XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale

Resoconto stenografico



Seduta n. 55 di Giovedì 24 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 

Audizione del professor Enzo Moavero Milanesi su federalismo fiscale e vincoli europei (ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione):
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 3 
Milanesi Enzo Moavero , Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma ... 3 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 9 
Guerra Maria Cecilia  ... 9 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 10 
Milanesi Enzo Moavero , Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma ... 10 
Giorgetti Giancarlo , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANCARLO GIORGETTI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Enzo Moavero Milanesi su federalismo fiscale e vincoli europei.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 5, comma 5, del regolamento della Commissione, del professor Enzo Moavero Milanesi, direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma, sul tema federalismo fiscale e vincoli europei, che – come ricorderete – è un tema che abbiamo deciso di approfondire in Ufficio di presidenza.
  Do ora la parola al professor Moavero Milanesi per lo svolgimento della relazione, ringraziandolo per la disponibilità.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma. Grazie, presidente, deputati e senatori. Il tema dei vincoli europei sull'autonomia finanziaria degli enti territoriali è importante, perché i vincoli hanno un'incidenza rilevante, anche se devo dire subito che sono prevalentemente dei vincoli indiretti, in quanto – come credo sappiamo tutti – esiste a livello di sistema dell'Unione europea ancora una forte sovranità nazionale e, di conseguenza, anche delle sue ripartizioni interne sulla materia tributaria.
  I vincoli europei più diretti e indiretti sono, secondo uno schema che – a mio avviso – può semplificare la comprensione, di tre tipologie. La prima, che è quella che forse conoscete di più, discende dai vari vincoli che l'Unione europea impone agli Stati per mantenere conti pubblici sani; la seconda categoria – che è quella probabilmente più incisiva nella vita reale delle misure tributarie prese dagli enti territoriali – rileva delle regole europee sugli aiuti statali alle imprese, laddove «statali» è sempre stato inteso come erogati con risorse pubbliche, quindi ovviamente toccano anche gli enti territoriali; la terza categoria concerne, invece, delle disposizioni del Trattato sull'Unione europea che più direttamente toccano la materia tributaria, quindi disposizioni di carattere legislativo, di apertura a normativa europea e disposizioni di vincolo materiale, soprattutto per evitare ostacoli alla libera circolazione all'interno del mercato.
  Proseguendo in modo molto schematico, per permettere alla maggior parte di voi di sentire la presentazione e lasciando poi anche un testo – in maniera che possa essere utilizzato –, prenderei come primo punto la materia forse più incisiva, come ho detto prima, vale a dire quella relativa agli aiuti di Stato. Gli aiuti di Stato sono disciplinati, in particolare, dall'articolo 107 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, il quale dichiara che tutti gli aiuti di Stato sono incompatibili.
  La filosofia è che la concorrenza sul mercato europeo aperto deve svolgersi tra attori del mercato, in particolare imprese, Pag. 4e non a livello degli Stati, di chi aiuta di più le proprie imprese a essere competitive in modo «drogato» dall'intervento pubblico.
  Tuttavia, il Trattato prevede naturalmente una serie di deroghe, perché l'aiuto di Stato altro non è che quell'incentivo pubblico che può poi stimolare, laddove occorre, la crescita dell'economia e quant'altro. Il Trattato europeo non è scevro da influenze keynesiane, quindi prevede una serie di deroghe. Tali deroghe possono essere, di volta in volta, riconosciute quando l'aiuto porta un vantaggio per determinati settori produttivi, quando permette di risolvere determinate questioni di divario tra regioni, e quant'altro.
  L'idea dell'aiuto statale vietato poggia su quattro elementi fondamentali, che è importante tenere presenti, perché toccano poi da vicino molte delle misure che gli enti territoriali, ai sensi della nostra Costituzione, così come modificata, possono di volta in volta adottare.
  Il primo punto è il vantaggio economico per certe imprese o certi settori a discapito di altri, sia in ambito dello stesso Paese sia in ambito europeo.
  Il secondo punto è la selettività, vale a dire che le imprese sono scelte in base a un criterio del legislatore e non tanto in base a degli elementi di carattere oggettivo.
  Il terzo elemento è un trasferimento di risorse pubbliche, quindi può essere anche un'entità di diritto privato a erogarle, ma, se le risorse sono pubbliche, esiste sempre l'aiuto di Stato e, quindi, il divieto.
  Infine, occorre che ci sia una distorsione alla concorrenza e – cosa che spesso viene dimenticata, ma è importantissima proprio quando si parla di enti territoriali – occorre che la misura di aiuto abbia un effetto sugli scambi fra gli Stati membri. Quindi, se io aiuto un qualche cosa di eminentemente locale, che svolge un'attività in un territorio limitato, senza impatto sugli scambi fra gli Stati, questo non ha un'incidenza per il diritto europeo, ma rileva unicamente per il diritto nazionale.
