determinazione ministeriale, sempre di portata restrittiva, sono state considerate corrispondenti ai tributi soppressi dalla citata normativa.
  Il sistema di finanziamento della Regione Siciliana, quale delineato dallo Statuto, muoveva dall'idea che la regione fosse in grado di provvedere all'esercizio delle sue funzioni ordinarie mediante le entrate patrimoniali e tributarie spettanti.
  Si trattava di un modello che in astratto avrebbe dovuto garantire l'integrale finanziamento delle funzioni normalmente attribuite alla regione a livello statutario, ma che si è rivelato inadeguato allo sviluppo dello Stato sociale, a causa dei più bassi redditi dei contribuenti della regione e in conseguenza del più elevato costo delle sue stesse funzioni.
  Ciò trova conferma nella circostanza che la Sicilia risulta essere, fra le regioni a statuto speciale e quelle a statuto ordinario, Pag. 8 nelle ultime posizioni in ordine al reddito pro capite e alle entrate pro capite a essa destinate.
  Produrremo un allegato alla relazione, che offre questo tipo di aggregazione, ma anche questo momento di riflessione, perché crediamo che ci sia una distanza molto grande tra la conoscenza e l'opinione. L'opinione spesso si costruisce, non tanto sulla conoscenza, ma su ciò che arriva. Certamente questo è un deficit di chi dovrebbe, invece, fornire le informazioni, in questo caso probabilmente anche della stessa Regione siciliana.
  In conclusione, può affermarsi che il sistema delle relazioni finanziarie tra lo Stato e la Regione Siciliana da troppi anni risente dei gravi ritardi in ordine alla piena attuazione dello Statuto regionale e del mancato coordinamento della finanza regionale con quella statale, che si sarebbe dovuto realizzare sin dalla riforma fiscale del 1971, secondo il percorso istituzionale più consono della Commissione paritetica, prevista dall'articolo 43 dello Statuto, alla quale è demandata la definizione delle norme di attuazione statutaria.
  L'equilibrio finanziario del bilancio regionale, già divenuto instabile nel previgente sistema di rapporti, è stato messo a dura prova dalla legislazione statale emanata durante l'emergenza finanziaria dei conti pubblici del Paese, per fronteggiare la crisi economica internazionale. Ciò ha finito per compromettere il già precario equilibrio finanziario della Regione Siciliana, fondato su un rapporto tra le risorse statutariamente spettanti e i costi per l'esercizio delle funzioni effettivamente trasferite, al netto di quelle correlate alla compartecipazione alla spesa sanitaria.
  Voglio qui sottolineare che la nostra compartecipazione è del 49 per cento, mentre le altre regioni presentano un differenziale che va dal 42 al 49 per cento, mai rivendicato e mai riadeguato.
  Voglio ricordare che quell'aumento al 49 per cento era legato alla necessità di un riallineamento delle nostre spese sanitarie. Per esempio – vogliamo sottolineare questo vanto – l'anno scorso abbiamo prodotto 52 milioni di utili, quindi non solo siamo rientrati, ma la nostra percentuale rimane al 49 per cento.
  Questo ci risulta difficile da comprendere, tant'è che, in questo momento di confronto con Palazzo Chigi, stiamo cercando di riallineare la sanità, che, come per le altre regioni, è a totale carico della regione. In questo cambio c'è una differenza molto consistente a favore della Regione Siciliana.
  Passo ora alla valutazione degli effetti finanziari derivanti dalle pronunce costituzionali in materia di concorso alla finanza pubblica, intervenute in relazione all'arco temporale che va dal 2014 al 2017.
  Vi dicevo poco fa che dal 2013 abbiamo avuto questo passaggio in cui il concorso alla finanza pubblica ci ha costretto, ma anche sollecitato, all'intervento che è stato determinato, portando a quei risultati che illustravo poco fa.
  Questo è stato previsto dalla clausola di cui al punto 6 dell'accordo del 9 giugno 2014, recante l'attuale disciplina dei rapporti finanziari, che finiva col procedere alla conta delle sentenze.
  Appare più utile avviare, alla luce dei princìpi affermati dalle stesse sentenze, una riflessione circa l'opportunità di elaborare una strategia che consenta di ridefinire in modo non sporadico, ma stabile e organico, quindi coordinato con lo Statuto, al fine di darne piena attuazione, l'assetto dei rapporti finanziari della Regione Siciliana con lo Stato.
