XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 142 di Martedì 8 marzo 2016

INDICE

Comunicazioni della presidente.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Sulla pubblicità dei lavori.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Seguito dell'audizione dell'on.Matteo Orfini.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Orfini Matteo (PD)  ... 3 
Costantino Celeste (SI-SEL)  ... 6 
Orfini Matteo (PD)  ... 6 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 7 
Orfini Matteo (PD)  ... 7 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 8 
Orfini Matteo (PD)  ... 8 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 8 
Orfini Matteo (PD)  ... 8 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 9 
Orfini Matteo (PD)  ... 9 
Taglialatela Marcello (FdI-AN)  ... 9 
Orfini Matteo (PD)  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Orfini Matteo (PD)  ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Orfini Matteo (PD)  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Orfini Matteo (PD)  ... 12 
Sarti Giulia (M5S)  ... 13 
Orfini Matteo (PD)  ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 15 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Orfini Matteo (PD)  ... 16 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta inizia alle 15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

  Comunicazioni della presidente.

  PRESIDENTE. Cominciamo dalle comunicazioni. Mercoledì 16 marzo una delegazione della Commissione si recherà a Bruxelles presso il Parlamento europeo, ove è prevista un'audizione in Commissione LIBE, quale seguito della missione dello scorso anno.
  I Gruppi sono invitati, come al solito, a segnalare i partecipanti. La segreteria è a disposizione, naturalmente, per fornire il programma e tutto il resto.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Seguito dell'audizione dell'on. Matteo Orfini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione dell'on. Matteo Orfini. Come si ricorderà, l'audizione rientra negli approfondimenti dedicati alla situazione della criminalità organizzata a Roma a seguito dell'inchiesta su Mafia Capitale. Riprendiamo, dunque, l'audizione per consentire all'onorevole Orfini, presidente del Partito Democratico, di rispondere ai quesiti posti dai commissari nella scorsa seduta.
  Prego, onorevole Orfini. Le chiedo se può cominciare a rispondere prima all'onorevole D'Uva, che è presente, mentre aspettiamo che arrivino gli altri.