  Cito un esempio un po’ approssimativo, per rendere l'idea: se io do un aiuto a strutture alberghiere, posso essere nella fattispecie europea, perché magari gli alberghi italiani o di quel posto sono in concorrenza con altri alberghi sia italiani sia di altri Paesi europei; ma se io lo do, per esempio, ai bar o a esercizi molto localizzati, probabilmente a quel punto l'effetto non c’è. Naturalmente, tutto ciò poi deve essere visto in concreto.
  La cosa più importante da tenere presente, parlando di questo tema nella prospettiva degli enti territoriali, sono alcuni princìpi che, in un'epoca abbastanza recente, nel 2006 e nel 2008, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito con due sentenze. La prima sentenza, quella del 2006, è piuttosto conosciuta e riguardava il territorio delle Azzorre, che ha un regime tributario particolare; la seconda sentenza, «Territorio Histórico», riguarda alcune regioni spagnole con situazioni specifiche. Qui la Corte di giustizia ha, in un certo qual modo, cambiato quella che era prima l'interpretazione prevalente e che, forse, noi ci ricordiamo, perché in passato l'Italia aveva svolto anche delle vere e proprie battaglie politiche in sede europea per smontare il teorema originario.
  Nel teorema originario, la misura di aiuto e, soprattutto, la selettività della misura di aiuto esisteva quando la misura non riguardava l'intero territorio nazionale, per cui, per esempio, un Paese come l'Irlanda poteva concedere delle forti agevolazioni fiscali – e simili operazioni venivano fatte dal Lussemburgo o dai Paesi Bassi, dove non a caso molte holding di multinazionali si stabilivano – e se toccava l'intero territorio nazionale non era considerato aiuto, in quanto in un certo qual modo non discriminava e non c'era l'elemento della selettività, mentre se riguardava solo una parte del territorio nazionale (pensiamo al nostro Mezzogiorno) veniva considerato automaticamente aiuto di Stato, quindi doveva eventualmente essere ammesso attraverso procedure di deroga. Nel primo caso, invece, non era considerato aiuto di Stato, ma misura fiscale di carattere generale che ricadeva nella potestà dello Stato stesso.Pag. 5
  Con la giurisprudenza del 2006 e del 2008 la Corte ha mutato indirizzo e chiarito sostanzialmente che, perché si abbia la natura selettiva, occorre che l'ente territoriale non sia dotato di una sufficiente autonomia. In altri termini, se invece l'ente territoriale è dotato di sufficiente autonomia, la selettività non sussiste, quindi è possibile riconoscere anche la non esistenza, per mancanza del requisito della selettività, di un aiuto di Stato.
  Gli elementi per riconoscere l'autonomia sono sostanzialmente tre. L'autonomia deve esistere sul piano istituzionale, procedurale ed economico. Quanto al piano istituzionale, l'autonomia deve essere riconosciuta a livello costituzionale nello Stato in questione, quindi deve avere un proprio statuto politico, amministrativo, indipendente da quello del Governo centrale. Il secondo requisito dell'autonomia procedurale è che la normativa dell'ente territoriale deve poter essere adottata senza che il Governo centrale abbia la possibilità di intervenire direttamente e di condizionare direttamente il suo contenuto; cioè occorre un'assoluta libertà di potestà legislativa, nel caso di specie in materia tributaria. Il terzo elemento importante è l'autonomia economica, vale a dire l'onere che l'ente subisce non deve essere in alcuna maniera compensato o compensabile da interventi del Governo centrale.
  Se ricorrono tali tre requisiti, l'ente territoriale è considerato autonomo e i suoi provvedimenti più facilmente possono non essere considerati aiuto di Stato. Si tratta di un elemento molto importante, perché evita una procedura di notifica alla Commissione europea, un successivo esame e la necessità di identificare una fattispecie derogatoria per ammetterlo, cosa che spesso non accade.
  La questione è quindi verificare se in Italia, visto che è di questo che stiamo parlando, esiste o meno una piena soddisfazione dei tre requisiti dell'autonomia.
  In merito, le interpretazioni sono divise, perché l'elemento di un certo coordinamento e di una certa definizione di politica economica nazionale, che comunque persiste nel nostro sistema costituzionale, sembrerebbe affievolire, se non addirittura ledere, l'esistenza di tale autonomia.
  Inoltre, anche gli strumenti di perequazione finiscono in Italia con l'essere gestiti a livello centrale e non tanto a livello di ente territoriale, sia esso regione o altro ente territoriale.
  Tenendo presenti questi tre requisiti, si dovrebbe, qualora si volesse procedere in una direzione più marcata di federalismo, intervenire anche sul nostro sistema, sia eventualmente a livello costituzionale, perché non tutti sono dell'avviso che si debba intervenire a livello di Costituzione, sia a livello di leggi ordinarie che regolano il sistema.
