XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 118 di Mercoledì 14 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del dottor Antonio Ardituro, componente del Consiglio superiore della magistratura.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 4 
Falanga Ciro  ... 7 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Capacchione Rosaria  ... 13 
Falanga Ciro  ... 13 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 13 
Falanga Ciro  ... 13 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 14 
Falanga Ciro  ... 14 
Manfredi Massimiliano (PD)  ... 14 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 14 
Piccolo Salvatore (PD)  ... 14 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 15 
Falanga Ciro  ... 16 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 16 
Falanga Ciro  ... 16 
Giarrusso Mario Michele  ... 16 
Falanga Ciro  ... 17 
Giarrusso Mario Michele  ... 17 
Falanga Ciro  ... 17 
Giarrusso Mario Michele  ... 17 
Falanga Ciro  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Giarrusso Mario Michele  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Ardituro Antonio , componente del Consiglio superiore della magistratura ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.10.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del dottor Antonio Ardituro, componente del Consiglio superiore della magistratura.

  PRESIDENTE. Prima di passare al primo punto all'ordine del giorno, sento la necessità di condividere con la Commissione, salvo naturalmente porre la questione all'ufficio di presidenza, una riflessione circa l'opportunità di una valutazione da parte di questa stessa Commissione sull'annunciato provvedimento che prevede l'innalzamento dell'uso del contante da 1.000 a 3.000 euro.
  Ben consapevoli che questo limite resta comunque inferiore a quello di molti altri Paesi europei, penso che dobbiamo domandarci se questa misura possa avere un impatto anche sulle materie di competenza della nostra Commissione. A parte l'incentivo alla diffusione dell'illegalità diffusa in questo nostro Paese e alla micro-evasione fiscale, che interessa soprattutto una rete economica in Italia, oltre che i singoli consumatori, mi chiedo se possa avere o meno impatto sul comportamento delle mafie, quelle che hanno un particolare radicamento territoriale e che preparano i gregari con una certa capacità di usare una certa manovalanza, soprattutto giovanile, nello spaccio della droga, nel gioco, nel pizzo e così via.
  Sappiamo bene che una di queste mafie in particolare, la ’ndrangheta, non ha bisogno forse per il riciclaggio di grandi somme, di una soglia a 1.000 o a 3.000 euro. Diverso è per alcune mafie che si stanno ricreando anche attraverso un certo radicamento territoriale.
  Pongo alla Commissione l'interrogativo, visto che è una misura annunciata ancora non prevista dal Governo, se valga la pena offrire una nostra valutazione perché la decisione venga assunta tenendo presente tutte le possibili conseguenze che possono esserci.
  Detto questo, passiamo al punto all'ordine del giorno di oggi, che prevede l'audizione del dottor Antonello Ardituro, magistrato attualmente componente del Consiglio superiore della magistratura, già membro della Direzione distrettuale antimafia di Napoli.
  L'audizione è dedicata alla vicenda della cattura del boss dei casalesi Michele Zagaria, su cui il dottor Ardituro ha lavorato a suo tempo come titolare delle indagini insieme ad altri magistrati della DDA di Napoli, e agli aspetti che restano da chiarire in merito alle circostanze dell'arresto, avvenuto il 7 dicembre 2011, a Casapesenna, in provincia di Caserta, dopo sedici anni di latitanza.
  Ricordo che l'audizione si svolge in forma libera, conformemente a quanto previsto dall'articolo 15 del regolamento interno e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.Pag. 4
  Ringrazio il dottor Ardituro per la sua disponibilità e gli cedo volentieri la parola.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Ringrazio il presidente e la Commissione per l'invito.
  Come è stato detto nell'introduzione, ho svolto le funzioni giudiziarie presso la Direzione distrettuale antimafia di Napoli fino al 25 settembre 2014. Sono stato addetto alla Direzione distrettuale antimafia per dieci anni fino a quella data a partire dal 2005.
  Per essere più precisi e comprendere il contesto nell'ambito del quale posso fornire alla Commissione antimafia le informazioni e le notizie che possono essere utili alla ricostruzione di una vicenda particolarmente delicata, quale quella emersa recentemente da alcuni provvedimenti cautelari, devo dire che non mi occupavo direttamente della cattura di Michele Zagaria. Non facevo parte del sottogruppo di lavoro a cui erano deputate le indagini finalizzate al coordinamento per la cattura del latitante Michele Zagaria, ma mi occupavo di tantissime altre indagini nell'ambito del contrasto al clan dei casalesi. Mi sono occupato anche delle indagini più specificamente rivolte alla cattura del latitante Antonio Iovine.
  Sono stato, invece, il titolare unico delle indagini che si sono concluse il 13 giugno 2014 da parte del ROS dei Carabinieri di Napoli con il deposito di un'importante informativa, che dopo la mia uscita dalla DDA si è tramutata in ordinanza di custodia cautelare, nell'ambito della quale sono emerse informazioni e vicende legate alle modalità o, comunque, a quello che è accaduto nel momento in cui Michele Zagaria è stato catturato, il 7 dicembre 2011.
  In buona sostanza, penso che la Commissione sia al corrente del fatto che è emersa una vicenda legata a un'ipotesi corruttiva contestata dalla DDA di Napoli e caratterizzata dal fatto che, nell'ambito di intercettazioni ambientali, due soggetti imprenditoriali legati al clan dei casalesi, i fratelli Pezzella, discutevano della scomparsa, nel momento della cattura, di una pen drive che era nella disponibilità del boss Michele Zagaria, ciò in cambio di 50.000 euro dati a un poliziotto. Sono intercettazioni ambientali tra soggetti terzi, quindi non direttamente coinvolti in quella vicenda, che chiaramente hanno destato allarme e portato a una serie di sviluppi investigativi.
  Su questa vicenda, emersa nell'ambito delle indagini che direttamente ho coordinato, mi sono posto, evidentemente, subito il problema di qualificarla in qualche modo. Rimetto alla Commissione gli interrogativi che mi sono posto. Due soggetti parlano in un'autovettura, sono legati agli affari imprenditoriali dei casalesi e di Zagaria, raccontano questa vicenda con dovizia di particolari. In queste intercettazioni, infatti, si fa riferimento a una pen drive molto particolare, contenuta in un astuccio a forma di cuore, legata a una catenina che il latitante avrebbe dismesso nel momento della cattura, si dice prima di andare a lavarsi. Si fa riferimento a questo scambio di 50.000 euro e al fatto che la pennetta sia stata poi recapitata al casapesennese.
  Vista così, dico che questa vicenda può avere tre tipi di inquadramento. Può essere la millanteria di due soggetti che parlano in un'autovettura; può essere un fatto specifico legato alla singola attività di corruzione di un singolo soggetto, funzionario pubblico che in quel momento si trova in una certa situazione e a cui vengono offerti dei soldi per essere coinvolto; può trattarsi, invece, di uno scenario molto più complesso, legato a come si perviene alla cattura del boss e alla possibilità che possa esserci stata in quest'ambito una trattativa, un abboccamento, una serie di contatti mediati da fonti, e che in questo contesto sia stato consentito di mettere da parte un supporto informatico che conteneva verosimilmente informazioni sensibili, che il boss deteneva personalmente e che aveva interesse, nel momento della cattura, a salvare e a consegnare in mani fidate.
  Ho immediatamente scartato dal punto di vista investigativo la prima, cioè quella Pag. 5della millanteria. L'ho scartata io e, naturalmente, l'hanno fatto gli inquirenti, i carabinieri che svolgevano il lavoro, sulla base di una serie di considerazioni legate ai riscontri acquisiti, ma anche per la specificità della fonte informativa dell'intercettazione stessa. Si parla di un supporto informatico molto caratteristico, specifico, che evidentemente doveva esistere. Si parla – secondo me, l'aspetto più significativo – del fatto che il boss si sarebbe lavato prima della cattura. Risulta poi dagli accertamenti che, effettivamente, nel bunker era presente un servizio igienico con una doccia e che sia stato consentito a Michele Zagaria di fare una doccia prima di salire dal bunker sotterraneo, per poi essere condotto in questura.
  Vi è, inoltre, la circostanza che il boss aveva nel suo bunker un computer portatile, rispetto al quale gli accertamenti tecnici inizialmente avevano dato un esito negativo, nel senso che era vuoto, e come tale incompatibile col fatto che il supporto informatico fosse esterno. Successivamente, gli accertamenti tecnici, ma non svolti sotto il mio coordinamento, sembrerebbero aver dato un riscontro positivo, cioè del fatto che emergeva l'inserimento recente di una pen drive nel portatile. A mio giudizio, quindi, la prima delle ipotesi non stava e non sta in piedi. Resterebbero le altre due: un fatto episodico corruttivo, come tale particolarmente grave; un fatto inserito in un contesto complessivo di «abboccamento» per la realizzazione della cattura, a mio giudizio molto più grave del precedente.
  Come rispondere a quest'interrogativo ? Penso che la Commissione abbia acquisito documentazione di atti ormai pubblici, relativi sia a quest'informativa del ROS dei Carabinieri del 13 giugno 2014 sia alle ordinanze di custodia cautelare che ne sono scaturite. Un'intera ricostruzione del ROS va nella direzione di quest'ultima ipotesi.
  Personalmente, credo che questo, oltre a essere approfondito dall'autorità giudiziaria, a cui bisogna dare forse ancora un po’ di tempo per la conclusione degli ultimi riscontri su questo fatto specifico, sia effettivamente un tema d'indagine tipico della Commissione antimafia, nella misura in cui però si riesce a inquadrare correttamente il fatto nel momento storico in cui avviene la cattura di Michele Zagaria, quello che è accaduto prima e quello che accade subito dopo. Limitarsi a una visione parcellizzata dei fatti e, soprattutto, specifica, a mio giudizio non consente di cogliere quello che può essere accaduto. Se la Commissione ritiene, farei quindi un riferimento non troppo lungo, ma a mio giudizio necessario, a quello che era accaduto fino a quel momento e a quello che accade dopo nel clan dei casalesi anche con riferimento proprio a Michele Zagaria.
  Credo che dobbiamo partire da quello che accade nel 2008 e da quello che siamo riusciti a comprendere bene dopo l'inizio della collaborazione di Antonio Iovine, che se non sbaglio comincia il 13 maggio del 2014. Antonio Iovine ci racconta che nel 2008 il clan dei casalesi era già in enorme difficoltà, in disfacimento. Secondo lui, il clan addirittura non esisteva più come tale, cioè caratterizzato da quella nota confederazione tra i gruppi Zagaria, Iovine, Bidognetti e Schiavone, ma viveva un momento di parcellizzazione, di divisione al suo interno. Soprattutto, individuo il 2008 come il momento della rottura dei buoni rapporti, che poi sono stati per un certo periodo di fraternità idilliaci, tra lui e Michele Zagaria.
  Un'affermazione, che ho raccolto personalmente – Antonio Iovine ha iniziato a collaborare con me, ho raccolto io le sue prime dichiarazioni – inizialmente mi ha destabilizzato per quanto avevamo raccolto fino a quel momento. Ricostruendo, però, e mettendo insieme i tasselli di quello che era accaduto, dei provvedimenti giudiziari che avevamo emesso, credo abbia trovato una ragionevole conferma.
  L'ha trovata soprattutto in quello che è accaduto nel 2008 nella provincia di Caserta, a cui risalgono, come molti di voi ricorderanno, i tragici fatti che portarono agli omicidi del gruppo Setola, i diciotto omicidi di soggetti imprenditori, familiari di collaboratori di giustizia, cosiddette vittime Pag. 6innocenti, ammazzati da un gruppo di folli che mette a ferro e a fuoco la provincia di Caserta. Il fatto più eclatante, che tutti voi ricorderete, è la strage di Castel Volturno del 18 gennaio 2008, poco prima di San Gennaro, con i sei ghanesi ammazzati soltanto perché di pelle nera, ma persone del tutto estranee ai fatti, e probabilmente estranee anche all'etnia che Setola voleva colpire, perché forse ce l'aveva con i nigeriani.
  Quelle vicende agli investigatori di quel periodo sembravano ancor più pericolose di quelle che effettivamente erano, così drammatiche, per il fatto che evidentemente il clan dei casalesi doveva essere in qualche modo strategicamente indotto ad accompagnare un'azione così dirompente sul territorio. Quello che non è mai tornato era per noi che gli uomini di Iovine e Zagaria potessero aver dato la stura a un attacco così frontale allo Stato, essendo invece soggetti caratterizzati dall'interesse a tenere sereno il territorio per dedicarsi agli affari, all'economia, alle imprese. Quella vicenda, invece, ovviamente aveva scatenato la reazione dello Stato, con i militari giunti in provincia di Caserta, le forze dell'ordine, la magistratura impegnata giorno e notte e così via.
  È evidente che il fatto che Iovine ci raccontava che loro non accompagnarono quest'iniziativa di Setola e che in qualche modo la subirono dava un riscontro formidabile al fatto che il clan era debole, ormai disarticolato nella sua struttura iniziale, tanto che perfino Iovine e Zagaria fecero finta di niente, lasciarono fare a Setola e si occuparono del loro, evidentemente perché non andavano tanto l'accordo tra loro.
  È, però, importante capire che siamo in presenza già nel 2008 di una difficoltà, di una disarticolazione. Iovine va da una parte, Zagaria dall'altra, i Bidognetti ormai disperati, perché sono la parte del clan più in difficoltà, mettono a ferro e a fuoco la provincia di Caserta, gli Schiavone si barcamenano tra gli uni e gli altri. Nel gennaio del 2009 Setola viene arrestato e termina questa fase.
  Quando questo succede, questa sensazione di debolezza del clan trova riscontro nell'attività giudiziaria, perché nel breve volgere di un paio di anni il clan è davvero finito. Nel 2009 il lavoro investigativo porta a risultati evidenti. Il 15 giugno 2010 viene arrestato Nicola Schiavone, il figlio di Francesco Schiavone, detto Sandokan, capo della fazione Schiavone. Anche questo è un colpo molto importante, letale per il clan. Per me, infatti, Nicola Schiavone aveva la capacità e la possibilità di diventare un capo vero, un leader importante del clan, ma evidentemente questa possibilità si dimostra fallace.
  Impazzisce, non riesce a gestire le cose del clan con autorevolezza, inizia a sparare, a far ammazzare la gente, commette un triplice omicidio nel maggio 2010. A giugno viene arrestato. A luglio avrà un'altra ordinanza di custodia cautelare per un'indagine molto importante che lo colpisce nel cuore degli affari della gestione degli appalti insieme a Iovine.
  Poco dopo, il 17 novembre 2010, catturiamo Antonio Iovine, un latitante storico, dal 1995, dal blitz «Spartacus». Questo è il colpo dei colpi, il momento di disarticolazione massima del clan, perché si dimostra che Iovine e Zagaria, nella logica criminale del territorio, non sono invincibili, che lo Stato può fare breccia in questa situazione. Sono quindici anni che non si trovano e Iovine viene catturato.
  Ritengo che questo sia molto importante. Credo che si debba sapere con chi ci misuriamo quando affrontiamo queste situazioni. Ci misuriamo con Michele Zagaria, che non è un killer, un boss militare, ma un fine capo della criminalità organizzata più sofisticata della Campania. È una persona intelligente, che capisce come vanno le cose e come va il mondo in quel momento storico. Fino a quel momento ha gestito enormi affari nel territorio campano. Evidentemente, non ha potuto gestire da solo o soltanto con complici criminali, ma con complici non criminali, con colletti bianchi, con rappresentanti dello Stato, con funzionari e così via.
  Per esempio, Michele Zagaria – è un tema che in parte ho riferito anche alla Pag. 7Commissione parlamentare sui rifiuti – è un protagonista della stagione della gestione dei rifiuti in Campania, certificato, con nomi, cognomi, circostanze e luoghi di collegamento e di infiltrazione nel cuore dello Stato, a iniziare dal commissariato rifiuti fino alla gestione di discariche, di affari legati alle ecoballe, alle piazzole e così via. È una persona intelligente, di una certa capacità di vedere come va il mondo.
  Il fatto che sia stato arrestato Antonio Iovine non può, secondo me, non destargli degli interrogativi sulla circostanza che possa volgere al termine una certa stagione che lo ha visto libero e incontrastato latitante. Un processo celebrato a suo carico ha confermato latitanze in provincia di Caserta, ma probabilmente in un certo periodo era nel territorio austriaco, tedesco, è stato raggiunto da un medico, che poi svolgeva anche le funzioni di sindaco di un comune del casertano, che appunto lo ha raggiunto per curarlo. Si potrebbe riflettere su una serie di cose.
  Secondo me, questo va nella direzione del fatto che possa esserci stata la consapevolezza di una latitanza che doveva avere, che avrebbe avuto fine. Il clan era in enorme difficoltà, disarticolato, la cattura di Iovine dimostra...

