XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 80 di Mercoledì 24 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Variazione nella composizione della Commissione:
Fico Roberto , Presidente ... 2 

Seguito dell'audizione del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli:
Fico Roberto , Presidente ... 2 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 2 
Airola Alberto  ... 8 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 8 
Fico Roberto , Presidente ... 11 
Anzaldi Michele (PD)  ... 11 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 11 
Anzaldi Michele (PD)  ... 11 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 11 
Fico Roberto , Presidente ... 11 
Anzaldi Michele (PD)  ... 11 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 11 
Anzaldi Michele (PD)  ... 11 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 11 
Fico Roberto , Presidente ... 11 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 11 
Fico Roberto , Presidente ... 11 
Rossi Maurizio  ... 11 
Fico Roberto , Presidente ... 12 
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 12 
Fico Roberto , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e successivamente sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Variazione nella composizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che in data 17 febbraio 2016 il Presidente del Senato ha chiamato a far parte della Commissione il senatore Riccardo Villari in sostituzione del senatore Mario Ferrara, dimissionario. Nell'esprimere il mio personale ringraziamento, anche a nome degli altri componenti della Commissione, al collega Ferrara per il suo contributo alla nostra attività, do il benvenuto, con l'augurio di buon lavoro, al collega Villari.

Seguito dell'audizione del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'audizione del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli, che ringrazio di aver accolto l'invito della Commissione.
  Ricordo che l'audizione del dottor Campo Dall'Orto si è conclusa nella seduta dello scorso 17 febbraio. Do la parola al dottor Verdelli perché risponda ai quesiti concernenti l'offerta informativa della Rai e alle domande che la Commissione ha posto nelle ultime due sedute.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. È un po’ difficile riannodare i fili di un incontro che ha avuto tre tappe. Proverò a farlo anche perché nel frattempo – come sapete, il mio incarico è cominciato il 7 gennaio – ho maturato, rispetto alla prima convocazione in Commissione, qualche ulteriore elemento di valutazione e di comprensione della materia che mi è stata affidata.
  L'onorevole Anzaldi ha dichiarato con intento fortemente ironico che nella mia prima esposizione ho mostrato un vasto programma. È vero che il mio programma è vasto, ma come è vasto il programma che ha davanti non soltanto il mio compito, ma la stessa Rai. Prima di rispondere alle specifiche domande – e questo risponde anche a molti quesiti che sono stati posti, direttamente o indirettamente, al direttore generale Campo Dall'Orto – vorrei se è mi permesso fare una precisazione. Senza voler attribuire responsabilità ad alcuno di coloro che hanno preceduto non me, perché non esisteva un incarico come il mio, ma a coloro che hanno diretto la Rai negli anni precedenti, la mia diagnosi è che, dal punto di vista dell'informazione intesa in senso generale, ossia dell'informazione televisiva, radiofonica e digitale, è come se l'orologio della Rai si sia fermato al Novecento. Questo è proprio evidente, al di là di ogni connotazione, riflessione e polemica politica. C’è un problema tecnico: l'orologio si è fermato al Pag. 3Novecento. Purtroppo, per fortuna o comunque nei fatti, siamo in un altro secolo e in un'altra civiltà.
  Un'azienda di comunicazione, quella che viene descritta con un po’ di enfasi (non numerica, perché nei numeri è così) come la più grande azienda culturale del Paese ha un problema – ripeto, mi limito all'ambito che mi concerne dal punto di vista informativo – di adeguamento ai tempi. Non è adeguata ai tempi che stiamo vivendo. Non è adeguata ai bisogni e alle esigenze del pubblico degli italiani, che sono e continueranno a essere, finché la Rai sarà l'azienda chiamata a gestire il servizio pubblico dell'informazione, non gli azionisti di maggioranza, ma gli azionisti di stragrande maggioranza. Sempre l'onorevole Anzaldi ricordava giustamente in un altro recente articolo sull'Unità che i cittadini pagano con 2 miliardi di euro due terzi del bilancio della Rai, il che non è una questione da poco. Non è tanto una questione di retorica: è così. Quando si mettono due terzi del patrimonio di un'azienda, si diventa non soltanto un azionista di maggioranza, ma un azionista di stragrande maggioranza. Il problema fondamentale di questi azionisti di stragrande maggioranza è che nella loro vita hanno fatto passi avanti e hanno bisogni informativi e di intrattenimento diversi da quelli che la Rai in questo momento può garantire loro. Un vastissimo programma quello che aspetta – per quanto sarà lunga, al di là del contratto – la mia gestione dell'informazione della Rai. È un vastissimo programma perché si tratta di trasportare un complesso intreccio di testate, telegiornali, radio e informazione digitale dal Novecento agli anni presenti.