  La Commissione è estremamente attenta alle forme di aiuto tributario e fiscale decise a livello di regione; qui è incluso tutto, è incluso l'incentivo, è inclusa una riduzione, è inclusa la creazione di zone particolari, sono inclusi i finanziamenti con delle garanzie pubbliche, quindi c’è tutta la gamma usuale degli aiuti che può essere presa in considerazione.
  L'ultimo elemento che vorrei aggiungere, sotto il profilo della disciplina europea degli aiuti di Stato e degli aspetti che possono riguardare gli enti territoriali, concerne una questione diventata molto famosa qualche mese fa, quando fu sollevata addirittura come obiezione al momento dell'insediamento della nuova Commissione presieduta dall’ex Primo ministro lussemburghese Juncker, cioè la possibilità di realizzare i cosiddetti «regolamenti fiscali», ossia la possibilità per Stati, o regioni di uno Stato, di mettersi d'accordo in maniera preventiva con aziende e con imprese per stabilire una base imponibile di riferimento, o addirittura dei forfait di carattere tributario.
  Tutte queste pratiche che sono via via emerse alla luce del sole sono considerate prevalentemente, sulla base degli interventi finora effettuati dalla Commissione, come non più possibili. Questa era una strada che, in alcuni casi, era stata utilizzata anche da parte di enti territoriali per effettuare gli interventi.Pag. 6
  Per quanto riguarda la categoria un po’ più nota dei vincoli europei, ossia quelli legati al bilancio, sappiamo che, da una parte l'esistenza dell'Unione economica monetaria già di per sé impone una serie di vincoli che sono nel Trattato europeo: debito pubblico, soglia del 3 per cento per il deficit annuale e quant'altro. Tali vincoli sono stati via via esplicitati e corroborati da normative derivate o da accordi specifici.
  Quasi all'inizio, è stato siglato il cosiddetto «Patto di stabilità e di crescita», il quale poi ha dimostrato una sua capacità di funzionare a velocità un po’ variabile, e la tempesta scatenata dalla crisi economica ha cambiato notevolmente la situazione. Qui sono stati adottati a cascata tutti i provvedimenti che abbiamo imparato a conoscere anche con le loro sigle inglesi.
  Mi riferisco al Patto Euro Plus, o al cosiddetto «Six Pack», che prevede l'obiettivo dell'equilibrio di bilancio, la riduzione del debito pubblico di un ventesimo l'anno e la maggioranza invertita al Consiglio per respingere una proposta della Commissione la quale, se non c’è una maggioranza contraria, passa, rafforzando notevolmente i poteri di controllo. Mi riferisco anche al Fiscal Compact, che ha rimesso insieme tutta la materia, aggiungendo anche l'obbligo per gli Stati di prevedere a livello di Costituzione un obiettivo di equilibrio di bilancio, cosa che abbiamo fatto con la modifica dell'articolo 81 della Costituzione. Infine, cito il cosiddetto «Two Pack», che sostanzialmente prevede quel ciclo, che incomincerà tra poche settimane, di invio a Bruxelles del primo schema di bilancio, poi un parere e un'approvazione, quindi l'invio della normativa e le raccomandazioni successive, eccetera. Quindi, vi è un controllo preventivo estremamente rafforzato.
  Qual è la conseguenza di tutto questo apparato stringente, che ha sostanzialmente «europeizzato» – avremmo detto col vecchio linguaggio «comunitarizzato» – la sovranità di bilancio degli Stati, che oggi risulta indubbiamente limitata ? Il risultato è che, in forza di una serie di disposizioni che poi possono esistere o meno all'interno delle Costituzioni degli Stati, ciò si ripercuote anche sugli enti territoriali, quindi da noi rilevano le norme che conosciamo, in particolare dell'articolo 119 della Costituzione e quant'altro, che prevedono che il vincolo europeo e la conformità agli indirizzi dell'Unione europea debbano essere anche garantiti dagli enti territoriali.
  Tutto ciò diventa di per sé un forte vincolo, che poi si può tradurre in un Patto di stabilità interno, più o meno stringente come quello che abbiamo per esempio noi, ma indubbiamente, comunque, pone a carico dell'ente territoriale una responsabilità di adempimento che, di base, graverebbe essenzialmente sullo Stato. Ciò ha un'incidenza indiretta, inevitabilmente, anche sulle questioni di cui abbiamo detto prima degli aiuti di Stato, perché, se a un certo punto c’è una garanzia di Stato o comunque un implicito impegno dello Stato a intervenire a copertura di un'esposizione eccessiva di enti territoriali, dovuta anche a un esercizio di un tipo invece che di un altro della propria potestà tributaria, evidentemente a quel punto i due vincoli si incontrano.
