XVII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 7 ottobre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 3 

Audizione del Capo di stato maggiore dell'Esercito, Gen.C.A. Danilo Errico (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 3 
Errico Danilo , Capo di stato maggiore dell'Esercito ... 3 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 14 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 14 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 15 
Zanin Giorgio (PD)  ... 15 
Causin Andrea (AP)  ... 16 
Rizzo Gianluca (M5S)  ... 17 
Lacquaniti Luigi (PD)  ... 17 
Boldrini Paola (PD)  ... 18 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 18 
Artini Massimo (Misto-AL)  ... 18 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 18 
Errico Danilo , Capo di stato maggiore dell'Esercito ... 18 
Rizzo Gianluca (M5S)  ... 22 
Errico Danilo , Capo di stato maggiore dell'Esercito ... 23 
Garofani Francesco Saverio , Presidente ... 24 

ALLEGATO: Documentazione prodotta dal Capo di stato maggiore dell'Esercito, generale di corpo d'armata Danilo Errico ... 25

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO SAVERIO GAROFANI

  La seduta comincia alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati nonché la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Capo di stato maggiore dell'Esercito, generale C.A. Danilo Errico.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Capo di stato maggiore dell'Esercito, generale di corpo d'armata Danilo Errico.
  Saluto e do il benvenuto al generale Errico e ai collaboratori che lo accompagnano, il generale Luigi Chiapperini, il capitano Falcone e il capitano Ianniello.
  Do subito la parola al generale Errico affinché svolga la sua relazione.

