XVIII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 113 di Mercoledì 23 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Mirabelli Franco  ... 10 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 12 
Ricchiuti Lucrezia  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 13 
Bossa Luisa (PD)  ... 13 
Mineo Corradino  ... 14 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 15 
Mirabelli Franco  ... 15 
Vecchio Andrea (SCpI)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Piccolo Salvatore (PD)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 19 
Bindi Rosy , Presidente ... 19 
Leone Giancarlo , direttore di Rai 1 ... 19 
Bindi Rosy , Presidente ... 19

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.30.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai 1, Giancarlo Leone, che ringrazio per la sua presenza.
  L'audizione odierna è dedicata a un approfondimento sui criteri e le motivazioni alla base della scelta della Rai di ospitare alcuni esponenti del clan Casamonica nella puntata della trasmissione Porta a Porta andata in onda lo scorso 8 settembre 2015 e sulla compatibilità di tale scelta editoriale con i princìpi che dovrebbero caratterizzare il servizio pubblico radiotelevisivo.
  Ricordo, al riguardo, che la Commissione ha dedicato, e continuerà a dedicare, un'attenzione particolare sia alla vicenda Mafia Capitale, sia al rapporto tra il mondo dell'informazione e le mafie. Molti e vari profili di tale tema sono stati recentemente affrontati nella relazione predisposta dal vicepresidente Fava e approvata dalla Commissione nella seduta dello scorso 5 agosto 2015. È anche la prima che la Commissione antimafia abbia dedicato a questo tema tanto delicato, quanto attuale, come dimostra, una volta di più, la vicenda di cui ci occupiamo oggi.
  A tale proposito, è per noi tanto più doveroso rilevare che la seduta di oggi, 23 settembre 2015, si svolge proprio nel giorno del trentesimo anniversario dell'assassinio di Giancarlo Siani, il giovane e coraggioso cronista de Il Mattino a cui un contratto da abusivo – cioè da precario – con il quotidiano napoletano, non troppo diverso da quello di tanti giovani e coraggiosi colleghi di oggi, di cui pure abbiamo scritto nella nostra relazione, non impedì di raccontare da solo, grazie anzitutto alle sue qualità morali, prima ancora che professionali, i fatti criminali che osservava con verità e onestà e che, invece, molti negavano e facevano finta di non vedere, come succede, del resto, anche oggi.
  Forse occorrevano lo sguardo intelligente e sincero di un giovane di ventisei anni, più o meno gli stessi che aveva Roberto Saviano quando pubblicò Gomorra nel 2006, per leggere la realtà di un comune difficile come Torre Annunziata, dove era stanziata ieri, come lo è tuttora purtroppo, una criminalità pesante e radicata come in tanti altri comuni del Meridione d'Italia, e per uscire dalla narrazione di comodo, dal racconto addomesticato, spesso propinato sapientemente da Pag. 4interessi commerciali o politici, da chi non è interessato o ha paura di dire la verità, che invece è dovuta ai cittadini per la crescita dei valori etici e civili della nostra comunità.
  Quella verità, infatti, ha sempre generato reazioni veementi e sanguinarie, come quella che ha ucciso Giancarlo Siani, o comunque feroci, come sanno soprattutto quei giovani giornalisti a cui, in fondo, è dedicata la nostra recente relazione, della quale voglio citare le conclusioni: «Il dato positivo, che non era scontato dall'inizio di questa indagine, è la determinazione con cui una nuova generazione di giornalisti ritiene che la funzione etica del loro mestiere non possa essere svilita da condizioni di lavoro a volte umilianti e che ha scelto di non piegare la schiena, pur sapendo che quella scelta li espone ai morsi del pericolo e della precarietà. Sono giornalisti poco conosciuti, schivi, generosi, determinati. Raramente li incontreremo nelle ribalte mediatiche, ma leggeremo o ascolteremo spesso i loro racconti sul sistema del potere mafioso, sui suoi innominabili amici, sui loro oscuri mallevadori. Degli 11 giornalisti uccisi da mafia e terrorismo in Italia questa silenziosa e tenace comunità di giovani cronisti è l'eredità più autentica e certamente la più preziosa».
  Vogliamo dedicare queste parole a Siani, perché proprio oggi ci vogliamo confrontare su un fatto che ci ha mosso e sul quale vogliamo riflettere, perché quel lascito di correttezza e buona fede che vogliamo sia costitutivo del senso critico, civile ed etico della collettività nazionale, per citare le clausole del contratto di servizio della RAI, «senso critico, civile ed etico della collettività nazionale».
  Noi sappiamo che il dottor Leone è stato ascoltato il 5 settembre scorso sul medesimo tema in Commissione di vigilanza RAI per i profili che attengono al vigente contratto di servizio e al codice etico della RAI. Io ho, tuttavia, condiviso con i colleghi dell'Ufficio di Presidenza, su proposta del presidente del gruppo PD, senatore Mirabelli, l'idea che anche la Commissione antimafia fosse la sede nella quale ascoltare intanto lei, direttore. Poi eventualmente ci riserveremo di ascoltare anche il presidente e il nuovo direttore della RAI.
  Audiremo anche l'Ordine dei giornalisti, proprio perché intendiamo, con quest'audizione – non sarebbe nostro compito, naturalmente; questo è compito della Commissione di vigilanza RAI – continuare la nostra riflessione su Mafia Capitale e anche sul rapporto tra informazione e mafie.
  Non si può ignorare che l'inchiesta Mondo di mezzo abbia rivelato l'esistenza di una mafia originale e originaria che ha pesantemente infiltrato la politica e l'amministrazione della capitale. Tuttavia, continuano a circolare interpretazioni riduttive, con le quali si cerca di negare il carattere mafioso dell'organizzazione di Buzzi e Carminati, derubricando le strategie criminali del sodalizio all'ennesimo episodio di corruzione politica ed economica che nulla avrebbe a che fare con il reato di associazione mafiosa.
  La tematica odierna, quindi, è quella del modo di fare una corretta informazione sui fenomeni mafiosi. Compito della Commissione è, infatti, anche quello di individuare e analizzare tutti gli elementi che, in modo più o meno consapevole, contribuiscono a minimizzare o, peggio ancora, a negare l'esistenza delle mafie.
  Come lei sa bene, direttore, e come sanno i colleghi della Commissione, questo è venuto da un filone autorevole dell'informazione, soprattutto sul caso Roma. Io credo che noi non possiamo accettare che a questo filone negazionista si possa iscrivere il servizio pubblico della Rai. Qui non sono in dubbio il diritto-dovere di cronaca, la necessità di riportare e di dare il giusto risalto a un fatto vero, che ha, per di più, prodotto un'ampia eco sui quotidiani di tutto il mondo, ma le modalità e il metodo con cui uno dei programmi di punta della principale rete del servizio pubblico presenta e dà spazio a esponenti di una consorteria criminale, come quella dei Casamonica, di notevolissimo spessore a Roma, pochi giorni dopo che in Consiglio dei ministri si discuteva della possibilità, Pag. 5poi evitata, di sciogliere il comune per mafia e si varavano comunque misure specifiche per il governo della città e il contrasto alle infiltrazioni mafiose.
  Secondo noi, non esiste par condicio tra legalità e illegalità. Non può esserci contraddittorio, se non nelle aule di giustizia, con le garanzie processuali, tra Istituzioni e delinquenza, di qualsiasi caratura essa sia. Chi fa servizio pubblico deve avere sempre presente che le due cose non sono sullo stesso piano. Non possono e non devono esserlo. Far sedere esponenti criminali, piccoli o grandi, nella stessa sedia e con lo stesso risalto di ministri o magistrati antimafia rischia di farli percepire come posti tutti sullo stesso piano e l'alta audience ricevuta dalla trasmissione contribuisce ad amplificare il rischio di disorientamento.
  Tanto meno può essere considerata adeguata rispetto alla finalità del servizio pubblico la concessione a esponenti del clan di uno spazio televisivo che è stato lasciato libero all'autorappresentazione o anche alla semplice narrazione che indugia su aspetti folcloristici o macchiettistici, minimizzando o, peggio ancora, negandone l'esistenza e la valenza come associazione criminale di tipo mafioso.
  Questa è la cosa più pericolosa, tanto più quando si parla di una criminalità che non è di piccolo cabotaggio, come l'enfasi posta su quegli aspetti più o meno folkloristici potrebbe far pensare, ma è una vera mafia, per quanto locale, proprio perché a bassa intensità di violenza fisica. È un clan che non uccide, ma che sa agitare, non solo metaforicamente, il bastone del comando, che prolifera, che si radica occupando territori fisici e spazi economici, su cui esercita una signoria ben riconoscibile da chi ne subisce le minacce e riconosciuta da chi fa affari con essa.
  È grave che proprio il servizio pubblico offra lo spazio a questo riconoscimento senza prenderne le distanze, come faceva Biagi quando intervistava Buscetta, faccia a faccia, senza coreografie di scena, dopo che egli aveva confessato i suoi crimini e iniziato a collaborare con la giustizia e a fornire, nel contempo, chiavi di lettura adeguate alla realtà criminale del fenomeno.
  La portata della vicenda del funerale è evidente per chi vuole e sa cogliere i messaggi di mafia in senso tecnico, che anche a Roma non mancano, come ci ha spiegato proprio qui il procuratore Pignatone. L'esibizione di fasto e l'apoteosi celebrativa di forza economica, di relazioni sociali e di rapporti personali, al di là del fenomeno di costume, hanno significati specifici. Non a caso, a Napoli come a Palermo, a Catania o a Reggio Calabria, i funerali di persone appartenenti ai clan sono concessi solo la mattina alle 7 nella cappella del cimitero.
  A poco meno di un mese di distanza dal funerale Rai 1 ha offerto un palcoscenico prestigioso a chi cercava una nuova legittimazione. Non a caso, i Casamonica hanno ringraziato la Rai e Bruno Vespa.
  Del resto, qualche dubbio sul rischio di mistificazione della realtà deve essere venuto, se, subito dopo le numerose contestazioni, si è sentito il bisogno di invitare in trasmissione, il giorno dopo, il dottor Sabella, già magistrato antimafia e ora assessore alla legalità del comune di Roma. Nessun dubbio, invece, ha avuto l'Ordine dei giornalisti del Lazio, che ha definito la puntata «un errore grave, che non assolve il diritto di cronaca», e ha deferito Bruno Vespa al Consiglio territoriale di disciplina.
  Una puntata riparatrice, anche se lei in Commissione di vigilanza RAI ha negato che fosse tale, non può essere ritenuta appagante, perché, pur dando comunque l'idea di dover riparare a una scelta editoriale sbagliata, propone un'idea distorta di par condicio, che pone sullo stesso piano l'illegalità e chi la combatte.
  Di tutto questo, dottor Leone – mi scuso forse per la lunghezza della mia introduzione, ma quest'audizione è insolita, come le dicevo – vorremmo parlare con lei, per riflettere insieme sul modo migliore con cui il servizio pubblico può svolgere un'azione culturale contro le mafie e per la crescita sociale del Paese, un Pag. 6impegno innegabile, che esiste e che abbiamo già apprezzato e condiviso con soddisfazione in altre occasioni.
  Ricordo, tanto per fare un esempio tra i tanti, la presentazione l'anno scorso, qui alla Camera, alla presenza del Presidente del Senato e della presidente della Rai, della fiction su don Peppe Diana, il giorno prima che andasse in onda, in occasione del ventesimo anniversario del suo assassinio.
  Abbiamo appreso con piacere anche che presto andrà in onda la fiction sulla cattura di Iovine vista dalla parte dell'impegno delle forze dell'ordine nella cattura del capo camorrista. Parlando adesso con il direttore, mi annuncia per dicembre un importante film prodotto per la Rai su Lea Garofalo.
  Più volte nel nostro lavoro in Commissione antimafia abbiamo ascoltato le parole – da ultimo, a Napoli – di nostri uomini e donne in prima linea, di magistrati e investigatori, che spiegano come la sola azione repressiva, pur penetrante ed efficace, non basta, se non è accompagnata da una crescita sociale ed educativa e da una piena consapevolezza delle implicazioni culturali ed economiche del fenomeno. Se le Istituzioni pubbliche e lo Stato, in tutte le sue espressioni, non fanno la loro parte, o la fanno solo debolmente, si rischia, per paradosso, che l'ordine e la sicurezza pubblica in alcuni territori diminuiscano al crescere della prevenzione e del contrasto.
  Direttore, questo è il senso della nostra audizione di oggi. L'ascoltiamo con molta attenzione, consapevoli e certi che ne seguirà una collaborazione feconda per il futuro.
  Do la parola al direttore Leone.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Grazie, presidente. Grazie, onorevoli deputati e senatori, per questa occasione, che io ritengo un'occasione di accrescimento per chi, come me, lavora da oltre trent'anni in Rai e non ha mai avuto l'occasione di confrontarsi con questa autorevole Commissione. Ripeterò alcune cose che ho già detto nell'altra Commissione. È inevitabile che lo faccia, perché devo anche spiegare che cosa ha mosso la Rai a fare questo programma, ma ne dirò – mi auguro – anche delle nuove.
  Intanto devo ricordare che l'articolo 2 del contratto di servizio vigente specifica molto bene nel dettaglio che cosa debba fare il servizio pubblico a livello informativo. In particolare, si ribadisce la necessità di trattare tematiche di attualità interna, di fenomeni sociali ed economici, di condizioni della vita quotidiana del Paese. Il tema svolto da Porta a Porta nella puntata di martedì 8 settembre rientrava tra le fattispecie informative sopra descritte. Il programma, giunto al suo ventesimo anno di trasmissione, si è occupato, nella puntata di cui stiamo parlando, del fatto di cronaca più rilevante dell'intera estate, che purtroppo ha fatto il giro del mondo e che rappresenta, per la sua pacchianeria, un fenomeno sociale negativo di totale rilievo, sul quale probabilmente non si è fatta ancora abbastanza luce.
  Si tratta di un fenomeno di tale rilievo, che ha rappresentato anche un luogo di acceso dibattito politico sulle responsabilità attuali e passate dell'amministrazione capitolina, ma non solo, e del concetto stesso di impunità e di mancanza di una visione di insieme anche dal punto di vista giuridico e legale di alcuni fenomeni malavitosi. Mi riferisco, in particolare, alla parcellizzazione delle responsabilità dei diversi componenti della famiglia Casamonica così come sono oggi, mai riunite in un'unica voce.
  Porta a Porta ha ritenuto, alla sua ripresa autunnale, che quel vulnus, che ha macchiato sicuramente l'immagine della capitale, non andasse rimosso – la rimozione talvolta fa male – ma andasse, al contrario, raccontato nella sua integrità, a partire dal necessario approfondimento sulle motivazioni che hanno spinto la famiglia del cosiddetto clan a inscenare quello spettacolo osceno.
  Di questa intenzione, ovvero di dedicare la puntata al caso nelle modalità realizzate, io ero ovviamente stato informato, come deve essere un direttore di Pag. 7rete. Dal 20 agosto scorso, data del funerale di Vittorio Casamonica, il caso è montato ininterrottamente su tutti i media, anche con riflessi internazionali. Era, pertanto, scontato che una trasmissione informativa come la nostra dovesse occuparsene.
  Per questo motivo Vera Casamonica, figlia di Vittorio, e il nipote Vittorino sono stati invitati, dopo una lunga ricerca, anche perché entrambi incensurati senza alcun avviso di procedimento penale. Bruno Vespa, con gli autori del programma, ha valutato che solo una presenza in studio di esponenti della famiglia Casamonica potesse garantire la piena percezione dell'impatto criminoso che questo clan aveva avuto e ha sulla città di Roma. Questo costituiva anche un modo per presentare in televisione esponenti di una famiglia per quello che realmente sono e rappresentano, ma che il pubblico non conosce, se non per un caso che molti considerano erratamente di folklore. Il folklore non voleva essere rappresentato. Un collegamento fuori studio, opzione presa in esame vista la delicatezza del caso, non avrebbe permesso di approfondire tutti gli aspetti della vicenda, né di avere un vero contraddittorio.
  Nello studio è stata garantita la presenza di due prestigiosi giornalisti particolarmente esperti su questi casi, come Virman Cusenza, direttore de Il Messaggero, e Fiorenza Sarzanini, certamente una delle più autorevoli giornaliste giudiziarie in Italia. Con il conduttore essi hanno incalzato i due ospiti, mettendo a fuoco tutte le pendenze giudiziarie che il clan Casamonica ha maturato in questi decenni.
  In particolare, Vespa ha fatto presente che sono attualmente inquisiti 117 membri della famiglia per reati che vanno dallo spaccio di droga all'estorsione e dall'usura al furto e che 82 sono attualmente sotto sorveglianza della polizia. Naturalmente, sono tutte posizioni al vaglio dell'autorità giudiziaria, ma tutto il casellario giudiziario di Casamonica – un caso di usura, uno di estorsione, uno di truffa ed emissioni abituali di assegni a vuoto – è stato illustrato dettagliatamente in trasmissione.
  In un serrato confronto con la figlia Bruno Vespa ha ricordato che Vittorio ha cominciato a 13 anni a praticare con i motorini e che, se a 17 aveva una Ferrari, doveva essersela guadagnata in modo illecito, per di più diventando ricco senza pagare le imposte.