  Vorrei sottolinearvi un altro punto di incontro dei due vincoli, vale a dire quello della disciplina di bilancio europea e quello degli aiuti di Stato. Se riflettiamo sul combinato delle due disposizioni, anche solo sulla base di quello che vi ho appena detto, ci rendiamo conto che, se uno Stato ha i conti in ordine, evidentemente passa «tranquillo» tutti i vari esami di disciplina di bilancio, che siano retti dal Fiscal Compact, dal «Six Pack», dal «Two Pack», insomma non ha problemi di superare tutti i vari passaggi e, per giunta, mantiene una piena autonomia e una piena capacità di spesa.
  Ebbene, questo Stato, automaticamente, si trova anche in grado – in quanto svincolato dalla disciplina centrale di bilancio perché i suoi conti sono in ordine – di poter spendere e di farlo senza che gli si chieda, ad esempio, dov’è la copertura per ridurre le tasse, e tutte le cose che fanno parte della nostra Pag. 7quotidianità. Che sia Stato o che sia ente territoriale è la stessa cosa. Se una città vuole ridurre l'IMU ed evidentemente non ci rientra con i conti, ha un problema con l'Amministrazione centrale, la quale a sua volta l'avrebbe con Bruxelles; se i conti sono in ordine dappertutto il problema non si pone.
  Qui interviene un punto su cui non sempre riflettiamo e cui non sempre pensiamo. Posto che gli Stati che hanno i conti in ordine possono liberamente spendere, perché svincolati dalla disciplina di bilancio, l'unico vincolo alla loro capacità di spesa resta la disciplina degli aiuti statali, perché, conti in ordine o conti in disordine, il divieto di aiuti statali, salvo deroga esplicitamente riconosciuta dalla Commissione, rimane.
  Allora, laddove nel nostro Paese l'orientamento prevalente, direi quasi la mentalità prevalente, porta a ritenere gli interventi della Commissione europea sugli aiuti di Stato come un'ennesima interferenza, vuoi vessazione da parte dell'onnipotente e onnipresente Bruxelles e via dicendo, in realtà forse dovremmo incominciare a riflettere – visto lo stato migliorato, ma comunque non brillante dei nostri conti pubblici e visto che altri Paesi che sono nostri diretti concorrenti come sistema Paese hanno i conti più in ordine – che un intervenzionismo, una severità della Commissione sugli aiuti di Stato può essere l'unico argine alla possibilità che hanno altri Paesi – come per esempio la Germania, per non fare discorsi troppo lontani, che ha un'industria manifatturiera comparabile alla nostra – di dare un aiuto alle proprie imprese, mentre noi non possiamo, perché siamo bloccati dalla disciplina di bilancio.
  Allora l'intervenzionismo della Commissione potrebbe costituire quell'argine di seconda battuta, che comunque evita spese eccessive e non giustificate da parte di Stati o di enti territoriali di altri Stati che hanno i conti più in ordine. Ciò eviterebbe che si allarghi la forbice tra le nostre aziende – rispetto alle quali noi non riusciamo a intervenire a sufficienza – e le aziende di altri Paesi con noi sostanzialmente in concorrenza, che invece tale possibilità ce l'hanno.
  Forse dovremmo riorientare radicalmente la nostra idea che quando la Commissione interviene su un aiuto di Stato, sostanzialmente, sta interferendo con la nostra potestà di fare politica industriale, e pensare invece che è un intervento che, svolto equamente nei confronti di tutti i Paesi (ed è lì che bisogna semmai essere vigilanti e di stimolo) diventa una garanzia.
  L'ultimo elemento della situazione dei vincoli europei e della potestà tributaria, come ho già detto, riguarda delle norme del Trattato che più direttamente si occupano della materia tributaria, che non è così presente nel sistema dei trattati europei, anzi, in origine nel Trattato di Roma era considerata con grandissima prudenza.
  La prima norma, che ha avuto senz'altro un'importanza storica maggiore di quella che ha oggi, ma che comunque è bene ricordare – ed è oggi l'articolo 110 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea – dice che non è possibile prevedere tributi locali o centrali in un Paese più gravosi su attività d'impresa, merci importate o quant'altro, in provenienza da altri Stati. Si tratta di una classica norma al servizio della libera circolazione delle merci, che così come vieta i dazi doganali vieta anche le cosiddette «imposizioni di carattere discriminatorio su prodotti simili».
  Tale norma è stata importantissima negli anni Sessanta e Settanta: è importante quando arrivano nuovi Stati membri, ha un'importanza residuale nel funzionamento normale del Trattato.
  Poi ci sono altre due disposizioni. La prima è l'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che riguarda la possibilità per l'Unione europea di adottare disposizioni legislative (di solito sono direttive) per l'armonizzazione delle imposte indirette. Tale norma esiste sostanzialmente dall'origine dei trattati europei.Pag. 8
  La seconda disposizione è l'articolo 115 del medesimo Trattato, che invece rappresenta un'evoluzione della norma originaria e prevede la possibilità per l'Unione europea di adottare disposizioni per ravvicinare – quindi è meno netta l'armonizzazione – le normative nazionali sulle imposte dirette.
