XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 5 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 2 

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali, Gianclaudio Bressa, sull'attuazione della legge 7 aprile 2014, n.56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (Svolgimento, ai sensi dell'articolo 143, comma 3, del regolamento, e conclusione):
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 2 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali ... 2 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 8 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 8 
Fabbri Marilena (PD)  ... 10 
Piccione Teresa (PD)  ... 11 
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 12 
Borghi Enrico (PD)  ... 14 
Richetti Matteo (PD)  ... 15 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 16 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 17 
Bressa Gianclaudio (PD) , Sottosegretario di Stato agli affari regionali ... 17 
Mazziotti Di Celso Andrea , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ANDREA MAZZIOTTI DI CELSO

  La seduta comincia alle 11.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali, Gianclaudio Bressa, sull'attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 3, del regolamento, l'audizione del Sottosegretario di Stato agli affari regionali, Gianclaudio Bressa, sull'attuazione della legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni.
  Ringrazio il Sottosegretario per la sua presenza e gli do subito la parola affinché svolga la sua relazione.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali. Grazie, presidente. Per me è sempre un motivo di gioia – uso un termine inconsueto – ritornare in questa Commissione, alla quale sono particolarmente affezionato per il lavoro parlamentare che ho avuto la fortuna di poter svolgere.
  Prima di dare conto dello stato di attuazione della legge n. 56 del 2014, vorrei fare una brevissima premessa, che credo sia necessaria e utile per comprendere le dinamiche che nel corso di questi mesi si sono succedute.
  Come voi sapete per averne a lungo discusso in questa Commissione, la legge n. 56 del 2014 ha avuto l'ambizione di cominciare a riscrivere la mappa istituzionale delle autonomie locali nella nostra Repubblica. Contrariamente a una vulgata che ha avuto un qualche successo nel nostro Paese, la motivazione che ha spinto a muoversi in questa direzione non era dettata dal fatto di attaccare l'anello debole del sistema, che una certa stampa e una certa cultura avevano individuato nell'ente provincia. Si è invece deciso di partire dalla dimensione provinciale perché luogo naturalmente intermedio tra la dimensione comunale e quella regionale, che rappresentano, nel nuovo disegno, i due momenti della rappresentanza politica del sistema delle autonomie.
  Quando si è deciso di trasformare le vecchie province in enti di area vasta, soprattutto in costanza di Costituzione, in cui le province ancora esistono, si è assunta una decisione che, prima ancora che di livello politico-istituzionale, è di livello culturale. Per la prima volta si introduce nel sistema degli ordinamenti degli enti locali una rappresentanza di secondo livello, che ha l'ambizione di costituire una rappresentanza dei territori. Le aree vaste diventano il luogo del confronto dei sindaci e dei comuni su problemi che la dimensione comunale non è in grado di risolvere entro i propri confini.
  Attraverso questa forma di modifica degli assetti, si modifica in maniera significativa anche la dimensione della rappresentanza Pag. 3degli stessi perché, come ho detto prima, la rappresentanza politica ha due livelli propri: il comune, dove si eleggono il sindaco e il consiglio comunale, e la regione, dove si eleggono il presidente della regione e il consiglio regionale.
  La dimensione intermedia diventa lo strumento delle politiche di coordinamento e di lavoro comune tra i mattoni essenziali e basilari del sistema, architrave del governo del Paese, cioè i comuni. È una valorizzazione della dimensione comunale anche oltre i suoi confini. Questo è il senso dell'elezione di secondo livello.
  Come sapete, nei confronti della legge n. 56 del 2014 quattro regioni hanno fatto ricorso davanti alla Corte costituzionale, mettendo in discussione alcuni dei principi che informano la legge stessa. La Corte costituzionale ha dato torto a tutti e quattro i ricorsi e ci ha consentito di entrare nel pieno dell'attuazione di questa legge, che è un'attuazione difficoltosa, il cui periodo di transizione non si è ancora completato. Ci è però stato consentito di entrare in questa nuova fase di ridisegno delle autonomie locali con alcuni punti di forza importanti.
  Uno di questi punti di forza è il riconoscimento allo Stato della possibilità di legiferare in materia di unioni e fusioni di comuni. Come sapete, è la prima volta che un intervento va in quella direzione e non è giustificato solo ed esclusivamente da motivi riferibili a questioni di finanza pubblica. Allo Stato è stato riconosciuto un potere ordinamentale ai fini di garantire una migliore articolazione e una migliore capacità di espressione della dimensione comunale.
  Questo non significa che le regioni abbiano perduto la possibilità di legiferare in materia di unioni e fusioni di comuni. Anzi, dovrebbe essere un incentivo per tutte quelle regioni – e non sono poche – che non hanno ancora legiferato su questa materia.
  Faccio una seconda osservazione preliminare, giusto per comprenderci. Quando nei vari rapporti sullo stato dell'organizzazione degli enti territoriali del Paese, delle società, dei consorzi, degli enti intermedi, degli enti regolatori compare questo numero, oramai diventato un topos del dibattito politico italiano, cioè 7.000 enti, dobbiamo avere la consapevolezza che circa 5.000 di questi sono tra il livello comunale e il livello regionale. La dimensione dell'area vasta ha anche l'ambizione di definire un territorio che sia la dimensione intermedia tra il comune e la regione.
  Questo è estremamente importante anche in ragione del fatto che nel corso del presente anno è intervenuto il decreto-legge n. 78 del 2015 sugli enti locali, approvato ad agosto, che consente alle regioni di avviare processi di aggregazione tra più aree vaste, in modo tale da ridefinire, all'interno del proprio territorio regionale, anche la geografia delle aree vaste, nulla toccando dei confini geografici, ma molto incidendo sulla dimensione delle politiche amministrative e di servizio all'interno di una regione.
  Voi comprendete che la legge n. 56 del 2014 ha rovesciato la cultura di approccio ai temi delle autonomie locali. Non ha creato una nuova dimensione: ha razionalizzato la dimensione dei comuni in rapporto alla dimensione regionale e ha cercato di mettere in sintonia un comune con l'altro, in modo tale che il lavoro dei sindaci e dei consiglieri comunali non sia solo finalizzato alle attività dentro i confini comunali, offrendo loro la possibilità e la capacità di andare anche oltre quei confini con l'obiettivo di rendere i servizi non solo meno costosi, ma anche più efficaci per i cittadini.
  Uno dei grandi temi, dal punto di vista dell'eguaglianza, è che i diritti di un cittadino non possono essere legati al fatto che sia nato o viva in un comune di piccole, medie o grandi dimensioni perché le aspettative dei cittadini devono essere tutte egualmente garantite.
  Un'altra necessaria premessa per comprendere il livello di attuazione deve essere doverosamente fatta con riferimento alla legge di stabilità dello scorso anno. Nella legge di stabilità dello scorso anno, come tutti sapete, per ragioni di equilibrio di finanza pubblica il sistema delle province Pag. 4ha subito un taglio di 900 milioni di euro nelle regioni a statuto ordinario e di un altro centinaio di milioni di euro con riferimento alle province delle regioni a statuto speciale.
  Come la storia parlamentare di quest'anno ha testimoniato, avendo quel taglio inciso in maniera molto pesante sulla dimensione economico-finanziaria delle singole province, durante l'anno ci si è dovuti concentrare su una serie di atti e di interventi, che sono culminati nel decreto-legge n. 78 del 2015, per cercare di sollevare le vecchie province dal problema non piccolo di sostenere i costi che dal 1o gennaio 2015 non avrebbero più dovuto sostenere per le funzioni che la legge n. 56 del 2014 ha definito non più fondamentali. L'operazione alla fine è riuscita perché tutte e settantasei le province hanno presentato il bilancio per il corrente anno e solo quattro o cinque presentano problemi di equilibrio finanziario, se si escludono le due che sono in default per vicende antecedenti all'entrata in vigore della legge n. 56 del 2014.
  Finite le premesse, veniamo adesso al dunque dell'attuazione. Come voi sapete, la legge Delrio ha definito le funzioni fondamentali delle province. Le funzioni non fondamentali dovevano invece essere definite dalle singole regioni. Quindici soggetti istituzionali avevano quindi il compito, la funzione e il dovere di definire le funzioni non fondamentali che le regioni tenevano per sé o riattribuivano alle province per delega diretta o utilizzando la forma dell'avvalimento.
  La nostra Costituzione prevede che non ci siano modelli, ma che ogni singola regione abbia la possibilità di esercitare la propria funzione legislativa nel modo che ritiene più opportuno. L'11 settembre del 2014 fu raggiunta un'intesa in sede di Conferenza Stato-regioni, con la quale si davano alcuni termini e alcune scadenze per consentire che questo processo di definizione e di riallocazione delle funzioni non fondamentali potesse procedere.
