XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 69 di Martedì 22 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del direttore di Rai 3, Andrea Vianello:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Vianello Andrea , direttore di Rai 3 ... 3 
Fico Roberto , Presidente ... 7

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 14.25.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del direttore di Rai 3, Andrea Vianello.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di Rai 3, Andrea Vianello, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Secondo quanto convenuto all'unanimità nella riunione dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, tenutasi lo scorso mercoledì, con tale audizione la Commissione intende svolgere un approfondimento sul ruolo dei talk-show nel servizio pubblico radiotelevisivo, trattandosi di programmi di infotainment non riconducibili a testata giornalistica.
  La Commissione vorrebbe, in particolare, comprendere i diversi criteri, anche organizzativi ed editoriali, che sottendono a questa tipologia di programmi e a quelli che sono invece ricondotti a testata.
  Vi ricordo che oggi, visto il protrarsi dei lavori dell'Aula, ascolteremo esclusivamente l'illustrazione della relazione del nostro ospite, riservando il seguito dell'audizione ad altra seduta.
  Do la parola al dottor Vianello.

  ANDREA VIANELLO, direttore di Rai 3. Innanzitutto saluto e ringrazio il Presidente Fico e tutta la Commissione di vigilanza per voler ascoltare la mia opinione su un tema molto attuale, strategico e strettamente tecnico per chi opera nel settore radiotelevisivo, come l'evoluzione di un genere tv che ha rivestito e riveste un ruolo assai importante sia nell'offerta dei palinsesti sia nella missione informativa del servizio pubblico.
  Premetto, non per umiltà ma per dato oggettivo, che il mio non può che essere un contributo limitato alla mia esperienza specifica e al compito che attualmente ricopro, quello di direttore di una delle tre reti generaliste della Rai, la terza rete, mentre la problematica su cui sono chiamato a esprimermi è diffusa in tutti i canali pubblici e privati che hanno il compito e l'ambizione di rivolgersi a un vasto pubblico non targettizzato, i cosiddetti «canali generalisti».
  Il termine talk-show, come spesso accade nella terminologia dei generi televisivi, ingloba un vastissimo numero di programmi, di taglio e natura anche radicalmente diversi, ed è presente in modo significativo nell'offerta televisiva italiana della Rai da molti decenni, tanto che gli studiosi, gli storici della tv, ne indicano la data di nascita al 1976, con l'inizio del ciclo di trasmissioni di Bontà loro di Maurizio Costanzo, dove per la prima volta nel nostro Paese si inaugurava un salotto televisivo, in cui personaggi pubblici di variegati mondi di appartenenza, Pag. 4dallo spettacolo alla cultura, al costume e alla stessa politica – ci fu lì la prima intervista in diretta a un Presidente del Consiglio, in quel caso Giulio Andreotti – chiacchieravano, si confessavano e discutevano tra loro, intervistati e stimolati da un conduttore giornalista. Era l'arrivo della parola e dell'opinione su temi pubblici, in quel caso peraltro anche privati, sul piccolo schermo, fino ad allora dominato interamente da film, sceneggiati, quiz e programmi di puro intrattenimento, e dove l'informazione era delegata solo alle news e agli approfondimenti dei telegiornali. Da allora l'idea, negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni già estremamente diffusa da molto tempo, che si potesse fare una buona e interessante TV con persone che semplicemente parlano con l'intervistatore e con gli altri ospiti presenti, ha pervaso tutti i palinsesti degli ultimi quarant'anni, sia in Rai sia con l'arrivo dei competitor privati nelle altre realtà televisive.
  So bene che non sono chiamato qui a percorrere la storia della televisione italiana, ma è indispensabile, anche solo metodologicamente, ricordare che sotto il termine, oggi fin troppo abusato, di «talk-show» finiscono per essere classificati una quantità inaudita di programmi di questi ultimi decenni, e anche oggi presenti capillarmente nei palinsesti televisivi, che svariano su tematiche amplissime – costume, cronaca, programmi di servizio, pura informazione – che vedono l'espressione di un punto di vista e il confronto tra opinioni diverse come asse portante narrativo dei singoli format e che sono ancora oggi protagonisti attivi, con differenti pesi e declinazioni, nelle televisioni di tutto il mondo.
  Presumo che alla Commissione interessi però particolarmente un genere specifico di talk-show, quello cioè che approfondisce il dibattito politico italiano e che vede la presenza di ospiti, non solo e necessariamente politici, che affrontino, guidati da un conduttore giornalista e con il contributo di filmati, reportage, inchieste e collegamenti esterni, i temi principali dell'attualità sociale, economica e appunto politica in senso largo del nostro Paese.