  Entrambe le disposizioni prevedono che il Consiglio decida all'unanimità. Questa è una delle competenze che ancora sono devolute all'Unione europea, ma che richiedono l'unanimità degli Stati. Naturalmente, si tratta di una unanimità spesso molto difficile da raggiungere e ciò spiega il motivo per cui, a livello di Unione europea, la componente tributaria, fiscale in senso italiano, è una delle grandi questioni incompiute.
  Noi abbiamo sostanzialmente un'armonizzazione degli schemi relativi alle principali imposte indirette, l'IVA in particolare e le accise, siamo vincolati allo schema, ma, alla fine della fiera, la parte fondamentale per il contribuente e per lo Stato che riceve, ossia l'aliquota, resta libera, per cui abbiamo una differenza anche notevole di aliquote sui medesimi beni nei diversi Paesi, che spesso si traduce anche in diverse politiche commerciali che vengono effettuate dalle aziende nel momento in cui mettono in vendita lo stesso bene in Paesi diversi. Ciò rappresenta, a volte, un elemento di complicazione, talvolta anche di distorsione.
  Qui vale il principio della cosiddetta «concorrenza fiscale», quella che gli inglesi chiamano «tax competition», ossia l'idea che, in linea quantomeno teorica, la differenza delle aliquote dovrebbe poi tendere ad andare verso quella più bassa, per evitare che i cittadini acquistino merci nei Paesi dove l'IVA è inferiore. Ciò non è così evidente, e naturalmente dipende dalle merci e da dove si risiede: se si risiede a Como, magari si va a fare la spesa fuori Italia (non in Svizzera, che è fuori dall'Unione europea) o se si è in Friuli-Venezia Giulia magari si va anche in Austria o in Slovenia, ammesso che convenga; se si risiede in altri punti del Paese questo non esiste.
  A livello di commercio più ampio ciò può avere un certo senso. Oggi, si sta sviluppando il commercio elettronico e questo potrebbe avere delle conseguenze. In realtà, noi vediamo che l'IVA è uno strumento che, spesso, viene richiesto anche dalla stessa Unione europea come elemento di salvaguardia di certe coperture. È il nostro caso con la questione dell'eventuale aumento dell'IVA se non riusciamo a rispettare gli impegni di bilancio presi con l'Unione europea.
  Sappiamo tutti che una quota dell'IVA va anche al bilancio dell'Unione europea, e questo è il motivo per cui, sovente, la Corte di giustizia si è pronunciata, spesso anche nei confronti del nostro Paese, in materia di IVA, ritenendola un'imposta sottratta alla piena potestà dello Stato. Per esempio, condoni o quant'altro sono stati cassati in alcune circostanze dalla Corte di giustizia per questo motivo. Tuttavia, al di là dell'armonizzazione per l'IVA e per le accise non si è andati: le aliquote restano diverse.
  Si sono realizzati anche meno progressi per le imposte dirette, e lì vale molto l'elemento di concorrenza fiscale anche per lo stabilimento delle sedi, da cui gli interventi della Commissione – come ho detto prima – sui regolamenti fiscali, che servono a evitare che le imprese stabiliscano la loro sede centrale e l'imputazione dei loro profitti – magari fatti in realtà in diversi territori – laddove la tassazione è più favorevole.
  Siamo di fronte a una materia – su questo svolgerei la considerazione finale – che è poco armonizzata a livello europeo e in cui rimane un'ampia potestà di decidere per gli Stati e per gli enti territoriali. All'interno della struttura degli Stati gli enti territoriali hanno l'autonomia fiscale e tributaria che la Costituzione base dello Stato prevede che abbiano, quindi tutta questa parte rileva sostanzialmente della struttura interna che lo Stato si dà.
  La coda finale è rappresentata da quel vincolo indiretto, ma potente, della disciplina sugli aiuti di Stato, di cui vi ho illustrato prima gli elementi essenziali. Poiché la Corte di giustizia nella sua Pag. 9giurisprudenza più recente ha indicato con chiarezza gli elementi che devono definire l'autonomia tributaria, rimane molto nelle mani del legislatore nazionale valutare se, e in che misura, garantire tale autonomia, che darebbe agli enti locali una potestà più diretta, cosa che non li sottrarrebbe al rispetto della disciplina sugli aiuti, ma potrebbe evitare che alcune delle misure, semplicemente per la presenza di un carattere di selettività, siano automaticamente considerate aiuti di Stato, il che può dare maggiori spazi di operatività. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Moavero Milanesi. Vorrei affrontare una prima questione sull'ultimo punto che ha trattato. Tradotto brutalmente, se c’è più federalismo fiscale, cioè più autonomia, con la soddisfazione dei tre requisiti che sono stati richiamati, misure talvolta evocate (non so quanto a proposito) – ad esempio la fiscalità differenziata per il Sud o per alcune regioni del Sud – diventerebbero più praticabili rispetto a una Costituzione, magari come quella che si sta discutendo in questi giorni, che invece questi margini di autonomia li riduce drasticamente. Una Costituzione che riporta al centro tutti i poteri di controllo sulla finanza territoriale, di fatto, preclude o rende molto più difficoltoso qualsiasi tipo di ragionamento su un tema del genere.