  Il punto centrale del programma era, tuttavia, un altro. Vespa ha contestato ai due ospiti che la solennità del funerale, pur abituale tra zingari, la musica del Padrino, i manifesti inneggianti al «re di Roma» e scritte come «Hai conquistato Roma» erano espliciti segnali di potere lanciati al mondo criminale romano. Del funerale non si era accorto nessuno, infatti. Sono stati i familiari stessi di Casamonica a lanciarlo mediaticamente proprio per confermare questo loro potere. Gli stessi Casamonica in studio e il loro avvocato hanno ammesso che decine di membri della famiglia hanno pesantissimi conti aperti con la giustizia.
  Non c’è stata alcuna concessione al folklore, dunque, bensì la solita linea d'informazione che caratterizza da vent'anni Porta a Porta. Noi la riteniamo rigorosa, puntuale sugli appuntamenti di cronaca e in grado di fornire agli spettatori una lettura completa e corretta degli avvenimenti con testimoni giuridicamente scomodi presenti in studio.
  Ricordo che, nei vent'anni di attività di Porta a Porta, nel suo studio si sono seduti molti personaggi che hanno avuto e hanno conti aperti con la giustizia. Ovviamente, non c’è alcun filone negazionista, per carità. Per questo nella puntata del programma sono stati trattati tutti gli argomenti più spinosi con trasparenza e completezza, senza fare sconti.
  Tra l'altro, compito della trasmissione era mostrare il vero volto delle tribù Rom, che pochi conoscono. Quando si parla riduttivamente di famiglia, come nel caso dei Casamonica, si sbaglia. Qui si parla di centinaia di persone legate da complessi legami e distribuite su territori talvolta più vasti di quelli soltanto nazionali, di tribù all'interno delle quali vivono talvolta nell'ignoranza Pag. 8regole e riti collettivi per noi difficili da capire e da giustificare e giuridicamente improbabili.
  Su questo tema ha scritto un interessante articolo Dijana Pavlovic su Il Fatto Quotidiano, collegandosi proprio al ritratto che ne era stato fatto su Rai 1. Tutto ciò non esclude, ovviamente, la presenza di attività legali per ora legate a queste responsabilità, che sono state in ogni momento del programma debitamente citate.
  Per quanto riguarda i contatti con i Casamonica, sono avvenuti attraverso il loro legale – lo dico perché ho letto in più di un'occasione alcune domande in proposito – e la loro presenza in studio non ha comportato alcun onere per l'azienda. Vera e Vittorio Casamonica hanno presenziato a titolo gratuito e si sono presentati all'appuntamento con propri mezzi, senza, dunque, alcun costo per la Rai. Anticipo alcune domande che sono state fatte, ragion per cui mi sembra corretto fornire anche questa informazione.
  I servizi trasmessi durante la puntata hanno fatto da corollario al programma con spunti importanti. In un ampio servizio, frutto di contatti diretti con i magistrati inquirenti, tra i quali Michele Prestipino, capo della DDA di Roma, era intervistato il capo dalla squadra mobile di Roma, che ha riassunto tutti i reati e il peso criminale del clan, in grado di controllare alcuni quartieri della capitale.
  Altri servizi trasmessi nel corso della puntata si sono occupati, oltre che dell'inchiesta giudiziaria, di cui abbiamo parlato in precedenza, anche della manifestazione per la legalità svoltasi nella piazza del funerale qualche giorno prima alla presenza del sindaco, della concessione di alloggi popolari in tempi passati a numerose famiglie del clan e, infine, della documentazione sulla provenienza del carro funebre e del suo costo presso la società noleggiatrice.
  A caldo io dichiarai che «Porta a Porta ha trattato un argomento controverso con trasparenza e completezza di informazione, senza fare sconti di genere». Allo stesso tempo, però, dissi che le reazioni diffuse dai cittadini ci avevano fatto riflettere su quanto fosse cruciale il ruolo del servizio pubblico nel trattare tematiche delicate come questa. Pertanto, ho annunciato la puntata del giorno dopo, non riparatrice, ma sicuramente necessaria, di approfondimento, dedicata a un'intervista sul controverso tema all'assessore capitolino per la legalità Sabella, il quale ha potuto, con molta professionalità e puntualità, svolgere tutte le tesi contrarie ad alcuni contenuti della trasmissione. Si parlava non dei Casamonica, ma del fatto che fossero venuti in trasmissione. Questo era il tema.
  Cosa vuol dire tutto questo ? Vuol dire che noi non abbiamo ignorato le critiche che ci sono state rivolte, né le ignoreremo, e che ci siamo posti il problema di tornare sul tema, chiarendone i contorni e trasmettendo il parere schietto e motivato dell'autorità capitolina che ha subìto il danno di quel funerale. D'altronde, sarebbe un errore giudicare un programma soltanto per i contenuti di una puntata, quando è il suo percorso nel corso della stagione televisiva a caratterizzarne l'andamento.
  Dicevo che Sabella, l'ex magistrato, oggi assessore alla legalità, non ha mancato di presentare e argomentare in modo anche energico le critiche al programma, inquadrando il tema nel contesto della visibilità negativa della comunicazione criminale. Dunque, noi abbiamo ritenuto corretto e doveroso dedicare al tema un'ulteriore puntata di Porta a Porta, proprio per rivolgerci a coloro che non avevano apprezzato lo spirito informativo cui si era ispirata la trasmissione. Nessuno è perfetto. Non ci siamo chiusi in una difesa a oltranza, ma abbiamo responsabilmente aperto a un supplemento informativo.
  Non ci siamo fermati qui, però. I programmi quotidiani hanno, come dicevo, un percorso informativo continuo e, dunque, pochi giorni dopo, abbiamo dedicato una puntata alla relazione del presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone sulle amministrazioni capitoline tra il 2011 e il 2014, con Alemanno prima e Marino poi. Abbiamo così intervistato in un faccia a faccia proprio Cantone, Pag. 9che ha raccontato come fossero stati assegnati appalti senza gara nonostante non ce ne fossero i presupposti. Anche in questo caso abbiamo garantito il contraddittorio, ascoltando nella stessa puntata di Porta a Porta l'ex sindaco Alemanno e l'attuale assessore Stefano Esposito.
  Comunque, per quanto riguarda la puntata oggetto di quest'audizione, vorrei ribadire che ogni esperienza, soprattutto se legata a un'intensa e diffusa reazione di malessere, non può essere né da me, né da noi liquidata con la certezza di chi ritiene di aver operato bene. Non possiamo, dunque, ignorare quella parte della collettività e delle Istituzioni che ci ha criticato. Abbiamo voluto comprenderne le ragioni al netto delle logiche politiche che anche, in questo caso, non sono state del tutto estranee al dibattito.
  Probabilmente c’è chi pensa che i protagonisti di una trama, in questo caso il racconto dei Casamonica, per il solo fatto di essere in quel momento protagonisti e di trovarsi al centro della trama, abbiano acquisito un livello di legittimazione. Nessuna persona di buonsenso può dar credito alla versione dei Casamonica per come è stata trattata la loro storia, né la loro condizione morale può essere ingigantita dal fatto di sedersi sulle poltrone bianche del programma. Eppure qualcuno ha pensato che siano stati messi là su un piedistallo e che il solo fatto di ascoltare le loro improbabili spiegazioni li abbia messi in condizioni di privilegio. Al contrario, questo ha reso evidente a tutti ciò che pochi sapevano.
  È questo che ci deve interessare, ossia come evitare che la necessaria esposizione dei fatti da parte di protagonisti di fatti rilevanti, ancorché negativi ed esecrabili, diventi altro. La nostra preoccupazione, tanto più dopo questa vicenda, è quella di capire cosa fare per evitare che alla televisione vengano attribuite responsabilità che sono, invece, del racconto che si è appena fatto. È il rischio che si cela sempre nel linguaggio televisivo, che cerca il racconto con tutti i protagonisti, anche quelli negativi.
  Dico questo per far capire che ci è chiaro questo rischio, ma che esso non deve impoverire il racconto, né far venire meno voci determinanti per la sua comprensione e per la completezza della sua esposizione. Al contempo, dovremo lavorare, perché è necessario cercare sempre il meglio, affinché il luogo televisivo non venga confuso come la tribuna che restituisca dignità a tutti. Io credo che la risposta non stia nel diminuire le voci, ma nel renderle sempre più chiaramente distinte e nello spiegare al nostro pubblico che i codici televisivi possono talvolta indurre in errore, ma che è meglio correre questo rischio che impoverire la ricostruzione.
  Io ritengo che il programma abbia seguito questi codici, ma ritengo anche che il dubbio debba essere la nostra unica certezza. Dunque, vi garantisco che questa riflessione non si fermerà qui, ma sarà motivo per noi di elaborazione, di analisi e di continua crescita anche grazie al contributo di questa Commissione e di questo dibattito intorno alla trasmissione.
  Vorrei ricordare, però, che l'impegno della Rai e di Rai 1 per affrontare tematiche importanti come quelle della criminalità della mafia rappresentandole dal giusto punto di vista non è mai venuto meno. Proprio in questi giorni partirà una nostra nuova serie televisiva, dal titolo Questo è il mio paese. Racconta di una giovane donna, divenuta sindaco di un paese del Sud, che decide di recidere i legami amministrativi di connivenza con la criminalità organizzata, pagandone inizialmente il prezzo in termini di isolamento, ma riuscendo alla fine a imporre questo comportamento virtuoso a una comunità uscita dal suo torpore.
  Rai 1 sarà anche la rete che a dicembre trasmetterà un'importante opera del grande regista Marco Tullio Giordana, autore de I cento passi, film che mi onoro di aver voluto e prodotto quando ero a capo di Rai Cinema. Trasmetteremo la storia di Lea Garofalo, l'ex moglie del boss Carlo Cosco, che, dopo essere diventata testimone di giustizia, fu uccisa dalla ’ndrangheta nei dintorni di Monza sei anni fa. Pag. 10Ricostruiremo la vicenda drammatica, mettendo in luce come la collaborazione con la giustizia e l'impegno contro la criminalità siano un dovere civile e morale. Grazie all'impegno della figlia, tutti gli esecutori e i mandanti dell'omicidio furono, infatti, assicurati alla giustizia.
  Infine, mi piace ricordare in questo luogo la nostra prossima iniziativa, che nasce proprio da una recente relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno delle mafie – mi riferisco a Mafia, giornalisti e mondo dell'informazione – in cui si è acclarato che negli ultimi otto anni in Italia i giornalisti che hanno subìto minacce e intimidazioni sono oltre 2 mila.
  Ebbene, nei primi dieci mesi del 2014 sono stati registrati ben 421 atti di violenza contro i giornalisti. Di questo noi ci occuperemo con Rai 1 in un programma di seconda serata dal titolo Cose Nostre, cinque puntate in cui, proprio partendo dal lavoro fatto da questa Commissione, il programma d'inchiesta racconterà la vita e le scelte di cinque di questi giornalisti, sicuramente non tra i più famosi, che, attraverso un linguaggio documentaristico, privilegiando il racconto diretto, senza conduzione, ci racconteranno quali sono i tanti modi per impegnarsi. Sono storie che, nella loro crudezza, ma anche disarmante semplicità, testimoniano le contraddizioni di un Paese in cui ci sono persone che non si piegano e che pagano un prezzo spesso troppo alto.
  Saranno i protagonisti a raccontare in prima persona la loro vita, ripercorrendo i fatti che li hanno portati a ricevere le minacce e a vivere sotto scorta, anche se spesso è perfino difficile risalire all'articolo o alla denuncia che ha dato fastidio, perché basta l'atteggiamento di chi non ha paura di essere punito.
  In conclusione, vi informo anche che a novembre trasmetteremo, come ricordava la vostra presidente, due puntate di Sotto Copertura, un film in due puntate da noi prodotto dedicato alla cattura di Iovine grazie allo straordinario lavoro delle forze dell'ordine.
  Rai 1 non diminuirà, quindi, il proprio impegno in questa direzione e vi assicuro che farà tesoro delle indicazioni che emergeranno da quest'autorevole Commissione. Noi riteniamo di avere ragione e vogliamo, da questo punto di vista, essere pronti e aprirci a tutte le vostre osservazioni.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, direttore. Sono già iscritti a parlare numerosi colleghi. Solitamente noi consentiamo a tutti di intervenire, chiedendo la pazienza di segnare eventuali domande e osservazioni per una replica finale.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO MIRABELLI. Grazie, presidente. Grazie, direttore. Ovviamente, nessuno ha voluto mettere in discussione la legittimità delle scelte che ha fatto Rai 1 e delle scelte che si sono fatte con quella trasmissione di Porta a Porta. Non credo che ci sia una questione di questo tipo, di legittimità.
  Io credo – devo dirle, direttore che non mi ha convinto – che ci sia un problema, invece, rispetto alla lettura di quel programma e alla scelta della modalità con cui sviluppare quel racconto, di cui ho un giudizio diverso da quello che lei ha espresso. Io non credo che sia stato un momento utile al Paese. Non credo che sia stato un momento utile a chi pensa che la questione della legalità vada affrontata in maniera ancora più insistente in questo Paese.
  Purtroppo, io credo che il racconto a cui faceva riferimento lei sia stato così un racconto utile ai Casamonica e che la trama sia, in apparenza, una trama di cui i Casamonica hanno beneficiato. Se noi pensiamo che la lettura che tutti hanno dato del funerale è stata quella di una scelta dei Casamonica di esibire una forza di radicamento territoriale, sicuramente il fatto che venti giorni dopo due membri di quella famiglia si siano trovati seduti nel salotto buono della televisione italiana in studio da soli con il loro avvocato e alcuni Pag. 11giornalisti non ha smentito questo racconto.
  Tutto è andato esattamente nella stessa direzione, quella di dire che quella famiglia è una famiglia potente, una famiglia che, tra l'altro – l'inchiesta che abbiamo fatto ce l'ha segnalato più volte – come altre famiglie sinti che operano sul litorale romano, utilizza l'informazione ampiamente per inviare messaggi. Sono stati molto attivi sia sulle minacce, sia sulla costruzione di siti o di altri strumenti informativi.
  Io credo che ci sia stata una sottovalutazione del fatto che con quella trasmissione si rischiava appunto di rafforzare la trama che i Casamonica avevano cominciato a scrivere con quel funerale. Io credo che questo sia il primo punto.
  È evidente che il fatto che questo sia avvenuto in una trasmissione importante del servizio pubblico ci preoccupa di più. Poiché, però, lei ha giustamente detto, come ha fatto anche la presidente, che non siamo nella Commissione di vigilanza RAI, ma in Antimafia, io credo che sia bene chiedere al mondo dell'informazione di fare una riflessione su questo tema: ogni tanto c’è anche l'eventualità di essere usati dalla criminalità organizzata. Sono molti i modi in cui c’è la possibilità di essere usati.
  In secondo luogo, io penso che quello che è emerso sia stato un racconto che, per il modo in cui si è svolto... Le faccio un esempio. Noi l'abbiamo detto subito, quando abbiamo chiesto l'audizione. Il tema è che abbiamo contribuito a scrivere una cosa per cui i Casamonica e le famiglie sinti sono una sorta di fenomeno folcloristico, di paesaggio ormai acquisito delle periferie romane e di alcune parti del litorale, trascurando il fatto che stiamo parlando di organizzazioni che usano i metodi mafiosi. È acclarato che usino i metodi mafiosi e intimidatori ed è evidente che stiano cercando di radicalizzarsi. Il rischio è quello di comunicare una sorta di normalità, un po’ folcloristica, ma con un'accettazione. Se ci fosse stato quello che lei ha detto, cioè il racconto di una famiglia criminale, secondo me non ci sarebbero state le polemiche che ci sono state, ma non si è trattato di questo.
  Ieri sera io ho visto Porta a Porta. C’è stata una discussione molto animata tra dietisti e vegani. Ho assistito a uno scatenamento del conduttore, che, giustamente indignandosi, ha non dico insultato, ma molto redarguito una parte che ha cominciato a sostenere che dare il latte o la fettina ai bambini significava procurare loro un tumore. Poiché questo era un messaggio sbagliato, il conduttore si è molto indignato. Quell'indignazione io non l'ho vista in quella trasmissione. Forse è questo il punto. È mancata l'indignazione, che non so se potesse esserci con i protagonisti in studio.
  Poiché abbiamo chiesto noi l'audizione, io voglio dirle che l'audizione serve – credo che dovremmo farla anche con il presidente dell'Ordine dei giornalisti – perché dobbiamo aprire una riflessione. Io credo che sia utile che questa Commissione – non dobbiamo condannare o assolvere – apra una riflessione su come si fa informazione su un fenomeno che è profondamente cambiato.
  I Casamonica non sono la mafia siciliana, né la camorra come la conosciamo. Alcune mafie, come la ’ndrangheta, non sono più quelle che conoscevamo. Il punto è come si trattano queste vicende, sapendo che su queste vicende molte di queste organizzazioni criminali hanno anche un interesse a figurare nel mondo dell'informazione e a condizionarlo.
  Questo è un problema per tutti, non solo per il servizio pubblico e io penso che su questo ci sia una riflessione da aprire. Accolgo, quindi, positivamente non solo le iniziative, ma anche la disponibilità del direttore all'apertura di una riflessione su questo tema. Cogliamo questa vicenda, che secondo me non è una bella vicenda, per fare una riflessione; lo chiediamo ai corpi intermedi e al mondo dell'informazione – che si ragioni di più su come e che ruolo si può svolgere per contrastare la criminalità organizzata che in questo Paese è molto cambiata e vive anche sull'accettazione Pag. 12da parte dell'opinione pubblica. Su questo l'informazione ha un ruolo importante.

