XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III e IV)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 22 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sugli sviluppi del dialogo politico intra-libico (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 4 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 8 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 8 
Amendola Vincenzo (PD)  ... 9 
Vito Elio (FI-PdL)  ... 10 
Sibilia Carlo (M5S)  ... 11 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 12 
Chaouki Khalid (PD)  ... 13 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 14 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA III COMMISSIONE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sugli sviluppi del dialogo politico intra-libico.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri Paolo Gentiloni sugli sviluppi del dialogo politico intra-libico. Ringraziamo, ovviamente, il Ministro di aver accolto il nostro invito, che, a dir la verità, era motivato da una ragione – questo era un errore – più ottimistica, ossia di avere il conto della situazione, sperando che si fossero fatti dei passi in avanti più rilevanti.
  Poiché questa Camera non ha risolto le possibilità di esistenza e di vita politica reale delle Commissioni, noi abbiamo tempo fino alle 9.30. Credo che questo problema del continuo non coordinamento fra i lavori delle Commissioni e i lavori dell'Aula debba prima o poi essere affrontato, perché io mi rifiuto nel modo più totale di procedere ancora in questo modo, che comporta una compressione totale dei lavori delle Commissioni. Nel futuro, l'ho già detto anche al Ministro, rifiuto di fare riunioni extralarge tra di noi. Poiché il Senato non è stato ancora eliminato, manteniamo il bicameralismo. Mi dispiace per i Ministri. Faremo anche congiunte alla Camera tra la Commissione affari esteri e la Commissione difesa, ma le riunioni «mostro» di 6-8 Commissioni non servono assolutamente a niente.
  Fatta questa premessa, noi ci troviamo di fronte – sarò molto sintetico, schematico e un po’ provocatorio – a una situazione che, io credo, è tutta in salita. È cominciata male e sta continuando quasi peggio. È cominciata male, con l'errore tragico che fu fatto a suo tempo, un errore in due tempi, ossia un intervento totalmente sbagliato e successivamente una gestione di quell'intervento ancora peggiore, nel senso che è stato poi abbandonato a se stesso. Pertanto, si è verificata la frantumazione nei gruppi e gruppetti che vediamo e anche il fatto che ci siano due identità – si fa per dire – Tobruk e Tripoli, che riescono a stento ad avere un'omogeneità politica anche al loro interno.
  Si pone il nodo per cui chi ha responsabilità di governo deve necessariamente sfumare le osservazioni, ma chi non le ha non può non rilevare che ci troviamo di fronte a questa situazione drammatica, per cui sia in Libia sia nella stessa Siria sarebbe indispensabile un ruolo di mediazione positivo da parte dell'ONU. In Libia esso addirittura praticamente non esiste, o è annullato e sopravanzato da ben altro.
  Per quello che riguarda la Libia, c’è un tentativo permanente, che dura da ormai più di un anno. Arrivati alla conclusione Pag. 4della gestione dell'attuale inviato, ci troviamo di fronte a una circostanza per cui non la realtà – diciamo così – più effervescente, quella tripolina, ma addirittura quella più collegata alla comunità internazionale, ossia Tobruk, è arrivata a una situazione singolare del non voto. Il non voto sull'indicazione fornita da Bernardino León riguarda più il fatto di non registrare che i voti sarebbero stati più negativi che non positivi.
  In sostanza, ci troviamo a fare i conti con la realtà di una situazione, quella libica, gestita dalle Nazioni Unite che non trova compimento. Non trovando essa compimento, non trovano compimento neanche tutti quei meccanismi che si erano costruiti e che, ai fini anche del dibattito politico interno del nostro Paese, avrebbero dato uno sbocco ragionevole a questioni in parte irragionevoli, in parte determinate dalla situazione, che riguardavano l'intervenire alla radice rispetto a un pezzo dell'immigrazione, perché ormai altri pezzi si stanno dislocando in altro senso.
  Questo fa tutto parte della missione che la comunità internazionale aveva ideato in tre tappe. La prima è scattata, la seconda è in itinere, ma quella più incisiva, la terza, è talmente impegnativa che richiede una controparte libica dotata di autorità e di omogeneità politica. Questo, allo stato attuale, non c’è, ragion per cui questa nostra riunione, della quale siamo molto grati al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che è sempre aperto al confronto con le Commissioni e con il Parlamento, si svolge e si sviluppa in una situazione tuttora assolutamente aperta. Questo ci consente di assistere e di partecipare al film mentre non è ancora arrivato il The end – stiamo tra il primo e il secondo tempo – e di sentire dalla voce del Ministro come il secondo tempo, che io mi auguro abbia un finale positivo, si possa concludere.
  Do la parola al Ministro Gentiloni.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Io ringrazio il presidente Cicchitto, il presidente Garofani e tutti voi. Mi pare che il presidente abbia già detto qual è lo sfondo essenziale nel quale si svolge questa riunione, ossia lo sfondo di una situazione instabile e difficile, le cui origini sono note e sono state richiamate dal presidente Cicchitto. In questa situazione difficile, la fase che stiamo attraversando in questi giorni e in queste ore, per partire dall'attualità, è una fase particolarmente delicata. Non è la prima e non sarà l'ultima fase delicata di questa vicenda libica.
  Io vorrei dire, in premessa, una cosa. Partiamo dalle informazioni, che peraltro credo in larga misura siano a conoscenza delle Commissioni. Si parte dal fatto che l'Inviato delle Nazioni Unite un paio di settimane fa ha considerato concluso il lavoro di negoziato che si è svolto nell'ultima fase in Marocco e ha concluso questo lavoro con una proposta di governo di accordo nazionale composto da sei persone. Tra queste vi sarebbe un primo ministro, una persona dell'area proveniente da Tobruk, il primo ministro Serray, con cui io ho avuto già un paio di colloqui, persona moderata e attinente al campo di Tobruk, con un potenziale buon accoglimento da parte anche delle altre parti. Non è lui al centro delle tensioni che oggi si registrano.
  Nel percorso immaginato dall'Inviato delle Nazioni Unite, la proposta conclusiva che lui ha avanzato 10-15 giorni fa dovrebbe essere validata, confermata e approvata sia dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, la cui legittimità è scaduta ieri – la legittimità della Camera dei rappresentanti di Tobruk, in base alla Costituzione libica, aveva un mandato in scadenza il 21 ottobre, cioè ieri; questo è stato uno dei motivi dell'accelerazione impressa da León alla dinamica negoziale – sia dal GNC di Tripoli, che invece, come sapete, non è riconosciuto a livello internazionale.