  DANILO ERRICO, Capo di stato maggiore dell'Esercito. Signor presidente, signori onorevoli, vi ringrazio per l'opportunità di essere qui a parlarvi dell'Esercito italiano a pochi mesi dal mio insediamento. Mi avvarrò per questa presentazione di una serie di slide e di alcuni videoclip.
  Lo scopo dell'intervento odierno è quello di approfondire alcune tematiche di interesse della Forza armata, una realtà che rappresenta indiscutibilmente un bene primario e irrinunciabile del Paese e che ha festeggiato, a maggio di quest'anno, il suo 154o anniversario.
  Protagonista dal 1861 della storia nazionale e depositario di antiche e gloriose tradizioni, l'Esercito è un moderno e apprezzato strumento, che contribuisce al rafforzamento del profilo internazionale dell'Italia. Allo stesso modo, sul piano nazionale, rappresenta un'istituzione solida e una risorsa altamente specialistica spendibile in ogni occasione, sempre presente e vicina ai cittadini, intervenendo tempestivamente in circostanze di pubblica calamità e in altri eventi di straordinaria necessità e urgenza, come recentemente avvenuto in occasione dell'alluvione che ha colpito la provincia di Piacenza e in questi giorni a Olbia per analoghe esigenze.
  I risultati ottenuti in operazioni e le caratteristiche degli scenari futuri in cui l'Italia potrà essere chiamata a intervenire confermano che il Paese non potrà assolutamente fare a meno di una componente terrestre, ridimensionata – sì, nei numeri – ma moderna, motivata, addestrata, ben equipaggiata ovvero in grado di operare efficacemente, qualora chiamata a farlo, a fianco degli eserciti dei maggiori Paesi, partner europei e non.
  La configurazione dell'Esercito oggi, così com’è, è il risultato dei cicli di pianificazione della Difesa del passato che, come è noto, hanno lo scopo di definire nel medio e lungo termine la composizione quantitativa e qualitativa di personale, materiali e mezzi dello strumento militare necessari per assolvere la missione assegnata.
  La legge n. 244 del 2012 rappresenta un punto fermo, che prefigura lo strumento militare al 2024 e basa la sua Pag. 4proiezione temporale su risorse finanziarie che avrebbero dovuto garantire tale sviluppo. Così non è stato perché le successive leggi di bilancio ne hanno compromesso l'impianto iniziale.
  Oggi il Libro bianco – documento di fondamentale importanza per indirizzare le future scelte, fortemente voluto dal Ministro Pinotti – richiede un ulteriore approfondimento sullo strumento militare, a compimento del quale sarà necessario raccordare gli orientamenti della legge n. 244 con i risultati dell'implementazione dello stesso nel settore della governance, del modello operativo e del personale.
  In attesa degli esiti, un Capo di stato maggiore può, allo stato attuale, solo riferire quale direzione stia seguendo e riservarsi di verificare, a conclusione dello studio per l'implementazione del Libro bianco e delle conseguenti decisioni che verranno assunte, se ci sarà compatibilità di intenti ovvero se si renderanno necessari correttivi.
  Al riguardo, la presentazione odierna seguirà l'alveo delle linee programmatiche indicate dal Capo di stato maggiore della Difesa (SMD) che riguardano l'operatività dell'attuale strumento, la sua razionalizzazione e modernizzazione, settori questi che provvederò ad allineare in futuro sulla base dei redigenti documenti dello stato maggiore della Difesa relativi alla revisione strategica della Difesa e alla pianificazione di lungo termine.
  Come noto, tale competenza risale al Capo di SMD e, pertanto, la pianificazione dell'Esercito non potrà che essere, in un'ottica sempre più interforze, una componente di quella della Difesa, in perfetta armonia con i contenuti del citato Libro bianco. A ciò farò seguire un breve cenno sull'addestramento e sulla simulazione, suo naturale complemento, di precipua competenza dei Capi di stato maggiore di Forza armata.
  Infine, sempre alla luce degli orientamenti contenuti nel Libro bianco, descriverò quella che al momento è la situazione del personale, con particolare riferimento ai graduati in servizio permanente e ai militari in ferma prefissata, con i possibili scenari evolutivi per il loro reclutamento e trattenimento in servizio.
  Pertanto, ecco l'agenda che seguirò. Partirò con un breve cenno sull'operatività dello strumento, intesa come capacità che sono state espresse e sono attualmente assicurate dall'Esercito in attività operative.
  I dati riportati nella slide numero 7 rappresentano le consistenze totali del personale avvicendatosi in più di trent'anni di missioni. L'Esercito dal dopoguerra opera sul territorio nazionale, in concorso con la Protezione civile per pubbliche calamità e alle Forze di polizia per la sicurezza interna, e in ambito internazionale.
  Credo che sia affatto superfluo ricordare che dal 1979 a oggi l'Esercito ha rappresentato la componente principale dei contingenti militari nazionali (circa il 75 per cento della forza complessiva) e che solo con la presenza del soldato sul terreno – gli anglosassoni dicono boots on the ground – possono essere raggiunti e consolidati i voluti risultati operativi.
  Tale bagaglio esperienziale è stato maturato in tutto lo spettro della conflittualità, che ha visto impegnata la Forza armata, per esempio, nel 2003 simultaneamente in cinque teatri operativi diversi, quali Macedonia, Kosovo, Afghanistan Iraq e Libano, con punte di impegno di circa 9.000 unità, esperienze che oggi ci consentono di esprimere quelle qualificate capacità che i teatri di operazione richiedono.
  Evidenzio che l'impegno medio dell'Esercito solo all'estero è stato negli ultimi vent'anni di circa 5.600 uomini, pari a più di due brigate permanentemente impiegate nelle principali operazioni dei teatri di riferimento: mediorientale, balcanico, africano e centro-asiatico.
  Tutti gli impegni delle Forze armate, e quindi anche dell'Esercito, si inquadrano nell'ambito delle missioni assegnate ai sensi della legge n. 66 del 2010, il Codice dell'ordinamento militare, che sono riconducibili, come noto, a quattro categorie: la difesa dello Stato, la difesa degli spazi Pag. 5euro-atlantici, il contributo – sotto l'egida delle Nazioni Unite – alla pace e alla sicurezza internazionale, il concorso alla salvaguardia delle istituzioni e il soccorso in caso di pubbliche calamità.
  Inoltre, con la recente emanazione del già citato Libro bianco si è posta anche una giusta enfasi sulla difesa degli spazi euro-mediterranei, quale elemento centrale di prospettiva nazionale da affiancare al concetto di spazi euro-atlantici.
  Tali missioni si traducono per l'Esercito nella capacità di assolvere tre ruoli preminenti: la prevenzione di conflitti, crisi ed emergenze; la stabilizzazione di perduranti condizioni di stabilità in aree di crisi derivanti da conflitti inter e intranazionali; la cooperazione per la sicurezza delle istituzioni e della popolazione nelle aree di interesse strategico. Da questo discende quanto noi oggi mettiamo in campo negli impegni attuali dell'Esercito.
  L'evolversi dello scenario internazionale e la persistente crisi finanziaria mondiale hanno dato impulso a nuove strategie di sicurezza, che prevedono un ampio ricorso a iniziative tese allo sviluppo delle capacità di sicurezza e in particolare di assistenza alle forze di sicurezza locali.
  In tale ambito si inserisce l'impegno dell'Esercito nelle attuali e recenti missioni di assistenza e addestramento dell'Unione europea, della NATO, di coalizione e nazionali, con circa 800 unità impegnate nei diversi teatri, e nelle altre operazioni di stabilizzazione che continuano, in particolare, in Libano e Kosovo, dove l'Esercito vede giornalmente impegnata una forza di circa 1.600 uomini e donne, che, in sistema con le precedenti 800, fanno attestare il contributo alle operazioni NATO, ONU e UE a circa 2.400 unità.
  Passando alle operazioni sul territorio nazionale, ricordo le bonifiche degli ordigni esplosivi risalenti alla seconda guerra mondiale e l'operazione «Strade sicure», che dal suo avvio, nell'agosto del 2008, ha visto l'impiego di circa 162.000 militari, che si sono alternati in attività di pattugliamento e vigilanza a siti e obiettivi sensibili, e che oggi vede impegnate 6.655 unità, che comprendono anche il personale schierato per l'esigenza Expo.
  Passando in aggiunta ad analizzare la dimensione dell'impegno multinazionale della Forza armata, l'Esercito partecipa mediamente con 4.400 unità alla costituzione del bacino di unità interforze, posto in elevato stato di prontezza, a disposizione del Capo di stato maggiore della Difesa – il cosiddetto Joint Rapid Response Force – per far fronte sia gli impegni già in atto con le principali organizzazioni internazionali di cui l'Italia fa parte (NATO, UE ed eventualmente ONU) sia alle esigenze di origine nazionale e multinazionale non preventivate.
  In totale il personale che opera o è prontamente impiegabile per impegni in ambito nazionale e multinazionale ammonta a circa 13.500 unità.
  Esaminata la dimensione dell'impegno attuale dell'Esercito, vorrei ora soffermarmi sul processo di revisione della Forza armata. Detto sviluppo è stato avviato con la legge n. 135 del 2012 (la cosiddetta spending review), e implementato con la legge n. 244 del 2012 e i relativi decreti attuativi, (decreti legislativi nn. 7 e 8 del 2014).
  Il combinato disposto di tali norme riconduce detto processo a tre fasi: la prima tesa ad abbattere le dotazioni organiche del personale militare e civile in misura del 10 per cento, nonché quelle della dirigenza del 20 per cento, i cui obiettivi saranno conseguiti al 31 dicembre del corrente anno; la seconda, da concludere entro il 2020 – a sei anni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 7 del 2014 –, finalizzata alla riduzione delle strutture organizzative in misura pari almeno al 30 per cento, mediante oltre 200 provvedimenti di soppressione e riorganizzazione confluiti nel decreto legislativo n. 7 e nelle sue relazioni illustrative; la terza e ultima volta al definitivo conseguimento del cosiddetto «modello 90.000», in cui il personale militare e quello civile entro il 2024 saranno stati ridotti rispettivamente del 20 e del 30 per cento.Pag. 6
  La riduzione degli ufficiali generali, anch'essa pari al 30 per cento rispetto ai volumi del 2012, dovrà infine avvenire in modo più rapido per concludersi entro il 2021.
  In ottemperanza agli obiettivi imposti dal quadro normativo di riferimento, la Forza armata a suo tempo ha individuato i seguenti capisaldi su cui basare la propria ristrutturazione, veicolata poi dal citato decreto legislativo n. 7, e in particolare: eliminazione di strutture o aree di sovrapposizione; accrescimento dell'operatività delle brigate di manovra e dei reggimenti; accorpamento di talune funzioni presso il vertice dalla Forza armata; ricerca della vicinanza alle maggiori aree addestrative; realizzazione di una concentrazione geografica dei comandi di brigata e delle unità dipendenti; riduzione del numero di sedimi in uso.
  Al fine di conseguire tale obiettivo, è stata adottata una struttura generale più agile rispetto al passato mediante la soppressione dell'Ispettorato alle infrastrutture e la conseguente riallocazione delle responsabilità del peculiare settore nello stato maggiore, conseguendo in tal modo un modello a quattro vertici d'area.
  Tuttavia, la necessità di aggiornare costantemente il processo di revisione, sulla base del mutato scenario economico e geo-strategico di riferimento, ha imposto peraltro anche la necessità di conseguire ulteriori razionalizzazioni e ottimizzazioni della struttura organizzativa.
  Il modello individuato a seguito di una proposta di correttivo al decreto legislativo n. 7, attualmente all'esame della Difesa, delinea un'architettura di vertice che prevederà uno stato maggiore quale organo di staff alle dipendenze del Capo di stato maggiore e due comandi di vertice che sovraintendono rispettivamente alla struttura scolastico-formativa e a quella logistica.
  Inoltre, per quanto attiene all'area operativa, l'implementazione di comandi multifunzione, di cui vi parlerò a breve, permetterà di ridistribuire le funzioni territoriali e infrastrutturali con conseguente riduzione degli organi deputati al loro assolvimento.
  Entrando nel dettaglio, alle dirette dipendenze del Capo di stato maggiore, qualora ciò dovesse essere approvato, sarà posta l'intera area operativa, nella quale assumeranno un ruolo centrale i citati tre comandi multifunzione delle forze operative, con responsabilità sull'approntamento delle brigate dipendenti e sugli affari territoriali e infrastrutturali. Tali riorganizzazioni, peraltro, vengono attuate nel rispetto dei vincoli organici della dirigenza stabiliti dal suddetto decreto legislativo n. 8.
  Passo ora a illustrare il processo di modernizzazione dei mezzi e dei sistemi d'arma della Forza armata. I provvedimenti di riordino dello strumento militare terrestre che ho precedentemente illustrato hanno anche imposto l'inizio di un ammodernamento delle capacità, improntato al rispetto dei seguenti principi: aumentare la protezione delle Forze per garantire elevato standard di sicurezza al personale; incrementare l'interoperabilità al fine di interagire al meglio in ambito interforze e nelle coalizioni; prevedere la dualità dei compiti e dell'impiego delle piattaforme.
  Ciò determina la necessità di sviluppare un processo di ammodernamento che: tenga conto dell'attuale carenza di risorse per l'investimento, oramai considerata più una costante che un vincolo di pianificazione; recepisca senza soluzione di continuità le lezioni apprese e che provengono dai teatri di operazione; progredisca anche in funzione delle obsolescenze e dell'accresciuto tasso di usura dei materiali; preveda piattaforme ed equipaggiamenti speciali e a elevata connotazione duale; infine, contempli l'evoluzione della tecnologia.
  La domanda da porsi è quale sia il livello di impegno sostenibile. Come già esplicitato all'inizio della mia presentazione, l'Esercito è impegnato giornalmente con circa 6.650 uomini e donne sul territorio nazionale. A questi sono da aggiungere i circa 2.500 impegnati in media in Pag. 7missioni che possono essere assimilate, nel complesso, alle ipotesi di impiego in un teatro operativo minore, le circa 5.000 unità che devono essere pronte a intervenire in un teatro operativo maggiore, come lo è stato, ad esempio, il Kosovo all'inizio della missione KFOR – e non si possono escludere in futuro altre aree alla luce delle situazioni internazionali contingenti –, nonché i circa 5.000 soldati connessi all'assolvimento degli impegni già assunti in ambito NATO e Unione europea.
  Al riguardo preciso che, per ogni brigata impegnata in teatro operativo, occorre approntarne ed equipaggiarne altre tre per assicurare l'indispensabile turnazione e dunque la sostenibilità nel tempo dell'operazione.
  Ciò premesso, per poter assolvere i compiti istituzionali e quindi onorare il livello di impegno, è nostro preciso dovere garantire che le risorse assegnate all'Esercito siano tali da consentire l'acquisizione dei mezzi e degli equipaggiamenti allo stato dell'arte, proprio per fornire – lo enfatizzo – la sicurezza e la protezione delle donne e degli uomini sul terreno, oltre che capacità dual use.
  La crescente pericolosità e variabilità delle attuali minacce riscontrabili in operazioni impone alla Forza armata di adeguare tutte le proprie capacità per poter operare nell'intero spettro di operazioni. Tale esigenza è tanto più urgente in quanto la nota contrazione delle risorse assegnate per gli investimenti e per il mantenimento in esercizio delle sue componenti sta provocando negative ricadute sull'ammodernamento degli equipaggiamenti nonché sull'approvvigionamento delle scorte e delle parti di ricambio, sempre più esigue.
  I mezzi più efficienti e ammodernati, proprio perché utilizzati in maniera continuativa in operazioni, sono stati soggetti a un'usura precoce. A causa della vetustà delle principali piattaforme, le scarse risorse disponibili sono state concentrate per mantenere in efficienza e ammodernare tendenzialmente i mezzi utilizzati in operazioni.
  In sintesi, ci troviamo in una situazione in cui, a causa della crescente vetustà e inefficienza delle piattaforme, aumenta progressivamente il rischio operativo e contestualmente si riduce la flessibilità di impiego nel fare fronte a esigenze impreviste.
  La slide numero 24 evidenzia proprio la situazione descritta. A causa della presenza di piattaforme meno rispondenti alle esigenze degli attuali teatri di operazione e la cui vita tecnica si esaurirà in un orizzonte temporale variabile tra i 5 e i 10 anni, l'Esercito può impiegare nei teatri operativi soltanto una parte di esse, a meno dell'accettazione di maggiori rischi.
  Si tratta di una situazione che potrà essere minimizzata soltanto investendo adeguate risorse finanziarie, da focalizzare prioritariamente sul sostegno logistico dei mezzi, nonché sull'acquisizione di capacità nei seguenti settori: la sicurezza e protezione personale; l'efficienza operativa dello strumento, che consente un'azione efficace per conseguire l'obiettivo; la selettività di intervento; il rafforzamento della interoperabilità con gli eserciti dei principali Paesi alleati.
  Proprio per mitigare il rischio, si è dovuto far gravitare le poche risorse disponibili sui mezzi più moderni ed efficienti, usati costantemente nei teatri operativi e che costituiscono circa il 25 per cento dell'intero parco mezzi della Forza armata. Per abbattere i rischi occorre invertire tale tendenza, consapevoli del fatto che, quand'anche si potesse disporre da subito delle risorse, il processo di ammodernamento comporta comunque dei ritardi connessi alle potenzialità produttive dell'industria.
  Inoltre, poiché, come ho detto, buona parte delle piattaforme in uso esaurirà la propria vita tecnica nel prossimo decennio, anche a causa della particolare usura cui sono sottoposte, si rende indispensabile prevederne la sostituzione ovvero effettuare un upgrade al fine di prolungarne la disponibilità, la cosiddetta vita operativa. A riguardo, non solo è necessario fasare il processo di ammodernamento in funzione della residua vita tecnica delle Pag. 8piattaforme esistenti, ma bisogna farlo tenendo anche conto delle priorità operative di cui ho parlato.
  Si evince chiaramente che il mancato ammodernamento/sostituzione delle piattaforme che stanno giungendo al termine della loro vita tecnica provocherebbe significative ricadute sull'operatività della Forza armata. Nella slide numero 26 è illustrato l'intervallo di tempo tra la dismissione delle principali piattaforme in uso e l'introduzione teorica di quelle in via di acquisizione per ammodernare le brigate secondo le priorità illustrate.
  Coerentemente con quanto espresso finora, il piano di ammodernamento e rinnovamento posto alla base della pianificazione generale dell'Esercito prevede interventi di modernizzazione nell'area manovra (con le sue componenti 3a dimensione, meccanizzata/corazzata, media/anfibia e leggera) nell'area ISTAR (Intelligence, Sorveglianza, Acquisizione obiettivo e Ricognizione) e in quella delle forze speciali. Di prioritaria importanza è poi l'introduzione in servizio dei sistemi individuali da combattimento, che assicurano al personale protezione, precisione di ingaggio e comunicazioni sicure.
  Tutti i sistemi d'arma a cui ho accennato dovranno essere compatibili col programma denominato «Forza NEC», il quale rappresenta un valore aggiunto per le forze schierate sul terreno. In seguito alla digitalizzazione, tali forze potranno accrescere la capacità di comando e controllo e di raccolta di informazioni e dati, allo scopo di condividerli in tempo reale con tutti gli attori coinvolti. Potranno, inoltre, integrare le nostre unità in un ambiente interforze, multinazionale e intergovernativo, nonché godere di maggiore protezione attiva e passiva e migliorare la capacità di discriminare gli obiettivi.
  In tale quadro, c’è un possibile piano di sviluppo finalizzato ad ammodernare progressivamente le pedine operative fondamentali di cui l'Esercito dispone, cioè le brigate di manovra che sono impiegate, a turno, in operazioni all'estero. Si potrà procedere, infatti, alla modernizzazione in via prioritaria delle unità maggiormente spendibili nei teatri operativi a più alto indice di occorrenza (brigate leggere e medie), senza però trascurare la disponibilità in tempi ridotti della componente pesante, che, ancorché impiegabile nei cosiddetti «scenari meno probabili», mantiene comunque una minima possibilità di impiego e attualità anche nei moderni teatri di operazione. Si veda la crisi russo-ucraina.
  Avendo rinnovato solo il 25 per cento delle piattaforme, il tempo minimo necessario per completare il processo di ammodernamento può essere ragionevolmente stimato in dieci anni, completando così la modernizzazione di tutte le capacità entro il 2025. Ancorché con costi più elevati, il rischio verrebbe così abbattuto in soli dieci anni.
  Uno sviluppo temporale su vent'anni, invece, comporta all'inizio un livello elevato di rischio, che tuttavia andrebbe via via riducendosi all'aumentare della quota di mezzi e materiali ammodernati. Il percorso presenterebbe un deciso miglioramento orientativamente al 2025 e i costi annuali per l'ammodernamento e rinnovamento evidentemente sarebbero minori.
  In conclusione il piano di ammodernamento e rinnovamento predisposto dall'Esercito prevede una graduale dismissione dei sistemi d'arma più obsoleti e il rinnovamento del proprio parco mezzi e materiali con piattaforme maggiormente performanti, che coniughino una maggiore efficacia operativa, l'incremento della protezione per il personale e una spiccata flessibilità in ottica dual use, ciò anche alla luce della necessità di assolvere i molteplici compiti, talora di elevata complessità, richiesti dagli attuali e mutevoli scenari e delineati altresì dal nuovo Libro bianco.
  Tuttavia, tale processo di trasformazione non sarà compiutamente realizzabile senza adeguate risorse sul bilancio ordinario e/o l'eventuale intervento da parte del Ministero dello sviluppo economico, che da anni sostiene taluni programmi in ragione del loro particolare contenuto tecnologico e della specificità del comparto produttivo.Pag. 9
  Risulta quindi fondamentale continuare a orientare risorse certe e strutturali verso il settore terrestre, al fine di poter disporre di uno strumento militare caratterizzato da una forte interoperabilità e integrazione interforze e da un corretto bilanciamento tra le diverse componenti operative delle Forze armate, in linea con le direttive del Libro bianco e con quelle del Capo di stato maggiore della Difesa.
  Proseguo ora con alcune considerazioni sull'addestramento e la simulazione. Sulla base dell'attuale scenario di riferimento sono state emanate direttive affinché l'attività addestrativa svolta dai comandi delle unità dell'Esercito sia sempre finalizzata a disporre permanentemente di personale con un livello addestrativo adeguato. Ciò passa attraverso un'attenta revisione dei percorsi di preparazione individuale e collettiva. Da questa consapevolezza sono state delineate le linee evolutive nel campo dell'addestramento sulle quali l'Esercito si sta muovendo e che potete leggere nella slide numero 33.
  Il grafico che potete vedere nella slide numero 34 evidenzia negli anni la drastica e poi progressiva diminuzione della disponibilità dei fondi sul bilancio ordinario dedicati all'addestramento, che ha costretto a effettuare un'accurata selezione e prioritarizzazione delle attività addestrative al fine di garantire l'indispensabile capacità operativa delle unità.
  In particolare, la diminuzione delle risorse per l'addestramento è stata negli anni parzialmente attutita dall'elevata incidenza delle operazioni fuori area e dalla conseguente disponibilità di risorse ad hoc dedicate. Peraltro, sussiste la stringente necessità che l'Esercito mantenga anche un adeguato standard di capacità per impieghi cosiddetti «war», necessario per garantire l'espletamento del suo compito prioritario, anche se caratterizzato da una bassa probabilità di occorrenza, che è quello relativo alla difesa del Paese.