  MATTEO ORFINI. Va bene. L'onorevole D'Uva mi aveva fatto una lunga e dettagliata serie di domande. Adesso cercherò di rispondere a tutte. Se me ne dimentico qualcuna, me lo ricorderà.
  Il primo pacchetto di domande riguardava la richiesta di chiarimenti, conferme e delucidazioni su come arrivammo alla scelta delle dimissioni del presidente Tassone. Si partiva dal chiedere perché questa scelta avvenne quattro mesi dopo la pubblicazione di alcune intercettazioni che riguardavano il presidente Tassone.
  Non siamo intervenuti immediatamente intanto perché siamo un partito garantista e non basta un'intercettazione in cui viene citata una persona per intervenire nei suoi confronti, ma anche perché, all'atto della pubblicazione delle intercettazioni, Tassone non risultava essere nemmeno indagato. Il suo collega – mi pare – ci ha chiesto nella precedente seduta perché non siamo intervenuti nel momento in cui Tassone era indagato. Perché, per quello che era dato a noi sapere, per quanto detto e dichiarato pubblicamente da Tassone e riportato dagli organi di stampa, Tassone non risultava essere nemmeno indagato. Abbiamo scoperto successivamente che c'era un'indagine in corso.
  Soprattutto non l'abbiamo fatto perché quell'intercettazione non era sufficiente per intervenire. Naturalmente, anche quell'intercettazione ha contribuito ad accendere Pag. 4un'attenzione e a farci riflettere sulla necessità di approfondire alcune vicende e di cercare, con gli elementi – lo ripeto sempre – che la politica ha a disposizione, che non sono le intercettazioni e non sono quelli che hanno gli organismi giudiziari e le forze dell'ordine, con i soli strumenti della politica, di capire quale fosse la reale volontà di combattere l'illegalità e la criminalità organizzata del Partito Democratico di Ostia, che, come ho ricordato nella mia relazione, è il primo che ho commissariato nel momento in cui sono divenuto commissario.
  Per rispondere alle altre domande, molto dettagliate, abbiamo subito iniziato un lavoro che partiva, come ho spiegato nella relazione, dal tentativo di alzare l'asticella della lotta alla criminalità e di chiedere al Partito Democratico di Ostia e all'amministrazione del Partito Democratico a Ostia di essere conseguenti a questa nostra scelta politica. Nel farlo, abbiamo sfidato il presidente Tassone a fare di più e per questo motivo gli abbiamo chiesto l'azzeramento della sua giunta.
  Rispondo già alla domanda successiva: è vero che si è parlato di rimpasto e dirò anche i nomi di quelli a cui avevamo pensato e di cui avevamo acquisito la disponibilità. Abbiamo chiesto a Tassone l'azzeramento della giunta e abbiamo avuto diverse resistenze, perché Tassone voleva conservare alcuni assessori, altri li voleva cambiare e ne voleva cambiare solo alcuni. Aveva una visione differente dalla nostra, e così anche una parte consistente del Partito Democratico di Ostia.
  Noi, invece, gli abbiamo chiesto di azzerarla. Anzi, per essere espliciti, questa richiesta portò anche al fatto che Sinistra Ecologia Libertà di Roma espresse informalmente, in un colloquio tra me e l'allora segretario di Roma, contrarietà a questa scelta dell'azzeramento della giunta. Noi, invece, gli chiedemmo di farlo e gli proponemmo di costruire insieme una «giunta della legalità».
  In tal senso gli chiedevamo una doppia disponibilità. La prima era quella di restituire una parte delle sue deleghe al comune di Roma, sostanzialmente le deleghe al litorale, perché ritenevamo che l'azione di contrasto all'illegalità – poi dirò alla fine su questo – e di ripristino delle condizioni minime della legalità nella gestione del litorale sarebbe stata più forte se a gestire le deleghe fosse stato l'assessore Sabella, come poi in effetti è avvenuto, piuttosto che se quella competenza fosse rimasta in seno al municipio.
  Proponemmo, quindi, di costruire intorno a lui una giunta che coinvolgesse persone non solo al di sopra di ogni sospetto, ma anche che avessero maggior forza politica nel contrastare il rischio delle infiltrazioni e nel sostenere la battaglia per la legalità, tanto che con lui iniziammo a discutere anche di nomi, e ne discutemmo anche col sindaco Marino. Dopo quella conferenza stampa che lei citava andammo a comunicare al sindaco Marino questa nostra scelta, ossia quella di chiedere al comune di prendersi le deleghe del litorale e di costituire una giunta che affiancasse Tassone e che facesse della battaglia per la legalità la propria stella polare.
  Sapete che, nel momento in cui un presidente di un municipio si dimette, ci sono venti giorni per ritirare le dimissioni o per confermarle. Ci eravamo dati quei venti giorni per capire se ci fossero le condizioni o meno di fare questa operazione e coinvolgemmo alcune personalità della politica. Chiedemmo a Marco Causi se fosse disponibile a fare l'assessore al bilancio del municipio di Ostia, a Livia Turco se fosse disponibile a fare l'assessore alle politiche sociali, a Massimo Brutti, che conoscete bene, se fosse stato disponibile a fare l'assessore ai lavori pubblici e alla verifica delle questioni più delicate di quel territorio. Chiesi persino a Walter Tocci se sarebbe stato disponibile – mi disse di no – a fare l'assessore all'urbanistica. Mi disse di no non per ragioni politiche, ma perché in quella fase aveva altri impegni personali. Massimo Brutti chiese del tempo per pensarci, mentre Livia Turco e Marco Causi si resero subito disponibili.
  Perché provammo questa operazione ? Un po’ perché volevamo alzare il livello Pag. 5della sfida, un po’ perché volevamo capire realmente che cosa pensasse Tassone, ripeto, non avendo altri strumenti se non quelli della battaglia e della sfida politica.
  Già dai primi giorni in cui iniziammo ad acquisire le prime disponibilità notammo che c'era qualche resistenza da parte del presidente Tassone. Da un lato, c'era il tentativo di trattare quella giunta in modo da garantire che rimanessero delle postazioni che potesse scegliere lui autonomamente, cosa assolutamente legittima dal punto di vista del ruolo e di ciò che la legge prevede – la giunta la fa il presidente – ma che in quella condizione politica ci destò un certo sospetto.
  Dall'altro lato, questa ipotesi di una giunta della legalità che facesse a viso aperto la battaglia che noi, come partito, avevamo già iniziato a fare destava in lui una crescente preoccupazione a mano a mano che si avvicinava il momento della scelta definitiva.
  Lei mi ha chiesto se avessimo sospetti di un suo rapporto con i clan. Nel momento in cui fai un'operazione del genere, cioè chiedi quel tipo di impegno e quello sforzo, e vedi – cito il senatore Esposito – tremare le gambe di colui a cui lo chiedi, dentro di te pensi due cose: o che ci sono rapporti strani, o che, in maniera assolutamente legittima, costui ha paura, perché lanciare una sfida di quel tipo è anche rischioso in un territorio come quello di Ostia.
  Che fosse la prima o che fosse la seconda l'analisi corretta, a un certo punto abbiamo deciso che non si poteva andare avanti, perché comunque Tassone non era la persona giusta per fare quella battaglia. Pertanto, abbiamo deciso di chiedergli formalmente, politicamente, di interrompere quell'esperienza e di non ritirare le dimissioni.
  Sono tutte cose che in questi mesi abbiamo raccontato. Peraltro, è da poco uscito – non lo dico per fargli pubblicità, non è questa la sede – un libro dell'ex assessore Sabella in cui egli racconta dettagliatamente anche questi passaggi e questa fase. Faccio riferimento anche a quello che racconta dal lato dell'amministrazione uscente, che si trovò investita di questa vicenda.
  Lei mi chiedeva, se ricordo bene, se qualcuno nel Partito Democratico difendesse Tassone. Assolutamente sì. Larga parte del Partito Democratico di Ostia visse malissimo questa nostra scelta. Ricordo che, dopo le dimissioni di Tassone, io e il senatore Esposito convocammo una riunione del Partito Democratico di Ostia, che si svolse a Ostia Antica, in cui Esposito prese la parola per la relazione alle 20.30 circa e io presi la parola per le conclusioni all'una di notte – poi parlai un'ora e un quarto anch'io, perché, a quel punto, dovevo rispondere a tutti – dopo ore e ore di interventi in larghissima parte critici.
  In quei giorni, di fronte a questa prospettiva, ossia quella dello scioglimento, misurammo la contrarietà di larga parte del Partito Democratico di Ostia e degli alleati del Partito Democratico di Ostia. Non ritengo questo un sintomo di collusione o di cedimento all'illegalità. Semplicemente in larghissima parte, in buona fede, c'era la sofferenza per una giunta che aveva riconquistato Ostia, il X Municipio, dopo una stagione in cui non l'avevamo governata, anche con un'operazione di rinnovamento della classe dirigente. Il partito che l'aveva prodotta, ossia i nostri militanti, vedeva con grande sofferenza la fine di quell'esperienza e la riteneva anche ingiusta.
  Ribadisco, cerchiamo di tornare indietro a quel periodo. Abbiamo dimesso un presidente che non era nemmeno indagato, in base a quello che si sapeva allora, ragion per cui altri non ne vedevano le ragioni. Poi a posteriori credo si siano convinti di quella scelta, nel momento in cui Tassone è stato arrestato. Allora, però, non c'erano questi elementi. Pertanto, ritengo in buona fede la resistenza che ebbi modo di misurare da parte di quel partito, che comunque non ci fermò.
  Mi ha chiesto se Renzi fosse informato di questa vicenda. Ovviamente non è stato informato passo passo di tutti gli sviluppi. Nel momento in cui decidemmo di dimettere Tassone, è stato informato della scelta Pag. 6e anche delle ragioni, ossia che non eravamo più sicuri dell'affidabilità su quel terreno del presidente Tassone.
  Credo su Tassone di aver risposto a tutte le domande che mi aveva fatto.

  CELESTE COSTANTINO. Non intervengo per fare un'altra domanda, ma per avere un chiarimento. Non ho capito bene qual è il motivo per cui non siete andati avanti con la «super giunta», definiamola così. Non si è capito perché. In realtà, l'avanzamento della richiesta ad alcune figure di andare a comporre quella super giunta ha tenuto banco più o meno un paio di giorni. Poi di lì a poco avete chiesto le dimissioni di Tassone.
  Poiché, come prima ha ricordato, probabilmente altre forze politiche non erano a favore dello scioglimento, ma si erano dette a favore invece della costituzione di questa giunta – c'era l'approvazione di tutte le forze che stavano in maggioranza a costruire quella giunta della legalità – non si capisce perché non sia stata fatta. Non penso che la risposta possa essere perché Tassone voleva tenere qualche delega. Se di lì a poco si sono chieste le dimissioni, penso che fosse più facile fare accettare una giunta piuttosto che le dimissioni.
  Inoltre, non ho capito su quali basi si sono chieste le dimissioni. Non penso che possa essere stata la preoccupazione di Tassone rispetto a quello che stava avvenendo, ossia rispetto ai fatti che stavano succedendo, a far decidere al Partito Democratico di chiedere le sue dimissioni. Non era indagato. Perché il PD chiede le dimissioni di Tassone ? Non l'ho capito nella sua risposta.