  Mi è peraltro molto chiaro un limite del mandato di direttore editoriale per l'offerta informativa che mi è stato assegnato, e che, come hanno ricordato molti, credo nella storia di più di sessant'anni della Rai non ve ne sia stato uno analogo. Sono una persona piena di difetti, ma con una certezza: se c’è un incarico, lo svolgo fino in fondo, nella pienezza del suo mandato. Non lo considero un incarico onorifico, altrimenti non l'avrei accettato. Ho intenzione di svolgere la mia funzione, ma entro i confini che mi sono stati assegnati dal consiglio di amministrazione. Dico questo con la consapevolezza che questo mandato – il mio, ma credo anche quello di tutti coloro che dirigono la Rai, a cominciare dal direttore generale – è a tempo. Sessantadue anni di storia della Rai vogliono dire questo: se svolgo tre anni di mandato (il direttore generale non so quanti ne farà, ma non voglio parlare per lui, parlo per me), vuol dire che sono il frazionista di una staffetta molto lunga, che viene da molto lontano e che ha lasciato segni importanti nella storia del Paese, che non attraversa in questa fase storica un momento brillante, come ogni altra azienda di comunicazione. Le aziende più dinamiche sono quelle che stanno cercando un assetto ragionevole di equilibrio dei conti e della proposta verso un mondo che è cambiato, ma con la consapevolezza che questa staffetta passerà il testimone a qualcun altro. Avrò considerato assolto o meno il mio compito secondo come riuscirò a passare questa staffetta a chi verrà dopo di me. Si tratta dunque di un mandato a tempo, che fa parte di una storia molto lunga, il cui futuro sarà interpretato da qualcun altro. Credo questo, in questo preciso momento storico, al di là di tutte le polemiche che vedo grandinare sulla Rai in questo periodo, specialmente sul terreno dell'informazione, che mi riguarda, polemiche che però non fanno parte delle domande alle quali devo rispondere. Non rispondo sui giornali, perché non è il mio ruolo, non è il mio compito, ma vedo molta attenzione da parte del mondo della politica su quello che accade dentro la Rai. La questione che mi è molto chiara è che si tratta di un mandato a tempo, di un mandato impegnativo, ma anche di un mandato che capita in un momento nel quale, se non si fanno determinate cose, si rischia di non poterle fare più, perché il tempo non aspetta.
  Quando si viaggia in pianura, se uno ha un po’ di distacco rispetto a chi è in testa, fa in tempo a recuperare. Quando, invece, si è in una discesa, come quella che sta Pag. 4attraversando il mondo della comunicazione nel mondo, le cose stanno diversamente. Tenete conto che in America c'erano quattro settimanali molto importanti, che hanno fatto la storia dell'informazione statunitense, e non solo. Ne sopravvive uno, che fa parte di Time, il più grande gruppo di comunicazione del mondo. Se giornali come Newsweek sono stati chiusi e svenduti, qualcosa vorrà dire. La crisi dell'editoria, compresa quella televisiva, in tutti i Paesi occidentali è sotto gli occhi di tutti e avrà immagino, purtroppo – non credo di essere un profeta di sventure – effetti ancora più devastanti negli anni che verranno.
  Dovendomi occupare della Rai, sento fortemente il bisogno di fare presente all'azienda, alle parti dell'azienda che si occupano di informazione, che non c’è più tempo da perdere, perché di tempo in qualche modo in buona fede certamente se ne è perso.
  C’è un dato che voglio portarvi prima di entrare nelle risposte alle domande, indicativo di quello che vi sto dicendo. Lo sto dicendo a voi, che siete la Commissione scelta dai due rami del Parlamento per occuparsi di vigilare sulla Rai. Questo rientra nei vostri compiti, ma non mi sembra quello più interessante. Avete anche il compito di condividere un'esperienza. Come dicevo, avendo entrambi – io per la mia parte, i dirigenti della Rai per la loro parte, i giornalisti della Rai per la loro e voi per la vostra – lo stesso mandato, voi diretto e noi indiretto, ossia un mandato popolare: abbiamo di fronte tutti, ognuno per la sua parte, che è ben distinta, una sfida indifferibile. Faccio un esempio. Quando vedo che nelle classifiche dei siti web Rainews numericamente, per numero di giornalisti e di testate, è al ventunesimo posto nella classifica degli utenti unici dei siti web, lo prendo come un segnale di allarme grave.
  Più che errori, senatore Minzolini, c’è una sottovalutazione di quello che stava accadendo, di cui non si può non prendere atto. Non possiamo raccontarci delle bugie. È un problema enorme. Se un'azienda che vuole fare comunicazione vuole stare nel mondo degli anni Duemila e affidare il testimone a chi verrà dopo, deve tenerne conto. Il senatore Minzolini poneva un tema interessante, al quale non so dare un'immediata risposta, ma sul quale rifletto e riflette il dottor Tagliavia, che è stato nominato capo del digitale da poco tempo: vale la pena di fare un grande portale Rai.it oppure affidarsi ai grandi marchi che la Rai ha come il TG1, che è il più importante marchio di informazione della Rai ? Sono elementi di dibattito, ma l'importante è che almeno il dibattito sia cominciato. Non ho la certezza, e nessuno sinceramente ha più certezze nel mondo dell'informazione, tantomeno io, ma questi sono dibattiti fertili. Su questo poi si gioca tutto. Sbagliare una mossa in questo senso fa sì che gli esiti e i risultati cambino di molto. Perlomeno il dibattito è cominciato dentro l'azienda e questo mi sembra un dato importante.