  Chiaramente, se con il bilancio ordinario era possibile garantire uno stesso livello addestrativo per tutte le unità, con la riduzione dei fondi tale livello potrà essere raggiunto solo dai reparti in approntamento per le missioni fuori area.
  A fronte degli stanziamenti assicurati dalla legge di bilancio e dei finanziamenti ricevuti attraverso il decreto-legge di proroga delle operazioni fuori area, il livello di addestramento garantito al personale delle unità dell'Esercito ha certamente consentito di ottemperare a tutti gli impegni sul territorio nazionale e a quelli di carattere internazionale.
  In particolare, per il corrente esercizio finanziario 2015, tenuto conto del budget complessivamente dedicato all'addestramento, la Forza armata, in termini di output operativo, riuscirà ad approntare complessivamente il 96 per cento dei propri reggimenti operativi, secondo attività addestrative differenziate per vari livelli di capacità da conseguire, cioè in funzione di come devono essere impiegati.
  Pertanto, solo il 29 per cento avrà condotto l'addestramento che consentirà l'impiego in ogni situazione operativa. Il rimanente 67 per cento sarà impiegabile solo in situazioni a media e bassa intensità o sul territorio nazionale in concorso con le forze di polizia. Inoltre, sempre in termini di performance, si misura un mancato approntamento per il 4 per cento, che non riuscirà a completare l’iter addestrativo neanche per il modulo iniziale, quello che conferisce la sola capacità di impiego in operazioni di sicurezza del territorio e di pubblica utilità (operazioni umanitarie).
  La capacità della Forza armata di garantire alle proprie unità le opportunità addestrative indispensabili per l'assolvimento dei compiti istituzionali è direttamente collegata alla piena disponibilità e utilizzazione di poligoni/aree addestrative.
  Attualmente la Forza armata ha in uso 141 poligoni/aree addestrative, dislocati su tutto il territorio nazionale, che sono utilizzati anche dalle altre Forze armate e Corpi armati dello Stato. Tengo a sottolineare che non è solo l'Esercito a usarli.
  A titolo di esempio, delle 7.020 giornate/poligono utilizzate in totale nel 2014, 5.868 sono state utilizzate dall'Esercito (84 per cento), 333 dalle altre Forze armate (5 Pag. 10per cento), 708 dai Corpi armati dello Stato (10 per cento) e 111 da personale militare straniero (1 per cento).
  Si tratta di siti variabili e differenziati in termini di estensione e di tipologia di attività da condurre. L'addestramento individuale al tiro con armi portatili richiede la disponibilità di aree piuttosto limitate, mentre le esercitazioni, «in bianco» o «a fuoco», di sistemi d'arma più sofisticati e di complessi di forze del livello ipotizzabile negli attuali interventi nei teatri operativi richiedono la disponibilità di aree estese e adeguatamente attrezzate.
  In particolare, Capo Teulada, con i suoi 72 chilometri quadrati ovvero meno del 9 per cento del totale delle aree a disposizione dell'Esercito per lo svolgimento di esercitazioni a fuoco, rappresenta il poligono più importante, in quanto è l'unico che consente l'approntamento unitario e l'amalgama di complessi di forze fino al livello «gruppo tattico».
  Mi preme sottolineare che in generale la disponibilità temporale dei poligoni non è assoluta, in quanto sussistono limitazioni al loro utilizzo che tengono conto delle esigenze locali, ambientali e stagionali, in accordo a specifici disciplinari d'uso. Sempre per quanto riguarda potenziali impatti negativi, molta attenzione è posta dalla Forza armata in merito a quelli sulla salute, tanto che dal 2009 è proscritto l'uso di munizionamento sprovvisto di apposita scheda di sicurezza ambientale dalla quale si evincano chiaramente i rischi e le necessarie precauzioni per contrastarli.
  Ovviamente le attenzioni dell'Esercito nei confronti delle esigenze e aspettative delle amministrazioni locali non sono rivolte solo a Teulada, ma all'intero territorio nazionale. È confermato dal fatto che negli ultimi quindici anni ha già dismesso più di 50 poligoni/aree addestrative e recentemente ne ha proposti ulteriori 5 per la dismissione.
  Tale sforzo è confermato anche da un più incisivo ricorso ai sistemi di simulazione, la cui implementazione consentirà, da un lato, un utilizzo maggiormente ecosostenibile dei poligoni, minore inquinamento acustico e mancato ricorso all'impiego di munizionamento attivo; dall'altro, di imprimere un forte impulso allo sviluppo di tecnologie sempre più avanzate.
  Nella slide numero 37 è rappresentata una comparazione tra i principali poligoni sul territorio nazionale e quelli all'estero per evidenziare come i Paesi alleati occidentali, vicini all'Italia per cultura e impianto normativo, dedichino maggiori risorse territoriali alla costituzione di aree addestrative per le loro Forze armate.
  Un'opzione potrebbe essere quella di utilizzare i poligoni all'estero, ma mi preme evidenziare come l'addestramento svolto fuori dal territorio nazionale risulti finanziariamente non conveniente, in ragione soprattutto degli elevati costi di trasporto. Altri costi da considerare sono le competenze da attribuire al personale e alla nazione ospitante per il cosiddetto Real Life Support (vitto e alloggio). In aggiunta, l'uso delle installazioni straniere è soggetto comunque alla disponibilità di ricezione e questo potrebbe creare seri problemi ai fini della programmazione dell'approntamento.
  Questi dati servono anche a sottolineare nuovamente come l'attuale sistema di poligoni nazionali, molti dei quali peraltro rispettano rigorosi periodi di chiusura nel periodo estivo, sia già a livello di sufficienza. Pertanto, l'eventuale ulteriore riduzione del loro utilizzo comprometterebbe l'operatività dello strumento militare terrestre.
  Peraltro, l'indisponibilità anche temporanea delle citate strutture crea un incremento dei costi insostenibile. Ad esempio, la sola chiusura per quattro mesi dei poligoni in Sardegna nel periodo estivo ha comportato la necessità di far svolgere alla Brigata Sassari, di futuro impiego nell'operazione «Strade sicure» a Roma, l'addestramento a fuoco nei poligoni dislocati sul territorio peninsulare, con oneri aggiuntivi non pianificati. È successo proprio quest'estate al 151o e 152o reggimento della Brigata Sassari, che sono dovuti venire anticipatamente sulla Penisola per svolgere le attività a fuoco preparatorie dell'operazione «Strade sicure».Pag. 11
  Per sopperire alla carenza e limitazione di poligoni o per sfruttarli il meno possibile è necessario fare un ricorso massivo alla simulazione. Le attività addestrative ed esercitative si gioveranno dell'innesto dei sistemi di simulazione a ogni livello, partendo dall'approntamento dei posti di comando e staff – simulazione Constructive –, passando all'addestramento delle unità presso le sedi stanziali – simulazione Virtual – e terminando con esercitazioni a più ampio respiro presso i costituendi Centri di addestramento tattico a partiti contrapposti.
  L'impiego della simulazione porterà innumerevoli vantaggi, quali: economia delle risorse, con particolare riferimento agli oneri logistici relativi all'addestramento (munizioni che vengono usate, movimenti, trasporti, personale di sgombero); immersione in un ambiente realistico in grado di riprodurre qualsiasi tipo di minaccia e ambiente operativo; incremento della sicurezza del personale e dei materiali impiegati (riduzione esponenziale delle possibilità di incidenti dovuti all'impiego del munizionamento reale e abbattimento del logorio dei sistemi d'arma); drastica riduzione dell'impatto ambientale, attraverso, ad esempio, la limitazione dell'impiego del munizionamento reale (attività a caldo); caratteristica duale dei sistemi di simulazione, i cui dati addestrativi, ambientali eccetera possono essere utilizzati anche da altre amministrazioni dello Stato.
  Vorrei ora presentare un punto di situazione sul personale, vero centro di gravità dell'Esercito. La legge n. 244 del 2012 e il discendente decreto legislativo n. 8 hanno fissato in 150.000 le dotazioni organiche complessive delle Forze armate, di cui 89.400 per l'Esercito, da conseguire entro il 2024, ferma restando la possibilità, in relazione all'andamento dei reclutamenti e delle fuoriuscite di personale, di prorogare tale termine con apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  In tale quadro, tenuto conto dell'andamento delle consistenze «a fuoriuscite naturali» delle diverse categorie nel medio e lungo termine, è verosimile che al 2024 i volumi dell'Esercito si attesteranno intorno alle 95.000 unità, con uno sbilanciamento tra le categorie degli ufficiali e dei sottufficiali, dovuto a un esubero degli effettivi pari a 5.636 unità, rispetto alle dotazioni organiche previste a quella data.
  L'Esercito si trova oggi e nei prossimi anni nel bel mezzo della transizione verso i nuovi obiettivi imposti dalla legge n. 244 e dai decreti discendenti. Complessivamente contiamo circa 10.700 unità in più rispetto all'organico di 89.400 che dovremmo conseguire entro il 2024.
  Peraltro, al processo di graduale riduzione si sovrappone l'ulteriore indirizzo del Libro bianco che, nel precisare che «per soddisfare strutturalmente il requisito chiave di un'età media relativamente bassa, è necessario che solo per una parte della forza complessiva la professione militare possa perdurare per tutta la vita», orienta le Forze armate, e quindi l'Esercito, a rivedere le percentuali di ripartizione tra forze in servizio permanente e forze in ferma prefissata, pur confermando le dotazioni organiche complessive stabilite dalla legge n. 244.
  L'obiettivo – cito testualmente il Libro bianco – è di «avvicinare le Forze armate italiane a percentuali simili a quelle delle Forze armate degli altri Paesi europei, raggiungendo a regime un bilanciamento tra servizio permanente e tempo determinato tendenzialmente pari a circa il 50 per cento». Tale bilanciamento deve essere conseguito in tempi credibili, al fine di determinare un graduale freno all'eccessivo invecchiamento della Forza armata e al relativo incremento dei costi.
  Ciò si traduce per l'Esercito in un'ulteriore sfida di rimodulazione in senso riduttivo di tutte le categorie in servizio permanente. In particolare, la riduzione più consistente si avrebbe per i volontari in servizio permanente (VSP), da un volume organico di circa 41.000 – gli effettivi a oggi sono circa 37.000 – a 20.000, proprio per ottenere l'auspicato bilanciamento.
  Negli eserciti alleati la componente di truppa in ferma prefissata è dominante e questo consente di disporre di personale Pag. 12giovane e performante. Infatti, questi svolgono il proprio servizio con ferme iniziali tendenzialmente brevi e con la possibilità di fruire di rafferme successive. Ciò permette di mantenere la giusta entità di personale a connotazione prettamente operativa con adeguate capacità psicofisiche.
  In particolare, né in Francia né in Germania è prevista una componente di truppa in servizio permanente, bensì aliquote minime di personale altamente qualificato che transitano nella categoria dei sottufficiali. La Spagna punta a raggiungere la percentuale del 10 per cento in servizio permanente e del 90 per cento in ferma prefissata.
  La categoria dei volontari in servizio permanente è costituita da personale che mediamente ha un'età intorno ai 35 anni, di cui i più anziani raggiungeranno l'età per la pensione a partire dal 2030. Infatti, l'attuale ruolo dei volontari in servizio permanente risente fortemente delle massicce alimentazioni avvenute nei primi anni Duemila, allorquando si è rapidamente passati dalla coscrizione al modello professionale.
  Il dimensionamento del periodo transitorio per il conseguimento degli obiettivi è strettamente connesso alla riduzione delle consistenze dei VSP. Tale riduzione è possibile solo attraverso strumenti e provvedimenti legislativi tutti da inventare e sostenere.
  In sintesi, con l'implementazione degli indirizzi del Libro bianco, i nuovi obiettivi di forza organica da raggiungere in ciascuna categoria di personale determineranno nuove situazioni di eccedenza e di vacanze. In particolare, si acuisce lievemente l'eccedenza di ufficiali e marescialli anziani e si evidenzia il numero di VSP in eccesso rispetto alla citata esigenza indicata dal Libro bianco.
  Pertanto, i volontari in servizio permanente rappresenteranno la criticità principale per il conseguimento degli obiettivi prefissati, atteso che gli sbilanciamenti esistenti nei ruoli degli ufficiali e dei marescialli, inferiori rispetto a quelli che si registreranno per i volontari in servizio permanente, potranno essere gestiti attraverso alcuni strumenti normativi già previsti dal legislatore. In tale ottica, quindi, l'esubero del personale ufficiali e marescialli risulta meno critico rispetto a quello che interesserà i volontari in servizio permanente.
  A titolo d'esempio e per dare un'idea del fenomeno, ho predisposto una slide (la numero 46), che è una sorta di simulazione. Per comprendere appieno la dinamica sottesa all'esigenza di ribilanciare il rapporto tra la componente in servizio permanente e quella in ferma prefissata – in pratica bisogna invertire i numeri: i 40.000 volontari in servizio permanente devono diventare 20.000 e i 20.000 in ferma prefissata devono diventare il doppio –, intendo presentare un grafico che riprodurrà in linea teorica l'evoluzione sincrona e complementare delle relative consistenze dei volontari in servizio permanente e in ferma prefissata.
  Tale schema ci consentirà altresì di sintetizzare il processo di individuazione del periodo transitorio necessario al raggiungimento degli obiettivi di forza dei volontari in servizio permanente, che, come detto, per ragioni funzionali di sostegno al modello «50 e 50» dovranno ammontare a regime a 20.000 unità, e in maniera complementare dei volontari in ferma prefissata (VFP), che nello stesso modello si attesteranno a regime a 42.900 unità, per un totale complessivo di 62.900.
  Procedendo lungo la linea del tempo e ipotizzando per i volontari in servizio permanente solo esodi naturali, cioè per raggiunti limiti di età, avremo i primi sostanziali cali a partire dal 2030. Contestualmente, a partire dallo stesso anno l'andamento delle consistenze dei volontari in ferma prefissata si eleverà in modo complementare rispetto al totale della categoria volontari di truppa, fino a raggiungere il massimo di 42.900 unità nel 2042.
  Faccio notare che al punto di intersezione delle due curve, nel 2038, avremo il bilanciamento numerico delle due componenti VSP e VFP, che in linea di massima può essere inteso come obiettivo intermedio. Appare evidente che, in questa ipotesi Pag. 13meramente teorica, il raggiungimento dell'obiettivo – se dovessimo partire – si avrà con un transitorio di 25 anni a partire nel 2017, che finirà nel 2042. In tale transitorio i moduli di alimentazione dei volontari in ferma prefissata sono dimensionati sull'esigenza di calo delle consistenze dei VSP.
  Praticamente, io non dovrei più alimentare i VSP nel momento in cui dovesse entrare in vigore questo tipo di provvedimento, fino a che non inizieranno i cali naturali o gli esodi dovuti a transito in altre categorie (sergenti, marescialli, accademie, Forze di polizia). In seguito, vedremo la proposta che noi stiamo per fare.
  A regime, invece, l'esigenza di alimentazione annua dei volontari in ferma prefissata, tenuto anche conto delle uscite per concorso in altri ruoli e nelle Forze di polizia, è pari a circa 7.000 unità all'anno, che è quanto stiamo al momento reclutando.
  Un periodo transitorio così lungo non è credibile e, peraltro, porterebbe a un enorme divario di età fra i professionisti in servizio permanente e quelli in ferma prefissata per tutto il periodo del transitorio.
  Peraltro, l'ipotesi illustrata, ove realizzata, porterebbe a un ulteriore risparmio dell'8 per cento rispetto a quanto sarà ottenuto dalla legge n. 244 del 2012, abbattendo complessivamente del 26 per cento gli attuali costi di tutto il personale dell'Esercito, che non è poco.
  Quali potrebbero essere i provvedimenti atti a velocizzare il processo ? Noi ne abbiamo studiati una serie, che proporremo, sulla nostra catena gerarchica. Naturalmente sono tutti da approfondire.
  È fuor di dubbio che il dimensionamento di tale periodo in senso riduttivo è strettamente legato alla credibilità dei dispositivi di legge, che velocizzino il processo di ribilanciamento mantenendo lo strumento militare ai livelli di operatività e flessibilità richiesti, senza peraltro penalizzare o mortificare la professionalità delle categorie di personale in eccesso, prevedendo misure di ricollocamento nel mondo del lavoro. Ovviamente non possiamo creare precari.
  Al riguardo, come visualizzato nella slide numero 47 e in quella successiva, sono stati individuati alcuni provvedimenti che l'Esercito italiano si riserva di proporre laddove si dovesse decidere di dare corso all'effettivo bilanciamento della componente in servizio permanente con quella a ferma prefissata.
  Vorrei ora porre l'attenzione, quale ultimo punto del mio intervento, sulle criticità conseguenti alla disomogeneità tra la provenienza geografica del personale in servizio e la distribuzione geografica delle infrastrutture militari.
  In particolare, il 90 per cento del personale in servizio nell'Esercito è originario delle regioni del Centro-Sud, con quelle del Sud che da sole registrano il 71 per cento delle provenienze. Di contro, i dati relativi alla distribuzione geografica delle posizioni organiche delle unità dell'Esercito evidenziano una concentrazione nel Nord (41 per cento) rispetto al Centro (34 per cento) e al Sud (25 per cento).
  In merito alla situazione del personale, come rappresentato nella slide numero 49 e nelle successive, si evidenzia per ogni singola regione la differenza esistente, espressa in termini percentuali, tra il personale originario di una singola regione e il numero di posizioni organiche e, quindi, occupabili della stessa regione.
  Analizzando il dato aggregato delle regioni settentrionali rispetto all'intero territorio nazionale, emerge come il 10 per cento del personale della Forza armata proveniente dalle regioni settentrionali non è sufficiente a coprire tutte le posizioni disponibili nei reparti ivi dislocati, pari al 41 per cento. Conseguentemente, le rimanenti posizioni devono essere occupate giocoforza dal personale reclutato nelle regioni centro-meridionali.
  Nelle regioni del Centro la situazione presenta, rispetto al Nord, un incremento in termini di base di reclutamento (19 per cento) e un decremento in termini di posizioni organiche (34 per cento rispetto al 41 per cento presenti al Nord). In ogni Pag. 14caso, il volume del personale reclutato non è sufficiente a colmare le esigenze d'impiego in termini di posizioni organiche della stessa area.
  Per ultimo, nelle regioni del Sud la situazione è invertita rispetto a quella vista nel Nord. Infatti, considerando il dato aggregato, emerge come il volume del personale originario di queste regioni (proveniente in particolare da Puglia, Campania e Sicilia), che ammonta al 71 per cento, è decisamente superiore alle attuali posizioni organiche, pari al 25 per cento del totale.
  Ricordo questi dati perché questa situazione naturalmente crea una sorta di disagio nel personale, che ci duole avvertire nel momento in cui le unità passano in servizio permanente e sono destinate ai reparti del Nord, dove c’è la maggioranza delle posizioni organiche. Spesso ci troviamo davanti a situazioni veramente critiche, anche dal punto di vista umano, e abbiamo difficoltà ad assecondare queste volontà.
  Io sto cercando di capire se posso decongestionare il Nord, ma mancano strutture al Sud. Probabilmente presenterò una proposta – sto facendo un'analisi approfondita – ma non sarà tale da poter risolvere il problema. Dobbiamo prendere atto che la massa del reclutamento viene dal Sud e dalle isole. Bisogna, quindi, avere a che fare con questa situazione, che non è di facile soluzione.
  Quanto sottolineato precedentemente è ancora più evidente se si prendono in considerazione i volumi totali delle domande di trasferimento presentate a qualsiasi titolo.
  Il grafico che vedete nella slide numero 53 mette in evidenza le richieste avanzate dal personale finalizzate a ottenere un trasferimento dalle regioni del Centro-Nord (in particolare Piemonte, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna e Lazio), verso le regioni del Sud (Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia), caratterizzate dal tasso più alto di origine del personale militare, come visto precedentemente. In arancione vedete il volume di personale che gradirebbe essere trasferito e in blu il volume di personale che vuole affluire in quelle regioni.
  In estrema sintesi, una maggiore disponibilità di enti nell'Italia centromeridionale consentirebbe un migliore bilanciamento delle unità sull'intero territorio nazionale.
  Signor presidente, onorevoli deputati, mi accingo a concludere l'intervento. Ho inteso riferire il quadro generale in cui si trova oggi la Forza armata e quali linee programmatiche intendo seguire per il futuro.
  Non si tratta di decisioni definitive, in quanto, come detto in premessa, risulterà necessario attendere quanto emergerà dallo studio di implementazione del Libro bianco della difesa e i contenuti della revisione strategica della difesa e la pianificazione a lungo termine del Capo di stato maggiore della difesa.
  Tuttavia, posso fin da ora affermare che l'Esercito tutto continuerà a operare per il bene della nazione, rispondendo con gli strumenti di cui potrà disporre alle sfide che gli si presenteranno di fronte sul territorio nazionale e all'estero.
  Ringrazio per l'attenzione. Sono a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, generale, per la completezza di questa relazione e soprattutto per quello che fate quotidianamente per il Paese in tanti scenari, anche molto rischiosi – non mi voglio riferire solo a quelli delle nostre missioni internazionali, ma anche a quelli nazionali –, nonché per la disponibilità e per la professionalità che mostrate in questo impegno.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MASSIMO ARTINI. Ringrazio il generale Errico. Io sono rimasto molto colpito dalla qualità della presentazione, che è stata ampia e dettagliata. Ho delle domande, di cui alcune entrano nel dettaglio, soprattutto relativamente ai mezzi.
  Molti dei progetti (penso a Forza NEC eccetera), a fronte delle scarsità delle risorse Pag. 15finanziarie, sono realizzabili, ma solo in tempi che ne comporterebbero una capacità d'impiego molto bassa.
  Lei ha fatto una proposta sul personale e su come rimodulare quel tipo di intervento, per fare in modo che voi possiate continuare a dare risposta alle vostre funzioni, che sono definite per legge, senza incidere negativamente sul bilancio dello Stato.
  Spesso voi delle Forze armate quando vi chiediamo di fare determinati tipi di lavori, ci rispondete – con una battuta – che li dovete fare con le risorse finanziarie che avete.
  A fronte di questo e dell'impossibilità di avere impieghi finanziari enormi, qual è il percorso che ci può portare a dire: «Questa cosa non la posso più fare» ? Come capacità di visione, dove ci si dovrebbe concentrare nei prossimi anni come Esercito, visto che questa è la componente più corposa tra le Forze armate, più presente e anche più effettiva ? Io penso in particolare al Libano, dove senza la presenza reale dell'Esercito ben poco avremmo potuto fare in quel tipo d'azione di contrasto.
  Quindi, volendo snellire l'Esercito, quale di quelle funzioni potrebbero essere ridotte, per rimanere operativamente efficaci ? Se si pensa che la prima Forza NEC sarà completa nel 2021 – se non ricordo male – e finirà nel 2036, sembra più una follia che un qualcosa di concreto.
  Ho poi una domanda tecnica, che è stata già posta ieri al Ministro e che riguarda l'Afghanistan. Il rientro dalla missione sta procedendo regolarmente e tecnicamente senza problemi ? Dovendo la missione finire nel 2016, io ritengo che, almeno per quanto riguarda la zona di Herat, tutte le procedure logistiche per il rientro siano in fase di conclusione. Vorrei avere una conferma.
  Chiederei una cortesia al presidente affinché possa, successivamente, porre un'ulteriore domanda, compatibilmente con i tempi dell'Aula.