  FRANCESCO D'UVA. Grazie, direttore. Quando viene fatta un'azione di questo tipo, ci si chiede se ci sia stata negligenza. Qualcuno lo può anche chiedere. Non si offenda, se lo dico. Si può anche pensare, in un certo senso, anche quasi alla malafede. Io, ovviamente, non ci voglio credere.
  A un certo punto, quindi, ci si chiede se sia possibile che la Rai, che è composta da professionisti che conoscono l'informazione e sanno come funziona il mondo dell'informazione, abbia forse subìto delle pressioni per fare cose del genere. È possibile che la famiglia Casamonica abbia agito anche per far vedere quanto è potente e che riesce ad arrivare fino alla Rai e che, quindi, abbia fatto pressioni con delle minacce o non so con che altro mezzo ?
  Questa è una domanda che può sembrare stupida, ma in realtà non lo è. Noi sappiamo – lei lo sa meglio di me perché è il suo lavoro; noi l'abbiamo vissuto e lo viviamo sulla nostra pelle – che c’è una finestra giornalistica comunicativa ben chiara. Non si può parlare di tutto. Nell'arco della giornata ci sarà sempre una notizia che riuscirà a sovrastare altre notizie.
  Questa dei Casamonica ha sovrastato altre notizie perché adesso, quando si pensa a Roma, si pensa al funerale dei Casamonica. Quasi non si parla più di Mafia Capitale. Non si parla più del fatto che qualcuno ritiene che il comune dovesse essere sciolto e, invece, non è stato sciolto. Invece, quando si pensa a Roma adesso, si pensa a questo funerale e ai Casamonica che riescono ad andare sulla Rai. Tutto quello che è successo a livello politico è scomparso. Addirittura alcune forze politiche che hanno a che fare con la vicenda Mafia Capitale hanno fatto manifestazioni di sdegno verso i Casamonica.
  Io non credo che la Rai sia fatta di persone impreparate. Io credo che la Rai sapesse perfettamente che questa vicenda dei Casamonica poteva portare solo a questo e che, quindi, si sarebbe arrivati alla copertura di altre notizie. Questa vicenda dei Casamonica ha fatto comodo a molte persone, anche e soprattutto in politica.
  Grazie.

