XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 40 di Giovedì 14 gennaio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 2 

Audizione del deputato presso il Parlamento europeo, Paolo De Castro:
Catania Mario , Presidente ... 2 
De Castro Paolo , deputato presso il Parlamento europeo ... 2 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Cenni Susanna (PD)  ... 6 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 7 
Bordo Franco (SI-SEL)  ... 7 
Mongiello Colomba (PD)  ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 8 
De Castro Paolo , deputato presso il Parlamento europeo ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del deputato presso il Parlamento europeo, Paolo De Castro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del deputato presso il Parlamento europeo, Paolo De Castro.
  Oggi riprendiamo dopo la pausa delle festività con un'audizione di grande importanza e di grande spessore. In particolare per noi è importante, nell'ottica della riunione odierna, il fatto che Paolo De Castro sia relatore, fra l'altro per la Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo, del negoziato transatlantico, quindi ha un osservatorio specifico di estrema importanza su una problematica, quella del negoziato transatlantico, che poi incide sul tema della tutela del «made in», delle denominazioni eccetera su cui molti di voi hanno espresso preoccupazioni in passato.
  Cedo quindi la parola al professor Paolo De Castro per lo svolgimento della sua relazione sulla materia.

  PAOLO DE CASTRO, deputato presso il Parlamento europeo. Grazie, Presidente. Io comincerei, se siamo d'accordo, con una mia breve introduzione e cercherei di stare entro i 10-15 minuti al massimo per lasciare più spazio possibile alle vostre domande, visto che stiamo toccando un tema che è molto articolato: il negoziato tra gli Stati Uniti d'America e l'Unione europea.
  Si tratta di un negoziato enorme e importantissimo. Circa un terzo del commercio mondiale passa da queste due grandi realtà, Unione europea e Stati Uniti. L'importo complessivo dell'interscambio si avvicina ai 700 miliardi di euro annuali, per cui potete immaginare quanto vasti siano gli interessi in gioco e quanti settori – ovviamente io mi soffermerò solo su quello agroalimentare – siano interessati.
  In merito allo stato dell'arte, una prima considerazione importante che voglio fare in premessa è che siamo in una fase relativamente di stallo, nel senso che in Europa c’è stata l'approvazione l'estate scorsa della risoluzione Lange. Bernd Lange, un collega socialdemocratico tedesco, ha portato al voto una risoluzione sul negoziato transatlantico che ha riunito in sé le opinioni di tutte le Commissioni di merito che sono state coinvolte; tra cui naturalmente anche l'opinione che ho redatto io nella Commissione agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo.
  In quel voto a luglio il Parlamento si è espresso e l'ha fatto ovviamente con una serie di raccomandazioni. In merito, suggerirei di tenere agli atti la risoluzione Lange approvata dal Parlamento europeo nella seduta di luglio scorso che è disponibile in tutte le lingue e in cui c’è ovviamente dovizia di dettagli per le Pag. 3preoccupazioni e, se volete, anche i «paletti» che il Parlamento europeo ha inserito relativamente a questo importante negoziato.
  Dopo quel voto e dopo anche l'undicesimo round negoziale che si è tenuto in Florida qualche tempo fa, di fatto la palla – per dirla giornalisticamente – è nel campo americano che, però, è in questo momento impegnato perché, come sapete, sono iniziate già le primarie per le presidenziali di fine 2016, per cui la tensione si era tutta scaricata nell'accordo col Pacifico che aveva raggiunto una conclusione positiva per loro.
  Ci sono stati degli incontri al più alto livello tra l'ambasciatore Froman, responsabile del negoziato per gli Stati Uniti, e la nostra commissaria Malmström, ma di fatto il prossimo appuntamento sarà a febbraio. Si tratta di un altro round negoziale dal quale non ci si aspetta dei passi avanti particolari tali da arrivare addirittura a ipotizzare una conclusione dell'accordo entro questa amministrazione, quindi, oggi come oggi, è veramente molto difficile pensare che ci possa essere un'accelerazione in questi prossimi mesi, visto che oramai siamo entrati in piena campagna per le primarie e poi ci sarà quella per le presidenziali.
  Tutto ciò significa che dovremo aspettare la nuova amministrazione americana perché, come sapete, l'amministrazione di Obama conclude il suo mandato, quindi ci sarà un cambio della guardia di tutto il sistema, per cui non pensiamo che prima dell'estate del 2017 ci possa essere qualche inizio di discussione più compiuta.
  Del contenuto del negoziato abbiamo già parlato in Commissione agricoltura durante un'audizione convocata dal Presidente alla quale credo fossero presenti anche alcuni colleghi e che, se non ricordo male, è di pochi mesi fa. Le novità sono in questa audizione – credo d'accordo con il Presidente Catania – incentrate sul punto che riguarda le indicazioni geografiche perché dal punto di vista delle tariffe e dal punto di vista dei problemi non tariffari i temi sono abbastanza noti e le preoccupazioni pure, per cui non aggiungerei nulla, salvo che voi poi, nella fase del dibattito, non vogliate sollevare dei punti.