  Qual è la situazione di oggi ? Direi che è una situazione in cui c’è una fortissima pressione di forze variamente estremiste. Da un lato, tenete conto che, se si parla di pronunciamenti, di raccolte di firme e di Pag. 5adesioni sia nel gruppo di Tripoli, sia nel gruppo di Tobruk c’è una maggioranza favorevole a questo Accordo (77 componenti del GNC di Tripoli e 76 componenti della Camera dei rappresentanti di Tobruk). Tuttavia, finora non c’è stata neanche, come ricordava il presidente Cicchitto, da parte della Camera dei rappresentanti di Tobruk la forza di tradurre questa maggioranza potenziale in un'espressione di voto.
  Sui giornali era circolata una notizia che non era fondata, cioè che la Camera dei rappresentanti di Tobruk avesse bocciato la proposta. In realtà, il presidente della Camera dei rappresentanti di Tobruk non l'ha fatta mettere in votazione, sciogliendo la sessione.
  Le Nazioni Unite stanno lavorando. Io ho incontrato l'altro ieri il ministro degli esteri egiziano ad Amman. Anche l'Egitto sta collaborando in questa direzione. Stanno lavorando perché la Camera dei rappresentanti si riunisca di nuovo e questa maggioranza potenziale possa finalmente esprimersi. È chiaro che, quando si dice che ci sono pressioni delle minoranze, non dobbiamo figurarci un contesto particolarmente tranquillo e pacifico, perché le pressioni sono pressioni anche fisiche e militari. Le delegazioni che hanno partecipato alla discussione in Marocco, a Skhirat, negli ultimi mesi sono state spesso oggetto di attacchi militari nei percorsi tra le loro città e gli aeroporti per raggiungere il Marocco. Quando si parla di pressioni, quindi, si intende che c’è il rischio che gli hardliner impediscano questa dinamica.
  Contemporaneamente – non dobbiamo nascondercelo – c’è anche una dinamica meno lineare, di minoranze radicalizzate, ma legate ad alcune milizie, che cercano di impedire anche con la forza l'espressione di queste potenziali maggioranze.
  C’è poi anche una dinamica diversa, che è una dinamica di aspirazioni personali le più svariate, che rende anch'essa sempre più complicata questa situazione. L'Inviato delle Nazioni Unite ha indicato un determinato numero di personalità per svolgere il ruolo che sapete e questo ha immediatamente innescato un meccanismo territoriale di situazioni che si sentono sottorappresentate. Per esempio, Tripoli lamenta di non avere nessuno dei viceministri e Bengasi lamenta di non avere nessuno in assoluto. L'unico di Bengasi è il candidato premier, che appartiene, in realtà, al campo di Tobruk.
  È una situazione in cui si sovrappongono, da una parte, una classica dinamica politica e tendenzialmente anche di sicurezza, in cui minoranze contrarie, per interessi noti, a un accordo cercano di impedire che questo accordo faccia dei passi avanti e, dall'altra parte, tensioni meno lineari e meno rappresentabili in modo semplicistico tra singole personalità collegate a tribù, e via discorrendo.
  L'obiettivo dell'Inviato delle Nazioni Unite, a questo punto, è quello di riprendere nei prossimi giorni il negoziato tra le parti, tendenzialmente, dal suo punto di vista, in modo conclusivo, anche perché, come sapete, lo stesso León si avvia a concludere, a sua volta, il mandato di Inviato speciale delle Nazioni Unite. Anche se credo che Ban-Ki moon gli abbia chiesto di rimanere ancora per alcune settimane, sta di fatto che anche lui è in una fase conclusiva.
  Il suo obiettivo, che ovviamente tutti noi nella comunità internazionale sosteniamo, è quello di riproporre in una fase finale di negoziato, probabilmente in Marocco e potenzialmente, nelle sue intenzioni, che però sono tutte da verificare sul piano della sicurezza e della fattibilità, nella stessa Tripoli, una fase conclusiva in cui almeno si esca da quest'ambiguità dei giochi, delle contrapposizioni personali e dei rimpalli personali, e risulti evidente, se c’è, il fatto che la maggioranza dei due corpi, Camera dei rappresentanti e GNC, sono a favore del nuovo governo e che, per il resto, ci sono minacce, minoranze estremiste e aspirazioni personalistiche.
  Io credo che occorra andare verso questa stretta e questo chiarimento, pur comportando ciò certamente dei rischi. È chiaro che è meglio, in teoria, un percorso negoziale che non va verso grandi risultati Pag. 6che nessun percorso negoziale. Si potrebbe perfino sostenere che l'esistenza in quanto tale di un percorso negoziale può costituire un fattore di contenimento delle tensioni, delle infiltrazioni terroristiche e degli scontri militari. Così, di fatto, è stato nell'ultimo anno. È anche vero, però, che questa dinamica non può protrarsi nel tempo all'infinito.
  Pertanto, l'intenzione di Bernardino León di arrivare a una stretta è valida, a mio parere, ma non solo, a parere anche un po’ di tutti i Paesi, sia a livello europeo internazionale sia regionale che partecipano a questa dinamica negoziale. Tutti sono d'accordo nel sostenere non solo la sua proposta e il suo sforzo, ma anche il fatto che questa proposta e questo sforzo vadano a una fase chiarificatrice e possibilmente conclusiva.
  Come ultima osservazione, noi dobbiamo sapere che questa dinamica, alla fine, nonostante derivi certamente da errori compiuti dalla comunità internazionale – ripetutamente compiuti, come ricordava prima il presidente Cicchitto – oggi è nelle mani dei libici. Non c’è qualcuno che dall'alto o dal basso, cioè militarmente, possa imporre un'intesa, se tra le forze libiche non matura un'intesa.
  Il discorso da parte nostra deve essere molto chiaro. Esistono le condizioni perché maturi l'intesa ? Sì. La Libia è un grande Paese, sei volte l'Italia, ma ha solo 6 milioni di abitanti. Sono tutti sunniti. C’è una presenza di risorse potenziali economiche strepitosa. Potrebbe essere uno dei Paesi più ricchi e avanzati dell'Africa. Dopodiché, se le dinamiche localistiche di tribù o personalistiche non trovano un'intesa, non sarà la comunità internazionale a poterla imporre, in un così sterminato Paese, con chissà quali mezzi militari.