  MATTEO ORFINI. Credevo di averlo spiegato, addirittura nella relazione, nemmeno in questa replica, ma lo preciso meglio.
  Intanto non è del tutto vero che tutte le forze politiche – ma questo conta ormai poco – fossero d'accordo sull'azzeramento, perché inizialmente sull'azzeramento noi forzammo politicamente. Alcuni nostri alleati non erano favorevoli all'azzeramento, anzi.
  Nel momento in cui chiediamo a Tassone l'azzeramento e proponiamo la super giunta della legalità, abbiamo già iniziato una battaglia molto dura, come partito, attraverso le cose che dicevo io e che diceva il senatore Esposito – anche su questo parlerò poi, rispondendo ad altre domande – una sfida a viso aperto ai clan che controllavano Ostia, facendo quello che ho raccontato nella relazione. Nel momento in cui abbiamo chiesto a Tassone di azzerare, e lo abbiamo convinto, la giunta e di fare la super giunta della legalità, abbiamo avuto un iniziale apprezzamento, o meglio, ha accettato di farlo. Abbiamo fatto la conferenza stampa insieme.
  Quando abbiamo iniziato a costruire e a ottenere le disponibilità, abbiamo iniziato a misurare quotidianamente una resistenza di Tassone ad andare fino in fondo, con il tentativo di tornare indietro e di trattare, trattenendo qualche delega, tra cui deleghe delicatissime, come il personale – faccio un esempio – o i lavori pubblici. Su alcune deleghe sensibili c'era una resistenza ad andare avanti.
  Abbiamo misurato quotidianamente la resistenza. Noi gli chiedevamo anche di dichiarare, di farsi parte di una battaglia e di diventare quello che in prima persona si intestava le battaglie che stavamo facendo noi. Sistematicamente diceva di sì, ma poi non faceva nulla.
  Abbiamo, quindi, misurato un progressivo disallineamento rispetto a quello che avevamo deciso insieme, sia sull'accordo complessivo, sia sull'assetto complessivo di quella giunta, intesa non come chi sceglie i posti, ma come la definizione di mettere persone di qualità che venissero da fuori Ostia e che avessero una storia nazionale che conferiva loro una forza e una credibilità tali da poter resistere a eventuali pressioni e da poter sfidare a viso aperto un sistema illegale e una timidezza al limite della paura nell'assumere in prima persona le posizioni che noi, come partito, stavamo assumendo. Si trattava di sfidare a viso aperto un sistema e di mettersi in prima fila in quella battaglia.Pag. 7
  Questo, in tutta onestà, ci ha fatto dubitare. Ci ha fatto dubitare perché a volte, se scegli un frontman che deve interpretare una battaglia e capisci che quella battaglia non la vuole interpretare e, anzi, resiste e arretra rispetto alla posizione che abbiamo assunto, inizi a pensare che non sia quello giusto.
  Come ho provato a spiegare prima, è chiaro che questo può avvenire per paura legittima o per rapporti pericolosi. Allora non eravamo in grado di dire quale delle due fosse la ragione, ma, quale che fosse, era una ragione sufficiente per interrompere quell'esperienza.

  FRANCESCO D'UVA. Presidente, scusi se interrompo un attimo. Questo è tutto chiaro, ma temporalmente non riesco a configurarlo. Io sono alla conferenza stampa del 18 marzo 2015, in cui si parla di dimissioni di Tassone. Il giorno dopo, il 19 marzo, c’è invece l'intervista a Radio Città Futura, in cui parla della possibilità di riuscire a fare un rimpasto.
  Mi aiuta a far combaciare queste informazioni ? Non riesco a far combaciare i tempi di questa proposta di rimpasto di giunta, che ha giustamente citato adesso lei, prima con le dimissioni del 18 marzo e poi con il rimpasto del 19.

  MATTEO ORFINI. Il 18 marzo facciamo la conferenza stampa, in cui diciamo che a Ostia c’è un problema e che l'amministrazione municipale è stata lasciata sola. A posteriori dirò che ha voluto rimanere sola, ma è anche vero che c'era stata una grande disattenzione da parte dell'amministrazione comunale. In quel caso parlavo anche del Partito Democratico, del Partito Democratico pre-commissariamento sul tema di Ostia, che è stato trattato come un municipio qualunque, mentre non lo era.
  Questo noi dicevamo: chiediamo al sindaco di dare una mano a risolvere questo problema e, quindi, di riprendersi le deleghe e mettiamo il Partito Democratico di impegno a costruire una soluzione alternativa per mettere nelle condizioni Tassone di andare avanti.
  Queste condizioni, che poi abbiamo discusso anche con il sindaco, erano quelle che ha detto prima, cioè che si riprendessero le deleghe del litorale, che ci fosse la rotazione di alcuni dirigenti, che si fornissero delle risposte amministrative che il comune non aveva fornito, che Tassone azzerasse la giunta e che si facesse la super giunta della legalità. Non ricordo se parlammo in conferenza stampa, ma già ne parlavamo tra di noi. Credo che notizie fossero già filtrate sui giornali.
  L'intervista a cui lei fa riferimento è quella in cui, il giorno dopo, a domanda, iniziavamo a far capire, senza fare nomi. Vado a memoria, ma non mi sembra di aver fatto mai esplicitamente i nomi – filtravano sui giornali, come è normale – di quelli che stavamo cercando di coinvolgere. Nei giorni successivi ci eravamo messi al lavoro, entrando alla stretta sulla gestione di questo passaggio e sulla costruzione di questa super giunta.
  Ovviamente, nel momento in cui ci avvicinavamo al dunque, percepivamo i tentennamenti di cui sopra e questo, a un certo punto, ci ha fatto dire, assumendoci un certo rischio e anche reggendo a molte polemiche interne, che a fiuto non ce la sentivamo di puntare più su Tassone perché quella reazione non ci tranquillizzava, onestamente.
  Passo a Buzzi. Mi pare che la seconda parte fosse sull'ormai famosa cena di autofinanziamento del Partito Democratico nazionale, alla quale partecipò anche Buzzi. Mi chiedeva se abbiamo restituito i soldi.
  Intanto la cena avviene prima del commissariamento del Partito Democratico di Roma. Dopo l'emergere dell'inchiesta, la federazione di Roma aveva ricevuto 10.000 euro in occasione di quella cena. Buzzi versò le quote, che in realtà erano destinate al partito nazionale, alla federazione di Roma, che poi non le diede mai al nazionale, immagino, perché le utilizzò per pagare i suoi debiti. Era l'equivalente di un tavolo – i tavoli erano da 10.000 a persona – ossia 10.000 euro.
  C'era un versamento precedente, mi pare di 7.000 o 7.500 euro – ora non Pag. 8ricordo con precisione – che è quello emerso anche dalle intercettazioni. Fu chiesto un contributo a Buzzi in un momento in cui non c'erano le risorse per pagare i dipendenti e lui fece una sottoscrizione. Si trattò di un totale di 17.500 euro, mi pare, che, come annunciato, abbiamo restituito alla Cooperativa 29 Giugno.
  Lei poi mi chiede che cosa ha fatto Buzzi a quella cena, con chi ha parlato e che rapporti ha avuto. In tutta onestà, non ne ho la più pallida idea, perché all'epoca non sapevo che faccia avesse Buzzi. Sapevo chi era Buzzi per sentito dire, ma in una cena di mille persone non sarei stato in grado di riconoscerlo, perché non sapevo nemmeno quale fosse la faccia di Buzzi. Inoltre, non avrei avuto alcuna ragione, quand'anche l'avessi riconosciuto, per scrutarlo ogni minuto per sapere che cosa facesse. Posso semplicemente basarmi su quello che sappiamo tutti e che ho letto sui giornali, ma non ho idea con chi abbia parlato, cosa abbia fatto e chi abbia avvicinato in questa cena.
  Mi ha chiesto se c'erano altri finiti in questa inchiesta. Anche questo non sono in grado di dirlo, perché, come ho ripetuto in più di un'occasione, non ho l'elenco di quelli che hanno partecipato alla cena. Quell'elenco, per ragioni note di privacy, non è neanche pubblico e pubblicabile, ragion per cui, onestamente, non le so dire.
  Mi chiedeva se Scipioni sia ancora del Partito Democratico, perché, quando l'avete audito, lui ha detto così. Quando l'avete audito lo era, perché era in corso una procedura di garanzia. La questione è banale. Non lo è più nel senso che finalmente si è completata. Per fortuna, abbiamo delle regole interne piuttosto dettagliate sulle procedure di garanzia.
  Io chiesi mesi fa l'allontanamento dal Partito Democratico di Buzzi... Di Buzzi, ovviamente, l'abbiamo fatto subito. Intendevo di Scipioni. È un lapsus divertente, ma Scipioni si arrabbierebbe. Chiesi l'allontanamento dal Partito Democratico di Scipioni, degli assessori del Partito Democratico che non accettarono di dimettersi dalla sua giunta e dei consiglieri comunali che non gli votarono la sfiducia nel momento in cui arrivammo alla discussione in aula consiliare sulla mozione di sfiducia.
  Nel momento in cui ho motivato questa richiesta con un atto formale nelle nostre procedure interne alla commissione di garanzia regionale, perché quella di Roma è sciolta per effetto del commissariamento, la commissione di garanzia regionale ha correttamente dovuto espletare delle procedure, cioè le audizioni mie e del subcommissario Migliore, che facevamo queste richieste, di Scipioni, dei membri della giunta e dei consiglieri comunali in questione, che hanno, a loro volta, chiamato altre... C’è stato un procedimento che è durato abbastanza a lungo, che è dettagliato da diverse sedute verbalizzate dalla commissione di garanzia regionale, che per fortuna si è concluso con l'espulsione di Scipioni dal Partito Democratico.
  In effetti, quindi, lui è stato corretto nel dire che era ancora un iscritto del Partito Democratico, ma avrebbe potuto dire che c'era in corso una procedura, che però dubito, conoscendolo, abbia esplicitato in questa sede.
  Mi pare che le domande fossero queste. Ritorno cronologicamente indietro.