  Le indicazioni geografiche rappresentano il grande capitolo che è il terzo ed è importantissimo e particolarmente importante per noi, come potete bene immaginare, visto che l'Italia detiene una posizione di leadership all'interno dell'Unione europea sulle denominazioni d'origine. Su questo tema c’è un interessante dibattito, anche perché la posizione di partenza tra l'Unione europea e gli Stati Uniti è totalmente opposta, nel senso che noi abbiamo un sistema giuridico nostro costruito dalla norma europea che ha impiantato il sistema delle denominazioni di origine, delle indicazioni geografiche e delle specialità tradizionali garantite.
  Il nostro riferimento giuridico sono le norme europee che tra l'altro, come ricordate, recentemente sono state ulteriormente rafforzate col pacchetto qualità che nella scorsa legislatura abbiamo votato e che oggi è un Regolamento applicato. Tale Regolamento ha ulteriormente rafforzato il sistema di tutela introducendo la norma ex officio che oggi dà più forza agli Stati membri nel combattere le contraffazioni all'interno, però, ovviamente – aggiungo – dei confini dell'Unione europea. All'esterno dell'Unione europea l'unica strada per poter aumentare il livello di protezione e di tutela non sono altro che questi accordi internazionali tra quelli fatti e quelli che appunto, come il Transatlantic trade and investment partnership, sono in corso.
  La posizione è totalmente diversa perché basano tutto il loro ragionamento sulle regole del diritto internazionale, ossia del copyright (materia che in questa Commissione discutete regolarmente), e non hanno nessun punto di vista coincidente sulle norme europee. Per loro le norme europee sono europee e fuori dall'Europa non valgono nulla, quindi non c’è alcun tipo di tutela fuori dall'Unione europea Pag. 4per le nostre denominazioni. Questo rende ovviamente la trattativa particolarmente complicata.
  Voglio aggiungere un dato importante per la sensibilità politica: tante volte in passato ci siamo trovati, come il Presidente ricorderà, a dover difendere il sistema della denominazione e l'Italia era quasi sempre sola o al massimo accompagnata dalla Francia e dalla Spagna, ma ora per la prima volta c’è un impegno formale e forte di tutta l'Unione europea.
  Voglio ricordare quante volte la stessa commissaria Malmström ha detto che mai si firmerà un accordo con gli Stati Uniti, se non c’è un avanzamento in materia di indicazioni geografiche.
  Queste sono dichiarazioni molto forti che hanno fatto presa negli Stati Uniti. Durante la mia recente missione a Washington dei primi di novembre – lo posso testimoniare – di fronte all'ambasciatore Froman si sono detti molto preoccupati perché la posizione intransigente europea si scontra col diritto americano, quindi non riescono a vedere quali possano essere le vie d'uscita per trovare un terreno o una landing zone dove arrivare a un minimo accordo.
  Non ci sono possibili accordi di fronte a un'interpretazione giuridica completamente opposta, cosa che invece avevamo notato col Canada nell'accordo del CETA perché qualche timida apertura in casa canadese in quell'accordo, non per tutte, ma solo per alcune denominazioni, c'era stata. C'era stata una timida presa di posizione positiva, quasi un riconoscimento, sebbene parziale, di alcune denominazioni, ma c'era un riconoscimento delle norme europee, cosa che non c’è negli Stati Uniti.
  È questo il motivo per cui recentemente, devo dire anche per iniziativa dei nostri consorzi per i prodotti a denominazione italiana, si è intrapreso un dibattito che lasciamo solo a livello di dibattito perché sul piano formale non c’è nessun cambiamento dal punto di vista della strategia negoziale.
  Inoltre, si continua a porre il problema dal punto di vista dei negoziatori ufficiali. Nel caso di specie della DG Agri, John Clarke, che è il capo dei negoziatori e affianca il capo dell'intero negoziato europeo con gli americani, diceva: «noi continuiamo nella linea di tutela del sistema giuridico europeo, ma a fianco a questo si sta invece arricchendo il dibattito sul tema cosiddetto del misleading, cioè delle evocazioni». Voglio dire che gli americani hanno molta più difficoltà nel continuare a sostenere il loro approccio rispetto al nostro europeo, quando spostiamo l'angolo dall'aspetto giuridico, quindi legato alla produzione, verso l'aspetto legato ai consumatori e al comportamento dei consumatori perché sapete bene che negli Stati Uniti ci sono delle associazioni di consumatori molto forti e molto potenti che di fronte all'informazione ingannevole sono molto agguerrite.
  Da questo punto di vista c’è stato un interessante dibattito che abbiamo fatto a Washington con l'associazione cosiddetta dei Common name, dei nomi comuni, cioè quella che loro hanno di fatto costituito. È stata l'associazione dei Common name che ha mobilitato un gruppo importante di senatori americani a scrivere quella famosa lettera che ricorderete a Obama per dire di escludere dal negoziato TTIP qualunque accordo con l'Europa sulle indicazioni geografiche, quindi il motore contro l'Europa sta proprio nei Common name.