  L'intesa, quindi, è nelle mani della mediazione delle Nazioni Unite e dei libici. La comunità internazionale sta aiutando e spingendo. Questa è solo una formalità ? Sinceramente no. Una delle cose più importanti che io credo noi dobbiamo registrare, e che è stata all'origine della possibilità per l'Inviato delle Nazioni Unite negli ultimi due mesi di fare dei passi avanti, è che il contesto attorno alla crisi libica è nettamente migliorato. Mentre 8-10 mesi fa i diversi attori regionali vedevano la Libia come uno dei luoghi in cui misurare le rispettive sfere di influenza e tiravano in modo evidentissimo verso parti contrapposte, oggi non dico che ci sia un'assoluta e armoniosa unità di intenti, ma certamente non è più la Libia il terreno attorno al quale si misurano aspirazioni, legittime naturalmente, di questo o quell'attore regionale in un senso o nell'altro. Tant’è vero che noi abbiamo registrato una spinta pressoché unanime delle diverse forze regionali a sostegno del tentativo negoziale di Bernardino León. Per questo motivo io dico che oggi è nelle mani dei libici la decisione se cogliere questa opportunità, sapendo che la comunità internazionale lavora in questa direzione.
  L'Italia ha contribuito verso questa maggiore unità e maggiore spinta propulsiva della comunità internazionale in tantissimi modi. Ne ricordo solo un paio. Noi abbiamo lavorato in tre occasioni con un formato abbastanza originale a tre – Italia, Algeria ed Egitto – mettendo insieme sostanzialmente i due principali vicini. I vicini non sono solo l'Egitto e l'Algeria, ci mancherebbe, ma certamente l'Egitto e l'Algeria, per l'estensione dei confini che hanno con la Libia e anche per le posizioni, che erano molto diverse fino a qualche mese fa, sono importanti. Averli messi insieme e averli fatti spingere insieme verso la soluzione è stato utile.
  Siamo arrivati addirittura qui a Roma, una decina di giorni fa, a svolgere una riunione dei P3 più 5 più 7, dove i tre sono i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, cioè Francia, Regno Unito e Stati Uniti, i cinque sarebbero Germania, Italia, Spagna, Unione europea e ONU e i sette sarebbero i Paesi fondamentali della regione, dall'Egitto, alla Turchia, dal Qatar agli Emirati Arabi, dall'Algeria al Marocco. Me ne scordo forse uno. Tutti hanno un atteggiamento finalmente molto Pag. 7positivo in quella direzione. È sufficiente questo a sbloccare la situazione ? Certamente no. Lo ricordavo prima: la comunità internazionale, se si continua a lavorare con l'impegno e l'ostinazione con i quali l'Italia e altri Paesi hanno lavorato in questi mesi, può non essere di ostacolo – mettiamola così – cioè può non essere una componente del problema. Se ciascuno tira in direzioni opposte, com'era evidente fino ad alcuni mesi fa, la comunità internazionale diventa una parte del problema. Può accompagnare un percorso, ma il percorso deve trovare radici nella situazione libica.
  La situazione è, come dicevo, molto aperta e, quindi, tutto il dibattito su che cosa accade nella misura in cui si arriva a questa intesa per il governo di accordo nazionale è un dibattito che oscilla tra un dibattito di attualità e un dibattito di scenario. Tuttavia, io penso sia anche utile che, oltre al Governo, anche la Camera e il Senato ne siano informati. È assolutamente vero che non siamo al giorno «uno», in cui comincia il governo di accordo nazionale e diventano attuali le misure e le decisioni che si prendono nel caso in cui esso andasse in porto, ma è anche vero che ormai da settimane a livello internazionale si lavora anche sull'ipotesi di scenario che all'accordo si arrivi e che, quindi, siano necessarie diverse misure.
  Di che misure si parla e su che scenari si sta lavorando ? Come sapete, si parla di iniziative a livello europeo, che sono di due tipi. Da un lato, si parla di un pacchetto di misure economiche che è certamente rilevante, ma che, al contrario di altri contesti africani, non è la questione che di gran lunga cambia le carte in tavola. Comunque è un pacchetto interessante di aiuti che ammonta all'incirca a un centinaio di milioni di euro, che verrebbe messo in moto se e quando nascesse o nascerà questo governo di accordo nazionale.
  L'altro aspetto dell'operazione europea, come sapete, è la missione navale contro i trafficanti di esseri umani EUNAVFOR MED, la quale, come è noto, è entrata dall'8 di ottobre, ossia da un paio di settimane, nella sua seconda fase, sulla quale si sono espressi sia il Consiglio europeo sia il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La seconda fase consente l'ispezione e l'eventuale distruzione di imbarcazioni di trafficanti.
  Funziona o non funziona ? Anche qui dobbiamo, io credo, misurare con il tempo la reale efficacia di questa iniziativa. Tuttavia – anche se sarebbe molto più efficace nella sua terza fase, la quale prevede che un governo libico chieda alla missione EUNAVFOR MED di intervenire anche nelle proprie acque territoriali e puntualmente, nell'eventualità, anche sul territorio – non possiamo sottovalutare l'impatto che, almeno dal punto di vista della deterrenza, questa fase 2 sta già avendo sul terreno delle migrazioni.
  Ripeto, qualche tempo in più sarà necessario, ma non c’è il minimo dubbio, se noi guardiamo la carta dei flussi migratori, che oggi non solo la rotta migratoria del Mediterraneo orientale, quella che va dalla Grecia alla Turchia, ma tutte le rotte migratorie stiano crescendo in modo molto rilevante, in alcuni casi in modo drammatico, tranne una, che è quella del Mediterraneo centrale. Questo avviene in parte certamente perché una parte della migrazione asiatica Siria-Afghanistan-Pakistan ha nettamente scelto la strada Grecia-Turchia, ma in parte probabilmente – ripeto, ne avremo delle evidenze più chiare nei prossimi mesi, non è un fenomeno che possiamo avere chiarissimo adesso – anche a causa di un effetto, se non altro, di deterrenza. Tale effetto può essere provocato dalla densità di presenza che c’è nel Mediterraneo, che non svolge solo operazioni di search and rescue, ma adesso anche operazioni anti-trafficanti.
  L'ultima parte del lavoro che si sta facendo, invece, è una parte più specificamente di pianificazione, che riguarda la sicurezza e la stabilizzazione dell'eventuale governo di accordo nazionale. Quest'attività di pianificazione è coordinata dall'Italia. Ci sono state moltissime riunioni internazionali organizzate dal Ministero Pag. 8degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dal Ministero della difesa. Come sempre in queste riunioni di pianificazione e di scenario si pianificano scenari da uno a dieci. È molto difficile oggi, di fronte a una conclusione che non è ancora arrivata del percorso negoziale, di cui non abbiamo certezza neanche che arrivi, avere una quantificazione del tipo di impegno di sostegno alla sicurezza che potrà essere richiesto.