  In tale ottica, appare opportuno richiamare quanto affermato dal presidente delle sezioni riunite della Corte dei conti, in occasione del giudizio di parificazione del rendiconto generale della regione per l'esercizio finanziario 2014, svoltosi il 3 luglio del 2015: «Non sembra più procrastinabile, inoltre, una revisione delle vigenti norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria, tale da assicurare alla Regione Siciliana un quadro delle entrate tributarie proprie certo, duraturo e conforme alle prerogative statutarie».
  Tale invito, peraltro, è stato più volte reiterato dalla Corte costituzionale in diverse sentenze intervenute in un contesto storico profondamente cambiato dall'emergenza Pag. 9 finanziaria rispetto al momento in cui fu approvata la legge n. 42 del 2009, recante Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'articolo 119 della Costituzione, rimasta assolutamente inattuata in relazione al completamento del disegno dei fondi perequativi e al loro corretto dimensionamento in termini di copertura dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali a costi più efficienti.
  L'articolo 27 della citata delega, secondo quanto enunciato nella sentenza della Corte costituzionale n. 82 del 2015, «prevede che le autonomie speciali concorrano al Patto di stabilità interno sulla base del principio dell'accordo, secondo criteri e modalità stabiliti dalle norme di attuazione dei rispettivi statuti; una tale previsione non sarebbe necessaria se le fonti dell'autonomia speciale avessero già provveduto a disciplinare la materia, recependo il principio dell'accordo in forme opponibili al legislatore ordinario. Con specifico riguardo all'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 – rispetto al quale la disciplina oggetto del presente giudizio esplicitamente e transitoriamente si discosta, in attesa della sua attuazione – la Corte ha già osservato (sentenza n. 23 del 2014) che esso pone bensì una riserva di competenza a favore delle norme di attuazione degli statuti speciali per la modifica della disciplina finanziaria degli enti ad autonomia differenziata (sentenza n. 71 del 2012), così da configurarsi quale presidio procedurale della specialità finanziaria di tali enti (sentenza n. 241 del 2012).
  Nondimeno, esso ha rango di legge ordinaria, derogabile da atti successivi aventi pari forza normativa; sicché, specie in un contesto di grave crisi economica, il legislatore può discostarsi dal modello consensualistico nella determinazione delle modalità del concorso delle autonomie speciali alle manovre di finanza pubblica (sentenza n. 193 del 2012), fermo restando il necessario rispetto della sovraordinata fonte statutaria (sentenza n. 198 del 2012)».
  Abbiamo voluto citare queste sentenze. Al fine dell'individuazione dei percorsi negoziali per addivenire alla definizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la Regione Siciliana, si ritiene altresì opportuno e necessario richiamare alcune considerazioni svolte dalla Corte dei conti – Sezione autonomie, nel corso dell'audizione svoltasi il 23 aprile 2015 innanzi alla Commissione parlamentare per le questioni regionali sulle problematiche concernenti l'attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale, fondate anche sui riscontri effettuati dalla Corte dei conti in sede di referto al Parlamento, con la deliberazione n. 29 del 2014.
  La magistratura contabile, dopo aver illustrato il contesto e la gamma delle modalità di negoziazione tra lo Stato e le regioni, ha chiarito che «sullo specifico versante dei rapporti finanziari sia lo strumento del decreto legislativo sia quello delle leggi statali adottate previa intesa costituiscono procedimenti da ritenersi entrambi validamente percorribili. Si tratta di una produzione normativa accomunata dalla caratteristica di essere dotata di forza specifica rispetto alla legge ordinaria. Si rileva dall'osservazione oggettiva che nella materia finanziaria la tendenza affermatasi negli ultimi anni è quella del costante ricorso all'emanazione di una legge statale preceduta da una fase concertativa.».
  Quanto ai profili evolutivi, il mutamento del quadro istituzionale-normativo ha evidenziato, parallelamente alle attività delle Commissioni paritetiche, il ricorso a strumenti pattizi o di concertazione tra lo Stato e le regioni a statuto speciale, coinvolte insieme alle restanti regioni in tavoli rivolti alla definizione di numerose materie, in particolare per l'assunzione di intese finalizzate al coordinamento della finanza pubblica allargata e al contenimento di alcune voci di spesa.