  LUCREZIA RICCHIUTI. Sul caso Vespa sono veramente esterrefatta da quello che ho sentito. Ricordo a me stessa e a tutti che la Rai trova legittimazione e ragion d'essere perché è la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo a tutela del pluralismo dell'informazione e del diritto dei cittadini a essere informati. I giornalisti Rai sono, quindi, tenuti alla massima correttezza e alla verifica delle loro fonti informative. L'iniziativa di Vespa di invitare nel salotto pagato da tutti gli italiani la figlia e il nipote di Vittorio Casamonica è, quindi, una gravissima violazione dei doveri deontologici e dimostra superficialità e sciatteria.
  Ad aggravare la situazione ci sono la consapevolezza e la conoscenza di Vespa di quello che rappresenta quella famiglia a Roma. Vespa ha leso la reputazione della Rai e ha inferto un duro colpo ai tanti magistrati, esponenti delle forze dell'ordine, associazioni e privati cittadini che si battono contro le prepotenze mafiose in tutta Italia, i quali non hanno mai il privilegio di essere ospitati a Porta a Porta.
  Vespa ha anche irriso e umiliato molti dei suoi colleghi giornalisti, quelli meno fortunati di lui, che non percepiscono il suo stipendio milionario, ma, quando va bene, prendono tre euro a pezzo, rischiando ogni giorno la vita perché scrivono delle nefandezze della criminalità organizzata e di gente come il clan dei Casamonica. Loro rischiano la vita e lui si permette di ospitare familiari del clan dei Casamonica, che sono la struttura criminale più potente e radicata nel Lazio.
  Il clan, secondo il capo della squadra mobile di Roma, è composto da un migliaio di affiliati. Le attività del clan sono l'usura, il traffico di stupefacenti, l'influenza su elezioni comunali e regionali nel Lazio, la gestione di eventi nel litorale Pag. 13capitolino. Si hanno notizie di collaborazioni del clan Casamonica con l'ex cassiere della banda della Magliana Enrico Nicoletti, il quale vende ai clan i debitori insolventi al fine di riscuoterne i crediti.
  Il 25 marzo 2010 viene scoperto un sodalizio tra Pietro D'Ardes, Rocco Casamonica e affiliati della ’ndrangheta dei Piromalli e degli Alvaro per il riciclaggio di proventi illeciti e costituzioni di società – quindici sequestrate – per la partecipazione ad appalti pubblici. Vespa ha dato spazio e risonanza mediatica a coloro che rappresentano una famiglia che ha sfidato e sfida le Istituzioni. È una vergogna inaccettabile.
  Noi abbiamo di recente approvato – l'ha ricordato la presidente Bindi – qui in Commissione, la relazione del collega Fava sulle intimidazioni ai giornalisti. Prego la presidente Bindi di trasmetterla a Bruno Vespa quanto prima.
  Per tutti questi motivi invito caldamente il dottor Leone a farci sapere l'esito del procedimento disciplinare contro Vespa.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, senatrice. La nostra relazione è negli atti parlamentari ed è accessibile a tutti. Non c’è bisogno di inviarla. Spero che venga letta.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Io volevo ringraziare la presidente e l'Ufficio di Presidenza per aver organizzato quest'audizione. Devo dire che, all'indomani della notizia, io e altri colleghi calabresi abbiamo fatto un comunicato, perché avevamo ancora nella testa la battaglia culturale, non giudiziaria, che è stata fatta anche dalla Chiesa, da Papa Francesco, con la sua venuta in Calabria, rispetto a quella che ormai era una prassi consolidata nella nostra regione, ossia l'inchino della Madonna nelle processioni davanti alla casa del boss.
  Non c’è alcuna rilevanza penale in questo atto, naturalmente, ma per noi calabresi, siciliani e campani più degli altri – ormai questo dovrebbe essere chiaro anche nel Lazio e nelle altre regioni d'Italia – la battaglia antimafia è innanzitutto una battaglia culturale.
  Io mi sarei aspettata, direttore, che in questa sua introduzione lei dicesse con chiarezza: «Abbiamo sbagliato. Abbiamo sbagliato valutazione». Questa cosa non si doveva fare, perché è stata in contraddizione con questa battaglia culturale.
  Io sono una garantista, ma non mi si venga a dire se il morto era o non era indagato, o se era incensurato. La famiglia Casamonica è una famiglia mafiosa, l'ha detto lei stesso e ha citato dei dati. Far partecipare a una trasmissione in quei termini gli esponenti di una famiglia mafiosa, incensurati o meno, dopo un funerale che aveva provocato quel tipo di reazione, è stato un evento che va nella direzione opposta alla battaglia culturale che tutti noi stiamo provando a fare, soprattutto nelle regioni con un più alto tasso mafioso.
  Poiché non stiamo parlando di televisione, ma di servizio pubblico, ricordo che il servizio pubblico non può esserci solo quando, giustamente, ripropone l'idea del maestro Manzi, perché il maestro Manzi non è solo l'alfabetizzazione tout-court. È anche un'alfabetizzazione sull'antimafia, perché noi possiamo sconfiggere le mafie, soprattutto nelle nostre regioni, quelle più a rischio, con questo tipo di iniziativa, che va nella direzione opposta a quella che è stata seguita con il programma Porta a Porta.
  Aggiungo un'ultima cosa. Come mai in tutte le questioni che sono state poste il giornalista che era andato a chiedere informazioni sull'elicottero che si era mosso da Napoli, che è stato intimidito e – sembra – malmenato, non è stato tenuto in considerazione nella trasmissione ?
  Grazie.