  In quella sede noi abbiamo sollevato il tema delle evocazioni, cioè quello che noi chiamiamo normalmente «Italian sounding». Tale fenomeno, al di là del fatto che gli Stati Uniti possano riconoscere giuridicamente o meno le norme europee, rimane un problema di appropriazione indebita di valore, quando gli Stati Uniti pongono o una bandiera o un nome o un nome di città o una fotografia che evoca il prodotto italiano o evoca il prodotto francese o greco, quando in realtà di francese, italiano o greco non c’è nulla. Questa è una vera e propria presa in giro dei consumatori americani.Pag. 5
  Su questa lunghezza d'onda, quindi spostando l'angolo dalla produzione e dalla tutela delle norme giuridiche al consumo e all'informazione corretta, abbiamo assistito a una oggettiva difficoltà americana a tenere il confronto. Ripeto, oggi lo stato del dibattito è tale che queste cose rimangono solo semplici spunti per un'eventuale individuazione di landing zone, di area di conclusione del negoziato, ma siamo ancora lontani dall'esito, visto e considerato anche i tempi che abbiamo di fronte.
  Certamente è suggestivo da questo punto di vista il fatto che il Consorzio del Parmigiano Reggiano in una recente conferenza stampa qui a Roma ha presentato alcuni dati molto interessanti che noi abbiamo fatto nostri – anzi prossimamente lo faremo insieme agli spagnoli, ai francesi a Bruxelles – dove si è potuto dimostrare, numeri alla mano, con un'indagine fatta a un campione di consumatori americani quanti punti percentuali spostino le evocazioni.
  Per una fetta di parmigiano reggiano Parmesan con tutte le indicazioni, ma senza nessuna evocazione, il campione dei consumatori americani riconosce il prodotto come fatto negli Stati Uniti per quasi il 70 per cento. Tuttavia, se su quello stesso pezzo di parmigiano confezionato viene messa una bandiera italiana e il nome italiano di un produttore, come in nel caso di Stella che produce un prodotto con una bandiera italiana, quel 70 per cento si riduce al 40 per cento, cioè una stragrande maggioranza dei consumatori americani di fronte a quelle evocazioni dice che il prodotto è italiano.
  Questi dati presentati hanno suscitato molto interesse. Inoltre, non c’è dubbio che questa pista è interessante semmai nell'ambito del negoziato non si dovesse raggiungere – qui ovviamente vado più a ipotesi ottimistiche – un qualche accordo sull'eliminazione delle evocazioni, quindi un sistema di etichettatura trasparente che possa non indurre in errore il consumatore americano. Voglio dire: se tu vuoi fare la feta o vuoi fare il roquefort, va bene, però l'importante è che il consumatore abbia certezza che sia made in USA nelle forme e nei modi che poi andrebbero ovviamente negoziati, studiati e applicati.
  Su questo capitolo vi ho voluto dare qualche anticipazione di questo dibattito. In realtà a oggi stati di avanzamento formali del negoziato non ce ne sono, come invece nel caso delle tariffe e nel caso delle barriere non tariffarie c’è qualche passo avanti, anche se ancora è ben lungi da arrivare a un'ipotesi di accordo.
  Tenete conto che ci sono ancora tantissimi punti difficili da superare, a partire dal sistema di gestione delle controversie di SDS al tema più grave dell'energia, alle difficoltà che si stanno trovando sul sistema degli appalti. Inoltre, nel complesso negoziato TTIP in cui su quei 700 miliardi di euro che citavo all'inizio l'agroalimentare è rappresentato con i suoi 25 miliardi di euro, sommando le importazioni più le esportazioni, per cui potete capire che è una piccolissima percentuale di valore, però dal punto di vista dell'impatto anche emotivo intorno a questo negoziato ha un'importanza notevole.
  Detto ciò, non dobbiamo sottacere il tema più generale che riguarda gli interessi europei. Come abbiamo detto anche in Commissione agricoltura con l'onorevole Luca Sani, stiamo parlando di circa 15 miliardi di euro di esportazioni agricole e alimentari europee verso gli Stati Uniti a fronte di circa 9 miliardi di importazioni dagli Stati Uniti verso l'Europa, quindi con un saldo attivo crescente negli ultimi dieci anni e importante per l'Europa.