  Da quando sono arrivato sto studiando, come qualcuno mi ricordava. Sto studiando, ma alcune cose sono state fatte, perché c'erano situazioni di urgenza che andavano affrontate. C’è una situazione di urgenza, per esempio, relativa a Rainews24. Non soltanto perché le norme prevedono che la Rai deve avere un canale all news, ma perché è importante per la strategia di informazione della Rai che ci sia un canale all news. Per quella che ritengo si svilupperà come la strategia informativa della Rai è importante avere un canale della televisione pubblica di Stato che trasmetta informazione ad ampio raggio.
  Non esistono soltanto l'informazione politica, l'informazione economica e gli esteri. L'informazione per un cittadino è tante cose. Il tempo è un'informazione su cui si deve essere accurati. Il traffico è informazione. Luigi Albertini, storico direttore del Corriere della Sera, diceva: «Dobbiamo dare ai nostri lettori notizie e utili avvisi». È una formula apparentemente molto semplice, ma anche molto sintetica di quello che è anche il compito di un servizio pubblico e di un buon giornalismo: fornire il più possibile «notizie e utili avvisi», facendo in modo che Pag. 5le notizie siano verificate e verificabili e che gli utili avvisi siano davvero utili e precisi. Il canale all news Rainews24 aveva una vacanza da quando il suo direttore – stiamo parlando dell'agosto scorso – è diventata presidente della Rai. È stato scelto un direttore che considero dalla carriera invidiabile, di grande esperienza e di grande capacità. Anche lì, i numeri fanno tanto per me, anche perché i numeri, senza essere ossessionati dalle battaglie degli share o dell’audience, ti dicono qualcosa e ti aiutano a capire se stai sulla strada giusta o no. Rainews24 fa numeri troppo piccoli rispetto al numero delle persone e delle risorse che ci lavorano. Questa non è, francamente, una situazione che uno nella mia posizione può accettare. Magari sbaglierò o sbaglieremo, ma, per parlarci francamente, uno assume un incarico perché si sforza di migliorare numeri che sono assolutamente non accettabili rispetto agli sforzi che l'azienda compie, non per legge, ma per convinzione, su una data questione.
  Senza entrare nello specifico, perché non è questa la sede per parlare delle persone, se la Rai, ossia il servizio pubblico, cioè i cittadini italiani, finanzia l'acquisto di due avvenimenti molto importanti come gli Europei e le Olimpiadi, oltre a una serie di altre manifestazioni sportive importanti, l'azienda si carica di costi considerevoli, perché i diritti costano, e non soltanto i diritti, ma anche la messa in onda e tutta la struttura necessaria perché questa messa in onda su tutti i canali a disposizione sia efficace. Abbiamo quindi cambiato il direttore dello sport, non perché si fosse macchiato di chissà quale colpa: era bravissimo il direttore di Rai Sport. Non ho assolutamente nulla da imputargli, ma c'era bisogno, secondo me, di una narrazione dello sport un po’ diversa da quella che la Rai ha fatto fino a oggi. È una scelta sbagliata, è una scelta giusta ? Il mestiere di uno che dirige una fabbrica di informazione e che in qualche modo ne indirizza strategicamente le testate è un po’ questo. Si tratta di prendere dei rischi perché le cose migliorino, non in senso etico, ma nel senso dell'efficacia e della contemporaneità del racconto. Questo è.
  Mentre uno studia, continua a studiare e continuerà a studiare fino all'ultimo giorno del suo mandato, lungo o corto che sia, ci sono alcune esigenze che sono state affrontate e altre che verranno affrontate. Alcune non rientrano minimamente nella mia sfera di azione, come le nomine recenti delle reti, che sono, come ben sapete tutti voi, a differenza di come, molto impropriamente, è stato scritto su alcuni giornali, di assoluta e riservata prerogativa del direttore generale. Mi sto riferendo ai direttori delle reti.
  Una delle domande che sono state proposte – rispondo a Verducci, Airola, Gasparri, Pisicchio, Peluffo, Anzaldi e Bonaccorsi – è quali siano le prospettive del piano Gubitosi. Quando sono arrivato, non è stato neanche un argomento di discussione, nel senso che non sono stato incaricato di rivederlo. Era già stato accantonato. Non vorrei perdere né farvi perdere del tempo su riflessioni su qualcosa che non giudico. Dico soltanto, se posso permettermi un non richiesto parere, che aveva un difetto: era un piano numerico interessante, come tutti i piani numerici, che portava risparmi, razionalizzazioni, efficienze, dietro il quale però non c'era – lo dico con tutto il rispetto per chi l'ha steso, e questa è la mia personalissima opinione – quell'indirizzo strategico secondo me indispensabile in questo momento per la Rai. Le organizzazioni delle redazioni, delle strutture informative, sono importantissime. Non sono così stupido da non capire che l'organizzazione del lavoro determina il modo in cui il lavoro viene realizzato. Sono, però, figlie di un progetto. Se voglio fare un giornale di opinione senza fotografie e che chiude alle 17.00, tanto per capirci e dare un'idea, ho bisogno di un'organizzazione del lavoro di un certo tipo. È inutile che abbia dei grandi open space, dei grandi schermi, dei collegamenti se non ho neanche un sito Internet. Viceversa, se voglio fare un'informazione h24 per tutti i device, gli screen possibili, televisivi, smartphone, computer, Pag. 6mi serve un'organizzazione del lavoro che risponda al bisogno che sto cercando di esprimere editorialmente. L'organizzazione del lavoro che il piano Gubitosi prevedeva era più che altro numerica. Nel piano erano previste due newsroom: perché non una soltanto ? Perché non tre ? Era un po’ questo il punto. A me è stato chiesto di ribaltare il problema. Prima, cerchiamo di capire dove vogliamo andare, dopodiché ci organizzeremo dal punto di vista tecnico per andare in quella direzione.
