XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 68 di Mercoledì 16 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Verducci Francesco , Presidente ... 2 

Audizione del direttore generale dell'EBU – European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre:
Verducci Francesco , Presidente ... 2 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU ... 2 
Airola Alberto  ... 3 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU ... 3 
Verducci Francesco , Presidente ... 5 
Airola Alberto  ... 5 
Pisicchio Pino (Misto)  ... 5 
Nesci Dalila (M5S)  ... 6 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 7 
Scavone Antonio Fabio Maria  ... 7 
Anzaldi Michele (PD)  ... 7 
Fico Roberto (M5S)  ... 8 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU ... 8 
Verducci Francesco , Presidente ... 11 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU ... 11 
Verducci Francesco , Presidente ... 12 
Deltenre Ingrid , direttore generale dell'EBU ... 12 
Verducci Francesco , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO VERDUCCI

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore generale dell'EBU-European Broadcasting Union, Ingrid Deltenre, che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. È altresì presente il dottor Giacomo Mazzone, responsabile delle relazioni istituzionali dell'EBU.
  Ricordo che tale audizione si inquadra nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo, anche al fine di determinarne l'identità e la missione.
  Do la parola alla dottoressa Deltenre, con riserva per me e per i colleghi di rivolgerle, al termine del suo intervento, eventuali domande e richieste di chiarimento.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU. Mille grazie per questa introduzione e grazie ancora una volta per avermi nuovamente invitato per un'audizione, questa volta sulla missione del servizio pubblico nell'era digitale. Mi avete chiesto di fare un punto sui trend globali del settore e su come i cambiamenti in atto mettano in questione la natura stessa del servizio pubblico. Pertanto, mi concentrerò sul concetto stesso di servizio pubblico e sul fatto che i cambiamenti in corso richiedano urgenti cambiamenti anche al quadro delle regole. Non è una domanda che ci arriva solo dall'Italia: questa discussione è di grande attualità anche in Gran Bretagna, Svizzera, Olanda, Austria. Non intendo però parlare delle discussioni che si svolgono in altri Paesi. Piuttosto parlerò degli aspetti più generali e importanti per tutta l'Europa e sui quali vi sono molti studi.
  Cominciamo con alcuni fatti molto sorprendenti. Innanzitutto nel mondo vi sono 3,2 miliardi di persone che utilizzano internet; un po’ più di un miliardo di persone usano quotidianamente Facebook e YouTube: incredibile. In Europa 82 persone su 100 hanno accesso a internet, in Italia un po’ meno. In ogni casa ci sono fra sei e otto apparecchi connessi a internet. Al di là di queste cifre, c’è un cambiamento profondo nell'atteggiamento della società, accentuato in parte anche da questi cambiamenti tecnologici.
  Questa slide mostra i risultati di un'indagine condotta dalla fine della Seconda guerra mondiale ai giorni nostri e concerne il cambiamento della società verso l'autorità in generale. Nel periodo 1955-65 cittadini, consumatori e lavoratori applicavano senza discutere le decisioni prese dalle autorità. In questo periodo vi erano Pag. 3«ascensori» diretti unicamente dall'alto verso il basso, cosa che oggi non accade più: la sfiducia nelle istituzioni e nella politica ha introdotto un cambiamento profondo. Oggi la gente vuole prendere parte alle decisioni: un cambiamento di atteggiamento diffuso in tutta Europa, una sfiducia nelle istituzioni politiche, ecclesiastiche e sociali in genere, un tempo invece molto rispettate. Oggi la gente si pone domande e non accetta tutte le decisioni prese assunte dalla politica e dal grande business. La cosiddetta crisi del servizio pubblico è in realtà ben più ampia, ovvero una crisi di fiducia nelle istituzioni.
  C’è un secondo trend molto importante per noi, quello dei cambiamenti radicali nel sistema dei media, provocati dell'evoluzione tecnologica. Vi sono quattro trend fondamentali per tutti i media, non solo per il servizio pubblico radiotelevisivo, ma anche per le reti commerciali e la carta stampata: concentrazione; impatti ed effetti della globalizzazione sull'industria, personalizzazione dei contenuti e impatto dell’on line per i media tradizionali.
  In questa slide si vede che quando è stato istituito il servizio pubblico vi erano alcune frequenze, ma non troppe: oggi non vi è più un problema di scarsità, abbiamo migliaia di canali televisivi e radio. Nel 1994 in Europa vi erano circa 900 canali televisivi, venti anni più tardi quasi 4.600. In tale ambito, la percentuale di canali di servizio pubblico nel 1994 era dell'11 per cento, oggi è leggermente inferiore, scesa al 9 per cento. In questa slide si vede un'altra tendenza. Si vede che i servizi commerciali dopo la crisi economica che ha investito i Paesi europei compresa l'Italia, sono ritornati a produrre reddito, sebbene in Italia non ancora al livello di prima della crisi. Per esempio, la tedesca RTL ha avuto nel 2014 il risultato migliore nella sua storia e così anche altri. In questa slide vedete che nei dodici servizi commerciali più importanti in Europa, il gap tra le risorse finanziarie dei servizi commerciali e quelle del servizio pubblico è diventato più ampio. Gli attori commerciali oggi, sono molto più forti del servizio pubblico che oggi è dunque più debole in confronto a venti anni fa.
  Per quanto concerne la globalizzazione, se guardiamo a cosa è successo negli ultimi dieci anni, vediamo che si sono avute concentrazioni verticali e orizzontali, un fenomeno non nuovo in Italia. Vi sono tre importanti gruppi e sono piuttosto concentrati in modo verticale. Anche le case di produzione internazionali più importanti hanno cominciato a collaborare con le più piccole. Per esempio, i cable operators, gli operatori di telecomunicazioni, presenti nel business della televisione, hanno comprato non solamente i canali ma anche case di produzione: ecco dunque una cosa significa concentrazione verticale, perché la cosa più importante che si intende acquisire oggi è il controllo dei contenuti. Si compra il copyright dei contenuti sul mercato. In Europa vi è dunque una forte concentrazione. Una compagnia americana, Liberty Global, il più grande operatore di reti via cavo in Europa, ha comprato i diritti sportivi sui Giochi olimpici per tutta l'Europa: per la precisione l'acquirente dei diritti è Discovery Communications, peraltro in relazione molto stretta con la compagnia americana, avendo in comune il principale azionista, John Malone.
  C’è una concentrazione ma anche una globalizzazione che ha un impatto per i player nazionali. I nuovi player, come Google, Amazon, Vodafone, Apple e la stessa Liberty global sono dei giganti. Qui vediamo il loro fatturato comparato con quello di Mediaset e Rai in Italia. Giganti che vengono con l'idea di costruire piattaforme, peraltro molto attraenti: oggi la concorrenza è fra Mediaset e Rai, ma i nuovi player che verranno sono molto più grandi. Lo vediamo in tutta Europa, dove nei vari Paesi siamo tutti un po’ più piccoli.