  Prima di chiudere questa mia presentazione un po’ superficiale, ma che può, spero, solleticare qualche domanda, vorrei dire che non dovete sottovalutare l'approccio diverso all'interno dei ventotto Stati membri rispetto agli interessi in gioco, cioè, se voi vedete la struttura delle esportazioni europee rispetto alla struttura delle importazioni dagli Stati Uniti verso l'Europa, si capisce immediatamente chi ha più interesse e chi non ne ha.Pag. 6
  L'Europa esporta quasi tutti i prodotti ad alto valore aggiunto originati nei Paesi del sud dell'Europa. Il primo prodotto che esportiamo è il vino, infatti di circa 5 miliardi di euro di vino che esportiamo negli Stati Uniti quasi tutto, se non tutto, è del sud dell'Europa. Poi, esportiamo olio, esportiamo pasta, esportiamo prodotti da forno, esportiamo formaggi che sono spesso formaggi duri, figli più che altro di una cultura mediterranea. Esportiamo questi prodotti a fronte delle importazioni che sono invece di materie prime, quindi di cereali, di mais e di soia o di carne – e tocco un argomento molto sensibile – e soprattutto la carne di alta qualità. È evidente che sono tutte preoccupazioni nel nord dell'Europa che sono grandi Paesi produttori di commodity.
  Di fronte a questo non c’è dubbio che dietro le varie posizioni sul TTIP si celino anche interessi in gioco differenziati tra il nord e il sud dell'Europa. Il tema è molto complesso, c’è però un capitolo interessante sul tema delle indicazioni geografiche che potrebbe aprirsi. Certo, rimane al momento una situazione generale ancora molto lontana dalla conclusione, ma va sottolineato il fatto che l'Europa tutta, quindi non solo noi mediterranei, pone su questo capitolo delle indicazioni geografiche un'importanza notevole, così come più volte ribadito – lo ribadiamo anche noi Parlamento europeo nella risoluzione Lange – dalla Commissione stessa con la responsabile Malmström.
  Io mi fermerei qui, anche perché gli argomenti sono tanti. Grazie.

  PRESIDENTE. Cedo la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SUSANNA CENNI. Grazie, Presidente. Grazie all'onorevole De Castro per il suo contributo che è sempre molto prezioso.
  Vorrei dire che, pur avendo già ascoltato alcune considerazioni nei mesi passati nella Commissione agricoltura e anche in altre occasioni di carattere più politico sulla materia, io penso che anche l'occasione che abbiamo fortemente voluto questa mattina sia utile al lavoro di questa Commissione, quindi la ringrazio davvero a nome mio e del Gruppo del Partito Democratico in questa Commissione.
  Io non so se sperare in questa fase di stallo o meno. Voglio dire che francamente anch'io sarei molto orientata a condividere quello che è stato detto dalla signora Malmström perché è vero che in campo, in questo potenziale accordo, ci sono interessi importantissimi per l’export del nostro Paese ed è anche vero che noi abbiamo fatto della qualità, della tracciabilità e dei disciplinari che stanno dietro a questi elementi un pezzo della nostra economia e della nostra competitività, quindi è evidente che, se venisse meno questa garanzia, almeno per l'agroalimentare sarebbe davvero un grande problema avere un accordo che non ci garantisca questa dimensione.
  Spero che questi mesi possano servire ulteriormente a trovare anche canali diversi di lavoro per giungere a un'intesa che possa darci queste garanzie. Penso che i temi restano tutti sul tappeto rispetto a quando noi abbiamo iniziato questa discussione e nelle occasioni che abbiamo avuto a livello parlamentare perché sappiamo che fino a oggi il Parlamento non è che abbia avuto grandissime occasioni di approfondimento nel contesto nazionale.
  Penso anche che un pezzo dei possibili risultati sarà anche legato allo scenario che si aprirà negli Stati Uniti nell'anno che verrà. Vorrei chiederle anche alcune considerazioni rispetto a queste garanzie che per esempio riguardano tutta la partita degli OGM di cui oggi ovviamente non abbiamo parlato perché meno attinente agli interessi di questa Commissione, ma che ovviamente stanno in campo, se parliamo di agroalimentare.
  Inoltre, mi interesserebbe chiederle, vista la sua funzione di relatore sul TTIP e soprattutto vista la sua lunga esperienza prima di ministro e poi di Presidente della Commissione agricoltura, una sua valutazione Pag. 7anche complessiva sul sistema interno all'Unione europea in materia di lotta alla contraffazione.
  Noi abbiamo aperto un'indagine su questa dimensione che è un lavoro di questi mesi, per cui alcuni colleghi hanno il compito di raccogliere dati e di riportarli poi in una relazione. Tuttavia, noi, ogni volta che approfondiamo singole indagini o singole questioni sia che concernano l'agroalimentare che il manifatturiero e quant'altro, arriviamo a un punto oltre il quale il nostro Paese ovviamente non ha gli strumenti per andare. Questi aspetti riguardano la dimensione doganale e quindi l'arrivo nel nostro Paese di prodotti che, non essendoci più una serie di controlli, magari sbarcano in porti del nord Europa e poi arrivano regolarmente nel nostro Paese, cosa che non avverrebbe se questi prodotti arrivassero direttamente nei nostri porti.
  Inoltre, penso al sistema e all'organizzazione della lotta alla contraffazione anche in altri Paesi, quindi sono qui anche a chiedere una sua valutazione su tutto questo, cioè se, rispetto al nostro sistema nazionale e a quello comunitario, ci sono davanti a noi alcuni passaggi ulteriori che potremmo sollecitare, anche in sede di Parlamento europeo, o meno perché, al di là di quello che noi stiamo facendo e dei controlli che nel nostro Paese ritengo francamente abbastanza soddisfacenti per i risultati che riusciamo a portare a casa, noi continuiamo a essere il Paese forse più interessato da questo fenomeno. Grazie.