  MARCELLO TAGLIALATELA. Chiedo scusa. Le pongo una curiosità e una domanda specifica. Per quello che riguarda i finanziamenti della famosa cena, tutti i finanziamenti sono stati corrisposti nei confronti della segreteria provinciale del Partito Democratico ?

  MATTEO ORFINI. No. I finanziamenti andavano...

  MARCELLO TAGLIALATELA. Ha detto che quelli di Buzzi non sono andati alla segreteria provinciale.

  MATTEO ORFINI. Dovevano passare per la segreteria provinciale e sono, in effetti, passati per quella, ma non sono mai arrivati. Se li sono trattenuti. Io non c'ero ancora.

Pag. 9

  MARCELLO TAGLIALATELA. La domanda è: e gli altri ?

  MATTEO ORFINI. No. Quella era una cena gestita dal Partito Democratico nazionale e, quindi, i finanziamenti erano quelli. Buzzi evidentemente, avendo rapporti con il Partito Democratico di Roma, di cui conosceva i rappresentanti, e non avendoli invece con la tesoreria nazionale del Partito Democratico, oppure perché si è banalmente confuso e sbagliato, ha chiamato la federazione e ha detto: «Vorrei dieci posti. Vi ho fatto il bonifico». Così è andata.

  MARCELLO TAGLIALATELA. Più o meno, ricorda o sa quanti sono transitati per la federazione provinciale e quanti per il partito nazionale ?

  MATTEO ORFINI. Assolutamente no, perché, per mia fortuna, non faccio il tesoriere né dell'una, né dell'altra, ma è facilmente verificabile. Lo chiediamo. Comunque, in larghissima parte andava tutto... Penso sia un'eccezione quella del passaggio attraverso la federazione in questo caso specifico, ma possiamo verificare e ve lo posso far sapere. Basta chiederlo.
  Se non ci sono altre domande, tornerei indietro alle questioni che mi poneva l'onorevole Costantino, la quale mi contestava la categoria dell'opportunità politica utilizzata per giustificare alcune richieste di intervento su nostri iscritti, opportunità che però io non ho usato.
  Mi chiedeva delle dimissioni di D'Ausilio da capogruppo, che erano avvenute prima che divenissi commissario. Quando sono divenuto commissario, D'Ausilio non era più capogruppo ed era capogruppo Panecaldo, che è rimasto tale fino alle dimissioni dei consiglieri comunali. D'Ausilio si dimise allora da capogruppo per ragioni di conflitto politico col sindaco Marino, cioè per diversità di vedute, se ricordo bene. Tutto era precedente.
  È vera un'altra cosa, alla quale probabilmente lei si riferiva, ossia che a un certo punto D'Ausilio si è dimesso da consigliere comunale. Si è dimesso da consigliere comunale motivando questa scelta pubblicamente con la necessità di favorire un processo di rinnovamento politico del Partito Democratico di Roma e anche di non vedere strumentalizzate a danno del suo partito alcune accuse e indiscrezioni e alcuni atteggiamenti che giravano pubblicamente sui giornali intorno al suo operato. D'Ausilio era un consigliere comunale proveniente da Ostia ed eletto in larga parte con i voti di quel territorio.
  Si tratta di una decisione che maturò per effetto delle polemiche e delle indiscrezioni che furono pubblicate dai giornali e che io accolsi con favore. Quando mi capitò di parlare di questo con lui, manifestò a me e al senatore Esposito questa sua decisione e la trovai assolutamente apprezzabile. Di questo parliamo e non delle dimissioni da capogruppo.
  Su Tassone, l'altra questione di cui mi chiedeva, credo che la domanda sia assorbita dalle risposte che ho fornito, come anche su Scipioni. Non ho mai chiesto a Scipioni le dimissioni per opportunità politica. Ho chiesto le dimissioni di Scipioni esplicitamente e in modo pubblico per ragioni differenti, ossia perché ritenevo che il suo comportamento e le modalità con cui svolgeva le sue funzioni politiche e amministrative fossero incompatibili con quello che il Partito Democratico chiede ai suoi dirigenti e ai suoi amministratori.
  Nello specifico, mi riferisco alle modalità con cui il Partito Democratico di quel municipio era stato infeudato da Scipioni, come peraltro abbastanza chiaramente riferito dal rapporto Barca. Questo mi serve per rispondere anche all'onorevole Prestigiacomo, la quale diceva che era un testo sociologico che non aveva una ricaduta politica. Quel testo, che non era sociologico, ha prodotto delle ricadute politiche: abbiamo dimesso amministratori e chiuso circoli. Da un lato l'abbiamo fatto per questo, dall'altro per l'opacità di alcune azioni amministrative, a cominciare dal casus belli che è stata la nota vicenda, di cui credo abbiate discusso anche qui, della festa estiva di Tor Vergata. La gestione di tale festa presentava alcuni passaggi onestamente Pag. 10discutibili da un punto di vista amministrativo e della trasparenza amministrativa, che peraltro abbiamo avuto modo di verificare anche insieme in quel momento all'assessore Sabella. Sabella ci aiutò nella comprensione di quella vicenda, che ci ha portato a chiedere le dimissioni di Scipioni, come è noto alle cronache. Anche in questo caso non mi sembra di aver usato la categoria dell'opportunità politica.
  La presidente Bindi mi chiedeva che strumenti abbiamo individuato che consentono alla politica di arrivare prima della magistratura. Da questo punto di vista ho una visione forse un po’ vintage, ma alla quale sono piuttosto affezionato. Credo che gli strumenti siano i partiti. Credo, cioè, che, se un partito è tale e funziona, come il Partito Democratico di Roma...