  ALBERTO AIROLA. Bln sta per billions ?

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU. Billions, miliardi di dollari.Pag. 4
  Oggi si ascolta molto la radio in auto quando si va al lavoro: il 10 per cento delle nuove automobili sono già connesse con internet. Si dice che fra tre anni tutte le nuove autovetture saranno connesse. Questo significa che anche nella macchina, dove abbiamo sempre avuto la radio classica, ci sarà un cambiamento perché si avrà un'interfaccia internet alla radio. Allora in futuro in macchina forse avremo un migliaio di stazioni radio, forse Google Radio o Apple Music, e non necessariamente la radio che conosciamo noi.
  Dopo avere parlato delle tendenze, mi accingo ad affrontare l'argomento, di cui spesso di discute in EBU, delle prossime sfide per il servizio pubblico.
  Anzitutto ci chiediamo cosa farà la nostra «macchina» in futuro. Inoltre ci interroghiamo sulle abitudini di consumo dei telespettatori e degli ascoltatori della radio attraverso internet. Conosciamo infatti la nostra audience molto meglio di un tempo, perché abbiamo i dati individuali. Cosa dunque fare con questi dati, abbiamo una policy sulla privacy e sulla sicurezza dei dati ? Che cosa facciamo se i nostri clienti dicono che non vogliono che utilizziamo i loro dati ? Siamo in grado di affermare che non li utilizzeremo ? Sappiamo cosa si sta facendo con i dati dei consumatori ?
  Non è facile. Siamo abili nella ricerca tradizionale dell’audience, ma questa è una nuova ricerca dove si deve lavorare con ingegneri e sviluppatori di software. Si tratta di una novità potenzialmente rivoluzionaria soprattutto visto che oggi qualcuno afferma che i dati sono il nuovo petrolio dell'economia.
  Altra sfida: oggi la distribuzione del 2 per cento dei contenuti fruiti on line costa quasi il 14 per cento delle spese di distribuzione di media. Sappiamo tutti che l’on line diverrà sempre più importante per i media. Se la banda larga funzionasse bene e la gente cominciasse a vedere i contenuti on line molto più che in passato, i costi cambierebbero; i costi della distribuzione incidono significativamente per un broadcaster e quelli per la distribuzione on line attualmente sono più pesanti della tradizionale distribuzione via etere.
  Ho parlato dei network e della società connessa. Tutto oggi è connesso, anche la criminalità. Abbiamo tutti sentito parlare di Sony Pictures che ha subito un attacco dagli hacker con la diffusione delle e-mail. Più imbarazzante è ciò che è successo a TV5Monde, un canale pubblico francese sottoposto sei mesi fa a un attacco di hacker con l'apparizione di messaggi ISIS sui teleschermi. Il canale è stato poi chiuso e si è scoperto che era tutto infettato di virus. Non hanno potuto avere accesso al backup dei dati perché distrutto dagli hackers. Oggi devono investire il 10 per cento del fatturato perché il canale torni in funzione. In un primo momento abbiamo pensato che i giornalisti di TV5 non avessero fatto attenzione alle password, ma le indagini hanno dimostrato che le tecniche dell'attacco erano molto sofisticate. Ci siamo chiesti perché hanno preso di mira TV5Monde, una televisione non così importante. Forse si trattava di un test per qualcosa di molto più grande. Comunque per i media, ma non solo, la cyber security ha enorme importanza ed è nell'agenda di tutte le imprese del settore, compresa la Rai.
  Tecnologia, dati, sicurezza dei network, costi per la distribuzione, ma per noi la cosa più importante e centrale resta sempre il content, la creatività. In Italia avete una tradizione forte, cominciata con il cinema. Per questa ragione riteniamo si debbano avere media potenti con sufficienti risorse per investire e competere nella qualità e nella creatività.
  In questo mondo tutto cambia con la tecnologia, la globalizzazione e le concentrazioni. Ho parlato delle sfide, come la sicurezza dei dati, la radio, la creatività, ma ci sono ancora altre ragioni per cui abbiamo tutti bisogno di una Rai molto forte. In questo mondo è tanto semplice che ognuno possa fare un sito web o un blog, o scrivere qualcosa su Facebook. Oggi internet è una forza incredibile per la democrazia ma anche per la propaganda, anche per il bullismo. Abbiamo una società Pag. 5molto frammentata: per questa ragione pensiamo che un servizio pubblico, che raggiunga la società e faccia condividere le stesse emozioni sia molto importante. Deve però essere anche un servizio pubblico affidabile.
  Sulla base dei nostri studi, la Rai è considerata ancora oggi la fonte di informazioni più affidabile. Per questa ragione mi sembra che in questo mondo molto frammentato, questo sia il senso vero della Rai e che il valore della coesione sociale debba essere protetto insieme al valore dell'indipendenza. Di qui l'importanza della governance e del modello di finanziamento. Questo modello, in tv e nella radio, dovrebbe anche essere garantito nel mondo internet in una società interconnessa.
  Pensiamo che ancora una volta un servizio pubblico affidabile renda i cittadini informati, promuova la diversità culturale, la creatività, l'identità di un Paese e garantisca il pluralismo dell'informazione. Non è solo importante che vi sia una Rai, ma anche Mediaset, i giornali, le radio, tutto un sistema dei media informato a questi valori.
  Pensiamo infine che la RAI debba garantire la coesione sociale in una società connessa molto frammentata e riteniamo rimanga che debba rimanere uno dei pilastri più vitali della società italiana anche in futuro.
  Mille grazie per la vostra attenzione. Mi scuso per l'italiano non facilmente comprensibile.