  FILIPPO GALLINELLA. Grazie, Presidente. Io ho tre domande da porre.
  Mettiamo il caso che si trovasse un accordo per difendere un certo numero di denominazioni, come è accaduto col CETA, per cui si trova un certo numero di denominazioni che bypassano quel controllo che hanno negli Stati Uniti del nome collettivo. C’è una procedura, per cui è chiaro che noi abbiamo l’ex officio, quindi sono le autorità pagate dalla collettività che difendono quel prodotto, mentre in quel caso comunque riusciamo a registrare un marchio, bypassando il problema del nome collettivo. Tuttavia, se uno nel territorio statunitense mi copia questo prodotto, sarà a carico del proprietario del marchio a questo punto, non più della denominazione, difendersi in tribunale, come immagino, con tutti i costi relativi perché chiaramente le giurisprudenze sono diverse.
  In quest'ottica, quindi, si accorderà un certo numero perché le dominazioni europee sono più di mille, ma non credo siano tutte destinate al mercato statunitense e riescano a bypassare il primo scalino delle nome collettivo, per cui mi chiedo quante di queste poi hanno una potenza economica tale da potersi difendere dal punto di vista giuridico. Io non conosco la normativa degli Stati Uniti, ma immagino che alla fine rimangano in poche. Questa è la prima domanda ed è una valutazione che non so se avevate fatto.
  Sulle dogane riprendo quanto ha chiesto la collega Cenni, nel senso che le chiedo come si sta muovendo la Commissione agricoltura e anche la Commissione in generale, per far sì che tutte le dogane si comportino con la stessa serietà e severità; altrimenti è «un condominio con 28 portieri».
  Poi, vorrei fare una domanda che è più una curiosità mia di un aspetto tecnico: se ipotizziamo che la Spagna produce un prodotto e poi scrive sul prodotto che è italiano e lo vende in Francia, c’è qualcosa a livello dell'Unione europea che può bloccare questo tipo di falsità ?

  FRANCO BORDO. Vorrei fare due domande un po’ provocatorie.
  Prima domanda: fino a che punto la posizione dell'Europa può rimanere ferma rispetto alle indicazioni geografiche, considerato che l'Italia è il Paese che ha il maggior numero di indicazioni e che tale normativa già all'interno del nostro continente non sempre è ben digerita ?
  La seconda domanda è legata alla precedente: questa apertura, anche soltanto di ragionamento rispetto all’Italian sounding o comunque al fenomeno del sounding, Pag. 8può essere vista come un'arma e un oggetto di scambio rispetto alle indicazioni geografiche ? Grazie.

  COLOMBA MONGIELLO. Grazie, Presidente. Vorrei fare due brevi riflessioni.
  Come, a ragione, il collega Bordo ha sottolineato, mi chiedo anch'io fino a che punto l'Europa può spingersi in questo accordo, mantenendo fede a quello che si era ripromessa rispetto al tema degli IG. Questo è un tema che io sottopongo all'onorevole De Castro perché devo dire che rispetto alla passata legislatura c’è stato già un passo in avanti rispetto a un atteggiamento e un mood dell'intera Commissione sul tema delle indicazioni geografiche. Io già qui colgo una novità, però mi chiedo fino a che punto, rispetto alla chiusura del TTIP, possa spingersi l'atteggiamento dell'Unione europea.
  La seconda domanda è sul tema delle evocazioni. Io qui leggo una vera e propria novità. Certo, non voglio sottovalutare il tema delle geographical indications, però io ritengo che il tema delle evocazioni sia molto più importante in termini di volumi, cioè di volume d'affari e di produzione, rispetto al tema della evocazioni e dell'appropriazione indebita del marchio.
  Vorrei fare un esempio: il latte del Wisconsin viene utilizzato per ricotte, formaggi e per la trasformazione di latticini e su questi prodotti c’è scritto che sono latte, ricotta e formaggi italiani, ma ovviamente non hanno mai visto la penisola italica. I volumi di affari sono enormi e a volte anche si tratta di prodotti anche con la bandiera italiana dove noi siamo impossibilitati a intervenire.
  Questo tema che mi pare hanno sollevato consumer americani è un tema molto sensibile da cui è partita la campagna italiana del made in Italy, quindi vorrei capire anche su che cosa ci stiamo muovendo.
  Ultima domanda: mi hanno fatto riflettere le parole del generale dei NAS, Claudio Vincelli, quando ha detto che c’è una scarsa collaborazione delle polizie europee rispetto al tema della contraffazione. Su questo punto a livello di Commissione voi riuscite a intervenire e a fare una seria analisi su come Opson sta funzionando e su come i legami delle polizie internazionali stanno intervenendo ? Si richiamano le dogane, ma se togliamo gli strumenti anche a coloro che operano nel settore dei controlli, credo che sarà poi difficile poter intervenire.