  Passo alla seconda questione. Spesso nel dibattito politico, ma anche mediatico di questi tempi, si è sentito questo discorso: la Commissione europea riconosce una maggiore elasticità di bilancio anche per quanto riguarda eventuali sforamenti rispetto ai vincoli, ma ha un trattamento diverso rispetto al fatto che le riduzioni fiscali vengano operate sulle imposte dirette, ad esempio sul lavoro, piuttosto che sulle imposte indirette, specificamente sul patrimonio o altro. In sostanza, non è indifferente per la Commissione ridurre le tasse, ad esempio sul patrimonio immobiliare o sull'IRAP, e da ciò discende un diverso atteggiamento rispetto all'elasticità nell'interpretazione dei vincoli.
  Le questioni che ho sollevato non mi sembra che siano scritte in qualche atto normativo di tipo primario o secondario, bensì nella forma di raccomandazioni. Anche questo aspetto, che secondo me è una materia un po’ grigia, andrebbe chiarito.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA CECILIA GUERRA. Torno sul primo punto sollevato dal presidente. Ricordo che il dibattito relativo alla questione degli aiuti di Stato si pose appunto, per l'IRAP, rispetto alla possibilità di utilizzarla in modo differenziato territorialmente ed evitando di incorrere nelle regole sugli aiuti di Stato. Inoltre, se ricordo bene, in relazione alle due sentenze citate e in particolare alla prima, quella sulle Azzorre, si arrivò alla determinazione che, essendo soddisfatti i requisiti istituzionali, procedurali ed economici, la possibilità d'intervento poteva riguardare soltanto le regioni. In sostanza, le regioni, avendo su tale tributo una piena potestà, potevano – e possono, perché il nostro ordinamento adesso lo prevede, purché non ci sia compensazione – arrivare anche ad azzerare la propria IRAP, senza che ciò costituisca violazione della concorrenza e quindi aiuto di Stato.
  Attualmente, il tema è tornato sui giornali e, per ora, non sappiamo ancora le intenzioni del Governo. Mi chiedo, quindi – se il quadro, come ci ha detto, è rimasto immutato – che spazi ci sono di utilizzare questo particolare tributo. Soprattutto, vorrei un suo aggiornamento rispetto ai tipi d'intervento per il Sud, che erano rimasti comunque in vigore, in quanto legati ai temi della cosiddetta «Convergenza», cioè interventi, anche nazionali, quindi non rispondenti al criterio «Azzorre», ma determinati dalla volontà di procedere a un riavvicinamento, perché si riconosce una difficoltà economica specifica in alcuni territori (non ricordo bene il numero dell'Obiettivo, se sia 1, 2, o altro).
  In sostanza, le chiedo se ancora tale spazio esiste e, in caso contrario, se si può Pag. 10comunque operare nell'ambito della regola cosiddetta de minimis, che comunque è stata anche sensibilmente alzata.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Moavero Milanesi per la replica.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma. Vorrei affrontare un primo punto per collegare un po’ le due domande.
  La risposta alla domanda è fondamentalmente «sì», e mi accingo ad articolare quelli che, secondo me, possono essere i paletti alla risposta positiva. Alla questione se sarebbero più praticabili – quindi potrebbero essere adottate in maniera più semplice – misure di carattere tributario agevolativo da parte di enti territoriali, se fosse più sostanzialmente garantita e blindata l'autonomia, la risposta è «sì», perché l'interpretazione giurisprudenziale precedente portava a identificare automaticamente la presenza di un requisito importante per gli aiuti di Stato, come la selettività, per il solo fatto che la misura non riguardava l'intero territorio nazionale, per cui io potevo decidere a livello italiano di azzerare l'IRPEF o l'IRAP o altra imposta, ed ero libero di farlo, magari attirando chissà quali investimenti, ma non potevo farlo per una sola parte del Paese.
  Oggi, questo tipo di impostazione viene a cadere. Si può avere una situazione di assenza di aiuto di Stato se l'ente territoriale che adotta la misura ha un'autonomia in base ai requisiti identificati dalla Corte di giustizia. Tuttavia, tale possibilità non elimina il rischio che, poi, all'esame concreto della misura si possa comunque identificare che la stessa, adottata senza ricadere nella tagliola immediata della selettività dall'ente territoriale, presenta però i caratteri dell'aiuto di Stato.