  PRESIDENTE. Anch'io sono vintage.

  MATTEO ORFINI. Infatti. A volte siamo persino d'accordo. Se un partito è tale e funziona, è lo strumento migliore, perché una comunità trasparente, una scatola di vetro come dovrebbero essere, e non sono spesso, i partiti, e sicuramente non era il Partito Democratico a Roma, se è tale, consente ai membri di quella comunità di capire prima se uno è un poco di buono e se si comporta in modo inopportuno, persino prima che ci arrivino le forze dell'ordine e la magistratura.
  Questo non può avvenire casualmente ed è sempre più difficile che accada in una situazione in cui non abbiamo una norma che garantisca che i partiti siano tali. O non siamo d'accordo su quello che c’è scritto nella Costituzione, cioè che i partiti sono gli organismi che organizzano la democrazia di fatto, oppure, se riteniamo valido, come credo, quello che è scritto nell'articolo 49 della Costituzione – questa è una risposta anche a quanto mi chiedeva il senatore Buemi – credo che abbiamo bisogno, anche per evitare casi di questo tipo, di una legge di applicazione dell'articolo 49 della Costituzione.
  O rendiamo i soggetti che organizzano la democrazia e rappresentano i cittadini dei luoghi che siano davvero trasparenti, con una certificazione terza dei loro bilanci, contendibili con procedure democratiche di verifica certe, oppure corriamo ancora più rischi di quelli che comunque ci sarebbero a fronte di una legge di applicazione dell'articolo 49. Ritengo questo uno degli strumenti di cui dovremmo dotarci prima di ogni altra cosa.
  C’è poi anche un tema di formazione e selezione delle classi dirigenti, sul quale dovremmo riflettere. Questo lo dico prima di tutto al Partito Democratico, ma anche a SEL, a Sinistra Italiana e al Movimento 5 Stelle, ossia a quei partiti che più di altri hanno promosso il rinnovamento della classe dirigente, almeno in questi anni più recenti. Si tratta di un'iniziativa che rivendico come un merito, al di là della diversità politica di tutti noi, ma pone un tema amministrativo serio. A volte, questa volontà di rinnovamento ha prodotto classi dirigenti amministrative non formate ad amministrare. Si tratta di un tema che trasversalmente investe tutti noi e che rischia di diventare in alcune realtà un elemento di debolezza.
  Nel momento in cui ci sono amministratori impreparati, a governare non sono gli amministratori, ma gli uffici. In una situazione in cui misuriamo – il caso di Roma è emblematico, ma non è l'unico – quanto i fenomeni corruttivi che emergono in questa fase della nostra vita politica spesso riguardino, non voglio dire di più, ma in misura analoga, le funzioni burocratiche, gli uffici tecnici e i livelli alti, non solo dell'amministrazione, ma anche della politica, è chiaro che avere amministratori in grado di comprendere al meglio quello che si trovano ad amministrare e, quindi, anche se i dirigenti o i funzionari con cui hanno a che fare siano funzionari e dirigenti leali è un tema.
  Se arriva una classe dirigente nuova, ma non adeguatamente formata, il rischio aumenta. Penso che in quell'opera di ridefinizione di soggetti collettivi in grado di funzionare bene il tema di come si formano le classi dirigenti che si candidano ad amministrare una città o un paese sia un tema da affrontare seriamente.Pag. 11
  Un'altra questione da discutere sarebbe – ma è un dibattito che ci porterebbe molto lontano – se la preferenza sia strumento che favorisce o meno la rispondenza tra chi viene eletto e i gruppi di pressione, leciti o illeciti. In diverse occasioni mi sono trovato a esprimere qualche perplessità su questo ritorno di moda delle preferenze, ma c’è un dibattito su questo piuttosto trasversale alle forze politiche note. Segnalo solo che in alcuni casi può essere un veicolo e in altri no. È un tema che forse dovremmo approfondire.
  Gaetti mi chiedeva se le filiere verticali che ho denunciato siano figlie del fatto che si fa politica per troppo tempo nella vita e che il mandato politico non occupa solo una fase della vita e che, quindi, una certa professionalizzazione della politica favorisce la costruzione di filiere verticali. Non credo che sia così, perché ho visto filiere verticali costruirsi in due anni. Penso che sia piuttosto il modo con cui funziona un partito o una forza politica che produce quell'esito, non tanto la durata, ferma restando la valutazione che ognuno di noi può fare su quanto si debba rimanere nella vita a fare politica.
  L'onorevole Fava mi chiedeva di fatto, se ho capito bene, se fossi convinto che non sarebbe stato meglio giungere allo scioglimento del comune di Roma perché la metastasi non era solo politica e, quindi, non era sufficiente la discontinuità politica, se ho colto il senso della domanda.
  È un tema che, fermo restando che nessuno di noi era chiamato a fare quella scelta e che ne discutevamo da osservatori, ovviamente mi sono posto. Credo che lo scioglimento del comune di Roma per mafia non avrebbe favorito la soluzione del problema e avrebbe eccessivamente colpevolizzato chi era meno responsabile di altri di quell'esito. Credo cioè che la discontinuità politica non fosse solo rilevante nell'interpretazione della norma, ma che avesse consentito di mettere in campo delle misure che stavano già producendo una cura di quella metastasi e che quella cura potesse continuare in via ordinaria senza lo scioglimento.
  Come dissi nella relazione, ritengo quel bivio rozzo. Avremmo un gran bisogno – questo, come ci siamo detti, è oggetto della vostra riflessione e del vostro lavoro – di uno strumento intermedio. Credo che quella legge sullo scioglimento fosse in qualche modo datata e che obbligasse a una scelta non fino in fondo convincente.
  Avremmo un gran bisogno, soprattutto quando ad essere coinvolte, come sta avvenendo, sono realtà più grandi del piccolo comune che viene sciolto, di una norma che offra una terza via, un affiancamento, un sostegno a un'azione politica ove è riscontrata la discontinuità che consenta di mettere quell'azione politica nelle condizioni di bonificare fino in fondo.
  Oggi con poteri ordinari è difficile andare fino in fondo, ma la scelta straordinaria – ho fatto l'esempio di Ostia – ha a sua volta delle controindicazioni. La difficoltà, in una realtà enorme come un municipio di Roma, di una struttura commissariale di fornire risposte ai problemi quotidiani della gente rischia di ingenerare quella sensazione per cui si stava meglio quando c'era il municipio mafioso ma almeno qualcuno rispondeva, mentre adesso c’è una struttura commissariale che, per sua stessa funzione, assorbe tutte le competenze e fatica a fornire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini. Uno strumento intermedio, secondo me, sarebbe, alla luce di questa esperienza, assolutamente indispensabile.
  La seconda domanda che mi faceva l'onorevole Fava è se pensiamo di fare il lavoro che abbiamo fatto a Roma solo a Roma o di estenderlo anche ad altre realtà in cui il nostro partito può avere fenomeni degenerativi analoghi. Da questo punto di vista potrei dare a questa discussione un taglio molto autobiografico, il che sarebbe eccessivo, ma il lavoro che stiamo facendo a Roma è un lavoro faticosissimo e difficilissimo. Meriterebbe di essere esteso ad altre realtà del nostro Paese e comunque, come ha detto Barca, anche solo la parte di autovalutazione che è stata fatta sul nostro operato da Barca e dal suo team è un elemento di innovazione nel panorama europeo che credo vada valutato. Bisogna Pag. 12capire se può essere esteso e credo che possa diventare un modello per tutti. L'idea è che la politica e i partiti si autovalutino, anche se fino a un certo punto, e che affidino a uno strumento come quello che ha immaginato Barca una valutazione della qualità del proprio operato.
  Devo dire, però, che si tratta di un lavoro di una complessità enorme, che comporta la disponibilità a pagare un prezzo alto. Lo dico veramente senza alcuna polemica. Siamo in un Paese in cui sforzi che dovrebbero essere largamente apprezzati diventano, invece, oggetto di polemica politica e, quindi, a dire la verità su noi stessi si paga un prezzo maggiore che a non dirla nel dibattito pubblico, perché c’è sempre chi è pronto a strumentalizzare per legittime battaglie politiche questi fatti.
  Credo che abbiamo comunque voluto farlo in modo coraggioso. Dal mio punto di vista di commissario è qualcosa che dobbiamo cercare di istituzionalizzare, tematizzare e sistematizzare nella riflessione su come si riformano i partiti. Nel dirlo, colgo anche l'eccezionalità del caso specifico. Credo che affrontare una discussione come questa e istituzionalizzarla comporti una fatica e un impegno molto alto.
  L'onorevole Di Lello mi faceva una domanda, ma segretata, ragion per cui risponderei in segreto.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  MATTEO ORFINI. L'ultima domanda, se non ne ho dimenticate, è quella dell'onorevole Carbone, che mi chiedeva se nel nostro lavoro abbiamo avuto sensazioni di rapporti complicati di altri partiti con i sistemi illegali romani. Come avrete capito, non ho avuto difficoltà a fornire risposte pubbliche alle domande che sono state fatte sul Partito Democratico. Dovendo rispondere su altri partiti, ditemi voi se volete che lo faccia pubblicamente o segretando. Non ho problemi a farlo pubblicamente.