  CIRO FALANGA. Lei ha detto che aveva collegamenti con il commissariamento dei rifiuti: che cosa si intende ? La senatrice e io non abbiamo compreso.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Emerge in maniera evidente dagli atti giudiziari – naturalmente, poiché parlo in seduta pubblica, faccio riferimento a ordinanze di custodia cautelare, ad atti pubblici, ma vi offro una ricostruzione – che, per esempio, Michele Zagaria tramite il fratello Pasquale, suo plenipotenziario, che si occupava di queste vicende economiche, era di fatto in società con alcuni imprenditori, alcuni dei quali membri della famiglia Carandente Tartaglia. Questi imprenditori hanno ricevuto, documentalmente, dal commissariato per l'emergenza rifiuti – ribadisco, soci di fatto di Michele Zagaria – credo più di cento commesse nell'epoca dell'emergenza rifiuti per lavori legati alla costruzione di piazzole per le ecoballe, trasporti, predisposizioni di attività legate alle discariche e così via.
  Tra intercettazioni e dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, Iovine compreso, da più parti si dichiara che un ingegnere del commissariato dei rifiuti, sul quale so che la direzione distrettuale antimafia sta completando le attività per la sua identificazione, ma il percorso documentale mi sembra abbastanza evidente, era in rapporti diretti con Pasquale Zagaria. Abbiamo, quindi, un'evidenza oggettiva: il commissariato per l'emergenza rifiuti ha affidato stabilmente lavori a una famiglia di imprenditori che era in società con Pasquale e Michele Zagaria. Questo è un dato giudiziario, che arriva fino a momenti abbastanza recenti.
  Il commissariato per l'emergenza rifiuti viene a un certo punto sostituito, credo nel 2008, dal sottosegretariato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Bertolaso. Anche qui si riscontra un dato oggettivo in continuità con quello che vi ho fornito prima: in quel periodo, l'emergenza rifiuti della città di Napoli viene risolta con l'apertura della discarica di Chiaiano. Anche su questo è stato celebrato un processo, che ha evidenziato che la discarica di Chiaiano, il cui appalto viene vinto da una società che si chiama Ibi Idroimpianti, viene poi subappaltata alla Edil Car Sas, la ditta di Carandente Tartaglia, socio di fatto di Pasquale Zagaria e Michele Zagaria.
  I collaboratori raccontano di questi rapporti, e anche proprio di quelli di alcuni esponenti dell'Ibi Idroimpianti Spa risalenti a vecchia data, prima con il clan Mallardo e poi con il clan Zagaria. Questa è una delle questioni, poi ci sono degli episodi ricostruiti giudizialmente molto particolari, che si possono tranquillamente ripetere, ma faccio riferimento a vicende, fatti storici, dati oggettivi e riscontri giudiziali.
  Mi pare di essere stato interrotto nel momento in cui dicevo che il clan era disarticolato. Secondo me, Zagaria se ne Pag. 8accorge, si rende conto, e quindi si può andare verso un momento in cui si pone degli interrogativi sul fatto che le latitanze finiscono, che tutte le latitanze finiscono prima o dopo, in base ad accadimenti fortunati nell'ambito delle attività di ricerca che si svolgono, quando si chiudono le stagioni delle collusioni, che spesso interferiscono con le attività di cattura, quando ci si rende conto che è meglio trovare una via d'uscita.
  Ora, quello che vi sto dicendo è stato in qualche modo successivamente confermato – naturalmente, questa è una valutazione, altrimenti staremmo parlando di un dato giudiziario già certo – anche da chi era molto vicino a Michele Zagaria, come il suo braccio destro nelle attività di rapporto con gli imprenditori, che dopo la sua cattura inizia a collaborare.
  Questo collaboratore, Caterino Massimiliano, che pure ha iniziato con me, ha evidenziato come la sua prima valutazione al momento della cattura di Michele Zagaria riguardasse l'anomalia del luogo in cui era stato trovato.

  PRESIDENTE. Posso interrompere io adesso ?

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Prego.

  PRESIDENTE. In realtà, non interrompo. Le rivolgo una domanda in modo che la evitiamo dopo. Quello che non siamo riusciti a capire dalla lettura dell'ordinanza è com’è stata individuata la villetta nella quale è stato trovato. Non si dice niente. Improvvisamente iniziano le indagini nella villetta, si trova il filo della luce dell'ENEL, si va sotto e si trova Zagaria. Come si arriva alla villetta ? Mi scusi, ma mi sembrava che fosse opportuna adesso.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Penso che questo sia un dato di approfondimento. Effettivamente, una ricostruzione tecnica non c’è. Se mettete in rapporto – non ho condotto quell'indagine...