  PRESIDENTE. Do la parola all'onorevole De Castro per la replica.

  PAOLO DE CASTRO, deputato presso il Parlamento europeo. Vi ringrazio per le domande e per questo interesse. Cercherò di mettere le risposte tutte assieme, in modo da colpire più interessi.
  Vorrei fare innanzitutto una considerazione generale perché forse è stato un errore mio non averla sottolineata all'inizio.
  La situazione attuale nel mercato degli Stati Uniti, quello che appunto chiamiamo «Italian sounding», è drammatica perché qualunque stima oggi, almeno per i prodotti italiani che conosco da qualche studio un po’ più approfondito, dà almeno un rapporto di nove a dieci, cioè su dieci prodotti venduti come italiani non meno di nove non hanno nulla a che fare con l'Italia.
  La situazione difficilmente si può immaginare peggiorativa – in parte rispondo alla preoccupazione della collega Cenni – e, su questo dobbiamo intenderci, è impossibile stare peggio. Possiamo solo migliorare. Infatti, se l'accordo non si fa, noi stiamo messi malissimo, se l'accordo si fa, potrebbe non succedere nulla, ma potrebbe anche migliorare, forse per alcuni prodotti, come diceva anche l'onorevole Gallinella.
  Mi fa piacere riprendere l'intervento di Colomba Mongiello perché coglie un aspetto nel passaggio tra mettere al centro il produttore rispetto a mettere centro il consumatore, cioè spostare l'angolo da una battaglia difficilissima, se non persa in partenza, di un riconoscimento giuridico Pag. 9di norme nostre, non americane. Noi non riconosciamo le leggi federali americane.
  Gli Stati Uniti hanno, per esempio, una norma federale che dice «tolleranza zero alla listeria». Molti di voi che venite dalla Commissione agricoltura sanno che la listeria è endemica in tutti i prosciutti e in tutte le carni insaccate suine perché non c’è un pezzo di carne suina che non abbia la listeria. C’è una legge federale americana che dice «tolleranza zero alla listeria», dunque è vietato entrare in quel mercato anche con uno 0,0001 di batterio, quindi di cosa stiamo parlando ? Possiamo solo migliorare. Naturalmente sta a noi riuscirci e, se lo possiamo fare o non lo possiamo fare, certamente dipenderà dalla pressione.
  In merito, come hanno sottolineato il collega Bordo prima e la collega Mongiello dopo, la domanda importante è: fino a che punto l'Unione europea è disposta a farlo ? Questa è la grande domanda. Noi del sud dell'Europa, quindi noi spagnoli, italiani e francesi che siamo i più sensibili al tema delle indicazioni geografiche, per cui, quando va bene, siamo in tre su ventotto o quattro su ventotto, siamo molto contenti e meravigliati di questo appoggio, però la domanda giusta è: fino a che punto ? Certo, dipende da noi.
  Nessuno fa le battaglie per nessuno, per cui, se noi non ci rendiamo conto che la posta in gioco migliorativa può esserci soltanto se ci siamo in quel negoziato perché se non ci siamo c’è chi dirà: «abbiamo raggiunto un accordo sull'energia, sul tessile, sui sistemi di gestione delle controversie, adesso non saranno le indicazioni geografiche che ci faranno saltare l'accordo con gli Stati Uniti ?». Così diranno, quando arriveremo a ventotto, quindi sta a noi, prevalentemente a noi Paesi del sud dell'Europa, mantenere alta l'attenzione su questi temi di cui oggi gode sicuramente, infatti le dichiarazioni di pochi giorni fa della Commissione e del Parlamento sono favorevoli a trovare una soluzione.
  Tuttavia, la soluzione va indicata anche da noi, cioè non possiamo pensare che ci sia qualcuno che a un certo punto arriva lì e convince il sistema federale americano che deve cambiare tutte le sue leggi, in virtù del fatto che le leggi europee sono superiori – a che cosa poi ? – perché c’è questo principio di superiorità che ogni tanto emerge nei dibattiti che possiamo mettere in campo solo guardandolo con i nostri occhi, visto che loro guardano con i loro occhi. Non abbiamo un sistema di infezioni o di malattie, ma stiamo parlando di sistemi differenti, quindi l'approccio va messo in questo.
  Non ci dimentichiamo di un altro aspetto: siamo preoccupati del TTIP ? Certo che lo siamo, perché stiamo parlando di tanti interessi in gioco in cui la forza degli Stati Uniti è sicuramente importante soprattutto in tanti settori, non solo dell'agricoltura dove anzi sui beni di largo consumo l'Europa ha sicuramente qualche arma da spendere in più negli Stati Uniti. Tuttavia, non ci dimentichiamo di un dato che forse sfugge: la bilancia commerciale Stati Uniti-Europa complessiva è a favore dell'Europa per quasi 100 miliardi di euro all'anno, cioè sono gli Stati Uniti che hanno una bilancia negativa, non l'Europa. Inoltre, di quei 100 miliardi solo 6 miliardi di euro sono a favore dell'Europa per l'agroalimentare.