  La forma pattizia per la regolazione dei rapporti finanziari delle autonomie differenziate con lo Stato rinviene una generale fonte di disciplina nell'articolo 27 della citata legge n. 42 del 2009. La Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome è la sede istituzionale di confronto tra il Governo e ciascuna autonomia.
  Va peraltro segnalato il diverso rilievo della Conferenza e dei tavoli tecnici rispetto Pag. 10 alle funzioni di partecipazione al procedimento di produzione normativa proprio delle Commissioni paritetiche.
  Infine, nelle osservazioni di sintesi, la Corte afferma che va altresì posta in evidenza la diversa capacità fiscale di ciascun territorio, dipendente dalle disomogenee condizioni socio-economiche tra le autonomie speciali e, quindi, dalla differente evoluzione del prodotto interno lordo pro capite dagli anni Settanta a oggi. Situazione, questa, che si riverbera sull'entità delle compartecipazioni regionali ai gettiti erariali.
  A tale dimensionamento rigido e differenziato delle quote di compartecipazione ai gettiti erariali si associa anche la mancanza di criteri oggettivi di connessione tra livelli di compartecipazione e fabbisogni finanziari derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie attribuite alla competenza delle regioni e delle province autonome, proprie e trasferite dallo Stato, insieme naturalmente alle risorse umane e strumentali.
  Infatti, se facciamo questo collegamento, l'apertura del mio intervento rispetto alle risorse umane presenti in Sicilia probabilmente finisce col dare una dimensione.
  La magistratura contabile ha concluso che «è noto, peraltro, che l'area delle autonomie speciali è contraddistinta da un forte grado di asimmetria in termini di acquisizione delle entrate, di correlata capacità di spesa, di funzioni esercitate e di regimi contabili».
  Nella relazione che consegno ci sono alcune osservazioni, che risultano essere una sorta di approfondimento quasi per singolo tema.
  Sulla scorta di tale premessa, sembra opportuno a questo punto distinguere due ordini di questioni. Il primo ordine concerne una serie di problematiche per le quali risulta già avviato un percorso normativo e amministrativo, per la cui definizione potrebbe essere necessaria una semplice intesa – come avviene nei casi delle ritenute IRPEF sugli emolumenti dei dipendenti statali in territorio siciliano, oppure in quello dell'individuazione delle modalità di calcolo dell'IRES dovuta dalle imprese operanti in Sicilia aderenti al consolidato fiscale e via dicendo – ovvero anche un vero e proprio accordo, seguito dal recepimento normativo, in tutti i casi in cui si tratta di definire questioni finanziarie imprescindibili per la messa in sicurezza dei conti pubblici, quali il concorso alla finanza pubblica, la compartecipazione alla spesa sanitaria e via elencando.
  Un secondo ordine di questioni è quello attinente, invece, alla revisione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la regione, che deve essere finalizzata alla piena attuazione degli articoli 36, 37 e 38 del proprio Statuto e del loro coordinamento con il sistema tributario vigente e la riforma del federalismo fiscale, al riconoscimento del gettito fiscale derivante dalla capacità fiscale manifestata nel territorio e al completo trasferimento delle funzioni statutariamente previste, come sanità, pubblica istruzione e assistenza, in conformità al principio costituzionale dell'integrale finanziamento delle funzioni attribuite, per le quali il percorso appropriato dovrebbe essere quello della Commissione paritetica, però con una tempistica certa.
  Credo che la questione del tempo sia fondamentale, insieme ad altre due componenti. Al cittadino, alle regioni e alle comunità, infatti, va sempre chiarito e definito, in termini di quantità, di qualità e di costi, come finiscono con l'essere forniti i servizi.
  Penso all'acqua, per esempio: al cittadino dobbiamo dire quanta acqua, di che qualità e a che costo viene fornita. Lo stesso discorso vale per l'energia. Mi permetto di dire che, tenuto conto che il costo diventa complessivo, ciò vale anche per i servizi legati all'assistenza, per esempio all'assistenza sanitaria e agli ospedali. Il concetto di che qualità, in che tempo e a che costo, finisce col regolamentare ogni rapporto col cittadino.