  PRESIDENTE. Ce lo ha premesso.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. No, ma se mettete in rapporto, per capire le differenze, che sono importanti, la cattura di Iovine e quella di Zagaria, la differenza c’è. Non dico che non ci siano state, come in tutte le catture degne di questo nome, delle fonti informative idonee a orientare il lavoro della polizia giudiziaria, altrimenti saremmo lontani dall'esperienza che abbiamo.
  Nella cattura di Iovine, però, trovate una ricostruzione precisa di come tecnicamente le intercettazioni portano a quel blitz del 17 novembre 2011. Le ricordo bene, le ho scritte io. Era facile: il cornetto, la sera, non si trovano con i conti, il giorno, i fidanzatini che bisticciano perché la ragazza deve raggiungere il latitante, preparare la camera da letto, il fidanzatino che è geloso perché lei va dal latitante e così via. Quella è una ricostruzione cronologica che ci porta a due o tre ore prima di quando la Polizia deve fare il blitz e viene autorizzata a intervenire. Sulla vicenda di Zagaria, invece, effettivamente questo percorso non c’è, o quantomeno non è stato esplicitato.
  Il dubbio che, però, si poneva Caterino Massimiliano era legato essenzialmente alla famiglia che ospitava Zagaria. Lui dice che, di tutti i posti in cui poteva stare, quello era l'ultimo in cui andare, perché era evidente che quella famiglia era attenzionata dalla polizia giudiziaria. Un anno prima, nei confronti di un altro esponente di quella famiglia, due giorni dopo la cattura di Iovine, la Polizia aveva messo a soqquadro un edificio di Aversa, aveva rivoltato tutto per cercare Zagaria. Da questo punto di vista, quindi, l'anomalia era evidente. Questo è quello che accade fino al 7 dicembre 2011, che può essere utilizzato per comprendere che può esserci una situazione di debolezza del clan.
  Più interessante è capire quello che accade subito dopo la cattura di Zagaria, Pag. 9perché può entrare in questo discorso. Innanzitutto, bisogna capire che il 7 dicembre 2011 è una data significativa anche perché il giorno prima, il 6 dicembre 2011, la procura di Napoli aveva eseguito un'altra ordinanza di custodia cautelare, molto importante anche questa, che vedeva coinvolto tra gli altri l'onorevole Nicola Cosentino, per la vicenda del riciclaggio per la costruzione del centro commerciale «Il Principe», insieme a lui una serie di soggetti, funzionari, sindaci, ex sindaci del comune di Casal di Principe, imprenditori e, naturalmente, appartenenti al clan. Un'intera azione in quel periodo era rivolta a tutti i livelli di contrasto al clan, militari, ai capi politici di riferimento, agli imprenditori e così via.
  La vicenda della cattura, della pen drive, quindi della necessità per Michele Zagaria di liberarsi e affidare in buone mani un'ipotetica contabilità, un documento contenente informazioni sensibili, si collega secondo me a quello che succede dopo. Innanzitutto, il 22 dicembre 2011 si verifica l'evento che più di tutti nella sua storia destabilizza Michele Zagaria, cioè gli muore il cognato, omonimo, Franco Zagaria, per cause naturali. Dalle intercettazioni in carcere del detenuto si comprende che ha una reazione spropositata: è un lutto familiare, ma è chiaro che questa vicenda lo ha destabilizzato molto.
  Quello che poi viene accertato dopo – sono le indagini a cui facevo riferimento prima, ma si era in corso di accertamento – è che Franco Zagaria, marito di una delle sorelle, Elvira, era forse la persona di cui più di tutti si fidava Michele Zagaria per la gestione di una serie di affari, almeno due grandi affari, che poi ordinanze di custodia cautelare successive hanno ricostruito.
  Anzitutto, Zagaria gestiva l'ospedale «Sant'Anna e San Sebastiano» di Caserta, il primo ospedale d'Italia che per effetto di queste indagini è stato commissariato per infiltrazioni mafiose. Sciogliere un ospedale diventa complicato, ci vorrebbe molto... Ci vorrebbe molto acido, nella logica mafiosa. Di fatto, però, è stato così, nel senso che la vecchia gestione è saltata, proprio perché emergeva che Franco Zagaria lo gestiva, oltretutto indifferente all'alternarsi dei centri politici di potere del momento sul territorio, e cioè sia quando comandava l'Udeur sia quando comandava Forza Italia. Prima gli serviva un certo sponsor politico, che era Nicola Ferraro, poi gliene serviva un altro, che era Nicola Cosentino, ma di fatto l'ospedale era questo. A decidere le nomine era la politica, per gli appalti decideva Franco Zagaria. Questo era l'assetto.
  Gestiva, inoltre, i rapporti – ancora una volta torna la regione Campania, perché anche la struttura commissariale per i rifiuti era evidentemente legata alla regione – nell'enorme affare dei lavori di manutenzione delle reti idriche della regione col sistema delle somme urgenze, che ben conoscete, attraverso il quale si superano tutte le norme sugli affidamenti delle gare e degli appalti e si utilizzano imprese a chiamata diretta per semplificare il discorso.
  Emerge che una quindicina di imprenditori, in qualche modo gestiti da Franco Zagaria, pressoché tutti di Casapesenna o di San Cipriano, hanno per lungo tempo gestito centinaia di milioni di euro di lavori in somma urgenza che la regione Campania affidava per gestire la manutenzione della rete idrica in una serie di comparti, superando il dato territoriale della provincia di Caserta. C'era, infatti, il comparto del nolano, quello del vesuviano, il Sarno, tutti i comparti regionali. Naturalmente, la vicenda non può non interferire ancora una volta con livelli della politica, perché il trait d'union di tutta questa storia era colui che credo sia diventato anche senatore della Repubblica, Tommaso Barbato, mi pare un vecchio dipendente, o comunque un lavoratore degli acquedotti, che poi costruisce un enorme consenso fino al 2005 più o meno, dopodiché si continua con lo stesso sistema e cambiano i protagonisti, ma lo ha inventato colui che diventerà, appunto, il senatore Barbato.
  In ogni caso, una serie di imprenditori gravitano intorno a questo Franco Zagaria, che le emergenze faranno emergere come Pag. 10soggetti legati a Zagaria: sono di Casapesenna, per alcuni ci saranno interdittive antimafia, per altri avvisi di garanzia e perquisizioni, per qualcuno è arrivata la misura dell'ordinanza di custodia cautelare.
  Questo è importante perché a un certo punto accade qualcosa di molto strano, e cioè questi imprenditori che possono definirsi del cartello legato a Zagaria inscenano un'attività antiracket a partire da circa un anno dopo la cattura di Michele Zagaria – nel frattempo, erano successe delle cose che poi vengono raccontate da Venosa – da gennaio 2012, per arrivare a gennaio 2013, quando la procura della Repubblica scopre le carte sul fatto che stava seguendo quest'attività.
  Avevano iniziato a prendere contatti con l'associazione antiracket collegata al FAI di Napoli, con le forze di Polizia di Stato e Carabinieri alternativamente, si erano riuniti tra loro più volte e avevano detto di voler iniziare a denunciare le estorsioni subite nel corso degli anni. Erano stati sentiti dalle forze di polizia e avevano reso delle denunce.
  Quando le denunce iniziarono a giungere in procura, lasciarono, messe tutte assieme, un certo sospetto. Innanzitutto, era possibile, ma era anche sicuramente eclatante, il fatto che a Casapesenna all'improvviso quindici – venti imprenditori decidessero di denunciare e smarcarsi da un certo contesto. Il problema era che denunciavano poche cose, per lo più legate ad alcuni periodi storici molto particolari e, soprattutto, al classico schema dell'estorsione: avevano vinto un appalto e avevano ricevuto richieste di soldi, ogni tanto qualcuno a Natale chiedeva a qualcuno di loro di pagare 1.500 euro e così via.
  Era evidente che per noi, che sapevamo che si trattava di soggetti che invece svolgevano un'attività imprenditoriale di un certo tipo, con certi collegamenti, come quello con Franco Zagaria, ed emergendo dal tenore delle denunce un quadro di reticenza, la cosa non stava, non poteva stare in piedi. Come le intercettazioni che attivammo dimostrarono poi in maniera lampante, si trattò di un tentativo di ripulirsi, di sovvertire il tavolo, di fare quella che ho definito la mossa del cavallo. La ragione è che c'era da parte loro la necessità di continuare a lavorare, prendere appalti e così via.
  Questo è un fatto significativo e importante, che naturalmente va a sua volta inquadrato avendo in testa quali sono i nostri interlocutori, non soggetti di paese o bufalari, ma imprenditori con parecchi soldi e che, soprattutto, si rendono conto di quello che sta accadendo. È chiaro che l'iniziativa era organizzata tra loro, alcuni dei quali avevano un contatto molto stretto con Michele Zagaria.