  Come dicevo, esportiamo 15-16 e importiamo 9-10, quindi poca roba, se volete, ma complessivamente è l'Europa che ci guadagna, non poco, anzi moltissimo, su tanti campi, quindi facciamo attenzione perché dietro le negatività si nascondono anche interessi diversi. Questo dobbiamo dire, visto che siamo in un'audizione pubblica.
  Per quanto riguarda il tema degli OGM sollevato dal collega Cenni vorrei precisare che non fa parte del mandato negoziale. Tutto ciò che vige oggi del sistema tra Stati Uniti e Europa vigerà anche dopo perché nessun passaggio negoziale si tocca il tema degli ormoni e degli OGM che sono normati a livello europeo.Pag. 10
  In merito, vorrei spezzare una lancia per fare un po’ di chiarezza. I negoziati internazionali non cambiano tout court la legislazione, cioè, per cambiare la legislazione europea, ci vuole un atto nuovo che sia proposto, discusso e dibattuto. Non è che automaticamente nel segreto delle stanze Ignacio Garcia Bercero, capo negoziatore europeo, e il negoziatore americano smontano i regolamenti comunitari e le leggi federali americane perché non funziona così, colleghi, infatti per cambiare la legge federale degli Stati Uniti o cambiare un Regolamento comunitario ci vuole un nuovo Regolamento, una proposta alla Commissione, un dibattito in Consiglio, un dibattito in Parlamento, magari dei triloghi finali, se è competenza di entrambi, per arrivare a una conclusione.
  Tutto ciò che è normato in Europa rimane normato in Europa con le leggi europee, dopodiché certamente noi possiamo trovare delle formule anche di equilibrio tra noi e gli Stati Uniti per esempio per esportare i prosciutti.
  Non so se avete sentito recentemente il fatto che c’è stata una sottolineatura ovvia per noi, ma forse non ovvia per tutti, circa la produzione di formaggi con latte crudo. C’è anche qui una legge federale americana che li vieta. Noi, tutte le volte che esportiamo del Parmesan o altri formaggi italiani notoriamente fatti con latte crudo, stiamo infrangendo una legge federale americana, per cui è la tolleranza americana che li fa entrare. Stiamo parlando, come ci dicono i dati dei Consorzi che avete audito, di miliardi, non di milioni di euro, cioè i dati italiani dimostrano che in quest'ultimo anno, ossia nel 2015, abbiamo aumentato del 24 per cento le esportazioni in quel Paese, prevalentemente vino e formaggi che esportiamo contro la legge federale americana.
  Certo, è evidente che gli americani vorrebbero migliorare la situazione, così come gli americani hanno nell'accordo col Pacifico messo delle zeppe molto pericolose per l'Europa perché nell'attesa del TTIP gli Stati Uniti hanno negoziato con gli undici Paesi del Trans Pacific agreement, un accordo sulle indicazioni geografiche che obbliga i firmatari a impedire qualunque accordo che ciascuno degli undici può fare con l'Europa. C’è un passaggio specifico del Trans Pacific agreement, anche questo poco discusso, in cui, se per esempio il Giappone vuole negoziare con l'Europa un sistema di tutela delle indicazioni geografiche, in virtù dell'accordo firmato, gli Stati Uniti si possono opporre.
  Voi mi chiederete: ma quanta valenza giuridica ha ? Tutti gli accordi internazionali non hanno valenza giuridica, ma, prima o poi, questa si trasforma in valenza giuridica. Non è che – lo dico ancora una volta per stare attenti nelle critiche, che sono sacrosante, non mi fraintendete – a stare fermi si vince la battaglia, anzi a stare fermi si perde, perché gli altri comunque corrono e fanno accordi che vanno ovviamente negli interessi loro.
  Noi subiremo regole e standard internazionali che magari non ci piacciono e che non abbiamo neanche negoziato, perché loro l'hanno fatto prima. Questo è un altro tema che in parte risponde a qualche domanda che avete posto.
  Per rispondere alla domanda «quanto vale la posizione dei consumatori e dei produttori ?», vorrei precisare che questa, attenzione, è un'idea che è nata nel dibattito con i Common name americani ed è stata suffragata da indagini fatte da alcuni consorzi. Inoltre, nei prossimi mesi cercheremo di allargare questo dibattito facendolo insieme ai francesi e agli spagnoli per gruppi di prodotto.
  Tuttavia, come diceva l'onorevole Mongiello, qui stiamo parlando di una dimensione enorme perché l’Italian sounding non riguarda solo i prodotti DOP e IGP che esportiamo. L’Italian sounding riguarda una valanga di prodotti che noi esportiamo, quindi non c’è dubbio che, qualora – e qui non voglio ancora una volta essere troppo ottimista, come al mio solito – si dovesse raggiungere un accordo sulle evocazioni e sui sistemi di etichettatura, Pag. 11stiamo parlando di una operazione enorme per l'Europa, altro che i milioni comunque, per carità, importanti che esportiamo di prodotti a denominazione d'origine, quindi parliamo di un campo estremamente interessante.