  PRESIDENTE. Per ora, registriamo queste domande.

  GIORGIO ZANIN. Innanzitutto chiedo scusa al Capo di stato maggiore per il ritardo con cui sono arrivato, ma ero al Senato per un impegno con il Governo.
  Ringrazio per la presentazione, che ho anch'io molto apprezzato, e chiedo cortesemente se sia possibile avere la documentazione che ci è stata mostrata per godere anche della prospettiva visiva, che aiuta molto a recepire i contenuti.
  Ci sono tre aspetti che mi premerebbe avessero uno sviluppo. In primo luogo, quali sono gli elementi di riscontro rispetto al tema della femminilizzazione delle Forze armate ?
  Io credo che siamo ormai entrati in una stagione di stabilizzazione del fenomeno. Ho visitato le caserme – in particolare in terra friulana, venendo da là – e ho potuto apprezzare la presenza e l'impiego delle donne anche in compiti puntuali.
  Avere un report generale della condizione mi sembrerebbe quanto mai opportuno, perché sappiamo che il tema della parità si staglia oggi nel dibattito politico, ma soprattutto culturale, del nostro Paese in un modo significativo. Credo che una posizione della difesa nel merito, anche in termini di linguaggio, potrebbe aiutare il nostro Paese a crescere in questa direzione.
  In secondo luogo, nella parte finale della sua relazione lei ha evidenziato l'opportunità strategica di riequilibrare dal punto di vista geografico, in forza delle richieste dei volontari, la dislocazione del rapporto domanda-offerta.
  Mi domando se questo criterio possa essere recepito così come è, ma si tratta comunque di un elemento che necessariamente deve essere portato all'attenzione. Infatti, quando abbiamo spostamenti di flusso così significativi su scala nazionale, è evidente che ci troviamo di fronte a un fenomeno che noi dobbiamo immaginare.
  Pur tuttavia, dobbiamo compensare questa parte di analisi con elementi che ci spieghino il cambiamento di orientamento geopolitico, che guiderebbe eventualmente l'allocazione di nuovi edifici e gli spostamenti di personale in funzione delle strutture Pag. 16da attivare, laddove abbiamo ancora delle permanenze veramente molto ingombranti.
  Mi riferisco al caso delle dismissioni. Io sono friulano, per cui sa bene di che cosa sto parlando. Non vorrei che questo tema aprisse un'ulteriore linea di frizione con i territori. Infatti, ogni volta che si parla di abbandono, di spostamento eccetera, si apre – se così si può dire – una ferita nella corteccia sociale, dal momento che negli ultimi vent'anni, ragionevolmente, le Forze armate hanno lavorato molto anche nel percorso d'integrazione con il sociale e con il civile nei rispettivi territori.
  Questo almeno è ciò che io registro quotidianamente, per esempio interloquendo con gli amministratori locali, i quali, ogni volta che si parla di spostamenti di battaglioni piuttosto che di allocazione di forze militari, vivono ciò come un elemento di privazione. Laddove un tempo era vissuto come servitù, oggi questo è vissuto come privazione, anche in funzione dell'integrazione sociale del corpo militare, che, come ben sappiamo, difficilmente ormai alloggia dentro il perimetro delle caserme.
  Questo è un aspetto dai molti significati, che credo sia importante dettagliare, all'atto pratico della presentazione di una proposta, anche con forme di riequilibrio.
  In terzo luogo, noi continuiamo a parlare ripetutamente, in particolare in sede di audizione con il Ministro – ovviamente si parla di un quadro di riferimento politico – degli aspetti che riguardano la maggiore integrazione possibile delle nostre Forze armate in un sistema di difesa a carattere europeo.
  Io vorrei capire quali siano gli elementi puntuali, oltre ai piani di ammodernamento tecnologico (l'onorevole Artini ha citato Forza NEC). Vorrei sapere quali siano nella sostanza gli approcci che noi pensiamo di sviluppare rispetto alla qualifica del personale che entra in servizio nelle nostre Forze armate, per adeguare la nostra forza militare all'idea di un'integrazione con gli altri.
  Penso banalmente al medium linguistico, che spesso diventa essenziale in alcuni teatri a livello comunicativo, e alle capacità operative. A mio parere, ma non solo mio, i mezzi e gli strumenti dovrebbero necessariamente essere sempre più immaginati, realizzati e costruiti, non per un impiego soltanto da parte delle Forze armate del nostro Paese, ma per un impiego condiviso con le Forze armate di altri Paesi europei.
  Credo che sarebbe importante che lei ci aiutasse a capire questo aspetto specifico di come preparare la Forza armata, intesa come risorsa umana, all'ipotesi di un Esercito europeo, posto che questo sia un obiettivo come, dalle audizioni che il Ministro ha svolto con noi, mi pare che sia.