  Nel frattempo, entro il settembre dell'anno scorso, il Governo definì quali erano le funzioni statali che dovevano essere conferite, riconferite, lasciate alle province oppure tolte, ma dall'accertamento che abbiamo fatto non c'erano più funzioni statali di una qualche rilevanza da trasferire perché con il federalismo amministrativo, dalle leggi Bassanini in avanti, tutto il processo si è spostato dalla dimensione statale a quella regionale e comunale. Il decreto che noi facemmo come Governo sistemò subito questa vicenda, che era però una vicenda sostanzialmente irrilevante rispetto al processo.
  Veniamo invece alla questione vera, cioè come le regioni hanno gestito questa fase. Come sapete, al problema della definizione delle funzioni non fondamentali e di come queste debbano essere allocate è collegato il problema della collocazione del personale alle dipendente dalla provincia e addetto all'esercizio di funzioni che non sono più funzioni fondamentali. Grossomodo, stiamo parlando di circa 20.000 persone: 20.000 è il numero degli addetti delle vecchie province adibiti allo svolgimento delle funzioni non fondamentali. Comprendete che probabilmente si è trattato e si sta trattando, visto che il processo non si è ancora concluso, della più grande mobilità di personale all'interno della pubblica amministrazione da quando c’è la Repubblica.
  Nonostante la difficoltà e nonostante il fatto che si parli del destino di 20.000 persone, cioè non di numeri da spostare in una legge ma della vita delle persone, il livello di confronto istituzionale e con le organizzazioni sindacali ha fatto sì che finora questo complicatissimo processo sia avvenuto e si stia concludendo nel migliore dei modi possibili, cioè senza particolari scontri e senza particolari conflittualità. Questo va a merito delle regioni e delle organizzazioni sindacali, che hanno saputo gestire il confronto attraverso una serie di «osservatori regionali», cioè i luoghi in cui le province, la regione e le organizzazioni sindacali si sono confrontate per accompagnare questo processo.
  Veniamo allo stato di attuazione della legge Delrio, cioè alle risposte che le regioni hanno dato nel corso di questi mesi e a quanto hanno fatto dal punto di Pag. 5vista normativo, finanziario e dei trasferimenti. Nel corso di questo anno e mezzo sono intervenuti decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e decreti ministeriali – li do per scontati e non faccio riferimenti precisi – che hanno variamente interpretato, per alcuni aspetti anche con interpretazioni autentiche, e accompagnato tutto il processo. Adesso siamo arrivati al dunque, perché al 31 ottobre si è chiusa la fase più delicata.
  Come ricorderete, all'interno del decreto-legge n. 78 del 2015 c'era una norma che, pur non essendo ordinatoria, stabiliva al 31 ottobre il tempo limite entro cui le regioni dovevano approvare le proprie leggi per la definizione delle funzioni. Io vi darò lo stato dell'arte. Mancano all'appello due regioni, una delle quali è il Molise, che ha convocato il consiglio regionale per la prossima settimana e completerà la propria attività.
  L'altra è la regione Lazio, che ha il provvedimento in avanzato stato di definizione in sede di Commissione e ha anche provveduto a finanziare, per quota parte, il costo delle spese del personale per le funzioni non fondamentali per il 2015. Nella legge finanziaria della regione Lazio per il 2016 è prevista la copertura, ma ci sono problemi di tipo istituzionale che non sono in grado di definire meglio di quanto non stia facendo. È da qualche tempo che il consiglio regionale del Lazio non si riunisce, non per la vicenda della legge n. 56 del 2014 ma per altre questioni che non sono in grado di illustrarvi, anche perché non compete a me farlo.
  Con l'eccezione di queste due regioni, una delle quali è in arrivo perché la settimana prossima la regione Molise approverà la propria legge, tutte le altre hanno già provveduto. Vi leggo il riassunto dello stato dell'arte – che posso anche lasciarvi – in ordine cronologico a seconda di quando sono state approvate le leggi regionali.
  Ha cominciato la Toscana, che ha approvato la legge di riordino il 3 marzo del 2015 e poi, con una legge regionale del 26 ottobre, ha definito l'impegno finanziario con trasferimento del personale dal 1o dicembre 2015. La regione Toscana ha quindi definito per prima quali erano le funzioni e, con una legge di un paio di settimane fa, ha definito la copertura finanziaria, a partire dal 1o dicembre 2015 e per gli anni a venire, del passaggio del personale. Possiamo dire che l'operazione in Toscana si è conclusa, nel senso che siamo agli accordi finali tra la regione e le varie province.
  L'Umbria ha approvato la legge il 2 aprile 2015, con trasferimento delle risorse e del personale dal 1o novembre 2015, a seguito di un accordo che è stato sottoscritto qualche mese fa in sede di osservatorio regionale.
  Le Marche hanno approvato la legge il 3 aprile 2015 con disponibilità di risorse nei limiti previsti dal bilancio, che verrà assestato a fine 2015. Il trasferimento del personale avverrà in forma definitiva a partire dal 1o gennaio 2016.
  La Liguria ha approvato la legge il 10 aprile 2015, con trasferimento di risorse umane, beni e servizi a partire dal 1o luglio 2015. In Liguria la partita è quindi già stata completata.
  La Calabria ha approvato la legge il 22 giugno 2015, con una norma finanziaria che ha indicato la copertura per l'anno 2015. Siamo in attesa di vedere nella legge finanziaria del 2016 quale decisione verrà assunta.
  La Lombardia ha approvato la legge in data 8 luglio 2015, con una norma finanziaria che parametra la copertura ai mesi di effettivo svolgimento delle funzioni.
  L'Emilia-Romagna ha approvato la legge il 30 luglio 2015, con una norma finanziaria regionale che garantisce la copertura dei costi a partire dal 1o gennaio 2015. L'Emilia-Romagna è l'unica regione ad aver rovesciato la logica: prima ha messo a disposizione le risorse e poi ha approvato la legge che definisce le funzioni, ed è l'unica che copre interamente i costi delle spese per l'intero 2015.
  L'Abruzzo ha approvato la legge in data 13 ottobre e prevede l'assunzione del personale nei limiti delle facoltà assunzionali. Casualmente questa mattina ho avuto un incontro con gli amministratori dell'Abruzzo. Pag. 6Il processo si svolgerà quasi senza esuberi, nel senso che la capacità di assorbimento della regione è quasi totale. I pochi posti che non trovano copertura saranno assegnati ai comuni o alle amministrazioni dello Stato.
  Poiché la nostra Italia è molto varia, a seconda delle regioni abbiamo realtà abbastanza diversificate. Per esempio, in molte regioni del Mezzogiorno la funzione delle biblioteche, degli archivi storici e dei musei era molto presente nelle vecchie province, che erano depositarie di un patrimonio bibliotecario e archivistico-storico di grande importanza. Nel decreto n. 78 del 2015 è stato quindi previsto un intervento del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che assorbirà il personale direttamente all'interno del proprio organico e garantirà la conservazione di questo patrimonio bibliotecario e soprattutto archivistico molto importante.
  La Basilicata ha approvato la legge il 27 ottobre 2015. Con la legge di assestamento del 2015 ha previsto la copertura dei costi per tutta l'annualità – è quindi in corso di pagamento, anche da parte della Basilicata, la spesa del personale per il 2015 – e la totale copertura delle spese del personale per il 2016.
  La Puglia ha approvato la legge in data 27 ottobre 2015 e ha rinviato ad atti successivi la definizione dell'onere finanziario, il che significa che lo definirà con la propria legge finanziaria per il 2016.
  Il Veneto ha approvato la legge il 27 ottobre 2015. La copertura finanziaria del costo del personale per il 2015 è assicurata da uno stanziamento di 28.256 milioni di euro, mentre per il 2016 e per il 2017 sono previsti finanziamenti pari a 40 milioni di euro. Anche nel caso del Veneto si va alla sostanziale copertura delle posizioni e gli esuberi sono quelli fisiologici derivanti dalla riorganizzazione.
  Il Piemonte ha approvato la legge il 27 ottobre 2015. La decorrenza dell'esercizio delle funzioni trasferite dovrà avvenire entro il 31 dicembre 2015 e la copertura delle spese del personale è prevista dalla legge finanziaria.
  La Campania ha approvato la legge il 30 ottobre 2015. È l'unica regione che, essendo arrivata in ritardo poiché è tra quelle che hanno votato in primavera, si è data una sorta di norma di auto-garanzia tale per cui, se entro quarantacinque giorni non interverranno gli accordi tra la regione Campania e le singole province per la definizione della mobilità, provvederà direttamente la giunta regionale. La copertura finanziaria è prevista nella legge di stabilità del 2016.
  Di Molise e Lazio vi ho già detto. Con questo avete il quadro di come, entro la fine di ottobre, con quelle due eccezioni, tutte le regioni abbiano provveduto a definire le funzioni non fondamentali e, ciò che più importa, le procedure per garantire la mobilità.
  A questo proposito vi devo segnalare un'importante norma contenuta nella legge di stabilità. Mi riferisco all'articolo 38, dove si prevede che dal 1o gennaio, poiché non possiamo più immaginare che il 2016 sia un anno di transizione come è stato il 2015, in ogni caso le province non potranno più avere a carico costi di personale riferiti a funzioni non proprie.