  Due cose sono certe. La prima è che l'impegno sarà, se nascerà il governo di accordo nazionale, graduale. Nei documenti di pianificazione parte quaranta giorni dopo l'istituzione del governo di accordo nazionale. La seconda è che l'Italia avrà il ruolo di coordinamento di questo impegno perché tutti riconoscono questo ruolo al nostro Paese, per ragioni non solo geografiche, ma anche di qualità del nostro strumento militare e dei rapporti politico-diplomatici, che abbiamo nell'area.
  Peraltro, sappiamo che l'Ammiraglio Credendino guida la missione EUNAVFOR MED. Sappiamo che la missione delle Nazioni Unite in Libia è stata rafforzata dal 1o ottobre dal Generale Paolo Serra, ex comandante dell'UNIFIL che fa da senior advisor di Ban-Ki moon sui temi della sicurezza. Certamente all'Italia verrà richiesto, nel caso in cui il processo negoziale arrivi a un risultato tangibile, un impegno notevole.
  Concludo con una considerazione. È chiaro che noi possiamo guardare al mondo in due modi diversi. Io penso che oggi dobbiamo usare molto le lenti del realismo. Conosciamo gli errori che sono stati fatti, nonché le origini delle tensioni e, in qualche caso, del caos che ci sono nel Mediterraneo e nel Medio Oriente e sappiamo che le soluzioni vanno ricercate con pazienza, ostinazione e costanza.
  Purtroppo, con riferimento ai conflitti che abbiamo davanti – il presidente Cicchitto lo ricordava per la Siria e la Libia, ma potremmo allungare l'elenco a dismisura, dallo Yemen al Congo, dal Sud Sudan al Sahara occidentale; ognuno può aggiungere i Paesi che vuole e fare un corrispondente elenco di negoziatori e inviati delle Nazioni Unite – siamo alle prese con un contesto che risente di tensioni storiche e anche di errori commessi negli ultimi quindici anni. Pertanto, io credo che dobbiamo avere l'ostinazione della fiducia nella costruzione diplomatica, anche se la costruzione diplomatica comporta le complicazioni che sappiamo. Nel contesto libico si lavora da un anno senza ancora essere arrivati a un risultato sufficiente per dire che la situazione si stia sbloccando, ma sul tavolo abbiamo una proposta alla quale dobbiamo restare, io credo, aggrappati nel sostegno, sia come Italia sia come comunità internazionale.

  PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro, per l'esposizione che ci ha fatto, che ci consente di avere qualche elemento in più. Concentrerei il punto, che mi sembra relativamente nuovo, dell'esposizione del Ministro su un fatto. Se non ho capito male, al netto di tutte le articolazioni e disarticolazioni delle forze libiche, a monte di questo, le varie realtà internazionali, che finora non hanno giocato positivamente, ma hanno giocato ognuna sullo scacchiere carte diverse, concordano che si debba arrivare a un'intesa.
  Alle spalle di una situazione libica che mantiene elementi – diciamo così – di disarticolazione che hanno impedito finora di concludere l'accordo, c’è però un minimo elemento positivo, costituito dal fatto che tutte le realtà che usavano la situazione Libia come pedine di una partita a scacchi avrebbero preso atto, in sostanza...

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. ... che hanno partite più importanti da giocare.

  PRESIDENTE. ... che hanno partite più importanti da giocare, ragion per cui questa andrebbe chiusa. Questo mi sembra il punto.Pag. 9
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO AMENDOLA. Grazie, Ministro, per quest'audizione. Concordo con le note procedurali del presidente Cicchitto. Non è un elemento rituale.
  È evidente dall'esposizione del Ministro che l'ostinazione e la fiducia, come lui diceva in conclusione, sono il tema che, insieme a un'analisi dei fattori di cambiamento, dobbiamo sempre aver presente. Siamo dinanzi a una storia in cui io credo che la comunità internazionale – non so il Parlamento italiano – concordi nella lettura degli avvenimenti dal post 2011-2012.
  Proprio in questa aula, nel 2013 noi avemmo la possibilità di incontrare il premier libico di allora. Già allora era chiaro quanto fosse difficile ricostruire una statualità in un Paese che prima della dittatura non conosceva alcuna forma di statualità. Poi c’è stato il lavoro dal 1o settembre 2014 della missione ONU che noi da sempre abbiamo sostenuto.
  In queste ore in cui, a leggere le dichiarazioni di Bernardino León ieri a Tunisi, ci sono lo sforzo, l'ostinazione e la fiducia nel raggiungere l'accordo, si è letto anche ieri di alcune dichiarazioni del Consiglio delle tribù, dei capitribù e dei saggi delle regioni dell'Ovest, secondo cui, insieme ai 76 e 77 componenti delle Assemblee di Tobruk e Tripoli, c’è anche una spinta interna, non solo internazionale, a trovare un accordo.
  Noi dobbiamo, credo, in queste ore confermare la linea che Parlamento e Governo hanno avuto in questo periodo. È responsabilità dei libici trovare un accordo tra le maggiori componenti ed è responsabilità della comunità internazionale sostenere – non imporre, ma sostenere – un accordo che deve maturare all'interno. Se l'accordo non maturasse internamente, concordiamo pienamente con il Ministro sul fatto che imposizioni dall'esterno potrebbero essere non solo rischiose, ma alquanto inutili, vista la dinamica politica del Paese.
  In queste ore, incontrando il nostro Governo e ascoltando quello che viene anche dalle altre cancellerie europee, è necessario sostenere il compito di mediazione e di accordo. Parlare anche di «piani B» adesso mi sembrerebbe assolutamente non solo un depotenziare la nostra principale e unica strada, ma anche un modo per non credere all'accordo, che è l'unica via. Su questo tema noi dobbiamo chiederci che cosa possiamo fare noi, che cosa possiamo chiedere a noi stessi e, ovviamente, confermare quello che è necessario fare, come dicevo in premessa.
  Ricordiamoci solo alcuni elementi. Noi, dal 2014 rivendichiamo e abbiamo sempre discusso una disattenzione della comunità internazionale sul tema libico. Io credo che l'ultima Assemblea Generale dell'ONU e gli incontri fatti sulla Libia abbiano confermato che c’è stato un cambio di orientamento. Un cambio di orientamento significa un'inclusione di tutti i maggiori protagonisti regionali e sovraregionali alla vicenda libica. La risoluzione ONU n. 2240, quella approvata il 9 ottobre, non solo dà garanzia all'impegno europeo, ossia alla missione EUNAVFOR MED, ma sancisce anche – secondo me, questo è un elemento da tenere presente – che c’è un concerto di tutti i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e al di fuori di esso, a indicare una via comune.