  LUISA BOSSA. Dottor Leone, la mia impressione sull'intervento che lei qui ha svolto è stata la seguente: mi è sembrato che lei oscillasse tra espressioni di giustificazione – lei ha detto che in oltre vent'anni su quel salotto si sono seduti tante persone e personaggi svariati, come se volesse dire: «Perché vi meravigliate Pag. 14tanto ?» – ed espressioni di professionalità della rete. Lei ha citato più di una volta – ne ho contate almeno cinque – il fatto che la trasmissione è di tipo informativo, anche qui come per dire che Vespa ha fatto bene il suo mestiere. Io ho trovato questa oscillazione.
  Poi ha chiuso il suo intervento presentando la programmazione della rete, mi pare di aver capito, con scelte e iniziative di Rai 1 che sono, per così dire, nel solco dell'antimafia, nel solco dell'anti-illegalità, quasi a porre rimedio a quanto è successo. Io ho avuto questa impressione.
  Invece, dottor Leone, io mi sarei aspettata che lei dicesse qui, con molta franchezza, che è accaduto un episodio sciagurato che sarebbe stato meglio non fosse accaduto. Lei sa bene, perché è davvero uno studioso, un esperto e conosce bene la TV, che la TV, tra i principali strumenti di formazione – lo ricordo a me – è quello che ci insegna a costruire la nostra vita. Le assicuro che noi napoletani lo sappiamo bene. Noi, come Commissione antimafia, nei giorni scorsi siamo stati a visitare il quartiere della Sanità e sappiamo bene come costruiscono la loro vita moltissimi ragazzi. Lo sa anche lei, che nasce da genitori napoletani. Io le assicuro che questi ragazzi non hanno bisogno di vedere quei modelli, anzi.
  Anch'io, come la senatrice Ricchiuti, vorrei capire cosa intende fare dopo quanto è successo. Grazie.