  PRESIDENTE. Ringrazio la dottoressa Deltenre per una relazione assolutamente ricca, svolta in un ottimo italiano. Ringrazio tutti i colleghi che si sono aggiunti, tra cui il presidente Fico.

  ALBERTO AIROLA. Intervengo sull'ordine dei lavori poiché devo allontanarmi, quindi intendo scusarmi con la dottoressa Deltenre e ringraziarla personalmente. I suoi interventi rappresentano sempre un salto quantico di conoscenza. Grazie mille.

  PINO PISICCHIO. Signor presidente, desidero anch'io manifestare il mio sincero ringraziamento per le parole che abbiamo ascoltato, peraltro – lo diceva il presidente un attimo fa – rese con un italiano impeccabile, dunque con un gesto di considerazione nei confronti di questa Commissione che abbiamo apprezzato pienamente.
  Devo dire che il suo è stato un ragionamento assolutamente condiviso all'interno anche di uno svolgimento didattico che, con un sano utilizzo delle slide – in genere sono degli strumenti di distrazione piuttosto che di concentrazione – ci ha raccontato la difficoltà oggi di ricollocare il servizio pubblico all'interno dei canoni tradizionali. Come ella ci ha detto con parole molto chiare e molto nette, dobbiamo fare i conti con lo strumento tecnologico più dirompente degli ultimi secoli, che si chiama Rete. Con questo strumento ci si deve misurare. Rete è sinonimo di libertà. C’è una parte cospicua della dottrina – e devo dire che, nella misura infinitesimale che posso rappresentare, anche io la penso così – che si pone il problema del come questa libertà debba essere collegata anche a una responsabilità. La libertà senza responsabilità alla fine produce effetti controversi.
  Questo è però uno di quegli elementi che sconvolge alla base l'antico concetto del servizio pubblico. Pensiamo al canone e pensiamo all'accesso gratuito attraverso internet. Quindi, già questo ci fa comprendere come siamo all'interno di un pianeta altro. Siamo veramente proiettati lontano.
  Dunque, ho ben accolto lo stimolo che lei poneva, peraltro facendoci riflettere sul fatto che è cambiato in modo direi biblico non solo il sistema ma anche il livello di attenzione e di bisogno e di richiesta che viene dal pubblico. Da un pubblico «totalmente passivo», o comunque, quello che cercava l'ascensore sociale negli anni Sessanta, e lo trovava, adesso abbiamo addirittura un pubblico antagonista in qualche modo, che reclama dal servizio pubblico una modellistica del tutto diversa. La stessa possibilità di realizzare, ognuno per proprio conto, il proprio palinsesto televisivo – perché noi ci ritagliamo il nostro palinsesto televisivo attraverso Pag. 6questi strumenti – è la rivelazione di un pianeta che rimette in gioco tutti i nostri convincimenti passati.
  Ringraziandola ancora per quello che ci ha detto, vorrei porre alcune domande.
  All'interno delle considerazioni che ha fatto, lei può immaginare un nuovo modello di servizio pubblico – questa è anche la mission dell'EBU – che abbia la capacità di proporsi in una realtà articolata come quella europea ? Insomma, un modello europeo di servizio pubblico in questo nuovo contesto c’è, regge, può essere ridisegnato ? Possiamo concorrere a disegnarlo oppure in fondo è rimandato a ogni singolo Stato e a ogni singola realtà il compito di immaginarlo ?
  In secondo luogo, ho visto che lei, peraltro, maneggia con grandissima sapienza i dati che riguardano la Rai, il nostro Paese. All'interno dell'EBU la Rai può fare di più ? Si può muovere meglio, può arrivare a raggiungere livelli di collaborazione più significativi ? E quali ?