  Bisognerebbe poi investigare, ma avete gli atti per farlo, su che cosa accade con riferimento a uno di questi soggetti, Giuseppe Fontana, che probabilmente rappresentava uno, se non il regista, di quest'operazione. Viene delineato poi negli atti anche lui come soggetto particolarmente intelligente, furbo e scaltro, che però, se vogliamo dedicarci un attimo alla sua figura, aveva delle caratteristiche inquietanti per il discorso che stiamo facendo.
  Pino Fontana è un significativo imprenditore, persona in ottimi rapporti, probabilmente superiori ai miei, con le forze di polizia del territorio, come risulta dalle intercettazioni, molto inserito. Lui e alcune persone molto vicine a lui sono a un certo punto chiamati dalla squadra mobile di Napoli perché viene formulata una richiesta di collaborazione per catturare Michele Zagaria prima della cattura. Gli viene chiesto di mettersi a disposizione e offerti dei soldi, come ricostruito dalle intercettazioni.
  Pino Fontana è molto legato ai livelli politici del territorio. Ha legami molto forti con il sindaco di Caserta, Pio Del Gaudio, con Fulvio Martusciello, un consigliere regionale della Campania, con Nicola Cosentino. Sua moglie e la moglie di Nicola Cosentino sono molto amiche, vanno anche a messa insieme la domenica, lui accompagna Fulvio Martusciello a casa di Cosentino nel pieno della bufera delle indagini che lo riguardano. Conoscete le intercettazioni e le contestazioni mosse dalla procura di Napoli relativamente a Pag. 11tentativi di influire su gare d'appalto, il risentimento per cui un altro politico importante come l'onorevole Sarro non avrebbe mantenuto una promessa e così via.
  È, quindi, un soggetto con queste caratteristiche: imprenditore, forze di polizia, livello politico, legame con Michele Zagaria strettissimo, un legame – secondo me, anche questo particolarmente delicato e che andrebbe ulteriormente messo nello scenario – con due imprenditori che abitano a Modena, Francesco Piccolo e Raffaele Cantile, soci della Pi.Ca., un'importantissima società di costruzioni che lavora nel settore stradale degli appalti ad altissimi livelli. Facendo una ricerca su fonti aperte, si vede che hanno partecipato e vinto appalti di grande livello.
  Questa è una storia che va raccontata, seppur brevemente, perché Piccolo e Cantile sono gli antesignani delle denunce a Zagaria. Nel 2007 denunciano una sorta di estorsione che subiscono dal fratello di Michele Zagaria, Carmine, e dal padre di Michele Zagaria, Nicola. Questo porta a degli arresti, per cui sono persone che hanno reso una denuncia poi ritenuta attendibile e veritiera. I due imprenditori vengono da Casapesenna, ma da tantissimi anni si sono trasferiti a Modena per lavorare, come tantissimi soggetti imprenditoriali provenienti da quelle zone che a un certo punto hanno colonizzato un po’ quella provincia, anche con effetti criminali su quel territorio, pure questi ormai noti, poi superati dall'avvento dei calabresi.
  Il dato è importante perché si tratta di due di Casapesenna che vanno fuori, hanno il loro successo, fanno questa denuncia, vengono a testimoniare, quindi mantengono la denuncia contro gli Zagaria, ma resta il dato di un filo che ha continuato a legarli a Casapesenna. Non hanno, infatti, reciso questo filo, hanno familiari, tornano sul territorio, vengono chiamati, coinvolti, vengono fatte richieste di soldi. A un certo punto, non ce la fanno più, denunciano per la vicenda di un appartamento che doveva essere venduto, una questione complicata, ma questo non è importante.
  Quello che, secondo me, è importante è che questi due imprenditori assurgono a soggetti che, giustamente, per la posizione che avevano assunto, vengono sostenuti quasi come testimoni di giustizia da proteggere, da tutelare. Credo che la prefettura di Bologna avesse anche assicurato loro una scorta, avevano uno status di inserimento in un circuito fatto di quelle conoscenze che adesso tutti chiamano antimafia sociale, che poi si rivela essere o non essere tale. Conoscete bene i fatti degli ultimi mesi più o meno a largo raggio.
  In ogni caso, di fatto sono due persone che nel 2007 testimoniano contro la famiglia Zagaria, una famiglia pericolosissima, con un coraggio non indifferente per certi versi, perché fino a quel momento nessuno lo aveva fatto. Hanno la scorta, lavorano e sono due imprenditori puliti che, anzi, per effetto di questa denuncia indossano un certo vestito che viene confezionato per loro, fino a quando secondo me non sorge un problema: non solo sono amici di Fontana Giuseppe, il Pinuccio di cui sopra, ma a un certo punto acquistano – recentemente – un ramo d'azienda della Co.ge.fon, l'impresa di Pino Fontana, bloccata da un'interdittiva antimafia. In buona sostanza, consentono a Fontana di lavorare attraverso questo meccanismo.
  Per chi in quel momento storico indossa quel vestito che lo Stato gli ha consegnato per effetto di una certa attività, questo è, a mio giudizio, un problema serio. Ci sono intercettazioni che fanno riferimento ai contatti, all'amicizia, a come bisogna operare, e poi c’è questo dato storico dell'acquisizione di questo ramo d'azienda, che serve ad aggirare un'ostativa antimafia per Fontana.
  Questo è, secondo me, il quadro di riferimento, che evidentemente merita approfondimenti su singoli aspetti, ma credo che dobbiamo mettere insieme la pen drive che scompare, il fatto che verosimilmente il casapesennese era Francuccio Zagaria, che però muore, gli imprenditori amici di Zagaria che a un certo punto cercano di Pag. 12fare la mossa del cavallo, quindi di ripulirsi e costituire l'associazione antiracket in cambio di pochissime accuse nei confronti di alcuni soggetti militari del clan, che secondo me Zagaria non aveva più neanche un grande interesse a tenere, e quindi il tentativo di salvare una situazione.
  Naturalmente, va aggiunto che il contesto è quello in cui a un certo punto si viene a sapere che è in corso un'attività. La procura, infatti, interviene, non affida più il contatto con questi imprenditori alle forze di polizia, e quindi fa loro capire chiaramente che non ci saremmo bevuti la storia dell'associazione antiracket con il FAI, come non ce la siamo bevuta, e interrompiamo il disegno. Nel frattempo, delle denunce pubbliche, fatte grazie anche all'attività della stampa, fanno comprendere che un meccanismo è saltato, che per esempio quello delle somme urgenze è sotto i riflettori dell'autorità giudiziaria. Questo fa saltare il banco.
  La mia ipotesi investigativa di quando è nato il processo in cui c’è la pen drive, c’è Fontana, ci sono le storie delle somme urgenze, quella dell'antiracket e così via, è che evidentemente quella pen drive contiene le informazioni sugli imprenditori che devono essere tutelati. Questo ha un riscontro nella dichiarazione di un collaboratore di giustizia, Venosa Salvatore, che inizia a collaborare un po’ dopo la cattura di Michele Zagaria. Venosa ci racconta che, appunto, dopo quella cattura, poiché tutti i boss erano in carcere, lui, che è di San Cipriano, viene investito dell'onere di acquisire i soldi, di contare per il clan. Gli viene detto che una serie di imprenditori non deve essere toccata, perché sono di Zagaria e non è lui a doversene occupare, che loro sanno di che cosa si tratta.
  Questi signori finiscono in difficoltà economica e, quando lui si presenta da loro, lo mandano a quel paese, gli dicono che non è cosa per lui, che della vicenda si sarebbero occupati loro. È il momento di un'altra strana messinscena: nella Pasqua del 2012, qualcuno manda una lettera al parroco, che ne fa oggetto della sua omelia domenicale, dicendo che i sanciprianesi non dovevano permettersi di dare fastidio alle brave persone di Casapesenna, e che quindi bisognava contrastare il fenomeno delle estorsioni e via discorrendo. Questo è un po’ il quadro di riferimento nel quale ci inseriamo.
  Nella cattura di Zagaria si riscontra un'ulteriore anomalia, che è secondaria, ma fa comprendere che il contesto va ulteriormente approfondito: Michele Zagaria arriva al carcere di Novara, se ricordo bene il primo era quello, con addosso 1.100 euro in contanti, che lascia alla matricola del carcere, ma che rappresentano una cifra spropositata per un detenuto che viaggia con il cellulare della penitenziaria per andare da Secondigliano a Novara o dalla questura in carcere. Qualcuno gli aveva consentito di averli, in quel momento, non si sa perché.