  ANDREA CAUSIN. Innanzitutto vorrei ringraziare il generale Errico per l'esposizione dettagliata e precisa, che dà modo a questa Commissione di riflettere. Infatti, la Commissione deve seguire – in particolare – le scelte che farà il Parlamento italiano, anche di accompagnamento agli aspetti programmatori del comparto difesa.
  A me colpisce una sottolineatura che lei ha fatto: il percorso di programmazione e di ammodernamento del comparto difesa avviene in uno scenario geopolitico che è progressivamente più complesso e degradato.
  Io faccio parte dell'Assemblea parlamentare della NATO, insieme ad altri colleghi delle Commissioni esteri e difesa. Effettivamente, gli elementi che ci vengono forniti da un paio di anni a questa parte danno l'idea che, dopo le vicende dell'Afghanistan e del Libano, la situazione internazionale non sia migliore. Ci sono addirittura degli elementi che fanno pensare che sul piano delle necessità di difesa alcuni Paesi, come l'Italia, dovranno svolgere un ruolo, che sia di deterrenza oppure d'intervento diretto, sicuramente maggiore rispetto a quello che è stato svolto finora. Questo per lo meno è quanto emerge dal dialogo e dal confronto con chi si occupa di analisi geopolitica e strategica.
  C’è grande preoccupazione in sede NATO che le indicazioni e le scelte di riduzione della spesa del comparto difesa Pag. 17compiute dai Paesi europei, in modo particolare da quelli della gronda del Mediterraneo (penso alla Francia e all'Italia), possano in qualche modo compromettere la reale capacità di far fronte a delle esigenze che potranno verosimilmente emergere nei prossimi anni.
  Vorrei porle una domanda che credo apra un'interlocuzione che riguarda il complesso della legislatura. Mi chiedo se le capacità e le possibilità che stanno fornendo oggi il nostro Parlamento e il nostro Governo in tema di quantità di finanziamento consentiranno di mantenere dei livelli adeguati di capacità operativa. Occorre, infatti, tenere conto che – in sede NATO in particolare – sembra sempre più evidente che la questione mediorientale relativa ai Paesi nordafricani riguarderà gli Stati Uniti, che vogliono occuparsene sempre meno, in maniera minore delegando sempre più tale compito ai Paesi della gronda mediterranea europea.