  Ritengo che «rende più praticabile» sia una buona espressione, ma non offre automaticamente una sorta di salvacondotto per cui, a quel punto, si fa quello che si vuole. Direi che, tra l'altro, lo stesso articolo 119 della Costituzione finisce col creare indirettamente un vincolo.
  Tuttavia, giurisprudenza della Corte alla mano, andrebbe costruita una normativa base in maniera tale da garantire, vuoi alle sole regioni o ai soli comuni, vuoi a entrambi, la possibilità di fruire della piena autonomia. Certo, quando parliamo in Italia, il pensiero immediato va alle regioni del Sud, che – teniamolo presente – fruiscono da sempre di un riconoscimento della possibilità che siano erogati aiuti di Stato, in base a una deroga che viene di volta in volta concessa dalla Commissione. La Commissione tra l'altro pubblica, ogni due o tre anni, uno schema che inquadra gli aiuti a carattere regionale, dove sono stabilite le varie condizioni in base alle quali regioni svantaggiate, come vengono ancora considerate le nostre regioni del Sud, possono fruire di aiuti.
  Se parliamo di Italia meridionale, anche nella vigenza tradizionale delle disposizioni sugli aiuti di Stato applicati al Paese, ci sono state sempre ampie deroghe, che tra l'altro sono le figlie di un dimenticato protocollo che era stato allegato al Trattato di Roma del 1957. A me piace ricordarlo, perché rende un po’ l'idea di come, nel 1957, probabilmente il Governo italiano fosse molto attento in merito. Lì c'era un'esenzione dall'applicazione delle norme europee sugli aiuti di Stato – veramente «a carta bianca» – per l'Italia meridionale, per dieci anni. In quel caso, era veramente una sorta di salvacondotto. Poi, finiti i dieci anni, nel 1967, è finito anche questo tipo di esenzione. Tuttavia, il fatto che si fosse negoziato un protocollo – poi l'Italia non l'ha mai più fatto, mentre sappiamo che altri Paesi ne hanno negoziati di tutti i tipi – è un elemento estremamente interessante, quando si inquadra storicamente il nostro essere in Europa.
  Quando parliamo di Sud, quindi di possibilità di fruire di deroghe, se ci fosse una maggiore autonomia costituzionalmente riconosciuta, potrebbero esserci anche maggiori margini di manovra, e ciò riguarda ogni tipo di imposta. Se, però, parliamo di aiuti di Stato, come è stato ricordato, è anche importante tenere presenti Pag. 11altre situazioni di apertura che la normativa europea dà. Tutto ciò è molto importante, a volte, per i comuni oppure per i provvedimenti che si applicano a singole imprese in maniera non rilevante, e per la norma cosiddetta «de minimis» per gli aiuti di minore entità.
  Devo darvi però un altro punto di allerta. Nel 2010, quando stava deflagrando in maniera devastante l'impatto della crisi economica anche sull'economia reale, la Commissione europea ha emanato una sorta di linee guida che alzavano la soglia dei cosiddetti aiuti «de minimis», raddoppiandola sostanzialmente per un periodo di un anno. Dopo un anno, siamo arrivati quindi al 2011, la Commissione distribuì un rapporto in cui dava il quadro di dove erano stati erogati gli aiuti de minimis. Si tratta di un rapporto impressionante e vi pregherei di ricollegarlo a quanto ho detto alla fine della presentazione: oltre l'80 per cento – a memoria direi l'84-85 per cento – del totale degli aiuti de minimis a soglia raddoppiata, erogati nell'ambito dell'Unione europea, sono stati erogati dalla Germania.
  Il quadro descritto vi dà l'idea dell'estrema importanza, dal punto di vista dell'impatto diretto dell'incentivo sull'impresa, della possibilità di uno Stato di spendere. Parlare di 84 per cento o di un valore superiore all'80 per cento vuol dire che tutti gli altri Paesi messi insieme si sono divisi un «magro» 16-18 per cento o quel che fosse; quindi sono misure applicabili, ma bisogna fare attenzione, perché questa fu proprio la prova del nove di quel rischio.
  Naturalmente, tutto ciò può essere applicato all'IRAP, che è un'imposta che tocca l'impresa e potrebbe essere modulata, ma a condizione di ridurre l'impatto d'applicazione della normativa europea con una piena autonomia dell'ente territoriale – discorso di poco fa – o di modularla a seconda della regione in cui si sta applicando, alla luce delle linee guida della Commissione europea sugli aiuti regionali. Si tratta di un aspetto molto importante, perché è su tutte le imposte che si può intervenire, non solo su determinate imposte. Ciò che conta è l'impatto globale della misura di aiuto. Quindi, se un'impresa attraverso una piccola riduzione e un piccolo incentivo supera la soglia, può scattare comunque un'incompatibilità europea; se invece questo non avviene, poco importa su cosa si sta intervenendo.