  DALILA NESCI. Ringrazio l'audita per la sua presenza e per questa relazione molto interessante. Poiché intervengo a nome del gruppo, ho raccolto anche le domande degli altri miei colleghi i quali, impegnati nelle Commissioni trasporti e cultura, hanno dovuto fare una scelta.
  Vorremmo da lei, se è possibile, una riflessione sul rapporto – anche sottolineandone i tratti distintivi – che c’è tra servizio pubblico e prodotto, ovvero degli esempi tangibili, comprensibili per tutti noi, sulla programmazione del servizio pubblico negli altri ordinamenti.
  Le chiedo se possa darci degli spunti per capire anche se la televisione pubblica in molti casi abbia tentato o effettivamente inseguito i canoni della televisione commerciale. Questo è per noi un argomento molto all'ordine del giorno e proprio ieri abbiamo svolto un'audizione su una discussa e tormentata puntata di un programma di punta della Rai, Porta a Porta, che ha ospitato i componenti di una famiglia legata alle indagini su Mafia Capitale e sulla criminalità organizzata. Poiché molto spesso abbiamo visto, nella programmazione della Rai, il tentativo di rincorrere l’audience, utilizzando quindi i canoni della tv commerciale, a danno del servizio pubblico e anche della responsabilità che esso ha nei confronti della collettività, le chiedo se può farci degli esempi su quale sia il carattere distintivo del servizio pubblico rispetto alla televisione commerciale.
  Alla luce della sua relazione, laddove ha sottolineato che il contesto di rapido mutamento tecnologico ha sovvertito una serie di certezze o di canoni della televisione pubblica, vorremmo capire, sempre attraverso esperienze concrete – anche virtuose, se ce ne sono – come si stanno attrezzando gli altri servizi pubblici europei. Secondo noi, la Rai è in un ritardo palese su questo e a breve arriverà anche Netflix in Italia. Chiediamo, quindi, come gli altri servizi pubblici europei si stanno effettivamente mettendo nel percorso giusto di questo contesto molto variegato che la tecnologia permette. Cerco di ampliare la domanda anche per far sì che lei possa ragionare su questo.
  Vorremmo altresì una sua riflessione sul numero dei canali della televisione pubblica. In parte lei ci ha riferito i dati, attraverso la sua relazione. Qual è, secondo lei, la giusta ripartizione fra canali finanziati solo con il canone e quelli invece finanziati con la pubblicità ? Vorremmo anche avere un'idea di quale sia questo rapporto negli altri ordinamenti europei. Inoltre, come valuta lei la pletora di canali Rai e il modello misto canone-pubblicità ? Ritiene che questo sia valido per tutti anche negli altri ordinamenti ?
  Infine, sollecito un'ultimissima riflessione – considerato che lei è stata audita anche al Senato – sulla riforma Rai. La riforma è in corso, tuttavia c’è già stata la nomina del nuovo consiglio di amministrazione della Rai. Vorrei quindi chiederle se, secondo lei, la missione del servizio pubblico non sia già stata tradita all'origine proprio dal modello con cui il consiglio di amministrazione si è assolutamente rappresentato, essendo lo stesso espressione della maggioranza parlamentare e dei vertici di governo. Non pensa Pag. 7che l'ultima nomina del consiglio di amministrazione sia già espressione del tradimento del servizio pubblico, considerato che l'Italia sta andando verso la Moldavia e l'Ungheria e che questi sono due modelli censurati a livello europeo dalla CEDU e anche dalla Commissione di Venezia ?

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Voglio anch'io ringraziare la dottoressa Deltenre, la cui audizione è sempre un'occasione molto utile al lavoro della nostra Commissione. Nel corso di questi anni abbiamo apprezzato la sua competenza anche puntuale rispetto alla situazione italiana. Sappiamo che ella è sempre nelle condizioni di conferirci un punto di vista utile alla nostra discussione.
  Mi scuso se sono arrivato soltanto adesso, però, come è stato ricordato, è stato incardinato alla Camera dei deputati il disegno di legge di riforma e, insieme al presidente Fico e altri colleghi, abbiamo partecipato ai lavori. Siccome non ho avuto modo, come invece l'onorevole Nesci, di sentire tutti i componenti del gruppo parlamentare e raccoglierne le domande, non le sottoporrò tanti quesiti. Tuttavia, anch'io come l'onorevole Nesci tengo a sfruttare l'occasione della sua presenza per chiederle un'opinione rispetto al disegno di legge che è stato approvato al Senato, anche perché abbiamo incardinato oggi la discussione alla Camera.
  Peraltro, con la collega Bonaccorsi sono relatore del provvedimento, quindi credo che questa possa essere un'occasione utile. Lei era stata audita, se non ricordo male, all'inizio nel percorso. Il testo immagino abbia avuto l'occasione di vederlo; in corso di iter parlamentare al Senato è stato modificato e integrato, quindi volevo cogliere l'occasione per avere una sua opinione. Grazie.