  Si tratta di un genere che sicuramente negli ultimi anni ha aumentato la sua presenza nei palinsesti della televisione generalista, sia per l'importanza complessiva data dai media non solo televisivi ai temi politici, sia perché confortati a lungo da eccellenti riscontri di pubblico, sia per la loro natura di trasmissioni low cost in una fase di pesante crisi di risorse del settore televisivo, che ancora perdura. Tuttavia, è un genere di cui da qualche tempo si discute, anche alla luce di un calo complessivo dei telespettatori che seguono i talk-show e di una crisi sia di efficacia sia di rappresentatività della realtà.
  Come direttore di Rai 3, rete che ha nel suo mandato – assegnato e ribadito negli anni da parte dei vari consigli di amministrazione Rai che si sono succeduti – la vocazione più spiccata all'approfondimento giornalistico e al racconto della realtà, e che ha un palinsesto fortemente orientato, pur nella sua natura generalista e accanto quindi a generi assai diversi, ai programmi in diretta o registrati che narrino o tentino di spiegare, come da ruolo primario di servizio pubblico, le cose che sono accadute, accadono o potranno accadere, mi sento di dover parlare alla Commissione di come noi decliniamo e intendiamo declinare questa tipologia di programma.
  Ricordo che fondamentalmente, mi verrebbe da dire in natura, esistono tre modi per approfondire e affrontare in televisione, fuori dalle news, l'attualità e il dibattito politico nel senso largo e non strettamente partitico-parlamentare: inchieste di ampio respiro e reportage, che solo su Rai 3 hanno spazio strutturale in prima serata, con trasmissioni come Report e Presa Diretta; interviste a faccia a faccia con i protagonisti più importanti della vita pubblica italiana e internazionale, quali l'appuntamento settimanale di Lucia Annunziata con In mezz'ora o Che tempo che fa di Fabio Fazio, che pure è un programma che unisce in modo eccellente elementi di intrattenimento e di educazione culturale, ma che ha anche questa Pag. 5base di interviste a faccia a faccia che possono arrivare a parlare di politica e degli altri temi importanti dell'attualità; quei programmi dove vari ospiti si confrontano sui temi pubblici del momento, che preferisco chiamare talk, eliminando il termine show, che sembra prevedere un richiamo di spettacolarità che non è nelle nostre intenzioni né nella nostra natura di servizio pubblico.
  Di talk politici strettamente detti Rai 3 non abusa affatto, avendo nel suo palinsesto solo due titoli che possono essere attribuiti al suddetto genere. Nel nostro caso, parliamo infatti soltanto del quotidiano mattutino Agorà, in onda dalle 8.00 alle ore 10.00, creato pochi anni fa per presidiare una fascia importante e all'epoca sguarnita, e presto diventato una trasmissione di successo in termini sia di ascolto sia di autorevolezza informativa, attualmente condotta da Gerardo Greco; e il prime time del martedì sera, Ballarò, uno dei marchi più consolidati e apprezzati del genere, giunto alla sua quattordicesima stagione e dallo scorso anno condotto da Massimo Giannini.
  Va ricordato che quando nacque nel 2002, Ballarò era l'unico programma informativo di politica e di economia di prima serata presente su tutto il palinsesto di tutte le televisioni italiane, sebbene famose trasmissioni l'avessero preceduto, ma tante e tante altre l'avrebbero seguito. Nel corso della sua storia, Ballarò è stato, quasi in ogni stagione, e sicuramente in tutti gli ultimi anni, il campione di ascolti e di percezione qualitativa del genere in questione. A tal proposito, permettetemi di aggiungere, non per metter medaglie, che nei dati Qualitel della Rai appena rilasciati la scorsa settimana, relativi al primo semestre del 2015, l'offerta informativa dei programmi di Rai 3 si conferma la migliore complessiva del servizio pubblico ed esce ulteriormente rafforzata, con un valore di 7,6 su 10 rispetto al 7,4 dell'ultimo anno (quindi il valore più alto e anche un valore in crescita tra il 2014 e il 2015).
  Per queste due trasmissioni, gli unici due talk presenti appunto nel palinsesto di Rai 3, che sono Agorà e Ballarò, il modus operandi della rete e dei gruppi di lavoro è stato da sempre ed è ancora quello di privilegiare la chiarezza espositiva, l'importanza di una trasmissione costruttiva, trasparente, equilibrata, pluralista e rispettosa delle differenti opinioni, in confronti dove le divergenti posizioni potessero essere giudicate dai telespettatori senza orientamenti precostituiti e soprattutto senza la ricerca di spettacolarizzazione o di strumentale deriva dei toni del dibattito, compito non facile per un programma in diretta, soprattutto in fasi che hanno visto anche contrapposizioni molto aspre tra gli schieramenti politici, ma sempre bussola cruciale mai derogata per non perdere la missione dovuta ad ogni trasmissione del servizio pubblico e ancora di più a quelle che maneggiano una materia così delicata e indispensabile, come è l'informazione.