  Cito l'esempio di un caso che non mi è stato posto, ma che ho posto al direttore generale. Vi sembrerà una stupidaggine, ma non lo è. Lo è apparentemente, ma è tutt'altro che una stupidaggine. Se qualcuno di voi è stato mai a Saxa Rubra, una delle grandi fabbriche dell'informazione Rai – come sapete, più di venti su tutto il territorio nazionale, perché la Rai è l'unica struttura informativa con la 21 sedi regionali, un presidio territoriale in ogni regione d'Italia, nelle regioni a statuto speciale, con telegiornali in lingua, che trovo una ricchezza straordinaria e benedetta – capite immediatamente che l'architettura, non tanto quella esterna, bella o brutta che sia, ma quella interna appartiene a un modo di fare informazione che andava bene nel Novecento. Sono stanzette. Può starci Montanelli nelle stanzette, ma non può starci un giornale, giornalisti, operatori, programmisti, che devono produrre cose che vanno in parte su un giornale, in parte sulla rete, in parte sugli smartphone. Non si lavora in stanze chiuse. Il mondo si spalanca, le cose succedono, esistono le grandi notizie, le cosiddette breaking news, che cambiano il corso dell'informazione di una giornata, come la morte di Eco, l'ultima, un evento luttuoso, ma non tragico, non inaspettato, o inaspettato ma tragico ed emergenziale, come è stato per esempio l'eccidio del Bataclan. In un caso come quello della morte di Eco ci si organizza, ma capite che il tipo di esigenza che ha la gente è l'immediatezza, quello che ripetevo l'altra volta, la comprensione. La gente ha tutto il diritto di chiedersi perché i giornali o i telegiornali diano così spazio a Eco, di non sapere chi sia. A maggiore ragione si ha tutto il diritto se si è utenti del servizio pubblico che ha tutto il dovere di spiegare chi sia Eco e far capire perché così tanta gente in Italia si sente profondamente colpita dalla sua morte. Diamo per scontate un sacco di cose. Così facendo, continueremo a perdere un sacco di pubblico, perché parliamo una lingua che la gente non capisce e ha tutti i diritti di non capire.
  Non sono per un'informazione pedagogica, educativa, per il miglioramento della coscienza umana, non l'ho mai pensato. Tutt'altro che informazione glamour-pop, ma lasciamo perdere queste cose. Sono per un'informazione onesta, che parte dal presupposto molto sincero che la gente sa molto meno di quello che chi fa informazione presume debba sapere. Una delle mille ragioni per cui sono contento di aver accettato la sfida della Rai è questa: di provare ad abituare, a convincere a lavorare le persone che fanno informazione in quest'azienda perché la Rai diventi davvero uno strumento attraverso il quale aumentare le conoscenze dei cittadini in tempi ragionevolmente rapidi.
  Il mio mandato – perché non ci siano equivoci, ma credo lo sappiate, che sia una notizia pubblica – dura tre anni. Già un mese è passato, quindi sono tre anni e un po’ meno, se non ci saranno incidenti di percorso. È quindi un mandato breve sui tempi lunghi della storia del giornalismo. Soprattutto, è un mandato breve rispetto alle urgenze, tante, di un'azienda grande come la Rai. Ci metterò tutta l'energia possibile perché non ci siano sprechi di tempo in cose che non siano strettamente attinenti agli scopi che mi sono stati dati dal direttore generale e che io stesso individuo come principali. Tra questi, uno viene riassunto nella polemica dei sei microfoni. La polemica dei sei microfoni non ricordo più su Renzi o Mattarella, ma capite che poco importa, è interessante, non tanto perché i sei microfoni sono indici dello spreco. La Rai ha 15 canali, più quelli tematici, che però non tutti fanno informazione. Diciamo che sono 5 o Pag. 76 quelli che fanno informazione in televisione: Rai Uno, Rai Due, Rai Tre, i Tg regionali, l’all news, i canali radiofonici. Se ognuno vuole seguire il viaggio di Renzi, di Mattarella o del papa e pensa di far parte di un'azienda propria, ci va col suo microfono, il suo operatore, il camion, la parabola, il secondo inviato che fa il costume. Questo andrebbe benissimo se fossi il capo dell'azienda del TG2. Il problema è che sono il responsabile informativo della strategia di un'intera azienda, che va sotto una sola bandiera, la Rai. Non è tanto la razionalizzazione per non sprecare risorse, comunque è un bene assoluto, e specialmente non sprecare risorse da mettere a disposizione dei cittadini italiani che, volenti o nolenti, pagano il canone per vedere quello che offriamo loro, ma è anche un problema editoriale. Per alcune testate, la presenza in loco per seguire la conferenza stampa di una grande autorità dello Stato è importantissima, e quindi è giusto che ci siano delle risorse. Peraltro, dipende dal taglio che avranno: è evidente che devono avere tagli differenti. Non vorrei addentrarmi di più, perché comunque sono il dirigente di un'azienda che ha i suoi segreti editoriali, è un cantiere, e quindi ci tengo a lavorare al riparo dalle indiscrezioni. In un laboratorio, quando si lavora, molto spesso le boccette si incoccano, si mettono