  Nella nostra relazione abbiamo poi fissato una serie di approfondimenti che vogliamo qui consegnare e che finiscono con l'essere parte integrante della stessa relazione. Tali approfondimenti riguardano le accise e tutte le questioni cui abbiamo accennato in precedenza: l'articolo 36 dello Pag. 11Statuto (IRE-ex IRPEF), l'articolo 37 (IRES-ex IRPEG), i tributi erariali di spettanza regionale e il principio di territorialità, il coordinamento delle norme d'attuazione degli articoli 36, 37 e 38 dello Statuto speciale, la competenza regionale per l'attività di accertamento dei tributi e la neutralità finanziaria per la regione delle disposizioni in materia di federalismo municipale. L'ultimo approfondimento che offriamo è quello relativo all'articolo 38 dello Statuto.

  PRESIDENTE. Grazie. Il materiale, che credo vi sia stato distribuito, è estremamente corposo. Ci sono anche questi approfondimenti tematici sui vari punti che nella relazione sono stati toccati.

  MARIA LO BELLO, Vicepresidente della Regione Siciliana. Vorrei consegnare anche una delibera della Giunta della Regione Siciliana del 20 novembre 2015. A questa delibera della Giunta è allegata la relazione predisposta dall'assessorato all'economia della regione, dove viene illustrato a cosa ha dovuto far fronte l'attuale governo della regione sin dal suo insediamento.
  È la relazione che abbiamo consegnato a Palazzo Chigi, che sta alla base del riconoscimento delle risorse che sono dovute alla Regione Siciliana. Oltre ai 900 milioni, per troppo tempo – non so da quanti anni, forse dal 2003 – quel contributo pari a 50 milioni annui non è stato richiesto dalla Regione Siciliana.
  Vorrei consegnarvela, perché credo che sia davvero parte integrante di questo momento. Qui c'è la situazione dei bilanci della regione.
  Se mi permettete, anche se non è attinente all'oggetto del federalismo fiscale, vorrei farvi avere anche un approfondimento riguardante il personale, con le cose che dicevo prima, per esempio sul personale della protezione civile. Vorrei fare anche un ragionamento rispetto ai famosi forestali. Non li ho citati prima, ma credo che a questo punto sia doveroso.
  Quando si parla di forestali nelle altre regioni e in Sicilia, per le altre regioni si intende il Corpo forestale, mentre noi abbiamo una suddivisione. Per noi il Corpo forestale è composto da un certo numero di dipendenti, da noi suddiviso in lavoratori a giornate e lavoratori full-time. Abbiamo una piccolissima parte di lavoratori full-time e un'altra parte che invece ha dei contratti a tempo determinato – da cui deriva lo sproporzionato numero – che vanno dalle 78 giornate alle 151 giornate, giacché pochissimi ne fanno 51. Questi sono lavoratori del mondo dell'agricoltura e non del Corpo forestale, così come lo intendiamo. I dipendenti del Corpo forestale sono assolutamente pochi. Vi fornirò le percentuali.
  Come dicevo, la prima questione su cui vorremmo fornire degli approfondimenti è quella del personale. L'altra è la questione delle tabelle legate al gettito.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO GIBIINO. Aspettavo i colleghi.

  PRESIDENTE. Allora la anticipo io. La vicenda che ricordavo, che era stata sollevata dalla procura della Corte dei conti della Regione Siciliana, sui cosiddetti «residui attivi inesigibili» per un ammontare, se non ricordo male, di oltre 10 miliardi di euro, come è andata a finire, anche per quanto riguarda il trattamento contabile di questa posta, che aveva suscitato all'epoca un dibattito pure qui in Parlamento?

  MARIA LO BELLO, Vicepresidente della Regione Siciliana. La pulizia del bilancio di cui parlavo era proprio inerente a questo. Lascio ora la parola al dottor Bologna.

  GIOVANNI BOLOGNA, Dirigente generale del dipartimento regionale delle finanze e del credito dell'assessorato regionale dell'economia della Regione Siciliana. La questione è stata posta dalla Corte dei conti, non in sede di procura, ma in sede di sezione di controllo nell'ambito dell'approvazione del bilancio. Cambia poco, però lo dico per precisione. Pag. 12
  In realtà, la Regione Siciliana fin da quest'anno sta applicando i princìpi di armonizzazione contabile contenuti nel decreto legislativo n. 118 del 2011. Questa norma, come è noto sicuramente ai componenti di questa Commissione, prevede che bisognasse fare entro una certa data – e noi l'abbiamo fatto – il riaccertamento straordinario dei residui attivi e passivi.