  Insomma, quando qualcuno ha evocato il termine dispregiativo dei talk «pollaio», noi, come Rai 3, ci siamo sempre – credo legittimamente, senza voler fare i primi della classe – chiamati fuori.
  Come ogni genere televisivo, anche il talk politico e di attualità ha avuto le sue stagioni più o meno luminose, in termini di efficacia, di seguito e di apprezzamento. Non c’è alcun dubbio che nell'ultimo anno e mezzo, anche a causa di una eccessiva presenza di questa tipologia di programmi nell'offerta complessiva della televisione italiana – fattore questo che rappresenta uno specifico tutto italiano e su cui è giusto riflettere e interrogarsi – il bacino d'ascolto e dunque il gradimento del pubblico per queste trasmissioni si sia ridotto.
  Va detto che probabilmente negli anni scorsi il boom di ascolti, di cui anche noi come Rai 3 in materia abbiamo beneficiato, fosse frutto di una bolla di attenzione, non creata solo dalla televisione ma dall'intero sistema dei media. Resta il fatto che praticamente tutti i talk politici stanno subendo un'erosione significativa in termini di ascolto, che deve spingerci a riflettere su come intervenire per rendere questo tipo di programma più contemporaneo, più attrattivo e dunque più utile per Pag. 6il pubblico, seguendo nel nostro caso le linee inderogabili di informazione da servizio pubblico.
  Per quanto ci riguarda, peraltro, il calo di ascolti ha spiegazioni differenti. Mentre Agorà si mantiene su eccellenti risultati, sebbene con la perdita di un punto percentuale sull'ultima stagione – molto meno, però, rispetto alle perdite degli altri programmi dello stesso genere – il caso di Ballarò è peculiare. Come ben sa questa Commissione, a cui ho già avuto modo di riferire in proposito, il nostro programma del martedì ha dovuto affrontare un'inedita situazione, mai accaduta nella storia della tv italiana, con il conduttore storico Giovanni Floris che ha scelto di abbandonare l'azienda Rai e la nostra rete e creare in contemporanea un analogo programma in piena contrapposizione sulla rete privata La7, con l'obiettivo non mascherato, legittimo, di ereditare l'intero pubblico abituato a seguire Ballarò su Rai 3. Tale operazione, molto difficile da fronteggiare per la Rai e per Rai 3, ci ha visti respingere l'ambizione del concorrente, e anzi prevalere con il nuovo conduttore e il nuovo Ballarò in quaranta delle quarantadue puntate della scorsa stagione, in una significativa vittoria di Rai 3 e della squadra del programma, nonostante l'assenza e anzi la contrapposizione di uno straordinario additivo come la satira iniziale di Maurizio Crozza, che fa ascolti notevoli. Tuttavia, inevitabilmente, il bacino di pubblico che seguiva il solo Ballarò al martedì, comunque già diminuito nell'ultimo anno di Floris, per i motivi generali già evidenziati prima, si è diviso in due, portando dunque a una nostra affermazione significativa, ma sanguinosa in termini generali di ascolto. Ciò nonostante, anche nella scorsa stagione Ballarò si è confermato il talk politico di maggiore ascolto di tutta la televisione italiana, per quanto con la perdita – ripeto, inevitabile – di pesanti punti di share. Segnalo che nelle ultime due puntate della scorsa stagione, senza la presenza in onda del rivale de La7, Ballarò ha superato il 10 per cento di share, raggiungendo lo stesso e identico risultato fatto da Floris l'anno precedente, a conferma che è la co-presenza dei due prodotti a creare la divisione degli ascolti.
  Possiamo dire dunque che per Rai 3 la crisi del talk politico e di attualità è peculiare e meno generica, ma chi fa televisione sa che i segnali di erosione di un programma o addirittura, in questo caso, di un genere di programma, non vanno mai sottovalutati e necessitano dunque interventi e riflessioni immediate. Lo abbiamo fatto e lo stiamo facendo, cercando di lavorare con cambiamenti anche all'interno dei format. Abbiamo reso ancora più dinamico e interattivo quello di Agorà; siamo intervenuti, con Giannini e la sua squadra, anche su quello di Ballarò, rendendolo più consono alle caratteristiche del conduttore, che l'anno scorso non aveva potuto apporre quelle modifiche che si adattassero al suo stile e alle sue competenze.