  PRESIDENTE. È iscritta a parlare la senatrice Capacchione, ma prima vorrei rivolgerle qualche domanda.
  Se posso permettermi di schierarmi con una delle sue due ipotesi dopo averla ascoltata, mi sembrerebbe che dalla sua ricostruzione si possa pendere più per la seconda che per la prima. Se c’è stato uno scambio, non è frutto di un atto immediato nel luogo della cattura, ma avviene a conclusione di una sorta di trattativa che inizia precedentemente. Questo spiegherebbe anche perché nell'ordinanza non è scritto come si arriva alla villetta. È verosimile questa mia interpretazione delle sue parole, della sua ricostruzione ? Se è così, secondo lei chi è l'autore ? C’è la magistratura, ci sono le forze dell'ordine.
  Con la seconda domanda si arriva alle circostanze: chi entra per primo nel covo e quanto tempo ci sta da solo ? Chi entra per primo e chi sceglie chi va ? Chi autorizza la doccia ? Se questa penna è al collo, quand’è che arriva al passaggio, prima della doccia, dopo ? Per la ricostruzione del fatto mi fermerei qui.
  Un'altra domanda mi sorge su questa sorta di mafia che si professa antimafia. Abbiamo capito che gli imprenditori provano ad avvicinarsi al FAI: qual è il Pag. 13comportamento del FAI in quella circostanza ?
  Per ora mi fermo qui e do la parola alla senatrice Capacchione, che aggiungerà altre domande, assieme a quelle degli onorevoli colleghi che intendano intervenire anche per formulare osservazioni.