  ANTONIO FABIO MARIA SCAVONE. Innanzitutto vorrei ringraziarla del suo ritorno, che è un'occasione per sentire considerazioni serene e illuminanti, tra l'altro espresse con un'eleganza che fa onore a lei prima ancora che al suo italiano. Mi impressiona la capacità di coniugare i verbi correttamente che, per chi non è italiano, è veramente una gran cosa. Ha parlato meglio di molti di noi, che ogni tanto ci avvitiamo nella difficoltà di coniugare bene i verbi. La ringrazio – ho seguito due terzi del suo intervento – per il richiamo alla vera responsabilità politica che attiene ai media e al servizio pubblico in maniera particolare.
  Oggi viviamo in società molto complesse, con disparità sociali enormi e tensioni che vengono da culture spesso lontane qui trapiantate, quindi ho apprezzato molto il richiamo che lei ha fatto a tenere dritta la barra del servizio culturale, di promozione e di crescita della popolazione, che è l'unica strada verso una coesione sociale in Paesi nei quali non la democrazia è a rischio, ma lo è – e lo vediamo ogni giorno – la tenuta sociale.
  Vorrei chiedere – ma lo ha fatto il collega Peluffo per me – il suo punto di vista sul percorso in itinere rispetto alle nuove regole che stiamo dando al servizio pubblico e in particolare sulla durata della concessione. Ci siamo dati un orizzonte probabilmente basso e lo è sicuramente molto più di concessioni che sono pluriennali in altre realtà e che forse sono, dal mio punto di vista, più legate alla complessità di un'azienda grande che deve avere una proiezione ampia per poter costruire bene il suo percorso.
  Vorrei sottolineare un altro aspetto. Nella norma viene inserita la possibilità di accesso ai contributi per quanto riguarda le televisioni locali e l'informazione locale. Rispetto alla sua esperienza, lei ritiene che questa sia una strada che può essere percorsa o è un rischio pensare di distribuire le risorse, sempre più basse e sempre più complicate da gestire, verso una realtà di informazione locale – l'articolo 4 della nostra norma – che tra l'altro può consentire l'apertura a chiunque ?

  MICHELE ANZALDI. Ringrazio il nostro ospite. Vorrei fare una domanda su come si comportano gli altri servizi pubblici nell'acquisto dei diritti per lo sport. Lo scorso week-end, la gradita notizia Pag. 8delle due italiane arrivate in finale agli US Open di tennis a New York ha messo in luce che la Rai – cosa che sapevamo, però non avevamo mai visto così drammaticamente – non aveva acquistato nessun tipo di diritto per lo sport, addirittura neanche quelli radiofonici, quindi neanche la radio poteva mandare in onda il sonoro. Vorrei capire qual è – se si può sapere – l'orientamento delle altre televisioni pubbliche e se lo sport esiste ancora nel servizio pubblico o non esiste, se i servizi pubblici non comprano più i diritti o ne comprano una percentuale.