  GIANLUCA RIZZO. Ringrazio il generale per l'ampia e dettagliata esposizione e mi associo alla richiesta del collega Zanin di avere una copia della relazione.
  Io sarò abbastanza breve e focalizzerò il mio spunto di riflessione sull'impegno nell'ambito del territorio nazionale e sull'aspetto dual use.
  Purtroppo ogni giorno sentiamo parlare di dissesti idrogeologici, emergenze ambientali, crolli, frane, piloni che cedono in autostrada. La mia domanda riguarda la modernizzazione e l'investimento sui mezzi. In particolare, vorrei capire che tipo di valutazioni si fanno sull'ammodernamento di mezzi impiegati dai comparti che operano in affiancamento alla protezione civile.
  Si tratta di una domanda che nasce dalla vicenda relativa al cedimento di un pilone sull'autostrada A19 Catania-Palermo. A fronte di quel cedimento, avendo contezza dell'ampia professionalità del genio militare, si pensava di far partecipare quest'ultimo in alcune operazioni. In tutta sincerità, è stata dolente la dichiarazione del Commissario incaricato di gestire l'emergenza, che ha affermato che il genio militare non aveva i mezzi necessari per affrontare questo intervento.
  Io e altri colleghi siamo soliti andare direttamente a verificare i problemi delle Forze armate. Proprio qualche mese prima avevamo fatto delle visite ispettive, che io definisco più che altro conoscitive, e quindi abbiamo contezza della grande professionalità del Corpo. Pertanto, leggere quelle dichiarazioni sinceramente mi ha rattristato.
  Vorrei sapere che tipo di valutazioni state facendo sull'ammodernamento di quei mezzi specifici. A fronte di queste emergenze, il genio ha la disponibilità di mezzi adatti a operare in tali condizioni ?

  LUIGI LACQUANITI. Ho una breve domanda, che è stata già accennata in precedenti interventi. Naturalmente ringrazio della relazione approfondita e mi associo alla richiesta per averne copia.
  È di queste ore la discussione sui giornali riguardo a un nostro eventuale intervento nel teatro mediorientale e in particolare iracheno. Lei stesso si è soffermato durante la sua relazione sugli interventi che le Forze armate italiane hanno fatto in vari teatri negli ultimi 20-30 anni.
  Tuttavia, per quanto riguarda l'Esercito, mi pare di ricordare – mi corregga se sbaglio – che il nostro è sempre stato un intervento d'interposizione, volto a riportare condizioni per quanto possibile normali in Paesi esteri, all'indomani di conflitti. Per questioni e decisioni eminentemente politiche, il nostro intervento in termini prettamente bellici è stato affrontato attraverso l'Aeronautica militare e i bombardamenti. Penso in particolare alle campagne nel Golfo.
  La mia domanda è puramente teorica, perché, anche in caso di un nostro intervento in Iraq, si parlerebbe ancora una volta di bombardamenti, immagino sempre per questioni all'origine politiche.
  Se, in maniera puramente teorica, dovessimo decidere un intervento attraverso le forze di terra in uno scenario – quello causato da questa forza molto particolare che è l'ISIS – completamente diverso da Pag. 18quelli che abbiamo visto in passato nella ex Jugoslavia o in Iraq, saremmo in grado, con le strumentazioni e le attrezzature che abbiamo, di farvi fronte nel modo più efficace ?

  PAOLA BOLDRINI. Ovviamente mi associo anch'io ai ringraziamenti per la relazione molto esaustiva e completa in ogni sua parte, e anche per il tempo che avete speso a prepararla. Immagino che cosa vuol dire mettere insieme a 360 gradi quello che sta facendo il nostro Esercito.
  Anch'io mi compiaccio di quello che sta facendo l'Esercito, perché vedo che in ogni momento, quando c’è la necessità, i ragazzi sono sempre presenti e sempre pronti a intervenire per qualsiasi calamità. È un aiuto importante per il nostro Paese.
  Vorrei svolgere un intervento un po’ diverso rispetto ai miei colleghi. Nell'esposizione e nei filmati che ho visto mi sono soffermata soprattutto sui poligoni di tiro. Lei, generale, affermava che non sono sufficienti per avere un adeguato addestramento. Ovviamente occorre che il nostro Esercito abbia un adeguato addestramento, per avere la prontezza di azione nel momento in cui viene chiamato.
  Mi ha fatto un po’ specie il fatto che durante l'anno ci sia una chiusura periodica di questi poligoni – se non ho capito male – e ciò rende necessario spendere ulteriori risorse per coprire gli addestramenti richiesti in maniera estemporanea. Penso a Expo e a ciò che succederà a Roma.
  Mi chiedo se non sia possibile eventualmente avere una programmazione un po’ più in stretto contatto con il Governo, per capire come usufruire meglio di questi spazi, che, come dicevamo, non sono sufficienti.
  C’è un'altra questione che mi preme sottolineare. Su questi terreni enormi ci sono degli impatti ambientali, a causa delle munizioni e di tutto quello che rimane sul posto. Si tratta di terreni che adesso vengono utilizzati in questo modo, ma forse un giorno non lo saranno più. Sappiamo cos’è successo con i conflitti che ci sono stati per il recupero di tutto quello che era rimasto, anche inesploso.
  Vorrei sapere se l'Esercito ha un'azione di riservatezza per poter bonificare eventualmente questi appezzamenti.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'onorevole Artini per un'integrazione del suo intervento.

  MASSIMO ARTINI. Grazie presidente. Ieri il Ministro Pinotti ha ribadito le parole del Presidente del Consiglio in merito al comando di un'eventuale missione in Libia. Non voglio mettere parole in bocca a nessuno, ma immagino che delle pianificazioni siano state fatte, come ha ammesso anche il Ministro, per quanto riguarda sia l'Iraq che la Libia.
  Vorrei avere un'idea di come potrebbe essere quel dispositivo, fino a che punto dovrebbe penetrare, se dovrebbe rimanere solo nella zona costiera della Libia, dove dovrebbe andare a operare eccetera. Non le chiedo se è giusto o sbagliato fare quel passaggio, ma tecnicamente come dovrebbe avvenire, se dovesse appunto essere dispiegato.

  PRESIDENTE. Do la parola al generale Errico per la replica.