  Questo un anno fa, se ci ricordiamo i nostri dibattiti, non esisteva. Parlavamo del rischio di un'ennesima guerra per procura, con Stati della regione che sostenevano soluzioni differenti. Io sottolineo molto questo elemento: quello che noi possiamo chiedere, e che abbiamo chiesto per un anno a noi stessi, era di spingere la comunità internazionale, attori sovraregionali e regionali, a una comune visione e azione.
  La risoluzione all'ONU, non solo per gli aspetti tecnico-operativi che riguardano l'Europa e la missione militare, sancisce che invece c’è questo elemento, che c’è questo comune sentire, che c’è questa comune azione. Il problema è che questo Pag. 10risultato – io lo chiamerei così, senza usare toni enfatici, perché sappiamo, anche vedendo le vicende siriane e gli incontri di ieri, quanto sia complicato riportare ordine nelle coalizioni e nelle azioni – è incerto, ma sulla Libia questo concerto, in un anno, è maturato. È un elemento su cui insistere, ed è l'elemento di queste ore su cui fare pressione per gli attori che stanno mediando in Marocco. Occorre tenere la pressione e non esternalizzare la responsabilità del fallimento di un accordo, perché nell'uno e nell'altro caso la vicenda libica non si risolverebbe con soluzioni targate al di fuori dei confini politici del Paese.
  Io credo che il Governo stia facendo bene, soprattutto in quest'azione sviluppata in un anno, a mantenere un raccordo con i Paesi della regione. È fondamentale che ci sia un comune sentire dei Paesi limitrofi e dei Paesi confinanti con la Libia, a partire dall'Egitto per arrivare alla Tunisia, che ha anch'essa grossi problemi da risolvere, e all'Algeria. Occorre far sentire che la comunità internazionale, l'Europa e la sponda sud marciano insieme in una stessa direzione, perché, nel caso, che tutti ci auguriamo, di una risoluzione positiva, di un accordo e dell'avvio di una transizione, il sostegno che noi offriremo in termini di sicurezza politica e non solo tecnica sul campo può determinare anche una svolta.
  È evidente che non si legano nella risoluzione altre dinamiche, come quelle che si stanno sviluppando sull'asse Siria e Iraq, ma il concerto delle forze che un anno fa sembravano distanti diplomaticamente e sorde sta determinando – lo dicemmo nell'audizione scorsa – in uno svolgersi caotico, anche una possibilità che gli attori protagonisti delle vicende si leghino in soluzione comune.
  Io vorrei aggiungere un tema che sollevai anche nell'occasione in cui avemmo la possibilità di incontrare qui Bernardino León, in Commissione affari esteri e comunitari. Io credo che la comunità internazionale debba far sentire il suo peso per la mediazione politica, per l'offerta di quelle misure di sicurezza che noi ci auguriamo possano essere messe in atto nel Paese dopo i quaranta giorni dall'accordo di transizione, nonché porre un tema che, secondo me, nel dibattito si è posto poco: la ricostruzione del Paese a partire dagli asset economico-finanziari, con riferimento a banca nazionale e fondo sovrano.
  Un elemento – lo dico sottotraccia – che potrebbe rimanere alla nostra attenzione è che nella ricostruzione del Paese, o anche nell'assenza di un accordo di pace, ci sono stati degli elementi nella gestione di tutta la spina dorsale economica, che non è sicuramente in attesa di un decisivo intervento dell'Unione europea, almeno nelle dimensioni degli aiuti che vediamo, che devono essere posti al centro, perché hanno determinato forse l'assenza di un accordo. Io credo che gli elementi sicurezza – sicurezza politica, sicurezza regionale di accompagnamento e ricostruzione del Paese – debbano essere tenuti presente.
  In sintesi, ascoltato il Ministro, continuando in questo rapporto tra Parlamento e Governo di interlocuzione sul punto, in queste ore noi non possiamo che confermare il sostegno e la pressione per fare l'accordo. Discutere di «piani B» e «C» adesso credo sia anche alquanto fuori luogo.

  ELIO VITO. Ringrazio il signor Ministro per l'illustrazione di stamattina, i presidenti, che hanno voluto quest'audizione, e anche il collega Amendola, che ha completato il punto di vista della maggioranza del Governo, o del futuro Governo, non so. Io credo, però, che la cosa principale che emerge da quest'audizione sia la mancata consapevolezza che un nostro maggiore impegno nel Medio Oriente – quando sarà presentato alle Camere ed esamineremo il decreto-legge di rifinanziamento per questi ultimi mesi del 2015 delle missioni internazionali, lo vedremo – e una nostra maggiore partecipazione effettiva alla coalizione anti-ISIS debbano necessariamente comportare Pag. 11da parte della comunità internazionale un impegno risolutivo sulla questione libica.
  Mi riferisco, in particolare – anche il Ministro vi ha fatto un accenno – al famoso passaggio alla fase 2 della missione EUNAVFOR MED, che noi, d'altra parte, guidiamo. È evidente che le conseguenze maggiori delle guerre che ci sono nel Medio Oriente le sconta proprio l'Italia attraverso un aumento dei profughi che arrivano proprio dalle coste libiche.
  Oltre che genericamente auspicare – Lei l'ha detto più volte – il ruolo del Commissario León e un accordo sulle fazioni, che, come giustamente rilevava il Presidente Cicchitto, tutti sembrano volere, ma questa non mi pare una novità delle ultime settimane, quello che noi dobbiamo, invece, ottenere dalla comunità internazionale è che si passi alla fase 2 della missione EUNAVFOR MED e che la comunità internazionale intervenga direttamente sulle coste libiche anche a prescindere dalle lungaggini per la formazione del nuovo governo.
  Io credo che questa debba essere la posizione dell'Italia e che, se questa sarà la posizione dell'Italia, il Governo troverà il tradizionale sostegno in Parlamento anche delle forze di opposizione, che avvertono l'esigenza di fare in modo che l'Italia abbia un'immagine più unita possibile sul piano internazionale.
  A me sarebbe piaciuto che il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale facesse anche un accenno più diretto alle conclusioni, probabilmente allarmanti, che ha avuto ieri il Consiglio supremo di difesa, sulle quali chiedo ai presidenti di Commissione di prevedere un'ulteriore audizione anche del Ministro della difesa. Il nostro Paese entra per la prima volta, con le conclusioni di ieri del Consiglio supremo di difesa, in uno scenario diverso nella lotta al terrorismo internazionale e anche nell'allarme presso il nostro Paese della minaccia del terrorismo internazionale. Io credo che sia giusto che si discuta anche presso le Camere di quel documento, di quelle conclusioni, di quel dibattito e che comunque il Governo tenga informato il Parlamento.