  Nell'ambito del riaccertamento straordinario, abbiamo fatto una «pulizia contabile» di residui che erano datati ante 2000, per un ammontare di circa 5 miliardi di euro, cancellandoli dalle scritture contabili, ovviamente senza però rinunciare al perseguimento della riscossione, laddove essi fossero ancora dovuti.
  Li abbiamo ammortizzati, in base a quanto prevedeva la norma del citato decreto legislativo n. 118, nel periodo transitorio. L'abbiamo fatto approfittando dunque della possibilità che la norma statale dava di ripartire la perdita derivante dalla cancellazione di questi residui in 30 anni. Per la cancellazione di questi residui, che erano di assai dubbia esazione, stiamo caricando sul bilancio della Regione Siciliana circa 5 miliardi spalmati in 30 anni, ovvero una quota di circa 170 milioni l'anno per i prossimi 30 anni. In realtà, non si tratta di un colpo di spugna, ma di caricare su un bilancio pluriennale la cancellazione di questi residui attivi.
  Chiaramente abbiamo fatto la stessa pulizia anche sui residui passivi, per un ammontare corrispondente di circa un miliardo di euro.
  Il risultato di questa operazione ovviamente è un bilancio più veritiero e più rispondente al principio di cassa.
  Esattamente come per il federalismo fiscale, in questa materia la Regione Siciliana è stata virtuosa, anche se magari questo è poco noto all'esterno, perché fin dal 2002, pur aderendo a una contabilità economico-finanziaria, in realtà ha lavorato su un bilancio effettivamente di cassa. Ciò ha consentito di poter compiere questa operazione a costo relativamente zero rispetto all'impatto che la cancellazione di 5 miliardi ha avuto nel bilancio della regione.

  VINCENZO GIBIINO. Notavo che i colleghi non sono intervenuti, contrariamente a quanto è accaduto nelle scorse audizioni, perché la materia è veramente complessa.
  Io ringrazio oggi la vicepresidente della regione e il dottor Bologna, perché la materia siciliana è veramente difficile da comprendere. La sua storia affonda le radici in un periodo compreso tra 50 e 70 anni fa, quando furono sottoscritti una serie di patti che poi sostanzialmente non sono stati mantenuti.
  Da un lato, mi fa piacere il fatto che la vicepresidente abbia rivendicato una questione concernente la mancata attuazione, considerato che ci sono una serie di regolamenti attuativi mai emanati, relativamente all'applicazione degli articoli 37 e 36 dello Statuto, afferenti ad una materia abbastanza complessa. Dall'altro lato, però, la Regione Siciliana ha una serie di responsabilità gestionali e politiche che non sono indifferenti. Difatti, come è stato affermato, all'esterno appariamo in una maniera, mentre in realtà all'interno lavoriamo per ottenere determinati risultati.
  Tuttavia, oggi accade una cosa: quotiamo poco i costi standard, non ci preoccupiamo dei fabbisogni, non creiamo aziende in maniera corretta e i cittadini siciliani, che alla data di oggi pagano le tasse esattamente come i cittadini della Lombardia o del Veneto, ricevono in cambio una qualità di servizi erogati che non è assolutamente paragonabile e/o tollerabile, perché la pressione fiscale è uguale da tutte le parti d'Italia. Questo crea una condizione d'invivibilità.
  Io capisco che la responsabilità non è solamente della Regione Siciliana, ma è di tutti gli enti collegati. Tuttavia, è un modus operandi che, a mio giudizio, non può andare avanti.
  Dico anche che il lavoro che stanno facendo le regioni a statuto ordinario e gli enti locali, per l'esperienza che abbiamo fatto tutti in questa Commissione parlamentare, è quello di quotare i singoli servizi erogati da parte della pubblica amministrazione, verificando se il comune è montano oppure rivierasco, quanti vigili urbani debbano essere utilizzati, chi si deve occupare Pag. 13 della riscossione dei tributi, se serve esternalizzare il servizio oppure no e via dicendo. Tutte queste cose non sono invece considerate da noi nella regione Sicilia.
  Dunque, al di là di una necessità di chiarimento con lo Stato, che però in questi anni è sicuramente mancato – e ne è testimonianza oggi la vostra relazione – a mio avviso bisogna cambiare passo e iniziare, non ad adeguarsi e a fare ciò che fanno le regioni a statuto ordinario, ma a fare addirittura di più, proprio per la specialità che ha questa terra straordinaria.