  ROSARIA CAPACCHIONE. Non ho domande, ma un dettaglio può forse servire a capire qualcosa in più sull'accordo eventuale a monte dell'arresto.
  Lei ricordava, dottore, che due giorni dopo l'arresto di Iovine fu perquisita l'abitazione di un soggetto, Giuseppe Inquieto di Aversa, fratello del proprietario della villetta dove l'anno successivo è stato arrestato Zagaria. Ricordo che nei mesi successivi a quella perquisizione piuttosto devastante la famiglia di Inquieto chiese più volte il risarcimento del danno, fino ad arrivare ai giorni della cattura di Zagaria, e quindi alla dimostrazione che c'era un legame tra la famiglia Inquieto e, appunto, Zagaria.
  Le risulta, sa, è stato approfondito se è stato poi pagato questo risarcimento del danno ? Se sì, in che misura ? Le risulta che siano stati fatti accertamenti sui legami della famiglia di questo Inquieto con altri familiari che vivevano all'estero, in Paesi in cui si è sempre detto che Zagaria avesse interessi imprenditoriali, e dove sono collocati interessi imprenditoriali di alcuni di questi imprenditori del sistema Zagaria ?
  Per quello che ha potuto accertare, si è mai scoperto, a parte l'ingegnere, chi altro potrebbe aver partecipato agli accordi – se non vogliamo chiamarla trattativa, chiamiamoli accordi – per la gestione dell'emergenza rifiuti a tutto vantaggio del clan Zagaria ? Si è scoperto chi aveva autorizzato, non solo a Napoli ma anche in provincia di Caserta, attraverso il sistema delle somme urgenze e degli affidamenti diretti, il trasporto dei rifiuti a discarica esclusivamente a ditte poi riconducibili a Zagaria ? Alcuni soggetti sono stati recentemente destinatari dell'ordinanza di custodia cautelare, proprio la stessa della pennetta, e stanno anche iniziando a collaborare con la giustizia. Allo stato dei suoi accertamenti, all'epoca è stato fatto qualcuno di questi collegamenti ?

  CIRO FALANGA. Dottore, lei ha fatto cenno a un blitz che precedeva quello nella villetta in un'abitazione di Aversa della stessa famiglia – questo non ho capito... Erano, quindi, proprio nell'ambito della stessa famiglia. Mi viene un dubbio, ma credo che venga a tutti.
  A suo avviso, lo smarcamento degli imprenditori, dato abbastanza significativo in una realtà come la nostra – come quella casertana, non la mia – secondo lei era concordato con lo stesso Zagaria se questi imprenditori avevano comunque dei collegamenti con Zagaria e andavano a denunciare fatti di scarsa rilevanza ?
  Mi ha colpito quanto ha detto in tema di rapporti, che in qualche modo coinvolgono anche una parte della classe politica campana, con tale Pino Fontana. Le pongo questa domanda per due ordini di ragioni, anche per capire come si deve regolare un politico quando incontra un imprenditore e si stabiliscono dei rapporti di cordialità, ma che non sono di affari né di natura diversa da quella che può essere un'ordinaria conoscenza.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Questa è una cosa che non posso dirle.

  CIRO FALANGA. Posso intuirla.
  Lei ha parlato anche di andare in chiesa insieme. Io voglio capire se per la magistratura ci sono altri elementi oltre a rilevare una frequentazione di mia moglie con la moglie di un signore che non è ancora dato alla pubblica opinione come un soggetto collegato con la criminalità. Non conosco Pino Fontana, ma credo che un imprenditore grosso, amico dei due imprenditori che si sono trasferiti a Modena, economicamente molto importante, che gira per il territorio tranquillamente, frequenti la borghesia campana. Se ci sono altri elementi, non voglio conoscerli, perché a me non interessa. La mia domanda è puramente speculativa, per capire.Pag. 14
  Ha detto anche di un'interdittiva antimafia che avrebbe colpito un ramo dell'azienda di riferimento di Pino Fontana, e che grazie a questa cessione di ramo d'azienda si sarebbe risolto il problema di consentire a questa società di lavorare: è possibile un'interdittiva a un solo ramo di un'azienda ?

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Ho parlato dell'interdittiva alla Co.ge.fon e poi della cessione di un ramo d'azienda. L'interdittiva colpisce l'imprenditore. Prima è soggettiva, poi si trasferisce sull'impresa.

  CIRO FALANGA. Il ramo d'azienda veniva ceduto, quindi, a società diversa. Queste sono le poche questioni che volevo porre.

  MASSIMILIANO MANFREDI. Vorrei soffermarmi su un particolare che prima il dottor Ardituro ha fatto emergere: i 1.100 euro che portava Zagaria. Dalle altre audizioni svolte non è emerso che siano stati ritrovati soldi nel covo. Mi scusi l'ingenuità, ma sono 1.100 euro che fanno altri passaggi: è ipotizzabile, quindi, anche che la somma all'atto dell'arresto di Zagaria potesse essere superiore. Non faccio congetture, ma stiamo cercando di capire che fine ha fatto la pen drive. Non abbiamo un dato se Zagaria sia stato perquisito.
  Non risulta se, nel momento in cui lo prendono, addosso abbia dei soldi. Avrebbero potuto essere 3.000, 4.000, 5.000, 6.000 euro: ipoteticamente, questa parte di denaro, dato che ci sono in quella fase delle zone oscure, potrebbe essere stata utilizzata per complicità nei confronti di qualcuno ? È singolare trovare 1.100 euro addosso a uno che viene trasportato in più parti. Mi sono soffermato sul dato perché mi pare, presidente, che nelle audizioni svolte non fosse emerso.
  Inoltre, ho una mia curiosità di sistema, dal momento che lei ha brillantemente chiuso il processo «Spartacus», tutta la vicenda delle ecomafie e ambientali. Quando c’è stata la crisi dei rifiuti in Campania, con un connesso livello di esasperazione legittima da parte dei cittadini per le difficoltà che c'erano, in più punti della città e della provincia – ricordo le famose ronde di Pianura – si è avuta la sensazione che, oltre alla legittima protesta dei cittadini, ci fosse anche qualcos'altro: facendo un parallelo, quindi vedendo anche gli interessi emersi, ritiene che potesse esserci anche un impatto di regia su questa vicenda ?