  DANILO ERRICO, Capo di stato maggiore dell'Esercito. Innanzitutto vi ringrazio per i complimenti, che riporterò a tutti gli uomini e le donne dell'Esercito, che sono sul terreno 24 ore su 24.
  Li ho visti l'ultima volta a Expo, dove sono andato a trovarli. Sono veramente soddisfatto del lavoro che stanno svolgendo, anche se qualcuno di loro sta ancora in tenda, dove è giusto che stia, perché i militari non sono solubili in acqua. Scusate la battuta, ma è per dire che questi ragazzi stanno lavorando veramente molto bene. Mi sono compiaciuto con loro e ho riportato gli apprezzamenti da parte di tutti.
  Onorevole Artini, io non posso rispondere alla sua ultima domanda, perché non è competenza mia esprimermi sui dispositivi. Pag. 19Sicuramente saranno state fatte delle pianificazioni dal Comando operativo di vertice interforze (COI), ma come lei sa il responsabile è il Capo di stato maggiore della Difesa. Io sono approntatore delle forze e le fornisco.
  Mi dovrei esprimere con un'idea personale. Da militare io ho le mie idee naturalmente, ma, viste la sede istituzionale e la richiesta, mi astengo. Scusatemi, ma mi avvalgo della facoltà di non rispondere, perché non è competenza mia. Sono approfondimenti che vengono fatti in un ambito della Difesa, con tutti i dicasteri che hanno competenza trasversalmente. Una pianificazione del genere naturalmente è complessa.
  Vengo alla sua prima domanda, ossia come ci regoliamo con i soldi che abbiamo. Questa attività è nata da qualche anno, da quando le leggi di bilancio ci hanno gradualmente tagliato dei fondi.
  Le riporto un esempio relativo all'addestramento. In passato ciascun soldato ogni anno doveva fare sequenzialmente una serie di attività per essere dichiarato operativo: l'artigliere doveva sparare col cannone un determinato numero di colpi, il carrista doveva fare tante esercitazioni, così come il fante, il geniere e così via.
  A un certo punto il bilancio della Difesa ha subìto dei condizionamenti e l'addestramento ne ha sofferto. Peraltro, siamo passati dalla coscrizione obbligatoria (ovvero dalla leva) ai professionisti. Si pensa che un professionista non abbia bisogno di fare ripetutamente le solite attività. A un certo punto alcune si danno per acquisite.
  Pertanto, i comandanti ai vari livelli sono stati resi responsabili della preparazione del personale e, a loro discrezione, decidono quali sono le attività da fare per dichiarare pronto un militare e quali sono quelle superflue, che si danno per acquisite.
  Se succede un incidente, naturalmente un comandante risponde del fatto che quell'uomo o quella donna abbia svolto tutte le attività previste dalla norma. Infatti, se uno si fa male, il magistrato chiede: «Doveva fare i tiri con l'arma. Li ha fatti ? Come mai non li ha fatti ?» Ci sono precipue responsabilità quando si opera nel nostro settore.
  Per quanto riguarda i mezzi e i materiali, noi siamo partiti con una legge, la legge n. 244 del 2012, che faceva una programmazione a vent'anni e dava strutturalmente un certo quantitativo di risorse finanziarie all'anno.
  Il processo di pianificazione della Difesa prevede uno scenario ipotetico. Un tempo avevamo la contrapposizione bipolare, tutti sapevamo chi era il nemico e tutti ci preparavamo. L'80 per cento di noi era nel Nord-Est. Anch'io, con i pantaloni corti, da giovane tenente, ero nel Nord-Est, precisamente a Pordenone Maniago.
  Oggi non c’è più una contrapposizione certa e bisogna ipotizzare degli scenari sulla base di crisi emergenti, situazioni che sorgono da varie tipologie di conflittualità e via discorrendo. Pertanto, si ipotizza l'impiego delle Forze armate e si valuta di che capacità noi ci dobbiamo dotare per fronteggiare un'eventuale operazione.
  Partiamo dal presupposto che non saremo mai soli e che speriamo che l'Italia non venga mai attaccata. Dunque, si opera sempre in un contesto multinazionale. Mi allaccio al discorso sull'Esercito europeo. Si attua una distribuzione di capacità con altri eserciti.
  Che cosa ci fa crescere dal punto di vista multinazionale ? Ci fanno crescere le esercitazioni, i contatti che abbiamo e il fatto di lavorare insieme nei teatri operativi.
  In Afghanistan sono stato il primo comandante dell'RC-West. Non avevo moltissimi uomini, ma avevo dodici nazioni con me. In Kosovo nel 2004 avevo 11.000 uomini sotto il mio comando (tedeschi, bulgari e di molte altre nazioni).
  Si lavora insieme e si impara a condividere. Si applicano le procedure standard (NATO, Unione europea e via dicendo), c’è un'educazione militare di base comune, perché bene o male l'impiego degli armamenti e delle risorse e la tattica si condividono molto, e quindi si cresce insieme. Pag. 20Queste operazioni degli ultimi anni ci hanno consentito veramente di condividere tantissimo con molte nazioni.
  Noi oggi abbiamo il comando in tre teatri importanti: abbiamo l’United Nations Interim Force In Lebanon (UNIFIL), guidata dal generale Portolano; abbiamo il Kosovo, con il comandante della Kosovo Force (KFOR); e abbiamo l’International Security Assistance Force (ISAF), comandata da un altro nostro generale di divisione. Ricopriamo posizioni importanti in ambito multinazionale, con tanto rispetto da parte delle altre nazioni.
  A questo punto, davanti a queste situazioni, noi pianifichiamo e decidiamo le capacità da avere, le quali si esprimono attraverso la disponibilità di assetti: piattaforme, armamenti, materiali e così via.
  Un tempo si faceva la pianificazione in base a esigenze e possibilità, si vedevano i soldi che si avevano, si metteva a confronto, si dava la priorità, si rinunciava a qualcosa e si operava. Oggi questo è un po’ più complesso, perché di fronte alle ristrettezze economiche l'Esercito naturalmente fa la sua parte come tutti gli altri, e ciò ci condiziona ancor di più.
  Il Capo di stato maggiore della Difesa, nell'ambito del bilanciamento tra le Forze armate, vede quali sono secondo lui le capacità prioritarie rispetto alle altre, cancella alcune cose e ne privilegia altre. Noi lavoriamo in questo ambito. Il processo non è banale, ma abbastanza lungo e complesso.
  Il problema oggi è che noi ereditiamo un insieme di capacità del passato, come ho ricordato in premessa. Infatti, stanno arrivando materiali acquistati precedentemente, ma l'esercizio si è ridotto veramente all'osso.
  Dunque, personalmente, mi preoccupa molto il presente, ossia la capacità di manutenere i materiali che abbiamo. Comincio a preoccuparmi guardando la scadenza della vita tecnica e il collasso dei mezzi. Anche la nostra macchina privata a un certo punto non ce la fa più. Dopo quindici anni una macchina, per quanto la si voglia mantenere in vita, non è più conveniente sotto il profilo dei costi. Se poi assoggettiamo i mezzi al logorio dei teatri operativi, chiaramente il degrado è ancora più veloce e repentino.
  Praticamente questa vita tecnica finisce, associata alla vita operativa, ovvero l'incapacità della piattaforma a reagire e a interagire ancora in modo efficace in zona d'operazioni fa presupporre, tra cinque o dieci anni, come vi dicevo, un depauperamento delle capacità operative dell'Esercito.
  Dunque la pianificazione della legge n. 244 del 2012 ormai nel suo impianto ha perso significato, perché le risorse che prevedeva non ci sono. C’è poi il Libro bianco, che dà nuovi orientamenti. Occorre raccordare queste due cose e vedere dove dobbiamo andare. Io sono salito in un treno in corsa a febbraio e vi ho illustrato la situazione che noi abbiamo in questo momento. Vedremo le prossime leggi di bilancio, le assegnazioni e come il Capo di stato maggiore della Difesa ripartirà le risorse. Sulla base di questo, faremo delle scelte.
  Io mi sono fatto un'idea sulle cose a cui dovrei rinunciare. In poche parole, se abbiamo tanti carri armati, devo decidere o di preservarne una parte e di venderne un'altra, oppure li devo tenere tutti a un livello di efficienza molto basso.
  Bisogna fare delle scelte, che ci toccano nella solitudine del comando. Decideremo bilanciandoci con le altre Forze armate e confrontandoci in ambito NATO naturalmente, perché, come ricordavo poc'anzi, l'Europa e la NATO ci diranno ciò che vogliono e noi dovremo dare il nostro concorso.
  Forza NEC è un programma al quale abbiamo dato una grossa svolta. Dalla fase di sperimentazione stiamo passando tutto ciò che è validato alla fase di produzione, in modo tale da evitare che Forza NEC e Soldato futuro diventino troppo futuri. Cerchiamo, quindi, di accorciare i tempi.
  Forza NEC è importante, perché qualsiasi armamento o mezzo noi mettiamo su questa piattaforma deve poter essere immediatamente inserito in questo contesto digitalizzato e interagire con tutto il resto. Pag. 21Questo ci aiuterà molto nel contesto multinazionale e, quindi, nella cooperazione.
  Passo alla domanda sull'inserimento delle donne nella Forza armata. In senso generale, si è passati dall'idea che le donne possono fare tutto all'idea che le donne fanno quello che riescono a fare. Noi facciamo un reclutamento che rispetta i parametri differenziati delle prove fisiche, così come previsto dalla legge.
  Una volta entrati nella Forza armata, ci sono dei settori che richiedono a donna e uomo una performance uguale. Per esempio, nelle forze speciali l'equipaggiamento mediamente è di 51 chili. Non possiamo dire che l'equipaggiamento della donna può essere di 45, perché la donna e l'uomo della stessa squadra devono fare le stesse cose.
  Ci sono settori dove la donna non ha problemi e altri settori in cui hanno problemi anche i maschi. Poco tempo fa sono andato a vedere una selezione. Ci sono maschietti che non riescono a fare il numero previsto di flessioni oppure a posizionare la bomba da venti chili nel mortaio da 120, perché non riescono a sollevare venti chili.
  Non è in questo la differenza tra uomo e donna. La differenza sta nel fatto che c’è uno standard da assicurare. Fatta la differenza iniziale fisica delle prove (a uno si chiede un tempo e a uno si chiede un altro), una volta entrati, per accedere nei vari settori naturalmente le prestazioni devono eguagliarsi in termini di operatività. Ci sono settori più consoni alla donna e ci sono settori più consoni all'uomo, ma noi non vogliamo entrare nel merito della discussione.
  Il problema, secondo me, può essere invece riferito all'aspetto del servizio. Mi assumo la responsabilità di quello che dico. Mi riferisco alla differenza che emerge nel servizio nel momento in cui si mette su famiglia, con i figli e quant'altro, perché naturalmente la donna, una volta diventata mamma, ha bisogno di stare vicino ai figli e ai fini della disponibilità al servizio deve avere un'attenzione diversa rispetto all'uomo.
  Di questo ci stiamo facendo carico, perché sono entrate 2.000 donne nell'Esercito. Sono fenomeni che stiamo monitorando, e stiamo crescendo insieme. Ci sono delle situazioni che ci creano un po’ di preoccupazione.
  Io non vorrei credere che l'Esercito sia uno stipendificio, perché non può esserlo. L'Esercito è un'istituzione che deve avere una disponibilità al servizio e un aspetto motivazionale particolari, perché siamo gente che è pronta a mettere la propria incolumità personale a rischio. Questo viene richiesto a ogni uomo e a ogni donna. Noi stiamo affrontando questi problemi.
  Quando io parlavo della disomogeneità della distribuzione, non lo dicevo perché voglio spostare. Io non sposterò nulla. Non voglio allarmare il Friuli Venezia Giulia e il Veneto. Noi abbiamo tre brigate nel Friuli Venezia Giulia: l'Ariete, la Julia e la Pozzuolo. Io ho nove brigate in tutto, di cui tre sono lì.
  Non posso costruire nuove caserme al Sud, ma su quelle che ho, se posso, vorrei alleggerire la pressione di quanti hanno seri problemi. Infatti, la maggior parte si adatta, perché si vive bene, c’è una buona sanità, c’è il lavoro per la moglie, c’è la buona scuola per i figli. Chi ha voglia di crescere la famiglia in un certo contesto non ha problemi. Qualcun altro invece non si adatta e, per varie ragioni, ha la necessità di avvicinarsi al nucleo familiare di origine. Su 101.000 uomini, parliamo di 2.000 persone, che non sono tantissime.
  Quando propongo di spostare la bandiera in un altro posto, senza spostare la gente, in modo da creare un'altra unità, non sto chiudendo una caserma. Cito l'esempio di Maniago. A Maniago non si tratta di chiudere la caserma. Lì c’è un reggimento d'artiglieria. Io ci sono stato e lo so bene. La gente rimane. È il battaglione logistico, ovvero la bandiera, che si sposta, ma la caserma rimane. Non spostiamo la gente, perché ci costa troppo. Peraltro, teniamo conto che non dobbiamo assolutamente movimentare la gente che si è radicalizzata. Non proporrò mai spostamenti massicci.Pag. 22
  Ci sono dei sistemi con cui, in modo surrettizio, spostiamo l'ente e la bandiera, e possiamo catalizzare intorno a questa bandiera un movimento di persone che hanno necessità di avvicinarsi. Infatti, le segnalazioni per trasferire la gente mi vengono trasversalmente da tutti. I ragazzi fanno la domanda e poi chiedono aiuto. Ci sono casi che meritano attenzione: la legge n. 104 del 1978, signore separate con figli che non sanno come fare ad accudire i bambini e si devono avvicinare al nucleo d'origine.
  Le posizioni organiche al Sud sono completamente intasate (sono al 110-120 per cento). Chiaramente bisogna dare un po’ di respiro, visto che la gran parte dei militari viene dal Sud. Volevo dire questo per tranquillizzarvi. Non chiudo nessuna caserma, per carità !
  Mi si chiedeva se, a fronte degli scenari prevedibili, i finanziamenti sono sufficienti. In parte ho risposto. Io sono preoccupato per il funzionamento. Sapete che adesso c’è la moratoria su tutti i nuovi programmi. Da due anni non sta partendo nessun nuovo programma, proprio perché i tagli di bilancio sono stati tali da creare questa moratoria. Non è un segreto, lo sanno tutti.
  Questo ha bloccato il processo di ammodernamento della Forza armata. Parlo della mia e non delle altre. Se quelle curve che vedete quando finisce la vita tecnica di certe piattaforme non vengono immediatamente alimentate in salita, non ci sarà soluzione di continuità e ci saranno delle crisi, quindi ci saranno dei momenti in cui non avremo i mezzi adatti per svolgere determinate attività. Ecco perché dico che è importante che noi possiamo dare continuità.
  Mi si chiedeva se rivediamo in chiave riduttiva delle esigenze. Certamente lo facciamo. Io personalmente ho già rivisto tutto ciò che posso considerare, non superfluo, ma non strettamente necessario.
  Una cosa alla quale, però, non posso rinunciare è la sicurezza degli uomini e delle donne. Quando saltano sulle mine o quando i mezzi non sono blindati, si tratta della sicurezza del soldato. Al giubbotto antiproiettile, all'elmetto e agli equipaggiamenti io non posso rinunciare. Quella per me è la priorità numero uno. Sul resto magari possiamo discutere, ma certe cose sono irrinunciabili.
  Non lancio gridi di dolore, perché non mi piace assolutamente. Riporto semplicemente il dato di fatto. Io vi ho illustrato come sta la situazione, e con le slide che vi lascio vedrete anche graficamente questo discorso. Sono a disposizione per eventuali chiarimenti.
  Il genio è un argomento molto interessante. Spesso e volentieri i prefetti e i sindaci ci chiamano. È successo a Olbia e ora sta succedendo a Piacenza. Io personalmente ho partecipato all'emergenza dell'Emilia nel 2012. A un certo punto alle 4,00 del mattino ti chiamano e ti dicono che bisogna intervenire perché c’è stato il terremoto. Noi non sappiamo cosa sta succedendo e andiamo a vedere.
  Abbiamo un nostro sistema di allerta, in base al quale in automatico ogni prefettura viene presidiata immediatamente dagli ufficiali di collegamento dell'Esercito e ogni reggimento genio dell'Esercito è distribuito sul territorio e ha un'area di competenza.
  I materiali che noi prendiamo, che servono per i lavori sul campo di battaglia – non andiamo in guerra, ma sono i termini che si utilizzano; come si parla di bandiera di guerra, si parla di lavori sul campo di battaglia, verticali e orizzontali – guarda caso, si prestano molto anche alle attività di sgombero neve con catene comprese, come è successo a Pesaro nel 2012. Interveniamo nei terremoti, nella messa in sicurezza, nell'abbattimento di scuole intere. In Emilia abbiamo abbattuto edifici enormi, sempre in concorso con i vigili del fuoco.
  Abbiamo la capacità tecnica e abbiamo gli ingegneri. Io non ho capito una cosa. Lei parlava di un Commissario. Era un militare ?