  GIOVANNI PAGLIA. In realtà, nel dibattito pubblico esiste un tema di attualità, che è quello della modifica delle autonomie speciali. Il motivo per cui esiste è la regione Sicilia. Credo che questo vada detto. Non viene mai invocato come necessità sulla base dell'andamento dei bilanci del Trentino-Alto Adige o del Friuli-Venezia Giulia, ma viene invocato come necessità – né io appartengo a questo schieramento – a partire da quello che avviene in Sicilia. Normalmente è sempre la regione Sicilia la pietra dello scandalo per cui si dice: «basta!».
  Se ho ben capito i termini dell'audizione, mi pare che in realtà i problemi vengano riscontrati anche dall'altra parte, cioè da parte della regione nei confronti dello Stato.
  Vorrei capire se da parte della Regione Siciliana ci sia un momento in cui si dice che questa autonomia tutto sommato non vi serve, anzi vi è dannosa, perché i patti non si rispettano e, quindi, siete costretti a pagare più di quanto ricevete, anche per mantenere i servizi, o se invece ci sia da parte vostra la valutazione che comunque l'autonomia vada mantenuta, anche qualora lo Stato continui a non rispettare quelli che si ritengono essere patti non pienamente applicati.
  Alle condizioni date, non a quelle ottimali, voi ritenete che sia sostenibile l'attuale regime di autonomia o che sarebbe meglio arretrare, a quel punto scaricando una serie di costi sullo Stato centrale e riducendo, però, i margini?

  GIUSEPPE ZAPPULLA. Io non mi sono mai iscritto, e non lo farò certamente oggi, tra quanti annoverano tra i mali della Sicilia l'autonomia. Usando una battuta esemplificativa, credo che il male sia l'utilizzo maldestro, spesso clientelare e in alcuni casi anche peggio, da parte di intere classi dirigenti – io sono siciliano, quindi non attacco gli altri – delle risorse e di un patrimonio che, ancor prima che essere legislativo, è culturale, che è quello dell'autonomia.
  Io porrò una domanda semplice. Oggi il dibattito è quello che veniva indicato: ogni volta che si parla di superamento o di modifica del sistema delle autonomie, si pensa chiaramente alla Sicilia, che è il casus belli, non sempre infondato.
  Resta fermo il rapporto rivendicativo che c'è nei confronti dello Stato e dei governi. Ci sono una serie di cose che voi avete indicato, su cui la Regione Siciliana è nelle condizioni di additare limiti e ritardi da parte dello Stato in questa fase, ma anche negli anni precedenti.
  Resta fermo, altresì, quello che è già stato fatto, perché, in questo mare magnum di critiche, di nebulosità e anche di errori che sono stati commessi in questa fase, obiettivamente la normalizzazione, ovvero la cosiddetta «riforma del bilancio» della regione, che è la madre di tutte le battaglie e che riguarda la trasparenza in Sicilia, finalmente è stata avviata, con grande fatica e tra grandi contraddizioni.
  Fermo restando tutto questo, vorrei sapere, cara vicepresidente, quali altri provvedimenti, come regione e come attuale governo regionale, potete e possiamo oggi annunziare ai siciliani e al Paese, per essere quanto più credibili possibile, non solo sul terreno etico e della trasparenza, ma anche – se mi è consentito – sul terreno politico. Infatti, ancor prima del tema interessato da questa o quella disposizione legislativa, c'è un tema che riguarda la credibilità di un'intera classe dirigente.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MARIA LO BELLO, Vicepresidente della Regione Siciliana. Grazie delle domande. La mia non sarà tanto una replica quanto Pag. 14una risposta alle questioni che venivano sollevate.
  Parto subito dalla prima considerazione. Condivido assolutamente che i siciliani hanno diritto alla stessa qualità dei servizi delle altre regioni, non fosse altro che per il fatto che pagano le tasse alla stessa maniera.
  Tuttavia, ho bisogno di tornare un momento indietro, non perché voglia cercare qualcuno che ci assolva o delle attenuanti rispetto a un sistema che comunque si è evoluto nel tempo. Dobbiamo andare molto lontano, al momento dell'industrializzazione del nostro Paese. Tale fenomeno ha interessato non solo la Sicilia, ma tutte le regioni del Meridione.