  FRANCESCO D'UVA. Intervengo brevemente. Relativamente alla chiavetta che aveva al collo, da quanto ho capito a forma di cuore, non si capiva che era appunto una chiavetta perché mimetizzata, perché sembrava un ciondolo o era chiaramente una chiavetta ? Me lo immagino con un suo gioiello andare a farsi la doccia. Se ne sono accorti ? Quanto era chiaro ?
  Si è parlato, inoltre, di un dispositivo informatico fisso in cui, appunto, non c'era nessun documento, perché evidentemente erano tutti sulla chiavetta. Conosciamo bene i mezzi della Polizia: non c'era nessuna traccia sui dispositivi ? Di collegamento, sì, ma nessun documento ?
  Ancora, più in generale, il patrimonio di Zagaria è stato pienamente sequestrato ? Mi risulta, ma mi pare l'abbia detto anche lei, che recentemente c’è stato l'arresto di Gesualda Zagaria, sorella del boss, che mostra come il clan, o comunque la famiglia, sia ancora abbastanza operativa malgrado gli sforzi fantastici della magistratura e delle forze dell'ordine: ritiene serva qualcosa in particolare per debellare quella che è, di fatto, una minaccia allo Stato ?

  SALVATORE PICCOLO. Intervengo per un chiarimento. Il dottor Ardituro propende, e io penso che sia giusta, per l'ipotesi che nella cattura di Zagaria ci fosse una trattativa corruttiva che doveva portare poi a prendere la pen drive. Se però è vero, come secondo me è, questo presuppone che i referenti della trattativa già sapessero quando e come doveva avvenire la cattura. Questo comporta una Pag. 15corresponsabilità più in alto. Questo è un punto che mi lascia molto perplesso, cioè pensare che ci sia stata una trattativa e che quelli che l'hanno fatta sapevano già che Zagaria dovesse essere preso, come, quando e che c'era la pen drive in questione.

  PRESIDENTE. Mi sorge la penultima domanda: la magistratura era stata informata quella mattina che si sarebbe proceduto alla cattura ? Sì.
  Ci sono degli indagati nelle indagini che ha svolto lei sulla penna ?
  Do la parola al dottor Ardituro per la replica.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Mi sono state chieste anche delle valutazioni, oltre che dei fatti. Le valutazioni e i fatti si intersecano inevitabilmente, soprattutto perché posso offrirvi l'angolo di visuale di chi ha costruito un'ipotesi di accusa, sebbene poi...

  PRESIDENTE. Siccome l'interpretazione è stata data...

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Servirebbe una brevissima segretazione, se possibile.

  PRESIDENTE. Propongo di procedere in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. La Commissione procede in seduta segreta, indi riprende in seduta pubblica).

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Questo è importante per il vostro lavoro, non per quello che svolgo io o che svolgevo e che tornerò a svolgere. Il mio lavoro si fonda sulle prove, il vostro sugli elementi, ma anche sulla capacità di intendere i fenomeni. Allora, il fenomeno che va investigato è quello di un soggetto capace nello stesso momento di entrare nella casa di Nicola Cosentino, nella caserma dei Carabinieri, nella questura o in un luogo della Polizia di Stato e a casa di Michele Zagaria. Questo è il fenomeno su cui, a mio avviso, deve lavorare la Commissione antimafia, secondo me. La magistratura fa un altro lavoro. Perciò avevo indicato il fatto folkloristico delle due mogli che vanno a messa, ma in questo contesto secondo me non è più folcloristico. Detto questo, ci sono imputazioni e fatti molto gravi, su cui si celebreranno processi in cui dovranno difendersi.
  Questo si collega, se mi permette, alla seconda domanda che mi ha fatto. Credo che lei non debba sentirsi desolato per effetto del meccanismo che le è stato spiegato dai miei colleghi, meccanismo evidente e certificato: quanto più lo Stato agisce dal punto di vista della repressione, tanto più si abbassa il livello di «qualità» della criminalità, e questo determina fenomeni come quelli che si stanno verificando nella città di Napoli in questi mesi, con la paranza dei bambini, con l'abbassamento dell'età, e quindi con la gente che inizia a sparare senza rendersi conto che ammazzare una persona significa ammazzare una persona. L'abbassamento dell'età anagrafica è anche abbassamento della qualità criminale, perché la qualità criminale ha un senso per certi versi.
  Non deve desolarsi, però, nella misura in cui è di tutta evidenza che quello che bisogna fare per evitare questo è proprio quello che tocca fare a voi, alla politica, e cioè rendersi conto che questa non è una battaglia di repressione: sono le istituzioni a dover togliere dalla strada i ragazzini che vanno a sparare o che spacciano la droga, non la magistratura. A mio giudizio, l'approccio psicologico non deve essere della desolazione, ma della reazione rispetto a queste vicende.
  Il tutto si completa, secondo me, con il fatto che non bisogna toccare la legge sui collaboratori di giustizia, altrimenti facciamo cento passi indietro. Tutto quello che siamo riusciti a fare a Napoli, a Palermo, ma anche a Milano, a Reggio Calabria, in tutta Italia – ormai il fenomeno è nazionale – è stato fatto avendo a disposizione due strumenti: i collaboratori Pag. 16di giustizia e le intercettazioni. Lo sanno ormai anche i bambini alle elementari. Si può riflettere sempre sulle normative, che si possono migliorare, si può avere attenzione.
  A mio giudizio, bisogna fare molto affidamento sulla professionalità dei magistrati nel gestire questi strumenti così delicati. Questo è importante, ma bisogna stare anche attenti, se mi permette, presidente – questo è un altro tema che forse la Commissione dovrebbe... Non si bloccano le indagini e i collaboratori di giustizia cambiando la legge sui collaboratori. C’è un modo più semplice: basta che tolgano loro i soldi.
  Se lo Stato non è più in grado di assicurare quello che diceva Cirillo a un collaboratore di giustizia... e non è più in grado, perché non ci sono più soldi. Allora, se lo Stato non è più in grado di assicurare quel welfare che Cirillo intendeva evidenziare come sostegno per i collaboratori, la legge può essere a maglie larghissime, e non avremo più collaboratori di giustizia in questo Paese.
  Se, dopo che ha deciso di collaborare con la giustizia, uno che è in carcere impiega due mesi per ottenere un colloquio con un familiare, una figlia di dieci anni a cui vuole spiegare che cosa significa che papà collabora con la giustizia e perché lei è stata deportata da San Cipriano in un paese del Trentino, e impiega tanto tempo perché lo Stato non gli dà la possibilità di portare al carcere di Rebibbia la bambina per farla parlare appunto col padre, quello dopo due settimane mi chiama e mi dice: caro dottore, torno a San Cipriano, arrivederci e grazie. Non so se mi spiego.
  Quello dei collaboratori è un tema molto più ampio. Ci sono delle criticità e vanno investigate, ma in questo momento storico dobbiamo porci il tema di come il venire meno di una serie di sostegni sta svuotando questo strumento. Paradossalmente, quando svuoto gli strumenti, come per la criminalità organizzata, si abbassa il livello delle collaborazioni.
  Un grande boss che collabora vuole che la collaborazione gli garantisca una vita dignitosa, altrimenti continua a fare il grande boss, sconta il 41-bis e prende 20 mila euro al mese dal clan. Se la collaborazione non garantisce un minimo di decenza, i collaboratori saranno soltanto gli ultimi della scala della criminalità. L'effetto di questa storia è, sempre collegato a quello che le dicevo prima, che continueremo a fare la lotta all'ala militare dei clan, e non avremo più le informazioni su politica, imprenditoria e istituzioni colluse con camorra e mafia. Per questo tipo di indagini ho bisogno di collaboratori di alto livello, devo essere capace di far collaborare i capi delle organizzazioni. Se faccio collaborare l'ala militare, avrò informazioni militari. Questa è sempre una scelta della politica e non nostra.