  PRESIDENTE. Nemmeno noi. Se l'audito non ce lo chiede, non segretiamo. Se mentre parla riteniamo che ci siano degli aspetti che lo richiedono... È chiaro che si assume la responsabilità di quello che dice.

  MATTEO ORFINI. Questo sempre, com’è noto. Faccio riferimento a questioni che sono anche emerse e cercherò di raccontare le mie perplessità evitando di utilizzarle polemicamente, come avviene nel dibattito pubblico.
  Com’è noto, ho avuto qualcosa da ridire, soprattutto in legame alla vicenda di Ostia, sui comportamenti di alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle. Vorrei spiegare perché. Come credo che oggi sia più chiaro rispetto a quando è iniziata la vicenda di Mafia Capitale, quando parliamo di Ostia, parliamo di una situazione molto, molto particolare, anche all'interno della questione del comune di Roma e di uno specifico territoriale in cui, come in molte realtà – non lo devo spiegare a voi – la mafia è particolarmente forte e il confine è molto labile tra ciò che è criminalità e ciò che costituisce interessi apparentemente legali che rispondono alla criminalità.
  Il grigio è molto diffuso. A volte è molto difficile orientarsi all'interno di realtà del genere. Io stesso oggi ho una comprensione delle vicende del X municipio e della realtà di quel territorio molto diversa dalle intuizioni che pure avevo appena quattordici mesi fa. Quello che mi ha, onestamente, fatto impressione è che, nel momento in cui abbiamo cominciato a fare nomi di famiglie stranote – gli Spada, per fare un esempio – che tutti conoscono a Roma e a Ostia, soprattutto a Ostia, ma che nessuno nomina mai, che nessuno nominava mai o quasi, almeno nella politica di quel territorio, nel momento in cui abbiamo iniziato a chiamarle per nome e a denunciare quello che facevano, nel momento in cui abbiamo portato l'attenzione Pag. 13su alcuni sistemi economici che, a nostro avviso, agivano nell'illegalità (penso, come ho detto in audizione, al sistema dei balneari e anche al modo in cui veniva gestito il porto a Ostia), nel momento in cui abbiamo iniziato a raccontare queste cose, a denunciarle e a farlo con i nomi e i cognomi, si è scatenata una tempesta di aggressioni, insinuazioni, delegittimazioni e tentativi di infangare tipica di alcune realtà mafiose del nostro territorio. È uno degli strumenti, come sapete meglio di me, con cui la criminalità organizzata, o comunque ambienti collaterali alla criminalità organizzata, reagiscono a chi sfida un sistema illegale.
  È successo che singoli e associati, soggetti noti alle cronache ostiensi, a volte organizzati in pseudo-associazioni antimafia – anche qui faccio riferimento a quanto conoscete perché è stato qui riportato dal senatore Esposito e credo che ne abbiate ampiamente discusso – hanno sistematicamente aggredito, mediaticamente, e lavorato per infangare la reputazione e la credibilità non mia, che è politica, e ci sta, non del senatore Esposito, che è politica, e ci sta, ma dell'assessore Sabella, che ci sta un po’ meno per il ruolo che lui svolgeva, ma soprattutto di quelli che denunciavano e combattevano in prima fila alcuni grumi di illegalità.
  Penso a Di Maggio, dei vigili urbani, che è quello che ha proceduto al sequestro sistematico, dopo le verifiche, di quasi tutti quegli stabilimenti che hanno sequestrato il lungomare e che l'hanno trasformato in un luogo dell'illegalità diffusa. Penso ai dirigenti del municipio, come Cinzia Esposito, a chi al comune di Roma – penso a Silvia Decina insieme ad Alfonso Sabella – faceva quella battaglia, a giornaliste come Federica Angeli, che queste cose ha denunciato e che per questo vive in una condizione molto complicata la sua vita. Si è scatenato l'inferno nei confronti di tutte queste persone che stavano combattendo a viso aperto quella battaglia.
  Quello che mi ha stupito è che quelli che queste battaglie combattevano sono stati considerati attendibili e credibili punti di riferimento dagli esponenti locali del Movimento 5 Stelle. Non parlo di CasaPound, perché quelli fanno addirittura le manifestazioni insieme agli Spada. Di questo penso – e spero – che risponderanno, prima o poi.
  Esponenti di spicco del Movimento 5 Stelle, mai smentiti dai vertici nazionali, anzi, da questo punto di vista sostenuti dai vertici nazionali di quel movimento, negli argomenti, nella confezione dei dossier – è noto che ci siamo trovati addirittura al paradosso di annuncio; non so se poi sia mai stata presentata – e a conferenze stampa...