  ROBERTO FICO. Ho ascoltato tutte le domande e alcune le faccio mie anche per cercare di comprendere bene il suo pensiero rispetto alla cosiddetta riforma sulla governance della Rai che adesso stiamo trattando alla Camera nelle Commissioni congiunte Cultura e Trasporti. La ringrazio per essere venuta nuovamente in Commissione e per gli spunti che sempre ci porta e ci lascia.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU. Spero di essere chiara nelle risposte, altrimenti vi prego di riproporre le domande.
  Comincio con la domanda sulla globalizzazione e sulla missione del servizio pubblico, se deve essere più europeo e qual è il futuro di questa missione. Quando discutiamo questo tema, pensiamo che la prima missione del servizio pubblico rimanga il servizio per il Paese (glocal), ma la maniera nella quale questo si manifesta cambia. In merito, pensiamo che bisogna lavorare molto di più insieme su scala europea, anche perché costa meno e si riesce a fare di più con gli stessi soldi; ma il content, ossia il contenuto, deve essere nazionale. Tutto questo si vede in questo mondo globalizzato; i diritti sportivi rappresentano solo un esempio, ma ce ne sono altri. Penso a Netflix: è più difficile per le TV nazionali produrre film, che si possono con minore spesa però noi abbiamo i talenti che lavorano per il servizio pubblico. Allora si deve reinventare il nostro lavoro su scala europea.
  Anche le piattaforme tecnologiche sono costose, per cui si potrebbe anche pensare di lavorare insieme e fare qualcosa di grande e moderno, e poi concentrarci a livello nazionale sul content. Questa è la direzione della discussione nell'EBU. Occorrono content affidabili, come l’e-news, l’entertainment e la cultura, bisogna farlo per l'Italia, ma in un mondo che è più connesso, che vuol dire che si deve connettere il cittadino italiano con il resto del mondo: ma il primo obiettivo è sempre il contenuto nazionale.
  Per quanto riguarda la tecnologia e i diritti sportivi, abbiamo cominciato a lavorare insieme molto più intensamente di prima. Qui la Rai gioca un ruolo importante soprattutto nella tecnologia. Come ho già detto nella scorsa audizione, la Rai ha un centro di ricerca tecnologica a Torino, che è molto avanzato per la comunità. La Rai, la NHK (giapponese) e la BBC sono i tre servizi pubblici che veramente hanno fatto qualcosa di speciale per l'industria; la Rai soprattutto nella distribuzione. Hanno definito gli standard mondiali ed è importante promuovere ulteriormente la collaborazione. Pensiamo che possiamo e dobbiamo fare ancora di più. Attualmente facciamo alcune cose insieme come il Concorso europeo della canzone (European songo contest) lavoriamo insieme nel settore delle news e seguiamo anche alcuni progetti nello sport, ma pensiamo che per rimanere veramente importanti dobbiamo intensificare tali attività. Nella relazione troverete diversi progetti che realizziamo insieme.
  Mi è stato chiesto se in ambito EBU la Rai potrebbe fare di più. La Rai, fino a poco tempo fa, con Anna Maria Tarantola, era nel consiglio d'amministrazione dell'EBU, e anche in altri collegi molto rilevanti. A me sembra, anche se spero che le cose cambino con la nuova presidenza, che nel settore delle news avremmo potuto fare qualcosa in più. In generale, la RAI è stata molto attiva, non solo con Anna Maria Tarantola, ma anche a livello europeo, poiché è in Europa, a Bruxelles, che si approvano le regole sui media, e nella tecnologia. Dopo l'incontro che ha avuto Pag. 9stamattina con la nuova presidente della Rai presso il settore delle news il rapporto sarà molto più intenso e più forte di prima.
  Per quanto riguarda la distinzione dei programmi trasmessi dal servizio pubblico rispetto ai servizi commerciali, la qualità dovrebbe essere più alta, come ha detto lei. Nel servizio pubblico ciò è tanto più vero, perché c’è una modalità di finanziamento misto, molto speciale, con il canone e non si dipende solamente dalla pubblicità. È chiaro che questo vuol dire che si deve essere molto più innovatori e molto più indipendenti, assumendosi rischi con innovazioni e facendo cose che normalmente un canale commerciale, che dipende solamente dalla pubblicità, non fa. Per questa ragione, se guardiamo il programma di un servizio pubblico, non dobbiamo vedere solo il singolo programma, ma un mix che deve fare la differenza. A volte questa differenza si può anche verificare nell'intrattenimento infatti un programma che all'inizio ha poco successo, perché comincia in sordina magari forse poi diventa di successo perché il servizio pubblico insiste nel proporlo per cui dire che un servizio pubblico deve solamente fare quello che normalmente i commerciali non fanno non è corretto. È molto importante che il servizio pubblico, come ho già detto, riunisca un grande pubblico e sia contraddistinto dall'universalità, cioè sia un servizio per tutti, quindi, se deve essere un servizio per tutti, non può riguardare solamente la cultura, l'arte, l'opera o le news, ma deve fare anche varietà, entertainment, e deve essere un grande contenitore che riunisca tutto; il varietà deve essere connesso con l'informazione, con la cultura, con gli sport, così come lo sport con la cultura e con l'informazione e via dicendo. In sostanza, la diversità dei vari generi è molto importante. È chiaro che l'ambizione deve essere di fare un programma di qualità con spirito innovatore. Si deve trattare di programmi sempre di qualità e con un'ambizione più alta di un servizio commerciale, ma la cosa importante è che le persone che lavorano per il servizio pubblico e il management abbiano questa ambizione. Il servizio pubblico non appartiene a noi, ma abbiamo solamente la missione di fare un servizio per il pubblico e lo dobbiamo fare con l'ambizione più alta possibile, anche perché abbiamo uno statuto differente da quello di un servizio commerciale. Con questo non voglio dire che i servizi commerciali non siano buoni; a volte hanno programmi migliori di quelli del servizio pubblico, per cui è importante che ci sia competizione per la qualità. Il servizio pubblico è importante anche per la qualità del servizio commerciale. Se in un paese il servizio pubblico è buono, normalmente il servizio commerciale lo è altrettanto, perché c’è un'aspettativa del pubblico di un certo livello qualitativo. C’è una competizione, normalmente verso l'alto, e di questo abbiamo la prova negli studi, anche se ciò non vuol dire che il servizio pubblico non faccia a sua volta sbagli. Di ciò discutiamo e ammettiamo che non siamo perfetti, per cui, se qualcosa non è andata bene, deve entrare a far parte della nostra cultura dire quello che non è buono e sufficiente, ed essere chiari nell'esporlo. Spero di essere stata esauriente nel rispondere alla vostra domanda.
  Per quanto riguarda il numero ideale di canali per un servizio pubblico oggi, è difficile dare un numero assoluto. A volte tale dato dipende anche dal numero di lingue. Per esempio, in Svizzera dove si parlano quattro lingue abbiamo moltissimi canali per un piccolo Paese, mentre un altro Paese forse più grande ha meno canali perché non ci sono quattro lingue e si trova in un'altra situazione. Generalmente diciamo che se un servizio pubblico si finanzia con la pubblicità e il canone, si deve guardare all'insieme dell'offerta più che al singolo canale. Per quanto riguarda i canali pagati solo con il canone e altri solo con la pubblicità sono molto pochi i servizi pubblici che lo fanno. Noi conosciamo degli esempi, come il caso di internet, dove pagando si ha accesso ai film, alle serie e agli show prima che siano on air. Questo esiste per esempio in Olanda e in Polonia, ma deve essere considerato un pay on line. Forse i programmi vengono Pag. 10trasmessi anche via cavo, ma non conosco nessun esempio di divisione per reti tra quello che è finanziato col canone e quello che è finanziato con la pubblicità.
  Per quanto riguarda Netflix, è molto difficile dire qualcosa. Hanno cominciato nei paesi nordici e dire se è stato un enorme successo, non è facile. Diciamo sì, se si vede quanto tempo è trascorso perché Netflix diventasse una forza evidente; in qualche mese ha raggiunto un market share pari a quello di una pay tv dopo alcuni anni; quando c’è la banda larga forte rafforza molto la sua posizione. In Italia, dove la banda larga non è tanto buona, siete un po’ protetti. In Olanda, per esempio, dove c’è la banda larga della migliore qualità nel 98 per cento delle case, Netflix si vede dappertutto; non c’è stato bisogno di pubblicità perché tutti ne avevano già sentito parlare. Quando c’è stato il lancio di Netflix, il market share è stato come detto grande quasi come quello di una pay tv esistente da molti anni e la stessa cosa è accaduta nei paesi scandinavi: Danimarca, Svezia e Norvegia.
  Si deve anche dire che Netflix trasmette serie soprattutto americane. Per fare il marketing si è investito anche in qualche produzioni locali, produzioni molto costose. House of cards è costato quasi 100 milioni di dollari. Non conosco nessun broadcast in Europa capace di investire la stessa cifra per una serie. La BBC ha prodotto quattordici serie con lo stesso budget che hanno avuto un successo molto più grande di Netflix. Si parla molto di Netflix come un successo, ma se si fa una comparazione con Rai o BBC, non è poi così grande; comunque come ripeto, se si considera il tempo impiegato per far sì che una pay tv si affermi in un certo mercato, il discorso cambia.
  I broadcast e i media hanno due strategie: la prima prevede una cooperazione per finanziare la produzione di serie, come è stato il caso dei norvegesi che hanno dato vita una cooperazione, dove loro hanno fatto la produzione e Netflix la commercializzazione globale, mentre l'altra è quella di quanti non vogliono collaborare con Netflix né dare i loro contenuti. Si tratta di due strategie che ritengono che l'altra sia di breve termine; si potrà cambiare, ma aspettiamo per vedere cosa succede.
  Per quanto riguarda le news sulla rete, la coesione sociale è un aspetto centrale per tutti. L'80 per cento dei giornalisti è su Facebook e utilizza Twitter. Tuttavia, quando si parla di coesione sociale non dobbiamo riferirci solo alle reti (radio tv) che abbiamo adesso, i servizi pubblici devono essere più attivi nei social media e nelle piattaforme di internet in modo molto più personalizzato e trovare modi di lavorare moderni per arrivare dove la gente si trova. I giovani, per esempio, non si trovano più nella Tv e nella radio, per cui dobbiamo essere dove essi sono adesso. In tal senso, se vogliamo veramente essere importanti per tutta la comunità, quindi non solo per la gente tradizionale di cinquanta e più anni, ma anche per i giovani, dobbiamo cambiare forse tutto, lavorare in un altro modo, parlare di altri temi, utilizzando altri protagonisti ed essere dove la gioventù si trova. Per questa ragione, in EBU abbiamo un network, Media innovation e Media lab, e mettiamo insieme i giovani che lavorano on line per studiare cosa fanno gli altri e che cosa possiamo fare noi di diverso.
  A proposito della durata della concessione, in Italia sono vent'anni, in UK dieci. Certo, vent'anni è molto, se si fa la comparazione con molti altri Paesi. Ci sono anche Paesi che non hanno una charter e una concessione ma solamente un contratto, e non c’è una durata. Esistono diversi modelli. Se si ha una concessione, mi sembra che la durata minima sia di sei anni, mentre la BBC ne ha una di dieci anni, come anche in Svizzera e in Austria, mentre in Portogallo è di quindici anni. Quindi non si può dire che ci sia un unico modello. Secondo me, la durata di quattro anni è troppo breve; basti pensare che sono in vendita i diritti olimpici fino al 2024. Nella televisione ci sono fasi molto lunghe, per cui, se volete fare una pianificazione, dovete avere la sicurezza anche dell'istituzione. Se la concessione dura solo quattro anni e c’è sempre un forte Pag. 11dibattito nel pubblico, si investe molto tempo, molto energia e molti soldi e non mi sembra sia un'ottima cosa. Ritengo sia più utile una durata maggiore e direi che dieci anni sarebbero già buoni. Dopo tale termine, si potrebbe valutare cosa fare, in considerazione di cosa è stato fatto bene e cosa si deve invece cambiare di fondamentale. La cadenza di dieci anni mi sembra più opportuna, mentre quattro anni è di sicuro troppo poco.
  La questione dei diritti sportivi è molto complessa, perché sono diventati quasi una commodity; in molti Paesi abbiamo operatori di telecomunicazione e via cavo che hanno una strategia per cui con il cavo si ha televisione, telefonia e internet insieme. Si tratta del modello dove il content «diritti sportivi» è utilizzato per fare la differenza dei servizi di un operatore rispetto a un altro. Se si hanno i diritti sportivi ci deve essere questo cavo o satellite, altrimenti i programmi non si vedono. La conseguenza di tale strategia è che i diritti sportivi sono diventati molto cari e il servizio pubblico, che ha meno risorse economiche, ha dovuto prendere decisioni un po’ strategiche in base a quello che si può permettere per il futuro, visto che non ha più la capacità di comprare tutti i diritti. Nei piccoli Paesi questo è ancora possibile perché non c’è tanta competitività, ma in quelli più grandi come l'Italia, dove c’è Sky, per esempio, è molto difficile per la Rai acquistarli e diviene ancora più difficile perché non c’è solo Sky, ma anche Discovery, con Eurosport, e c’è anche BeIN Sport che sta lanciando molti canali per esempio in Turchia e in Spagna. In Francia, il servizio pubblico non ha più avuto da diversi anni i diritti per la Coppa del mondo e gli Europei di calcio. Per quanto riguarda il tennis, forse non conosco la strategia di Rai, ma posso dire che il tennis non è un'attrattiva per molti perché i canali hanno un ritmo di programmazione, per cui alle otto c’è il telegiornale, alle dieci c’è un altro programma. Il tennis può cambiare tutto il palinsesto perché non si sa mai qual è la durata della partita, che può essere di un'ora, ma può anche essere di tre ore. A tal proposito vorrei porgere le mie congratulazioni all'Italia perché non mi ricordo un'altra finale del Grande Slam con due italiani.
  Avere la diretta delle partite di tennis per la Rai è molto difficile. Se si ha un atleta nazionale, come è accaduto, che va in finale o se queste due tenniste italiane continuano ad avere successo, forse si penserà di comprare i diritti per i nostri canali sportivi. Tuttavia, se non c’è un atleta nazionale, il servizio pubblico per come lo conosco io non compra i diritti del tennis perché la variabilità della durata è troppo grande per una programmazione fissa di un canale.