  CIRO FALANGA. Io parlavo, per la verità, di rivisitazione, non di abrogazione di una norma, che rimane sempre attuale.
  Veda, quando anche i beni confiscati alla mafia, le attività che potrebbero essere produttive... Cirillo aveva soltanto le passività, non l'attivo di un bilancio. C’è un comune che non ha attivo, mentre se tutti i beni della mafia confiscati venissero, anche con una normativa più puntuale e precisa, gestiti in maniera da rappresentare l'attivo di questo settore, i soldi si prenderebbero da lì.
  Deve consentirmi, però, la desolazione quando relativamente a un'autorità, un potere, un ordine dello Stato, a cui lei appartiene, leggiamo – io sono un garantista per cultura, quindi si immagini – che, salvo approfondimenti, fa affari proprio con i beni confiscati alla mafia.

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Non un ordine e un potere, ma alcune specifiche persone, che poi saranno giudicate...

  CIRO FALANGA. Ho parlato soltanto di...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Presidente, non possiamo consentire l'attacco alla magistratura in blocco in Commissione antimafia.

Pag. 17

  CIRO FALANGA. Non sto...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. La prego, presidente...

  CIRO FALANGA. Ho detto che sono desolato nel momento in cui...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Siamo noi desolati...

  CIRO FALANGA. Da trentacinque anni ho avuto sempre rispetto profondo per la magistratura e ce l'avrò ancora fino a quando finirà la mia vita. Per me il magistrato è magistrato, e per lui ho un profondo rispetto. Anche stamattina, però, sento di un magistrato indagato per corruzione in atti giudiziari: permettete che mi avvilisca ? Mi avvilisco quando sento del politico: consentitemi di avvilirmi un pochino in più quando sento del magistrato.

  PRESIDENTE. Francamente, l'avvilimento...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Noi ci avviliamo quando sentiamo queste notizie a carico dei fiancheggiatori e dei collusi della mafia.

  PRESIDENTE. Precisiamo un attimo. Naturalmente, tutte le volte che si scopre un mafioso ci avviliamo perché vediamo che ce ne sono ancora tanti. Quando vengono colpiti quelli che dovrebbero combatterli, se mi permette, ci avviliamo di più e ci preoccupiamo di più. È solo questo. Vale anche per gli avvocati.
  Dottor Ardituro aveva qualcos'altro da aggiungere ?

  ANTONIO ARDITURO, componente del Consiglio superiore della magistratura. Avevo terminato. Concedetemi magari l'ultima battuta anche sulla storia dei beni confiscati. Quello è un patrimonio di cui disponiamo, ma del quale non siamo in grado di affrontare bene la questione. A parte i fenomeni patologici a cui si sono fatti riferimenti gravissimi, che però saranno accertati, quello è comunque un tema centrale.
  Bisogna stare sempre attenti, se posso permettermi, a non buttare il bambino con l'acqua sporca. Proprio in prossimità di quella vicenda così grave di Palermo, per esempio, il Ministero della giustizia sta valutando una disciplina sui compensi degli amministratori giudiziari. Quella è, secondo me, una disciplina che va vista con grande attenzione.
  Dobbiamo evitare di incorrere in un errore di sistema sull'onda del fatto grave. Se abbasso i compensi a chi deve gestire patrimoni enormi, non trovo la cura del male, perché ho due risultati: i migliori amministratori, i migliori professionisti non verranno, come sapete, e quindi avrò abbassato di molto il livello della gestione, con effetti negativi; forse in maniera conseguente, chi ci va sarà ancor più esposto a tentazioni se dovrà gestire per due lire al mese un patrimonio che ha un enorme valore.
  Allora, bisogna stare attenti, in caso di interventi sull'onda di fatti patologici, a evitare che si ricada nel dato opposto. Questo è un dato di esperienza personale, perché noi gestiamo e abbiamo gestito beni. Soprattutto, bisogna stare attenti a non utilizzare il metro di compensi dati a soggetti che, per esempio, si occupano dei beni dei fallimenti rispetto a soggetti che si occupano dei beni in amministrazione giudiziaria penale. Sono soggetti che intervengono su due opposti livelli. Nel fallimento si deve curare la liquidazione, si deve chiudere, mentre nell'altro caso bisogna tenere in vita, fare l'imprenditore. Sono due cose completamente diverse.
  Credo che il Ministero della giustizia forse stia andando in una direzione da questo punto di vista non proprio coerente.

  PRESIDENTE. Ma non solo. Dalle prime analisi su questo provvedimento emerge che di fatto si abbassano i compensi per chi gestisce bene con strutture semplici, come una pizzeria, ma i famosi nomi emersi in questi giorni sui giornali Pag. 18con queste tariffe vedrebbero raddoppiate e triplicate le loro parcelle. Probabilmente, questo è un provvedimento molto complesso. La materia è complessa.
  Io credo che sull'onda dell'emergenza in questo Paese si sia sempre fatta qualche sciocchezza. Vale la pena che ci riflettiamo. C’è il disegno di legge in approvazione. Facciamo tutti i nostri lavori. L'albo non c’è ancora.
  Il dottore Ardituro deve scappare, per cui lo salutiamo e lo ringraziamo.
  Devo darvi alcune comunicazioni. Il dossier di documentazione sui beni confiscati è a disposizione. Vi avevo detto che c'era, e in archivio c’è tutto.
  Quanto alla missione a Cosenza, sapete che il 26 era previsto l'incontro con i rettori delle facoltà del sud. In relazione alla cattura degli assassini, presunti tali, del piccolo Cocò, avendo da tempo in programma di dedicarci a questa vicenda – non lo facemmo quando successe perché non si sapeva se si trattava di mafia o meno, poi c'era stata la visita del Papa e non volevamo essere strumentalizzatori né prima né dopo – credo che a questo punto dovremo fermarci lì anche il 27, fare con calma un incontro con il Comitato di sicurezza di Cosenza, incontrare i presidenti dei tribunali dei minori.
  Per l'occasione è stato chiesto anche un approfondimento sui tribunali soppressi, in particolare Rossano, e i problemi che si stanno incontrando a Castrovillari. La missione diventa, quindi, 26 e 27.
  L'audizione del prefetto Morcone è il prossimo martedì 20 ottobre alle ore 20.00.
  Domani c’è il Comitato dell'onorevole Giarrusso. Sentiremo il procuratore Pennasilico su Torre Annunziata. È rinviata l'audizione del prefetto, dottoressa Franzese, dell'ufficio scolastico regionale della Campania.
  Alle 14.00 svolgiamo l'audizione del Comitato Giarrusso.
  Ringrazio tutti e a tutti auguro buon pomeriggio.

  La seduta termina alle 16.00.