insieme elementi che non funzionano, si fanno esperimenti. Quello che, però, mi è chiaro è che, per restare a un esempio – così ci chiariamo su quello che intendo – tre telegiornali della sera, della fascia del prime time, che hanno lo stesso palinsesto, lo stesso elenco di titoli, significano che si presume che vi sia un solo modo di dare informazione, mentre vi sono tre strumenti che invece devono suonare in modo un po’ diverso. È vero che le notizie sono tali, ma sono talmente tante e il modo in cui si possono tagliare è tale che forse la mission del TG1 è un po’ diversa da quella del TG2, a sua volta un po’ diversa da quella del TG3, mentre è molto chiara quella del TGR. Nella mission del TGR, però, con l'informazione regionale, si aggiunge una variabile: che tipo di informazione regionale si fa ? C’è un modo di fare informazione regionale targato Novecento, e ce n’è uno targato anni Duemila, che non vuol dire fare informazione regionale con i pixel. Bisogna capire però i bisogni della gente che si ha davanti. Non si può prescindere da questo. Se si fa un telegiornale, regionale, nazionale, internazionale, con i criteri con cui lo si faceva cinque anni fa, si sta sbagliando. Il mondo sta dicendo che si sta sbagliando, quindi si deve cambiare. Non si può pretendere di aver ragione sul mondo.
  L'indipendenza dal potere politico è stato uno dei temi sollevati. I criteri per la nomina dei direttori sono questioni strettamente collegate. Mi attengo alle dichiarazioni rese dal direttore generale – parlo strettamente per me – il quale ha rivendicato con molta chiarezza che tutte le nomine che ha fatto finora, comprese le più importanti, evidentemente quelle delle tre reti, sono state fatte in assoluta autonomia da qualunque influenza anche politica. Questo vuol dire che se n’è assunto pienamente la responsabilità. Se faranno bene, sarà merito suo; se faranno male, sarà colpa sua. Mi pare sia questo il discorso fatto da Campo Dall'Orto. Noi possiamo raccontarci delle bellissime favole, per parlare francamente tra persone adulte che fanno questo mestiere, io il mio, voi il vostro, a parte qualche collega molto giovane da qualche anno: la politica è fondamentale se si vuole portare la Rai un po’ più avanti. Ripeto che parlo con molto rispetto della storia della Rai e di chi l'ha fatta. La Rai ha avuto un ruolo centrale nella formazione dell'identità culturale e civile del Paese. Nell'ultimo periodo, questo ruolo si è un po’ perso. Non so se sia la Rai a essere lo specchio del Paese o il Paese lo specchio della Rai, ma è evidente che c’è un problema che non riguarda soltanto l'Italia. Rispetto alle giovani generazioni, è un problema culturale, civile e anche politico piuttosto serio, per risolvere il quale non c’è una ricetta semplice. La politica non è soltanto nei grandi dibattiti che si svolgono nelle aule o nelle commissioni, ma anche negli effetti che questi dibattiti produrranno sulla vita Pag. 8delle persone. Credo che la differenza tra servizio pubblico e non servizio pubblico sia tra un buono e un cattivo giornalismo. Punto.
  Facciamo un sondaggio su cosa significhi quello che state discutendo in questi giorni, che cambierà o meno le cose – dipenderà da come andrà il voto, non è quello che mi importa – ossia le unioni civili e la stepchild adoption: sono sicuro che, se prendiamo 100 italiani e glielo chiediamo, 99 diranno che non sanno cos’è la stepchild adoption; se lo chiedo a un direttore di uno dei miei telegiornali, mi risponderà che l'ha spiegato due giorni fa. Due giorni fa, però, «quel» signore non era presente in televisione, e ricordatevi che ha tutto il diritto di non sapere, di non capire, di non ricordare. Sono tre diritti fondamentali non solo dei clienti, dei telespettatori o degli utenti del servizio pubblico, ma di qualunque giornale pubblicato. Quella legge avrà, però effetti sulla vita dei cittadini e sul costume dell'Italia. Certamente qualunque giornale, Rai compresa, qualunque emittente di informazione deve occuparsene. È diverso il ruolo, e tanto più la Rai deve farlo con equilibrio tenuto conto che è rappresentativa, proprio per la sua costituzione, di tutte le parti, di tutte le fedi, le sfumature di pensiero e i dubbi in gioco. Si vede quando si va a votare: aumenta il grande bacino dell'incertezza. Anche quello, il grande bacino del dubbio, va servito, informato. Come ? Non indirizzandolo a una parte o all'altra, ma fornendo gli strumenti per decidere e capire. Per quello che riguarda il modo in cui nomineremo i nuovi direttori, se col job posting, con i curricula, gli interni, gli esterni, vi dico francamente che, di certo tecnicamente rilevanti, a me sembrano problemi ininfluenti. Quello che viene prima di qualunque nomina, almeno per quelle nelle quali avrò voce in capitolo per il ruolo, è che i programmi vengono prima delle persone. C’è una grande corsa a chiedere: adesso che sono cambiate le reti, quando cambieranno i direttori dei telegiornali ? È un problema che proprio non mi affascina, non mi appassiona: quando ci saranno segni evidenti che la Rai ha cominciato a muoversi, grande com’è, verso gli anni Duemila. Una volta che la strada sarà presa, le persone, i direttori, i vicedirettori che si adegueranno, che saranno considerati più adatti a questo cammino, lo faranno; quelli considerati meno adatti – sono sempre scelte arbitrarie, nessuno ha il Vangelo in mano – verranno sostituiti. Davvero insisto...