  Come avete visto, nella stragrande maggioranza dei casi le regioni hanno provveduto con proprie risorse alla copertura ma, nel caso dovessero esserci problemi, è istituito un fondo di 100 milioni di euro che servirà a garantire la copertura degli stipendi di quel personale che non avrà ancora trovato una definitiva sistemazione. Questo significa che le province dal 1o gennaio 2016 non avranno più alcun onere finanziario relativo al personale non riferibile alle funzioni fondamentali.
  Per garantire che questo processo possa avvenire, entro trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità è nominato un commissario al fine di assicurare, nelle regioni che non hanno provveduto a compiere tutte le operazioni per il trasferimento del personale, che questo sia completato entro il 30 giugno 2016. Da quello che io vi ho appena detto questa ipotesi appare largamente residuale. La figura del commissario potrebbe intervenire solo laddove dovessero esserci intoppi per garantire Pag. 7il completamento dell'effettivo passaggio del personale dalle vecchie province alla regione, ai comuni, ai consorzi di comuni o alla pubblica amministrazione.
  Come vedete, nonostante l'enorme complessità e i problemi che una finanziaria complicata come quella del 2015 ha sicuramente causato, la legge ha trovato attuazione. Potremmo definire il 2015 come l'anno che ha consentito il passaggio da un sistema all'altro. Il 2016 dovrebbe essere l'anno in cui si dispiega il nuovo modo di operare degli enti di area vasta.
  Ho lasciato per ultimo, considerandolo come un argomento a sé stante, il tema delle città metropolitane. Come sapete, le città metropolitane sono state istituite nel 1990, con la legge n. 142. Come mi è capitato più di una volta di raccontare, nel 1990 ero sindaco della mia città e facevo parte della delegazione dell'ANCI che trattava con il Governo per la definizione delle aree metropolitane. Mi sono trovato a essere Sottosegretario nel Governo Renzi nel 2014 e la prima riunione che ho fatto da componente del Governo è stata con l'ANCI per dare l'avvio alle città metropolitane. Erano passati solamente ventiquattro anni.
  Se la legge Delrio ha fatto una scelta drastica, da molti criticata come è legittimo che sia, stabilendo che le città metropolitane quelle erano e che il presidente della città metropolitana dovesse essere il sindaco del comune capoluogo, lo ha fatto perché non eravamo nella condizione, visti i precedenti ventiquattro anni di storia parlamentare, di creare un modello perfetto di città metropolitana.
  Il modello perfetto di città metropolitana ha infatti prodotto ventiquattro anni di inerzia, mentre noi tutti sappiamo che la dimensione metropolitana, nel quadro dello sviluppo europeo, è una funzione pregiatissima. I Paesi dell'Unione europea come Francia, Germania, Regno Unito, Spagna, Paesi Bassi e Polonia sono tutti organizzati con sistemi metropolitani e in nessun modo potevamo non essere parte di questo processo importantissimo di sviluppo.
  La competizione tra territori avviene anche sulla base della governance. Un investimento viene valutato anche sulla base della capacità di risposta che le strutture di governo di un particolare territorio dimostrano di avere in termini di tempestività, chiarezza e trasparenza. Per fare un investimento a Stoccarda il punto di riferimento è il presidente dell'area metropolitana di Stoccarda ed è con lui che si tratta. Per fare un investimento a Milano fino a qualche mese fa gli interlocutori potevano essere molteplici e con atteggiamenti, come logico, non tutti convergenti rispetto alla scelta di un tipo o di un altro.
  La città metropolitana, per quanto sia stata fatta con una forma piuttosto brutale, ci consente di essere finalmente in sintonia con il resto d'Europa nel governo di questi importantissimi territori, o per lo meno di avviarci ad esserlo. Credo che adesso il vero salto di qualità debbano farlo le città metropolitane, le quali devono rendersi conto che le nuove città metropolitane non sono la somma o la continuazione delle vecchie province, ma una dimensione economico-programmatica di sviluppo e di governance completamente diversa.
  Sapete che gli statuti possono prevedere modalità di elezione diretta del sindaco. Le risposte che sono venute dai vari statuti delle città metropolitane sono da questo punto di vista diversificate. Non tutte hanno scelto l'opzione dell'elezione diretta e altre hanno mantenuto lo status attuale. Tutte hanno approvato gli statuti con l'eccezione della città metropolitana di Venezia, la cui vita amministrativa è stata interrotta dal commissariamento, e di Reggio Calabria perché la scadenza della provincia di Reggio Calabria è prevista, se non ricordo male, nella primavera del prossimo anno. Da allora partirà anche il processo di formazione della città metropolitana di Reggio Calabria.
  La situazione è questa. Tutti hanno adempiuto ai propri compiti statutari. Alcune città metropolitane hanno già approvato il piano strategico, che è lo strumento di indirizzo e di governo delle funzioni pregiate dell'area metropolitana. Alcune Pag. 8andranno al voto nella prossima primavera. C’è il problema della città metropolitana di Roma, che è stata sciolta in questi giorni. Questo evidentemente rappresenta un elemento di rallentamento della operatività della città metropolitana stessa.
  Se, alla fine della mia relazione, devo dare un giudizio, questa è stata una legge di riforma molto coraggiosa. È una legge di riforma complicata. Io la definisco un cantiere aperto nel senso che sarà possibile, ma anche necessario, con provvedimenti futuri modificarne e correggerne alcune parti che si sono rivelate incomplete oppure inadatte ad assolvere la funzione che era stata loro affidata. È però una riforma in grado davvero di cambiare il panorama e la geografia dell'amministrazione locale del nostro Paese.
  Io credo che sia un'occasione importantissima, che non deve essere sprecata.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario e do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANDREA CECCONI. Ringrazio il Sottosegretario per la relazione. Come il Sottosegretario, faccio anch'io una doverosa premessa. È noto che il Movimento 5 Stelle non ha condiviso la linea adottata dal Governo in merito a questa riorganizzazione territoriale. Avevamo in mente tutt'altro, ma si tratta di una scelta politica del Governo. La scelta è vostra, ma vostro è anche il compito di darle applicazione sul territorio.
  C’è una cosa che non ho mai capito. Non l'ho capita quand'ero cittadino comune, non la capisco adesso che sono deputato e, probabilmente, non la capirò mai. Come è possibile che in questo Paese il Parlamento faccia una legge, che il Governo è tenuto a fare eseguire e gli enti locali e le regioni ad applicare, ma qualcuno la applichi, qualcuno la applichi a metà, qualcuno non la applichi affatto e non succeda niente ?
  Si deroga e non succede nulla, tant’è che abbiamo avuto il decreto Delrio sulla riorganizzazione, poi l'intesa Stato-regioni del settembre dello stesso anno, la legge di stabilità del 2015 che ha imposto un taglio molto pesante alle province, il decreto sugli enti locali che ha definito altre questioni di organizzazione territoriale, vari decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e decreti ministeriali della funzione pubblica, nonché la legge di stabilità di quest'anno che contiene altre disposizioni in materia.
  Non dico che tutta la manovra sia stata un disastro perché qualcosa è stato fatto, ma non è neanche stata un gran successo. Quando la riforma si compirà, se si compirà perché io ho grossi dubbi che tra poco le esporrò, saremo a metà del prossimo anno. Saranno quindi passati due anni, durante i quali i 20.000 dipendenti delle province – come ha detto bene lei, si tratta della vita delle persone, che andrebbero ampiamente tutelate facendo molta attenzione quando si avviano certe manovre – non sapevano di che morte dovevano morire e cominciano a capire solo adesso dove andranno.
  Dal punto di vista mio e dei miei colleghi, che con le province dei nostri territori abbiamo avuto un'interazione, la cosa peggiore è che per tutto l'anno, dopo che le province avevano subito un taglio pesante, le regioni avrebbero dovuto farsi carico delle funzioni fondamentali, ma non l'hanno fatto, e queste 20.000 persone hanno dovuto sforzarsi di svolgere un servizio per i 60 milioni di cittadini italiani per cui non avevano più fondi.
  È stato continuo durante quest'anno il rapporto con dipendenti delle province che dicevano che i cittadini li interpellavano su questioni di cui ancora erano titolari perché la regione non si era ancora assunta quei compiti, ad esempio nell'ambito sociale o in agricoltura, e loro erano costretti a rispondere che non potevano fare nulla perché i soldi per quei servizi non li avevano più. Alcune province hanno anticipato la spesa nella speranza che le regioni le rimborsassero sia delle spese sostenute per il personale sia per i servizi erogati quando sarebbe già spettato alle regioni.Pag. 9
  Questo movimento di personale e di soldi sulla carta è sicuramente ben fatto. Io provengo dalla regione Marche, che è stata una delle prime, insieme alla Toscana e all'Umbria, ad approvare la legge, ma anche la legge Delrio sulla carta fissava punti chiari, così come fanno la legge di stabilità e tutti i provvedimenti successivi.