  La famosa questione meridionale per quanto riguarda la Sicilia nasce all'indomani dell'Unità d'Italia. Non dobbiamo dimenticare che la Sicilia sino a quel momento, non solo non aveva una questione meridionale, ma era una regione molto ricca. Il passaggio delle ricchezze allo Stato italiano ha senz'altro finito col determinare questioni che poi hanno sortito i loro effetti nel momento della reindustrializzazione.
  Non dobbiamo dimenticare che, mentre da un lato avevamo un Nord che produceva, abbiamo fatto in modo tutti insieme, anche noi siciliani, che al Sud venisse affidato il compito del consumo: al Nord si produceva e al Sud si consumava. Mi riferisco alle grandi pensioni e alla grande assistenza, che alla fine probabilmente ha finito col convenire a tutti.
  Oggi, invece, nel momento in cui la crisi determina meno produzione al Nord e la necessità di una rivisitazione di un assistenzialismo insopportabile al Sud, i nodi vengono al pettine.
  Non solo io credo che ciò che veniva detto dal senatore Gibiino sia corretto, ma credo anche che probabilmente proprio questa necessità, rappresentata dal limite di un momento di crisi straordinaria, abbia fatto diventare virtù le cose che si dicevano.
  Mi collego al tema del bilancio trasparente avviato. L'onorevole Zappulla usava la parola «avviato». Io mi permetto di dire che lo abbiamo concluso. Finalmente abbiamo un bilancio così come deve essere fatto.
  Mentre, da un lato, il dottor Bologna ha precisato che dal 2002 si è cercato di redigere bilanci che prevedessero un'esigibilità delle risorse, dall'altro dobbiamo dire anche che dal 2002 fino al 2013 quei bilanci avevano tutto ciò che di «sporco» veniva prima ricordato. Mi riferisco, usando una terminologia appropriata all'ambito della riscossione, alle quote inesigibili per temporalità o per scadenze.
  Abbiamo citato la percentuale delle tasse pagate dai siciliani, però, alla stessa maniera, per tornare ai rapporti tra le parti, occorre rimarcare la questione della sede legale. Ci sono pertanto una serie di questioni che finiscono col rendere la Sicilia meno ricca delle altre regioni. In questo suo essere meno ricca, è più povera.
  Voglio farvi un esempio. Lo citavo già prima, però adesso ho ritrovato le carte che lo riportano. Si sono verificati alcuni fatti relativi alla Commissione paritetica. Per quanto riguarda il rinnovo della composizione della Commissione paritetica ex articolo 43 dello Statuto siciliano, da ultimo lo stesso è stato operato per due volte, con due decreti ministeriali, il 29 gennaio 2014 e il 10 giugno 2014, per l'avvicendarsi dei ministri per gli affari regionali. La prima seduta della stessa Commissione ha avuto luogo il 1°ottobre 2014, su convocazione, come prassi costante, dello stesso ministro per gli affari regionali. Pertanto, per tutto il 2013, la Commissione non è stata ricostituita per l'avvicendarsi dei governi statali. Questo ci sta.
  Cosa fa quella Commissione? La Commissione si riunisce il 5 giugno, con all'ordine del giorno le norme di attuazione dello Statuto speciale in materia di credito e risparmio e in materia di trasferimento di beni immobili. Il 5 giugno la Commissione aveva dunque questi due punti all'ordine del giorno.
  Ebbene, per quanto riguarda il primo punto, la determina della Commissione è avvenuta il 5 giugno 2012, la delibera del Consiglio dei ministri c'è stata il 4 ottobre 2012 e il decreto legislativo – il numero 205 – è stato emanato il 29 ottobre 2012. Dunque, Pag. 15 la Commissione si è riunita in materia di credito e risparmio il 5 giugno 2012 e la deliberazione conclusiva ha avuto luogo il 29 ottobre 2012.
  Vediamo cos'è accaduto per il secondo punto all'ordine del giorno discusso nella stessa seduta. La determina della Commissione paritetica è avvenuta il 5 giugno 2012, mentre la delibera del Consiglio dei ministri non è ancora intervenuta, se non in materia di sanità penitenziaria, perché in quel caso l'abbiamo sollecitato più volte.
  Giudico assolutamente interessante la riflessione dell'onorevole Paglia. Ci siamo chiesti più volte se la nostra condizione di regione a statuto speciale vada mantenuta o se addirittura vada invece invocata la sua fine.