  GIULIA SARTI. È stata depositata una relazione...

  MATTEO ORFINI. Poi direte. In ogni caso, hanno proceduto a una serie di attacchi e di polemiche fatti nei confronti delle vere associazioni antimafia e del loro operato su quel territorio e a conferenze stampa in cui alcune di queste affermazioni venivano fatte proprie. Se uno fa il banale, oltre a vedere chi partecipava alla conferenza stampa, cioè alcuni di questi noti esponenti, soprattutto se va a guardare argomenti e tesi sostenute, vede che rispecchiano e rivelano le proprie fonti.
  Potrei aggiungere, visto che questo è stato oggetto di una mia richiesta di chiarimento, a cui ancora attendo risposta, alcune affermazioni, frasi e aggressioni, ovviamente sempre mediatiche, del consigliere Ferrara ad alcune delle personalità di cui ho detto – ripeto, non quelle politiche – e il modo in cui ha guidato una battaglia contro la spiaggia gestita da Libera, scoprendo poi che il precedente gestore, a cui quella spiaggia era stata levata perché non l'aveva gestita esattamente come si doveva, era un suo amico.
  Penso all'incontro segreto – poi dirò sulla buona o la cattiva fede – poi svelato per effetto di una scoperta giornalistica, tenuto a porte chiuse e non in streaming, come siamo abituati a veder fare, degli esponenti locali del Movimento 5 Stelle e alla presenza dell'onorevole Ruocco con i balneari di Ostia, quelli che si sono rivelati per essere quello che tutti sapevano che Pag. 14fossero e che sono stati definiti un modello di onestà da prendere a riferimento.
  Questo insieme di cose, che segnalai per tempo e per il quale apprendo, anche se nulla mi è arrivato, di essere stato denunciato per aver provato ad avvertire che ci si stava infilando in una situazione delicata, può essere solo frutto di due cose: o di inconsapevolezza – può darsi, ma è grave, molto grave – o di una scelta politica. Nel momento in cui un'amministrazione e un partito come il nostro, con tutti i suoi problemi e i trascorsi che avevano in qualche territorio, iniziano una battaglia che tutti hanno riconosciuto, perché ha avuto degli effetti concreti, molto dura con un sistema di illegalità; quando parliamo di revoca di tutte le concessioni balneari e di abbattimento del lungomuro; quando chiediamo all'amministrazione – e poi avviene – di andare con le ruspe a buttare giù gli abusi edilizi; quando chiediamo di intervenire sequestrando quegli stabilimenti balneari; quando chiamiamo per nome le famiglie dei clan e diciamo che con quelle non bisogna avere nulla a che fare; quando avviene tutto questo, vedere che un partito che su questo terreno, ovviamente nel rispetto della nostra diversità di opinioni su quasi tutto il resto, ci aspetteremmo essere nostro alleato, da un lato, fa sue le posizioni, le aggressioni e gli argomenti delle finte associazioni antimafia del territorio e, dall'altro, fa sponda con quei soggetti – penso ai balneari – un pochino questo allarma, per le ragioni che ho espresso. O è inconsapevolezza e, quindi, mi preoccupo perché ho pure avvertito, oppure è una scelta politica, e allora mi preoccupo ancor di più.
  Credo che in territori come questi si debba stare molto, molto attenti. Bisognerebbe cercare di fare tesoro di chi ha misurato sulla propria pelle il danno che si fa a non ergere un muro rispetto a quel sistema e anche assumersi qualche rischio. In più di un'occasione mi sono state preannunciate querele dagli Spada, dai balneari e via elencando per le cose che ho ripetuto qui e che ho detto pubblicamente, assumendomene la responsabilità – non sono mai arrivate – perché a volte, in una situazione del genere, bisogna anche rompere la gabbia di silenzio ipocrita e omertoso che c’è in un territorio.
  Se devo giudicare quello che ho misurato e – ahimè – ancora misuro quotidianamente, mi sento di dire che qualche verifica all'interno del Movimento 5 Stelle in quel territorio suggerirei di farla (parlo di verifica politica, come quella che abbiamo fatto noi), per capire se quello che si dichiara nazionalmente sia ben incarnato da chi territorialmente rappresenta il vostro simbolo.
  Credo di aver risposto a tutte le domande che sono state fatte.

  PRESIDENTE. L'onorevole Vecchio vorrebbe fare una domanda e poi l'onorevole D'Uva vorrebbe intervenire a sua volta. Abbiamo pochi minuti.