  Ad esempio, da quest'anno Ballarò non rappresenta già solo visivamente, con il piazzamento delle poltrone in studio, una contrapposizione netta di schieramenti avversi, figlia di tempi di rappresentazione politica che ci sembrano superati e che troppo si può prestare all'immagine di uno scontro invece che di un confronto. Inoltre, si è scelto di alternare fasi diverse del programma, con un numero più limitato di ospiti nei vari blocchi, per privilegiare chiarezza e contenuti, e di alternare momenti di dibattito (oltre che filmati, inchieste, grafiche e collegamenti) a interviste singole a protagonisti della vita pubblica e politica. Inoltre, cito l'allargamento delle tematiche e degli stessi ospiti che le rappresentano, più attenzione a cose concrete, lontane dai fumosi retroscena della politica, quindi storie e aspetti del nostro Paese poco raccontati e più vicini alla vita vera dei cittadini, e più attenzione al mondo, cosa che stiamo facendo. Su Rai 3 segnalo, domenica scorsa, l'inizio del ciclo di In mezz'ora di Lucia Annunziata con un'intervista al commissario europeo Moscovici, che non è andata alla ricerca degli ascolti, ma del prestigio e dell'informazione anche su campi internazionali, su Pag. 7cui è bene che il servizio pubblico ritrovi la sua natura di grande informatore dell'opinione pubblica.
  Ci saranno poi altre novità strutturali per rendere il programma più innovativo e contemporaneo in corso di stagione. Il tutto, naturalmente, sempre e doverosamente all'insegna dell'equilibrio tra le varie componenti politiche, come da deontologia giornalistica e doppiamente per la nostra natura di servizio pubblico.
  A tal proposito, non mi sono sfuggiti alcuni rilievi a mezzo stampa anche da onorevoli commissari di questa istituzione rispetto alla presenza, nell'ultima puntata, di un'intervista singola a un esponente politico del Movimento 5 Stelle, in una piccola parte della trasmissione che poi ha avuto, nella restante parte, numerosi altri ospiti di altre forze politiche e non solo. Si tratta di rilievi che ho appreso con rispetto ma anche con stupore, visto che siamo solo alla seconda puntata di un lungo ciclo di quarantadue, nel quale sarà nostro obbligo, come sempre e come è sempre avvenuto in passato, rispettare le regole dell'equilibrio sostanziale, seppure seguendo i criteri che ci sono dati dell'autonomia giornalistica e della priorità delle notizie, e che su queste regole complessive le autorità di controllo preposte ci giudicheranno, come sempre ci hanno giudicato, e sempre positivamente negli anni scorsi.
  In questo momento non siamo, peraltro, in fase di par condicio preelettorale, ma vorrei comunque sottolineare come martedì scorso, e nelle altre interviste singole che ci saranno per gli esponenti delle varie forze politiche e non solo, tutto è avvenuto e avviene sempre all'interno di un programma che vede l'equilibrio e il pluralismo come uno dei propri valori fondanti, e che la presenza del contraddittorio come elemento di garanzia è già insita profondamente in un'intervista in cui un giornalista pone domande e ribatte alle risposte dell'interlocutore.
  Tornando al tema per il quale mi avete gentilmente invitato, vorrei chiudere sottolineando ulteriormente come non faremmo bene il nostro mestiere e non raggiungeremmo il nostro principale obiettivo, cioè quello di informare il maggior numero di persone, se non continuassimo fortemente a interrogarci su come rendere questa tipologia di trasmissione di approfondimento più in sintonia con le aspettative del pubblico, osservando il calo di attenzione che il prodotto in questione sta subendo e l'usura di un modello troppo reiterato, e ricordandoci che trattasi di un genere di cui sarebbe un errore a mio avviso abusare (e non è il nostro caso) o rendere l'unico veicolo per raccontare la vita pubblica italiana (e ancora non è il nostro caso) ma che, se ben fatto, rinnovato e aderente al racconto dell'Italia di oggi, è anche e sempre un formidabile esercizio democratico di circolazione delle idee e di confronto tra opinioni politiche differenti, pienamente nelle corde di un'informazione seria, rigorosa, popolare e autonoma del servizio pubblico.
  Sono a vostra disposizione per le domande, anche se, come il presidente ha già anticipato, saranno rinviate a un'altra data. Naturalmente sono pronto a essere riconvocato nel momento in cui lo desideriate.

  PRESIDENTE. Come concordato precedentemente con il vicepresidente Verducci e gli altri gruppi, rinvio il seguito dell'audizione ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.40.