  Noi faremo, naturalmente, come sempre, la nostra parte, ma vorremmo che il Governo riscontrasse una maggiore coerenza nel suo agire internazionale. Non possiamo, da una parte, offrire tanto una nostra maggiore partecipazione e un nostro maggiore impiego a cambiare gli asset e, dall'altra, riscontrare che sul territorio a cui noi siamo maggiormente esposti e di cui patiamo maggiormente le conseguenze, quello libico, quello delle nostre coste, da parte della comunità internazionale non vi è la necessaria volontà a chiudere, come sarebbe a mio giudizio possibile, in termini ragionevolmente brevi. Questo anche – ripeto – per completare quell'accordo che era stato presentato proprio qui in maniera tanto importante e che era stato ottenuto da Bruxelles con la missione dell'Unione europea, che però, se non vede il passaggio alle fasi successive e, quindi, alla risoluzione delle Nazioni Unite, rischia di essere, a questo punto, una missione, se non fallimentare, quanto meno inutile.

  CARLO SIBILIA. Cercherò di essere abbastanza breve, visto che alcuni punti sono già stati trattati dai miei colleghi, in precedenza. Forse sembrerò un po’ cinico nella trattazione dell'argomento, ma la domanda dalla quale vorrei partire è la seguente: vista la situazione che io, onestamente, trovo di assoluta incertezza – non vedo sbocchi a breve, nonostante ci possiamo raccontare che c’è la necessità di pressioni e via discorrendo – e che ci sono tanti incontri in corso sicuramente, resta di fatto che attualmente noi non abbiamo un interlocutore e che abbiamo comunque una fase di instabilità.
  Non voglio ritornare a che cosa ha creato la fase di instabilità, ma credo che sia fondamentale che oggi l'Italia si renda conto – la domanda che faccio è questa – di una cosa: il ruolo degli alleati in questa situazione qual è ? La comunità internazionale, Pag. 12la NATO, i Paesi con i quali abbiamo rapporti e l'Unione europea in che modo ci stanno supportando ?
  Perché dico «ci stanno» ? Perché, di fatto, a mio modo di vedere, la Libia rappresenta, a livello di politica estera, un'appendice dell'Italia. Qui vado al cinismo del mio intervento. Di fatto, quello che a me premerebbe assicurare è la sicurezza di una serie di investimenti e di accordi fatti tra l'Italia e la Libia. Adesso noi possiamo lamentare l'entità e la natura degli accordi, ma è innegabile che dal 2008 al 2010 i due Paesi si siano scambiati la bellezza di 40 miliardi di euro. Ciò equivale al 50 per cento degli interessi che noi paghiamo annualmente sul debito pubblico. Sono 40 miliardi di euro che coinvolgono inevitabilmente – prima si parlava degli asset perché di fatto li stiamo spostando – le più grandi aziende italiane.
  Noi abbiamo un accordo siglato nel 2006 dall'ENI che dice che si prolungano le concessioni alla società energetica nazionale – diciamo nazionale, anche se non è più controllata tanto dal nostro Stato, quanto da investitori privati – fino al 2047. Poi c’è il 7 per cento della banca centrale libica, che adesso vorrei capire a che stadio è. Vorrei capire, cioè, la banca centrale libica oggi cos’è diventata, visto che ha il 7 per cento di UniCredit, che è la nostra prima banca nazionale, il primo gruppo bancario italiano. Vorrei capire anche a che punto è la questione legata all'accordo fatto con la Banca di Roma da Cesare Geronzi. Il 14,8 per cento di Retelit, la società di telecomunicazioni, è controllato dalle finanziarie libiche.
  Noi, in realtà, scontiamo questi anni di destabilizzazione con una perdita economica davvero molto ingente. Dire «ingente», anzi, è forse anche banalizzare anche un po’ la questione. Qualcuno l'ha toccata. Il mio collega Amendola diceva che effettivamente c’è da ricreare un fondo sovrano. Io vorrei capire qual è adesso la strada. Dove sono andati a finire i nostri investimenti, gli investimenti fatti dalle imprese italiane ? I 40 miliardi vengono spostati dagli interessi nelle infrastrutture, che sono interessi strategici, a interessi militari. Sposteremo, quindi, questo tipo di «introito».
  Inoltre, chi è il responsabile di questa situazione ? È possibile che ci sia una visione, come in un Risiko, nella quale si vuole far perdere una posizione fondamentale all'Italia e, quindi, che chi ha destabilizzato, in realtà, voglia mettere in difficoltà il nostro Paese ? Questa è la domanda che faccio. Qual è il nostro rapporto con chi ha destabilizzato, in primis con i cosiddetti alleati, ossia Francia e Inghilterra ? Non abbiamo cominciato noi a bombardare la Libia, con la quale avevamo degli ottimi rapporti, ma io mi chiedo come si sviluppino poi le conseguenze. Dobbiamo essere noi italiani a gestirci EUNAVFOR MED, il problema immigrazione e la perdita degli asset e spostare i nostri 40 miliardi di investimento. Alla fine, paghiamo soltanto noi, oppure facciamo pesare ciò che abbiamo di fatto perso in campo internazionale anche ai nostri alleati e, quindi, magari rivediamo gli accordi con gli stessi ? Grazie.

  PIA ELDA LOCATELLI. Partirei da quest'ultima affermazione del collega Sibilia sul «paghiamo soltanto noi». Il problema è che nulla in politica internazionale arriva gratis. C’è una sorta di dare e avere. Se noi svolgiamo un ruolo, come mi pare abbiamo fatto e stiamo facendo bene in questa vicenda libica, inevitabilmente c’è un dare e un avere.
  Io sono contenta che noi abbiamo svolto questo ruolo da protagonisti nel tentativo di soluzione di questa crisi, perché comunque la crisi c’è ancora. Io credo che il miracolo, se possiamo parlare di miracoli, ossia la cosa positivissima che è stata fatta con grande merito nostro – ricordo la riunione dei P3 più 5 più 7 – l'obiettivo raggiunto sia stato quello di mettere d'accordo gli attori regionali.
  Per il resto, mi pare che l'ultimo miglio sia un po’ ancora da fare. Se non leggo male la situazione, noi attori regionali e Pag. 13protagonisti non locali abbiamo detto che adesso questo accordo si fa e che più o meno è questo, cercando di togliere proprio con questo accordo internazionale le sponde alle varie fazioni perché andassero in direzione diversa. Questo è davvero l'obiettivo raggiunto.