  ANDREA VECCHIO. Ho ascoltato il suo intervento della volta scorsa e in parte – sono arrivato un po’ in ritardo – quello di oggi e ho visto che il protagonista del suo intervento è la politica, l'uomo che si occupa di politica a livello comunale e a livello di sottocomune. Dappertutto la responsabilità viene scaricata alla politica. In parte credo che abbia ragione. Mi pare, però, che la sua esposizione sia un po’ lacunosa per quanto riguarda la burocrazia.
  Io ho un chiodo fisso con la burocrazia. Ritengo che il male principale sia la burocrazia all'interno di questi comuni, soprattutto di quelli che sono più vicini al territorio e più vicini alla gente, perché, per quante volte lei sostituisca il politico, epuri una classe politica e la sostituisca con un'altra, il burocrate è sempre lì a fare da lievito madre perché queste cose lievitino e si allarghino.
  Mi dicono che sono strano quando faccio queste affermazioni e che ce l'ho con i lavoratori. Rispetto moltissimo tutti i lavoratori, tranne quelli che rubano lo stipendio e, occupando il loro posto, malversano e fanno imbrogli e intrallazzi. Sono sulla scena della vita da troppo lungo tempo per non avere assistito quotidianamente a scene di questo tipo.Pag. 15
  Credo che la politica, quella con la P maiuscola, quella che lei, con la sua posizione di presidente del PD, e tutti gli altri partiti tutti insieme, rappresenta debba parlare di questo. Quando ho sollevato obiezioni di questo tipo, non ho visto un solo politico, di qualunque schieramento, che non attaccasse me e difendesse il burocrate perché sono il nemico dei burocrati. Io sono il nemico dei burocrati, ma di quelli che non fanno niente, di quelli che danneggiano questo Paese, di quelli che rovinano questo Paese. Misurare la qualità e la quantità del lavoro del burocrate è possibile oggi con i sistemi informatici che esistono. Si possono misurare la qualità e la quantità. Di questi argomenti vi voglio sentire parlare, perché sono alla base di tutto. Ho assistito a comuni sciolti tre volte di seguito nello spazio di dieci anni e i dirigenti comunali sono sempre allo stesso posto, allo stesso scranno.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Onorevole D'Uva, aveva una domanda in più. Non deve interloquire con l'ultima parte, vero ?

  FRANCESCO D'UVA. Presidente, in realtà no, non era quella la mia intenzione. Per taluni versi, già l'altra volta, in via informale, volevo dire quanto ritenessi poco pertinente la domanda del collega Carbone su questo atto, ma alla fine non mi sono opposto assolutamente, perché ritengo che sia sempre utile ai fini dello studio del fenomeno mafioso, di cui si deve occupare questa Commissione, sentire il presidente del Partito Democratico sul Movimento 5 Stelle.
  Chiaramente c’è da dire che magari dal nostro punto di vista la delegittimazione e il fango erano dovuti, più che altro, alla presenza di Tassone e non al nominare di Spada, ma forse sono interpretazioni diverse, ragion per cui non vado nemmeno a interloquire.
  Invece, presidente, volevo approfittare, visto che c’è stata questa casualità – è stata una casualità; credo che il presidente capisca a che cosa mi riferisco – per parlare della notizia di ieri, di attualità, relativa a quello che è successo alle primarie del Partito Democratico. Lo dico senza polemica.

  PRESIDENTE. Anch'io non sto facendo polemica. Non la sto interrompendo in maniera polemica, ma capisce bene che il presidente Orfini è stato sentito sul caso Roma.

  FRANCESCO D'UVA. Se non vuole rispondere, non mi oppongo.

  PRESIDENTE. No, io penso che non sia giusto fare la domanda. È una questione diversa. Sono sicura che il presidente Orfini risponderebbe, ma ritengo che la sua domanda sulle primarie di adesso a Roma, ma soprattutto a Napoli, non c'entrino niente con l'oggetto dell'audizione del presidente Orfini.

  FRANCESCO D'UVA. Non è assolutamente pertinente con l'oggetto, ma volevo approfittare per chiedere questa cortesia alla presidenza, se fosse possibile farlo, perché, sempre ai fini del fenomeno mafioso...

  PRESIDENTE. Preferirei di no, onorevole D'Uva, perché introduciamo una variante che poi ci potrebbe ritornare contro in altre circostanze. Stiamo al pezzo. Penso che ci possiamo fermare qui, perché penso che sia giusto così.

  ANDREA VECCHIO. Vorrei aggiungere una cosa. Noi utilizziamo l'alibi della mafia per giustificare qualunque malversazione ci sia nel Paese. La mafia è un fenomeno completamente diverso, che non c'entra con la malversazione che c’è nelle amministrazioni. A volte si sposa, a volte si somma.

  FRANCESCO D'UVA. Ai fini dell'inchiesta della Commissione è un peccato, perché avere la possibilità di parlare con un presidente di un partito il giorno dopo è qualcosa che agli atti negli anni a seguire sarà unico. Mi dispiace.

Pag. 16

  PRESIDENTE. Lo richiameremo. Se dovessero esserci degli aspetti che risultano interessanti, lo richiameremo.

  FRANCESCO D'UVA. Nella storia, vedere come un partito reagisce il giorno dopo, secondo me, è meraviglioso.

  PRESIDENTE. Ho capito, ma non c'entra la mafia, onorevole D'Uva. Rispondiamo sulla burocrazia.

  MATTEO ORFINI. Tranquillizzo tutti. Sono stato dieci minuti, prima di entrare qui, con i giornalisti. Troverete in agenzia le risposte a queste domande.
  Rispondo all'onorevole Vecchio. Non so se sono stato lacunoso sulla burocrazia. Credo di no, nel senso che ho detto che uno dei problemi è che spesso, anche per effetto del rinnovamento, abbiamo amministratori che si fanno governare dalla burocrazia. In questa fase storica, con riferimento alla burocrazia, ovviamente non in quanto tale, ci sono elementi delle amministrazioni che sono stati il grimaldello corruttivo con cui si è entrati nell'amministrazione.
  Penso che un politico e un amministratore formato e capace non se la faccia fare sotto gli occhi dall'amministrazione. In qualche modo questa era una delle scuse di Scipioni, per tornare alla prima parte dell'audizione: «Se ci sono stati dei comportamenti e dei segni di opacità nella vicenda di Tor Vergata, non è colpa mia, ma degli uffici». Ho capito, ma tu sei il presidente di quel municipio. Se non sei nemmeno in grado di controllare i tuoi uffici, vai a casa. È una conferma della bontà della mia richiesta, non certo una scusa da addurre.
  Da questo punto di vista credo che una politica più in grado di svolgere con competenza la propria funzione sia anche meglio nelle condizioni di governare un apparato burocratico e soprattutto di comprendere dove ci sono grandi qualità, come in larga parte dei casi, e dove ci sono degenerazioni.

  ANDREA VECCHIO. Trascura la legge Bassanini.

  PRESIDENTE. È un altro dibattito. Comunque su questo tema non potremo non soffermarci.
  Mi corre l'obbligo di fare una precisazione per quanto riguarda la domanda e la risposta sulla valutazione da parte del presidente Orfini sulle altre forze politiche. Devo dire che in questa Commissione sul caso Ostia le vicende che hanno interessato alcuni esponenti locali non hanno trovato alcuna eco e alcuna risonanza. Il lavoro su Ostia è stato condotto da questa Commissione nel suo plenum, in particolare la missione, senza che avessero risonanza le posizioni assunte da alcuni esponenti del Movimento 5 Stelle a Ostia e a Roma.
  Se non c’è altro, ringrazierei il presidente Orfini per la disponibilità. Naturalmente, se nella predisposizione della relazione su Roma avessimo ancora bisogno di qualche precisazione, sappiamo di poter contare sulla sua disponibilità. Grazie.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.