  ALBERTO AIROLA. Sarà il manuale Cencelli...

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Il Cencelli mica tanto. Non ho mai lavorato su questo concetto, francamente. La mia carriera è lì a dimostrarlo. Ho preso anche molte decisioni nel privato, non nel pubblico, ma questo non mi può essere attribuito. Credo che chi mi ha scelto per questo ruolo lo abbia fatto proprio per questo. Sta diventando un certificato che qualcuno esibisce come un vantaggio o uno svantaggio. Della mia carriera vengono ricordati alcuni episodi, come medaglie che mi assegno o che mi vengono assegnate perché sono stati dei successi. Ho passato nove anni al Corriere della Sera, come sapete un giornale piuttosto importante, come vicedirettore di due direttori importanti come Paolo Mieli e Ferruccio De Bortoli. Se sono stato scelto per questo ruolo da Campo Dall'Orto è perché, nonostante abbia una carriera piuttosto lunga, non sono ascrivibile a nessun partito politico. Qualcuno dice che sono renziano: non ho proprio il piacere di conoscere il Presidente del Consiglio, neanche di persona: non l'ho mai visto. Se lo trovo per strada, io riconosco lui perché l'ho visto in televisione, e lui probabilmente non riconosce me. Non lo rivendico. Non è una cosa che valga tanto o valga poco. È un fatto. Difficilmente a me verranno attribuite scelte da manuale Cencelli, perché non è proprio la mia carriera. Lo dico con sincerità. C’è chi nella sua carriera ha scelto di fare questa professione stando più vicino a una parte politica o a un'altra, interpretando al meglio degli interessi, ma non è il mio caso. Ho Pag. 9sempre misurato la carriera, le scelte che ho fatto o le persone che ho scelto sulla base dei numeri che queste persone potevano fare. I numeri sono l'unico sistema che abbiamo per capire se siamo più vicini o più aderenti ai bisogni del pubblico al quale ci rivolgiamo. Così sarà pure per i telegiornali, ove mai sarà.
  Quanto ai talk show, problema annoso, nel senso che è di questi anni, partiamo tutti da un concetto. C’è bisogno certamente di approfondimento: i quotidiani nel corso degli anni, e non soltanto in Italia, hanno cambiato il modo di affrontare il palinsesto delle notizie. Sono diventati dei settimanali. Questo ha contribuito a far sì che i settimanali in Italia facciano molta più fatica, perché sono diventati molto più grandi, con articoli più lunghi, approfondimenti, molte più pagine dedicate allo stesso argomento. I giornali degli anni Settanta non erano così. I telegiornali per loro stessa natura non possono allungarsi più di tanto, perché sono contenuti in palinsesti. L'approfondimento è importante: quando si è trovata la formula del cosiddetto talk show, è stata un'occasione di dibattito politico, di approfondimento, sono state fatte cose anche importanti nell'informazione attraverso i talk show. Improvvisamente è come se la formula di tutti i talk show, non soltanto di quelli della Rai, sia in crisi, ma non c’è una formula alternativa che per magia tutto trasformi: bisogna lavorarci. Resta forte il bisogno dell'approfondimento. Non si può non tener conto del fatto che, a fronte di un calo generale di audience della TV generalista – accade in tutto il mondo, non soltanto in Italia – bisogna rivedere i meccanismi narrativi dell'approfondimento, che non vuol dire eliminarli. In realtà, gli ingranaggi dell'informazione sono complessi, come lo sono quelli della politica o della scienza dei quanti. Niente è semplice, e niente ha scorciatoie o soluzioni immediate. Quello che non va fatto, secondo me, è dire che è colpa del mercato, invece di dire che le cose non funzionano perché stiamo sbagliando qualcosa. A questa logica non ci sto mai. Il mercato, gli utenti, i telespettatori hanno ragione. Se ci guardano di meno, hanno ragione loro. Il problema è nostro e dobbiamo trovare il modo di farci guardare di più. Dove stiamo sbagliando ? Questo è il mio tipo di impostazione.
  Concludo sulla tempistica dell'inserimento dei cento nuovi assunti del concorso dei giornalisti. So che c’è stato questo concorso, che mi sembra una cosa molto bella fatta dalla Rai. So che è stato fatto con molta serietà, rispettando criteri per quanto possibile specchiati. So che il presidente di questa giuria ci ha messo molta passione, come mi ha raccontato direttamente, ma come ha fatto anche il dottor Fiorespino, il capo del personale della Rai, che ha seguìto insieme a Ferruccio De Bortoli, il presidente, questa selezione. Cento giornalisti aspettano di entrare in Rai. La Rai è un'azienda con 1.534 giornalisti o 1.564, la cifra è variabile, quindi tantissimi. Sono tantissime le cose che la Rai fa sul fronte dell'informazione. Verranno certamente inseriti, e proprio in questi giorni ne stavamo parlando, in alcuni punti in cui, per quanto sembri strano, esistono delle emergenze proprio di giornalisti. La cosa importante è, poiché l'azienda è molto grande, che vengano inseriti in una condizione nella quale possano imparare. Quando si entra in una grande azienda come la Rai si deve avere l'umiltà, da avere sempre, di imparare. Non dovrebbero però finire in posti in cui le qualità che li hanno portati a vincere il concorso, con una graduatoria che va da 1 a 100, vengono annegate perché la struttura è troppo grossa e non ci si può ben esprimere e tirare fuori il proprio contributo per riossigenare il sistema. Cento persone che vengono dall'esterno sono tante. Si tratta appunto anche attraverso di loro, di riossigenare un sistema che nell'ultimo periodo ha un po’ segnato il passo dal punto di vista informativo. Secondo me, proprio perché c’è il canone, proprio perché c’è la concessione dello Stato, un'azienda editoriale, di informazione che può permettersi nel 2015/2016 di assumere cento giornalisti è un'azienda che vede triplicare le proprie responsabilità nei confronti del pubblico. Tutte le Pag. 10aziende private di informazione li licenziano i giornalisti, tagliano il personale, le redazioni, i servizi, col paradosso addirittura che tagliano il personale, l'informazione, i servizi, i lavoratori e aumentano il prezzo. È una cosa che non succede in nessun ramo di business, ma nell'editoria, almeno in Italia, succede. La Rai è nelle condizioni, per quello che ci siamo detti, di poterli assumere. Per fortuna, questo è stato fatto. Per parte mia, sono contento di poter lavorare senza l'angoscia di un saving umano sulle persone. È certo che è assolutamente indispensabile che la macchina si rimetta in moto. Senza nulla togliere a chi ha guidato, si rimetta in moto su quelle corsie che dicevo.
  Molte polemiche sono state sollevate in questi giorni. Non è questa la sede per raccoglierle o rispondere, anche perché non sono tenuto per ruolo a giustificare o a rispondere a singole questioni non poste in questa Commissione. Onestamente, però, tengo a riportare, con questo concludendo per non annoiarvi – so che avete cose molto più urgenti di queste – una frase secondo me significativa, molto importante, pronunciata a proposito di un servizio di Ballarò. Come sapete, la trasmissione è un talk show e, come tutti i talk show, quelli di La7, quelli dell'anno scorso e così via, non fa degli exploit di audience. Della cosa ho già parlato. A proposito di una puntata particolarmente discussa, in cui era stato usato l'aggettivo «incestuoso» per la ministra Boschi, benché senza nessuna polemica, mi preme però chiarire un punto, che vi chiarisce il mio pensiero, che è la ragione per cui sono qua, ossia essere molto trasparente e onesto con voi.
  L'onorevole Anzaldi ha detto, a mio avviso, una cosa molto importante: non riferendosi all'aggettivo, che pure è stato oggetto di molte polemiche, ma al servizio che ha preceduto quella parte – sarà stato buono o cattivo su Banca Etruria ? – fa un'affermazione dirimente, e cioè che la funzione dell'informazione del servizio pubblico dovrebbe essere quella di tranquillizzare i cittadini che hanno perso i propri risparmi, nel caso di specie, e non di fomentare ansie o paure. È una posizione legittima, ma non è la mia. Io penso che la funzione del servizio pubblico e di qualsiasi servizio giornalistico dignitoso non sia quella di tranquillizzare. Penso che sia quella di informare, che una cosa vicina, ma non è la stessa. Credo che una delle ragioni per cui i giornali in generale hanno perso così tanto negli ultimi anni – giornali intesi come stampati o mandati in onda – è che hanno rinunciato alla loro funzione principale, che è quella di informare, senza esagerare i toni, né dal lato catastrofista, né dal lato particolarmente rassicurante. La gente non ha bisogno – ho molto rispetto del pubblico e degli italiani – di essere né rassicurata, né spaventata. Ha bisogno di essere informata. Penso che i cittadini in primis debbano avere dal servizio pubblico tutti gli elementi per farsi un'opinione. Si può sbagliare a fornirli: correggeremo. Si possono commettere errori nel modo in cui vengono confezionate le cose. Se ne possono commettere migliaia, anche perché sono migliaia le cose che la Rai produce. La bussola principale, però, è questa: tratto i cittadini, ossia i miei azionisti di maggioranza, come persone coscienti e responsabili e credo che il mio primo dovere sia quello di fornire loro tutti gli elementi di realtà che sono capace di mettere insieme perché si formino un'opinione. Se poi si spaventano, si angosciano o si tranquillizzano, fa parte del rapporto tra loro e la loro coscienza. Dico questo non per rivendicare – mi creda – una posizione migliore rispetto a quella che lei indica, ma perché è una convinzione profonda che ho. Preferisco, da cittadino, sapere le cose come stanno, possibilmente da persone informate, che hanno fatto tutta la fatica necessaria per spiegarmele. Poi decido io, cittadino, che opinione farmi.
  In questo senso il discorso che facevo con voi la prima volta, quel famoso «You» di Time che ha anticipato i tempi, rappresenta la grande sfida che ha di fronte l'informazione, non soltanto della Rai, ma in generale nel 2016, nel 2017 e nel 2018: imparare a trattare i cittadini, i lettori, i Pag. 11telespettatori, i radioascoltatori e i navigatori esattamente come loro vogliono essere trattati, ossia alla pari. Noi siamo pagati per fare questo lavoro, ossia fornire al meglio le notizie che riusciamo a confezionare e spiegarle. Poi sarete voi – cittadini, telespettatori, radioascoltatori, utenti di Internet – a decidere l'uso che preferite farne e l'opinione che preferite farvene.