  Se sulla carta va tutto bene e non abbiamo nulla da eccepire dal punto di vista procedurale, nella realtà i problemi invece sono molto seri perché ai cittadini non sono stati erogati i servizi. Ci sono scuole in cui i riscaldamenti non vengono accesi perché le province non hanno i soldi e, non volendo violare il patto di stabilità, non possono fare altrimenti. I servizi sociali non hanno funzionato per un anno intero e non sappiamo quando ripartiranno. Nella legge di stabilità c’è un ulteriore taglio per le regioni, ma non voglio allargare l'ambito della discussione. La verità è che sulla carta non è evidente un problema che nella realtà esiste.
  Il potere sostitutivo nei confronti delle regioni inadempienti, che è stato introdotto nella legge di stabilità di quest'anno, credo che diventerà generalizzato perché solo l'Emilia-Romagna e qualche altra regione si è già portata avanti con i lavori. Quando lo Stato deve dotarsi di un potere sostitutivo per le inadempienze degli enti territoriali, che dovrebbero rispettare la legge, è sempre una sconfitta per un Paese perché la legge c’è e deve essere semplicemente rispettata.
  Un punto di cui lei non ha parlato è quello delle unioni e delle fusioni dei comuni. Io mi aspettavo che venisse affrontato perché lei sa benissimo che questa Commissione sta conducendo un'indagine conoscitiva sull'argomento. La legge Delrio è stata continuamente prorogata nella parte relativa alla gestione associata in unione o attraverso convenzione delle funzioni fondamentali dei piccoli comuni.
  Recentemente abbiamo audito l'ANCI nella persona del vicepresidente Ricci, che peraltro è il mio sindaco ed è stato presidente della provincia nei cinque anni precedenti. Io non ho partecipato perché ho un rapporto un po’ particolare con il mio sindaco su alcuni punti, però l'ANCI pone un grande quesito al Governo in merito alla riforma Delrio perché sostiene che, per come è stata scritta, non è adeguata. Anche i piccoli comuni si lamentano con il Governo perché la riforma Delrio è inadeguata e non propone il metodo giusto con cui procedere. Ovviamente ANCI e ANPCI considerano la questione da un punto di vista opposto.
  Io credo che la legge Delrio non abbia affrontato una dicotomia che, a mio avviso, è reale e che anche in questa discussione andrebbe affrontata. Vorrei il suo parere. I grandi comuni, quelli appartenenti all'ANCI, ragionano da grandi comuni con molta popolazione, molte strade, molti servizi, aree industriali grandi, grande turismo. Ragionano sui grandi numeri e pensano che questi grandi numeri dovrebbero essere allargati quanto più possibile anche agli altri comuni.
  I piccoli comuni, invece, ragionano sulla base di ampi spazi territoriali disabitati, un'occupazione agricola più che industriale, una popolazione generalmente di età avanzata o una popolazione giovane di rientro occupata nell'agricoltura o nel turismo ambientale. I grandi e i piccoli hanno esigenze completamente diverse.
  La legge Delrio dice che sotto i 5.000 abitanti si deve andare in direzione dell'aggregazione, mentre l'ANCI vorrebbe lasciare perdere i 5.000 abitanti e creare bacini ottimali in cui i servizi siano condivisi. Ebbene, io credo che questo non possa funzionare in tutto il Paese. Ci sono realtà italiane dove, come dice l'ANCI, potrebbe funzionare. Penso, per esempio, alle zone pianeggianti della Lombardia, del Veneto, dell'Emilia-Romagna, dove già esistono unioni molto grandi e l'assetto territoriale permette di seguire questa direzione. Ci sono, invece, intere regioni e aree interne dove questo ragionamento sulla grande unione non può funzionare.
  Credo sia corretto rivedere la questione delle unioni e fusioni di comuni senza porre parametri in termini di numero di abitanti o di chilometri quadrati di territorio. La verità è che bisognerebbe fare un lavoro certosino e sedersi a un tavolo con Pag. 10i comuni, con l'ANCI, con le regioni, con le province e con chiunque altro il Governo intenda chiamare perché in alcune zone si possono fare unioni anche di 100.000, 200.000 o 300.000 abitanti, mentre in altre unioni di 7.000 abitanti non devono rappresentare un problema. Vanno tutelate tutte e due le parti.
  Siamo in uno Stato dove ci sono 8.000 comuni e la maggior parte di questi è sotto i 5.000 abitanti. Se sono più di 7.000 un motivo c’è e questo motivo deve continuare a esistere. Ci sono zone del nostro Paese con un piccolo bacino di abitanti che devono essere tutelate e garantite sul piano sia dei servizi sia degli investimenti. Si snaturerebbe completamente un territorio che ha più dei 150 anni della Repubblica e non credo che, nella maniera così semplicistica in cui lo fa la legge Delrio, una norma possa sanare questo assetto territoriale.
  Se ne sta discutendo e credo se ne discuterà ancora visto, che la Commissione sta affrontando il problema e l'ANCI sta entrando pesantemente sull'argomento ormai da qualche mese. Anche il Governo credo se ne stia rendendo conto e probabilmente starà progettando qualche modifica alla normativa.
  Se ci può anticipare qualcosa o darci la sua opinione sul punto, le sarei grato.

  MARILENA FABBRI. Anch'io mi soffermo su unioni e fusioni di comuni, anche se immagino che il Sottosegretario Bressa non sia entrato nel merito di questo tema perché dovremo sentirlo di nuovo nell'ambito dell'indagine conoscitiva. Tengo però anch'io a fare alcune riflessioni.
  Intanto vorrei precisare che non è la legge Delrio ad aver imposto le unioni dei comuni nel nostro territorio, ma il decreto-legge n. 78 del 2010. La legge Delrio ha invece avuto il merito di indicare alcuni elementi per rendere operativa quelle norme. Le disposizioni del 2010, infatti, demandavano alle regioni l'emanazione di una legge regionale attuativa per realizzare le unioni dei comuni, cosa che moltissime regioni non hanno fatto, come è già stato detto prima.
  La legge Delrio ha individuato una serie di norme specifiche per consentire ai comuni che non potevano appoggiarsi alle leggi regionali di applicare una legge dello Stato, che, in caso di non ottemperanza, prevedeva la sanzione del commissariamento, con conseguenze non da poco per i comuni. La proroga continuativa dei termini deriva proprio dall'effettiva difficoltà dei comuni di ottemperare all'obbligo.
  Io ritengo che l'unione sia un passaggio fondamentale. Era già stata prevista nella legge n. 142 del 1990. Addirittura in quel caso si diceva che dopo dieci anni di unione si sarebbe dovuti andare obbligatoriamente a fusione e probabilmente quell'obbligo non ha fatto decollare questo strumento di gestione associata tra comuni, che dal 2010 in poi, invece, sta avendo un importante riscontro.
  Per i comuni raggiungere una dimensione ottimale credo sia importante al fine di acquisire risorse economiche e dimensioni demografiche adeguate a gestire la complessità delle sfide di oggi. Sono stata per dieci anni sindaco di un comune di 14.000 abitanti ricco, con un grande territorio pedecollinare ma economicamente importante. So quali sono le difficoltà del gestire un territorio e garantire i servizi.
  Continuare a dire che piccolo è bello perché si gestisce il territorio come se fosse un condominio, se non casa nostra, è assolutamente fuori dalla realtà. Vuol dire che i servizi ai cittadini non vengono erogati da quel comune ma da qualcun altro, che sta fuori da quel comune.
  La scelta che è stata fatta, e che io condivido e credo debba essere confermata, è quella di consentire a tutti i comuni di avere una dimensione ottimale per offrire servizi ai propri cittadini. Altrimenti si può scegliere, come è successo in altri Stati, di avere comuni di serie A e comuni di serie B, con comuni onorifici che tengono esclusivamente le pubbliche relazioni con i propri cittadini e si fanno mediatori con un livello superiore demandato Pag. 11a erogare i servizi. Io credo che sia importante mantenere non solo il rapporto con i cittadini, ma anche l'effettiva capacità di gestire.
  Quello che sta emergendo, e che vorrei anticipare rispetto al confronto che avremo successivamente nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle unioni e fusioni di comuni, è la maggiore disponibilità, espressa unanimemente dall'ANCI, a partecipare a questo processo di unione o fusione. Ciò rappresenta già una novità importante.
  Una riflessione che noi dovremmo fare riguarda il fatto che le unioni di piccole dimensioni hanno una valenza diversa rispetto alle unioni di grandi dimensioni. Questa diversificazione non esisteva perché la legge del 2010 partiva dalla gestione associata in forma obbligata sia dei servizi sia soprattutto delle funzioni fondamentali dei piccoli comuni per approdare alla fusione. Portare all'unione i comuni serviva a far maturare all'interno delle comunità la scelta di una fusione, che vorrei ricordare non vuol dire perdere né l'identità né i servizi territoriali, ma anzi fare massa critica per gestire meglio le risorse. Questa, secondo me, dovrebbe essere una battaglia comune a prescindere dalle appartenenze politiche perché la sostenibilità economica e gestionale dovrebbe essere un obiettivo comune.