  PRESIDENTE. In Svizzera ne avete due.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU. Sì, ne abbiamo due. Per il servizio pubblico il tennis è importante, ma solamente perché c’è Federer e Wawrinka, che adesso è numero 5. Quando i due tennisti non saranno più in queste posizioni, non si vedrà più tennis sui canali del servizio pubblico svizzero, come accade anche per gli altri.
  Per quanto riguarda il finanziamento alle emittenti locali, da noi si chiama top-slicing: c’è il canone e se ne dà una parte ai locali, come accade, mi sembra, in altri due Paesi. Esiste in Svizzera, dove la regola prevede che il servizio pubblico non faccia più un servizio regionale, ma solamente quello nazionale, perché il servizio regionale è svolto dalle televisioni locali. Molto spesso queste televisioni locali appartengono a un giornale e ricevono il 4 per cento del canone per fare il servizio locale che non è più fatto dal servizio pubblico. Questo è il sistema in Svizzera e, se non sbaglio, esiste in altra forma anche in Danimarca, ma solo in questi due Paesi. Si discute spesso se sia meglio avere un servizio pubblico che fa tutto o molteplici servizi più piccoli. Si tratta di discorsi che ho sentito in molti Paesi, ma nessuno di questi alla fine ha detto che è preferibile, perché sono necessarie esperienza e professionalità, ed è difficile prendere le parti Pag. 12di uno o dell'altro modello, infatti nessun Paese è andato in questa direzione.