  Per quanto riguarda il discorso delle dogane che avete posto più volte è evidente che il tema è tutto di carattere nazionale perché non esistono ispettori europei, infatti le dogane devono essere gestite dagli Stati membri sotto le regole europee, quindi da questo punto di vista non c’è teoricamente nessuna differenza tra la frontiera italiana e la frontiera olandese o danese. Certo, così non è, ma sta a noi ancora una volta cercare di rafforzare, anche se non credo che ci possa essere un lavoro collettivo.
  Certamente noi poniamo sempre l'attenzione, quando a livello almeno di Parlamento europeo mettiamo in evidenza le differenze di approccio che ci sono in un Paese come l'Olanda che ha Rotterdam. Rotterdam è la porta d'accesso dell'Europa dove entra di tutto, quindi non c’è dubbio che l'attenzione non è uguale a quella che pongono altri Paesi.
  Per quanto riguarda poi la tutela all'interno dell'Unione europea, alcune cose sono state fatte e ancora altre possono essere fatte. Quello che diceva il generale Vincelli è sicuramente vero, d'altra parte la norma ex officio che abbiamo citato oggi è un Regolamento comunitario applicato e in vigore in tutta l'Unione europea, anche se non tutti lo applicano alla stessa maniera.
  Vi cito un ultimo caso. Si tratta di un esempio che fa ridere, ma è la maledetta verità: in Germania viene venduto un vino frizzante bianco dal nome «Persecco» e, dopo che il ministero italiano l'ha denunciato, i tedeschi hanno detto «non c'entra niente con il Prosecco, non capiamo perché dovremmo intervenire». Tuttavia, stiamo parlando del vino frizzante che si chiama «Persecco», per cui mi chiedo fino a che punto si spinga l'evocazione.
  Non c’è dubbio che non c’è sempre cooperazione, però stiamo rafforzando le norme europee. Inoltre, oggi devo dire che anche da questo punto di vista qualche passo avanti importante l'abbiamo fatto e potremo continuare a farlo, però cosa ben diversa è fuori dall'Europa, cioè pensare che fuori dall'Europa ci possono essere maggiori tutele. Da questo punto di vista vi invito a guardare con molta prudenza; perciò spostare l'angolo sui consumatori ci ha offerto la possibilità di dire: «voi volete continuare a prenderli in giro i vostri consumatori americani ?».
  La campagna che il Governo italiano sta in queste settimane negli Stati Uniti facendo del made in Italy e che invita a comprare il prodotto made in Italy originale, affiancata a un eventuale ipotetico accordo che si avvicina a quello che abbiamo detto prima, avrebbe sicuramente un'importanza molto rilevante per il nostro sistema agroalimentare. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio moltissimo a nome di tutti l'onorevole De Castro per questo intervento.
  Per risparmiare tempo, non ho fatto interventi, ma una cosa molto rapida vorrei dirla, sperando di non essere frainteso dal professor De Castro e nemmeno dai colleghi, dalla collega Mongiello in particolare.
  Questo fatto nuovo di una dialettica che si apre con gli Stati Uniti sul versante del consumatore, quindi della trasparenza dell'etichettatura e dell’Italian sounding, è di una straordinaria importanza e lo colgo in toto. Tuttavia, stiamo attenti a non fare dei cortocircuiti mentali, nel senso che un conto è il volume dell’Italian sounding e un conto è il volume di affari delle denominazioni d'origine perché non sono due grandezze omogenee.
  Mi spiego: un pezzo di parmigiano reggiano falso venduto sul mercato americano è un sostitutivo tendenzialmente di un pezzo di parmigiano reggiano italiano vero che non va su quel mercato, cioè l'effetto di sostituzione sull'abuso di una denominazione di origine tende quasi a un Pag. 12valore pari a uno, per cui, se tu fai delle false denominazioni e le metti in commercio su quel mercato, impedisci alla mia di arrivare e il danno è quasi tendente a uno. Nell’Italian sounding non è così e sarebbe troppo bello; se domani sparisse l’Italian sounding che è stimato sui 60 miliardi di prodotti, cioè non ci sarebbero 60 miliardi di prodotti italiani che vanno sui mercati del mondo, ma ci sarebbe un valore infinitamente inferiore.
  Non c’è un effetto di sostituzione di questo tipo, per cui non mi sfugge la straordinaria importanza di quello che ci ha detto oggi il professor De Castro come nuova dinamica negoziale con gli americani sul versante dell’Italia sounding, ma stiamo attenti a ricordarci che sono grandezze non paragonabili perché sono disomogenee e sono cose diverse. Spero di essere riuscito a spiegarmi.
  Non appesantisco ulteriormente il dibattito e la seduta anche perché so che il professor De Castro ha ulteriori impegni. Dichiaro quindi conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.