  I problemi rimangono aperti, però, perché, se all'interno della stessa maggioranza (Tobruk 77 e Tripoli 76 o viceversa, non ricordo) Tobruk non ha ancora potuto formalizzare, ossia andare al voto, perché ha paura di andare sotto, questa situazione ci dà l'idea della fragilità di questo accordo. Tuttavia, se tutti spingiamo perché non c’è altra strada nemmeno per loro, è facile che in qualche modo li si costringa.
  Ci sono, però, due problemi che io vedo, di cui uno in particolare si riferisce all'imposizione da questo futuro governo del monopolio della forza. Ci sono centinaia, o forse migliaia – chi lo sa – di milizie costituite sia su base locale, sia su base tribale. La situazione è difficile. Se il governo futuro, che sarà da formare, riuscirà a imporre questo, avrà fatto il miracolo, ma lo stesso generale Haftar non è disponibile a cedere il controllo del suo esercito. Questo è un grande problema.
  Il secondo problema che ci riguarda di fatto direttamente è il passaggio dalla seconda alla terza fase di EUNAVFOR MED. Adesso noi siamo nella seconda fase. Io credo che il passaggio alla seconda fase abbia – sì – un po’ costituito un elemento di deterrenza per la diminuzione dei flussi, ma non possiamo pensare che sia solo questo, perché la rotta balcanica ha alcuni aspetti di appeal in termini di minore insicurezza che richiamano i flussi verso questa direzione, in particolare dei siriani e forse anche un po’ degli eritrei.
  Sarà essenziale il passaggio alla terza fase, quando noi speriamo che questo Governo ci chiamerà a intervenire nelle acque territoriali e sul campo, perché ci siamo impegnati a guidare questa missione di stabilizzazione della Libia. Questo significa, però, definire la quantità di truppe e le regole di ingaggio. Questa sarà la fase davvero più delicata, che ci vedrà coinvolti ancora più di adesso e in una situazione molto più rischiosa.

  KHALID CHAOUKI. Grazie, Ministro, per quest'opportunità in questo momento importante e decisivo, in cui l'accordo, purtroppo, non è ancora chiuso. Io vorrei puntare anche sul tema della sfida che ci attende, che il Ministro ha illustrato molto bene, e vorrei ricordare anche ai miei colleghi che noi siamo già nella fase 2 e soprattutto che il ruolo dell'Italia è essenziale. Se non vogliamo credere a quello che il Governo ci dice, ormai ci sono una miriade di dichiarazioni, da quelle di León fino alla visita storica di Ban-Ki moon qui alla Camera dei deputati, in cui è stato ricordato più volte qual è stato di fatto il ruolo determinante dell'Italia nella gestione di questa crisi, dal punto di vista sia umanitario, sia politico, sia vista dell'assistenza, senza la quale – sono parole di León – non ci sarebbe stata la benché minima possibilità di poter intavolare un dialogo tra le diverse fazioni. C’è stata una risoluzione dell'ONU, la n. 2240, che di fatto ha riconosciuto e legittimato quella che era già un'iniziativa dell'Unione europea per quanto riguarda la lotta agli scafisti nel Mediterraneo.
  Io volevo solo sollecitare il Ministro su due punti in particolare. Da quello che abbiamo capito, l'attuale stallo riguarda semplicemente la fase di divisione di compiti e di quadro di responsabilità tra le diverse fazioni. Non ci sono più, pare, questioni di merito per quello che riguarda le divergenze tra le parti. Volevo chiedere una conferma rispetto a questo aspetto, dato che i termini dell'accordo noi non li conosciamo nel dettaglio.
  Mi unisco a quello che diceva la collega Locatelli. Nell'accordo già si prevede e si ragiona su una delle sfide fondamentali che riguardano il futuro delle diverse milizie, su quello che, ahimè, non è stato fatto in passato in altri contesti. Su questo se c’è stato un ragionamento rispetto al futuro delle milizie e a quella che sarà la gestione della sicurezza ?Pag. 14
  Un'altra questione riguarda il nostro ruolo, che Lei ha indicato come decisivo, nel futuro della Libia. Rispetto a questo è auspicabile – vorrei sapere una sua opinione – anche un eventuale accompagnamento, ovviamente autorizzato dalle Nazioni Unite, che ci porti a sostenere il processo di State building per quello che riguarda il futuro della Libia e quali saranno le ripercussioni sui Paesi vicini, a partire dalla Tunisia ? In merito io credo che noi dovremo essere molto attenti soprattutto alla possibile fuoriuscita di militanti o membri di gruppi terroristici, a partire dai gruppi di Daesh e non solo. Chiedo se su questo aspetto c’è un'attenzione rispetto al tema della sicurezza e la tutela del confine con la Tunisia, che è un confine molto delicato.
  L'ultima domanda riguarda i nostri quattro italiani rapiti. Vorrei sapere se ci sono delle novità e se, nell'ottica di questi negoziati, anche questo potrebbe essere un elemento positivo per eventualmente trovare una soluzione.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Per quanto riguarda l'ultima cosa che chiedeva adesso l'onorevole Chaouki sui quattro rapiti della Bonatti, non ci risultano novità.
  Per quanto riguarda il contesto generale, mi pare che sia emerso da tutti gli interventi. È vero, lo diceva l'onorevole Sibilia, siamo in una situazione di perdurante incertezza. Non c’è il minimo dubbio. Io credo che il Governo non farebbe il suo dovere se venisse qui a raccontare che abbiamo risolto e che tutto è a posto.
  La mattina, però, siamo ottimisti per natura. Pertanto, aggiungo che, anche quando si arriverà – e noi dobbiamo, come sottolineava l'onorevole Amendola, batterci con chiarezza perché ci si arrivi – a questa intesa, essa avrà bisogno di un dato periodo per essere consolidata. Mi pare che proprio Amendola ricordasse l'audizione con il primo ministro Zidane che avvenne qui un paio d'anni fa e il fatto che lui poi cinque o sei giorni dopo quest'audizione riparò in Germania, se non ricordo male.
  È chiaro che stiamo parlando di un Paese in cui, come diversi interventi hanno ricordato, non ci sono solo due Parlamenti che devono approvare questo accordo. Il passaggio indispensabile per la comunità internazionale è che almeno la maggior parte di queste istituzioni e dei membri di queste istituzioni sostengano questa proposta. Quella è la base sulla quale va poi costruito un percorso che deve coinvolgere tribù, milizie e situazioni complesse che questo Paese ha, perché ha una statualità diversa non solo da quella che noi conosciamo nei nostri Paesi, ma perfino da quella di altri Paesi della stessa regione.