  PRESIDENTE. Avevamo concordato di non fare altre domande.

  MICHELE ANZALDI. Mancano risposte alle domande passate, altrimenti dobbiamo riconvocarlo, presidente.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. A quali domande non ho risposto, mi scusi ?

  MICHELE ANZALDI. Intervengo sull'ordine dei lavori. Non ha risposto per esempio a quella sulle foibe.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. A quella sulle foibe le rispondo immediatamente. Mi sono informato. Lei fa riferimento al TG3, perché il TG1 e il TG2 hanno ricordato le foibe. Guardiamo la questione nel suo complesso. Non ha bisogno di convincere me sul fatto che le foibe vadano in qualche modo ricordate, anche se quello che è importante è il modo in cui questi ricordi vengono espressi e il contenuto che viene proposto. Qui ricado nella questione principale: se non viene spiegato che cosa sono state le foibe, ma viene fatto soltanto un passaggio testimoniale nel quale si dice che oggi è l'anniversario delle foibe, non si fa un buon servizio. La Rai ha coperto comunque l'argomento delle foibe sia nell'edizione del TG1, sia nell'edizione del TG2. Può essere che il TG3 – non sono andato a controllare – non l'abbia fatto, ma la Rai nel suo complesso ha dato informazione sulle foibe quel giorno. Francamente, non capivo la ragione della polemica. Non è che non volessi risponderle. Se la Rai avesse saltato tutta la ricorrenza delle foibe, mi sarei domandato la ragione, ma si è trattato di una testata su tre.