  Credo sia invece importante prendere atto del fatto che i comuni chiedono che a essere portati verso un processo di unione/fusione non siano solo i piccoli comuni, ma anche i grandi. In tal modo tutto il territorio sarebbe organizzato per unioni funzionali, che potrebbero diventare un altro soggetto intermedio interessante, alternativo o affiancato alle aree vaste. L'unione in ogni caso si specializzerebbe nella gestione delle funzioni e dei servizi fondamentali, mentre l'area vasta, anche alla luce di quanto indicato nel decreto-legge n. 78 del 2015, acquisterebbe una valenza non più provinciale ma sovra-provinciale.
  È effettivamente in atto un processo di ripensamento della gestione dei territori molto importante. Mi preoccupano, però, due aspetti presenti anche nella legge di stabilità, che andremo poi ad approfondire. Il primo è se le risorse previste per le province siano sufficienti e adeguate per gestire le funzioni fondamentali anche a seguito del lavoro che ci è stato illustrato e che nel 2016 vedrà le funzioni non fondamentali ridefinite e riallocate sul piano sia delle risorse economiche sia delle risorse umane.
  L'allarme è che le risorse previste nella legge di stabilità non siano comunque sufficienti a garantire il funzionamento delle province per quanto attiene alle loro nuove funzioni fondamentali. Due importanti servizi fruibili da tutti come la manutenzione delle strade e la manutenzione dell'edilizia scolastica provinciale restano alle province e sono immediatamente visibili, anche nella loro obsolescenza, da parte dei cittadini.
  L'altra preoccupazione è invece legata al cambiamento dei criteri di stabilità a favore dei comuni. Non si parla più di stabilità, ma di obiettivi diversi. Mi chiedo come questo si intersechi con il tema dei comuni fusi. Tra le norme di vantaggio per i comuni che sceglievano la fusione c'era, infatti, anche la non applicazione del patto per i primi cinque anni di istituzione del comune fuso. Mi chiedo se sia stato valutato in che misura il cambiamento dei criteri in materia di obiettivi finanziari avvantaggi o svantaggi i comuni fusi.
  Infine, vorrei accennare alle incorporazioni. Le fusioni per incorporazione sono una novità della legge Delrio, che prevede che le fusioni possano nascere anche per incorporazione successiva di un comune in un altro. Era probabilmente un caso residuale nel momento in cui è stato pensato, ma potrebbe diventare un istituto particolarmente significativo nei prossimi mesi o anni.

  TERESA PICCIONE. Come prima considerazione, vorrei dire che la relazione è stata estremamente interessante e approfondita nei vari temi e argomenti. Vorrei sottoporre al Sottosegretario due domande.Pag. 12
  Le chiedo come si muovono le regioni a statuto speciale rispetto a questo ripensamento della struttura istituzionale e territoriale del nostro Paese che è la legge Delrio e se, in particolare, la legge della Sicilia sui liberi consorzi, ex articolo 15 dello Statuto siciliano, che è stata impugnata abbia trovato punti di ricaduta e soddisfi le attese del Governo e dei suoi rilievi.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Prima di tutto vorrei ringraziare il Sottosegretario per la relazione puntuale, ma soprattutto per il lavoro fatto. Credo che lo sforzo di ricollocare 20.000 persone non sia stato piccolo e va dato atto che tutto questo, nonostante le ansie e le preoccupazioni, è avvenuto in sostanziale «tranquillità», senza rilievi o tensioni ulteriori rispetto a quelle ovvie legate alla paura del cambiamento.
  Credo, per quanto riguarda le province, che questo vada evidenziato, sapendo anche che attorno al tema province e aree vaste i territori si stanno chiedendo, in questo momento nel quale al processo riformatore si collega anche la riforma Madia della pubblica amministrazione, cosa saranno le aree vaste e come lo Stato intenda affrontare il tema una volta approvata definitivamente la Costituzione, visto che è previsto che sia lo Stato a definire i criteri per le aree vaste.
  Ero a un incontro con gli amministratori dell'area di Lecco e il problema che lì si pongono, alla luce della riorganizzazione dei servizi dello Stato nel territorio, è se le aree vaste coincideranno con le attuali province oppure no e chi lo deciderà. Loro stanno pensando a un'operazione in cui Monza-Brianza, Como e Lecco insieme diventino un'area vasta, dentro la quale disegnare le aree omogenee e i servizi da ricollocare.
  Quello che rilevo e sottopongo a lei come prima domanda è che sarebbe importante, già da subito, capire quale disegno finale lo Stato centrale metterà sul tavolo, così da evitare, cosa che in parte sta succedendo, che i territori ridisegnino e contro-disegnino l'organizzazione dello Stato partendo da attese o pseudo-attese su ciò che faranno le regioni o lo Stato.
  Lo dico anche perché, nel corso dell'audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva che stiamo conducendo, ANCI ha presentato l'ipotesi di superare il termine del 31 dicembre 2015 per la gestione associata delle funzioni dei comuni sotto i 5.000 o i 3.000 abitanti, ponendo giustamente il tema della definizione di aree omogenee territoriali e chiedendo di poter ridisegnare le nuove relazioni territoriali, sulla base delle quali riorganizzare il sistema dello Stato.
  Siccome su questo tema ANCI ha dichiarato che sta cercando di capire che cosa proporre o ottenere nella legge di stabilità, credo sia importante conoscere la sua opinione, ma anche sapere in che modo sarebbe possibile accelerare un ridisegno complessivo, a conclusione della riforma costituzionale, per permettere a tutti di avere una migliore capacità di negoziare e proporre, così come evidenziato dai comuni. I comuni diventerebbero così protagonisti in uno schema che riguarda l'intero territorio nazionale. Credo infatti che, accanto al problema del riconoscimento delle diversità, occorra anche tenere insieme la Repubblica italiana nella sua organizzazione.
  Vorrei sottolineare che un conto sono le province, che diventano aree vaste, diminuiscono i loro poteri e diventano luogo di cooperazione fra i comuni, un percorso da scoprire, incentivare e accompagnare ma comunque avviato; altro conto sono le città metropolitane.
  Oggettivamente, se la sfida, che io condivido, è quella da lei ancora una volta giustamente rilanciata di un ruolo strategico, addirittura in una competizione oltre i confini nazionali, a me pare di capire che in questa fase le città metropolitane non siano state valorizzate, in primo luogo dalle regioni.
  Lo dico in particolar modo per la regione Lombardia, che conosco da vicino, ma mi pare che questo sia un tema nazionale. In questa regione, ad esempio, la città metropolitana di Milano ha meno funzioni della provincia speciale di Sondrio. Pag. 13Non ha i beni culturali, non ha l'agricoltura. Sfugge a molti, ma per un terzo del suo territorio Milano è città agricola. Forse è la prima città agricola in Italia.
  C’è qualche cosa che non funziona e soprattutto non funziona il fatto che per la città metropolitana è irrisolto il tema finanziario. Le città metropolitane hanno le risorse proprie delle province, ma irrigidite. Non hanno quindi la possibilità di gestire una fase di sfida come nuovo soggetto istituzionale, che ha certamente una competenza propria e particolare rispetto alle altre aree vaste ma che comunque è area vasta.
  Credo che questo tema finanziario debba essere affrontato tenendo anche conto della diversità delle città metropolitane per ampiezza, statuti e sfide che lanciano. Le città metropolitane europee hanno privilegiato una finanza indiretta, per cui lo Stato riconosce risorse differenziate per le funzioni proprie delle città metropolitane. Soltanto Barcellona mi pare abbia autonomia finanziaria.
  Credo che questo tema vada affrontato con urgenza, unitamente a una riflessione sulla legge n. 56 del 2014. È vero che anche nelle città metropolitane deve alimentarsi una nuova cultura della cooperazione tra la città capoluogo e le città contermini, ma ripeto che occorre fare presto perché il tema è già entrato in conflitto. Faccio sempre l'esempio della Lombardia e della città metropolitana di Milano. A qualsiasi cittadino si chieda che cosa si aspetta dalla città metropolitana la risposta è il trasporto pubblico locale. Non c’è dubbio, ma la legge regionale non riconosce un ruolo alla città metropolitana.
  La città metropolitana di Milano programmerà e gestirà, dentro un'agenzia interprovinciale con Pavia, Lodi e Monza-Brianza, il trasporto attualmente provinciale, mentre la politica di trasporto pubblico locale urbano verrà gestita autonomamente da Milano, negando in radice quello che, secondo me, la legge n. 56 del 2014 indicava e cioè che non si tratta solo di cooperazione, ma anche di programmazione, pianificazione e gestione del sistema di trasporto dentro quella stessa area.