  CORRADINO MINEO. Io credo che, almeno non da parte mia, non sia in questione il diritto di fare qualunque intervista. Anche un tagliagole dello Stato islamico è intervistabile. Il problema, però, è quale intervista e in quale contesto.
  Io non sono un fan della Fallaci, ma ricordo al direttore, che ha buona memoria e buona cultura, che la Fallaci, quando andò a intervistare Khomeini, curò persino alcuni dettagli del suo abbigliamento, come il ciuffo fuori dal velo, perché segnassero visivamente una sua irriducibilità al personaggio, osannato da moltissima gente e criticato da altra, che stava intervistando.
  Invece, nella trasmissione in questione è successa un'altra cosa. È successo che due esponenti di questa famiglia sono stati accolti nel salotto della Rai nello stesso tempo e nello stesso modo con cui vengono accolti uomini politici e di governo nei confronti dei quali, per una scelta editoriale, che io non voglio discutere, la Rai si presenta come un partner, un amico, un collaboratore. Io ho dei dubbi anche su questo e lei lo sa, direttore. Io penso che l'intervista al potere dovrebbe avere più distacco di quella che normalmente è l'intervista all'interno dello studio, proprio strutturalmente, come struttura nella trasmissione di Porta a Porta.
  Queste persone sono state presentate in quel modo. Lei sa meglio di me, quindi, che il messaggio che è passato è una banalizzazione dei loro crimini, di cui certo si è parlato, e una presentazione di queste due persone come parte di una specie di Olimpo che è l'Olimpo che frequenta Porta a Porta. Questo è un errore.
  Io posso capire che probabilmente lei non ha un'altra trasmissione in cui fare in un altro modo questo tipo di interviste. Capisco benissimo che la Rai è in un sistema di concorrenza e che, ovviamente, l'intervista ai Casamonica fa molto ascolto e che ascolto significa inserzioni pubblicitarie. Tuttavia, credo che l'errore non possa essere non ammesso.
  Le faccio un esempio, perché tutto si può fare. Io ho già dei dubbi che un'azienda di servizio pubblico possa avere solo quel salotto, ma assumiamo che non ci fosse altro modo che fare in quella trasmissione la doppia intervista. Lei sa meglio di me che sarebbe bastato che il direttore Vespa fosse andato a casa dei Casamonica, con i loro mobili, e in quella realtà avesse fatto un'intervista bella, anche con la seconda domanda, come si dice in gergo, mentre in studio c'erano persone di vario genere e di vario orientamento che commentavano e criticavano.
  In questo caso la comunicazione con il pubblico sarebbe stata quella dello studio, mentre l'intervista con i Casamonica sarebbe stata mediata dall'intervista e dal giornalista, che può essere più o meno Pag. 15bravo. Può venirgli la seconda domanda o no, ma lo stile sarebbe stato questo. Invece, quello è stato uno sproposito, direttore. Mi dispiace che lei dica che così non è. Secondo me, è un grave errore che la Rai faccia questo.
  Noi sappiamo bene che la Rai ha un grande impegno sociale e che lei personalmente non è contrario anche a un'idea di Rai pedagogica. Io non so se sono d'accordo, ma comunque lei non è contrario. Quello è un errore assoluto e conviene, secondo me, all'azienda riconoscere i limiti che hanno portato a quell'errore, piuttosto che negarlo. Se lo si nega, è poi molto difficile aprire un discorso reale, perché queste cose si possono riproporre.
  Guardi, noi ci occupiamo di mafia e non possiamo intervenire su altri campi, ma con tutto quello che è cronaca nera si possono fare dei disastri assoluti, perché quel tipo di proposizione è un tipo di proposizione che va contro la logica di un racconto austero.

  ANDREA VECCHIO. Io non ho visto quella trasmissione perché non guardo mai Porta a Porta, che considero il peggiore programma di informazione che il panorama televisivo italiano ci mette a disposizione. Considero quel programma estremamente clientelare nei confronti delle persone che intervista, pieno di piaggeria. È come se stendesse dei tappeti sotto le persone che ogni volta sono intervistate.
  Io ho cominciato ad avere questa idea su Porta a Porta quando è stato fatto un programma, per me vergognoso, sull'assassinio del bambino di Cogne. È stato costruito persino il plastico della casa, è stato messo tutto alla berlina. È veramente vergognosa la maniera con la quale il tanto osannato giornalista Vespa si permette di trattare le informazioni.
  Io avevo l'idea che lei fosse una persona di cultura. Così ne ho sentito parlare.

  PRESIDENTE. Non è smentita questa cosa.

  ANDREA VECCHIO. No, per carità, né la voglio smentire io, né mi sento di smentirla, assolutamente.

  FRANCO MIRABELLI. Ha fatto bene la presidente a sottolinearlo, perché sembrava così.

  ANDREA VECCHIO. No, a me sembrava così, ma mi pare che lei abbia fatto un grosso scivolone. Mi pare che lei abbia fatto veramente un grosso scivolone sulla buccia di banana che di solito Vespa porta in tasca e va mettendo sotto le scarpe di chi gli sta intorno. La mia considerazione è di questo tipo: questo per me sarebbe un programma da chiudere stasera stessa.

  PRESIDENTE. Ripeto, non siamo in Commissione di vigilanza RAI e, quindi, non abbiamo questi poteri. Questa precisazione era dovuta.