  PRESIDENTE. L'intervento deve essere sempre inerente alla domanda.

  MICHELE ANZALDI. Non faccio alcuna polemica. Semplicemente ho notato un vostro comunicato aziendale che diceva: «Ecco cosa ha deciso l'azienda Rai su come fare la copertura» e c'era un elenco di cose. Quelle del TG3 non ci sono state, per cui chiedevo un chiarimento. Non c’è alcuna polemica. Nessuno dice che non sono state trattate, ma l'azienda – penso con una riunione – ha deciso di diramare un comunicato che diceva che ci sarebbero state determinate cose, che poi non ci sono state. Che le devo dire ? Volevo un chiarimento su quel comunicato che ha annunciato a tutti una cosa che non c’è stata.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Il comunicato era firmato dalla Rai ? Che cosa diceva ? Mi scusi, me lo dica nel dettaglio, perché non lo conosco.

  MICHELE ANZALDI. Se non lo sa, stiamo qui...

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Me lo spiega.

  PRESIDENTE. Prego, senatore Rossi.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Scusi, vorrei finire l'argomento.

  PRESIDENTE. Do io la parola, non lei. Prego senatore Rossi.

  MAURIZIO ROSSI. Avrei molte osservazioni sulle domande che ho fatto, ma non ne farò neanche una, perché lei è una persona stupenda, di un'onestà intellettuale Pag. 12rara. So di avere davanti una persona con cui potrà esserci un rapporto leale e sincero.

  PRESIDENTE. Onorevole Anzaldi, vuole continuare con una domanda specifica su questa questione per chiarirsi meglio ? No ? D'accordo.
  C'era forse una precisazione relativa ai prossimi referendum. Al di là della delibera della Commissione di vigilanza che arriverà a breve, si tratta di iniziare a fornire informazione sul fatto che ci saranno i referendum, come da legge sulla par condicio del 2000.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Questa domanda non c'era...

  PRESIDENTE. Si trattava in effetti di una domanda posta dall'onorevole Nesci al direttore generale. Se non ci sono altre di richieste di chiarimento, ringrazio il dottor Verdelli e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.