  Ritengo necessario che, città metropolitana per città metropolitana, si rifletta su quanto è avvenuto con gli statuti regionali per capire, come lei sottolineava, se anche attraverso la modifica della legge n. 56 del 2014, qualora necessario, si possa arrivare a una chiarezza maggiore di funzioni là dove chiarezza non c’è e risolvere definitivamente il tema delle risorse finanziarie. Se penso che alla città metropolitana di Milano il decreto-legge n. 78 del 2015 ha assegnato 50 milioni di euro per chiudere il bilancio dell'anno scorso, non credo che eliminare dalla legge di stabilità il taglio previsto basti. Forse una riflessione puntuale deve essere fatta.
  Lei ha sollevato per le province un problema di fondo. Lo condivido ed esiste anche per le città metropolitane. Mi scuso se parlo sempre di Milano, ma è quella che conosco più da vicino. Non si sa che cosa succederà al sistema bibliotecario e museale della vecchia provincia di Milano. Passa forse alla regione ? In questo caso la norma del decreto-legge n. 78 del 2105 che prevede l'apporto del Ministero non avrebbe valenza. Si tratta anche qui di fare un approfondimento.
  Un'ultima questione molto piccola ma importante, che le avevamo già sottoposto e sulla quale i colleghi parlamentari hanno presentato interrogazioni, riguarda il tema dei disabili sensoriali. La legge regionale lombarda indica in maniera precisa la necessità che una legge statale di riordino delle competenze preceda la legge regionale. Dal 1o gennaio 2016, quindi, il problema delle competenze e delle relative risorse per questo tema si riproporrà.
  Io non ho dubbi che le competenze siano regionali o degli enti locali. Le regioni dovrebbero delegare i comuni a svolgere questo servizio. Siccome però in una legge regionale si dice che è attesa una legge dello Stato, credo che il problema non riguardi soltanto la regione Lombardia ma tutte le regioni italiane.
  Vorrei avere una sua opinione.

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  ENRICO BORGHI. Nella relazione del Sottosegretario Bressa, che ringrazio per l'attività svolta e per la puntualità con la quale ha rappresentato al Parlamento lo stato di attuazione della normativa, ci sono due elementi convincenti, che costituiscono la riflessione sulla quale impostare il nostro lavoro. Mi riferisco al fatto che la legge sta procedendo nella sua fase di attuazione e che, per stessa definizione del Governo, vada interpretata come un cantiere aperto. Del resto, non potrebbe essere che così.
  Non stiamo discutendo di una riorganizzazione di natura funzionale. Non stiamo chiudendo le camere di commercio o riorganizzando le aziende sanitarie locali. Stiamo parlando della riorganizzazione di un presidio di democrazia per gli italiani. Questo percorso rientra inevitabilmente nelle riflessioni a cui il Sottosegretario faceva riferimento, nella consapevolezza che l'Italia non vi si può sottrarre e che altri Paesi analoghi al nostro, come la Germania e la Francia, hanno già affrontato e risolto il problema partendo da una peculiare capacità di rappresentare in termini istituzionali l'evoluzione delle loro società: in Germania con la creazione degli stadtkreis e dei landkreis e in Francia con le communauté urbaine e le communauté d'agglomération.
  L'Italia credo debba seguire lo stesso percorso di riorganizzazione istituzionale, partendo dalle osservazioni molto puntuali che il Presidente della Repubblica ha fatto all'assemblea dell'ANCI nei giorni scorsi. Possiamo coniugare il diritto all'identità e all'autonomia comunale con la capacità di organizzare ambiti nei quali il dimensionamento socio-economico delle comunità locali è diverso da quello municipale. Questo è il punto.
  Nella società industriale e rurale la comunità esplicava i propri diritti di cittadinanza all'interno di un perimetro municipale. Oggi non è più così. Oggi per esplicare i diritti di cittadinanza, quali lavoro, scuola, trasporti eccetera, c’è bisogno di un ambito che travalica le dimensioni tradizionali del confine municipale. Abbiamo l'esigenza, per rispettare il diritto all'uguaglianza dei cittadini, di mettere in condizione l'amministrazione locale di costruire questo dimensionamento.
  È importante che ci sia l'accompagnamento e il sostegno da parte del Governo e del Parlamento. Deve essere chiaro che siamo dentro un processo che non si può arrestare perché non possiamo tornare indietro con le lancette della storia, ma come in tutti i processi il risultato finale è determinato dalle modalità con cui il processo si dispiega. Quando un aereo decolla, il momento più complicato è esattamente quello in cui stacca le gomme da terra e cerca di trovare una posizione a regime. Noi siamo esattamente in questa condizione. Siamo nel momento più delicato.
  Per entrare nel merito delle osservazioni fatte, io credo, signor Sottosegretario, che abbiamo bisogno, per quanto riguarda aree vaste e province, di un forte allineamento tra le funzioni e le risorse. C’è già un primo segnale nella legge di stabilità, che credo andrà ripreso e approfondito. L'ANCI ha dichiarato, in sede di audizione, che le dotazioni finanziarie messe a disposizione – 150 milioni per le province e 250 milioni per le città metropolitane – sono ancora insufficienti. Occorre procedere a un allineamento, introducendo anche la logica di costi standard. Se i trasporti e la viabilità fanno parte delle competenze provinciali, occorre declinare correttamente i costi unitari in rapporto alle caratteristiche dei territori.
  A questo proposito, ricordo che all'interno della legge Delrio c’è il tema peculiare delle tre province montane, che con legge dello Stato hanno avuto funzioni aggiuntive per le quali non è ancora stata corrisposta la necessaria dotazione finanziaria. Credo che questo sia un elemento al quale porre mano.
  Venendo al tema delle unioni, ribadisco il concetto che ho cercato di estendere. Penso che Governo e Parlamento debbano mandare messaggi chiari, tenuto conto del fatto che occorre un percorso politico e non una logica burocratica, occhiuta e regolatrice che non porta a risultati. La logica, sulla base della quale dal decreto-Pag. 15legge n. 78 del 2015 in poi bisognava, per forza di cose, mettere insieme tutti entro una certa data, altrimenti sarebbero scattati non si capisce quali poteri sostitutivi e sanzionatori, ha prodotto questa situazione di sostanziale «schizofrenia», dentro la quale segnalo la crisi dell'istituto regionale.
  Molte regioni non hanno adempiuto al necessario compito di accompagnamento e di legislazione e credo che sia anche per questo che il legislatore costituente ha riportato, a mio avviso giustamente, la competenza dell'articolo 117, lettera p) della Costituzione, in capo allo Stato. Le forme associative intercomunali oggi sono al palo non solo per una forma di resistenza territoriale, ma anche perché le regioni sotto questo profilo non hanno adempiuto.
  Dentro questa cornice penso che dobbiamo dare due segnali molto chiari. Dobbiamo dire no alle deroghe, perché non si pensi che abbiamo scherzato e che si possa tornare a una sorta di «limbo primordiale», e dobbiamo dire no ai tentativi di tornare indietro.
  Se questo è il percorso, definire modalità con le quali perfezionare il processo e allineare l'attuazione delle aree vaste, nel cui perimetro i comuni scelgono quali funzioni trasferire all'area vasta sulla base di unioni omogenee, con tempi predeterminati e non definiti sine die, penso possa essere un interessante esperimento.
  Faccio a un esempio che conosco bene. Se il nostro Paese avesse fatto un'operazione di questo genere dieci anni fa, trasformando le 356 comunità montane in unioni di comuni, anziché dare vita alla fiera dell'impazzimento come abbiamo fatto, metà del Paese avrebbe trovato la soluzione da sola e probabilmente avrebbe trascinato l'aggregazione su base municipale nella restante parte.
  Noi abbiamo bisogno di questo tipo di omogeneità. Il fatto, per esempio, che i comuni al di sopra dei 3.000 abitanti non siano obbligati all'esercizio associato di funzioni, quando spesso sono sede dei servizi per i quali occorre arrivare a un ambito di definizione, è un problema oggettivo. Non possiamo immaginare unioni di comuni «groviera», in cui si fa la somma degli elementi deboli e si lasciano fuori quelli che invece sono il perno di un sistema territoriale. È un tema che alcune regioni si sono poste e hanno affrontato. Altre regioni non si sono assolutamente peritate e il risultato è una situazione a macchia di leopardo.
  Rispetto a questo percorso, penso che lo sforzo di allineamento, anche normativo, che stiamo compiendo debba essere ulteriormente rafforzato. Il collegato ambientale, ad esempio, identifica l'unione di comuni come l'elemento di attuazione delle politiche di green economy e il codice degli appalti identifica l'unione di comuni come la stazione appaltante per conto dei comuni di piccola dimensione.
  Importantissima sarà anche l'attuazione del decreto-legge Madia perché la dirigenza unica è intimamente connessa all'efficienza ed efficacia della pubblica amministrazione. La soppressione della figura dei segretari comunali e la nascita del dirigente unico non possono non trovare una coerenza di sistema rispetto a questa dimensione.