  PRESIDENTE. La nuova legge sulla Rai.

  INGRID DELTENRE, direttore generale dell'EBU. È difficile per me parlarne. Per noi è molto importante che la Rai, se vuole essere affidabile, abbia una certa indipendenza dalla politica. È chiaro che c’è sempre una dipendenza dalla politica quando si parla di regolamento e di canone, ma la percezione deve essere che si tratti di un'istituzione editorialmente indipendente. Per questa ragione, avere una governance Rai che assicuri l'indipendenza per l'EBU è molto importante. Se abbiamo un servizio pubblico dove cambia tutta la governance perché c’è un mutamento nella politica e nel governo, ciò indica che c’è una dipendenza e questo non va bene. Lo si vede nei Paesi dove c’è un grande turnover del direttore generale, per esempio in Romania, dove, da quando è caduto Ceaucescu (nel 1989), non c’è più stato un direttore generale rimasto più di un anno e mezzo alla direzione del servizio pubblico.
  Ciò significa che c’è un'influenza politica molto importante. Il servizio pubblico è una grande azienda culturale e non è un hobby, quindi è necessaria esperienza di management e conoscenza dell'industria, perché si tratta di gestire molte persone ma anche molti soldi. Se c’è sempre un cambiamento nella direzione dell'azienda, ciò non va bene per l'istituzione, per la qualità, per l'efficienza e per la creatività. Per questa ragione l'indicatore del turnover dei direttori generali corrisponde a quello dell'influenza politica. Pensiamo sia necessario un direttore generale eletto e protetto dal board e non nominato dal Primo ministro o da un Presidente. Il board deve avere la responsabilità dell'elezione del direttore generale, il quale può anche avere la funzione di un CEO (chief executive officer).

  PRESIDENTE. Ringrazio la direttrice Deltenre per questa audizione così ricca e tutti i colleghi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.