  Certamente è una situazione di incertezza, ma è una strada che noi – ripeto – con convinzione e ostinazione, dobbiamo sostenere. Non c’è dubbio che l'Italia sia uno dei Paesi che più soffrono le conseguenze dell'instabilità e della crisi libica, ma, proprio per questo, è uno dei Paesi che – scusate la banalità dell'osservazione – sono più interessati alla sua soluzione. Il fatto che di questa soluzione si faccia parte attiva o addirittura dirigente a livello internazionale non credo sia un fuor d'opera, un qualcosa che facciamo per mostrare la bandiera, ma è esattamente il nostro dovere in termini di interessi nazionali. Questo discorso riguarda anche altre crisi nel Mediterraneo, ma certamente quella libica in modo particolare.
  Non direi, quindi, che paghiamo solo noi. Certamente abbiamo pagato il prezzo degli errori e dell'instabilità che altri hanno provocato, ma dobbiamo anche sapere che, se riusciremo a contribuire alla soluzione e alla stabilizzazione della Libia, questo avrà anche, in particolare per noi, delle conseguenze molto positive, sia sul tema delle migrazioni, sia sui rapporti economici e culturali con un Paese che di fatto, pur essendo separato dal mare, è un nostro vicino. C’è, quindi, la conferma dell'impegno.
  Sul tema della terza fase, su cui sono intervenuti sia l'onorevole Vito, sia l'onorevole Pag. 15Chaouki, io voglio dire due cose. In primo luogo, noi abbiamo fatto un tentativo di verifica per vedere se ci fossero le condizioni alle Nazioni Unite per un via libera alla terza fase nella situazione attuale, cioè di mancanza di un governo di accordo nazionale. L'abbiamo fatto. Abbiamo incontrato i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e i ministri degli esteri di Russia, Cina e Stati Uniti, oltre che di Francia e Regno Unito, che sono direttamente coinvolti nella vicenda. Abbiamo poi, insieme al ministro degli esteri inglese e all'Alto Rappresentante Mogherini, alcune settimane fa ormai, forse due mesi fa, incontrato il governo libico di Tobruk. La verifica era tesa a vedere se ci fossero spazi nel Consiglio di Sicurezza per approvare una risoluzione che consentisse la fase 3 in mancanza di una richiesta da parte del governo libico. Non ci sono queste condizioni, nel senso che una parte consistente dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, senza una richiesta di un governo libico, non autorizza interventi in acque territoriali per non creare, banalmente, un precedente.
  In secondo luogo, il tentativo che abbiamo fatto poi con gli inglesi e con Mogherini di farci fare questa richiesta dal governo di Tobruk non ha avuto una risposta positiva. Oggi, quindi, è molto chiaro che la fase 3 ha bisogno di una risoluzione dell'ONU e che la risoluzione dell'ONU ha bisogno di una richiesta del governo libico.
  Questo vuol dire che la fase 2 è inutile ? Sinceramente, io non lo credo. Penso che la fase 2 abbia comunque – ripeto, ne misureremo i numeri nei prossimi mesi – un effetto deterrente nei confronti dei trafficanti di un determinato rilievo. Può darsi che sia un'affermazione azzardata, lo verificheremo nei prossimi mesi, ma io comincio ad avere alcune evidenze di questo genere.
  Tenete conto che descrivere la rotta del Mediterraneo orientale come una rotta facile è piuttosto relativo. L'inverno c’è nel Mare Mediterraneo, ma c’è anche nei Balcani e d'inverno nei Balcani nevica. Quindi, non è semplice la rotta per i rifugiati o per i disperati, una volta che hanno attraversato il braccio di mare tra Turchia e Grecia, attraverso la Macedonia, la Serbia e via elencando. Stiamo parlando di una situazione comunque complicata.
  La riduzione dei flussi in provenienza dalla Libia, secondo me, nelle prossime settimane e nei prossimi mesi potrebbe in parte avere un'origine anche dalla fase 2 di EUNAVFOR MED, oltre che dall'aprirsi di rotte diverse, ma si tratta di una riduzione, naturalmente, per ora molto limitata, che non deve minimamente autorizzare chissà quali ottimismi.
  Infine, c’è un'ultima cosa che voglio dire, precisando che sono assolutamente d'accordo con l'onorevole Locatelli sul fatto che in parallelo all'accordo politico-diplomatico tra i due Parlamenti, con la mediazione delle Nazioni Unite, c’è un lavoro che bisogna fare e che si sta facendo con le milizie e con le tribù. Uno dei nodi più difficili della transizione, una volta costituito il governo, sarà, come in tutta la storia dei post conflitti nel mondo, inclusa l'Italia, come disarmare le tribù e farle confluire in qualche cosa che assomigli al monopolio della forza da parte di un nuovo governo, processo che in Libia sarà di una difficoltà estrema. Condivido, quindi, le diverse osservazioni dell'onorevole Locatelli su questo punto.
  L'ultima cosa che voglio dire è che, naturalmente, quando parliamo di terza fase di EUNAVFOR MED e di coordinamento dell'Italia delle attività di messa in sicurezza quando ci sarà l'eventuale accordo in Libia, parliamo di due questioni completamente distinte. EUNAVFOR MED è una missione europea a guida italiana il cui obiettivo è la lotta ai trafficanti di esseri umani nel Canale di Sicilia e nel Mediterraneo. L'attività di coordinamento che la difesa e gli esteri stanno avendo dei diversi Paesi alleati in vista di una possibile stabilizzazione è, invece, il contributo della comunità internazionale a richieste del governo libico non sul tema dei trafficanti e dei migranti, ma sul tema della messa in sicurezza del governo medesimo, dei processi elettorali che dovesse decidere Pag. 16di convocare, delle diverse sedi istituzionali e delle ambasciate, che ovviamente tornerebbero, in quel caso, a Tripoli.
  Tutto, come sempre in Libia, ruota principalmente attorno a Tripoli. Non è immaginabile un processo di nascita di un governo di accordo nazionale e di stabilizzazione della Libia in un posto diverso da Tripoli. Pertanto, la condizione di messa in sicurezza graduale della città di Tripoli è uno dei temi che in questa pianificazione è più presente. Volevo semplicemente che fosse chiaro quello che credo sia chiaro ai colleghi, cioè che stiamo parlando di un ruolo decisivo dell'Italia in entrambi questi esercizi, che però sono esercizi completamente distinti, che hanno finalità e formati molto diversi.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziando il Ministro Gentiloni, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.