  SALVATORE PICCOLO. Io tendo ad allontanare il sospetto, che è stato adombrato, di una possibile collusione addirittura con gli ambienti legati alla famiglia Casamonica o alla generazione di una trama ideata da menti diaboliche per coprire altri fatti clamorosi. I fatti clamorosi ci sono e restano, anzi, per certi versi, la vicenda Casamonica li ha ulteriormente esaltati. Parlo di Roma-Mafia Capitale.
  Il punto vero di partenza, a mio avviso, è che questo episodio forse oggi richiama la necessità di una riflessione. Qual è la funzione del servizio pubblico ? È una funzione solamente commerciale ? Io capisco che anche il servizio pubblico sta sul mercato, che debba competere e debba fare audience e ascolti, ma credo che il servizio pubblico, che si alimenta anche con il pagamento del canone dei cittadini – non bisogna mai dimenticarlo – abbia innanzitutto (lo dico banalmente) una funzione pedagogica. Dovrebbe avere una funzione pedagogica ed educativa, certo stando sul mercato, soprattutto in alcune vicende o in alcuni fatti della società.
  Quello della criminalità organizzata è un fatto estremamente serio, su cui non si può giocare con la necessità dell'ascolto o Pag. 16di conquistare audience. Lì giochiamo con un fatto che nella società può causare degenerazioni ed effetti inimmaginabili. La cosa che mi ha colpito è questa divaricazione profonda tra la valutazione che ha, anche legittima, la dirigenza della Rai del merito della questione e la percezione che, invece, ha avuto l'opinione pubblica.
  La percezione che ha avuto l'opinione pubblica rispetto a questa trasmissione è stata una percezione estremamente negativa, che ha fatto passare nella mente – potrà sembrare banale – quasi una legittimazione di questa famiglia. Lei faceva la burina con quel fare, a suo modo, anche simpatico. Guardate che queste cose nell'opinione pubblica, soprattutto nella parte più sprovveduta dell'opinione pubblica, possono avere un effetto dirompente, in un momento in cui la criminalità organizzata continua a essere un problema dell'intero Paese, come più volte ha riaffermato la nostra presidente, non solo del Meridione. Con questi strumenti mediatici, che, a mio avviso, hanno anche una funzione educativa, bisogna stare attenti.
  Io prescindo dalla buona o dalla mala fede. Non credo che ci sia malafede in queste cose. C’è una valutazione di opportunità che va fatta seriamente, con riferimento all'obiettivo e alla funzione di un servizio pubblico. Quanto al fatto che Porta a Porta sia diventata la terza camera politica o addirittura un altro grado di giudizio, io trovo anche sconveniente e inopportuno che si celebrino processi in TV su fatti eclatanti. Guardate che anche questo può avere un effetto. Dividere il Paese in innocentisti e colpevolisti mentre si celebra un processo può avere anche un'incidenza sulla formazione del giudizio, perché non si è affatto indifferenti anche da parte di una corte della magistratura al movimento di opinione che si può creare con queste trasmissioni.
  Su questo tema le pongo una domanda. Io credo che sia proprio necessaria la riforma della Rai e che debba essere fatta una valutazione prescindendo da certi pregiudizi che ancora oggi io vedo esplosi o alimentati. Io credo che su questo debba essere fatta un'attenta riflessione.
  Qui non siamo a fare un processo alla dirigenza RAI o al conduttore, che ha un suo modo di fare – l'ha detto bene Corradino Mineo – non sempre condivisibile. Da parte mia è scarsamente condivisibile, ma questo è un mio giudizio personale. Ogni conduttore, nella libertà che spetta sicuramente ai giornalisti, non può dimenticare che sta in una sede in cui si svolge una funzione fondamentale. Quello è il servizio pubblico e nessun giornalista può dimenticarlo unicamente per fare ascolti e probabilmente anche per aumentare il suo gradimento nell'opinione pubblica.

  PRESIDENTE. Grazie. Prima di passare la parola al direttore Leone svolgo solo due precisazioni.
  La prima è per informazione anche tra di noi, oltre che verso il direttore. Nella sentenza Crimine infinito del tribunale di Milano c’è un capitolo su funerali e matrimoni. Vorrei proprio sottolineare l'importanza che questi eventi hanno come modalità attraverso la quale si controlla e si afferma il proprio potere e si crea coesione negli affiliati.
  Il fatto che sia stata prestata tanta attenzione a questo evento, con la risonanza che poi ha avuto attraverso la legittimazione che si è data con la partecipazione a quella trasmissione, non può, non poteva e non potrà non interessare questa Commissione. È anche per questo, direttore, che lei ha sentito toni abbastanza accesi e forti. Questo è il nostro fine istituzionale.
  Quanto all'altro aspetto, volevo interloquire con il presidente di gruppo D'Uva. Per noi Casamonica è un capitolo di Mafia Capitale. Vorrei ricordare che nell'inchiesta di Mafia Capitale ci sono anche collegamenti espliciti tra Buzzi e Carminati e i Casamonica e altre mafie, in particolare la ’ndrangheta, di cui i Casamonica sono una via di radicamento dentro la città.
  Quindi, non c’è alcuna distrazione. Nessuno ha intenzione di usare i funerali dei Casamonica per sviare l'inchiesta su Mafia Capitale in tutti i suoi aspetti. Infatti, noi consideriamo quest'audizione – se vogliamo, ce la spartiamo tra informazione Pag. 17e mafia – sicuramente anche dentro Mafia Capitale.

  FRANCESCO D'UVA. Presidente, diciamo che lo distoglie un po’ dall'aspetto politico. Intendevo soltanto dall'aspetto politico. Non parlo di quest'audizione, che era doverosa. Parlo in generale di quello che è successo alla Rai. Abbiamo fatto benissimo a essere qui.