  GIANLUCA RIZZO. No, era un Commissario delegato dal Ministro dei trasporti per gestire la situazione.

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  DANILO ERRICO, Capo di stato maggiore dell'Esercito. Io le dico che ad abbattere siamo bravissimi, tant’è vero che su tutto ciò che viene deciso dalla magistratura relativamente all'abusivismo molto spesso interveniamo noi, con i mezzi del genio, così come avviene nelle bonifiche.
  Per quanto concerne i ponti, abbiamo dei ponti Bailey. I ponti, però, devono avere determinate caratteristiche; se vanno oltre una certa luce, non ci arriviamo. Anche le sponde devono avere determinate caratteristiche. Sono materiali che già abbiamo.
  Se si tratta di un pilone dell'autostrada, c’è anche un problema di responsabilità, perché lì ci sono organizzazioni dello Stato che hanno competenza, e noi non possiamo intervenire. Bisogna vedere che tipo di intervento veniva richiesto. Posso provare a chiedere, giusto per informarmi e per curiosità. Se qualcuno avesse chiesto una ricognizione, un mio nucleo di ricognizione sarebbe andato a vedere.
  C'era una domanda sui poligoni. Le riporto un esempio. A Teulada c’è la penisola interdetta, che è l'ultima parte del poligono, che risente dell'uso di anni e anni. Innanzitutto Teulada è di proprietà dell'Esercito. Su quella penisola si scatenavano sempre tutte le esercitazioni.
  Con il 5o reggimento genio di Macomer, abbiamo iniziato una bonifica sistematica. Ci avvaliamo anche di sistemi ad alta tecnologia e stiamo intervenendo metro per metro per bonificare questa penisola.
  Non so se avete letto sui giornali che a Macomer in un nostro poligono sono stati trovati rimasugli di bombe a mano e altro materiale inerte. Era una zona da noi non battuta e fuori uso da tempo. Siamo intervenuti immediatamente. Quando si fanno i tiri, si interviene per bonificare la zona.
  Non voglio entrare più di tanto in questo argomento, ma dico solo che ormai si è creata una cultura tale che noi percepiamo la necessità di essere ecosostenibili e di tenere conto dell'ambiente, così come dobbiamo tenere conto di quello che succede intorno al poligono.
  Questa estate a Eboli noi potevamo fare attività a fuoco. Tuttavia, siccome c’è un campeggio di fianco e ci è stato chiesto per favore di lasciarli tranquilli, perché avevano un turismo tardivo, sono intervenuto personalmente e ho fatto spostare l'addestramento, che non era assolutamente necessario.
  Quando il poligono in Sardegna è stato chiuso per quattro mesi, come dicevo poc'anzi, ho dovuto portare qui a sparare i reggimenti 151 e 152. Cerchiamo di fare tutto quello che possiamo.
  Mi scusi se mi permetto di precisare: il numero dei poligoni non è insufficiente. Io ho parlato di mera sufficienza: siamo a un livello tale che non possiamo scendere al di sotto di quello che abbiamo, che non è insufficiente. Come stiamo adesso, sopravviviamo bene, solo che non possiamo più perdere spazi.
  Ciò che possiamo fare è alleggerire la pressione sui poligoni con le esercitazioni a caldo, cioè con l'uso di munizionamento. Una volta il cannoniere deve sparare col colpo vero, deve sentire qual è il botto e deve capire qual è la sua reazione, ma le altre volte può fare una simulazione. Tuttavia, ci vogliono investimenti. Stiamo investendo in questo settore e io sono confidente. C’è anche un abbattimento dei costi del 40-45 per cento con la simulazione.
  Inoltre, stiamo sollecitando l'industria per il munizionamento verde, cioè con meno sostanze nocive possibile. Ogni munizionamento oggi ha una scheda, nella quale viene detto da cosa è composto, i rischi che comporta e tutto quanto. I comandanti di poligono non fanno sparare se non c’è la scheda. Su questo siamo stati molto tassativi. Cerchiamo di fare il massimo, però alla fine il colpo parte. Non possiamo evitarlo, per quanto abbiamo ridotto tantissimo.
  Quanto all'Iraq in questo momento, da quando abbiamo iniziato l'operazione, ci sono più di 200 uomini dell'Esercito, tra forze speciali e personale ordinario, che fanno addestramento alle forze di sicurezza irachene. Sono all'interno delle basi e svolgono questa attività.Pag. 24
  Quella sulle forze di terra è una domanda molto impegnativa. Io ho sempre detto che dove siamo chiamati noi siamo in grado di assolvere i compiti, col grado di confidenza che mi sento di dare nel momento in cui capisco cosa devo fare in termini di mandato.
  Fermo restando che non prevedo assolutamente un'ipotesi del genere, di cui non si è parlato neanche lontanamente, guardando le forze, mi sembra che non ci si discosti tantissimo da altre situazioni in cui ci siamo trovati.
  Tuttavia – lo ripeto – bisogna capire il mandato e il contesto. Noi non abbiamo neanche lontanamente ipotizzato una cosa del genere, quindi non sono in grado di darle una risposta. Comunque, con i mezzi che abbiamo, che sono di alto profilo, tra elicotteri, mezzi Freccia eccetera, al momento siamo ben equipaggiati. Bisogna valutare come metterli nelle condizioni di attrition militare, attraverso il supporto logistico adeguato, le munizioni, il carburante e i pezzi di ricambio, per sostenerli nel tempo. Mi riferisco alle famose scorte.
  Non è una domanda semplice. Ripeto che è sempre il Comando operativo di vertice che ha la responsabilità, con il Capo di stato maggiore. Sono questi organi che hanno la pianificazione in mano.

  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Errico per le cose che ci ha detto e per la completezza delle risposte che ha voluto fornire ai nostri colleghi.
  Lo ringrazio anche per la documentazione che ci ha illustrato, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico dell'audizione odierna (vedi allegato).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.10.

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