  Per quanto riguarda l'aspetto della flessibilità, cominciamo col dire che la Commissione l'ha spiegata illustrandola all'inizio del 2014 con una comunicazione specifica, ma, in realtà, chi ha seguito la vicenda e se ne occupava sa che i margini di flessibilità già spiegati sono sempre esistiti e alcuni sono stati anche frutto di un faticosissimo negoziato. Per esempio, ricordo l'ottobre 2011, quando fu negoziato il cosiddetto «Six Pack», in riferimento ai fattori di circostanze eccezionali e agli altri fattori rilevanti. Ricordo nel Fiscal Compact una serie di altre guarentigie o la clausola sugli investimenti, che fu una nostra invenzione poi finalmente accolta anche a livello europeo.
  Tutti questi elementi sono esistiti e, naturalmente, di volta in volta finiscono col toccare le differenti manovre dei Paesi. Quando i conti sono in equilibrio precario, scatta una perplessità maggiore o si guarda con una lente più ampia la politica di un Governo nei confronti di eventuali ritocchi alle imposte, pur essendo presente a livello europeo che, nei limiti del possibile, bisogna fare investimenti pubblici e anche agevolarli con risorse pubbliche.
  Si tratta di un equilibrio che esiste ed è vincolato da norme di legge, rispetto alle quali la Commissione europea, organismo che le applica, potrebbe essere chiamata a rispondere di fronte alla Corte di giustizia, quindi non ha una discrezionalità politica a tutto tondo, ma di esame, direi tecnico-politica, sottoponibile eventualmente a un giudizio della Corte di giustizia, qualora ci fossero dei ricorsi.
  La Commissione europea ha dato delle linee guida, delle raccomandazioni, e in particolare lo fa quando dà il suo giudizio sui quadri di bilancio, sulle varie leggi di stabilità e al momento delle raccomandazioni specifiche per Paese che vengono Pag. 12adottate, ogni anno, nel mese di giugno. In tal caso, la Commissione europea ha sviluppato una tesi, direi non priva di logica, quindi anche abbastanza ovvia, che è quella di dire che, siccome uno dei grandi problemi in Europa – in particolare dopo la crisi o comunque uno dei problemi sociali a prescindere dalla crisi – importantissimi da affrontare è quello dell'occupazione, i Paesi dovrebbero evitare di gravare di eccessive tasse il settore del lavoro, in maniera tale da poter agevolare le assunzioni e l'occupazione. Di conseguenza, la Commissione ritiene che sia meglio tassare altri cespiti. Il cursore si sposta così verso due direzioni in modo particolare. La prima direzione, ricordata dal presidente, è quella delle tasse sul patrimonio, in particolare sulla proprietà immobiliare. La seconda è quella delle imposte indirette, delle imposte sui consumi. Il tutto dovrebbe essere calibrato in una ricetta equilibrata, e qui la potestà risiede primariamente negli Stati, che poi sono sottoposti a un controllo europeo vuoi della Commissione vuoi degli altri Stati.
  Non dimentichiamo che in merito si pronuncia la Commissione ma anche l'Eurogruppo, che è la riunione dei ministri economici dei vari Paesi. Quindi, esiste un'autonomia decisionale di ciascuno Stato – e di conseguenza di ciascuno Stato sentiti anche i suoi enti locali – rispetto a cosa fare sul piano tributario sia delle imposte dirette o indirette, sia di quelle che incidono sul lavoro o sull'impresa sia di quelle che incidono sulla ricchezza e sul patrimonio immobiliare. Ma tale autonomia ha ancora una volta, come vincolo orizzontale a livello europeo, la quadratura dei conti. Se però i conti quadrano, la potestà evidentemente rimane libera.
  A tal proposito, ancora una volta noi vediamo che i Paesi che hanno i conti in ordine – e che non hanno magari il peso di un debito pubblico particolarmente elevato e la necessità di ridurlo – finiscono con l'avere margini di manovra più ampi. Tuttavia, non c’è nessuna norma di carattere legislativo che vincoli uno Stato ad agire su una o sull'altra imposta. Il vincolo può derivare indirettamente da impegni presi dallo Stato. È chiaro che se uno Stato, a garanzia di coperture che a livello europeo vengano giudicate non certe, si impegna per esempio a un aumento automatico dell'IVA a una certa data, quell'impegno diventa vincolante non in virtù di una normativa, ma sostanzialmente di un impegno dello Stato che assume carattere giuridicamente vincolante nei confronti dell'Unione europea. Ma, in assenza di questo, sono raccomandazioni quelle che la Commissione fa e che ciascun Paese deve valutare nella propria autonomia.

  PRESIDENTE. Ringrazio, anche a nome di tutti i colleghi della Commissione, il professor Moavero Milanesi per questo contributo molto chiaro e lineare.
  Credo che sarà poi a disposizione il contributo scritto per riflessioni successive.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.55.