  Da un lato, noi crediamo di avere un dovere in più come siciliani. Dall'altro, io sono componente permanente in Conferenza Stato-regioni e devo dire che la Conferenza delle regioni spesso si chiede se da parte del Governo, con i continui interventi nelle competenze delle regioni, non ci sia in questo momento quasi un attacco all'istituzione «regione», a maggior ragione quella a statuto speciale.
  A mio avviso, lo Statuto speciale determina alcune condizioni, che non derivano da una scelta politica del suo governo attuale.
  Inoltre, avrei qualcosa da dire rispetto al fatto che ogni volta che si stanno per affrontare questioni che hanno a che vedere con gli statuti, con la riforma del Titolo V della Costituzione e con una serie di altri argomenti, c'è un gran parlare. Mi riferisco, in ciò, anche agli organi di informazione.
  Tutto va assolutamente affrontato, però io credo che debba esserci dall'altra parte la possibilità della spiegazione, perché molto spesso è la conoscenza che determina il formarsi di un'opinione, un po’ come è avvenuto nel caso del nostro bilancio sino a qualche anno fa. Effettivamente quei numeri ci sono, però probabilmente non sono veri, perché in ogni caso viene impedito di affrontare il problema dal punto di vista della conoscenza.
  Noi vogliamo continuare a mantenere il nostro Statuto speciale. Noi siamo una regione, non diversa, ma particolarmente speciale nella sua stessa cultura. Noi siamo un popolo che ha sempre subìto una serie di invasioni. Non abbiamo mai visto nell'altro il dominatore o l'invasore, ma abbiamo sempre trasformato l'invasione in nostra ospitalità.
  Riguardo all'immigrazione, che è oggetto in questi giorni di grande discussione – subito dopo cercherò di partecipare a una riunione tecnica sui temi dell'immigrazione presso il Ministero dell'interno – noi riteniamo che la Sicilia, per il suo particolare posizionamento nel Mediterraneo, sia, non solo la porta dell'Europa, ma anche la naturale via d'accesso all'Europa stessa, non attraverso i viaggi sui gommoni, ma attraverso questo approccio all'ospitalità.
  Probabilmente noi – come Sicilia rispetto ad altre regioni e come Italia rispetto ad altri Stati – abbiamo percentuali più basse di persone provenienti da Paesi extraeuropei. Tuttavia abbiamo la nostra condizione, le nostre peculiarità, la nostra storia, il recente passato che noi per primi, come siciliani, vogliamo cancellare.
  L'onorevole Zappulla chiedeva: «Cosa pensate di fare? La Sicilia quali obiettivi si vuole dare?» Noi abbiamo fatto una serie di importanti riforme: per primi abbiamo soppresso le province all'interno della nostra regione, anche se ancora la legge non vede il suo approdo; abbiamo introdotto la doppia preferenza di genere in tutti i comuni siciliani, non privando la politica del punto di vista delle donne. Abbiamo operato nel campo della sanità, delle riforme, degli interventi straordinari.
  Domani ci confronteremo per quanto riguarda il Masterplan, il cosiddetto «Patto per il Sud». Nell'ambito del Fondo sviluppo e coesione (FSC), le cui risorse dovrebbero essere utilizzate all'80 per cento dalle regioni del Sud, dentro a questo patto, noi abbiamo cercato di far diventare primaria un'esigenza che la Regione Siciliana ha, che è quella della sua viabilità secondaria. Noi abbiamo bisogno di collegamenti. I nostri porti e la nostra viabilità Pag. 16interna hanno bisogno di un intervento straordinario.
  Ci confronteremo domani col Governo nazionale, per fare in modo che il nostro grande dissesto idrogeologico e la cura del nostro territorio e dei comuni, che stanno vivendo un momento di particolare crisi, possano trovare una risposta con la ripresa di tutte quelle attività relative alla viabilità interna.
  Sappiamo che mettere in campo una serie di interventi nel settore dell'edilizia è un volano per l'economia. Speriamo che questi 2 miliardi, insieme agli interventi che rispondono alle quattro direttrici che il Governo nazionale ci ha dato, a partire dai prossimi mesi del 2016 e del 2017, possano rappresentare una ripresa per la Regione Siciliana.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la vicepresidente della Regione Siciliana, Maria Lo Bello, anche per la documentazione consegnata di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato), e il dirigente generale del dipartimento regionale delle finanze e del credito dell'assessorato regionale dell'economia della Regione Siciliana, Giovanni Bologna, che l'ha accompagnata.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.

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