  Penso, signor Sottosegretario, ringraziandola ancora, che in questa direzione il Parlamento sia disponibile a continuare a cooperare, anche nell'ottica di creare, attraverso la legge di stabilità, quel chiaro sistema di incentivi e disincentivi in grado di attivare il processo.

  MATTEO RICHETTI. Sarò brevissimo perché non mi avventuro in riflessioni sulla parte maggiormente politica, anche se desidero ringraziare il Sottosegretario per la puntualità e per il fatto che ha giustamente, in premessa, restituito a questa Commissione il progetto e la visione e non solo un dato di procedimento e di trasformazione dei livelli istituzionali in corso. Voglio testimoniare al Sottosegretario che questa Commissione sente molto la sua mancanza, senza nulla togliere a chi è subentrato.
  Per non portare via altro tempo, farò tre domande secche. Lei ci ha dato un quadro puntuale delle leggi regionali in Pag. 16termini di coperture finanziarie e garanzie di svolgimento delle funzioni, ma non ho capito se complessivamente – non mi occorre il dato regione per regione – le regioni abbiano tutte tenuto in capo le funzioni non più fondamentali delle province o se qualcuna abbia proceduto alla riattribuzione all'area vasta di alcune funzioni non previste dalla legge Delrio. Chiedo cioè se ci sia stato un nuovo decentramento delle funzioni che sono tornate in capo alle regioni.
  Passo alla seconda domanda. Le 20.000 persone impiegate nelle funzioni non essenziali sono tornate alle regioni o c’è stata una certa mobilità verso i comuni e le amministrazioni centrali con presenze periferiche, come tribunali e provveditorati ? Mi basta anche un dato sommario relativo ai 20.000.
  Vorrei poi sapere quante persone, al termine di questo procedimento, rimarranno nelle province spogliate delle vecchie funzioni.
  La quarta domanda, che era relativa alle regioni a statuto speciale, l'ha già posta la collega Piccione. Anche a me interesserebbe capire se, alla fine di tutto questo lavoro, che io ritengo davvero di grande importanza e di grande valenza anche strategica, resteranno fuori solo Trento e Bolzano o se anche in altre regioni a statuto speciale avremo dinamiche diverse.
  Sarei molto attratto dalla riflessione del collega Borghi. Voglio solo lasciare a verbale che potremo dare coerenza all'impianto che abbiamo cercato di costruire in termini di gestione associata dei servizi, con tutti gli strumenti associativi che abbiamo dato agli enti locali, solo quando ci porremo seriamente la questione che tutto si tiene se alla fine del procedimento si arriva alla fusione.
  Potremmo riempire pagine di esperienze di unioni e di forme associate di gestione dei servizi che hanno aumentato i costi e non hanno prodotto efficienza. Dobbiamo avere anche tra di noi la franchezza di dirci che, proprio là dove siamo stati protagonisti del governo delle città, dei territori e degli enti locali, non sempre l'impulso associativo ha creato efficienza, minori costi, aumento della qualità dei servizi.
  Tutto, secondo me, si tiene quando c’è il coraggio, senza violentare le comunità e mantenendo la dimensione identitaria e storica dei territori, di avere come primo livello amministrativo un livello che superi l'attuale frammentazione della dimensione comunale.

  ANDREA CECCONI. Chiedo scusa, ma vorrei avere una risposta puntuale perché con i colleghi della Commissione ci sono divergenze e punti sui quali siamo fermamente contrari, ma ci sono anche molti punti di contatto.
  Io ho già detto che non trovo efficace la legge Delrio su fusioni e unioni. Anzi, credo sia deficitaria. Io non sposo né il punto di vista dell'ANCI, né quello dell'ANPCI. Credo, però, che sia l'uno che l'altro contengano elementi di realtà che andrebbero considerati. È vero, come dice l'ANCI, che due comuni contigui tra i 10.000 e i 15.000 abitanti, che non sono costretti dalle legge Delrio a unirsi, dovrebbero invece essere costretti o fortemente incentivati a farlo per formare un bacino ottimale di servizi. D'altro canto, esistono realtà, al di sotto della soglia dei 5.000 abitanti, che sono costrette a unirsi quando in realtà rischiamo di creare periferie in cui ai cittadini, anziché di più, diamo molto meno. Capisco che sia difficile perché c’è una storia e una cultura, ci sono divergenze e restrizioni, ma credo che questa diversità andrebbe applicata.
  Stiamo andando incontro, per altro, a una riorganizzazione territoriale dove gli ambiti territoriali ottimali per l'acqua, i rifiuti e i servizi sociali sono già definiti a livello quasi provinciale. Il trasporto pubblico locale ha ambiti provinciali o anche regionali. Moltissimi servizi hanno già grandezze maggiori dell'area vasta in cui sono erogati. Tanti altri no e forse sarebbe bene andare nella direzione di costringere tutti i comuni di una provincia a condividere i servizi a livello provinciale nell'area vasta, piuttosto che obbligare comuni Pag. 17molto distanti tra loro a mettersi insieme e a condividere servizi che non offrono nulla ai cittadini.
  Il territorio italiano è molto vasto e molto variegato. Non credo che una legge totalitaria, che obblighi in un senso o nell'altro a pena di sanzioni, sia efficace. Ci sono diversità che, secondo me, quella legge non affronta e che avremmo invece il compito di analizzare con attenzione.

  PRESIDENTE. La mia considerazione è simile e vicina a quella dell'onorevole Richetti. Mi interessa capire, in una valutazione complessiva, qual è il livello di omogeneità delle soluzioni. Quando si introducono meccanismi di questo tipo, ci sono ovviamente differenze ma, perché il sistema funzioni, un certo grado di somiglianza tra le soluzioni delle regioni è importante. In alcune parti c’è un obbligo, ma in generale vorrei capire se il quadro che emerge è molto variegato o se c’è invece una certa coerenza di sistema.
  Do ora la parola al Sottosegretario per la replica.

  GIANCLAUDIO BRESSA, Sottosegretario di Stato agli affari regionali. Ringrazio per le domande che avete fatto perché possono consentire una maggiore precisazione relativamente ad alcune questioni molto importanti e, per alcuni aspetti, decisive. Per praticità, vado nell'ordine con cui siete intervenuti.
  Onorevole Cecconi, lascio a dopo la questione relativa alle unioni e fusioni dei comuni, che è la più interessante. Mi permetto, però, di far osservare una cosa rispetto alla sua valutazione. Fermo restando che ricordo bene la vostra contrarietà alla legge (non è questo il problema), vorrei che la valutazione non finisse per essere poco chiara o confusa. Non è che legge non venga applicata o rinviata nella sua attuazione. È una legge complicata, che si sta attuando.
  Per quanta difficoltà ci sia stata, nessuna provincia ha fatto venire meno i servizi che doveva garantire. Il merito è tutto delle province, che, in una situazione di straordinaria difficoltà, hanno saputo tenere la posizione. Un'occasione così straordinaria non si deve ripetere. Tuttavia, va anche ricordato che, nel corso di quest'anno, le difficoltà sono state molte, ma il sistema ha tenuto e lo si deve alla capacità dei sindaci che sono diventati i nuovi amministratori delle aree vaste.
  Il problema è che dobbiamo completare in maniera razionale e veloce questo progetto di riforma. Non vorrei che passasse l'idea che la riforma sia stata piantata a metà. Non è vero. Ci sono stati dei passaggi molto difficili e permangono delle difficoltà, ma si tratta di una riforma che sta andando avanti.
  Quello che io mi trovo a riscontrare sempre più frequentemente girando il Paese, parlando e occupandomi di queste cose è che sta crescendo nella classe dirigente delle nuove province, cioè nei sindaci che sono stati chiamati a questa difficilissima operazione politico-amministrativa, la consapevolezza del ruolo dell'area vasta e di ciò che significa fare il sindaco dentro questa nuova dimensione.
  Parallelamente a questo tipo di valutazione, è del tutto evidente che il tema delle unioni e delle fusioni è cruciale. Chi conosce me e la mia attività parlamentare conosce anche i motivi di profonda contrarietà che ho avuto – le ho dimostrate non solo con il voto, ma anche con le argomentazioni – sul modello che è stato assunto dal decreto-legge n. 78 del 2010 per procedere a unioni e fusioni di comuni.
  Io la penso come lei, onorevole Cecconi. Il processo di unione e fusione va accompagnato, come ha detto bene l'onorevole Borghi. È un processo politico, non burocratico ed è del tutto evidente che un processo politico non può avere una dimensione uniforme nel nostro territorio nazionale perché siamo fatti in maniera profondamente diversa e, all'interno della stessa regione, esistono realtà morfologicamente, geograficamente, strutturalmente e culturalmente non omogeneizzabili. Qualsiasi intervento che avvenga sulla falsariga di imposizioni rischia Pag. 18di produrre risultati che non sono all'altezza delle risposte che ci immaginiamo.