  PRESIDENTE. Nessuno ha intenzione di usarla come diversivo. Noi faremo la nostra parte.
  Do la parola al direttore Leone per la replica.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Grazie. Intanto vi ringrazio perché non mi è successo di sovente di essere in qualche Commissione parlamentare o in altra occasione e di trovare un'unanimità di critiche rispetto al lavoro che noi facciamo. Questo è un segnale molto importante.
  Non a caso, il compito che io ho di rappresentare una rete e quelli che lavorano nei programmi è, da una parte, cosa che ho cercato di fare, di spiegare quali sono state le motivazioni che hanno spinto il programma Porta a Porta a ritrattare un tema accaduto un mese prima, ma non sufficientemente approfondito. Su questo aspetto non ho percepito un'universale – anzi, tutt'altro – contrarietà. Mi pare di capire che la critica principale che si è svolta sia stata sulle modalità di rappresentazione della vicenda dei familiari di Casamonica, ossia sul linguaggio usato dal programma.
  D'altronde, non si spiegherebbe per quale motivo il giorno stesso, il pomeriggio della trasmissione serale di Porta a Porta siano uscite notizie... Come voi sapete, questi programmi vengono registrati alcune ore prima. Escono le agenzie e riferiscono anche i contenuti dei programmi, cosa che è avvenuta anche per questa trasmissione. Dalle cinque di pomeriggio fino al mattino dopo, anche se sono uscite le notizie, non ci sono state reazioni. Quando ci sono state le reazioni ? Quando il pubblico televisivo e alcuni di voi hanno avuto modo di vedere, di rivedere o di vedere successivamente la trasmissione e di percepirne negativamente le modalità di conduzione.
  Dico questo per sottolineare che mi interessa riportare a questo il tema. A qualcuno di voi che dice: «Io avrei voluto che lei venisse qui e dicesse: “Ci vergogniamo di quello che abbiamo fatto”», rispondo di non chiederci troppo. Io credo che, come in tutte le cose, anche nel linguaggio politico, come in quello della società, oggi si sia abituati a fare delle affermazioni molto forti rispetto a una volta.
  Se io vengo in questa Commissione, come ho detto in altri casi, a dire che quello che è successo apre per noi una questione interna molto importante e che tutto questo non potrà non essere foriero di importanti decisioni al nostro interno, mi pare che questo già di per sé debba essere da voi percepito come un fattore importante.
  Se io vi avessi detto che il programma aveva queste finalità, che si è svolto in questo modo, che sono state dette queste cose e che sono state fornite queste risposte e mi fossi fermato a questo, allora lo capirei. Non credo di dover rafforzare con ulteriori termini la necessità che io stesso ho rappresentato di una riflessione interna.
  La riflessione interna è fondamentale, sia quando le cose si fanno bene, sia quando si fanno male. Noi qui abbiamo avuto più critiche del solito, e non mi riferisco soltanto a voi, che rappresentate le Istituzioni, ma anche alla società. Non c’è dubbio che tutto questo sarà oggetto di riflessione. Non c’è dubbio che, in riferimento ai tanti criminali e ai tanti personaggi che sono stati ospiti dei nostri programmi – abbiamo avuto spesso testimonianze anche in casa di ospiti – d'ora in poi, quando ci porremo il tema di come rappresentarli, ci ricorderemo di quello che è successo.
  Dico questo semplicemente perché ogni parola ha un suo peso. Una volta in politica venivano dette delle parole magari Pag. 18apparentemente poco forti, ma che erano pesantissime. Oggi spesso magari si deve dire molto di più. Permettetemi di riferirmi ancora al linguaggio di una volta, che è quello che io preferisco.
  Per quanto riguarda alcuni singoli episodi – non risponderò a tutti, perché alcuni erano commenti ed effettivamente su questi avevo già offerto il mio punto di vista – senatore Mirabelli, le modalità di sviluppo del racconto, lei riferiva, sono il vero vulnus del programma. L'ho detto prima: prendiamo atto di questo. Faremo una riflessione su questo.
  È mancata l'indignazione. Ci sono molti modi per aprire questa riflessione. Io l'ho appena detto.
  L'onorevole D'Uva chiedeva se ci sia stata malafede e se abbiamo subìto delle pressioni o delle minacce. Che io sappia, no. Se l'avessi saputo, le pressioni e le minacce sarebbero state rappresentate nei luoghi giusti e propri, finanche alla procura della Repubblica di Roma.
  Malafede non c’è stata. Come ho detto prima, il tema di rappresentare anche ascoltando il punto di vista, ma con un contraddittorio, i familiari di questo clan era, dal punto di vista del programma, utile e indispensabile.
  Per quanto riguarda il fatto che la Rai potesse sapere o immaginasse che questa trasmissione sarebbe stata in grado di creare intorno a sé un dibattito politico tale da coprire altre cose, nel migliore dei casi saremmo autolesionisti. Per quale motivo ? Per quale motivo trasferire sulla televisione, su un nostro canale e su un nostro programma, un dibattito di criminalità e di responsabilità capitoline che non è stato sufficientemente affrontato ? Per quale motivo ? Io ritengo che il problema delle responsabilità di quel funerale non sia stato sufficientemente analizzato da chi di dovere. Da questo punto di vista non ci poteva essere neanche questa volontà. Sarebbe stata una volontà autolesionistica. Quindi, vorrei tranquillizzarla: non ci sono state né malafede, né pressioni e minacce. Nei secondi due casi sappiamo a chi rivolgerci, nel primo le garantisco che non è andata così.
  Senatrice Ricchiuti, ovviamente, di fronte al suo parere che si tratti di una vergogna inaccettabile, i nostri non possono che restare due punti di vista diversi. Non posso ritornare sul tema. La prego di ricordarsi quello che ho detto, ovviamente.
  L'unica cosa che io non posso farle sapere è l'esito del procedimento disciplinare contro Vespa, per il semplice motivo che non viene promosso dalla Rai questo eventuale provvedimento disciplinare, ma dall'Ordine dei giornalisti, ammesso che avvenga. Quindi, non potremo essere noi a fornirle queste informazioni.
  Onorevole Bruno Bossio, anche lei sostiene: «Doveva dirci: “Abbiamo sbagliato”». Io credo di aver formulato e trovato il modo per spiegare che siamo pronti a capire le motivazioni di quello che è successo. Ho detto e ribadisco che abbiamo aperto una riflessione interna su quello che è successo.
  Fare riflessioni interne per programmi che vanno in onda ogni giorno, o anche per programmi periodici, significa agire sul lavoro che si sta facendo. Molto spesso il lavoro di chi fa televisione non si vede da quello che succede, ma da quello che non succede. Il lavoro di un direttore di rete è un lavoro invisibile, tranne quando succede un incidente. Il lavoro grosso che noi facciamo è proprio quello che non si vede, quello che non c’è. Né io potrò un domani venire qui in questa Commissione a dire quello che non c’è stato. Potrò soltanto rispondere di quello che c’è stato, ma vi garantisco che lavoreremo su quello che non ci sarà.
  L'onorevole Bossa, correttamente, diceva che io oscillavo tra espressioni di giustificazione e di professionalità della rete. Certo, siamo qui per spiegare, non per giustificare, ma abbiamo cercato di spiegare le motivazioni, le finalità e anche le modalità.
  Che cosa intendiamo fare dopo quanto è successo ? L'ho detto poco fa. Lavoriamo al nostro interno. Le garantisco che ogni giorno, quando si fanno le scalette, il lavoro e quello che è successo hanno un riflesso anche interno.Pag. 19
  Il senatore Mineo rilevava la banalizzazione dei crimini del clan e l'Olimpo di Porta a Porta nel quale sono entrati. Ricordo che tante altre volte abbiamo avuto criminali, purtroppo, in situazioni decisamente peggiori di questi familiari del clan, che sono venuti anche in casa da noi. Probabilmente in questo caso non è stata percepita, o la conduzione non è stata tale da poterla far percepire, questa distanza, che vi garantisco c'era nelle intenzioni e anche nello svolgimento tra le persone ospitate e i fatti raccontati.
  Non voglio e non posso convincere l'onorevole Vecchio a guardare Porta a Porta, ovviamente. Non farò nulla, da questo punto di vista.

  PRESIDENTE. Non ci riuscirebbe, non su questo.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Comunque le garantisco che l'integrità di ognuno di noi è rappresentata dal lavoro che fa. Ognuno di noi lascia una traccia dietro di sé e io credo che questo programma non incida su quello che ognuno di noi ritiene di essere.
  Qual è la funzione del servizio pubblico, si chiedeva l'onorevole Piccolo, domandandosi se debba avere una funzione pedagogica ed educativa. Sicuramente la riforma in corso e anche il dibattito interno sull'anima mista che esiste tra il servizio pubblico radiotelevisivo finanziato dal canone, circa il 65 per cento, e la parte commerciale, il 35 per cento, evidenziano che non ci possa mai essere una prevalenza commerciale laddove si parla di informazione, laddove si parla di modelli di civiltà e di rappresentazione della società. Lì il nostro servizio pubblico non deve mai venire meno, in qualsiasi forma di racconto, anche nel cinema e nella fiction.
  Ricordavo prima i programmi che faremo. Ovviamente, era soltanto un modo per dire che l'impegno della Rai e di Rai 1 su questi temi è un impegno che non è mai venuto meno. Possono succedere, invece, dei fatti che talvolta possono dare una percezione diversa.
  Quando noi lavoriamo per fare un programma, soprattutto in questi casi, non lavoriamo immaginando che questo programma debba raggiungere i risultati di ascolto e che, per questo raggiungimento potenziale, noi dobbiamo fare di tutto. Questa è una logica commerciale. È una logica che non ci appartiene. Glielo garantisco: non ci può appartenere e non abbiamo neanche a livello di vertice questa indicazione. L'indicazione è, semmai, di non tradire il proprio mandato. Se questo è successo, nella vostra percezione, è un tema di cui noi terremo seriamente conto.
  Davvero grazie.

  PRESIDENTE. Direttore, noi la ringraziamo. Con la schiettezza che ha caratterizzato quest'audizione, e che non voglio perdere nelle poche parole di conclusione che dirò, mi lasci affermare che ci è piaciuta più la replica dell'introduzione, se posso dirglielo in maniera molto sincera. Va a suo vantaggio, naturalmente, questa sottolineatura.
  Anch'io sono nata nel secolo precedente e, quindi, ho agganciato la prima Repubblica.

  GIANCARLO LEONE, direttore di Rai 1. Mi riferivo a quello.

  PRESIDENTE. Ne capisco il linguaggio, qualche volta apparentemente meno chiaro e diretto, ma che conteneva comunque il messaggio che noi vogliamo conservare di quest'audizione. Quello che è accaduto costituisce e costituirà elemento di riflessione anche per il futuro.
  Tra l'altro, tutti quelli che sono qui in altre circostanze non si trovavano in questa responsabilità, ma le assicuro che avrebbero avuto la stessa reazione. L'abbiamo avuta e in questa circostanza abbiamo potuto anche esercitare le nostre funzioni, ma la reazione che abbiamo avuto noi, quando in quei salotti, con quello stile, si sono seduti altri criminali o sedicenti tali, è stata la stessa, solo che allora non avevamo questa responsabilità e, quindi, non potevamo chiamare né lei, Pag. 20né altri. Eravamo dei liberi pensatori, come lo siamo adesso, ma ora leghiamo il nostro pensiero all'esercizio di una funzione.
  Pertanto, ci siamo trovati in questa circostanza e anche noi abbiamo registrato tanta preoccupazione intorno a quella serata. Se essa costituirà oggetto di riflessione e di trattazione più attenta di questi temi, senza nulla togliere al dovere di informazione, noi la ringraziamo per questo impegno. Non mancheremo di continuare la nostra vigilanza e magari la nostra interlocuzione per fare meglio.
  Noi riteniamo davvero che le mafie si combattono soprattutto con la cultura e con la consapevolezza da parte dei cittadini. Tutto ciò che tende a legittimarle vanifica persino il lavoro dei magistrati e delle forze dell'ordine. Questo non lo possiamo permettere, perché questo è un dato – lo ripeto con convinzione – ormai costitutivo della nostra realtà. Noi lo dobbiamo combattere e per combatterlo ci vogliono, come ci ha detto il Presidente della Repubblica, una moltitudine di uomini e di donne consapevoli di combatterlo. Il servizio pubblico da questo punto di vista deve essere in prima linea a esercitare questa funzione.
  Grazie. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.55.