  Siccome però è compito di chi sta al Governo dare attuazione alle leggi che ci sono, il Governo deve fare un tentativo e, da questo punto di vista, il dibattito che voi state facendo nonché le posizioni che sta assumendo l'ANCI aiutano a risolvere la questione. Io vorrei che noi riflettessimo su una cosa che è stata detta dall'onorevole Borghi e che mi pare molto importante. Infatti, ha affermato che il perfezionamento del processo relativo a unioni e fusioni deve avvenire dentro il processo presente dell'attuazione dell'area vasta.
  Io sono molto d'accordo con la proposta dell'ANCI, secondo cui sarebbe quanto mai opportuno prevedere che la dimensione della prospettiva delle unioni avvenga all'interno dell'identificazione di aree omogenee dentro le aree vaste. È un elemento di grandissima semplificazione e razionalizzazione ed è anche la condizione che consente di bypassare l'inerzia legislativa regionale, che, come voi sapete, è purtroppo una costante nella maggioranza dei casi. Sono poche, infatti, le regioni che hanno fatto leggi che funzionano e che accompagnano il processo di unione e fusione.
  Questa è una partita vera. Se è vero che il 70 per cento dei comuni ha meno di 5.000 abitanti, è altrettanto vero che questo diventa un elemento di diseguaglianza sostanziale. Qualche giorno fa ero in una provincia del Piemonte che ha dato vita a parecchie unioni comunali e, all'interno di queste unioni comunali, ci sono comuni che viaggiano intorno ai cento abitanti. Verrebbe da dire che un comune di cento abitanti non ha alcun senso, ma un comune di cento abitanti dentro a un'unione, se questa è costruita sulla base di una dimensione funzionale e non di un'imposizione tecnico-burocratica o normativa, ci può stare perché finisce per essere un pezzo del presidio del territorio. Quello che non ci può stare è che l'abitante di un comune di cento abitanti venga di fatto discriminato rispetto all'abitante di un comune di 10.000, di 50.000 o di 100.000.
  È una partita molto interessante. Credo che già in sede di legge di stabilità, ma forse più propriamente con un provvedimento ad hoc, dovrà essere affrontata.
  Sono d'accordo, anche se io non ho mai sposato quel tipo di logica, che non possiamo spostare ogni momento i termini entro cui devono essere fatte alcune operazioni. Chi sta facendo quelle operazioni non può improvvisamente vedersi smontato un processo associativo, che deve essere rispettato. Credo, quindi, che la soluzione stia nella possibilità di tenere in vita quei termini, ma aprendo un nuovo percorso con limiti temporali molto precisi e definiti.
  Con questo credo di avere risposto anche a molti dei quesiti dell'onorevole Fabbri. Per quanto riguarda la questione dei comuni che si sono fusi e il patto di stabilità, non credo che ci siano contraccolpi. Se sono nella condizione di avere avanzi di amministrazione e di essere in pareggio di bilancio, hanno una condizione favorevole comunque. Se non lo sono, la norma li tutela per i prossimi cinque anni. Posso studiare meglio la questione, ma non vedo problemi di questo tipo.
  Per quanto riguarda le questioni poste dall'onorevole Piccione e dall'onorevole Richetti relativamente alle regioni a statuto speciale, dobbiamo togliere da questo panorama Trento, Bolzano e Valle d'Aosta perché sono di fatto tre province. Per quanto riguarda il resto, il Friuli Venezia Giulia con una propria legge, che credo sia adesso in discussione alla Camera, ha eliminato le province e le ha sostituite con un'altra forma organizzativa. La regione Sardegna sta lavorando alla legge di attuazione.
  La regione Sicilia l'ha già approvata, ma è stata impugnata per le parti che contraddicono alcuni principi fondamentali della legge Delrio, quali per esempio il voto ponderato e la rappresentanza ponderata all'interno dell'area metropolitana. Non può valere il principio che ogni una testa vale un voto perché questo porterebbe Pag. 19a una sproporzione di rappresentanza dei territori e dei comuni. Nel momento in cui la regione Sicilia, come mi pare stia avvenendo perché la Giunta regionale ha già adottato un testo, dovesse modificare il proprio provvedimento, si ritira l'impugnativa e la regione siciliana procede.
  Vengo alle questioni poste dall'onorevole Gasparini. La questione delle questioni, rispetto alla quale io credo che il 2016 debba essere l'anno della soluzione, è il tema delle risorse finanziarie per le città metropolitane. La legge sul federalismo fiscale dà alcune indicazioni. Credo che siano insufficienti, ma quantomeno quelle indicazioni dovrebbero trovare un'attuazione normativa compiuta.
  Il tema dei disabili sensoriali è una questione vera. Non possiamo barricarci dietro l'ipotesi di chi sia competente. C’è, infatti, una sentenza della Corte costituzionale che non si sofferma a considerare chi sia competente perché è in gioco un diritto fondamentale del cittadino che deve essere garantito. Dobbiamo trovare una soluzione finanziaria e io dico che dobbiamo farlo nella legge di stabilità. Quanto alle competenze, vedremo.
  Il disegno finale per il territorio che abbiamo in mente prevede che le aree vaste provino a lavorare insieme. All'interno di ogni singola regione si dovrebbe quindi provare a ridisegnare gli ambiti migliori per garantire la gestione di area vasta, anche con la possibilità di prevedere fusioni e accorpamenti tra le attuali aree vaste.
  Per quanto riguarda i comuni, il discorso è andare progressivamente alle unioni, in maniera razionale e condivisa. Il ruolo dell'area vasta è a questo proposito di programmazione perché sono i sindaci a programmare se stessi. Io la penso però come l'onorevole Richetti. L'esito finale per molte di queste realtà, anche se non per tutte, non può che essere la fusione. Vale soprattutto per i comuni di medie dimensioni. I problemi dei piccoli comuni sono quelli che ha affrontato l'onorevole Cecconi, con il quale condivido l'idea di evitare soluzioni troppo illuministiche.
  All'onorevole Borghi ho già risposto. Per quanto riguarda gli altri quesiti posti dall'onorevole Richetti, molte regioni – e qui rispondo anche al presidente – hanno provveduto a riassumere le funzioni, che quindi sono diventate funzioni regionali, ma le hanno poi attribuite nuovamente alle province con la formula dell'avvalimento. Altre invece le hanno portate presso di sé e le hanno tenute. Altre, infine, hanno confermato solo alcune delle funzioni che avevano a suo tempo delegato e hanno garantito quelle.
  Sappiamo già quanti sono gli addetti delle province alle funzioni fondamentali perché, con un'operazione drastica, nella legge di stabilità dell'anno scorso abbiamo stabilito che gli addetti alle funzioni fondamentali all'interno delle province dovevano restare entro il 50 per cento del personale.
  Anche se può essere apparsa una brutalizzazione, tale norma ha significato un'opera di riorganizzazione vera. Non dobbiamo nascondere che l'Italia è molto lunga e anche molto larga. Avevamo molti modelli di organizzazione delle province, con un uso del personale non sempre finalizzato ai servizi, ma rispondente anche ad altre logiche. Quest'opera ha portato a forme di grande semplificazione.
  Io direi che la stragrande maggioranza del personale andrà alle regioni. Abbiamo già stabilizzato – è frutto di una norma del decreto-legge n. 78 del 2015 – tutti i dipendenti provinciali comandati presso altre amministrazioni. Su richiesta, sono stati assegnati all'amministrazione in cui si trovavano a lavorare. L'incidenza del personale delle province che transiterà nelle pubbliche amministrazioni sarà l'ultimo dato che avremo perché si tratta – uso un termine brutto, ma sintetico – della parte residuale della mobilità. La stragrande maggioranza della mobilità avrà come approdo le regioni, i comuni o i consorzi dei comuni.
  Ci sono eccezioni. Una di queste sono i dipendenti che si occupano delle questioni culturali, librarie museali eccetera, per i quali è prevista l'assunzione esplicita, anche con norma del decreto-legge n. 78 Pag. 20del 2015, da parte del Ministero dei beni culturali. Negli altri casi ci sarà la mobilità. Come sapete, mille posti sono stati richiesti e verranno occupati nella giustizia. Quando avremo allineato le richieste dei beni culturali e della giustizia, parleremo solo di qualche decina di persone da allocare in altre amministrazioni.
  Con questa riorganizzazione, che non è stata brutalizzata ma spalmata in un paio d'anni, anche utilizzando gli strumenti del prepensionamento – non dimentichiamoci che l'età media dei dipendenti delle province è piuttosto alta –, non solo avremo ricostruito l'architettura istituzionale del Paese, ma avremo anche prodotto un'importante opera di riorganizzazione del personale della pubblica amministrazione e degli enti locali.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Sottosegretario sia per la relazione sia per le risposte.
  L'indagine conoscitiva sulla gestione associata delle funzioni dei comuni proseguirà martedì prossimo.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.25.